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Sommario del 09/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa, Messa con i Cappuccini: il perdono è una carezza di Dio

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Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace. Lo ha ribadito con forza il Papa questa mattina nella Basilica Vaticana nella Messa con i Cappuccini di tutto il mondo, giunti in occasione della traslazione in San Pietro delle spoglie dei due Santi dell’Ordine francescano: Padre Pio e Padre Leopoldo Mandić. Francesco ha sottolineato che “quando qualcuno si dimentica la necessità che ha di perdono, lentamente si dimentica di Dio” e sua volta non “sa perdonare”. Massimiliano Menichetti: 

In una Basilica immersa nella preghiera e il raccoglimento il Papa ha centrato la sua omelia sul perdono. Prendendo spunto dalla liturgia odierna ha parlato di due atteggiamenti: quello “di grandezza davanti a Dio”, ovvero “l’umiltà di Re Salomone”, e quello di “meschinità” dei “dottori della legge” ripiegati sui meri precetti:

“La vostra tradizione, dei Cappuccini, è una tradizione di perdono, di dare il perdono. Tra di voi ci sono tanti bravi confessori: è perché si sentono peccatori, come il nostro fra Cristoforo. Sanno che sono grandi peccatori, e davanti alla grandezza di Dio continuamente pregano: Ascolta, Signore, e perdona. E perché sanno pregare così, sanno perdonare".

“Quando qualcuno si dimentica la necessità che ha di perdono - ha evidenziato - lentamente si dimentica di Dio, si dimentica di chiedere perdono e non sa perdonare”. “L’umile - ha proseguito - quello che si sente peccatore, è un gran perdonatore nel confessionale”, gli altri invece come i dottori della legge che si sentono “i puri”, “i maestri”, sanno invece soltanto "condannare":

“Vi parlo come fratello, e in voi vorrei parlare a tutti i confessori, in quest’Anno della Misericordia specialmente: il confessionale è per perdonare. E se tu non puoi dare l’assoluzione - faccio questa ipotesi - per favore, non bastonare. Quello che viene, viene a cercare conforto, perdono, pace nella sua anima; che trovi un padre che lo abbracci e gli dica: “Ma, Dio ti vuole bene”.

“Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace”, ha detto. Francesco per poi ricordare quante volte i sacerdoti hanno sentito dire “non vado mai a confessarmi, perché una volta mi hanno fatto queste domande”. Poi ha raccontato l’incontro con un grande confessore e distinto tra "parole" e "gesti" che chiedono il perdono, come quando una persona si avvicina al confessionale: “è perché sente qualcosa che gli pesa, che vuole togliersi”, forse non sa come dirlo - ha spiegato -  ma “lo dice con il gesto di avvicinarsi”. “Non è necessario fare delle domande”:

“Il perdono è un seme, è una carezza di Dio. Abbiate fiducia nel perdono di Dio. Non cadete nel pelagianismo, eh? Tu devi fare questo, questo, questo, questo …”

Il Papa ha poi lanciato un monito spiegando che si è o “grandi perdonatori” o “grandi condannatori”:

“O fai l’ufficio di Gesù, che perdona dando la vita, la preghiera, tante ore lì, seduto, come quei due, lì; o fai l’ufficio del diavolo che condanna, accusa … “

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Giubileo: la testimonianza di un Missionario della Misericordia

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E’ uno degli eventi più attesi del Giubileo della Misericordia: domani, Mercoledì delle Ceneri, Papa Francesco invierà i Missionari della Misericordia, sacerdoti che riceveranno il “mandato” unito alla facoltà di assolvere anche i peccati riservati alla Santa Sede. A loro il Papa ha voluto inoltre riservare un’udienza speciale che si svolgerà stasera in Vaticano, a partire dalle 17.30. Monia Parente ha chiesto a fra Emiliano Antenucci, uno degli oltre mille Missionari della Misericordia, di raccontare come sta vivendo questo momento così speciale: 

R. – Con un sentimento di gioia, ma anche di grande responsabilità, perché la misericordia è il secondo nome dell’amore, è il volto di Dio, e noi soprattutto, confessori, dobbiamo essere un frammento, un pezzetto del volto misericordioso del Signore.

D. – Questa mattina, tra l’altro, Papa Francesco, proprio durante la Santa Messa nella Basilica Vaticana con i frati minori cappuccini, alla quale anche lei ha partecipato, ha ricordato come la vostra tradizione sia proprio una tradizione di perdono…

R. – Sì, il perdono è “per dono che perdoni” - lo dice la stessa parola - e - invertendo la parola - può diventare “dono per”. Il perdono, infatti, è un dono di Dio, una grazia e non è tanto un sentimento. Innanzitutto, uno si deve sentire perdonato da Dio e dopo che si è sentito perdonato da Dio può perdonare se stesso e può perdonare anche gli altri.

D. – Nella sua vita di sacerdote, in particolare di confessore, cosa rappresenta il Giubileo della Misericordia?

R. – Una grazia immensa! La misericordia è uno scandalo, primo per noi cristiani, perché questa parola richiama tante altre parole: richiama l’accoglienza, richiama lo stesso perdono, richiama anche la giustizia. Nel libro-intervista di Tornielli, infatti, il Papa dice: “Peccatori sì, corrotti no”. Quindi richiama tante cose. Un conto è la bontà, che può essere una qualità del carattere, un conto è la misericordia, che è un atteggiamento. La stessa parola miserere cordis è un atteggiamento del cuore che abbiamo soprattutto verso gli ultimi, i poveri, gli abbandonati.

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Riforma Curia: al C9 vademecum sulla nullità matrimoniale

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Si è chiusa oggi la 132.ma riunione di Papa Francesco con i 9 cardinali consiglieri chiamati a collaborare per la riforma della Curia Romana. L’ultimo incontro c’era stato nel dicembre scorso. Sui contenuti dei lavori, iniziati ieri con una sessione speciale dedicata al discorso del Papa nel 50.mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, ha riferito, in Sala Stampa vaticana, il direttore, padre Federico Lombardi. Il servizio di Gabriella Ceraso

E’ stato un breve incontro quello di febbraio tra i cardinali consiglieri e il Papa. Otto in tutto i porporati per l’indisposizione per motivi di salute del cardinale Gracias. Si è trattato di un giorno e mezzo di lavori - visto l’inizio domani della Quaresima e l’udienza ai Missionari della Misericordia di oggi pomeriggio - cui il Pontefice è stato sempre presente. Come detto a dicembre, i contenuti del discorso di Francesco nel 50.mo anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei vescovi a ottobre, hanno interessato la riflessione dei cardinali in particolare i principi in esso contenuti di" sinodalità" e "decentralizzazione", giudicati rilevanti nel lavoro di riforma. Padre Federico Lombardi:

“I cardinali pensano che sia un discorso che abbia un suo impatto più come quadro e ispirazione e orientamento del lavoro da fare che nelle precisazioni singole”.

All’attenzione del Consiglio di cardinali, anche il lavoro di riforma relativo a quattro dicasteri. Si è concluso con la lettura delle proposte consegnate al Papa, quello relativo ai due dicasteri nuovi, “Laici famiglia e vita” e “Giustizia, pace e migrazione”; mentre padre Lombardi ha riferito che è stata avviata ed è tuttora in corso la riflessione sulla Segreteria di Stato e sul Dicastero dedicato al Culto divino. Il Consiglio ha potuto in merito fare un giro di considerazioni e di opinioni, esprimendo anche relative proposte per eventuali miglioramenti.

