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Sommario del 12/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco in volo verso Cuba e Messico. Nel 2017 sarà in Colombia

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Papa Francesco è in volo per il suo 12.mo viaggio apostolico internazionale. Prima tappa Cuba per lo storico incontro con il Patriarca ortodosso russo Kirill all’aeroporto dell’Avana. In seguito il Pontefice proseguirà per il Messico dove rimarrà fino al 17 febbraio. In aereo Francesco ha salutato i giornalisti del volo papale sottolineando il desiderio d’incontro con il Patriarca Kirill ed il popolo messicano. Confermato che nel 2017 sarà in Colombia per la firma degli accordi  di pace tra governo e i ribelli delle Farc. Massimiliano Menichetti: 

In un clima gioviale e in cui la decana dei vaticanisti la giornalista messicana  Valentina Alazraki ha regalato al Papa un sombrero per proteggerlo dal sole e farlo sentire più messicano, Francesco ha ribadito il desiderio per questo viaggio “impegnativo”, ma fortemente voluto, come ha detto più volte:

"E’ un viaggio impegnativo, troppo serrato, ma tanto voluto: tanto voluto dal mio fratello Cirillo, da me e anche dai messicani”.

A Cuba, all’aeroporto dell’Avana ci sarà lo storico incontro di circa due ore e con il Patriarca ortodosso russo Kirill, poi si attende una dichiarazione comune. Guardando al Messico e riferendosi al mantello, la "tilma" dove è raffigurata, non dipinta da mano umana, la Madonna di Guadalupe, il Papa ha condiviso il desiderio del cuore:

"La mia voglia più intima è fermarmi davanti alla Madonna di Guadalupe, quel mistero che si studia, si studia, si studia e non ci sono spiegazioni umane. E questo è quello che fa dire ai messicani “Io sono ateo, ma sono guadalupano”. Alcuni messicani, non tutti sono atei".

Il Papa ha poi scherzato con la decana dei vaticanisti raccontando che proprio lei mercoledì scorso gli ha portato dei film di Cantinflas, nome d’arte di un noto comico messicano: 

"La vostra decana messicana mi aspettava come per farmi entrare nel tunnel del tempo con tutti i film di Cantinflas. E così sono entrato in Messico per la porta di Cantinflas, che fa ridere bene".

Ancora in un clima gioioso il saluto e la gratitudine per l’ultimo viaggio compiuto dal dott. Alberto Gasbarri in qualità di organizzatore dei viaggi pontifici, sostituito, dalla prossima volta, da mons. Mauricio Rueda:

"Questo è l’ultimo viaggio nel quale ci accompagna il dott. Gasbarri. Da 47 anni lui lavora in Vaticano. E’ entrato a 3 anni, 4 anni a lavorare! E’ da 37 anni che fa i viaggi. Ma lo dico perché possiamo, durante questi giorni, esprimergli la nostra gratitudine".

Conversando poi con un giornalista colombiano, il Papa ha confermato che il prossimo anno, nel 2017, sarà in Colombia per la firma degli accordi di pace tra il governo e i ribelli delle Farc.

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Il Messico attende il Papa: lo aspetta un bagno di folla

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Poco dopo le 8.00 Papa Francesco è partito dall’aeroporto romano di Fiumicino per il suo 12.mo viaggio apostolico. Prima tappa Cuba per lo storico incontro con il Patriarca ortodosso russo Kirill all’aeroporto dell’Avana. Una dichiarazione comune suggellerà l’incontro di un paio di ore tra il Papa e il Patriarca: un segno del dialogo tra cattolici e ortodossi. In seguito il Pontefice proseguirà per il Messico dove rimarrà fino al 17 febbraio, per poi rientrare in Vaticano il giorno successivo. Motto del viaggio, “Missionario di misericordia e di pace”. Sull'attesa in Messico il servizio del nostro inviato, Alessandro Guarasci: 

"Yo prometo un viaje a México como se lo merece!
Io prometto un viaggio in Messico come il Paese merita!"

Il viaggio del Papa entrerà nel cuore nell’anima del Paese. Il Pontefice, infatti, oltre alla capitale Città del Messico toccherà il Sud e il Nord, percorrendo quasi 3.600 chilometri, di cui almeno 400 in papamobile, il che fa pensare a enormi bagni di folla, anche perché il Messico, tra gli Stati latinoamericani, è forse quello con l’identità cristiana più marcata. In queste ore stanno comparendo nei punti nevralgici di questo Stato grande sette volte l’Italia, cartelloni che celebrano la figura del Pontefice.

Visitando la basilica di Nostra Signora di Guadalupe, il Papa confermerà il Paese nella fede; poi ci saranno gli incontri con gli immigrati al confine con gli Usa e con gli indigeni nel Chiapas, la visita in un carcere di massima sicurezza. Alla Messa a Ciudad Juarez saranno presenti anche i parenti di alcuni dei 27.000 desaparecidos, vittime della guerra tra bande di narcotrafficanti, e dei femminicidi.

E ancora, il confronto con i vescovi nella cattedrale della Capitale, nell’ottica di una Chiesa sempre più in uscita verso tutte le periferie. Attenzione anche alle famiglie sempre più attratte dal consumismo. Ma poi ci sarà il momento del dialogo con i giovani. Il rischio per molti di loro è di cadere nelle maglie della criminalità, ma la Chiesa da anni fornisce il suo aiuto. Don Manuel Zubillaga, già responsabile Caritas a Città del Messico:

“Le località dove ci sono le parrocchie sono i posti dove si può intervenire nella rete sociale alla quale appartengono questi giovani. Penso che non pochi preti siano presenti in queste reti sociali dei giovani, ma non hanno visibilità”.

Sul fronte dei numeri, sono quasi 400 mila i volontari che in tutto il Paese stanno collaborando a questo evento. Almeno 20mila i componenti delle forze dell’ordine che veglieranno sulla sicurezza del Papa anche se non sembrano esserci preoccupazioni particolari. Un milione e 100 mila i biglietti distribuiti per le celebrazioni, ma in tanti vogliono partecipare anche se non hanno l’agognato tagliando.

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Papa in Messico. Il nunzio: nella gente c'è desiderio di conversione

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Per stanotte alle ore 2:30 locali è previsto l’arrivo di Papa Francesco all’aeroporto internazionale “Benito Juárez” di Città del Messico. Tra le curiosità di questo viaggio, Francesco percorrerà circa 400 chilometri in papamobile, incontrando così da vicino la popolazione. Sulle attese della popolazione e sulla preparazione del Paese per il viaggio del Pontefice, il nostro inviato Alessandro Guarasci ha intervistato il nunzio apostolico in Messico, l’arcivescovo Christophe Pierre

R. – Abbiamo avuto poco tempo, perché praticamente sono stati soltanto tre mesi di preparazione intensa. E’ vero che questo viaggio è un po’ "complicato", perché il Papa si muoverà tutto il tempo, non solamente nel centro del Paese per l’omaggio alla Vergine di Guadalupe, ma anche nel Nord, nel Sud, a Morelia. La logistica di un viaggio così è abbastanza complicata, però si lavora bene.

D. – Che cosa si aspetta il popolo messicano dal Papa?

R. – In questi anni di mia presenza in Messico, ho osservato che la fede dei messicani è molto caratterizzata, ovviamente, dalla devozione a Maria, alla Vergine di Guadalupe, ma anche dall’Eucaristia e dal Papa, che sono i tre fondamenti della fede locale. La gente veramente crede che il Santo Padre sia il Successore di Pietro e il rappresentante di Cristo. Io ho incontrato molte persone che vogliono vivere un’esperienza religiosa attraverso l’incontro con il Papa: andranno a queste manifestazioni con un desiderio di purificazione, di conversione.

D. – E allora questa visita ha un senso particolare, nell’Anno Santo della Misericordia?

R. – Sono sicuro che il Papa insisterà molto sulla dimensione della misericordia. La società messicana ha bisogno di riconciliazione, ha bisogno di speranza. Certamente, come ha detto varie volte il Santo Padre, per risolvere questi problemi, queste tensioni all’interno delle società - che il popolo messicano sperimenta fortemente - di certo l’annuncio della misericordia, l’esperienza della misericordia possono essere un modo di riconciliarsi con se stessi ma anche, per il popolo messicano, di re-incontrarsi con la propria identità. Sono sicuro che questo viaggio sarà, per la società messicana, un momento di serenità, di riconciliazione, per curare molte ferite.

