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Sommario del 16/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa chiede perdono a indigeni del Chiapas, spogliati ed esclusi

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Calorosa accoglienza per il Papa anche a San Cristóbal de Las Casas, nel Chiapas, in occasione della Messa con le comunità indigene. Oltre centomila i fedeli presenti nel Centro sportivo municipale. La folla lo ha salutato ripetutamente come il Papa dei poveri, il Papa della giustizia e della pace. E Francesco ha chiesto perdono da parte di tutti quelli che hanno spogliato ed escluso i popoli indigeni in questa terra ricca di risorse, ma che resta una delle più povere del Messico. Suggestivi i colori, i canti e le musiche con cui queste antiche popolazioni precolombiane hanno abbellito la liturgia eucaristica. Il servizio del nostro inviato Alessandro Guarasci: 

Esame di coscienza di fronte ai popoli indigeni
Il tempo avverso, 8 gradi e una nebbia fitta, non hanno fermato gli indigeni arrivati a San Cristóbal del Las Casas da tutto il Chiapas. Il palco è stato addobbato con una scenografia di mille colori che ricorda la facciata della Cattedrale della città. Ad oggi sono circa quattro milioni i messicani che parlano lingue precolombiane e sono a rischio marginalità. Il Papa si rivolge direttamente agli indigeni qui presenti e riconosce piena dignità a questi “popoli” incompresi ed esclusi dalla società:

“Alcuni hanno considerato inferiori i loro valori, la loro cultura e le loro tradizioni. Altri, ammaliati dal potere, dal denaro e dalle leggi del mercato, li hanno spogliati delle loro terre o hanno realizzato opere che le inquinavano. Che tristezza. Quanto farebbe bene a tutti noi fare un esame di coscienza e imparare a dire: perdono! Perdono, fratelli! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!”.

Terra saccheggiata e devastata
Un discorso che Francesco estende a tutta la società quando dice che “giovani di oggi, esposti a una cultura che tenta di sopprimere tutte le ricchezze e le caratteristiche culturali inseguendo un mondo omogeneo, hanno bisogno che non si perda la saggezza dei loro anziani”. Questa è una zona tra le più belle del mondo, con un tesoro naturalistico da conservare. E così il Papa riprende l’Enciclica Laudato si’, dedicata alla tutela della Terra: 

“Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che geme e soffre le doglie del parto”.

Viviamo una delle più gravi crisi ambientali
E questo perché, continua il Papa, la sfida ambientale che viviamo e le sue radici umane ci toccano tutti e ci interpella:

“Non possiamo più far finta di niente di fronte a una delle maggiori crisi ambientali della storia. In questo voi avete molto da insegnarci, da insegnare all'umanità. I vostri popoli, come hanno riconosciuto i Vescovi dell’America Latina, sanno relazionarsi armonicamente con la natura, che rispettano come fonte di nutrimento, casa comune e altare del condividere umano”.

Approvate lingue indigene nella liturgia
Il Papa ripete tre parole: fraternità, solidarietà, pace. Le letture sono state pronunciate nelle lingue indigene e per l’occasione Francesco ha consegnato un Decreto che autorizza l’utilizzo di questi idiomi nella liturgia. 

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Il Papa a Túxtla Gutiérrez: la famiglia non è un modello superato

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Almeno in 50 mila, nel pomeriggio di ieri, circa le 23 in Italia, hanno accolto il Papa allo stadio di Túxtla Gutiérrez, in Chiapas, dove si è svolto l’incontro con le famiglie. Quattro le testimonianze che hanno preceduto il discorso di Francesco che ha ribadito l’attualità e la bellezza della famiglia dove si vince l’isolamento e ci si dà coraggio per ricominciare sempre. La solitudine è tarma che inaridisce l’anima, ha detto il Papa, leggi che proteggano la famiglia e impegno personale “sono un buon abbinamento per spezzare la spirale della precarietà”. Il servizio di Adriana Masotti

Le famiglie riempiono lo stadio, offrono la loro realtà spesso difficile e attendono l’incoraggiamento del Papa: è un dialogo quello che avviene tra loro e Francesco, fatto di gesti e di parole di tenerezza. Francesco si dice grato per le loro testimonianze offerte con semplicità: a parlare per primo è Manuel un ragazzino in carrozzina perché affetto da distrofia muscolare. Racconta il suo dolore che poi però diventa scoperta di nuove possibilità. E’ lui che fa coraggio ai suoi e parla del Vangelo agli altri ragazzi spesso soli e disorientati. C’è poi una coppia che festeggia 50 anni di matrimonio e testimonia che l’amore fedele è possibile; un’altra sposata solo civilmente a causa di un precedente divorzio che, incontrata la Chiesa, si è messa a servizio dei più poveri e infine una madre single tentata più volte dall’ idea dell’aborto a causa della solitudine ma che è riuscita sempre a scegliere la vita. Papa Francesco sottolinea il tema del coraggio da dare l’un l’altro e che Dio ci dà :

“Todos los que estamos acá hemos experiencia de eso…
“Tutti noi che siamo qui abbiamo fatto esperienza che, in molti momenti e in forme differenti, Dio Padre ha dato coraggio alla nostra vita. Possiamo dunque chiederci il perché. Perché non può fare altrimenti. È capace di darci coraggio. Perché? Perché il suo nome è amore, il suo nome è dono gratuito, il suo nome è dedizione, il suo nome è misericordia”.

Riprendendo la vicenda della madre single, Francesco commenta che precarietà e solitudine sono pericolose, minacciano lo stomaco, ma possono inaridire anche l’anima:

“La forma de combatir esta precariedad y aislamiento, que nos deja vulnerables…
“Il modo di combattere questa precarietà e questo isolamento, che ci rendono vulnerabili da tante apparenti soluzioni, va dato a diversi livelli. Uno è attraverso leggi che proteggano e garantiscano il minimo necessario affinché ogni famiglia e ogni persona possa crescere attraverso lo studio e un lavoro dignitoso”.

E l’altro è mettersi al servizio degli altri. Leggi e impegno personale sono un buon abbinamento per spezzare la spirale della precarietà. Il Papa denuncia poi il rischio a cui le società si trovano a fronteggiare:

“Hoy en día vemos y vivimos por distintos frentes cómo la familia…
“Oggi vediamo e viviamo su diversi fronti come la famiglia venga indebolita e messa in discussione. Come si crede che essa sia un modello ormai superato e incapace di trovare posto all’interno delle nostre società che, sotto il pretesto della modernità, sempre più favoriscono un sistema basato sul modello dell’isolamento. E si insinuano nelle nostre società – che si dicono società libere, democratiche, sovrane – si insinuano colonizzazioni ideologiche che la distruggono, e finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società".

Certo, afferma il Papa, vivere in famiglia non sempre è facile, spesso è doloroso e faticoso, il vivere insieme produce a volte rughe e cicatrici, ma conclude:

“Prefiero una familia herida, que intenda todos los dias conjugar el amor…
“Preferisco una famiglia ferita che ogni giorno cerca di coniugare l’amore, a una società malata per la chiusura e la comodità della paura di amare. Preferisco una famiglia che una volta dopo l’altra cerca di ricominciare a una società narcisistica e ossessionata dal lusso e dalle comodità. Io preferisco una famiglia con la faccia stanca per i sacrifici, ai volti imbellettati che non sanno di tenerezza e compassione”.

Al termine il Papa ricorda alle famiglie messicane che hanno una marcia in più: avete la Madre, dice, la Madonna di Guadalupe che ha voluto visitare queste terre:

“E questo ci dà la certezza che, attraverso la sua intercessione, questo sogno chiamato famiglia non sarà sconfitto dall’insicurezza e dalla solitudine. Lei, conclude, è sempre pronta a difendere le nostre famiglie”.