In questa breve sessione di febbraio, il Papa e i cardinali sono stati aggiornati come di consueto anche sul lavoro continuo svolto dalla Commissione di Tutela dei minori e dalla Segreteria per l’Economia, rispettivamente dai cardinali O’Malley e Pell. Dunque, lo stato della riforma e le novità, giuridiche ed economiche. Infine, ultimo punto su cui il Consiglio è stato informato riguarda la Sacra Rota:

“E’ stata data un’informazione sugli elementi che il Tribunale della Rota sta inviando alle diocesi per assisterle nell’attuazione della riforma sul processo matrimoniale”.

L’appuntamento per la prossima riunione, secondo il calendario fornito a dicembre, dovrebbe essere dal 11 al 13 aprile prossimo.

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Papa nomina mons. Wells nunzio in Sud Africa e Botswana

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Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Sud Africa e in Botswana mons. Peter Bryan Wells, finora assessore per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Marcianopoli, con dignità di Arcivescovo. In Salvador, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santa Ana, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Romeo Tovar Astorga. Al suo posto, il Pontefice ha nominato mons. Miguel Ángel Morán Aquino, trasferendolo dalla Sede di San Miguel. S.E. Mons. Il presule è nato il 25 maggio 1955 a Esquipulas, diocesi di Santa Ana. Nel 1967 è entrato nel Seminario Minore della diocesi di Santa Ana. Ha svolto gli studi filosofici a Santa Ana e quelli teologici nel Seminario Maggiore “San José de la Montaña”. È stato ordinato sacerdote il 5 dicembre 1981 incardinandosi a Santa Ana. A Roma ha ottenuto la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Antoniana. Come sacerdote ha ricoperto i seguenti incarichi: Parroco della Parrocchia di Santa Bárbara, Santa Ana (1986-1988); Parroco della Parrocchia di San Andrés in Apaneca e Prefetto degli studi nel Seminario Maggiore “San José de la Montaña” (1988-1990); Parroco della Cattedrale Metropolitana di Santa Ana (1990, 6 mesi); Parroco della Parrocchia di San Miguelito, Santa Ana (1990-1996). Il 19 luglio 2000 è stato nominato Vescovo della diocesi di San Miguel e fu consacrato il 2 settembre successivo. Attualmente è Delegato della Conferenza Episcopale presso il Celam e Incaricato dell’Istituto di Prevenzione Sociale del Clero.

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Doppia nomina ai vertici della Segreteria per la Comunicazione

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Papa Francesco ha ulteriormente definito i vertici della Segreteria per la Comunicazione con la nomina a direttore del Dipartimento Teologico‑Pastorale della prof.ssa Nataša Govekar, docente presso l’“Atelier di Teologia Card. T. Špidlík” del Centro Aletti in Roma, e a direttore della Direzione Tecnologica l'ing. Francesco Masci, finora responsabile dell'Area Tecnica del Servizio Internet Vaticano.

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Afghanistan, la mostra “La guerra da dentro” a Radio Vaticana

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“La guerra da dentro”. E’ questo il titolo della mostra itinerante sulla guerra in Afghanistan presentata stamani nella sede della nostra emittente. Hanno partecipato alla presentazione padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede e della Radio Vaticana, don Marco Minin, cappellano capo in servizio permamente effettivo del Comando brigata paracadutisti Folgore e il prof. Massimo Baldacci, dell’Università Tor Vergata. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Bare allineate, un soldato con la testa tra le mani, un militare che tiene in braccio un bambino avvolto in una coperta. Sono alcune delle impressionanti e stimolanti immagini della mostra “La guerra da dentro” sul conflitto in Afghanistan, su un pezzo - come ha detto Papa Francesco - della “terza guerra mondiale a pezzi”. Di fronte a tante laceranti sofferenze - ha affermato padre Federico Lombardi – l’unico sguardo possibile è quello della misericordia:

“Questa meditazione sulla guerra, sul male e sul peccato che sta all’origine anche di questi mali e di queste sofferenze, ci porta in una prospettiva di fede a cercare anche di guardare alla dimensione della misericordia. Dimensione che poi è l’unica vera risposta a questi drammi spaventosi, a questo mistero del male. Già San Giovanni Paolo II parlava della misericordia, da lui approfondita e scoperta come grande mistero di Dio nel tempo della Guerra mondiale e dei totalitarismi del secolo passato. Papa Francesco ha rilanciato questo tema con il Giubileo della Misericordia proprio dicendo: “Adesso, ce n’è bisogno”. Se ci guardiamo attorno, capiamo che il mondo ha bisogno della misericordia di Dio. Dobbiamo fare appello a questo mistero di misericordia, di perdono e di amore, e che poi è l’unica proposta di senso di fronte a quello che le immagini della mostra. E qui inoltre, vicino alla nostra sede, abbiamo i pellegrini che passano verso San Pietro in questo Giubileo a domandare la misericordia del Signore su questo nostro mondo e sulle nostre vite”.

La mostra, fino al 15 febbraio nella sede della Radio Vaticana, sarà poi visitabile fino al 28 febbraio a Roma presso il Ministero della Marina. Altre tappe sono previste in Friuli, in Germania, e in Austria. Scopo dell’esposizione è quello di far riflettere sulle conseguenze delle guerre.

La guerra non lascia indifferenti, lascia segni indelebili. Don Marco Minin, cappellano militare che ha conosciuto vari contesti di guerra, tra cui quello di Herat in Afghanistan: 

R. – La prima sensazione all’atterraggio, all’aeroporto, è quella di rendersi conto di trovarsi su un piano totalmente altro: si arriva e già, in qualche maniera, il contesto di guerra ti prende, ti stringe il cuore. Il primo impatto non è quello con la popolazione, per quanto riguarda il cappellano, soprattutto in quei contesti dove all’esterno della base si muovono solo i professionisti. Il cappellano vive la prossimità con le altre vittime della guerra, che sono anche i militari stessi.

D. – Come cambia la guerra il cuore di questi militari?

R. – Proprio perché ne conoscono le gravi conseguenze, i primi che rifiutano la guerra sono proprio i militari. Sono quelli che la sentono dal di dentro. Chi passa attraverso questo tunnel, non rimane più quello di prima. La guerra cambia profondamente, anche se la consapevolezza dei nostri militari è quella di sapere che hanno anche questo grave dovere di interposizione, di soccorso, di aiuto. In qualche modo, come ricordava anche Papa Francesco, l’ingiusto aggressore deve essere fermato.

D. – La figura del cappellano aiuta anche a portare equilibrio all’interno delle menti dei militari…

R. – Certamente. Questo si evince soprattutto all’estero. Il cappellano è una figura cercata, che è chiamata a portare questo equilibrio, a rispondere a certi dubbi morali profondi. E’ interessante anche vedere – chiaramente dalla Radio non si può vedere ma è davanti a noi –  la foto di un militare con le mani appoggiate alla testa, che si sta chiedendo il perché. Questi "perché" vengono posti anche al cappellano militare.

D. – Quali sono le immagini che le sono rimaste, quelle più forti dell’Afghanistan?

R. – Quelle dei nostri militari che hanno aiutato una famiglia a portare in Italia uno dei loro figli, che era stato mutilato da un ordigno esplosivo. Non è stato semplice. Loro sono stati vicini alla famiglia, vicini in maniera concreta, avendo questo bambino bisogno di cure che in Afghanistan non poteva trovare. Questa è stata una delle cose che maggiormente mi ha colpito.

