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Sommario del 27/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a industriali: fate impresa per l’uomo non per i mercati

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La “bussola” della vostra attività produttiva sia sempre il “bene comune”, cioè la creazione di lavoro e benessere secondo criteri di giustizia che rispettino la dignità umana, evitando i “facili compromessi”. È la sostanza del discorso che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti al Giubileo degli industriali in Aula Paolo VI. Per la prima volta in 106 anni di vita, la Confindustria italiana ha incontrato un Pontefice. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Non c’è “etica del fare impresa” che tenga né discussioni alte sui valori del lavoro se esse non sono in grado di dare una risposta a un padre di famiglia angosciato per non riuscire ad assicurare “un futuro e nemmeno un presente ai propri figli”.

Pensate all'uomo concreto
Il pensiero sociale di Francesco è ben noto. L’Evangelii gaudium e la Laudato si’ hanno ampiamente chiarito cosa il Papa pensi quando si parli del rapporto uomo-economia. E i due documenti – il primo dei quali citato nel suo indirizzo di saluto dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi – sono le sponde fra le quali Francesco procede per rivolgersi alle migliaia di grandi e piccoli imprenditori che riempiono l’Aula Paolo VI, scena mai vista in Vaticano. Il Giubileo di questa categoria vuole riflettere stimolato dall’espressione “Fare insieme”. il Papa suggerisce una lettura:

“‘Fare insieme’ vuol dire, infatti, impostare il lavoro non sul genio solitario di un individuo, ma sulla collaborazione di molti. Significa, in altri termini, ‘fare rete’ per valorizzare i doni di tutti, senza però trascurare l’unicità irripetibile di ciascuno. Al centro di ogni impresa vi sia dunque l’uomo: non quello astratto, ideale, teorico, ma quello concreto, con i suoi sogni, le sue necessità, le sue speranze e le sue fatiche”.

Dirigete ma ascoltate
E queste speranze e queste fatiche hanno una faccia, afferma Francesco. Quella delle famiglie, “focolai di umanità” in cui, dice, “trovano senso e valore” l’esperienza del lavoro, “il sacrificio che lo alimenta”, i frutti che ne derivano. La faccia degli anziani, “troppo spesso scartati come inutili e improduttivi” mentre potrebbero ancora “esprimere risorse ed energie per una collaborazione attiva”. La faccia dei giovani e di tutti quei “potenziali" lavoratori “prigionieri della precarietà o di lunghi periodi di disoccupazione”. Fare impresa, sostiene il Papa, vuol dire impegnarsi per queste categorie:

“Significa dare a ciascuno il suo, strappando madri e padri di famiglia dall’angoscia di non poter dare un futuro e nemmeno un presente ai propri figli; significa saper dirigere, ma anche saper ascoltare, condividendo con umiltà e fiducia progetti e idee; significa fare in modo che il lavoro crei altro lavoro, la responsabilità crei altra responsabilità, la speranza crei altra speranza, soprattutto per le giovani generazioni, che oggi ne hanno più che mai bisogno”.

"Suprema attenzione" alla dignità umana
Dunque, è l’appello del Papa agli industriali, siate coraggiosi voi – che avete “una nobile voca­zione orientata a produrre ricchezza e a migliora­re il mondo per tutti” – e non lasciate che “trovarsi e fare insieme” resti “solo uno slogan”, ma piuttosto “un programma per il presente e il futuro”. Siate, indica loro, “costruttori del bene comune e artefici di un nuovo umanesimo del lavoro”:

“La vostra via maestra sia sempre la giustizia, che rifiuta le scorciatoie delle raccomandazioni e dei favoritismi, e le deviazioni pericolose della disonestà e dei facili compromessi. La legge suprema sia in tutto l’attenzione alla dignità dell’altro, valore assoluto e indisponibile. Sia questo orizzonte di altruismo a contraddistinguere il vostro impegno: esso vi porterà a rifiutare categoricamente che la dignità della persona venga calpestata in nome di esigenze produttive, che mascherano miopie individualistiche, tristi egoismi e sete di guadagno”.

Economia serva la giustizia
La bussola che orienta l’attività produttiva, conclude Francesco, sia in una parola “il bene comune”, perché “cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia "insensibile allo sguardo dei bisognosi”:

“Essa è davvero possibile, a patto che la semplice proclamazione della libertà eco­nomica non prevalga sulla concreta libertà dell’uomo e sui suoi diritti, che il mercato non sia un assoluto, ma onori le esigenze della giustizia e, in ultima analisi, della dignità della persona. Perché non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza il rispetto della dignità di ciascuno”.

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Giubileo di Confindustria: l'emozione degli imprenditori

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Tanta è stata l’emozione per la prima storica udienza di un Papa agli imprenditori della Confindustria italiana. Ascoltiamo al microfono di Michele Raviart la voce di alcuni partecipanti, a partire da Michele Somma, presidente di Confindustria Basilicata: 

R. – E’ un’emozione fortissima: il fatto che dopo oltre 100 anni di vita di Confindustria, questa sia la prima volta dà già il senso della specialità dell’evento. Questo Papa è un Papa eccezionale: è un Papa che ha richiamato tutti, anche gli imprenditori, a una visione etica e sociale dell’impresa che io credo sia propria di gran parte delle nostre aziende italiane. Molte di queste hanno storie eccezionali di sacrificio, di successo e una volta che il successo ha arriso a queste aziende, vediamo come molto spesso questo si traduca in interventi a favore del sociale. Il vero valore sociale dell’impresa è quando l’impresa riesce a generare momenti di serenità non solo economica, ma di serenità per la vita dei propri collaboratori.

D. – Laura Vernini di Confindustria Energia: come si fa impresa per il bene comune?

R. – Non è un “fare” riportato su un’individualità, ma piuttosto creare un meccanismo di ripresa e di bisogno comune proiettato all’altro: cioè, creare posti di lavoro, creare comunque uno sviluppo pulito e buono che non derivi dallo sfruttamento.

D. – A proposito di posti di lavoro, Papa Francesco parla spesso di “inclusione”, dei giovani, delle famiglie…

R. – Stiamo cercando di trovare la soluzione per trovare un posto per i giovani, perché senza un posto per i giovani non si hanno neanche le famiglie, perché comunque la mancanza lavoro è un grande ostacolo per creare una famiglia.

D. – La situazione attuale, come la vedete?

R. – Eh, non per niente siamo dal Santo Padre, no? Proprio per cercare veramente un aiuto, una preghiera e un sostegno. Siamo in un momento difficile…

D. – Alberto Caprari, presidente della Federazione della meccanica italiana: il Papa parla di inclusione, nell’economia, per famiglie e giovani. Come?

R. – Nelle piccole e medie imprese, il ruolo della famiglia è molto forte. L’impresa, la fabbrica, l’officina diviene una scuola di vita. I giovani debbono comprendere che avvicinarsi al lavoro che si svolge nelle fabbriche è un ingresso veramente qualificante nel mondo del lavoro.

D. – Che cosa significa per voi essere ospitati per la prima volta dal Santo Padre?

R. – Per noi, è un grande onore. Riteniamo che il settore meccanico abbia un valore sociale fortissimo per il nostro Paese, perché la forza lavoro è molto a contatto con chi la dirige, si genera benessere, in tante regioni italiane le aziende della Meccanica fanno parte proprio del tessuto operativo della vita dei paesi, di tutto quanto, insomma…

D. – Giampaolo Pedron, presidente di Confindustria Veneto: come si combatte la cultura dello scarto e dell’esclusione dei più deboli?

R. – Il Veneto ha una cultura antropologica fortemente solidale: abbiamo il 10% di popolazione straniera, eppure siamo riusciti a integrarla nonostante la politica molto spesso dia un messaggio di chiusura nei confronti dell’accoglienza del diverso.

D. – Quando Papa Francesco parla di economia, parla appunto del ruolo sociale dell’impresa. Come è possibile in una situazione comunque sia di difficoltà economica?

R. – Per poter mantenere questo ruolo sociale – perché è una comunità di persone che lavorano assieme – la grande sfida che abbiamo di fronte è quella di lavorare per l’economia reale e non per l’economia finanziaria. E, secondo, continuare in questo grande sforzo di innovazione, perché solo innovando costantemente si riesce a produrre valore da distribuire.