D. – In passato, i rapporti tra Chiesa e Stato messicano hanno vissuto un periodo di difficoltà. Oggi la situazione com’è cambiata?

R. – La situazione è radicalmente cambiata, ma è cambiata già da alcuni anni: praticamente dal 1992, quando si sono ristabilite le relazioni tra la Santa Sede e lo Stato messicano. Però anche quando le Chiese – perché ovviamente ci sono altre denominazioni religiose – sono state ufficialmente riconosciute. Bisogna dire – e questo l’ho osservato – che culturalmente le relazioni nel loro complesso stanno migliorando di giorno in giorno, perché è più un fenomeno culturale. Poco a poco, le Chiese sono riconosciute come parte della vita nazionale, non c’è più – come c’era prima – la paura, per esempio, per un politico di mostrarsi in chiesa: l’idea che il politico cattolico pratichi la sua religione è una cosa normale, grazie a Dio.

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Papa-Kirill: padre Destivelle, esiste tradizione di dialogo

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Il padre domenicano Hyacinthe Destivelle, responsabile della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, sarà presente all’Avana per lo storico incontro tra Papa Francesco e quello che il Pontefice stesso, domenica scorsa all’Angelus, ha definito il “caro fratello Kirill”, il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. A Philippa Hitchen, padre Destivelle ha raccontato come la Chiesa ortodossa russa abbia una ricca storia di ricerca della riconciliazione tra le Chiese cristiane: 

R. – The Moscow Patriarchate is an important Church, because almost …
Il Patriarcato di Mosca è una Chiesa importante, in quanto quasi due terzi degli ortodossi sono membri del Patriarcato di Mosca. Esso comprende non soltanto la Chiesa che è in Russia, ma è – si potrebbe dire – la comunione delle Chiese locali in diversi Paesi. Secondo i dati forniti dal Patriarcato di Mosca, sono 14 i Paesi raggruppati nel suo territorio canonico. La maggior parte di questi sono Paesi dell’ex Unione Sovietica. Ovviamente è una Chiesa importante. Inoltre, nella sua storia, c’è sempre stata l’idea che la Chiesa russa si trovasse un po’ in mezzo tra Est e Ovest. L’idea è anche che essa abbia una vocazione ecumenica: infatti, è stata un’idea di Soloviëv, il grande filosofo russo, che era convinto della vocazione ecumenica dell’ortodossia russa tra Est e Ovest.

D. - Quasi come un ponte…

R. – Yes, a bridge...
Sì, un ponte. E in questa tradizione c’è stato un dialogo molto fruttuoso, alla fine del XIX secolo, tra la Chiesa ortodossa russa e l’antica Chiesa cattolica. Un altro esempio è il Concilio di Mosca del 1917: è stato il primo Concilio ortodosso che ha creato una Commissione per il dialogo inter-cristiano. Ed è stato in anticipo sui tempi: è stata la prima volta nella storia. Quindi, in tal senso, esiste una tradizione al dialogo.

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P. Arletti: incontro tra Francesco e Kirill rilancia l'ecumenismo

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Grande attesa, dunque, nel mondo intero per l’incontro a Cuba tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Un incontro storico tra i primati della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa russa, che apre nuove speranze sulla via dell’ecumenismo per l’unità dei cristiani. Roberta Gisotti ha intervistato padre Giorgio Arletti, rettore della Chiesa ortodossa di Tutti i Santi a Modena: 

R. – Le attese evidentemente sono molte. Il primo aspetto da mettere in risalto è la sorpresa che ha colpito un po’ tutti, in quanto molti si aspettavano una visita di Francesco in Russia o viceversa di Kirill a Roma. A me sembra che i punti principali siano questi; primo: è che la Chiesa russa ha avuto, nel 1989, una liberazione paragonabile a quella dell’epoca di Costantino. Secondo: è la ricostruzione fisica di tante chiese, edifici, monasteri che c’è stata in Russia; non so se torneremo ai 1.000 monasteri di prima del 1917 o alle 110 mila chiese, ma comunque un grosso lavoro è stato fatto. Terzo: - ed è questo a mio parere il punto centrale – la Chiesa russa del Patriarcato si è riconciliata dopo tanti anni con la Chiesa russa ‘libera’, ‘bianca’ o ‘monarchica’, che dir si voglia. Alcuni anni fa il Patriarca defunto, Alessio, si riconciliò con il capo di quella Chiesa. Però, la condicio sine qua non che fu posta per quell’unione, è che il Patriarcato rinunciasse all’ecumenismo. Ed è per questo che, sia con l’ultimo Alessio sia con Kirill nei primi anni di governo, l’ecumenismo si è un po’ "raffreddato". E poi, non dimentichiamo che la questione ucraina rimane sempre aperta.

D. – Padre Arletti, sappiamo che questo incontro è maturato durante due anni di preparazione: quindi un lavoro laborioso. Quali sono i nodi che sono stati sciolti e quali sono gli aspetti che hanno unito, motivato, cattolici e ortodossi russi per arrivare al traguardo?

R. – Veri nodi non sono stati sostanzialmente sciolti, perché la questione greco-cattolica in Ucraina rimane, la questione dell’ecumenismo è dibattuta all’interno delle Chiese ortodosse: c’è chi lo vuole e chi no. Io però faccio osservare solo questo, perché è un dato oggettivo che nessuno può contestare: in Italia sono state date più di 50 chiese cattoliche non più utilizzate al Patriarcato di Mosca. E a me questo sembra un bel segno di ecumenismo. Addirittura i romeni hanno avuto più di 150, forse 200 chiese, anche loro. Questa cosa è del tutto nuova.

D. – Kirill, per la prima volta da Patriarca, sarà in visita ufficiale in America Latina. Quale importanza riveste questo viaggio per la Chiesa ortodossa russa?

R. – Quando Sua Santità era Metropolita per gli Affari esteri del Patriarcato credo che lui sia già andato a Cuba per consacrare una chiesa nel Paese. Ne stanno consacrando tantissime di chiese russe all’estero: addirittura ora a Dubai. Perché i russi si stanno spargendo un po’ in tutto il mondo, di nuovo. Quindi si sblocca quel nodo gordiano, che era rimasto così avvoltolato dai tempi del Patriarca Alessio.

D. – Padre Arletti, comunque una tribuna importante questo incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, che avrà sicuramente ripercussioni importanti: vedere il cristianesimo che sa ritrovarsi, quindi rafforzare la sua immagine…

R. – C’è chi vede il Patriarca di Costantinopoli come il cosiddetto ‘Papa degli ortodossi’; altri invece vedono Kirill come tale. In realtà, nessuno dei due lo è. Bartolomeo è solo il coordinatore, il primus inter pares, che coordina gli altri patriarchi; ma il Patriarcato di Mosca è indubbiamente quello più numeroso, e quindi ha delle folle, tanti vescovi, tanti preti. E soprattutto, un suo ‘no’ o un suo ‘sì’ può determinare lo sbilanciamento della Chiesa ortodossa da una parte o dall’altra. Siamo a pochi mesi dal Sinodo panortodosso di Creta, che potrebbe – forse – risolvere alcuni problemi interni dell’ortodossia, non ultimo quello dei rapporti con la Chiesa di Roma.

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Riccardi: incontro tra Papa e Kirill, giorno benedetto per tutti

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L'incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill è una tappa storica sulla via dell'unità dei cristiani. Al microfono di Fabio Colagrande, la riflessione del prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio: 

R. – Certo che me l’aspettavo! E’ naturale! E direi che l’attesa si è troppo a lungo prolungata per i problemi che noi sappiamo, però da qualche anno s’era capito che l’incontro ci sarebbe stato. Non solo perché il Papa di Roma – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – l’aveva detto; ma anche si era capito da quello che il Patriarca Kirill aveva detto, perché un uomo di tale levatura, che conosce il valore della Chiesa di Roma e più volte anche mi ha parlato lui, personalmente, del fatto che il ruolo della Chiesa di Roma nell’ecumene cristiano è un ruolo importante … Quindi è un giorno benedetto, importante e questo incontro a L’Avana, all’aeroporto sarà un inizio, secondo me!