D. – Altre immagini forti sono anche quelle della collaborazione fattiva tra militari e popolazione locale…

R. – Ad esempio anche ad Herat, quella che ho visto è una forte collaborazione da parte dei nostri militari per aiutare le donne afghane ad una presa di consapevolezza della loro dignità e del loro ruolo. Anche questo è un seme che, a mio avviso, porterà frutti nel tempo.

D. – Le immagini della sofferenza sono diventate un po’ l’emblema degli ultimi anni dell’Afghanistan. C’è la consapevolezza nei militari che il loro lavoro porterà a dei frutti e ad una vera pacificazione?

R. – I nostri militari partono davvero portando nel cuore questo sentimento di poter effettivamente essere incisivi, figure che potranno in qualche maniera aiutare l’Afghanistan a risollevarsi.

Le atrocità della guerra si riflettono oggi in un assetto, non solo politico, ancora profondamente instabile. L’Afghanistan resta un Paese frammentato che ha nella produzione dell’oppio uno dei propri pilastri economici. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il prof. Massimo Baldacci, dell’Università Tor Vergata: 

R. – La situazione politica afghana è una situazione di frammentarietà, perché l’Afghanistan è ancora regolato da tribù, spesso coinvolte in guerre tribali l’una con l’altra. Spesso, ci sono interessi economici piuttosto che di traffico di armi, di oppio. Quindi, è una situazione molto complessa. A ulteriore prosecuzione della complessità, c’è il fatto che in Afghanistan esiste non il codice di leggi statale, ma il Pashtunwali. Si tratta di un codice tribale che complica notevolmente tutta la problematica esistente. Sono 30 anni che queste popolazioni non conoscono altro che mine, bombe, distruzione di case, di vite… Quindi, le aspettative di una reale pace sono molto forti nella popolazione.

D. – Questa abitudine alla guerra, questa sofferenza decennale che si prolunga, per un popolo come quello afghano che continua a soffrire ancora oggi – nonostante la guerra formalmente sia finita – può comunque portare a sollevare le sorti di questo Paese, come è successo anche nel dopoguerra in altri Stati?

R. – Sicuramente sì, da parte della popolazione. E’ più difficile da parte dei “signori della guerra”, come vengono definiti in Afghanistan. Si tratta di persone che hanno in mano non solo il potentato locale, ma soprattutto la coltivazione del papavero da oppio e, quindi, gran parte della droga a livello mondiale.

D. – Si può ridisegnare questa economia afghana, oppure questi settori legati all’oppio resteranno dei pilastri anche in futuro?

R. – Io penso che rimarranno dei pilastri per un bel numero di anni, perché il 97% del Pil è costituito dal papavero da oppio. Purtroppo, non sono rosee le speranze nell’immediato. Però, lavorando un po’ tutti – sia la comunità internazionale sia le istituzioni interne al Paese – sicuramente qualche cosa migliorerà.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il gran perdonatore: nella Messa con i frati cappuccini il Papa parla della figura del confessore.

Un tempo privilegiato per fare verità: in prima pagina, Enzo Bianchi sulla quaresima nel messaggio papale.

Novecento di terrore: Anna Foa recensisce il libro di Claudio Vercelli su deportazioni, migrazioni forzate e stermini.

Beata semplicità: Giovanni Cerro sulle novità introdotte dal primo francescanesimo.

Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "La telecamera di George": viaggio in Italia per Simonetta Agnello Hornby e suo figlio.

Nessuna distinzione: uno stralcio da libro di Antonio Martini sulla Guardia Palatina.

Leonardo va alla guerra: Gabriele Nicolò su una mostra al Science Museum di Londra.

Lo Stato è laico, la società no: il cardinale arcivescovo emerito di Barcellona, Lluis Martinez Sistach su quando è a rischio la libertà religiosa.

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Oggi in Primo Piano



Siria. Zenari: colonne di profughi, il mondo faccia il possibile

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È di 3 morti e 14 feriti il bilancio provvisorio di un nuovo attentato che stamattina ha colpito la periferia di Damasco, in Siria. E resta grave la situazione del conflitto nel Paese, in cui migliaia di persone – secondo alcuni dati – vivrebbero in costante stato d’assedio, mentre alle frontiere i profughi continuano a premere. E' di oggi l’appello dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati alla Turchia affinché torni ad aprire i confini ai 30 mila in fuga da Aleppo, dove si registra una delle situazioni peggiori. Roberta Barbi ha sentito la testimonianza del nunzio apostolico in Siria, mons. Mario Zenari: 

R. – Siamo tutti con il cuore e il fiato sospeso. In questa situazione così drammatica, toccata in modo molto opportuno dal Santo Padre con l’appello che ha rivolto all’Angelus domenica scorsa, centrato sul dramma dei siriani, della popolazione civile che è quella che soffre di più le conseguenze maggiori di questo terribile conflitto che ormai volge al termine del quinto anno. Questa situazione è drammatica e continuamente richiamata: basta leggere il rapporto molto, molto preoccupante presentato al Consiglio di sicurezza dal sottosegretario per le questioni umanitarie, O’Brien, che parla di situazioni umanitarie. Basta leggere ancora l’ultimo rapporto pubblicato ieri dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani.

D. – Si parla di armi non convenzionali, di detenuti in condizioni disumane, di esecuzioni di massa…

R. – Questo rapporto sarà esaminato. Naturalmente, tutti questi rapporti sono preoccupanti circa la situazione dei diritti umani e  la questione umanitaria, per non parlare della sospensione della Conferenza di Ginevra: anche  questo è un fatto preoccupante. Giustamente, l’inviato speciale puntava non solo a portare al tavolo delle trattative le varie parti in conflitto, ma diceva: “C’è bisogno non solo di parole, ma anche di fatti”.

D. – Anche Stati Uniti e Arabia Saudita hanno chiesto il cessate-il-fuoco e l’accesso degli aiuti umanitari. Qual è la situazione della popolazione? Può raccontarci qualcosa che ha vissuto anche in prima persona?

R. – Noi non possiamo sapere in modo diretto. Abbiamo accesso a queste situazioni drammatiche, però quello che sentiamo e vediamo è la preoccupante colonna interminabile di profughi in oppressione che ferisce veramente il cuore. Come fare in modo che non si vedano più queste interminabili colonne di profughi o questi battelli che attraversano il mare causando vittime? Vorrei richiamare anche l’appello del Santo Padre alla solidarietà, all’appello alla comunità internazionale perché rafforzi l’impegno per portare una soluzione negoziata a questa crisi. Non da ultimo il Papa dice: “Occorre pregare, pregare molto”. Vorrei fare un appello soprattutto a tutti i cristiani del mondo perché c’è bisogno di preghiera, dell’aiuto di Dio.

D. – Sulla questione umanitaria, sulla questione dei migranti, è spuntata anche l’ipotesi di un coinvolgimento della Nato in appoggio all’Europa. Potrebbe essere la svolta?

R. – Non sono un esperto in questa materia, in queste cose tecniche, ma credo che si debba tentare di fare tutto il possibile.