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Il Papa in visita ai tossicodipendenti del Ceis di don Picchi

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Lì dove i ragazzi combattono ogni giorno la loro battaglia per tornare alla vita. Papa Francesco ha visitato ieri pomeriggio a sorpresa la comunità di recupero per tossicodipendenti “San Carlo” del Centro Italiano di Solidarietà, il Ceis, fondato da don Mario Picchi. La struttura si trova nei pressi di Castel Gandolfo, ai Castelli Romani. Si è trattato di un altro segno giubilare di testimonianza delle opere di misericordia, per l’Anno Santo in corso. Il Papa, accompagnato da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, si è intrattenuto per circa due ore con i 60 ospiti, il personale ed i volontari del centro terapeutico. Al termine della visita alla comunità, dove già in passato erano stati Papa Paolo VI e San Giovanni Paolo II, Francesco ha donato ai presenti un'immagine della Madonna di Lujan, realizzata con un foto-mosaico. Per una testimonianza della commozione dei ragazzi, ascoltiamo Roberto Mineo, presidente del Centro Italiano di Solidarietà, intervistato da Giada Aquilino

R. - C’è stato un bellissimo evento, una bellissima sorpresa che ha lasciato attoniti tutti, i ragazzi, gli operatori, me stesso: abbiamo ricevuto la visita del Santo Padre. Ci ha trovato nella nostra comunità, dove i ragazzi erano nel pieno svolgimento delle loro attività e sono rimasti ovviamente meravigliati di questa “apparizione”: una figura bianca, che è scesa dalla macchina… Quando ha varcato il cancello nessuno sapeva niente. È stato un incontro molto toccante, fatto di risate e insieme di discorsi profondi e seri. C’è stato uno scambio tra i nostri ragazzi e il Santo Padre, che ha portato veramente la misericordia in questo centro che da anni si occupa del recupero e del reinserimento per i tossicodipendenti.

D. - Cosa ha detto il Papa ai ragazzi?

R. - Ci sono state delle domande sulla fede e sul Vangelo da parte dei ragazzi, sulla religione, sui motivi per i quali una persona dopo un periodo di sofferenza poi può risorgere. Il Papa ha portato il suo messaggio di fede e di coraggio per questi ragazzi che stanno passando un periodo difficile della loro vita, ma che comunque rappresenta un momento di rinascita. Quindi li ha supportati per quanto riguarda la forza di andare avanti, la volontà di poter cambiare. E grazie a questo posto i ragazzi hanno risposto che tutto ciò, giorno dopo giorno, sta avvenendo.

D. - C’è stato un gesto particolare che ha potuto cogliere?

R. - Sì, si è messo a mangiare la pizza assieme ai ragazzi. Perché intorno alle 16.30 i ragazzi fanno una merenda, quindi il cuoco - come ogni venerdì - aveva preparato della pizza: abbiamo avuto il piacere di vedere come il Papa abbia gradito molto questo momento conviviale che ha condiviso con i ragazzi.

D. - A proposito della rinascita alla vita: c’è stata una riflessione che l’ha colpita?

R. - La voglia di tornare alla vita dopo un periodo buio. E questo i ragazzi vedono che è possibile, grazie all’amore di cui sono circondati, grazie all’attenzione, grazie all’ascolto. Sono delle storie veramente drammatiche che si svolgono in questa comunità, però tutte quante con un fine di volgere al meglio la propria vita nel futuro. E in questo i ragazzi ci stanno riuscendo.

D. - Voi nei giorni scorsi avevate scritto una lettera al Papa…

R. - Abbiamo semplicemente scritto quello che era il desiderio dei nostri ragazzi, cioè incontrare il Papa per restare un momento insieme, per parlare e dialogare, perché in questo momento c’è bisogno di avere una via di speranza e il Pontefice la sta indicando. E vediamo che i nostri ragazzi recepiscono molto bene i suoi messaggi.

D. - Dal monito contro il narcotraffico pronunciato in Messico alla visita alla comunità: cosa c’è in mezzo? Qual è stato l’incitamento del Papa ai ragazzi?

R. - L’incitamento nacque già a maggio di due anni fa, quando in Piazza San Pietro il Pontefice fece gridare a tutti noi delle associazioni che si occupano di recupero dalla tossicodipendenza: “No alla droga, no ad ogni tipo di droga”. E il messaggio del Papa in Messico è stato una continuazione: narcotraffico, quindi droga, quindi spezzare delle vite che invece potrebbero volgere al meglio.

D. – Cosa ricorderanno questi ragazzi di Papa Francesco?

R. - Bisognava semplicemente guardare, osservare i loro volti. Anche senza parole, esprimevano tutta la loro gratitudine, la loro contentezza di averlo incontrato e di aver condiviso con lui pienamente una parte della giornata, anche a livello spirituale, che per noi è molto importante.

Il significato di questa visita è stato messo in luce anche da mons. Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione: "Nessuno si asperttava di vedere Papa Francesco e la profonda commozione di tutti. Il Papa è voluto rimanere insieme ai giovani, ha ascoltato le loro storie e ha fatto sentire ad ognuno la sua vicinanza. Li ha provocati a non lasciarsi dalla 'metastasi' della droga, e abbraciandoli, ha voluto far comprendere quanto il cammino iniziato in comunità è una reale possibilità per ricominciare ad esprimere una vita degna di essere vissuta".

La visita ai tossicodipendenti del Centro Italiano di Solidarietà rientra nei gesti di carità dei “venerdì della misericordia” che Francesco compie, una volta al mese, durante tutto l’arco dell’Anno Santo. Il primo segno è stato compiuto dal Papa il 18 dicembre 2015 con l’apertura della Porta Santa alla Caritas di Roma.

In oltre 45 anni di attività il Ceis ha accolto diverse volte il Beato Paolo VI e San Giovanni Paolo II. Fondato da don Mario Picchi alla fine degli anni Sessanta, il Centro si è sviluppato notevolmente nel corso del tempo con numerose strutture sia a Roma che nella sua provincia: dalla comunità terapeutica per i tossicodipendenti alla cura dei giovani in doppia diagnosi (tossicodipendenza e problemi psichiatrici); dall'assistenza domiciliare ai malati di Aids e agli anziani, alle iniziative in favore di senza fissa dimora, immigrati, rifugiati e richiedenti asilo politico, fino alla prossima apertura della più recente comunità La Casa per pazienti psichiatrici dimessi dagli ospedali.

“Abbiamo confidato a Francesco - ha detto Mineo - che la nostra filosofia, la filosofia che ci ha lasciato don Mario pone al centro l’uomo e che la nostra battaglia quotidiana coincide esattamente con quanto il Papa ha detto più volte che ‘la droga non si vince con la droga’, cioè che non è ammissibile la liberalizzazione delle droghe leggere".

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Papa Francesco riceve il Presidente argentino Mauricio Macri

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Questa mattina, nel Palazzo Apostolico Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto il Presidente della Repubblica Argentina, Mauricio Macri, che poi ha incontrato  il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui, che manifestano il buono stato dei rapporti bilaterali esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica Argentina – riferisce la Sala Stampa vaticana - sono stati trattati temi di mutuo interesse, come l’aiuto allo sviluppo integrale, il rispetto dei diritti umani, la lotta alla povertà ed al narcotraffico, la giustizia, la pace e la riconciliazione sociale. In tale contesto, è stato ribadito il contributo positivo, soprattutto nell’ambito della promozione umana e della formazione delle nuove generazioni, offerto dall’episcopato e dalle istituzioni cattoliche nella società argentina, particolarmente nell’attuale congiuntura economica. Infine, non si è mancato di far riferimento ad alcuni temi di maggiore entità ed interesse in ambito regionale e mondiale”.

Il Papa ha donato al Presidente argentino un medaglione sulla pace, la sua Enciclica Laudato si’ e l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. Macri ha regalato al Pontefice una Croce che ricorda l’evangelizzazione dei Gesuiti in Argentina, un poncho e alcuni Cd di musica argentina.