D. – Cosa ha convinto, secondo lei, Kirill a superare gli ostacoli che finora avevano impedito questo incontro?

R. – Il cambiamento dell’episcopato russo, l’imminenza del Concilio panortodosso, la crisi dei cristiani in Medio Oriente … sono molti motivi che hanno spinto a scegliere il momento di una decisione che, in un certo senso, era presa ma non aveva deciso il momento. In fondo, pensava di attendere …

D. – Quali gli effetti ecumenici di questo incontro a L’Avana?

R. – Molto importanti. Io voglio ricordare che la Chiesa russa fu la prima Chiesa a mandare gli osservatori al Concilio Vaticano II, e quello segnò una svolta. Oggi i rapporti ecumenici sono buoni, ma bisogna che i cristiani si parlino a livello di primati, come oggi avviene tra il Papa e il Patriarca. Cioè, bisogna che sui problemi concreti i cristiani non siano più divisi e non siano divisi certo sulla dimensione spirituale, ma anche di fronte al dramma dei cristiani perseguitati del Medio Oriente! C’è bisogno di una comune convergenza. Poi, vede, dal colloquio e dalla comunione dell’incontro diretto tra i due primati possono nascere frutti molto importanti.

D. – Quanto questo incontro si deve anche al lavoro ecumenico dei predecessori di Papa Francesco, e quanto alla particolare personalità di questo Papa, secondo lei?

R. – Io dico la verità: inizialmente, mi sembrava che un Papa – gioco sulla parola – così “francescano” non fosse proprio l’ideale per gli ambienti moscoviti. Ma mi sembra che abbiano cambiato molto idea, anche proprio per la sua presa di posizione sull’Ucraina: una vera presa di posizione da uomo di pace.

D. – Un incontro che San Giovanni Paolo II guarderà dall’alto con un sorriso …

R. – Io credo che lui l’abbia voluto, questo incontro; ma questo incontro in Ungheria o in Austria non è potuto avvenire, per tanti motivi che ora è inutile rivangare: il problema dell’Ucraina, il problema del cosiddetto proselitismo, il problema di due culture differenti – polacca e russa –, di alcuni malintesi … Però, già fin da allora c’era un dialogo. Io mi ricordo che il metropolita Kirill veniva spesso a Roma, incontrava il Papa – allora lui era incaricato delle relazioni internazionali della Chiesa.

D. – E infine, poi, cosa dice questo incontro al mondo “laico”?

R. – Dice che i cristiani sono una “internazionale” di pace, cercano la pace, si parlano … e questa è una cosa di grande rilievo.

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Telegramma del Papa all'Italia: porto in Messico messaggio di speranza

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Mi reco in Messico “per sostenere la missione della Chiesa locale e portare un messaggio di speranza”. È quanto scrive Papa Francesco al Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nel telegramma inviato durante il volo che lo porterà prima a Cuba, per lo storico incontro con il Patriarca ortodosso russo Kirill all’aeroporto dell’Avana, e poi appunto in Messico. Salutando il Capo di Stato, il Pontefice esprime pure “fervidi auspici per il benessere spirituale, civile e sociale del popolo italiano”, inviando la benedizione apostolica.

“L'Italia e la comunità internazionale guardano con autentico interesse alla sua nuova missione nel continente americano”, scrive in un messaggio di risposta il presidente Mattarella, ricordando le visita di Francesco nel luglio scorso in Ecuador, Bolivia e Paraguay e, in settembre, a Cuba. Il Messico, “Paese emblematico della poliedrica realtà latino-americana, nel quale contrasti profondi si accompagnano a enormi potenzialità”, attende con fiducia, “a partire dai poveri, dagli emarginati e da quanti vivono ogni giorno in condizioni di precarietà e difficoltà” il messaggio di “pace, solidarietà di speranza” del Pontefice, aggiunge Mattarella. “L'Italia e la comunità internazionale – prosegue il Capo dello Stato italiano -  seguiranno poi con speciale attenzione il suo storico incontro a Cuba con il Patriarca Kirill, che costituirà un momento di fondamentale importanza per i cristiani e per tutti coloro che credono fermamente nella cultura del dialogo”. Il Pontefice ha inviato telegrammi di sorvolo anche alle autorità di Francia, Spagna e Portogallo, assicurando le proprie preghiere e benedizioni per i popoli di quei Paesi. (G.A.)

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Tweet Papa: affido alla Vergine Maria il mio viaggio in Messico

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"In Messico guarderò gli occhi della Vergine Maria, la supplicherò di continuare a guardarci con misericordia. A Lei affido il mio viaggio". Così Papa Francesco in un tweet sul suo account Twitter in 9 lingue @Pontifex.

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Nomine episcopali di Francesco in Italia e Malta

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In Italia, il Papa ha nominato arcivescovo di Matera-Irsina il rev.do Antonio Giuseppe Caiazzo, del clero dell’arcidiocesi di Crotone-Santa Severina, finora Parroco e Vicario Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata.

Nella Repubblica Ceca, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Plzeň, presentata da mons. František Radkovský, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo di Plzeň mons. Tomáš Holub, attuale Segretario Generale della Conferenza Episcopale Ceca e Parroco a Vyšehrad.

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Mons. Zimowski in Terra Santa: Gesù al servizio dei sofferenti

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“La malattia può essere la via per arrivare ad una più stretta vicinanza con Gesù che cammina al nostro fianco, caricato della Croce.” Con queste parole impresse nei cuori, scritte da Papa Francesco nel messaggio per la XXIV Giornata del Malato, la delegazione pontificia, giunta per la settimana dedicata a questa giornata istituita da San Giovanni Paolo II nel ‘93, ha intrapreso un particolare pellegrinaggio in Terra Santa. Da Nazareth, il servizio di Miriam Bianchi per il Christian Media center

E’ in corso la settimana dedicata alla Giornata Mondiale del Malato 2016. Ed é la prima volta, da quando Papa Giovanni Paolo II istituì tale ricorrenza, ogni 11 di febbraio, che le celebrazioni ufficiali si svolgono in Terra Santa. Un tema particolare quello scelto per questa edizione, la 24.ma, tratto dal Vangelo di Giovanni: “Affidarsi a Gesù misericordioso come Maria: qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Giornate intense quelle che hanno coinvolto i pellegrini del Pontificio consiglio per gli Operatori sanitari, che ogni giorno si sono ritrovati in una diversa città per recitare le lodi e i vespri, e per celebrare l’Eucarestia, la Riconciliazione e l’unzione degli infermi. Un pellegrinaggio che ha previsto inoltre incontri con numerosi istituti sanitari e opere caritative che operano qui in Terra Santa.

Toccante celebrazione della Giornata del Malato nella Basilica dell'Annunciazione a Nazareth
Presso il Pontificio Istituto Notre Dame di Gerusalemme, si è tenuto prima un incontro tra la delegazione della Santa Sede, gli ordinari cattolici di Terra Santa e alcuni vescovi, dal titolo: “Ero malato e mi avete visitato”; poi un convegno teologico pastorale dal titolo: “La vita umana è sacra, preziosa e inviolabile”, tenuto dal prof. Etienne Lepicard. Due occasioni in cui i vari rappresentanti delle realtà caritative e sanitarie della Terra Santa, durante la conferenza, hanno condiviso la loro esperienza, esprimendo esigenze, ma soprattutto testimoniando il bisogno di mettere il malato al primo posto. Inoltre, hanno aiutato i partecipanti ad approfondire il valore della malattia, poiché, come ha sottolineato il segretario del Pontifico Consiglio, Jean-Marie Mupendawatu, “Continuiamo a fare del bene, perché la sofferenza è salvifica”.
Tra i presenti anche l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, in Iraq, i cui parrocchiani sono stati costretti ad abbandonare le proprie terre, pur di non rinnegare la propria fede.L’evento centrale è stato la Messa solenne tenutasi ieri nella Basilica dell’Annunciazione a Nazareth, nella Giornata Mondiale del Malato; perché, come ha sottolineato l’inviato speciale, mons. Zygmunt Zimowski, che guida la delegazione della Santa Sede: “Il significato di questa giornata è stato descritto dalla Lettera che Giovanni Paolo II ha rivolto a Sua Eminenza Angelini, il primo presidente del Pontificio Consiglio, cioe’: 'Sensibilizzare la gente verso i malati, verso i sofferenti, ma anche sensibilizzare i sofferenti che offrono le loro malattie e sofferenze per gli altri'”.