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Parlamento israeliano: prima approvazione a controllo ong

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Ha destato reazioni in tutto il mondo la decisione del Parlamento israeliano di adottare, ieri in tarda serata e dopo una lunga discussione, un disegno di legge volto ad obbligare le Organizzazioni non governative operanti nello Stato ebraico a rivelare le fonti dei loro finanziamenti, in particolare di quelli provenienti da governi stranieri. Il testo è stato approvato in prima lettura con 50 voti a favore e 43 contrari e dovrà superare altri due passaggi parlamentari. “Peace Now”, una delle ong eventualmente interessate dal provvedimento, che da tempo critica la politica di colonizzazione portata avanti dall’esecutivo del premier Benjamin Netanyahu in Cisgiordania, parla di “pericoli” per la democrazia e denuncia un “giro di vite contro le voci del dissenso”. Nell’elenco, rientrerebbero anche altri organizzazioni, molte delle quali finanziate dall’Unione Europea, che si occupano del rispetto dei diritti umani nei Territori palestinesi. Sentiamo Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze, intervistata da Giada Aquilino

R. – Il testo ha uno scopo sia di sostegno ad alcune organizzazioni sia di procurare un serio imbarazzo politico a Netanyahu, che capisce bene quali siano i risvolti di questa legge. La proposta parte dal ministro della Giustizia, Ayelet Shaked, appartenente al governo dell’ultra destra che vuole spodestare Netanyahu.

D. – Quali ong verrebbero colpite dal provvedimento?

R. - Tutte quelle che, secondo quanto la legge definisce, ricevono più della metà dei fondi da governi stranieri. Questo in pratica coinvolge organizzazioni come “B’Tselem”, “Pace adesso” ed altre simili che sono etichettate in Israele, nell’attuale clima politico, come “di sinistra” e come responsabili di “ingerenza indebita” nella vita politica israeliana.

D. - Non verrebbero colpite invece quelle ong che vanno a beneficiare di donazioni di privati?

R. - Assolutamente no. Tutte quelle associazioni e fondazioni che ricevono soldi da donatori privati stranieri - perlopiù americani - e aiutano direttamente o indirettamente i coloni attraverso l’acquisto di immobili o un sostegno nei vari insediamenti sarebbero escluse.

D. - Perché questa differenza tra ong?

R. - Perché le ong che si vuole colpire in qualche modo lavorano non tanto e non solo per i palestinesi o per quei settori della popolazione di Israele che sono contrari a questa linea politica, ma anche perché si vedono come un sostegno alla democrazia intesa in senso occidentale: e questa, in Israele negli ultimi tempi, soffre parecchio.

D. - Ma c’è poi il rischio che questi fondi vengano usati per qualcosa di pericoloso per lo Stato ebraico?

R. - Credo proprio di no, anche perché - conoscendo la gestione dei fondi a livello internazionale - posso dire che se un donatore tedesco o europeo in genere dà degli stanziamenti poi vuole un rendiconto.

D. - Lei ha citato il premier israeliano. Che ruolo ha in questo momento e il disegno di legge come potrebbe rivelarsi per Netanyahu?

R. - Netanyahu ha fatto in modo di togliere un articolo di legge che sarebbe stato esplosivo, cioè quello di obbligare gli attivisti di queste organizzazioni ad avere un distintivo visibile quando fossero entrati alla Knesset o nei vari ministeri. L’idea che questo potesse esser paragonabile ai distintivi colorati del passato era intollerabile e probabilmente gli attivisti lo avrebbero usato per creare fortissimo imbarazzo al governo.

D. -  Questo disegno di legge per Netanyahu cosa significherebbe?

R. - Significherebbe anche perdere l’appoggio politico, inteso in senso generale, di Stati cruciali. Ad esempio, i primi a protestare, prim’ancora della discussione alla Knesset, sono stati quattro europarlamentari tedeschi, tre di loro appartenenti ad un gruppo filo-Israele: hanno scritto a Netanyahu dicendo che la legge avrebbe creato non solo enorme imbarazzo, ma che avrebbe recato danno ai rapporti tra Israele e Germania. E la Germania è, finora, il più grande amico di Israele in Europa.

D. - Quindi di fatto ci sarebbero delle conseguenze negative?

R. - Questa legge è un boomerang. Pare venire incontro alla voglia della destra di combattere le attività di queste organizzazioni, ma vista dall’esterno - ed in questo caso significa dal punto di vista dell’Europa - può portare grandissimi danni, se si tiene poi presente che c’è in preparazione un’iniziativa francese che potrebbe recare Israele a negoziati che non vuole, oppure potrebbe portare i francesi a riconoscere lo Stato di Palestina portandosi dietro altri europei.

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Borse ancora in calo. Fmi ipotizza rischi per il debito

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Giornata di cali per le borse in tutto il mondo, la peggiore Tokyo che ha perso il 5,4%. Per Carlo Cottarelli, direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale si sta generando troppo debito pubblico e privato. Massimiliano Menichetti ha intervistato Nicola Borri, docente di Finanza internazionale presso l'Università Luiss di Roma: 

R. – L’economia mondiale sicuramente è in una fase di grande instabilità, per una moltitudine di ragioni. Abbiamo visto che negli ultimi mesi la crescita della Cina è meno buona di quanto si pensasse: questo è un primo problema, in quanto una Cina che non corre come un tempo, non solo significa meno domanda per il resto del mondo, ma significa anche una possibile instabilità politica. A questo vanno aggiunte le tensioni sul mercato del petrolio, con un prezzo del petrolio che ormai è sceso a livelli che non si vedevano da anni. Questo denota sia problemi dal lato dell’offerta del petrolio – un mancato accordo tra i Paesi produttori di petrolio, e quindi un eccesso di offerta – sia una domanda molto debole, ovvero un’economia non particolarmente solida. A tutte queste ragioni bisogna però sommarne un’altra, che sicuramente è molto importante e che è legata all’uscita graduale di Stati Uniti, e più in là probabilmente anche di Europa, da un periodo di tassi di interessi estremamente bassi. Questi ultimi hanno coperto alcuni dei problemi dell’economia mondiale, in particolare di Stati Uniti e Europa, e hanno portato verso l’alto i prezzi dei mercati azionari.

D. – Il Fondo Monetario Internazionale lancia un altro allarme: ribadisce che potremmo essere di fronte ad una nuova “crisi del debito”…

R. – Quello che può succedere, se ci trovassimo nuovamente di fronte ad una crisi del debito, che ora i mercati e gli analisti temono possa accadere nei mercati emergenti – in Paesi come il Brasile, l’India e la stessa Cina – si potrebbe avere non solo una forte recessione mondiale; ma allo stesso tempo questa potrebbe portare gli investitori un po’ in tutto il mondo a comportarsi come si comportarono nel 2008-2009, nel mezzo della grande crisi. Durante questo periodo, tutti gli investitori – o gran parte di essi – impauriti per le conseguenze della crisi che galoppava, decisero di spostare tutti i loro risparmi in porti sicuri: ovvero nelle obbligazioni governative americane o tedesche. E portarono via i propri capitali da Paesi come l’Italia, la Spagna, con le conseguenze che abbiamo visto e vissuto anche sulla nostra pelle.

D. – Professore, ma nell’occhio del ciclone ci sono anche le banche. Ora sono più sicure? O parliamo sempre di un’economia finanziaria a rischio?

R. – Le banche europee ed italiane sono sicuramente più sicure rispetto a qualche anno fa. Però hanno in pancia ancora tanti “asset” che valgono meno probabilmente di quello che loro hanno scritto a bilancio. Questo significa che i numeri di bilancio che leggiamo sono in realtà un po’ troppo ottimisti, ed è molto probabile che le banche abbiano bisogno di maggiore capitale; e se non lo richiedono, di fatto, stanno sul mercato con un livello di leva finanziaria troppo elevato. Ciò significa che le banche potrebbero essere più rischiose di quello che i bilanci semplicemente dicono .