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Il Papa prega per Miriam Woldu prima delle esequie

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Questa mattina, nella Chiesa di Santo Stefano degli Abissini, in Vaticano, si sono svolte le esequie di Miriam Woldu. La giovane italiana di origine eritrea lavorava alla reception a Casa Santa Marta: malata di diabete è stata ritrovata morta nei giorni scorsi nella sua abitazione a Roma. Prima della celebrazione, Papa Francesco si è recato nella Chiesa - ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - “per sostare in preghiera di suffragio per la defunta, dimostrando il suo affetto e il suo rispetto per questa cara collaboratrice della Casa Santa Marta. Il Papa è rimasto in preghiera silenziosa per circa 20 minuti e ha deposto un mazzo di 12 rose bianche”. 

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Altre udienze

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Marc Oullet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e mons. Carlos José Tissera, vescovo di Quilmes in Argentina.

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Papa nomina mons. Bravi osservatore permanente al Wto

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Papa Francesco ha nominato osservatore permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione mondiale del Turismo (Wto) mons. Maurizio Bravi, consigliere di Nunziatura. Nato a Capriate San Gervasio (Bergamo) il 20 luglio 1962, mons. Bravi è stato ordinato sacerdote il 21 giugno 1986 e incardinato a Bergamo. È laureato in Diritto Canonico. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1995, ha prestato la propria opera nelle Rappresentanze Pontificie nella Repubblica Dominicana e in Argentina, quindi presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, successivamente nelle Nunziature Apostoliche in Francia e in Canada. Lingue conosciute: francese, inglese, spagnolo.

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Il card. Monterisi inviato del Papa all'Anno Innocenziano

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Francesco Monterisi, arciprete emerito della Basilica Papale di San Paolo Fuori le mura, come suo inviato speciale alla celebrazione conclusiva dell’Anno Innocenziano, indetto nel IV centenario della nascita di Papa Innocenzo XII, che si terrà a Spinazzola il 13 marzo prossimo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale di Lucetta Scaraffia dal titolo "Donne crocifisse": una vera via crucis.

Un'economia di tutti e per tutti: agli imprenditori italiani Francesco ricorda che precarietà e disoccupazione privano i giovani della dignità.

Incontro dei volti: venerdì di misericordia del Papa con la comunità di san Carlo del Ceis.

Nessuna zona d'ombra: Ferdinando Cancelli sulla sedazione palliativa profonda.

Un articolo di Marco Beck dal titolo "Se l'esistenza esce dai romanzi": uno sgurado manzoniano sui grandi scrittori dall'Ottocento ai nostri giorni.

Bugie per salvarsi la vita: Dorota Swat racconta l'avventurosa vita di Macrina, vedova di un ufficiale zarista.

Caravaggio trasparente: Gabriele Nicolò sulla retrospettiva, al Prado, di Georges de La Tour.

Sostanzialmente un poeta: Sabina Caronia ricorda Giogrio Bassani nel centenario della nascita.

Pioniera dell'ecumenismo laicale: Marco Roncalli a colloquio con Maria Vingiani che compie domani 95 anni.

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Oggi in Primo Piano



Tregua fragile in Siria. Moussalli: serve più fiducia

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In Siria è entrata in vigore dalla mezzanotte scorsa la tregua tra regime e opposizioni, promossa da Stati Uniti e Russia e appoggiata dalle Nazioni Unite. Ci sono motivi per essere scettici, ha detto il presidente statunitense Obama. La Russia conferma di aver bloccato tutte le operazioni in Siria. Ieri l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan De Mistura, ha ricordato che la tenuta della tregua è propedeutica alla ripresa dei negoziati di pace, previsti per il prossimo 7 marzo a Ginevra. Intanto, attivisti per i diritti umani hanno denunciato violazioni al cessate il fuoco: colpi di mortaio sarebbero caduti su quartieri abitati nella periferia di Damasco. La cronaca nel servizio di Elvira Ragosta

Una tregua fragile, ma su cui sono riposte le speranze internazionali per la pace in Siria. In mattinata l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha denunciato violazioni del cessate il fuoco a Damasco da parte del regime siriano e dei ribelli, riferendo anche di colpi di mortaio caduti nella provincia di Afrin, regione controllata dalle milizie curdo-siriane dell'Ypg, che hanno annunciato di voler rispettare il cessate il fuoco. Gli attivisti hanno registrato anche combattimenti nelle zone dove sono presenti il sedicente Stato islamico e il Fronte al-Nusra. Infine, nella provincia centrale di Hama, un'auto-bomba attribuibile all'Is è saltata in aria a Salamiya, provocando la morte di due soldati siriani. Mosca conferma di aver bloccato tutte le operazioni in Siria. I militari russi hanno reso noto che oggi i loro aerei non voleranno sulla Siria per rispettare la tregua Onu e per evitare "bombardamenti errati". Sulla tregua è scettico il presidente statunitense: “La violenza sul terreno non cesserà, dice Obama, ricordando che il rispetto del cessate il fuoco è “l’unico modo per sconfiggere il sedicente Stato islamico e mettere fine alla guerra civile e al caos, sotto il quale l’Is prospera”. Nella tregua, aggiunge Obama, molto dipende dal mantenimento degli impegni da parte del regime siriano e della Russia. "Per l'Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, la tregua è un’occasione da non sprecare, l'opportunità di salvare vite e mettere la Siria sulla strada di una soluzione pacifica del conflitto. 

Nel Paese, le emergenze umanitarie sono tantissime. Attiva su questo fronte è la Syrian Society for Social Development, un'associazione coordinata da Roy Moussalli, che sulla tregua dice: ”Anche se non dovesse subito funzionare, è l’unica strada per il nostro Paese”. Sentiamo le sue parole nell’intervista di Gabriella Ceraso: 

R. – Absolutely. We are present in nine governorates, we are working with 1.500 volunteers and …
Assolutamente! Noi siamo presenti in nove governatorati, lavoriamo con 1.500 volontari e membri dello staff in un centinaio di località dove abbiamo realizzato ripari collettivi per gli sfollati interni, centri comunitari dove la gente viene a cercare servizi e sostegno, e centri speciali per ragazzi o disabili. C’è, quindi, grande spazio per la carità e grandi necessità.

D. – In questo momento, in Siria “carità” significa “riconciliazione”?

R. – Reconciliation is part of it. It is coming, but the humanitarian relief is now the biggest need …
La riconciliazione è parte della carità da mettere in pratica. Ora l’aiuto umanitario è la priorità, però abbiamo anche visto che con la mediazione tra aggressori e vittime, tra persone con diversi retroscena di conflitto, può esistere la riconciliazione e può esistere la riunificazione. In futuro, ce ne sarà ancora più bisogno. E’ un processo che va incoraggiato, perché la gente ha ancora paura e quando sei paralizzato dalla paura tutto diventa molto difficile.

D. – La tregua può durare?

R. – We hope that it is possible! We don’t know if it will come back, but the road to trust is a long road. …
Noi lo speriamo! Non sappiamo se funzionerà, perché la strada per la fiducia è una strada lunga ma sappiamo che non c’è altra via per la pace nel nostro Paese. Quindi anche se non funzionasse dal primo giorno resta una priorità per riprendere i contatti, ricostruire i rapporti.

D. – Cosa rimane, oggi, della vecchia Siria, quel Paese dalle diverse culture e dalle diverse religioni?

R. – This is still very much present. Not in all governorates, not in all territories …
E’ tutto ancora molto presente. Non in tutti i territori perché in alcune zone puoi pensarla e comportarti solo in un modo, altrimenti sei un “infedele”. Ma nella maggior parte delle località nelle quali lavoriamo c’è sempre la consapevolezza che la diversità sia positiva, costruttiva, che ne abbiamo bisogno, ed è mantenuta e messa al sicuro. Nel nostro team ci sono religioni, etnie e culture diverse eppure si lavora in maniera splendida. Noi siamo una testimonianza di quello che è la Siria e di quello che la Siria è chiamata a essere in futuro. Anche se non se ne parla nei notiziari e nei media, la diversità è sempre fortemente presente in Siria.