Commozione tra i malati, mons. Zimowski: Cristo serve gli ammalati e i sofferenti
La Basilica Superiore dell’Annunciazione ha accolto tanti cristiani locali e pellegrini, sopra quella grotta dove la Vergine Maria disse il suo “sì”. Nella solenne celebrazione eucaristica in latino, animata da canti in arabo, sono risuonate forti nell’omelia di mons. Zimowski le parole di Papa Francesco: “Possiamo chiedere a Gesù misericordioso, attraverso l’intercessione di Maria, Madre sua e nostra, che conceda a tutti noi questa disposizione al servizio dei bisognosi e concretamente ai nostri fratelli e alle nostre sorelle malati”.
In prima fila loro, i malati delle tante istituzioni presenti in Terra Santa, ad offrire le proprie sofferenze e a rappresentare tutti coloro che sparsi nel mondo soffrono. Perché, come ha sottolineato mons. Zimonski: "Cristo, chiamato con fiducia presso i malati, Cristo chiamato dagli ammalati, Cristo al servizio degli uomini sofferenti".

Non è mancato il ringraziamento a quanti dedicano il loro tempo ai malati: medici, infermieri, tutti i rappresentanti degli operatori sanitari, le istituzioni che servono la salute umana; perché - ha continuato nella sua omelia - “l’uomo soffre in diversi luoghi; a volte soffre terribilmente e chiama un altro uomo. Ha bisogno del suo aiuto. Ha bisogno della sua presenza”.

Ma è nel momento dell’unzione degli infermi che questa XXIV Giornata Mondiale del Malato trova la sua massima espressione; il popolo di Dio si riunisce sotto la Croce e si riconosce bisognoso della cura e della misericordia di Dio.

E’ stato infine annunciato, alla fine della celebrazione eucaristica, che la prossima Giornata Mondiale del Malato si terrà in India.

Le celebrazioni e gli incontri continueranno anche nei prossimi giorni qui in Terra Santa, ma nei cuori dei presenti rimarranno le parole del Santo Padre:  “A tutti coloro che sono al servizio dei malati e dei sofferenti, auguro di essere animati dallo spirito di Maria, Madre della misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio e portarla impressa nei cuori e nei gesti”.

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P. Majewski: la Radio Vaticana da 85 anni parla al cuore della gente

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Il 12 febbraio del 1931 alle 16.49, Papa Pio XI inaugurava la Stazione Radio vaticana, progettata da Guglielmo Marconi. Dunque oggi la nostra emittente compie 85 anni e continua, come disse lo stesso Pio XI, a “diffondere nei cinque continenti la voce del Papa e della Chiesa”, ma con mezzi e servizi del tutto nuovi. Presente sui social, con un sito web in 39 lingue e in collaborazione con le radio Europee, oggi l’emittente del Papa fa parte del nuovo Dicastero della Segreteria della Comunicazione. Passato presente e futuro della Radio Vaticana nelle parole del Direttore dei programmi padre Andrzej Majewski. L’Intervista è di Gabriella Ceraso

R. – La Radio Vaticana è nata per iniziativa dello stesso Guglielmo Marconi che ha inventato la radio. Questo fa in modo che siamo - come dice Papa Francesco - come un nonno che sa trarre le cose buone del passato, ma sa anche dialogare con i giovani. La radio in quanto tale oggi percorre una strada diversa da prima: c’è chi dice che la radio non ha più senso, che è un mezzo vecchio, ma io sono convintissimo che non è così. La radio accompagna la gente oggi come ieri; parla al cuore della gente; parla in tutto il mondo. Questo servizio oggi viene solamente potenziato e certamente il futuro della radio è di essere molto presente nella vita culturale della gente.

D. - Negli ultimi quattro anni anche la Radio Vaticana, come molte altre, ha subito un’accelerazione sul fronte tecnologico e del web; ci sono stati tanti cambiamenti a partire dal sito, ma non solo. Questo significa che bisogna andare avanti anche nel linguaggio?

R. - Mi pare che tutto ciò che ci offre la modernità, sto pensando a Facebook, Twitter, crea la possibilità di poter dialogare con l’ascoltatore, cosa che prima era molto limitata. Noi stiamo usando questi mezzi: basta pensare che i nostri followers Facebook, per esempio del programma inglese, sono più di un milione, così come per il programma brasiliano e tanti altri. Questa è una delle nuove possibilità che ci vengono offerte dai nuovi media e noi la sfruttiamo pienamente anche parlando con linguaggio moderno alla gente, su temi a volte difficili riguardo l’insegnamento della Chiesa.

D. - Se lei dovesse indicare i maggiori risultati o cambiamenti, della Radio oggi, quali fronti indicherebbe?

R. - Tutto ciò che riguarda il digitale, cominciando dalla qualità del suono: da molto tempo usiamo il sistema Dab, ma anche tutto il fronte social. Per il futuro, per esempio, una cosa piccola forse, ma importantissima per noi è questa: tra poco entrerà in uso il nuovo player della Radio Vaticana. In questo modo potremo seguire tutte le cerimonie del Papa con il commento in diverse lingue - almeno cinque o sei - da tutti i dispositivi. Questo certamente creerà nuove possibilità per diffondere il nostro annuncio.

D. – La Radio Vaticana, come ormai tutti sanno, per volere del Papa fa parte della Segreteria della Comunicazione che tra l’altro proprio nella nostra emittente per ora ha la sua sede. Che ruolo avrà la Radio in questo nuovo contesto di interazione con altri mezzi di comunicazione vaticani?

R. - Già da parecchio tempo ci stavamo organizzando per entrare in questa nuova struttura che ha come scopo l’integrazione dei media vaticani, sono nove istituzioni. Certamente questo ci darà più possibilità di interagire con gli altri media come l’Osservatore Romano, il servizio fotografico soprattutto,  e la Televisione Vaticana, il Ctv. La collaborazione con quest’ultimo media ci permettere di mettere già da adesso i videoclip. Penso quindi che in futuro questa collaborazione sarà sempre più piena ed efficace. Stiamo vivendo nel mondo del sincronismo, dell’integrazione e la Radio Vaticana non può mancare a questo appuntamento.

D. - Essere testimoni credibili del Vangelo: il Papa lo ripete sempre. Anche noi come comunicatori e  la radio ha questa funzione? Si può dire che sarà sempre una sfida per il futuro ?

R. – La radio deve portare all’incontro con le persone, deve costruire i ponti, ma questo è solo lo strumento, la strada. L’ultima parola spetta agli ascoltatori che sentendo il nostro messaggio, possano avvicinarsi, dialogare e prendere delle nuove iniziative.Questo è il servizio che possiamo offrire al mondo d’oggi.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un viaggio voluto per pregare davanti alla Madonna di Guadalupe: Francesco a Cuba incontra il Patriarca Cirillo prologo della visita pastorale in Messico.

L'Orbita della formica: Guy Consolmagno sul primo rilevamento di onde gravitazionali.

Sorpresa e ironia: Giulia Galeotti sull'esibizione a San Remo di Ezio Bosso, pianista affetto da sclerosi laterale amiotrofica, e dell’atleta paraolimpica Nicole Orlando, con la sindrome di Down.

Viaggio nell'umanità: Sergio Massironi sulla mostra di fotografie di Christian Tasso che gira il mondo per immortalare le condizioni di chi vive la disabilità.

Teologia della visibilità: Ilaria Fiumi Sermattei e Roberto Regoli raccontano "La corte papale" nell’età di Leone XII (Il loro libro dallo stesso titolo sarà presentato lunedì 15 febbraio).

Giustizia e dono: uno stralcio dal libro di Beatrice Gatteschi e Roberto Maier, Il turbante azzurro, un «duetto sul tempo della malattia dove la scrittura diventa indagine, scavo, consolazione».