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P. Lombardi: la preghiera del Papa sulla tomba di Samuel Ruiz

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Al termine dell'intensa giornata di ieri in Chiapas, il nostro inviato in Messico Alessandro Guarasci ha intervistato il portavoce vaticano e direttore della nostra emittente al seguito del Papa, padre Federico Lombardi 

R. – Il Papa è passato nella cattedrale di San Cristóbal de las Casas, che è la cattedrale di cui Samuel Ruiz è stato vescovo per 40 anni, e dove è sepolto. Il Papa, nella cattedrale ha incontrato tantissimi malati: c’era un migliaio di persone. Poi, naturalmente, è passato davanti alla tomba di Samuel Ruiz, ha sostato in preghiera – brevemente, ma ha sostato in preghiera – e poi ha continuato il suo itinerario di consolazione e di incontro con le persone che erano presenti nella cattedrale. Una cosa estremamente semplice ed estremamente naturale e spontanea, ricordando questa persona che per la sua diocesi ha avuto un’importanza molto grande, e ha impostato anche diversi aspetti della pastorale della diocesi che, con diversi ritocchi o miglioramenti, sono tuttora in funzione. Per esempio, era molto significativa la presenza dei diaconi sposati, indigeni, che hanno una grande importanza nella pastorale della diocesi perché sono veramente un po’ i protagonisti, anche guidati e anche formati dai sacerdoti, ma sono persone che animano la vita delle comunità, che tengono la liturgia della parola, che distribuiscono la comunione…

D. – Che cosa ci può dire invece sull’incontro un po’ più privato che ha avuto con un gruppo di indigeni?

R. – E’ stato un incontro normale di un pranzo. Questo ogni tanto avviene come in occasione delle Giornate della Gioventù, in occasione delle visite in zone dove ci sono poveri o rifugiati… Si trattava di otto indigeni che rappresentavano le diverse componenti della comunità, quindi c’era un sacerdote indigeno, molto semplice, una persona affascinante nella sua semplicità di vita e di espressione, vestito come un indigeno: non aveva nessuna distinzione clericale particolare; poi c’era un rappresentante dei diaconi, con la moglie; poi c’era una religiosa, c’era un rappresentante dei giovani, c’era un catechista … tutti però delle comunità indigene locali. E il Papa si è intrattenuto con loro, con una conversazione molto semplice.

D. – Come sta andando la preparazione della Messa di Ciudad Juárez? Ci sono novità per quanto riguarda i parenti dei desaparecidos?

R. – Alla Messa di Ciudad Juárez ci saranno tantissime persone che sono collegate in diverse forme ai vari problemi della violenza nel Messico. Sappiamo che sono state 27 mila le persone scomparse, negli anni recenti: quindi, io non ho informazioni che il Papa faccia per un gruppo qualcosa di molto particolare, o per un altro. Intende dimostrare a tutti la sua vicinanza, la sua presenza: per tutti il Papa prega e a tutti è vicino.

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Il vescovo di Tepic: Papa in Messico, segno forte di unità della Chiesa

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Papa Francesco, oggi alle 17.00 ora italiana, celebra la Messa con i sacerdoti, i religiosi e i seminaristi nello Stadio “Carranza”, a Morelia, nello Stato di Michoacán, nel centro geografico del Messico. Un segno di profonda unità con la Chiesa messicana che accoglie con affetto il Vicario di Cristo. Ascoltiamo la testimonianza del vescovo di Tepic, mons. Luis Artemio Flores, al microfono di padre Guillermo Ortiz

R. -  A mi me ha llamado mucho la atencion...
Il Papa, sin dall’inizio del suo Pontificato, ha richiamato la mia attenzione per la sua semplicità, per la sua testimonianza e per la sua vicinanza al popolo, a tutte le persone, soprattutto a quelle più deboli come sono i poveri, i malati, i bambini, gli anziani; e per il suo essere pastore: mi ha colpito molto quando ha detto: “Il pastore va avanti per indicare il cammino, cammina in mezzo per accompagnare e cammina in fondo perché nessuno rimanga indietro”.

D.  – Mons. Flores, cosa significa per voi vescovi messicani stare con Papa Francisco, tra la vostra gente?

R. – Bueno. Es un honor y es un signo de la Iglesia ...
E’ un onore ed è un segno della Chiesa. Qui c’è la Chiesa, perché qui c’è il Successore di Pietro, il Papa. E insieme al Papa, ci sono i vescovi, i sacerdoti, le religiose e il Popolo di Dio. Possiamo dire che qui è presente tutta la Chiesa di tutto il mondo. Ma soprattutto qui è presente Cristo che ha fondato la sua Chiesa.  Insieme abbiamo il compito e la responsabilità di lavorare per il suo Regno. In questo Regno siamo tutti una famiglia, unita, fraterna e solidale.

D. – In questo momento qual è la maggiore preoccupazione che ha nel suo cuore, come vescovo?

R. – Bueno, mi primera preocupación son mis hermanos sacerdotes …
Bene, la mia prima preoccupazione è per i miei fratelli sacerdoti: lavorare molto affinché tutti noi ci innamoriamo veramente di Gesù Cristo e della nostra missione che Dio ci ha affidato. E poi che siamo santi, perché  con la nostra testimonianza possiamo influire molto sul Popolo di Dio, specialmente sui giovani e la famiglia. Se la famiglia sta bene, la Chiesta sta bene e la società sta bene. E i giovani sono la vitalità, la forza e l’energia. Che abbiano sempre presente il Volto di Gesù Cristo e della Chiesa.

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I giovani messicani: da Papa Francesco uno stimolo a svegliarsi

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Oggi si svolge uno dei momenti importanti del viaggio del Papa in Messico: l’incontro con i giovani a Morelia, nello Stato di Michoacán. Ma chi sono i giovani del Messico? Christopher Jimez Estrada è un giovane politologo di 30 anni, collabora con diversi giornali diocesani ed è membro della rete di comunicatori cattolici. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – Mai nella storia del Messico ci sono stati tanti giovani: sono più di 36 milioni! E naturalmente si tratta di un gruppo che soffre in modo particolare il dolore di vedere il suo futuro oscurato da questa situazione attuale, particolarmente difficile per la nostra Nazione, colpita dalla violenza, dalla povertà, dalla corruzione. Fortunatamente, i giovani si stanno svegliando: ogni giorno sono di più quelli che non cadono nella trappola del denaro facile del narcotraffico o della felicità immediata del consumismo. Sempre più giovani sono determinati a incontrare ciò che trascende, stanno ritornando ai valori, agli impegni, alla vita spirituale. Sempre più giovani stanno prendendo il loro posto nelle trincee del lavoro umanitario, della società civile, della difesa dei diritti umani. Stanno assumendo il compito di intraprendere iniziative economiche per creare posti di lavoro e si stanno aprendo ad attività che promuovono la pace e la solidarietà. La Chiesa in Messico è nota per il suo ampio lavoro nel sociale e sono molti i giovani coinvolti nelle sue iniziative. Il nostro Paese e la nostra Chiesa in Messico hanno un tesoro tra le mani: io direi che è un tesoro che deve fare la differenza, un tesoro che però dobbiamo anche aiutare a fruttificare.

D. – Vi sentite ascoltati?

R. – Sì, sempre di più. Anche se è difficile dare una risposta come giovani ai tanti problemi che abbiamo davanti, nella realtà messicana; ma penso che ogni giorno di più i giovani conquistano spazi importanti in Messico, in questo orizzonte di problemi …

D. – In questo contesto, la politica messicana è unita nel perseguire una maggiore giustizia sociale?

R. – Ci vuole più che una buona volontà politica perché è necessario un particolare tipo di politici: quasi –direi – eroi, radicali, con il rischio del martirio, che non abbiano paura di essere coerenti. Perciò, è evidente che il lavoro per una maggiore giustizia sociale è un compito che non è finito ed è un compito che non possiamo lasciare soltanto ai nostri rappresentanti. Da qui, la necessità che l’impegno sociale dei cristiani sia un compito urgente da rafforzare e da promuovere. Tanti giovani, oggi, sono preparati a ricevere nel cuore il messaggio del Vicario di Cristo, non soltanto un messaggio di consolazione, ma anche un incoraggiamento per aiutarci a restare in piedi.

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"Libera": da visita Papa spinta per i diritti umani in Messico

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Papa Francesco visiterà domani un Centro carcerario a Ciudad Juarez. Un gesto particolarmente significativo in un Paese dove la criminalità, e il narcotraffico in particolare, rappresenta una delle grande piaghe degli ultimi anni. Secondo alcune stime sono non meno di 27 mila i desaparecidos in Messico, vittime della violenza tra bande, del narcotraffico, dei femminicidi. Da anni in Messico è attiva l’associazione "Libera" di don Luigi Ciotti, che circa ha visitato diverse località incontrando anche i familiari delle vittime. Alessandro Guarasci ha sentito Giulia Poscetti, responsabile di "Libera internazionale" per il Messico: 

R. – Siamo impegnati ormai da diversi anni all’interno di una rete che abbiamo proposto: Alas - “America Latina Alternativa Social” - volta proprio a costruire dei percorsi di corresponsabilità, di impegno tra le tante organizzazioni di base, le associazioni di familiari di vittime, per attivare in maniera più strutturata un percorso di contrasto alle mafie che parte dal basso. E in particolare in Messico, dal 2012, è arrivata l’esigenza di costruire una vera e propria campagna di sensibilizzazione: “Pace per il Messico – México por la paz”. Da una parte questa è rivolta al Messico, per scuotere le coscienze a livello internazionale su quello che stava avvenendo nel Paese dopo anni di governo Calderón; e quindi tutto quello che aveva portato la guerra al narcotraffico in termini di vittime, soprusi e violazioni di diritti umani. Dall’altra parte, abbiamo valorizzato tutte quelle proposte, azioni, che già erano, e sono ancora, molto forti nel Paese, attive e presenti, ma che sono sempre state isolate.