D. – Quindi come si fa a far ripartire la crescita in  una situazione di questo tipo?

R. – È importante una pulizia dei bilanci bancari. Però, allo stesso tempo, io credo che bisogna forzare la banche italiane e anche le altre europee ad emettere nuovo capitale, per essere ancora più sicure di come sono adesso, in quanto solo in questa maniera gli investitori saranno più rassicurati, chiederanno tassi di interesse inferiori per finanziarie le banche. E queste ultime potrebbero finalmente fare il loro mestiere, che è quello di prestare a famiglie e imprese.

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Safer Internet Day 2016: riflettori sui rischi del web

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Un ragazzo su 4 è sempre connesso, il 17% dei ragazzi intervistati dichiara di non riuscire a staccarsi da smartphone e social. È quanto emerge dall'indagine, realizzata da SOS Telefono Azzurro Onlus, in occasione della Giornata mondiale per la sicurezza in Rete, promossa dall’Unione Europea. Questa mattina a Roma alla Camera, un incontro sul tema organizzato da "Telefono Azzurro". Il servizio di Alessandro Filippelli

“Fai la tua parte per rendere internet migliore”. Questo è il tema della Giornata mondiale per la sicurezza in Rete 2016. E’ allarme sui rischi che gli adolescenti incontrano sul web. Secondo la ricerca realizzata da Telefono Azzurro, il 45% dei ragazzi si connette più volte al giorno, quattro su cinque chattano continuamente e il 21% si sveglia durante la notte per controllare i messaggi arrivati sul proprio cellulare. Ernesto Caffo, presidente Il Telefono Azzurro Onlus:

“Tutti i bambini sono in Rete. La nostra ricerca con Doxa ci ha fatto fotografare questa situazione che sposa, da una parte, l’età di accesso ai sistemi di connessione all’età di 6-7 anni, con alcune punte addirittura di quattro o cinque anni. Una rete nella quale i bambini passano un tempo imprecisato - mediamente più di otto ore al giorno - cosa che ovviamente non è facile pensare, soprattutto per un bambino piccolo che molte volte ha una serie di sollecitazioni di vario tipo, alcune positive, altre meno, e spesso in assenza di figure di riferimento adulte. Nella scuola i ragazzi sono costantemente connessi, molte volte sono assenti come attenzione e presenti fisicamente. Noi abbiamo oggi l’impegno di portare con la Carta di Roma tutti - dalle istituzioni alla società civile alle aziende - a una comune riflessione: cosa fare per le future generazioni? Dobbiamo sicuramente pensare che oggi un numero enorme di ragazzi non ha molte volte una guida”.

I giovani passano sempre più tempo on line e sempre più precocemente. Il 48% dichiara di essersi iscritto a Facebook prima dei 13 anni, età minima consentita per poterlo fare, mentre il 71% riceve uno smartphone mediamente a 11 anni. I siti pornografici vengono frequentati costantemente dal 73% degli adolescenti, e il 28% di loro teme di diventarne dipendente. Sandra Cioffi, vicepresidente di Telefono Azzurro Onlus:

“Gli scenari sono completamente mutati, per cui far sì che la rete sia un’occasione e non un pericolo per i giovani è uno dei nostri primi obiettivi. Pochi genitori sanno dei reali pericoli del cyber-bullismo e in questo senso la scuola è importante, perché cerchi di avere rapporti con le famiglie e con i ragazzi per indirizzarli anche ad un corretto uso della Rete”.

Il web diventa spesso opportunità per fare nuove conoscenze ma al contempo diventa terreno fertile per potenziali insidie e pericoli. Tra le esperienze peggiori vissute dai ragazzi in Rete c’è quella di essere deriso da amici o conoscenti. Il 12% dichiara di essere stato vittima di cyberbullismo, il 32% ha paura di subirlo. Mons. Lucio Adrian Ruiz, capo ufficio del Servizio Internet Vaticano e segretario della Segreteria per la Comunicazione:

“Non solo Internet nasconde dei problemi, è la realtà ad essere così: la realtà è tessuta di bene e male. Il suggerimento è avere un equilibrio fra quella che è la realtà virtuale e quella che è la realtà reale. Se è vero che Internet o le reti possono offrire un mondo veramente spettacolare, bellissimo, di conoscenza, non va però dimenticata la realtà reale, la bellezza di ciò che significa il rapporto umano, il tempo libero”.

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Rischi e opportunità della rete per i minori migranti

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Su cinque minori migranti non accompagnati, almeno uno ha rafforzato la decisione di lasciare il proprio Paese dopo aver visto immagini su internet. Quasi il 20% dei minori arrivati in Italia ha vissuto esperienze negative on line. Lo dimostra la ricerca condotta da Save The Children in occasione del Safer Internet Day. Francesca Sabatinelli: 

Non raccontano delle difficoltà del viaggio o dei pericoli a questo connessi, una volta giunti a destinazione è  come se questi ragazzi addolcissero la loro realtà pubblicando sui social network immagini non affatto veritiere, che poi adescano in qualche modo altri coetanei che li seguiranno nel viaggio. E’ uno dei risvolti della ricerca di Save The Children, la prima di questo genere, che spiega come i ragazzi migranti, attraverso internet, non solo rafforzino la convinzione della loro partenza ma siano ovviamente sottoposti ad altissimi rischi, considerando anche che la maggior parte dei ragazzi provenienti dai Paesi sub-sahariani vengono a contatto con internet per la prima volta proprio in Italia. La consultazione dell’Organizzazione ha coinvolto 165 minori tra i 15 e i 17 anni, ospitati presso alcune strutture di accoglienza in varie parti di Italia, a Lampedusa, come a Torino, quindi interpellando minori appena giunti nel Paese ma anche chi in Italia risiede da mesi. Niccolò Gargaglia è il portavoce della ricerca:

R. – I ragazzi, in particolari quelli egiziani, hanno condiviso con noi la delusione delle aspettative che si erano creati vedendo foto, immagini, racconti.

D. – Ma queste immagini sono state male interpretate dai ragazzi o sono state alterate all’origine per qualche ragione?

R. – La risposta è su entrambi i fronti. Quello che emerge dalla ricerca è che molti dei minori che giungono da soli in Italia tendono a condividere l’esperienza qui, o negli altri Paesi europei, come un qualcosa di molto positivo, escludendo tutto quello che invece c’è stato di negativo come il viaggio, la sofferenza, l’alto prezzo che hanno dovuto pagare per raggiungere l’Italia. Possiamo dire che il 20%

dei minori consultati ha raccontato che la rete ha contribuito a rafforzare la loro idea di partire. Questo perché si tende a condividere su Facebook, o comunque sui social network più in generale, aspetti prettamente positivi, quindi di riscatto. Alcuni dei minori hanno raccontato di aver visto foto di loro amici con la faccia sorridente, distesa, senza quella sofferenza a cui sono abituati. Questo ha sicuramente influenzato la loro decisione.

D. – Salvo poi cadere nelle delusione …

R. – Assolutamente. La maggior parte dei ragazzi che in qualche modo ha creduto in questa realtà alterata ha poi fatto i conti con la grandissima delusione, e alcuni di loro hanno riportato ai nostri operatori durante le consultazioni, quanto si sono resi conto delle bugie che hanno letto e trovato all’interno dei social network e di internet più in generale. Possiamo dire che c’è anche, tra questi ragazzi, chi riporta che l’uso di Facebook gli è stato richiesto da parte di trafficanti. È divenuto un canale di comunicazione del loro arrivo in Italia per farsi poi inviare la parte rimanente dei soldi dalle loro famiglie per pagare questo viaggio. Altri lo hanno utilizzato per identificare alcune rotte del percorso, per capire quale via sarebbe stata migliore e più sicura, chiamiamola così, per raggiungere le coste italiane.