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Oggi in Primo Piano



Siria: opposizioni contestano accordo per il cessate il fuoco

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Le opposizioni siriane in esilio rifiutano con forza l’accordo per un cessate il fuoco entro una settimana in Siria, raggiunto nella notte a Monaco di Baviera dalle delegazioni di 17 Stati. Tuttavia Mosca continua ad auspicare una messa in pratica a breve dell’intesa e nel pomeriggio le Nazioni Unite riuniranno una task force che metterà a punto un intervento umanitario. Intanto, secondo fonti locali, proseguono intensi raid aerei russi su Aleppo mentre un rapporto indipendente aggiorna drammaticamente il bilancio delle vittime complessive di cinque anni di guerra a 470mila morti. Ma sulla reale portata dell’accordo per la fine dei combattimenti Marco Guerra ha intervistato il corrispondete dell’Ansa per il Medio Oriente, Lorenzo Trombetta: 

R. – Sicuramente è un accordo formale che va letto in maniera positiva, almeno per quanto riguarda il fatto che Russia e Stati Uniti hanno trovato un compromesso sulla data del cessate il fuoco: la Russia chiedeva il primo di marzo, gli Stati Uniti chiedevano un cessate il fuoco immediato. Hanno trovato questo punto di accordo. Bisogna però essere molto cauti perché sul terreno la guerra continua e ci sono dei dati che non inducono all’ottimismo: nessuna delle forze regionali, internazionali e locali in Siria che attualmente  si stanno facendo al guerra, dimostra di avere interesse a un cessate il fuoco;  né quelli che attualmente stanno in una fase di offensiva che sentono di poter vincere una parte della battaglia né quelli che si trovano in una fase difensiva e che stanno aspettando che si alzi il coro da parte dei loro rivali e sperano che altre potenze regionali entrino a soccorrerli. Quindi un cessate il fuoco potrebbe essere per tutte le parti una soluzione non positiva, ecco perché bisogna essere molto cauti dopo l’annuncio fatto a monaco.

D. - Prima di fermare i combattimenti il governo di Damasco e la Russia cercheranno di riconquistare la città di Aleppo. Sappiamo che i combattimenti dovranno finire entro una settimana …

R. - Credo che l’obiettivo delle forze lealiste, diciamo dei governativi di Damasco aiutati da Iran, Hezbollah e i russi in primis non è quello di riprendere Aleppo città, perché questo è un obiettivo che militarmente richiede settimane se non mesi. Potrebbero esserci battaglie di strada prolungate, molto sanguinose, in qualche modo dovrebbero distruggere, radere al suolo parte di Aleppo per prenderla. Credo che l’obiettivo delle forze lealiste sia invece quello di circondare ancora di più Aleppo che attualmente è circondata su tre dei quattro lati e di costringere chi rimane ad una resa. Credo che questo sia l’obiettivo nel breve e medio termine.

D. - L’Onu intanto riunirà oggi una task force a Ginevra per mettere a punto un piano di interventi umanitario che dovrebbe entrare in azione - anche questo  - la prossima settimana. Ma in un Paese controllato da diverse realtà, tra cui lo Stato islamico, come è possibile implementare questo piano?

R. - Infatti questa task force avrà oggi e domani il compito di rilasciare dei comunicati, di indicare delle direzioni di aiuto, ma di fatto sul terreno gli operatori sanitari che siano dell’Onu o di altri operatori sanitari, avranno estrema difficoltà per portare avanti quanto dichiareranno oggi e domani a Ginevra. Se i combattimenti dovessero effettivamente cessare il 19 febbraio prossimo, da adesso fino a quella data, ci sarà un’escalation drammatica della violenza, perché le parti rivali cercheranno di guadagnare più terreno possibile prima che in qualche modo il “negozio chiuda”. Quindi bisognerà immaginare non solo 10-15mila civili siriani in fuga verso le frontiere, ma non è esagerato pensare che si arrivi a 100-150mila profughi nell’arco di poche settimane. Gli operatori umanitari,  fino a quando gli aerei russi o quelli della coalizione o quelli di Damasco saranno in giro a bombardare, avranno poca possibilità di intervenire.

D. - Resta invece tutto da definire il futuro del Presidente siriano Assad e dell’assetto politico del Paese...

R. - Tutta questa questione è rimandata sine die; era al centro dei colloqui indiretti di Ginevra programmati per fine gennaio, era al centro delle riunioni che si sono svolte a Vienna a dicembre. Sappiamo poi come sono andati quelli di Ginevra; non sono mai partiti. L’attuale situazione regionale sul terreno in Siria posticipa ogni tipo di discorso su quale sarà l’assetto politico della Siria di domani, quindi per il momento Assad rimane un contestato Presidente della Repubblica di una parte della Siria. Il portavoce dell’opposizione in esilio, sostenuto dagli Stati Uniti e all’Arabia Saudita, ha detto chiaramente: “Noi pensiamo di tornare a parlare veramente di politica quando ci sarà garantito che Bashar al Assad se ne andrà”.

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Economia: le difficoltà dei mercati finanziari nel mondo

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Ancora difficoltà sui mercati finanziari mondiali. Dopo le perdite dei giorni scorsi, le borse europee sono oggi in leggero rialzo, mentre quelle asiatiche, Tokyo in testa, fanno registrare un’altra seria battuta d’arresto. Sullo sfondo della situazione, la sfiducia nei confronti delle banche sulla capacità a stimolare la crescita globale. Giancarlo La Vella ha intervistato l’economista Alberto Banfi, docente all’Università Cattolica di Milano: 

R. – Le borse stanno andando così male perché i Paesi emergenti, che sono cresciuti tanto, come l’economia cinese, asiatica e brasiliana, stanno facendo vedere che non è tutto oro quello che luccica e quindi si teme moltissimo che questo nuovo motore dell’economia mondiale vada in difficoltà e avvenga la temuta recessione a livello mondiale. Quindi, di conseguenza, le borse recepiscono questo messaggio  e le banche in tutto il mondo, che sono il motore comunque della trasmissione del finanziamento da chi risparmia a coloro che investono, evidentemente sono di fronte a uno scenario che è diventato particolarmente cupo. Siamo di fronte ad un momento di grandissima trasformazione: le banche in qualche modo devono cambiare il loro modello di business. Aggiungiamo il fatto che c’è una fortissima speculazione.

D. – Queste difficoltà degli istituti bancari sono  dovuti, secondo lei, al fatto che la banca ha perso la sua funzione sociale ed è diventata essa stessa operatrice nel mercato finanziario?

R. - Le banche sono imprese e, quindi, devono guadagnare. Fanno credito e lo fanno bene, raccogliendo soldi dai risparmiatori, per poi finanziare le imprese che meritano di essere sostenute, perché in questo modo sono in grado di mantenere una redditività adeguata, pagando i dipendenti e garantendo e assicurando la tranquillità dei depositanti.

D. - Diminuisce il credito, ma da parte delle imprese diminuisce la potenzialità a creare prodotti interessanti per il mercato generale?

R. - Certo ma, dal 2002, mentre le banche hanno sempre concesso il credito, gli investimenti delle imprese sono nettamente crollati. Le imprese finanziate, che hanno fatto investimenti adesso sono quelle che vanno benissimo. Molte imprese hanno invece ottenuto il credito, giustamente perché erano in difficoltà, ma non potevano fare investimenti e hanno utilizzato il credito per affrontare le difficoltà del momento. Buona parte di queste imprese troppo piccole non innovative, che non fanno ricerca o modifiche del processo produttivo si sono trovate completamente spiazzate.

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Il ricordo dei 21 egiziani copti uccisi dall'Is un anno fa in Libia

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Lunedì prossimo il primo anniversario del martirio dei 21 egiziani copti, rapiti e poi trucidati in Libia dai miliziani del sedicente Stato Islamico (Is). Sono diverse le iniziative di preghiera e commemorazione in programma in Egitto, in vista della ricorrenza. Per sapere in che modo la comunità copta viva questo momento, Eugenio Bonanata ha intervistato il vescovo di Giza, mons. Antonius Aziz Mina: 

R. – È un dolore per tutto l’Egitto, non soltanto per i cristiani. È bene che si pensi alla situazione dei copti in Egitto, perché ci fa sentire la solidarietà di tutto il mondo. Ma non bisogna sempre prendere la vita in Egitto “a fette”: cioè i cristiani e gli altri. Credo che questo vada a nuocere alla vita sociale del Paese: dobbiamo evitare tali distinzioni. In Egitto la situazione è difficile per quanto riguarda la tutela dei diritti dell’uomo, che lascia tanto a desiderare. Dopo gli eventi di questi ultimi anni, noi credevamo veramente che le cose dovessero cambiare. Siamo una società libera e laica. Ma vedo che ci sono tanti problemi. Si sa di processi ai danni di pensatori accusati di offendere la religione. Ora, per esempio, ci sono giovani in carcere con l’accusa di aver effettuato attentati contro il vecchio regime, quando hanno fatto la rivoluzione. E quindi c’è tanto da dire, tanto da difendere in questi giorni, per arrivare ad uno Stato libero, uno Stato di diritto.