D. – Avete visto che sta crescendo una coscienza civile per mettere fine al dramma dei “desaparecidos”, e per lottare contro il narcotraffico?

R. – Noi ci siamo ritrovati a confrontarci e a solidarizzare con numerosissime reti di familiari di desaparecidos. La rete, anche lì – ripeto – è molto attiva. Il problema è di quella che è, dall’altra parte, la volontà politica del governo, allora di Calderón, e adesso di Peña Neto, di sostenere veramente questi percorsi di riscatto, e di restituire alle vittime e ai loro familiari quella dignità, quella giustizia, quella garanzia di verità, giustizia e memoria che tutti dovrebbero avere. Corruzione e mafie sono indissolubili; e questo legame è causa delle violazioni dei diritti umani in Messico.

D. – Il Papa visiterà anche un penitenziario. Possiamo parlare di una nuova stagione per i diritti umani anche nei penitenziari in Messico?

R. – La situazione delle carceri in Messico, allo stato attuale, per quello che è stato finora, è abbastanza disastrata, nel senso che non sono mai stati messi in atto dei programmi effettivi di inclusione e rieducativi. Quindi un reintegrare anche in percorsi di inclusione sociale o lavorativa delle persone detenute. Ci auguriamo vivamente che questa visita del Papa, dal forte valore simbolico, politico e culturale nel Paese, possa anche dare dei nuovi stimoli e dei nuovi contributi per rivedere i programmi all’interno degli istituti penitenziari, e anche per rileggere in maniera diversa le possibili politiche e proposte legislative al riguardo.

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Tweet del Papa su famiglia, solidarietà e ambiente

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Tre tweet di Papa Francesco dal Messico nelle ultime 24 ore. “Nel cuore dell'uomo – si legge sull’account @Pontifex – è il desiderio di vivere in libertà, in una terra in cui sia possibile cambiare, nella fraternità, nella solidarietà”. Francesco ha quindi pubblicato un tweet sulla difesa della Casa Comune: “Tra i poveri più maltrattati c'è la nostra terra. Non possiamo far finta di niente di fronte a questa grande crisi ambientale”. Infine, un tweet che guarda alla famiglia e all’importanza della tenerezza: “Preferisco una famiglia con la faccia stanca per i sacrifici ai volti imbellettati che non sanno di tenerezza e compassione”.

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Card. O'Malley: denuncia abusi sessuali è dovere civile e morale

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Il presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, cardinale Sean O’Malley, ha rilasciato, insieme agli altri membri dell'organismo, una dichiarazione in cui si ribadisce l'obbligo di segnalare sospetti abusi sessuali alle autorità civili.

Francesco: abusi non dovranno essere tenuti segreti mai più
Nella nota si ricorda quanto detto "così chiaramente" da Papa Francesco durante un incontro con le vittime di abusi, nel corso del suo viaggio negli Stati Uniti, il 27 settembre dell'anno scorso: "I crimini e i peccati degli abusi sessuali sui bambini non devono essere tenuti segreti mai più. Garantisco la zelante vigilanza della Chiesa per proteggere i bambini e la promessa della piena responsabilità per tutti".  

Denuncia è dovere civile, morale ed etico
"Noi, il presidente e gli altri membri della Commissione - si legge nella dichiarazione - desideriamo affermare che i nostri obblighi ai sensi del diritto civile devono essere rispettati, certamente, ma anche al di là di tali vincoli, abbiamo tutti la responsabilità morale ed etica di denunciare gli abusi presunti alle autorità civili che hanno il compito di proteggere la nostra società".

Programmi negli Stati Uniti
"Negli Stati Uniti - prosegue la dichiarazione - la Carta dei nostri Vescovi afferma chiaramente l'obbligo per tutte le Diocesi/Eparchie e per tutto il personale di denunciare i sospetti abusi alle autorità pubbliche. Ogni anno presso la nostra riunione di novembre, in una sessione di formazione per i nuovi vescovi, questo obbligo è ribadito, e durante ogni mese di febbraio la seconda Conferenza propone un programma di formazione per i nuovi vescovi che ribadisce in modo chiaro ed esplicito questo obbligo". 

Incontro Commissione con il Papa e formazione vescovi
"Come Commissione consultiva del Santo Padre per la tutela dei minori - conclude la nota - abbiamo recentemente condiviso con Papa Francesco una panoramica estesa delle iniziative di educazione della Commissione per le Chiese locali nel corso degli ultimi due anni, e ribadito la volontà dei membri di fornire materiali per i corsi offerti in Roma, compreso tra gli altri il programma annuale di formazione per nuovi vescovi e per gli uffici della Curia Romana affinché possano utilizzarli nei loro sforzi per la protezione dei minori”.

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Papa nomina mons. George Bugeja amministratore apostolico in Libia

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In Libia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Benghazi, presentata da mons. Sylvester Carmel Magro, O.F.M., per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis del medesimo Vicariato Apostolico mons. George Bugeja, O.F.M., vescovo Coadiutore del Vicariato Apostolico di Tripoli.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo "Due priorità".

Nessuno sia escluso da civiltà e progresso: il radiomessaggio di Paolo VI, il 12 ottobre 1970, al popolo del Messico in occasione del settantacinquesimo anniversario dell'incoronazione di Nostra Signora di Guadalupe.

Un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo "Costruirsi un tesoro in cielo": poveri, ricchezza e aldilà nell'ultimo libro di Peter Brown.

Fabrizio Bisconti sulla tomba di Filippo: Eusebio di Cesarea e il sacello di Hierapolis.

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Oggi in Primo Piano



Siria: bombardati scuole e ospedali. Msf: stop a questo orrore

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La guerra in Siria non risparmia neanche scuole e ospedali. E' salito ad almeno 50 morti il bilancio provvisorio dei raid aerei che hanno colpito 2 istituti e 5 nosocomi nel Nord del Paese, tra i quali quello di Medici Senza Frontiere. Turchia, Russia e Stati Uniti si incolpano a vicenda, mentre l’Onu parla di crimine di guerra e atto palesemente in contrasto col diritto internazionale. Una situazione che mette sempre più a rischio l'attività umanitaria. La testimonianza Loris De Filippi, presidente di Medici Senza Frontiere Italia, intervistato da Giancarlo La Vella

R. – Ci sono circa 180 strutture sanitarie colpite dall’inizio del conflitto, molte delle quali sono nostre… La situazione si sta facendo sempre più complicata, perché appare evidente come gli ospedali siano un bersaglio chiaro e diretto in questo scontro. Immaginare che i nostri colleghi lavorino in queste strutture, veramente fa stringere il cuore.

D. – E’ una guerra senza nessuna regola questa che sta avvenendo in Siria, e non solo in Siria, ma anche in Iraq e nelle altre zone di conflitto…

R. – Crediamo che il diritto umanitario e la Convenzione di Ginevra siano calpestati quotidianamente. I bombardamenti – e non solo in Siria, ma anche e soprattutto in Yemen e in Afghanistan – la distruzione di ospedali, l’uccisione di civili sono veramente il segno di un imbarbarimento del conflitto. Per fronteggiare, in qualche modo, il terrorismo siamo disposti a derubricare a "quasi normalità" dei veri massacri delle popolazioni inermi. Io credo che rispettare l’art. 18 della Convenzione di Ginevra, che dice che gli ospedali civili non devono essere toccati in alcun modo, sia un imperativo! Ci auguriamo che le diplomazie internazionali di ciascun Paese facciano un passo indietro e sottolineino l’importanza di rispettare questo importantissimo articolo della Convenzione.

D. – Lei pensa che sia una casualità il fatto che vengano colpiti ospedali, ma anche scuole, o ci sia comunque dietro un disegno?