D. - Diciamo anche che per alcuni di loro è stato un modo purtroppo per finire nelle reti dello sfruttamento …

R. - È così. Parliamo di minori soli e per questo motivo particolarmente vulnerabili, soprattutto all’uso inconsapevole della rete e delle trappole, dei rischi, che comporta. Alcuni di loro hanno condiviso, durante la consultazione, il fatto di essere stati adescati da sconosciuti su internet  attraverso la richiesta di condivisione di foto o di false informazioni per indurre i loro coetanei ad intraprendere questo viaggio. Questo ci ha portato anche a far emergere i possibili rischi di adescamento non solo in termini di traffico di persone, ma anche in termini di sfruttamento sessuale o lavorativo.

D. – L’uso scorretto può diventare purtroppo, è il caso di dirlo, anche letale per questi ragazzini. È vero anche che permette loro di mantenere i rapporti con i loro cari, occorre identificare anche il lato positivo della rete, ed è su quello che bisogna formare i ragazzi …

R. – Certamente. Come Save the Children noi riteniamo che sia fondamentale fornire ai ragazzi e alle ragazze migranti le conoscenze necessarie per utilizzare in modo positivo e consapevole la rete, sia perché può essere per loro un enorme bacino di opportunità, sia per renderlo sicuro, per fare in modo che internet diventi un canale principalmente positivo e protetto per una categoria di ragazzi soli, esposti a innumerevoli rischi. L’idea di coinvolgere i minori stranieri non accompagnati in questo tipo di consultazioni, è in linea con il messaggio che guida le iniziative del Safer Internet Day di quest’anno, ovvero “Play your part” , fai la tua parte,  per un internet migliore. È essenziale sensibilizzare i ragazzi sul ruolo attivo che loro stessi possono svolgere nella creazione di messaggi chiari e non distorti, per esempio rispetto all’esperienza del loro viaggio e della vita in Italia.

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Milano. Il Nobel Satyarthi a un Convegno contro la tratta

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Ieri sera a Milano, in occasione della Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, il premio Nobel per la pace, l’indiano Kailash Satyarthi, ha partecipato al convegno sul tema organizzato da Caritas Ambrosiana, Mani Tese e il Pime di Milano. Domani, Satyarthi sarà ricevuto da Papa Francesco. Il servizio di Fabio Brenna

L’Occidente è complice della tratta, un fenomeno che nel mondo riduce 21 milioni di persone in schiavitù. Donne prostituite, bambini schiavi, esseri umani usati per il commercio di organi. Un catalogo di sopraffazioni passato in rassegna in una intera giornata di testimonianze, flash-mob e preghiera per debellare quella che Papa Francesco non più tardi di domenica ha definito “crimine e intollerabile vergogna”.

La criminalità gestisce i flussi di migranti e secondo un’indagine realizzata da Caritas Ambrosiana emerge come, in Lombardia, prima regione per numero di donne prostituite, siano aumentate le donne nigeriane arrivate coi barconi che vengono agganciate dalle mafie per essere sfruttate. In termini assoluti, è di origine romena la maggior parte delle donne sulle strade milanesi.

Nel corso della veglia serale nella Basilica di Sant’Ambrogio, il card. Scola ha ribadito come “in questo momento storico, si riduce la prostituzione a mero problema di ordine pubblico e di decoro urbano”, mentre l’attenzione deve essere posta sulla persona, senza dimenticare le responsabilità dell’Occidente:

“In un mondo che fa della libertà e della rivendicazione di ogni diritto dell’individuo la propria orgogliosa bandiera, sono ancora innumerevoli le vittime di questo barbaro asservimento dell’uomo all’uomo. Milioni e milioni di donne, bambini, uomini – spesso poveri, perciò più vulnerabili – sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, di lavoro forzato, di espianto d’organi, di accattonaggio forzato, di servitù domestica, di adozione illegale”.

Suscitare un atteggiamento di compassione globale da tradurre in azioni sociali è stato invece l’appello lanciato dal Premio Nobel per la Pace 2014, l’attivista indiano per i diritti, Kailash Satyarthi. Il traffico delle persone, ha sottolineato, è il terzo business più redditizio per le mafie internazionali, dopo il traffico di droga e di armi.

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I fantasiosi Momix aprono il Festival internazionale della danza

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"Opus Cactus" uno dei maggiori successi della compagnia americana di danza dei Momix, guidata dal geniale Moses Pendleton, inaugura domani sera la sesta edizione del Festival internazionale della Danza di Roma della Filarmonica e del Teatro Olimpico. In tutto quattro le compagnie in cartellone, un'occasione per riflettere attraverso il movimento, le luci e i colori su tematiche e contraddizioni dell’epoca moderna, a partire proprio dal lavoro dei Momix, come racconta al microfono di Gabriella Ceraso il direttore artistico della Filarmonica, Matteo D’Amico

R. – “Opus Cactus” è una delle più importantiproduzioni che i Momix hanno fatto da 30 anni a questa parte. In effetti, ogni volta che Pendleton concepisce uno spettacolo, lo fa con una grande cura, una grande attenzione al significato e alla tematica... In questo caso, racconta il modo in cui il corpo e la mente dell’uomo si legano ai vari ambienti naturali, in questo caso alla natura del deserto, confondendosi con essa. Soprattutto ricordando come il corpo dell’uomo sia una parte non scindibile dalla sua anima.

D. – Diversissimo dai Momix è l’altro appuntamento – il secondo – con l’Astra Roma Ballet, con la grande étoile Diana Ferrara e la coreografia di Sabrina Massignani. Uno spettacolo nuovo dedicato a George Sand. Di questa figura letteraria cosa viene trasposto in danza e che cosa conoscerà il pubblico attraverso questo spettacolo?

R. – Sappiamo che tratterà della vita di questa grande scrittrice e intellettuale e che ci saranno delle interazioni tra personaggi. La coreografa sta lavorando sulle profondità psicologiche dei personaggi, sulle loro fantasie intellettuali, nell’ambiente culturale della Parigi della prima metà del 1800. Quindi, credo sia anche un lavoro di scavo in un linguaggio coreografico, che è sempre un’astrazione rispetto alla realtà vera e propria.

D. – Concludono il cartellone due appuntamenti di danza contemporanea: quello con l’Aterballetto e il Balletto del Sud diversissimo… Ecco, sono quattro appuntamenti per mostrare quattro volti diversi della danza? Così presenterebbe il suo Festival? E c’è un filo conduttore?

R. – Direi di no. Questa edizione mi sembra un quadro il più possibile aperto. Troviamo il grande filone della nuova danza americana nata negli anni ’70, e Momix è una delle sue filiazioni. La danza di ricerca europea con i nuovi coreografi europei che è quella che segue l’Ater, la danza più aperta alla comunicazione di una compagnia italiana vivacissima, come quella del Balletto del Sud. E possiamo trovare invece una nuova coreografa, questa volta italiana come Sabrina Massignani, che presenta la novità su George Sand. Quindi, sono quattro facce dell’attività coreografica oggi all’insegna della varietà.

D. – Le tematiche che portano sul palcoscenico sono tematiche legate all’uomo, al tempo, alla natura, all’indagine interiore: dunque, la danza continua a riflettere sulla contemporaneità?