D. – Voi copti avete avanzato richieste specifiche alle autorità?

R. – Veramente no, perché la lotta c’è stata quando abbiamo redatto la Costituzione. Si è cercato di dare ad ognuno il suo diritto, consapevoli che - se tutti gli egiziani hanno i loro diritti - di conseguenza devono averli anche i copti, perché sono anche loro egiziani. C’era soltanto qualcosa di particolare per i cristiani sulla costruzione delle case di culto. E il Parlamento dovrà esaminare questa legge e dovrà approvarla al primo turno. Quindi, la nostra speranza è quella di poter vedere applicata questa Costituzione, approvata dalla popolazione a grande maggioranza, come mai era stato fatto fino ad ora per nessun’altra Costituzione. Tutto ciò per vedere uno Stato libero di diritto, che rispetta ogni persona e rispetta i diritti dell’uomo.

D. – Avete subito minacce terroristiche?

R. – Qui personalmente no. Ma talvolta succede. Si vede che gli attentati non si verificano con lo stesso vigore di prima. Succedono comunque e sono all’ordine del giorno: ci sono sempre attentati contro poliziotti, posti di blocco, edifici che bruciano. Sono episodi tragici che ci fanno male e ci procurano dolore, ma non accadono con la stessa intensità di prima.

D. – Quindi possiamo dire che la situazione sta migliorando per i copti in Egitto?

R. – Certamente c’è tanta positività. E soprattutto per il fatto che ora abbiamo un presidente che incoraggia il rinnovamento del linguaggio religioso e fa sempre dei passi positivi verso la comunità copta. Per la seconda volta a Natale è andato nella cattedrale per augurare “Buon Natale” ai cristiani; quando si costruisce una nuova città, si chiede sempre se è stata costruita la chiesa, così come la moschea. Quindi questi sono dei segni positivi. Dobbiamo soltanto vedere come si realizzerà questo volere e quanto potrà diffondersi questo spirito di apertura, per vedere tutti gli egiziani come cittadini, senza divisioni legate al colore, alla fede, alla confessione.

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Bambini soldato: vittime delle violenze nei Paesi in conflitto

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Si celebra oggi la Giornata internazionale contro l’impiego dei bambini soldato. Un’occasione per ricordare i più di 250.000 adolescenti e bambini che ogni giorno sono vittime delle violenze nei Paesi in conflitto. Natalia La Terza ha chiesto a Filippo Ungari, responsabile Comunicazione e Campagne di Save The Children, come vengono arruolati i bambini soldato: 

R. – È difficile fare una stima esatta del numero dei bambini soldati nel mondo. Le ultime stime parlavano di oltre 250.000 bambini soldato. Si trovano naturalmente nei Paesi che sono attualmente in guerra. Quindi soprattutto in alcuni Paesi africani, coma la Repubblica Democratica del Congo o la Repubblica Centrafricana; in alcuni Paesi asiatici. Ma sono presenti a grappolo un pochino in tutte le parti del mondo. I bambini soldato sono tra le categorie che subiscono le maggiori violazioni dei diritti dell’infanzia. A volte possono essere anche estremamente giovani: con un’età inferiore  ai 6, 7, 8 anni. Molto spesso sono adolescenti o preadolescenti, e vengono utilizzati dagli eserciti regolari, o dalle milizie armate, per svariati compiti. Molto spesso sono impiegati in prima linea: quindi rischiano di morire, di essere feriti, oltre a subire dei traumi psicologici notevoli, che difficilmente riusciranno a cancellare nel corso della loro vita.

D. – Come vengono arruolati i bambini soldato?

R. – Spesso e volentieri questi bambini non hanno una grande scelta. Sono molto fragili, e vengono arruolati facilmente dalle milizie in lotta, dietro promessa di un pasto al giorno, di uno status sociale diverso che possa riscattarli dalla povertà. Abbiamo testimonianze di bambini soldato che vengono drogati o che sono costretti a bere degli alcolici o a prendere degli eccitanti per poter stare al fronte. E non è raro che venga chiesto loro di vendicarsi, e quindi di arrivare ad uccidere anche loro parenti, i loro genitori.

D. – La definizione di “bambino soldato” comprende anche le bambine sotto i 18 anni. Quali sono le loro condizioni?

R. – Abbiamo assistito anche a delle situazioni in alcuni Paesi o in alcune zone dove il reclutamento delle bambine era particolarmente forte. Negli eserciti o nelle milizie sono impiegate anche le bambine, direttamente per i combattimenti o a volte come “mogli” dei capi militari: sostanzialmente diventano schiave sessuali di questi ultimi. Subiscono ovviamente dei traumi fortissimi. Quindi la prima cosa che bisogna fare è prevenire l’arruolamento dei bambini soldato con delle leggi nazionali e delle prassi, che gli eserciti e le milizie devono seguire.

D. – C’è un modo per prevenire e curare i traumi subiti dai bambini?

R. – Una delle maggiori modalità per evitare che i bambini subiscano dei traumi, e che possano essere arruolati negli eserciti, è l’educazione. Ci sono quasi 50 milioni di bambini, tra i 6 e i 15 anni, che non hanno accesso all’educazione a causa delle guerre e dei conflitti. Tanto per fare un esempio, in Siria il tasso di scolarizzazione è calato dall’inizio del conflitto da una quasi totalità – quasi il 100% – al 6% in alcune zone del Paese. Una scuola su quattro è danneggiata o occupata. E poi, nello specifico dei traumi psicologici bisogna assicurare a questi bambini un’assistenza adeguata, non semplicemente liberarli. Quando vengono fatti accordi con le milizie e con gli eserciti vengono spesso liberati, ma sono un po’ abbandonati a loro stessi. Hanno bisogno di un’assistenza psicologica specifica. Sono quasi completamente rifiutati dalle loro comunità di appartenenza, perché magari riportano a casa un figlio o una figlia, venuti fuori dalle violenze sessuali che hanno subito durante l’arruolamento.

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Celebrazioni per San Benedetto: la fiaccola farà tappa in Olanda

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Dai borghi di Norcia, Subiaco e Cassino alle città olandesi dell’Aia e di Amsterdam. Questo il percorso quest’anno della fiaccola Pro pace et europa una, nata per celebrare San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa. Festeggiamenti che cominceranno dalla fine di febbraio agli inizi di aprile, con il patrocinio del Parlamento Europeo. Il servizio di Michele Raviart

Proclamato “patrono principale d’Europa” da Paolo VI nel 1964, San Benedetto da Norcia, considerato il fondatore del monachesimo occidentale è una figura chiave per le radici comuni europee. Ogni anno una fiaccolata in nome della pace e dell’Europa lo ricorda, in un evento che - spiega il presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz -  “diffonde i valori della giustizia, della pace e dell’affinità tra i popoli di tutta Europa ed oltre, così come promuove e tutela il patrimonio culturale europeo. Enrico Gasbarra, europarlamentare:

“In questa fase così difficile dell’Europa, San Benedetto e le sue regole, la sua fede e i suoi insegnamenti possono essere il faro dell’Europa che deve riscoprire l’uomo: ora et labora. Le celebrazioni dei benedettini possono essere, secondo me, un fulcro di riflessione proprio sull’Europa, a partire da due appuntamenti importanti: il Giubileo della Misericordia e i 60 anni della firma dei Patti europei del 25 marzo del 1957”.