R. – Crediamo che ci sia un disegno aberrante! In cinque anni, come ho detto, 180 strutture sanitarie colpite: dà l’idea di una volontà precisa e diretta di indebolire le linee nemiche, distruggendo dei santuari umanitari quali sono gli ospedali. Quindi siamo convintissimi del fatto che in questa zona questi siano propri obiettivi chiaramente militari.

D. – La Comunità internazionale può fare qualcosa per salvaguardare l’esistenza di queste strutture?

R. – Sicuramente. Noi ci auguriamo che soprattutto quei Paesi, che ultimamente si sono macchiati di questi gravi crimini di guerra, riescano a riconoscere e denunciare il fatto che questi abusi vengono compiuti in maniera indiscriminata e accettare il fatto che tutti i Paesi dovrebbero in qualche maniera aderire non solo alla Convenzione di Ginevra, ma al rispetto del diritto umanitario internazionale, impedendo che queste ignominie vengano commesse ogni giorno. 

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Kosovo. 8° anniversario dell'indipendenza: 2016 anno difficile

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Domani il Kosovo festeggia l’ottavo anniversario dell’indipendenza dalla Serbia, presentandosi alla ricorrenza con gravi problemi di corruzione e disoccupazione e con migliaia di giovani che tentano la fuga con l'emigrazione. Il malcontento si riflette anche nelle manifestazioni dell’opposizione che sta ostacolando da mesi la classe politica al lavoro su un accordo che prevede l’associazione di comuni serbi in territorio kosovaro. Ma la realtà è ben più complessa, come spiega Francesco Martino corrispondente dal Kosovo, dell’Osservatorio Balcani-Caucaso, nell’intervista di Gabriella Ceraso

R. – Il Kosovo in questo momento è un Paese che si trova in uno stallo istituzionale, proprio per questo scontro che può essere letto su due piani profondamente intrecciati. C’è la motivazione ufficiale per cui la costituzione di un’associazione di municipalità, secondo l’opposizione, creerà un’area che si contrappone al governo centrale. Al tempo stesso, però, quest’azione di contrasto forte al governo è diretta contro l’élite che oggi amministra il Kosovo, e che viene vista, non soltanto dall’opposizione, come una élite che non è stata capace di rispondere alle grandi aspettative nei confronti di uno Stato che si è reso indipendente 8 anni fa. Molti dei problemi che i kosovari erano costretti ad affrontare prima non sono cambiati. Parliamo soprattutto dello stato dell’economia, del grado di sviluppo sociale del Paese che rimane a livelli - direi - molto preoccupanti .

D. – Dunque una classe politica che sicuramente serve a livello di gestione dei rapporti geopolitici, ma internamente non è capace e per altro quest’anno rischia ancora di più…

R. – Sì,quest’anno dovrebbe partire l’attività della Corte Speciale per i presunti crimini commessi da personaggi di spicco dell’UÇK – l’Esercito di liberazione del Kosovo – durante e dopo il conflitto del 1999. Buona parte della leadership dell’UÇK oggi combacia con la leadership politica. Resta da vedere ora quali nomi verranno inclusi nella lista degli imputati, ma di certo ci saranno riflessi politici importanti quest'anno. Si parla addirittura di una possibile imputazione per Hashim Thaçi, che nel 2008 dichiarò l’indipendenza del Paese.

D. – Guardando alla vita nel Paese: secondo la Banca Mondiale la disoccupazione colpisce circa il 40% della popolazione, e anche secondo gli ultimi dati la fascia dei trentenni soffre…

R. – C' è un dato che credo sia sufficiente a mostrare quanto sia in difficoltà il Paese dal punto di vista economico. Questo lo dimostra già il fatto che, con un picco nell’autunno tra il 2014 e il 2015, decine di migliaia di persone sono fuggite dal Paese, e hanno tentato di raggiungere l’Europa centrale, soprattutto la Germania, chiedendo asilo politico.

D. – Quindi non c’è guerra in Kosovo, ma c’è un’emorragia “come se” ci fosse una guerra?

R. – Si tratta di un fenomeno legato a doppio filo con il fatto che il Kosovo è oggi l’unico territorio dei Balcani che rimane fuori dalla lista bianca di Schengen. I kosovari sono cioè gli unici europei del Sud-Est Europa che ancora devono richiedere un visto per poter entrare nello spazio Schengen. Quindi, sono dal loro punto di vista costretti a fare escamotage diversi, tra cui la richiesta dell’asilo politico. Però, questo fatto che il Kosovo sia l’unico Paese fuori dalla lista bianca la dice lunga anche sul rapporto e sul tipo di fiducia che oggi esiste tra il Kosovo stesso e l’Unione Europea.

D. – Infatti, l’osservazione che viene da fare è: ma a livello di riconoscimento, europeo ed internazionale, a che punto siamo nei confronti di questo Paese?

R. – Cambiamenti radicali negli ultimi anni non ci sono stati. Il grosso problema del Kosovo, che oggi è riconosciuto da più di 100 Paesi a livello internazionale, è che il Paese non può relazionarsi vis-à-vis con l’Unione Europea nel suo complesso, perché cinque Paesi dell’Unione continuano a considerarlo una provincia della Serbia. E quindi c’è bisogno di un atteggiamento particolarmente fluido e flessibile per fare in modo che l’Ue, che pure ha la sua più grande missione all’estero proprio in Kosovo, possa relazionarsi con questo territorio.  

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Gli aiuti della Cooperazione italiana per migranti e rifugiati

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L’immigrazione è uno dei fenomeni che segnano maggiormente l’epoca contemporanea, un fenomeno strutturale che le emergenze del pianeta non fanno che rendere più acuto. In milioni emigrano nella speranza di un futuro migliore, tanti lo fanno spinti da motivi che vanno oltre la loro volontà: guerre, violenze, fame, miseria. Di immigrazione e di che cosa sta facendo in particolare l’Italia di fronte alle necessità di tanti, Lucas Duran ha parlato con Giampaolo Cantini, direttore generale della Cooperazione allo Sviluppo al Ministero degli Affari Esteri: 

R. – Intanto bisogna dire che noi abbiamo a che fare con una realtà di dimensioni veramente impressionanti: 60 milioni di persone, nel mondo, sono costrette a muoversi per ragioni legate a disastri naturali, ma soprattutto alle crisi politiche, alla violenza, al terrorismo e anche a fattori climatici. Di questi 60 milioni di persone, quasi 20 milioni sono rifugiati, più di 38 milioni sono persone delocalizzate all’interno di uno stesso Paese e un milione e 800 mila sono quelle richiedenti asilo. Quindi questa è una realtà molto importante, ma che cosa può fare allora la cooperazione internazionale? Esistono sostanzialmente tre grandi filoni di azione. Una prima parte è l’assistenza ai rifugiati laddove si trovano e pensiamo soprattutto ai siriani: abbiamo più di 4 milioni e 200 mila siriani che sono per la maggior parte tra Turchia, Libano, Giordania ed Iraq. Esiste un secondo filone che è quello di attuare della azioni di stabilizzazione di migranti o di rifugiati – diciamo – proprio per dare loro la possibilità, anche nei Paesi di transito, di svolgere dei lavori, di avviare delle piccole attività. E poi esiste un terzo filone, che non dobbiamo dimenticare e cioè che le migrazioni sono un fenomeno legato alla mobilità internazionale e alle tendenze demografiche e su questo dobbiamo anche riconoscere che le emigrazioni in quanto tali sono un fattore di sviluppo, un veicolo di imprenditorialità.

D. – Vogliamo fare un esempio concreto di quanto fa la Cooperazione italiana?

R. – In Libano e in Giordania aiutiamo i rifugiati, aiutiamo le famiglie -  molte sono donne sole con bambini – ma aiutiamo anche le comunità libanesi, perché effettivamente il peso per questo piccolo Stato è enorme. Quindi c’è una forte componente di assistenza sociale e un’attenzione soprattutto alle scuole. Per quanto riguarda, invece, l’azione di stabilizzazione e quindi la possibilità di offrire delle opportunità di lavoro e di creare anche delle piccolissime microimprese per giovani e donne che sono in fase di migrazione - dalla Somalia, talvolta dallo Yemen, soprattutto attraverso Paesi come l’Etiopia; oppure nel Sahel occidentale, attraverso il Senegal, il Mali, il Niger ed altri Paesi -  è stato istituito un fondo fiduciario dell’Unione Europea di un miliardo e 800 milioni. L’Italia ha contribuito, anzi è il secondo Paese contributore. Infine volevo ricordare un modello per noi molto importante sull’elemento di coinvolgimento delle comunità di migranti in Italia. Abbiamo una buona pratica: si tratta di un programma che è stato avviato in Senegal, attraverso una linea di credito, che ha permesso di finanziare delle imprese in cui i soggetti sono proprio costituiti da migranti senegalesi in Italia, che hanno costituito poi delle piccole imprese. Quindi la migrazione è anche un veicolo di imprenditorialità: nei nostri Paesi, i migranti acquisiscono delle capacità imprenditoriali - anche dei mezzi – che poi possono mettere a beneficio delle loro comunità di origine.