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Kosovo: Thaci neopresidente, impegno per integrazione in Ue

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“Lavorerò per il bene di tutti e per costruire un Kosovo europeo”. Così il nuovo presidente, Hashim Thaci, nel suo primo discorso, dopo una convulsa elezione avvenuta ieri da parte del parlamento, mentre in piazza a Pristina l'opposizione si scontrava con la polizia. L’insediamento ufficiale è fissato per il 7 aprile. Thaci arriva alla presidenza al culmine di una parabola politica iniziata alla guida della guerriglia indipendentista albanese. Tra le sfide che lo aspettano la pacificazione con la comunità serba e il percorso di integrazione con l’Ue. Marco Guerra ha intervistato Francesco Martino, dell’Osservatorio Balcani e Caucaso: 

R. – Hashim Thaçi è una delle personalità politiche più note in Kosovo, ed è l’uomo che ha guidato il Paese in molti dei passaggi chiave che hanno portato il Kosovo a diventare indipendente. Le sue radici sono nella lotta armata dell’Uck – l’Esercito di Liberazione del Kosovo – che combatté durante la guerra del 1999, che vide impegnate le forze guidate dagli Stati Uniti. Queste portarono prima a un’amministrazione internazionale del Kosovo, e poi alla Dichiarazione di indipendenza del 2008, pronunciata proprio da Hashim Thaçi che all’epoca era il primo ministro. Hashim Thaci poi da combattente si è trasformato in leader politico, e rappresenta – se vogliamo – l’ala vittoriosa del movimento d’indipendenza che ha sposato la linea della collaborazione con le istituzioni internazionali, viste come una “stampella” necessaria a porre le basi per la stabilità e la crescita del Paese.

D. – La presidenza guidata da Thaçi cosa significa per il Paese?

R. – Innanzitutto, ricordiamo che il Kosovo è una Repubblica parlamentare, quindi il presidente ha dei poteri soprattutto rappresentativi. L’elezione avrà conseguenze importanti innanzitutto per Thaçi, visto che sulla sua persona gravano ancora oggi delle accuse molto gravi. Queste dovrebbero essere viste da una Corte speciale che verrà creata quest’anno e che dovrebbe indagare sui presunti crimini commessi proprio dall’Uck. Quindi, probabilmente questa elezione mette Thaçi al riparo da eventuali inchieste. Dal punto di vista politico del Paese, questo è un passaggio che rafforza la linea di collaborazione con la comunità internazionale, che in questo momento è tesa soprattutto a cercare un accordo tra Kosovo e Serbia per normalizzare le relazioni tra i due Paesi e per incanalarli entrambi verso un futuro, più o meno prossimo, di integrazione sia europea che atlantica.

D. – L’elezione di Thaçi è stata molto contestata dall’opposizione: perché?

R. – Thaçi è visto da una parte dell’opposizione del Paese come il rappresentante massimo dell’élite politica che si è stabilizzata al potere. Il Kosovo soffre oggi di gravissimi problemi riguardo la disoccupazione, lo sviluppo sociale e la corruzione. Buona parte dell’opposizione ritiene Thaçi in prima persona come il responsabile politico di questo stato tutt’altro che soddisfacente, che oltre all’indipendenza politica ha portato ben pochi sviluppi positivi per i cittadini del Kosovo.

D. – Da mesi, l’opposizione blocca i lavori parlamentari in segno di protesta contro gli accordi conclusi con la Serbia sulla comunità serba in Kosovo…

R. – Io direi di inquadrare questa dinamica all’interno del processo di normalizzazione che è stato voluto soprattutto dall’Unione Europea, e dalla comunità internazionale nel suo complesso, e che appunto vede delle rinunce necessarie, dolorose, da entrambi i lati. Dal punto di vista kosovaro, la rinuncia più dolorosa è stata la contestata creazione di un’associazione di municipalità serbe, che dovrebbe garantire alla comunità serba rimasta oggi in Kosovo un’autonomia a livello locale piuttosto ampia. Il punto è estremamente delicato, e su questo è facile attaccare il governo.

D. – Il Kosovo resta un Paese legato agli Usa e proiettato verso l’integrazione europea. Quali sono le maggiori sfide per questo giovane Stato?

R. – La sfida principale è proprio la scarsa chiarezza di quello che potrebbe essere il percorso d’integrazione europea del Kosovo. Il Kosovo oggi rimane il Paese più lontano da una futura prospettiva d’integrazione. I kosovari sono gli unici cittadini balcanici che ancora oggi devono chiedere un visto per potersi recare nell’area Schengen, ad esempio. Questa vaghezza rende oggi molto difficile accettare i compromessi per un futuro d’integrazione europea, che rimane estremamente vago e legato anche alla volontà della Serbia di non frapporsi. Ricordiamo che la Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo – lo considera ancora parte del proprio territorio – una posizione che tra l’altro a livello internazionale è sostenuta anche da Russia e Cina all’interno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, ma, cosa ancora più grave per il Kosovo, da cinque Paesi dell’Ue. Quindi, questa è sicuramente la questione più complicata da risolvere.

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Pronto nuovo Family day. Gambino: ddl Cirinnà, un "pasticcio"

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Ci sarà un nuovo Family day se la riforma delle adozioni dovesse prevedere anche la stepchild adoption per le coppie omosessuali. Lo ha annunciato Massimo Gandolfini, presidente del Comitato “Difendiamo i nostri figli”. Intanto, continua ad alimentare polemiche e riflessioni il dibattito sulle unioni civili. Il disegno di legge, approvato al Senato, presenta alcune differenze rispetto allo schema originario. Tra queste, la rimozione dell’obbligo di fedeltà. Si tratta di un elemento sostanziale, sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il giurista Alberto Gambino: 

R. – Dietro il significato morale della fedeltà, c’è un preciso significato giuridico: la fedeltà va di pari passo con l’esclusività dell’esercizio della sessualità, quindi soltanto tra un uomo e una donna. Ed è stato scritto nel nostro Codice proprio a stabilire che questa esclusività comporta un contesto di stabilità che è il più congeniale, un domani, per la nascita e la crescita della prole. Quindi l’elemento della fedeltà e della esclusività vanno di pari passo con il luogo più favorevole per l’accoglienza della prole.

D. – La rimozione dell’obbligo di fedeltà nelle unioni civili può, però, anche essere un passo propedeutico per chiedere in futuro di eliminare quest'obbligo anche dai matrimoni civili di coppie eterosessuali?

R. – Se si finisce per banalizzare questo obbligo, tutto è possibile. Appare difficile espungere da un articolo del Codice civile così preciso – l’articolo 143 che riguarda appunto gli obblighi reciproci tra coniugi – un punto direi essenziale. Al di là di quanto sia applicabile, di quanto sia coercibile, di quanto la giurisprudenza lo ritenga certe volte non decisivo, è molto importante: fa parte proprio di questa logica di un contesto – a questo punto di carattere eterosessuale, proprio perché non è stato stabilito invece per le unioni civili – che è strettamente collegato alla nascita della prole. Quindi mi pare complicato espungerlo dal nostro Codice civile.

D. – Per le coppie omosessuali non è prevista la separazione ma il divorzio, tra l’altro in tempi brevissimi. Questo può essere un modello ‘esportabile’ per le coppie eterosessuali?

R. – Modello esportabile se si indebolisce l’istituto matrimoniale, che in parte è già avvenuto con la figura del cosiddetto “divorzio breve”. E l’indebolimento è legato, sempre più, al fatto di rendere il matrimonio di natura “convenzionale” o meglio “contrattuale” e sempre meno istituzionale.

D. – Oltre all’obbligo di fedeltà, nel ddl approvato è stata eliminata anche la “stepchild adoption”; ma comunque, su casi specifici l’ultima parola spetta sempre al giudice …

R. – Qui si è fatto riferimento alle norme già esistenti nel campo delle adozioni e anche all’applicazione che si è data a quella norma. In effetti, noi abbiamo delle decisioni delle Corti d’Appello di Roma e Milano che hanno previsto una “stepchild adoption”, però resta fermo che queste sono decisioni molto criticate: se si va a leggere la nostra legge sull’adozione – e in particolare in combinato con il Codice civile – si scopre che, in realtà, non è prevista la possibilità di adozione per soggetti che sono legati da vincoli affettivi di tipo omosessuale. E quindi, da questo punto di vista, effettivamente è una forzatura ritenere che la “stepchild” possa essere stata introdotta nel nostro ordinamento soltanto dalle sentenze.