La fiaccola sarà accesa a Norcia e a Subiaco il 27 e il 28 febbraio e il 2 marzo sarà benedetta in Vaticano da Papa Francesco. Il 6 marzo raggiungerà Cassino per partire verso l’Olanda, in concomitanza del semestre del Paese alla presidenza dell’Unione Europea. Lì il 10 marzo, raggiungerà Amsterdam, il monastero benedettino di Santa Lioba ad Egmond e l’Aia, dove l’11 marzo sarà eseguita in concerto la Cantica de Sancto Benedicto, che il compositore olandese Jacob De Haan donò a Papa Benedetto XVI nel 2007. Il commento di Nicola Alemanno, sindaco di Norcia:

“Queste tre piccole città – Norcia, Subiaco e Cassino – sentono forte e importante il peso e la responsabilità di dover diffondere il messaggio dei valori di San Benedetto, ancora oggi così attuali dopo oltre 1500 anni. Noi siamo profondamente convinti che tutti i popoli d’Europa non debbano guardare solo ragioni di carattere economico e politico per stare insieme, ma abbiamo radici e identità molto più profonde di cui San Benedetto è il testimone più illustre”.

All’inizio di aprile una marcia di tre giorni porterà la Fiaccola attraverso il Cammino di San Benedetto, un percorso di 330 km che collega la città natale di San Benedetto all’abbazia di Monte Cassino. Il pellegrinaggio è stato inserito tra i percorsi giubilari del Giubileo della Misericordia, con l’obiettivo di rivalutare i cammini spirituali italiani. Daniele Leodori, presidente del Consiglio regionale del Lazio:

“Lazio, Umbria e l’Italia in genere credo che su questo settore abbiano perso qualche decennio. Basti pensare all’importanza che ha assunto in Europa e nel nostro continente il Cammino di Santiago e quanto indietro siamo noi come Paese rispetto a quel modello. Noi, quindi, dobbiamo cercare di creare un modello che funzioni e che dia un’opportunità alle centinaia di migliaia di fedeli che vengono nel nostro Paese, ai quali noi fino ad oggi abbiamo offerto poco se non niente”.

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Al via il Festival Internazionale del cinema di Berlino

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Si è aperto ieri sera a Berlino il Festival Internazionale del cinema, giunto alla 66.ma edizione. Una prima giornata all'insegna di Hollywood e delle star internazionali, prima dell'inizio di uno dei festival più attenti al cinema di tutti i continenti. Il servizio di Miriam Mauti

L'edizione numero 66 della Berlinale è più aperta che mai al cinema del mondo. Qui vedremo fino al 20 febbraio film dalla Nuova Zelanda al Sudamerica, dal grande continente africano alla Cina e al Giappone. Ma l'apertura è stata nel segno di Hollwyood. Il primo film, 'Ave Cesare', ha portato nella capitale tedesca George Clooney, Tilda Swinton e Channig Tatum e Josh Brolin, diretti dai fratelli Coen, che hanno realizzato un raffinato e affettuoso omaggio alla Hollywood degli anni 50, tra citazioni e scherzi cinefili, nel quale raccontano la macchina della produzione di un film, definendo anche il cinema però, in una battuta di 'Ave Cesare', "la razione di sogni per gente stremata". Sui film della selezione ufficiale del concorso dirà la sua, una giuria prestigiosa, che ha nella sua presidente Meryl Streep, che non aveva mai accettato finora di partecipare ad una giuria, un valore aggiunto:

"It’s just a wonderful jury...
Una meravigliosa giuria - ha detto la grande attrice - sto aspettando con ansia di sederci intorno ad un tavolo a parlare di cinema. Dopo ogni film avremo il lusso di  parlare di film, una cosa che condividiamo e che significa cosi tanto per noi. Non so come si guidi una giuria - ha precisato -, ma so che tutti saremo liberi di dire quel che pensiamo. Anche se alla fine, il mio voto varrà doppio!”. Al di là degli scherzi, la Streep ha parlato della sua voglia di scoprire un cinema di Paesi e lingue diverse “sperando così poi di poterlo far conoscere anche negli Stati Uniti”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovo Aleppo: incontro Papa-Kirill frutto anche delle nostre sofferenze

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“I cristiani di qui si sono accorti che le loro sofferenze non cadono nel nulla: l'incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill lo percepiscono come il frutto della croce che stanno vivendo. La sofferenza di tutti i cristiani del Medio Oriente porta il frutto dell'unità, e ne potrà portare anche altri. Questo per noi è una grande consolazione e ci aiuta a andare avanti, anche se dobbiamo ancora soffrire”. Così il vescovo Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino, descrive all'agenzia Fides i sentimenti che registra in questi giorni tra i cristiani della sua città, mentre le notizie sull'incontro a Cuba tra il Vescovo di Roma e il Primate della Chiesa ortodossa russa si mescolano a quelle su un possibile, imminente cessate il fuoco nei teatri di guerra siriani.

In Siria si sperimenta l'ecumenismo del sangue
“Qualche giorno fa” aggiunge il vescovo francescano “un alto rappresentante del Patriarcato di Mosca ha detto esplicitamente che a rendere urgente l'incontro di Cuba è stata la comune sollecitudine per le sofferenze dei fratelli cristiani del Medio Oriente. Di questo abbiamo parlato anche nelle omelie e nei nostri incontri: i fedeli ritrovano coraggio, quando si accorgono che le loro sofferenze hanno a che vedere in maniera misteriosa con l'unità tra i fratelli separati, dove Cristo ci abbraccia e ci consola tutti”.

Le speranze per il cessate il fuoco
Il vicario apostolico di Aleppo riporta anche le attese suscitate nella popolazione dalle notizie su un possibile, imminente cessate il fuoco imposto alle parti coinvolte nel conflitto siriano: “Per noi” dice a Fides il vescovo Abou Khazen “sarebbe un sogno. Rimane l'incognita dei gruppi jihadisti. Sappiamo che per buona parte sono stranieri: chi li comanda? A chi rispondono? Aderiranno alla tregua?”. 

In alcune zone di Aleppo ricomincia la distribuzione di acqua e luce
​Il vicario apostolico fornisce anche notizie di prima mano sulla situazione di Aleppo: “L'esercito regolare avanza con l'aiuto dei russi, e nei quartieri liberati ricomincia a funzionare l'acqua e la luce, riaprono le scuole. In molte situazioni si offre la possibilità di riconciliazione ai siriani che si erano legati coi gruppi di ribelli. Sono le milizie combattenti controllate da stranieri che impongono ancora le resistenza e la guerra. E tra la popolazione prevale apprezzamento per il ruolo giocato dai russi”. (G.V.)

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Patriarca Laham: accordo sulla Siria un passo positivo

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Una notizia “positiva”, che “tutti noi speriamo possa dare benefici al Paese e al suo popolo”. La decisione di cessare il fuoco “era già contenuta nella risoluzione Onu 2254 del dicembre scorso”, poi vi sono stati “i dialoghi, subito interrotti” di Ginevra; ora “speriamo che mettano in pratica questi propositi e lavorino per la pace”. È “felicissimo” il Patriarca melchita Gregorio III Laham, che conferma “l’importanza” dell’accordo per la “fine delle ostilità” in Siria entro una settimana raggiunto nella notte da Usa e Russia, insieme ad altre 15 nazioni. Alla cessazione delle operazioni militari decisa dal Gruppo di sostegno internazionale per la Siria (Issg) sono escluse le battaglie contro i gruppi jihadisti di al Nusra e dello Stato islamico.

Mantenere vita l'alleanza contro lo Stato Islamico
Raggiunto dall'agenzia AsiaNews nella sua sede a Damasco Gregorio III, siriano, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, spiega che è essenziale “mantenere in vita l’alleanza generale contro Daesh (acronimo arabo per lo Stato islamico, Is) e gli altri gruppi terroristi”. Fra questi vi è anche il Fronte di al Nusra, cellula locale di al Qaeda e molto attiva sul territorio. “Dobbiamo combattere questo male universale - aggiunge - questo ‘mistero’ del male, per riprendere le parole di San Paolo”. Il Gruppo ha anche espresso la volontà che i dialoghi di pace fra il governo siriano e i ribelli riprendano al più presto possibile. I dialoghi erano iniziati all’inizio del mese, ma sono stati sospesi a causa dell’offensiva dei lealisti contro la zona occupata dai ribelli ad Aleppo.