D. – Per quale motivo, secondo lei, bisogna occuparsi anche di coloro che vivono in difficoltà direttamente nei Paesi che poi pongono il problema di fatto della migrazione?

R. – Intanto perché i problemi non possono essere circoscritti a delle aree. La crisi siriana e i grandi spostamenti di popolazione non riguardano solo i Paesi vicini, ma riguardano anche noi: l’Europa ne è stata investita a partire dalla scorsa estate e lo è tutt’ora. Però getterei lo sguardo anche sul lungo periodo: l’Africa è un continente con grandi problemi, con crisi, ma anche con situazioni di crescita importanti – pensiamo all’Etiopia, al Ghana, ad altri Paesi – ed è anche un continente giovane, un continente destinato ad una grande crescita demografica, che ha delle grandissime protezionalità. Quindi gli investimenti - anzitutto nei capitale umano e quindi l’istruzione, la salute, la creazione di impresa – faranno crescere questi mercati e faranno crescere anche le opportunità per le nostre economie e per le nostre imprese.

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Draghi: più investimenti e meno tasse per favorire la ripresa

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Presa di posizione contro l’austerità da perte del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi. Ieri, in un discorso al Parlamento europeo ha invitato i Paesi dell’Unione a sostenere la ripresa attraverso investimenti pubblici e tassazione bassa. Una visione economica che ha fatto volare gli indici delle Borse europee ma che continua ad avere delle resistenze negli Stati membri, malgrado i 300 miliardi di Euro di investimenti potenzialmente disponibili dal "piano Juncker". Per un commento sul discorso di Draghi, ascoltiamo Carlo Altomonte, docente di Politiche economiche all’Università Bocconi di Milano, al microfono di Michele Raviart: 

R. – C’è un ostacolo culturale legato al fatto che in Germania prevale l’idea che i bilanci pubblici debbano essere comunque sempre in pareggio e non si debba mettere a rischio la stabilità finanziaria, anche in fasi di rallentamento del ciclo economico. Questo, però, sappiamo ormai essere valido nel medio periodo, ma non nel breve periodo. D’altro canto, posto che io abbia stanziato garanzie per 60 miliardi che ne attivano 300 di spesa pubblica, quali progetti finanzio? Faccio l’autostrada tra Monaco di Baviera e Berlino o il ponte sullo Stretto di Messina? Finanzio le piccole e medie imprese o la ricerca di punta delle grandi? Questo rischia di essere un tema politico. Per cui penso che la chiamata di Draghi sia proprio per dire: “Attenzione! Non perdete tempo nel dibattito politico su dove debbano andare i soldi, iniziate a spenderli”.

D. – Draghi ha sostanzialmente ribadito che la Bce farà tutto quello che è necessario per sostenere eventuali politiche di questo tipo. Che cosa implica a livello pratico?

R. – Sta già facendo tanto e può continuare a farlo almeno da tre punti di vista: può estendere ulteriormente l’orizzonte dei suoi interventi e quindi dire che continuerà a farlo in maniera illimitata temporalmente; potrebbe annunciare un’accelerazione del programma di acquisti e a quel punto però bisogna capire che cosa andrà a comprare, perché verosimilmente non potrà comprare solo debito pubblico, perché gli attivi soprattutto sul debito tedesco sono ormai sotto zero; infine, potrebbe ulteriormente ridurre il tasso di deposito, mandandolo ancora più in negativo. Attualmente, come sappiamo, se una banca vuole depositare dei soldi presso la Bce, deve pagare alla Bce dei soldi per questo servizio. E la Bce, in realtà, potrebbe ulteriormente aumentare quest’onere. 

D. – Il settore bancario – è stato detto – è più resistente agli shock rispetto all’ultima grande crisi del 2008. Quanto influisce la nuova normativa sul salvataggio pubblico delle banche e, in generale, i nuovi provvedimenti sulle banche fatti dall’Europa?

R. – La nuova normativa ha obbligato il settore bancario ad essere magari meno profittevole. Questo lo rende, però, molto più stabile, molto più “tradizionale” in termini di attività. Se una banca va in difficoltà e non riesce a ricapitalizzarsi sul mercato, chi salva la banca saranno i suoi azionisti-obbligazionisti, cioè chi ha investito nella banca stessa. Questa cosa è stata messa in piedi proprio per impedire che fossero i cittadini, con le loro tasse, a salvare il sistema bancario. Quindi le banche si “salvano” da sole. Il problema diventa più complicato quando un sistema bancario è in crisi. A quel punto è difficile immaginare che un sistema bancario, che è in crisi tutto, abbia le risorse necessarie per salvarsi tutto da solo. Quindi lì il rischio ovviamente è che possano venire coinvolti anche parte dei creditori della banca, che sono i depositanti. Non i depositanti, come sappiamo, sotto i 100 mila euro, che sono sempre costituzionalmente garantiti in qualunque Stato membro, ma i depositanti sopra i 100 mila euro.  Questo evidentemente crea un margine di incertezza, che oggi i mercati finanziari stanno in parte scontando e che è figlio del fatto che l’Unione bancaria europea è ancora imperfetta.

D. – Draghi ha detto che la Bce sta valutando la possibilità di togliere dal mercato le banconote da 500 Euro. Perché? Quali sono i rischi?

R. – La scusa ufficiale è che quella è la valuta preferita dai grandi riciclatori di denaro, dalla criminalità, perché nel mondo è la seconda valuta di taglio più importante. Il taglio più importante sono i mille franchi svizzeri. In realtà, se ci pensiamo, se togliamo tutte le banconote da 500 Euro, togliamo via dalla circolazione il 60 per cento della base monetaria. Questa verrebbe sostituita con banconote di valore diverso e questo ci consentirebbe in qualche modo di alterare la velocità di circolazione della moneta - perché le banconote di taglio più piccolo girerebbero più velocemente - e quindi è come se facessimo un’ulteriore politica monetaria espansiva e non convenzionale.

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Pensioni reversibilità, tra tagli ed estensioni a coppie gay

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E’ polemica in Italia sulle pensioni di reversibilità che il governo si preparerebbe a tagliare trasformando l’assegno da strumento previdenziale in assistenziale, quindi legato alla situazione economica. Per il presidente della Commissione Lavoro del Senato Sacconi è “paradossale” un restringimento dei criteri di assegnazione in base al reddito nel momento in cui il ddl Cirinnà, che oggi torna al voto di Palazzo Madama, amplia la platea dei beneficiari alle unioni omosessuali. Una “scelta schizofrenica”, secondo il portavoce del Family Day Massimo Gandolfini. “La soluzione è nelle politiche sulla natalità”, spiega Alfredo Caltabiano, esperto di fisco del Forum delle Famiglie. L’intervista è di Paolo Ondarza: 

R. – Il problema vero è l’andamento demografico in Italia, dove non scordiamoci che nel 2014 sono nati 506.000 bambini – il numero più basso dall’unità d’Italia: mentre oggi abbiamo due lavoratori per ogni pensionato, le previsioni ci dicono che tra 15-20 anni ci sarà un lavoratore per ogni pensionato. Questo perché l’Italia non fa figli, l’Italia invecchia e la nostra politica è più attenta ai diritti individuali, che sono sacrosanti e legittimi, però non tiene conto invece del bene della società.

D. – Dunque da una parte si parla di taglio delle pensioni di reversibilità; dall’altra le stesse pensioni di reversibilità, se pensiamo al Ddl sulle unioni civili che il Senato sta votando in questi giorni, vengono estese ad altre categorie di unioni, diverse dal matrimonio tra uomo e donna. Questa non è una contraddizione, secondo voi?

R. – Certo. Tra l’altro veramente i costi di tale estensione sarebbero insostenibili in una situazione – ripeto – che oggi è grave, ma le previsioni demografiche ci dicono che diventerà sempre più grave. Perché non scordiamoci che l’albero demografico ci dice che i figli nati negli anni ’60-’70 – gli anni del baby-boom – oggi sono il grosso dei lavoratori. Tra 10-15 anni, quando queste persone andranno in pensione, il sistema previdenziale diventerà insostenibile. Questo lo andiamo denunciando da anni.