D. – Si può dire in definitiva che queste unioni civili sembrano, per le loro connotazioni, soprattutto contratti facilmente revocabili?

R. – Certamente sono contratti facilmente revocabili. Hanno tante tinte pubblicistiche molto simili al matrimonio. Ma vediamo se poi davvero la Camera lo ratifica così com’è. Io non scommetterei su questo, perché probabilmente anche i deputati vorranno dire la loro su un testo comunque – adesso al di là del giudizio che si possa dare – oggettivamente molto confuso. Un testo che crea anche un piccolo pasticcio con riferimento a tutta una serie di norme di dettaglio. Questo aspetto, nelle prossime settimane, sarà sottolineato proprio dagli esperti matrimonialisti.

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In migliaia alla Via Crucis per le donne vittime della tratta

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In Italia, le donne vittime della prostituzione coatta sono tra le 75 mila e le 120 mila, di cui il 37% minorenni, per lo più nigeriane e dei Paesi dell’Est Europa. Proprio per ricordare queste donne, ieri sera a Roma è stata realizzata la Via Crucis vivente, promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha percorso alcune vie del centro storico. Il servizio di Marina Tomarro

“So che non ho scelta. E così mi consegno per 30 denari ai briganti”: è iniziata con queste parole la Via Crucis per le donne crocifisse, ragazze spesso minorenni, che arrivate da Paesi lontani piene di speranza si sono ritrovate nella disperazione sul ciglio di una strada, di notte, costrette a vendere il proprio corpo. Le preghiere si alternano ai pensieri di queste giovani vittime, che raccontano della solitudine che provano, la paura di quel buio che ogni sera le avvolge, la vergogna e la nostalgia forte nei confronti della famiglia lontana, e quel barlume di luce di riuscire forse un giorno a vivere una vita diversa. Sull'importanza di questa Via Crucis, ascoltiamo suor Eugenia Bonetti, responsabile dell'Ufficio Tratta Donne e Minori dell'Usmi, Unione Superiore Maggiori d'Italia: 

R. – E’ importante, perché loro – queste giovani – vivono la Via Crucis tutti i giorni. Quelle strade, quella sofferenza, quegli incontri, quella solitudine. Ecco, loro vivono veramente la Via Crucis quotidiana. Quindi il trovarci insieme per fare questo tragitto della Via Crucis, ricordando la loro sofferenza, la loro solitudine, la loro voglia anche di vivere, di risorgere e di vivere una vita diversa, ci dà la possibilità di essere sempre più coscienti che, purtroppo, nel 2016, queste nuove forme di schiavitù sono veramente una grande vergogna. In Italia ci sono migliaia e migliaia di donne schiave, di bambini schiavi. E allora, insieme, noi vogliamo poter gridare: “Mai più schiavi!”.

D. – C’è un modo per fermare questa tratta? Cosa si potrebbe fare di più?

R. – Guardi, per fermare la tratta, bisogna che prima di tutto noi si lavori molto sull’elemento culturale. Dobbiamo cambiare veramente le nostre modalità culturali. Tutti noi abbiamo una responsabilità. Perché solo cambiando questa mentalità, noi riusciremo a capire davvero che una persona non può essere semplicemente trattata come un oggetto usa e getta. Si parla tanto del rispetto, dell’emancipazione della donna, ma cosa ne abbiamo fatto di queste donne? Dove le abbiamo messe? Sui cigli delle strade. E questa è veramente una grande vergogna, che non possiamo più tollerare.

Nelle sette stazioni la Passione di Cristo si unisce alle loro sofferenze che, attraverso le varie tappe, ci raccontano cosa vuol dire essere tradite, vendute, rinnegate, fino alla morte in croce, rappresentata nella penultima stazione, anche in una struggente coreografia artistica dove è proprio una donna crocifissa a far suo l’ultimo grido di Gesù prima di spirare. Tanti i partecipanti. Ascoltiamo le loro voci:

R. – Quello che ci manca, secondo me, è la vera testimonianza della vita, quella vita che, anche se guardandola, non ci appartiene, invece è strettamente legata a noi. Il male che facciamo all’altro ricade su di noi, quindi è importante essere qui per iniziare a fare qualcosa davvero l’uno per l’altro. 

R. – E’ importante stare qui per dare voce a queste donne e poi per dare loro voce nei Paesi da cui vengono. Per esempio io sono del Camerun e la gente, i parenti, sono contenti di venire qui. Ma quando vengono qui trovano altre cose e non quello che gli è stato promesso – il lavoro e tutto il resto – e si trovano in mezzo alla strada. Diventa difficile uscirne, perché sono controllate.

R. – Avevo proprio voglia di esserci. Ero molto contenta di portarci i miei figli più grandi – hanno 9 e 10 anni – perché vedono tante donne cui è tolta la dignità sulla strada. Hanno privato tante donne della loro dignità. E quindi pensavo che fosse un’occasione, da mamma e anche da donna, per dare loro una risposta.

D. – Che cosa si può fare per educare al dramma della tratta? 

R. – Bisogna parlare chiaramente. Ci guadagnano in molti, infatti, sul loro sfruttamento. C’è tutto un sistema che si nutre del traffico di carne umana.

R. – Io ho già cominciato a parlarne in giro di queste cose e molti non ci credono. La cosa più importante è che queste testimonianze possano arrivare a tutti, proprio le testimonianze delle ragazze che lo vivono. Le parole degli altri, infatti, a volte non servono.

Spesso la resurrezione per queste ragazze è rappresentata proprio dall’incontro con chi può aiutarle a salvarsi dalla strada, come gli operatori della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Ascoltiamo la testimonianza di Marina, una operatrice della comunità:

R. – A priori bisogna amarle. Quindi appena una ragazza sente che c’è una certa corrispondenza di amore, comincia ad aprirsi e ricomincia a vivere una nuova vita. E noi le accompagniamo in questo percorso di reinserimento nella vita sociale.

D. – Quali sono i primi passi di questo percorso?

R. – Riacquistare fiducia in se stesse, riacquistare la dignità che avevano perduto, proprio farle sentire amate. Questa è la cosa più grande per poterle aiutare.

D. – Quante ragazze accogliete di solito?

R. – Dipende: da quelle che escono dalla strada, da quelle che ci portano anche le forze dell’ordine. Noi facciamo le unità di strada e andiamo personalmente a visitare queste ragazze per cercare di convincerle ad uscire dalla strada. Siamo disponibili e cerchiamo di aiutare qualsiasi ragazza. Queste ragazze quando ci vedono sono diffidenti, perché dietro di loro ci sono delle persone che le sfruttano. Quindi sono molto diffidenti. Noi, dunque, dobbiamo andare con tanta carità, cercando di far capire il bene assoluto che vogliamo loro.

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Autismo. Nicoletti: più tutele per mio figlio ormai maggiorenne

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Tommy ha appena compiuto 18 anni. È un “figliolone” vispo, che “sprizza salute e gioia da tutti i pori” e conosce l’equitazione, il rugby, il nuoto. Eppure il traguardo della maggiore età significa perdere quegli aiuti diventati per lui una routine: il pulmino giallo che lo accompagna a scuola o alle attività pomeridiane, il Centro di abilitazione e terapia. Tommy è infatti un ragazzo autistico, ma le tutele per giovani come lui sono previste dallo Stato italiano fino ai 18 anni. Ne parla il padre, il giornalista Gianluca Nicoletti, autore del libro “Alla fine qualcosa ci inventeremo”, intervistato da Giada Aquilino

R. - Succede che Tommy improvvisamente è un essere umano a totale carico della famiglia: tutti i trattamenti specifici di riabilitazione che servono a mantenerlo vigile e a continuare ad esercitarlo nelle sue abilità finiscono, perché sono previsti soltanto fino all’età maggiore. In Italia infatti si parla soltanto di autismo infantile, non esiste l’autismo adulto, non esiste alcun psichiatra specializzato in questo. Non so per quale ragione, ma gli autistici sembrano essere tutti bambini che improvvisamente guariscono quando crescono. Viene da chiedersi: mio figlio ancora fa il liceo – potrà farlo per un altro anno, per altri due anni forse, se riesco a farlo bocciare! – poi, finita anche la scuola dell’obbligo, cosa farà la mattina? Andrà a finire in quei Centri diurni che sono dei “parcheggi”, in attesa magari che i genitori non siano più in grado di gestirlo. Si tratta di posti dove, soltanto quando un magistrato ci mette delle telecamere di sorveglianza, si capisce in realtà come siano dei manicomi camuffati, mascherati. Quindi non posso fare altrimenti: da oggi ricomincia la mia battaglia perché anche gli autistici adulti abbiano diritto comunque al loro posto nella società.