R. – Certo. E' anche proprio nel rinnovamento continuo dello stesso linguaggio coreografico che la danza ricerca. Le diverse strade che come la musica cerca di battere, di vedere, attraverso slanci, contraddizioni, ritorni indietro… Insomma, è la storia del pensiero umano, dell’arte umana come espressione della vita, e quindi anche della società.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: cristiani boicottano “Conferenza su coesistenza pacifica”

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I rappresentanti cristiani invitati a partecipare alla “Conferenza sulla salvaguardia della pacifica coesistenza”, tenutasi domenica scorsa presso il Parlamento iracheno, hanno deciso di disertare la manifestazione, per rimarcare la propria distanza da occasioni in cui i richiami alla convivenza e alla concordia tra diverse identità etnico-religiose si trasformano in mere formule retoriche, senza che vengano minimamente intaccate le discriminazioni sofferte dai gruppi minoritari. 

Patriarca Sako: siamo stanchi di inutili parole
Oltre alle comunità cristiane – riferisce l’agenzia Fides -  hanno boicottato la Conferenza anche altre minoranze religiose, come gli yazidi e i mandei. “A cosa serve specializzarsi nel partecipare a incontri come questo e ripetere le formule che danno il titolo alle conferenze, se poi non si vedono iniziative e cambiamenti sul piano concreto?” ha dichiarato ai media locali il Patriarca caldeo Louis Raphael I Sako. La Conferenza era organizzata con il patrocinio della Presidenza del Parlamento e del Consiglio sunnita per le dotazioni religiose (Waqf), e ha visto la partecipazione di politici, rappresentanti diplomatici e ministri del governo iracheno.

Il Patriarca caldeo aveva denunciato discriminazioni contro la minoranza cristiana
Nei giorni scorsi, il Patriarca caldeo aveva rivolto un accorato appello alle autorità governative e ai leader politici e religiosi per richiamare l'attenzione sulle perduranti discriminazioni giuridiche e le prepotenze di carattere settario subite dai cristiani. “Noi” scriveva il Patriarca nell'appello, pervenuto alla Fides, “ci siamo incontrati con gli ufficiali del governo, e abbiamo visitato alcune delle autorità religiose islamiche per parlare di ciò che abbiamo in comune, riguardo alle nostre fedi e alla vita che condividiamo in questa terra. Durante questi incontri, noi abbiamo assicurato di essere leali all'Iraq, che è la nostra Patria, e di non cercare vendette ma piuttosto di voler vivere in pace con tutti gli iracheni. Purtroppo, nessuna delle loro promesse è diventata realtà”. (G.V.)

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India: Uttar Pradesh: in aumento le violenze contro i cristiani

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Il pastore Rampal e due fedeli cristiani, di nome Lalu Gautam e Ranjeet, arrestati e detenuti dalla polizia di Noida con la falsa accusa di celebrare riti religiosi senza permesso; il pastore pentecostale Sajju K John della chiesa “India Mission” fermato insieme ad altri 20 pastori e detenuti per ore nella stazione di polizia nella città di Robertsganj, senza che contro di loro fosse stato contestato alcun crimine. Sono gli ultimi episodi di discriminazione nei confronti della comunità cristiana dell’Uttar Pradesh in India. 

Violenze anti-cristiane della destra nazionalista
All'agenzia AsiaNews Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), denuncia un picco di violenze contro i cristiani, tutte riconducibili alle forze radicali della destra nazionalista, in cerca di visibilità alle prossime elezioni amministrative programmate per il 2017. Il presidente del Gcic afferma: “Le forze di estrema destra stanno montando una sorta di follia settaria contro la minoranza cristiana vulnerabile, solo sulla base di accuse fabbricate di conversioni forzate”.

Radicali e polizia interrompono i riti cristiani
Il pastore Rampal e i due cristiani sono stati arrestati mentre era in corso la Messa di domenica scorsa. La polizia di Noida ha interrotto la funzione e li ha condotti presso la stazione locale, accusandoli di celebrare il rito senza permesso, dato che la loro chiesa risulterebbe non registrata. Il pastore pentecostale e gli altri 20 leader cristiani di Robertsganj sono stati fermati il giorno prima (sabato scorso), mentre stavano recitando le loro preghiere della sera. Una folla di radicali ha interrotto l’incontro, li ha costretti a uscire per strada, umiliati e colpiti con dei bastoni, fino a quando la polizia non li ha portati via. Tutti sono stati rilasciati solo dopo molte ore, senza accuse.

Preoccupa la frequenza di questi incidenti
Sajan K George commenta: “Il Gcic condanna lo slancio con cui la polizia in modo intenzionale interrompe e arresta i cristiani innocenti. La preoccupazione maggiore riguarda la frequenza con cui avvengono questi incidenti in Uttar Pradesh e l’inerzia della stessa polizia nei confronti di elementi settari che vogliono creare un loro ordine pubblico”.

Appello per la sicurezza dei cristiani 
Il leader cristiano ricorda infine il caso, avvenuto pochi giorni fa a Orai – sempre nell’Uttar Pradesh – del cristiano umiliato in pubblico da nazionalisti che sostengono l’ideologia dell’hindutva. La folla gli ha rasato capelli, barba e sopracciglia, lo ha addobbato con ghirlande di scarpe e portato per le strade in sella ad un asino. “Anche lui – dice Sajan K George – era accusato ingiustamente di conversioni forzate. Il Gcic lancia un appello per la sicurezza dei cristiani dell’Uttar Pradesh, soprattutto in vista del rinnovo dell’Assemblea statale nel 2017”. (N.C.)

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Bangladesh: attaccato convento di suore

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Un gruppo composto da circa 20 persone ha attaccato nella notte un convento di suore e una chiesa cattolica nel distretto di Chuadanga, 160 chilometri a ovest della capitale Dhaka. I malviventi hanno derubato le religiose usando intimidazione e violenza, e messo a soqquadro la chiesa. La polizia, informata, ha aperto un’inchiesta. Tuttavia, un leader cristiano fa notare all'agenzia AsiaNews come sia “preoccupante” che oramai neanche le religiose siano immuni dalla violenza nel Paese.

Gli assalitori hanno legato le due guardie di sicurezza e sono entrati armati
L’assalto è avvenuto intorno alla mezzanotte fra il 6 e il 7 febbraio. Nel mirino la chiesa Karpashdanga, adiacente a un convento delle catechiste del Cuore Immacolato di Maria. Si tratta di una congregazione diocesana, fondata nel 1951 dall’allora vescovo di Dinajpur mons. Joseph Obert del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere). Il parroco, padre Arun Halsona, era nella capitale per motivi pastorali: gli assalitori hanno legato le due guardie di sicurezza e sono entrati armati.

Le suore derubate e malmenate
In un primo momento si sono recati nella chiesa, dove hanno distrutto alcuni libri di preghiera. Poi sono entrati nel convento, dove tre suore stavano dormendo: le hanno svegliate e tenute sotto la minaccia delle armi mentre compivano la rapina. Fra la refurtiva telefoni cellulari, alcuni oggetti di poco valore e soprattutto 350mila rupie bangladeshi (circa 4mila euro) che le suore tenevano in casa per pagare un lavoro di muratura nel convento. Portati via anche gli abiti delle religiose. Una di loro è stata schiaffeggiata con forza perché si era rifiutata di consegnare il denaro, ma per fortuna il gruppo non ha subito altri abusi fisici. Tuttavia, ora vivono nella paura: la polizia, informata dei fatti, ha aperto un’inchiesta ma fino ad ora non è riuscita a identificare i colpevoli.