Il Patriarca invoca aiuti per tutta la popolazione siriana
“Per raggiungere una vera pace - prosegue Gregorio III - è necessario che si incontrino il governo siriano e la vera opposizione interna. In realtà l’opposizione è fatta di molti gruppi e schieramenti, almeno 28, ma non dobbiamo prendere in considerazione in questo panorama variegato i gruppi terroristi. Essi non devono essere parte delle discussioni”.  L’altro aspetto “essenziale” per il Patriarca melchita è che “gli aiuti arrivino a tutta la popolazione che versa in stato di bisogno”. Tuttavia, aggiunge, “i militanti in molti casi non fanno arrivare gli aiuti, ma confiscano tutto quello che arriva. Questo è successo per molto tempo a Yarmouk, dove lo Stato voleva mandare aiuti, che venivano confiscati dai miliziani”. 

In Siria bande di mercenari che operano per soldi
Gregorio III conferma quanti affermato nei giorni scorsi dal vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen, secondo cui i siriani non vogliono più la guerra, ma “sono gli stranieri a fomentarla”. In Siria operano bande di mercenari, jihadisti, estremisti e criminali comuni che trovano nel conflitto una fonte di sostentamento. “Il Paese è diventato un mercato - spiega il Patriarca melchita - e i combattenti agiscono per denaro, guadagno materiale, e questa è una delle ragioni della presenza numerosa di stranieri”. 

Le chiese piene di fedeli che invocano la pace
Richiamando le parole di Papa Francesco, egli conferma “oggi una volta di più che non bisogna far estinguere la fiamma della speranza. Noi cristiani nutriamo questa speranza - aggiunge - e preghiamo che le grandi potenze portino la pace, che è un dono di Dio. Aspettiamo il miracolo e in questo tempo di Quaresima tutte le chiese di Damasco sono piene di fedeli, di persone semplici che pregano per la fine del conflitto… che queste preghiere possano fare davvero il miracolo”. 

Messaggio di augurio per l'incontro Papa Francesco-Kirill oggi a Cuba
Infine, Gregorio III vuole lanciare un messaggio beneaugurante in vista dell’incontro di oggi fra Francesco e il Patriarca Kirill. “Il 18 del mese, in occasione della visita del presidente della Conferenza episcopale polacca, abbiamo organizzato una preghiera ecumenica. Un incontro di pace cui sono invitate tutte le denominazioni cristiane. Noi in Siria, in questo tempo di guerra, abbiamo già avviato un cammino ecumenico; il nostro auspicio è che dallo storico incontro di oggi a Cuba possa venire la decisione di una data comune per la Pasqua… che sia una festa unita e fissa nel calendario, superando le divisioni come è avvenuto in passato fra il giuliano e gregoriano”. (D.S.)

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Episcopati europei: sconfiggere disparità economiche e fiscali

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“Un’economia che non riesce a prendersi cura delle persone vulnerabili ed emarginate è il risultato dell’indifferenza e della mancanza di misericordia” ed è soprattutto “ingiusta ed insostenibile”: lo afferma “Giustizia e pace Europa”, la Conferenza che racchiude 31 Commissioni episcopali per la giustizia e la pace nel continente europeo. Riunitosi a Lisbona dal 5 al 7 febbraio per il suo meeting annuale, l’organismo ha diffuso, al termine dei lavori, una nota intitolata “La crescente disparità nell’economia e nella tassazione: una sfida per l’Europa ed il mondo”.

Povertà, minaccia per coesione sociale e democrazia
Nel lungo documento, suddiviso in nove punti, la Conferenza punta il dito contro “l’aumento della povertà dovuto ad un’eccessiva concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi”, fattore “eticamente ingiusto, che minaccia la coesione sociale e la democrazia”. Non solo: “la necessità di integrare, nella società, grandi numeri di migranti costituisce un’ulteriore sfida”. Ciò che occorre, allora – continua la nota – è un cambio di mentalità, per concepire in modo migliore “i regolamenti, nell’ottica di una solidarietà generosa ed universale”. Contrastare l’evasione fiscale e distribuire meglio le ricchezze, in un mondo in cui l’1% della popolazione possiede il 50% dei profitti, dunque, sono tra i primi suggerimenti avanzati da Giustizia e pace Europa.

Rispettare dignità umana e perseguire bene comune
Altro punto essenziale riguarda la salvaguardia del Creato: le 31 Commissioni episcopali, infatti, ricordano quanto scritto da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, in particolare riguardo al legame tra la dimensione ecologica e quella sociale. “Il Pontefice – si legge nella nota – esorta tutti, cattolici e persone di buona volontà, a cercare risposte pratiche per affrontare le ‘malattie’ ecologiche e sociali dell’epoca contemporanea”. Di qui, il richiamo al “rispetto della dignità della persona” ed al “perseguimento del bene comune” che comportano – per gli imprenditori ed i politici – quattro impegni: creare salari giusti e lavori dignitosi che permettano l’esercizio dei diritti sociali fondamentali; garantire la copertura assicurativa sociale a tutti i cittadini, inclusi i disoccupati, le donne in maternità, gli anziani ed i malati; prendersi cura in modo efficace dell’ambiente; assicurare l’effettiva partecipazione della cittadinanza ai processi democratici.

Cristiani siano solidali con deboli, poveri, migranti
Un punto specifico della nota episcopale, inoltre, viene riservato ai cristiani che vengono esortati ad essere “innanzitutto solidali con i più deboli ed i più poveri, il che significa, nella prospettiva europea, non solo con i cittadini disoccupati e privi di tutele sociali, ma anche con i migranti che si trovano in situazioni irregolari”. La disuguaglianza, infatti, “è la ragione principale del numero crescente di migranti che si spostano nel mondo ed in Europa, alla ricerca di un lavoro e di un posto in cui vivere una vita dignitosa”.

Politica lavori per un sistema fiscale più equo
​Infine, anche la politica viene chiamata in causa: ad essa, Giustizia e pace ricorda “i pilastri” fondamentali per “ridurre le disuguaglianze ed accrescere la coesione sociale”, ovvero: la regolamentazione efficace della concorrenza; un sistema fiscale più equo; il rafforzamento della legislazione anti-trust; l’investimento nel settore dell’educazione; e la stabilizzazione dei salari minimi. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi Kenya: Quaresima occasione per promuovere la pace

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Cercare di rendere il Kenya una nazione “pacifica, prospera e stabile, promuovendo il dialogo, la riconciliazione ed il perdono”: questo l’invito rivolto ai fedeli keniani da mons. Cornelius Korir, presidente della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale locale. Nei giorni scorsi, il presule ha celebrato la Santa Messa nella diocesi di Ngong ed in quell’occasione ha lanciato la “Campagna nazionale di Quaresima”.

Evitare corruzione, conflitti etnici e polarizzazioni
“Il Kenya è un Paese benedetto – ha detto il vescovo nella sua omelia – e la sua gente, a partire dai leader politici, ha bisogno di evitare la corruzione, i conflitti etnici e la polarizzazione che lacerano la nazione”. Al contrario, ha ribadito mons. Korir, è importante impegnarsi in favore “dell’unità, della tolleranza reciproca, cercando anche di creare opportunità lavorative per i giovani”. Soffermandosi, poi, sul significato della Quaresima, il vescovo keniano ha sottolineato che “in questo Anno giubilare essa può essere vissuta più intensamente come momento privilegiato per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio”. Di qui, l’esortazione ai fedeli a dimenticare le sofferenze del passato, così da perdonarsi reciprocamente, mentre il Paese si prepara alle elezioni generali del 2017.

Solidarietà con i più bisognosi e sostegno alla Chiesa
“Nel periodo di Quaresima – ha aggiunto mons. Korir - la Chiesa cattolica chiama i fedeli ad essere in comunione ed in solidarietà con quei fratelli e sorelle meno fortunati, ed a sostenere la Chiesa con la preghiera, l'abnegazione e l’elemosina". Al contempo, i cittadini del Kenya sono stati esortati a riflettere ed a farsi promotori di un cambiamento nei settori sociali che presentano maggiori problemi, come la promozione di una cittadinanza responsabile, la salvaguardia del Creato, la tutela dei valori della famiglia e la lotta alla corruzione. La celebrazione a Ngong è stata preceduta da una processione cui hanno preso parte sia i fedeli che i rappresentanti delle istituzioni. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 43

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.