D. - Quindi per Tommy di fatto che rischi ci sono? Di solitudine? Di inattività?

R. - Il rischio c’è per qualunque disabile psichiatrico: quando non avrà più la sua famiglia alle spalle, dove andrà a finire? Qual è il suo destino? Esistono Centri specializzati per autistici, dove sull’autismo si continua a fare un lavoro che deve durare per tutta la vita, di riabilitazione, di specifica attività comportamentale sulle loro abilità? No! Finiscono in una grande stanza dove c’è di tutto e di tutte le età e naturalmente per loro finisce la vita. Non posso sopravvivere all’incubo che mio figlio quando non ci sarò più, sarà chiuso in un manicomio. Quindi cercherò il modo affinché questo cambi. Può cambiare, ci sono gli strumenti per cambiare.

D. - Viene da chiedersi come sia possibile che uno Stato - che di continuo discute di diritti, di welfare - poi non preveda tutele, assistenza e sostegno per questi ragazzi…

R. - È molto triste dirlo: la gestione di un disabile psichiatrico è un bell’affare. Avercene tanti significa avere un budget che va tra i 200 e i 300 euro al giorno e naturalmente, se si vuole massimizzare la propria attività, li mette a disposizione di persone non specializzate. In Italia non esiste l’idea che ci sia una categoria specializzata, formata, di operatori che si occupano di persone con delle disabilità di tipo relazionale e cognitivo. Adesso stanno lavorando su una legge sul “dopo di noi”: spero sia una legge saggia, che permetta alle famiglie di fare dei piani personalizzati, di creare delle idee di gestione più umana, non in luoghi che siano come una discarica per esseri umani, ma luoghi specializzati.

D. - La Legge 104 del 1992 vi aiuta?

R. - Dà una piccola pensione ai ragazzi e questo ci aiuta, abbiamo alcuni vantaggi. Abbiamo il permesso di portarlo in giro con l’automobile. Se lavoriamo, abbiamo diritto ad alcuni giorni l’anno per poterci occupare dei nostri figli. Questo aiuta, ma la vita di un essere umano va ben oltre questi benefit; siccome lo Stato spende soldi per queste persone, quando non saranno più sotto la gestione della famiglia vogliamo che questi soldi - senza aggiungere nulla - siano impiegati in progetti che abbiano dimensione umana.

D. - Papa Francesco, parlando dell’autismo, ha esortato a un impegno per “rompere l’isolamento” e in molti casi anche “lo stigma” che grava sulle persone affette da disturbi dello spettro autistico, come spesso anche sulle loro famiglie. Isolamento e stigma: come superarli?

R. - Attraverso la diffusione di una cultura sulla disabilità. Quando la famiglia ha la percezione che un figlio ha qualcosa di diverso dagli altri, in questo caso la disabilità, è molto difficile da definire, perché inizia graduale nei comportamenti, che si tendono sempre a minimizzare. Bisogna prendere il coraggio di farsi carico di questo problema. Si deve trovare subito il modo di fare coordinamento, gruppo con persone che hanno lo stesso problema e poi cominciare a trovare dei gruppi di riferimento certi. Qui manca una mediazione sicura per indicare alle famiglie quali siano i punti di riferimento certi. Non sono moltissimi nel nostro Paese, ma ci sono. Papa Francesco ha lanciato sicuramente una sfida molto grande. Spero che la raccolgano anche le persone che, attraverso gli strumenti di delega che la politica dà loro, lavorino poi su leggi seriamente mirate alla dignità e alla vita decorosa di queste persone.

D. - Auguri dunque a Tommy. Ma poi qual è l’augurio migliore da fargli?

R. - L’augurio migliore è che oggi facciamo una festa per festeggiare il fatto che lui è maggiorenne e “non è più autistico”: è paradossale. Sarà una festa insieme a tanti ragazzi, alcuni autisti, altri no, amici, genitori. Iniziamo la parte più difficile della nostra vita facendo una grande festa: questo vuole essere un segno di ottimismo non di abbattimento.

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Il commento di don Gianvito Sanfilippo al Vangelo della Domenica

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Nella terza Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, prendendo spunto dalla notizia della morte violenta di alcuni uomini, invita ad affrettare la conversione. Racconta, quindi, la parabola del fico che non dà frutti. Il padrone vuole tagliarlo, ma il vignaiolo dice:

“Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Gianvito Sanfilippo, presbitero della diocesi di Roma: 

Il Signore ha pietà di noi oppressi dalla solitudine dell’egoismo e dalla paura, dalle concupiscenze insaziabili, e ci guida con la Chiesa, attraverso il deserto della penitenza orante, al dono della Pasqua: la libertà di amare. Le insidie nel viaggio non mancano: trascinarsi in una Quaresima “religiosa”, ma con poca fede, che persegue la propria e non la Sua Volontà, dove il bene e il male poco a poco si confondono per l’idolatria che paralizza ogni desiderio di vita nuova. Da qui il monito appassionato di “Colui che è”, a non vivere nel popolo di Dio superficialmente, con sacrifici e digiuni, ma senza conversione, senza togliere da sé l’oppressione, il puntare il dito, il parlare empio, come pure l’avarizia e l’indifferenza al prossimo. Alla caduta c’è rimedio, all’amore per l’iniquità no, per i peccatori la misericordia divina è sempre pronta a ridonare la vita, l’eredità dei corrotti invece è un cuore indurito da un cinismo insensibile che non si avvede dell’approssimarsi della fine. Dio non è un ispettore rigoroso pronto a punire le inadempienze come taluni credono, già basta il peccato a punirci col suo salario di sofferenza e di morte. Al contrario in questo tempo favorevole Cristo stesso si prende cura di noi, zappa la nostra terra con qualche umiliazione, ma subito la concima con la grazia del perdono e l’irriga con la sua Parola di salvezza. La Carità sarà il frutto maturo, l’amore che tutto scusa e tutto spera sarà riversato nei nostri cuori abbondantemente nella Pasqua che ci attende.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi Colombia: promozione della pace e difesa della vita

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La promozione del processo di pace e la difesa della vita sin dal concepimento: questi i principali temi trattati dalla Conferenza episcopale della Colombia (Cec) nel corso della sua 100.ma Assemblea plenaria, svoltasi dal 15 al 19 febbraio. Nel comunicato finale diffuso al termine dei lavori, i presuli ribadiscono, innanzitutto, il loro impegno a “lavorare per la pace, che è un dono di Dio” e sottolineano che “i delitti di lesa umanità non possono essere soggetti ad amnistia, né ad impunità”.

Attesa per l’accordo di pace tra governo e Farc
Nei mesi scorsi, infatti, è stato raggiunto uno storico accordo tra il governo del Presidente Juan Manuel Santos e la guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc). Secondo quanto annunciato, il prossimo 23 marzo le parti in causa firmeranno la fine del conflitto armato interno iniziato nel 1964 e costato la vita ad almeno 220 mila persone. La firma della pace sarà possibile grazie all’accordo raggiunto su due punti determinanti: la forma di giustizia da applicare ai crimini di guerra, e la trasformazione delle Farc in un movimento politico. In materia di giustizia, in particolare, si procederà ad un’amnistia per i delitti politici. I crimini di guerra che contemplino delitti di lesa umanità, invece, saranno di competenza di un tribunale speciale, composto da magistrati sia nazionali che internazionali.