Le religiose sono sempre molto rispettate nel Paese
Nirmal Rozario, Segretario generale dell’Associazione cristiana del Bangladesh, dice ad AsiaNews: “Siamo molto preoccupati, dato che è stato colpito anche un luogo guardato da agenti di sicurezza. Ma soprattutto perché a finire nel mirino questa volta sono state delle suore: nel nostro Paese le religiose sono sempre state molto rispettate, ma questo stato di cose sembra essere finito”. Per l’attivista “il governo è vicino alle minoranze e fa di tutto per aiutarci, ma qualcuno vuole creare l’anarchia nel Paese. Ecco perché servono inchieste giuste e rapide contro i colpevoli di atti simili”. (R.P.)

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Nepal: riaperto il confine con l’India dopo 5 mesi di embargo

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Uno dei principali valichi di frontiera tra Nepal e India, il Raxaul-Birgunj, è stato riaperto ieri dopo cinque mesi di embargo indiano sulle merci esportate. I camion che trasportano carburante e beni alimentari - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno potuto transitare e oltrepassare i controlli doganali, mentre in precedenza venivano respinti. La popolazione nepalese è allo stremo e non ha nemmeno il gas per cucinare, e gli esperti sostengono che ci vorranno giorni prima che la situazione torni alla normalità. Nel frattempo i partiti che rappresentano la minoranza madhese, e che hanno acuito gli effetti dell’embargo in questi mesi, sono divisi sulla riapertura della frontiera.

L'embargo indiano dopo l'approvazione della costituzione nepalese
Il Nepal ha subito un embargo commerciale sui beni importati dall’India, circa l’80% del volume totale, dopo l’approvazione della prima Costituzione democratica. Subito dopo la firma, i gruppi di minoranza hanno scatenato feroci proteste, accusando il governo centrale di aver ignorato le loro richieste. L’India, che confina con la nazione himalayana, ha subito bloccato i commerci, giustificando il gesto come forma di “sostegno” delle comunità inascoltate. In realtà alcuni esperti hanno spiegato ad AsiaNews i veri motivi del gesto, frutto più di ambizioni egemoniche del confinante.

Dal valico aperto passa circa il 70% del totale delle merci in entrata
Dopo lunghi mesi di sofferenze, che hanno portato il Paese sull’orlo della guerra civile, ieri il valico di Birgunj è stato riaperto, consentendo il transito di circa 100 veicoli. Da questo valico passa circa il 70% del totale delle merci in entrata, via terra e attraverso i container cargo, smistati soprattutto nel porto di Calcutta in India. Il giorno precedente invece decine di esponenti del partito Samyukta Loktantrik Madhesi Morcha si erano opposti alla riapertura, ma ieri il passaggio dei camion si è svolto in tutta tranquillità e lo stesso partito ha dichiarato che non bloccherà la frontiera “in avvenire”.

Ripresi i contatti tra India e Nepal
Appena il transito è stato ripristinato, il ministro delle Finanze nepalese Bishnu Poudel è volato in India per preparare una visita ufficiale del premier KP Sharma Oli, in programma per la fine del mese. Il politico ha incontrato Sushma Swaraj, ministro degli Esteri indiano. Raggiunto al telefono da AsiaNews, ha dichiarato che Oli incontrerà il premier indiano Modi: “La visita del primo ministro nepalese verterà su questioni bilaterali e regionali”. (C.S.)

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Uganda: leader religiosi in preghiera per le prossime elezioni

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Le principali confessioni religiose dell’Uganda unite nel pregare per il corretto svolgimento delle elezioni generali del 18 febbraio. Lo ha deciso il Council of Presidents of Inter-Religious Council of Uganda (Ircu), che ha comunicato il calendario dei diversi momenti di preghiera. Secondo quanto riferisce l'agenzia Fides, venerdì 12 febbraio sono i musulmani a essere invitati a pregare mentre sabato 13 sono gli Avventisti del Settimo Giorno, seguiti domenica 14 da cattolici, anglicani, ortodossi, pentecostali, evangelici ed altri.

I leader religiosi chiedono leader giusti per il Paese
“Come leader religiosi, si suppone che non siamo coinvolti nelle elezioni e/o in campagne elettorali, perché tutte le parti sono il nostro popolo e il popolo di Dio. I politici sono benvenuti nelle nostre chiese, ma chiediamo a tutti di pregare che Dio ci doni i leader giusti per il Paese” ha affermato mons. Charles Kasibante, vicario generale di Kampala, alla conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa, in rappresentanza di mons. Cyprian Kizito Lwanga, arcivescovo di Kampala.

Il rischio di brogli elettorali
Sheikh Shaban Ramadhan Mubajje, mufti della capitale ugandese e co-presidente dell’Ircu ha sottolineato le sfide che il Paese è chiamato ad affrontare perché le elezioni siano giuste e trasparenti: “scarsa democrazia in seno ai partiti politici; credibilità della Commissione elettorale; compravendita dei voti; apatia dei votanti; intolleranza e violenza; presenza di milizie; intimidazioni; uso di linguaggio ingiurioso e brogli elettorali”. “A poche settimane dal voto, questi problemi rimangono le preoccupazioni chiave per diverse persone, dentro e fuori l’Uganda, e occorre un’azione urgente da parte di tutte le parti interessate” ha aggiunto.

Favorito il Presidente Museveni
​Il 18 febbraio si vota per le elezioni presidenziali e parlamentari. Il Presidente Yoweri Museveni, al potere da 30 anni, è dato come favorito di fronte agli altri 7 candidati. In previsione di eventuali proteste violente, la polizia ha ricevuto nuovi equipaggiamenti antisommossa e per il controllo delle folle. (L.M.)

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Unier: master e tavola rotonda su interazione interculturale

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Inaugurazione oggi all’Università Europea di Roma del Master per l’Educazione, l’inclusione e l’interazione in contesti interculturali, realizzato in collaborazione con l’Associazione italiana maestri cattolici (Aimc) e con enti e imprese attivi in contesti interculturali e interreligiosi. 

Gli interventi alla tavola rotonda
In questa occasione si terrà nel pomeriggio una Tavola Rotonda alla quale interverranno insieme al rettore padre Luca Gallizia, Renata Salvarani, direttore del master e docente di Storia del Cristianesimo, Umberto Roberto, coordinatore del corso di laurea in Scienze della Formazione primaria dell’ateneo, Giuseppe Desideri, presidente dell’Aim, Jiang Zhonghua, direttore della scuola Zhong Hua di Roma, Guido Traversa, docente di filosofia morale, Valentina Colombo, docente di geopolitica del mondo islamico, Vincenza Tripaldi, docente di pedagogia speciale, Javier Fiz Perez, docente di psicologia dell’integrazione. Il dibattito sarà moderato da Roberta Gisotti, giornalista della Radio Vaticana. 

Formare professionisti per operare nel terzo settore
Finalità del nuovo Master è di rispondere alla crescente domanda di formazione su temi e problemi legati ai grandi flussi migratori per favorire il dialogo, l’accoglienza e l’integrazione di persone, spesso con vissuti pregressi e attuali difficili e dolorosi. L’obiettivo è formare professionisti in grado di operare all’interno di organizzazioni pubbliche e private, in enti governativi e Onlus, in istituti scolastici e nelle realtà del terzo settore. (www.unier.it)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 40

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.