D. – E da anni chiedete politiche familiari…

R. – Assolutamente: è questa la vera priorità. Quindi tutti questi discorsi non bisogna guardarli in maniera asettica, ma bisogna collegarli ad un contesto più ampio: l’insostenibilità del sistema del welfare italiano, non solo pensionistico, ma soprattutto sanitario sarà il vero grosso problema del prossimo futuro. E non è sicuramente l’immigrazione la soluzione, intanto perché la presenza di immigrati in Italia sta diminuendo e ce lo dicono i dati dell’Istat. La risposta la possiamo ottenere solo se facciamo una seria politica sulla natalità, e quindi conseguentemente sulle famiglie, che non solo ringiovanirà la nostra popolazione, ma darà uno stimolo forte all’economia.

D. – Sta dicendo: “È una questione di lungimiranza. Saranno i figli che mettiamo al mondo oggi a pagare le pensioni di domani, del futuro”…

R. – Assolutamente. Premiamo ad esempio le madri lavoratrici che invece oggi sono costrette rinunciare alla carriera. Da un lato riconosciamo a chi ha messo al mondo dei figli dei contributi maggiori; dall’altro, favoriamo soprattutto delle politiche di conciliazione tra lavoro e famiglie, per cui anche la donna che vuole fare carriera possa fare, come in Francia, due-tre-quattro figli senza avere alcun problema.

D. – Politiche di conciliazione lavoro-famiglia vogliono dire politiche rivolte sia alla donna che all’uomo: quindi in una visione di corresponsabilità nei confronti dei figli e di pari opportunità nel mondo del lavoro…

R. – Assolutamente. Ripeto: tutto quello che riguarda le politiche di natalità è assolutamente da incoraggiare. Rimane il concetto di fondo: in questo momento il saggio indica la luna, ma le persone guardano il dito: si sta guardando il dito dei diritti individuali, che – ripeto –sono legittimi, sacrosanti,  ma una delle più grosse urgenze, se non la più grossa, in Italia è quella di una politica per la famiglia e per i figli.

D. – Fu per questo che i Padri costituenti misero nero su bianco che la famiglia, fondata sul matrimonio tra uomo e donna, è alla base dello Stato: si sta riferendo a questo?

R. – Assolutamente. Ricordo che tra i Padri costituenti, che hanno sottoscritto l’articolo 29 e quindi hanno capito l’importanza della famiglia, ci sono personaggi come Togliatti, Nilde Iotti: personaggi in cui oggi molti di quelli che chiedono i diritti individuali si riconoscono. Non sono stati soltanto i democristiani a scrivere quell’articolo. 

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Nasce a Roma la task force dei "Caschi blu della cultura"

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Sono nati a Roma i "Caschi Blu della Cultura", una task force per difendere i beni archeologici patrimonio dell’umanità, perché non si ripetano più le devastazioni di Palmira, Nimrud o Ninive. Nato sotto l’egida dell’Onu, dell’Unesco e del Ministero dei beni e delle attività culturali italiano, lo “Unite for Heritage” (questo il nome ufficiale del progetto) avrà la sua base operativa a Torino e sarà formato da carabinieri e civili italiani con la missione di intervenire in situazioni di guerra e di disastri naturali, con compiti di formazione e supporto ai governi locali, ma anche operativi a protezione del patrimonio minacciato da atti terroristici. Stefano Pesce ha seguito la conferenza stampa di presentazione dove ha intervistato Silvia Costa, presidente della Commissione cultura al Parlamento europeo, tra le ideatrici del progetto “Unite for Heritage”: 

R. – Dopo i primi devastanti attacchi intenzionali al patrimonio culturale, per primi chiedemmo in Europa che ci fosse la definizione di crimini contro l’umanità e non di crimini di guerra. Lì parlammo – come li avevamo chiamati nell’ambito della nostra risoluzione dei “Blue Shields” – di “Scudi blu” e il senso era proprio quello di una task force che potesse affiancare, prevenire, dare indicazioni ai siriani e in questo caso agli iracheni archeologi sul posto. Noi abbiamo bisogno di lavorare anche con loro. E questa era un po’ l’idea…

D. – Fattivamente sul campo quale sarà l’operato dei “Caschi blu della cultura”?

R.  – Non sono certamente interventi durante i conflitti. Non è una task force, perché allora ci sono anche i Caschi blu dell’Onu che dovrebbero muoversi… C’è una doppia idea: che i “Caschi blu della cultura” facciano parte integrante dei Caschi blu dell’Onu; e - secondo - che altri Stati membri, nel prossimo Consiglio dei ministri della cultura europei, si pronunciano a favore, anche loro, della creazione di task force nazionali. Quindi cominciamo dall’Europa a dare il buon esempio.

D. – Sarà possibile, secondo lei, evitare in futuro il ripetersi di episodio come Palmira, come Nimrud?

R. – No, finché noi non creeremo gli anticorpi rispetto a  questa visione devastante e devastata dell’umanità. Uccidere le persone e distruggere il loro patrimonio culturale sono due facce della stessa medaglia, perché è l’umanità che viene travolta. Questa credo che sia la prima cosa. L’altra, invece, è quella di sconfiggere insieme chi è portatore di questo tipo di ideologia. Quindi per questa ragione noi abbiamo chiesto che ci sia un rafforzamento nell’ambito delle politiche della difesa e della sicurezza anche del dialogo interculturale.

D. – Avete già un’idea di quali saranno i siti in cui verranno impiegati questi Caschi blu?

R. - Faccio un esempio: qui esiste una associazione che io trovo interessantissima, che è quella dei “Restauratori senza frontiere”. Allora, attraverso questi accordi, bisogna valorizzare tutte quelli reti che ci sono e che stanno aiutando anche chi – magari cercando di nascondersi – sta cercando questo tipo di censimento, questo tipo di prevenzione in loco, come lo fece il povero Khaled Assad, il famoso archeologo ucciso a Palmira. Oggi ci sono molti luoghi a rischio, anche perché si sta allargando sulla Libia e noi sappiamo là cosa ci sia;  purtroppo Aleppo è stata in parte distrutta, ma ci sono lì vicino altri reperti; ci sono sicuramente altre zone, io penso più ai confini, che sono in qualche modo dentro questa cosa. Penso adesso all’Italia che aiuterà per la Diga di Mosul: questo è un altro modo per proteggere. Quindi fare insieme una mappatura, condividerla, avere delle risorse e mettere in protezione prima questi beni potrebbe essere la prima cosa da fare. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: volontario Caritas ucciso ad Aleppo da colpo di mortaio

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Si chiamava Elias Abiad e aveva solo 22 anni il giovane volontario di Caritas Siria ucciso ad Aleppo dai colpi di mortaio caduti sabato scorso sul quartiere di Sulaymaniyah. Ne dà notizia il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy, in un messaggio di condoglianze alla famiglia di Elias in cui si sottolinea che anche il sacrificio del giovane volontario “ci ricorda la perdurante tragedia quotidiana della Siria, e l'urgente bisogno del cessate il fuoco e della pace”. Elias - riferisce l'agenzia Fides - era impegnato nei progetti di assistenza realizzati da Caritas Siria nell'area di Aleppo fin dal settembre 2014.

Il vicario di Aleppo ha ricordato il sacrificio di Alias e condanna i bombardamenti
Domenica scorsa, il vescovo Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, ha diffuso un appello in cui ricorda anche il sacrificio di Alias Abiad: “Vi scrivo da Aleppo” si legge nell'appello, rilanciato da Ora Pro Siria “dove siamo da qualche giorno sotto continui bombardamenti sui civili che causano morti, feriti e distruzione. Solo la notte scorsa abbiamo avuto nei nostri quartieri quattro morti e più di quindici feriti, oltre le case e gli appartamenti danneggiati. Questi bombardamenti” aggiunge il vescovo “vengono effettuati dai gruppi chiamati 'opposizione moderata' e come tali difesi, protetti ed armati, ma che in realtà non differiscono dagli altri jihadisti se non col nome”. (G.V.)