Non costringere le donne ad abortire a causa del virus Zika
La nota episcopale si sofferma, poi, sul tema della vita ed esprime “vicinanza a tutti i medici cattolici che incontrano difficoltà con le autorità per il fatto di non accettare di praticare aborto ed eutanasia”, in quanto tali pratiche “contraddicono le loro coscienze ed i principi dell’etica medica”. In quest’ambito, i presuli si dicono preoccupati per tutte le persone colpite dal virus Zika, in particolare per “le donne incinte che si sentono costrette ad abortire” perché, secondo alcuni studi, tale virus può provocare malformazioni al feto. Al contrario, la Chiesa chiede alle strutture sanitarie nazionali di “prendersi cura della salute sia delle madri che dei figli”.

Tutelare famiglia e matrimonio tra uomo e donna
Altra questione scottante esaminata dai vescovi di Bogotà è la difesa del matrimonio tradizionale, “una realtà – si legge nella nota – che oggi si vuole deformare per introdurre, con lo stesso nome, altre forme sociali che la Chiesa rispetta, ma che non sono l’unione tra un uomo ed una donna e che, quindi, vanno distinte da una diversa denominazione”. Sulla stessa linea anche l’appello a tutelare la famiglia, “cellula fondamentale della società, scuola di virtù e di promozione della vita”. Non solo: i presuli colombiani si dicono d’accordo nel “non discriminare le persone omosessuali”, ma chiedono, al contempo, che venga rispettato “il diritto della Chiesa alla libertà di insegnare il Vangelo nei suoi centri educativi”.

No alla corruzione, ricostruire il Paese con onestà e riconciliazione
Di qui, la critica che viene espressa alla proposta di “introdurre, sia nella fase pre-scolare che nella scuola primaria, l’educazione sessuale, invalidando il diritto delle famiglie di accostare a tale realtà i propri figli con tatto e rispetto, in modo appropriato alla loro età”. La Cec non dimentica, inoltre, la piaga della corruzione che – scrive – “può portare il Paese al disastro”. Per questo, viene richiamato il principio dell’etica, da “prendere in seria considerazione se si vuole ricostruire una nuova Colombia”, basata “su fondamenta come l’onestà, il perdono, riconciliazione, la cultura della vita e dei diritti umani”.

Promuovere sviluppo agrario integrale
In campo sociale, poi, i presuli di Bogotà auspicano “una politica di sviluppo agrario integrale”, poiché “la Colombia ha un importante potenziale produttivo”; allo stesso modo, si guarda allo sviluppo minerario, bensì esso rappresenti “un’arma a doppio taglio”, non solo per le operazioni illegali che si verificano in quest’ambito, ma anche per “gli elevati costi sociali ed ambientali” che esso comporta e che “possono mettere a rischio le future generazioni”.

Attesa per una futura visita del Papa
Infine, guardando ad un futura visita di Papa Francesco nel Paese, i presuli si impegnano a prepararla fin da ora. Il 12 febbraio scorso, infatti, parlando con i giornalisti sul volo che lo portava a Cuba per il suo 12.mo viaggio apostolico internazionale, il Pontefice ha espresso l’intenzione di visitare la Colombia nel 2017, se i negoziati di pace andranno a buon fine. (A cura di Isabella Piro)

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Etiopia. Vescovo di Meki: attaccata una parrocchia cattolica

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Sgomento e profonda “tristezza” per la distruzione gratuita di strutture frutto di anni di generoso lavoro e sollievo per la mancanza di vittime. Sono i sentimenti espressi da mons. Abraham Desta, vicario apostolico di Meki, nella regione dell'Oromia a circa 130 km da Addis Abeba, in Etiopia, dopo il violento, quanto inspiegabile, attacco compiuto il 18 febbraio da alcuni locali contro le strutture della parrocchia di Ghighessa, la più grande del vicariato.

Ingenti danni materiali, ma nessuna vittima
“Con nostra sorpresa  e sbigottimento, improvvisamente, senza alcun motivo o spiegazione, un gruppo di persone del villaggio dove sorge la parrocchia hanno cominciato a lanciare sassi e a distruggere le proprietà della chiesa”, racconta il presule in una lettera indirizzata al card. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, presidente della Conferenza episcopale di Etiopia ed Eritrea, ai vescovi, sacerdoti, fedeli e a tutte le persone di buona volontà. Quindi gli assalitori si sono rivolti contro il centro pastorale diocesano, dove una cinquantina di persone di varie nazionalità stavano seguendo un corso di formazione. Tutte hanno fatto in tempo a fuggire, ma gli aggressori hanno incendiato la residenza dei sacerdoti e altre strutture, portando via con sé tutte le suppellettili presenti: letti, elettrodomestici, computer e quintali di cibo.

Attaccata anche una clinica gestita dalle orsoline
È stata attaccata anche una clinica nel Centro gestita dalle religiose orsoline, che sono riuscite comunque a salvare i malati. Tutto è andato perso, ma  “ringraziando Dio nessuno è stato ferito”,  afferma mons. Desta,  che evidenzia che sarà difficile rimettere in piedi quanto ha richiesto anni di sacrifici per essere costruito. Il presule chiede quindi solidarietà e preghiere per superare questo difficile momento per il vicariato.  

La condanna dei leader religiosi
L’attacco alla parrocchia di Ghighessa si aggiunge a una serie di violenze compiute in questi giorni contro tombe e luoghi di culto cristiani in diverse località di Oromia e delle regioni di Gambella e di Amhara, nel nord-ovest del Paese. Gli attacchi sono stati duramente condannati dai leader del Consiglio interreligioso dell’Etiopia (Irce), che in una dichiarazione congiunta hanno ricordato che questi atti sono contrari agli insegnamenti di tutte le religioni ed hanno espresso il timore che essi possano turbare il clima di pacifica  convivenza religiosa che da sempre contraddistingue l’Etiopia, esortando le autorità e la popolazione ad impegnarsi per la sicurezza e la pace nel Paese. (L.Z.)

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Vescovi Irlanda: il nuovo parlamento rispetti la vita

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Protezione della vita della madre e del nascituro dal concepimento alla morte, cronica mancanza  di case  per i senzatetto, problema dei rifugiati, sono i tre punti principali su cui i vescovi irlandesi si sono soffermati in una dichiarazione congiunta in occasione delle elezioni generali che si sono tenute ieri in Irlanda.

Difesa della vita e contro l'aborto
Sul valore della vita e contro l’aborto l’episcopato irlandese afferma che sia la vita della madre sia quella del nascituro sono valori supremi, sanciti dalla Costituzione. “Ci sono però candidati che vorrebbero abolire questo articolo della Costituzione, invocando l’aborto. Cio è non solo un attacco diretto alla vita del nascituro, ma un affronto alla Carta dei diritti umani fondamentali  che figurano nel modo di vivere dell’Irlanda”.

Il problema della casa e dell'immigrazione
​Sulla questione della cronica mancanza  di posti letto per chi casa non ne ha, un problema vivo “per cui non esiste una giustificazione morale”, i vescovi suggeriscono che bisogna decidersi ad investire di piu’ per risolvere tale problema. Per quanto riguarda la tragedia degli immigrati, “la maggior parte è brava gente”, affermando anche che essi “devono rispettare i valori, le leggi e la tradizione della nazione che li ospita” e invitano “Irlanda ed Europa ad affrontare questo problema con la massima urgenza”. (Da Dublino Enzo Farinella)

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Vescovi Canada: inaccettabili eutanasia e suicidio assistito

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“Eutanasia e suicidio assistito sono totalmente inaccettabili”: è quanto scrive, in una nota, mons. Douglas Crosby, presidente della Conferenza episcopale del Canada. La dichiarazione del presule arriva dopo che, il 25 febbraio, il “Comitato speciale del governo canadese sull’aiuto medico a morire” ha pubblicato un rapporto intitolato “L’aiuto medico a morire: un approccio incentrato sul paziente”.

A rischio i malati psichiatrici e gli adolescenti
In tale rapporto governativo, spiega mons. Crosby, si raccomanda che “il suicidio assistito sia accessibile alle persone affette da patologie psichiatriche; che le sofferenze psicologiche rientrino tra i criteri che danno diritto a tale pratica; che, nell’arco di tre anni, il suicidio assistito sia accessibile agli adolescenti e forse anche ai bambini, i quali potrebbero essere ritenuti ‘persone minori mature’; che tutti i professionisti del settore sanitario siano obbligati ad orientare correttamente i pazienti che chiedono il suicidio assistito; che tutte le strutture sanitarie sovvenzionate dallo Stato canadese offrano tale pratica”.