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Iraq: Quaresima di misericordia fra i profughi di Mosul

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È una Quaresima di “misericordia” e di “opere a favore delle famiglie cristiane” sfollate da oltre 18 mesi da Mosul e dalla piana di Ninive, in seguito all’avanzata del sedicente Stato Islamico (Is), quella che stanno vivendo i cristiani di Erbil, nel Kurdistan irakeno. È quanto racconta all'agenzia AsiaNews l'arcivescovo caldeo di Erbil (nel Kurdistan irakeno) mons. Bashar Warda, che ricorda “l’apertura il 31 gennaio scorso, come prevede il calendario caldeo” della stagione benedetta.

Chiese aperte per Messe e preghiere
Per l’occasione “le nostre sette parrocchie - prosegue il prelato - hanno aperto le porte dal mattino alla sera per accogliere fedeli in preghiera e per le Messe. In ogni chiesa vi era anche un sacerdote disponibile per le confessioni. E per tutto il periodo quaresimale si celebra una Messa al mattino alle 11, e una Messa che comincia alle 4.30 del pomeriggio”, seguita dalla preghiera. “Il tema principale di questo periodo” di Quaresima, racconta mons. Warda, “è la misericordia” sui cui è incentrata anche “la mia lettera pastorale”. “Ho chiesto di pregate - aggiunge - e trovare modi per aiutare i nostri fratelli e sorelle cristiani sfollati, e che vivono [da tempo] fra noI”. 

Programma pastorale dei giovani per vivere il Vangelo di solidarietà con gli sfollati
Nella notte fra il 6 e il 7 agosto del 2014 centinaia di migliaia di persone hanno lasciato i villaggi della piana di Ninive, da Qaraqosh a Karameles, a maggioranza cristiana, trovando rifugio a Erbil e in altre aree del Kurdistan. Mons. Warda è stato subito in prima linea nell’opera di assistenza e aiuto. “I nostri giovani - racconta mons. Warda - hanno preparato un programma pastorale speciale, per vivere il Vangelo di solidarietà con gli sfollati. Oggi, a distanza di 18 mesi, vi sono ancora 2mila famiglie nei caravan, accampati nei centri di accoglienza attorno ad Ankawa”, il quartiere cristiano di Erbil. La loro vita quotidiana, aggiunge, è “sempre più difficile, mentre cresce la richiesta di acqua, elettricità, manutenzione ordinaria…”. 

Programma di formazione ed una nuova scuola per gli sfollati
In questo contesto di difficoltà, l’Università cattolica di Erbil, in collaborazione con i Cavalieri di Colombo negli Stati Uniti, ha avviato “programmi di formazione spirituale per gli sfollati”, cui partecipano 230 persone che seguono “ogni venerdì per quattro ore” le lezioni. Al contempo, grazie all’aiuto della diocesi caldea di san Tommaso a Detroit e delle Pontifical Mission Societies “abbiamo aperto una nuova scuola per gli sfollati e, solo quest’anno, 350 ragazze hanno potuto iniziare l’anno accademico”. 

Costruire il futuro dell’Iraq e della regione attraverso scuole, ospedali, università
Il mio obiettivo e quello di tutta la diocesi, spiega il presule, è “garantire una vita dignitosa” agli sfollati fornendo loro “riparo, cibo, educazione e assistenza sanitaria”. Non solo nelle necessità immediate e quotidiane, ma cercando anche un modo per “sviluppare le loro abilità e capacità, per vivere appieno la nostra missione cristiana”. Il nostro desiderio, aggiunge, “è costruire il futuro dell’Iraq e della regione” attraverso scuole, ospedali, università. Questo aiuterà anche le famiglie “a restare a Erbil, vicini ai loro villaggi a Mosul e nella piana di Ninive”, anche se finora “almeno 5mila famiglie hanno lasciato l’Iraq” a rischio della loro vita. 

L'impegno a frenare l'emigrazione all'estero delle famiglie
​La presenza dello Stato Islamico “mette a rischio la stabilità” dell’area, conclude mons. Warda, ciononostante “continueremo il nostro lavoro, con lo stesso obiettivo e impegno: aiutare i cristiani irakeni a vivere una vita dignitosa rimanendo in Iraq, dove hanno una missione da compiere”. (R.P.)

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Vescovi della Colombia: invito alla riconciliazione nazionale

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Si è aperta ieri a Bogotá la 100.ma Assemblea dell’episcopato colombiano, che proseguirà fino al 19 febbraio. Nella sua relazione introduttiva il presidente della Conferenza episcopale colombiana (Cec) e arcivescovo di Tunja, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, ha toccato, tra l’altro, i temi dell’annunciato viaggio di Papa Francesco in Colombia nel 2017 e della partecipazione della Chiesa alla fase del post conflitto dentro un’ottica di misericordia. 

Misericordia, perdono e riconciliazione: le tre grandi sfide della Chiesa
Il presidente della Cec - riferisce l'agenzia Sir - nel fare riferimento all’imminente e auspicata firma dell’accordo di pace tra il Governo e la guerriglia delle Farc, ha spiegato che la misericordia, il perdono e la riconciliazione sono le tre grandi sfide che stanno davanti alla Chiesa e che possono essere il miglior apporto per il post conflitto: “È impossibile che colui che nel suo cuore è pieno di odio, vendetta e rivalsa possa praticare la misericordia. Perciò, dobbiamo proseguire nel favorire il perdono e la riconciliazione per costruire comunità riconciliate e portatrici riconciliazione”. 

Introdurre la misericordia nel processo penale
Nel suo discorso mons. Castro Quiroga ha espresso la sua preoccupazione perché molti colombiani non hanno ben inteso il valore della cosiddetta “giustizia transazionale”, uno dei punti più delicati dell’accordo di pace: “Questa giustizia ci può sembrare blanda, poco giusta, garanzia di impunità, ma le cose non stanno così. Si tratta di una soluzione eccezionale per rispondere ad una situazione straordinaria, è un passo importante per introdurre la misericordia nel processo penale. È come un sorso d’acqua nel deserto”. Infine, il presidente della Cec ha invitato i vescovi a promuovere azioni di sostegno e aiuto rivolti in particolar modo ai giovani che sono stati bambini soldato nella guerriglia. (R.P.)

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Venezuela: al via la Campagna Compartir per la Quaresima

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“Incoraggia la vita”: questo lo slogan scelto dalla Chiesa del Venezuela per la Campagna “Compartir 2016”. L’iniziativa, che si tiene ogni anno nel periodo di Quaresima, è giunta alla 36.ma edizione ed invita i fedeli a “condividere”, appunto, la solidarietà attraverso diverse raccolte-fondi da destinare poi a progetti della Caritas nazionale, in aiuto ai più bisognosi.

Vincere l’indifferenza e conquistare la pace
“Il motto ‘Incoraggia la vita’ – si legge sul sito della Conferenza episcopale locale (Cev9) – esorta i cattolici a vincere l’indifferenza nei confronti di tutto ciò che minaccia la pace nel mondo”. Non solo: la campagna si pone anche l’obiettivo di “favorire la cura e l’attenzione nei riguardi di tutti i nostri fratelli e sorelle, ovunque si trovino, mostrando un atteggiamento compassionevole e misericordioso nei loro confronti”. Facendo, poi, riferimento al messaggio di Papa Francesco per la 49.ma Giornata mondiale della pace, celebrata il 1.mo gennaio scorso, i presuli di Caracas esortano a “vincere l’indifferenza e conquistare la pace”.

Promuovere cultura dell’incontro
L’appello della Chiesa venezuelana, infatti, è a “non passare oltre davanti alle sofferenze, a superare la tentazione di vedere il dolore come una cosa naturale, di abituarsi all’ingiustizia ed all’impunità”. Di qui, il richiamo ad “aprire spazi di riflessione e impegno nella fraternità e nella compassione, propri di una cultura dell’incontro”. “I fondi raccolti durante la Campagna – spiega la Cev – saranno destinati a creare gruppi di aiuto, sostegno e solidarietà con i sofferenti, gli abbandonati, i malati”, perché “è dovere della Chiesa cattolica vigilare affinché i suoi figli sofferenti ricevano il necessario accompagnamento pastorale, sia in ambito spirituale che umano”.

Dove c’è disperazione, portare la speranza
“Come il Buon Samaritano – continuano i vescovi – questi gruppi di aiuto diffondono la persona di Cristo, restando accanto ai bisognosi e vigilando sulle loro necessità”. Solidarietà, riconciliazione, conversione pastorale e sociale, fraternità e carità sono, dunque, le parole-chiave della Campagna.  “Accompagnaci, incoraggi la vita! – è l’appello finale dei presuli ad ogni singolo fedele – Tutti insieme, mettiamo in pratica la preghiera di San Francesco di Assisi: ‘Dove c’è disperazione, fa’ che io porti speranza’”. (A cura di Isabella Piro)

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Cina: inizio della Quaresima in sintonia con l'Anno giubilare

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La comunità cattolica della Cina continentale ha vissuto l’inizio della Quaresima in comunione con la Chiesa universale, in particolare sintonia con il Giubileo della Misericordia, come testimoniano le numerose informazioni raccolte dall’agenzia Fides

Cammino della Quaresima: digiuno, preghiera e opere di misericordia
Particolarmente toccante il rito delle ceneri nella parrocchia di Chang Shu, della diocesi di Su Zhou, dove un anziano sacerdote novantottenne ha imposto le ceneri a centinaia di fedeli, senza sosta. Durante l’omelia, il parroco ha incoraggiato i presenti ad intraprendere il cammino della Quaresima: “digiuno, preghiera, opere di misericordia, gioia della fede sono gli elementi fondamentali per vivere la Quaresima. Cosi possiamo rinnovarci e convertirci a Dio Padre che ci accoglie sempre”. Per rispondere alle esigenze dei fedeli lavoratori, la parrocchia di S. Antonio della città di Shen Zhen, ha celebrato l’imposizione delle ceneri domenica 14 febbraio, prima di Quaresima. Il parroco ha espresso l’auspicio che “la misericordia del Signore arrivi al maggior numero possibile di fedeli”.

Ritiro spirituale quaresimale sul Giubileo della Misericordia
La cattedrale della diocesi di Wen Zhou ha avviato il cammino quaresimale con un ritiro spirituale. Oltre 400 fedeli, che sono in vacanza per festeggiare il capodanno, hanno preso parte al ritiro il 10 e l’11 febbraio, durante il quale hanno riflettuto sulla Misericordiae Vultus, la Bolla di Indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia, e la lettera pastorale del vescovo diocesano, per “vivere la Quaresima dell’Anno della Misericordia, per essere il volto del Signore misericordioso nella comunità e nella società”. Dal 25 al 29 gennaio, i sacerdoti della comunità di Jiang Xi si sono radunati per il ritiro spirituale in vista della Quaresima. Il tema centrale è stato “Rinnovati nel Signore, per rispondere alla chiamata di misericordia del Signore concretamente”. (N.Z.)

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Pakistan: a Faisalabad aperto l'Anno dell'Educazione

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Nella diocesi pakistana di Faisalabad, in Punjab, durante il Giubileo della Misericordia si è aperto lo speciale "Anno dell'educazione". Nella solenne cerimonia di inaugurazione, che ha avuto luogo il 6 febbraio nella cattedrale di Faisalabad, mons. Joseph Arshad, vescovo della città, ha formalmente annunciato l'apertura accendendo un cero e leggendo una dichiarazione di intenti che ne spiega l'obiettivo: rendere possibile per ogni bambino l'accesso all'istruzione

L'istruzione è un diritto essenziale per ogni bambino
Alla celebrazione - riferisce l'agenzia Fides - hanno preso parte studenti di diverse scuole di Faisalabad. Attraverso discorsi e testimonianze sul ruolo dei genitori, degli insegnanti e di studenti, si è ribadita l'importanza dell'istruzione. Il professor Anjum James Paul, presidente della "Pakistan Minorities Teachers Association", ha sottolineato che l'istruzione è un bisogno e un diritto essenziale per ogni bambino: "L'istruzione dà il coraggio di lottare contro la discriminazione sociale".

L'istruzione ostacolata da povertà, disoccupazione, mentalità sociale e discriminazione
Mons Joseph Arshad ha detto: "L'istruzione è estremamente importante per la comunità cristiana: vi sono molti ostacoli come povertà, disoccupazione, mentalità sociale e discriminazione: occorre lavorare insieme per rimuovere questi ostacoli". "L'istruzione – ha proseguito - è come un alimento per la persona. Attraverso l'educazione non solo si ottengono diplomi e titoli di studio, ma si diventa persone migliori".

Misure concrete per sostenere gli studenti bisognosi
Il vescovo ha fatto appello a tutti i sacerdoti e a tutte le comunità locali perchè organizzino programmi e iniziative in questo campo, adottando misure concrete per sostenere gli studenti bisognosi. La diocesi di Faisalabad coordinerà questi progetti attraverso un apposito Consiglio per Istruzione e la formazione permanente. (P.A.)

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Vescovi tedeschi: trattare i profughi con umanità

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“I principi hanno sempre un solo significato, anche nei tempi di tempesta”. Questa metafora è stata usata dal presidente della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), il card. Reinhard Marx, aprendo i lavori dell’Assemblea plenaria primaverile dei vescovi tedeschi. L’assise - riferisce l'agenzia Sir - si svolge nell’antica abbazia cistercense di Schöntal nella diocesi di Rottenburg-Stoccarda, e i lavori si concluderanno giovedì 18 febbraio. Secondo il cardinale, pur se l’abbazia è un luogo remoto e isolato, “i problemi del tempo non sono lontani”. 

Le sfide reali non sono i profughi, ma la guerra e la violenza
Riferendosi al tema dei rifugiati, centrale nei lavori, il card. Marx ha detto che “coloro che entrano nel suolo europeo, devono essere trattati con umanità e hanno diritto a giusti processi legislativi” e questo è un concetto “di base”, non travisabile. I profughi e i rifugiati non sono il problema, perché le sfide reali sono la guerra e la violenza. 

Preoccupazione per la crescente polarizzazione nella società
​La preoccupazione dei vescovi, ha evidenziato Marx nella sua prolusione, è la crescente polarizzazione nella società. Altri temi dell’incontro sono le riflessioni sul Sinodo per la famiglia, il processo di dialogo della Chiesa in Germania e la visita ad limina apostolorum nel novembre dello scorso anno. All’ordine del giorno anche la grande partecipazione tedesca alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù e la commemorazione della riforma del 2017, oltre al prossimo Katholikentag a Lipsia nel maggio 2016. (R.P.)

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Portogallo. Giuristi cattolici: non legalizzare l'eutanasia

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No alla legalizzazione dell’eutanasia: è il forte appello lanciato dall’Associazione dei giuristi cattolici in Portogallo (Ajc), in una nota diffusa dall’agenzia Ecclesia. Nel documento, si sottolinea che “sarebbe incomprensibile che i partiti politici si sentissero autorizzati ad approvare una proposta di emendamento alla Costituzione, senza averla mai presentata ai cittadini come parte del loro programma elettorale e senza aver ricevuto mai uno specifico mandato in tal senso dagli elettori”.

Evitare semplificazioni e confusioni
Di qui, il richiamo dell’Ajc alla necessità di “rispetto profondo” per i principi di una democrazia autentica e l’esortazione ad un “dibattito approfondito” e “quanto mai necessario” sulla questione, poiché “è fondamentale evitare semplificazioni e confusioni” in campo eutanasico. Per questo, i giuristi cattolici sottolineano la differenza tra “aggressione illecita alla vita umana” e decisione legittima di “rifiutare l’accanimento terapeutico”, ovvero interventi medici inadeguati alla reale situazione dei malati.

Rispettare la dignità della persona umana
In particolare, l’Ajc evidenzia che “c’è una grande differenza tra uccidere ed accettare la morte”: l’eutanasia e l’accanimento terapeutico, infatti, “violano la morte naturale”, poiché la prima “la anticipa”, mentre la seconda “prolunga la vita in modo artificiale, inutile e penoso”. Non solo: i giuristi cattolici ribadiscono che le pratiche eutanasiche rappresentano “un’evidente violazione” del quinto comandamento, “Non uccidere” e che la loro legalizzazione metterebbe in discussione “il principio della dignità della persona umana” ed “il primo diritto fondamentale” sancito dalla Costituzione portoghese, riguardante “l’inviolabilità dell’integrità di ogni essere umano”.

Tutelare vita umana in tutte le sue fasi
​L’Ajc definisce poi come “un indiscutibile passo indietro nella cultura e nella civiltà” l’eventuale legalizzazione dell’eutanasia, ricordando che essa andrebbe contro il senso della scienza medica “che deve sempre proteggere la vita e la salute”. “La morte non elimina la sofferenza, ma la persona che soffre”, aggiunge ancora l’Associazione. Il comunicato si conclude con un appello alla “coscienza” dei deputati e di tutti i portoghesi affinché salvaguardino “il bene inestimabile” della vita umana in tutte le sue fasi, “specialmente in quelle di maggiore vulnerabilità”. (I.P.)

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 47

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