Il suicidio non è una cura medica
Tuttavia, ribadisce il presidente dei vescovi di Ottawa, “il rapporto non indica come le cure palliative e domiciliari possano offrire delle vere opzioni alle persone tentate dal suicidio assistito, né chiede un piano nazionale per prevenire il suicidio” che nel Paese colpisce i giovani autoctoni. Di qui, il richiamo del presule “alla posizione della Chiesa cattolica, che è chiara: il suicidio non è una cura medica”; pertanto, “uccidere le persone affette da patologie psichiche o mentali, giovani o anziane che siano, è contrario alla sollecitudine ed all’amore dovuti ai nostri fratelli e sorelle”.

Tutelare vita umana e libertà di coscienza
Al contrario, continua la nota di mons. Crosby, “la dignità della persona e lo sviluppo della comunità esigono, da un lato, la tutela ed il rispetto di ogni vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale; dall’altro, la libertà di coscienza e di religione per ogni persona e per ogni struttura”. Infatti “il benessere sociale, la sicurezza personale ed il bene comune – ricorda il presule - accompagnate dalla fede religiosa, implicano la tutela, e non la minaccia, della vita di coloro che soffrono”.

Non cedere alla ‘società dello scarto’, ma mostrare misericordia di Dio  
​Dura, quindi, la condanna del Rapporto diffuso dal Comitato governativo, le cui raccomandazioni “non sono affatto incentrate sul paziente – spiega mons. Crosby – né sostengono o aiutano in alcun modo i moribondi e le persone vulnerabili”. Al contrario, esse “hanno l’approccio di una ‘società dello scarto’, come dice Papa Francesco, e non mostrano affatto il volto della misericordia di Dio”. La Chiesa cattolica canadese, dunque, insieme ai rappresentanti “ortodossi, protestanti, ebrei musulmani, ed insieme anche ai non credenti, ribadisce che l’eutanasia, il suicidio assistito e le indicazioni fornite nel Rapporto sono completamente inaccettabili”. (A cura di Isabella Piro)

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Filippine: appello per 90 migranti filippini condannati a morte

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È arrivato “il momento di agire per liberare i lavoratori filippini detenuti all’estero e portarli a casa sani e salvi”. È l’appello che ha rivolto al governo di Manila mons. Ruperto Santos, vescovo di Balanga e presidente della Commissione episcopale per la cura dei migranti, cha ha chiesto alle autorità di prendere ogni provvedimento affinché “non sia prolungata la loro agonia e il loro dolore”.

Il caso Urbiztondo
Le parole di mons. Santos, citate dall’agenzia AsiaNews, arrivano poche ore dopo il ritorno a casa di Joseph Urbiztondo, lavoratore filippino detenuto per 25 anni in Kuwait, che è riuscito a pagare il “prezzo del sangue” e ad avere salva la vita. L’uomo era stato accusato di aver ucciso un collega bangladeshi. Urbiztondo, che ha sempre dichiarato di non avere nulla a che fare con l’omicidio, ha dovuto pagare 26mila dollari alla famiglia della vittima per essere scagionato. “Siamo contenti per quello che è successo a Urbiztondo – ha detto mons. Santos - Egli ha sofferto molto. Siamo grati a Dio per il fatto che sia stato liberato, sia vivo e ora sia con coloro che lo amano”.

10 milioni i lavoratori filippini emigrati all’estero
Secondo il Dipartimento degli affari esteri filippino, i lavoratori emigrati all’estero sono circa 10 milioni, di cui 2,2 milioni in Arabia Saudita. Almeno 3.800 di loro sono in carcere, 90 dei quali nel braccio della morte. Di questi, 41 sono in Malaysia e 27 nel regno saudita.  Non tutti riescono a salvarsi come Urbiztondo: il 30 dicembre scorso, Joselito Lidasan Zapanta, piastrellista di 35 anni, è stato decapitato in Arabia Saudita per non aver pagato il “prezzo del sangue”.

Necessario impegno costante delle autorità
​Per questo, mons. Santos ha ribadito che tale situazione non può continuare ad essere gestita senza l’impegno costante delle autorità, e il governo filippino deve ideare una strategia per abbreviare le sofferenze dei propri lavoratori all’estero: “Il governo dovrebbe assisterli e aiutarli, ora e sempre”, ha concluso. (I.P.)

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Vescovi Indonesia: più impegno dei cattolici in politica

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I cattolici siano più coinvolti in politica, in nome della promozione del bene comune e dei valori cristiani: è questo l’auspicio espresso dai vescovi dell’Indonesia, attraverso le parole di mons. Vincentius Sensi Potokota, presidente della Commissione episcopale per i laici. Nei giorni scorsi, infatti, il presule è intervenuto ad un incontro di rappresentanti politici ed accademici cattolici, svoltosi a Jakarta. Di qui, il richiamo a “lavorare insieme, perché è importante consolidare un obiettivo comune”.

Apportare cambiamenti positivi nella società
Sulla stessa linea, padre Guido Suprapto, segretario generale della medesima Commissione, il quale ha sottolineato l’importanza di “rafforzare i valori cattolici” attraverso un maggiore impegno dei laici nella sfera politica. “La nostra Commissione – ha spiegato – cerca di unire i rappresentanti cattolici per ricordare loro la missione da portare avanti”. In quest’ottica, la Chiesa indonesiana ha in programma di organizzare numerosi incontri e seminari destinati a parlamentari, governatori e sindaci di orientamento cattolico. L’obiettivo, ha concluso padre Suprapto, è quello di “incoraggiare i cattolici ad impegnarsi di più in politica per apportare cambiamenti positivi nella società”.

Il Papa: i cattolici non guardino dal balcone, ma diano il meglio
​Così facendo, i vescovi indonesiani rispondono all’appello di Papa Francesco, il quale più volte ha sottolineato l’importanza del coinvolgimento dei cattolici nella società e nella politica. Ad esempio, il 30 aprile 2015, incontrando in Vaticano i membri della Comunità di vita cristiana-Lega Missionaria Studenti d’Italia, il Pontefice ha detto: “Un cattolico può fare politica? Deve! Un cattolico può immischiarsi in politica? Deve! La politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. È lottare per una società più giusta e solidale. Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati! Dà il meglio: se il Signore ti chiama a quella vocazione, fai politica”. (I.P.)

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Vescovi Lituania: nuove risorse economiche per media cattolici

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Si è concentrata soprattutto su come dare maggiore forza ai media cattolici l’Assemblea della Conferenza episcopale lituana che si è riunita il 22 e il 23 febbraio a Vilnius. La “Relazione informativa sui lavori”, citata dall’agenzia Sir, riferisce che i nove vescovi hanno deciso di investire nuove risorse economiche per il personale che nelle diocesi già si occupa di comunicazione o per sostenerne la formazione là dove manca. L’aggiornamento o l’istituzione di uffici stampa diocesani sarà per metà finanziato con il ricavato dalle collette della 50.ma “Giornata mondiale per le comunicazioni sociali”, in programma l’8 maggio, per metà dalle diocesi.

Preghiera per i lituani nel mondo e sviluppo della Caritas
I presuli lituani hanno, inoltre, fatto il punto sulla preparazione degli eventi giubilari nel Paese, che di fatto prenderanno l’avvio il 6 marzo, nella “Domenica della preghiera per i lituani nel mondo”. Per quella giornata è stata preparata una preghiera diffusa alle comunità lituane nei diversi continenti per creare un momento di “unità spirituale”. I vescovi hanno inoltre avviato la riflessione su “possibili futuri modelli organizzativi di Caritas Lituania” e le conseguenti necessarie modifiche dello Statuto.

Tutela di importanti documenti ecclesiali risalenti a 100 anni fa
Al centro della riunione, è anche la tutela del patrimonio storico e la conservazione di libri, in particolare “importanti documenti ecclesiali” risalenti a circa 100 anni fa, sopravvissuti nelle parrocchie alla dominazione sovietica e che ora necessitano di speciali trattamenti conservativi affinché tale patrimonio non vada perduto. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 58

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.