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Sommario del 02/02/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: ammirato da grandezza culturale del popolo cinese

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“Ammiro la Cina, la sua grande cultura, la sua inesauribile saggezza”: così Papa Francesco, in un’intervista rilasciata al giornalista Francesco Sisci per la testata “Asia Times”. Nel corso della conversazione, il Pontefice rivolge anche i suoi auguri al popolo cinese ed al suo presidente, Xi Jinping, per il Capodanno cinese che ricorre l’8 febbraio. Il servizio di Isabella Piro

È un’intervista ad ampio spettro sui temi culturali e filosofici della Cina, senza riferimenti a questioni religiose o politiche, quella realizzata in Vaticano il 28 gennaio scorso, dal giornalista Francesco Sisci e pubblicata oggi da “Asia Times”. “Per me, la Cina è sempre stata un punto di riferimento di grandezza – dice il Papa – un grande Paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile” per quale il Pontefice esprime “ammirazione”. Inevitabile, quindi, il riferimento al padre gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina, che – spiega il Papa – “ci ha insegnato che è necessario entrare in dialogo con questo Paese”. È “una terra benedetta da molte cose – aggiunge il Santo Padre – e la Chiesa cattolica ha il dovere di rispettare tutte le civiltà e di averne “Rispetto” con la ‘R’ maiuscola”.

La sfida della pace si vince con il dialogo
Papa Francesco cita, poi, Marco Polo che portò gli spaghetti in Italia dalla Cina e ricorda l’emozione provata nell’attraversare lo spazio aereo cinese, durante il viaggio apostolico che, a gennaio 2015, lo ha portato in Sri Lanka e nelle Filippine. Rispondendo, quindi, ad una domanda sulla pace, il Pontefice sottolinea che “la paura non è una buona consigliera” e che quindi “non bisogna temere le sfide” e “la capacità di trovare il modo di co-esistere, di rispettarsi reciprocamente”. Naturalmente – il Papa ne è consapevole – “mantenere l’equilibro della pace è una grande sfida”, ma l’Europa, il mondo occidentale ed orientale e la Cina stessa “hanno la capacità di mantenere tale equilibrio e la forza di farlo”. Per questo, ribadisce il Pontefice, “dobbiamo trovare il modo” di raggiungere tale obiettivo “attraverso il dialogo. Altra via non c’è”.  

Dialogo non è compromesso, ma cammino insieme
E il dialogo, continua Francesco tornando su un tema a lui particolarmente caro, porta all’incontro: “Il vero equilibro della pace si realizza attraverso il dialogo – dice – dialogo che non significa scendere a compromessi, ma camminare insieme per costruire”. In questo modo, “la torta” – dice il Papa con una metafora – ovvero “l’umanità, la cultura”, non viene spartita in piccole porzioni, ma appartiene a tutti e tutti possono dare il loro contributo al bene comune.

I figli, “problema doloroso”
Rispondendo, poi, ad una domanda sulla politica cinese del ‘figlio unico’, il Papa ne parla come di “un problema doloroso” che mette i figli in condizioni di dover reggere il peso dei genitori e dei nonni, e che deriva, ad esempio, da “l’egoismo di alcuni settori abbienti che preferiscono non avere bambini”. “Questo non è un modo naturale – dice il Pontefice – e capisco che la Cina abbia aperto delle possibilità su questo fronte”. Di qui, nell’Anno Santo della Misericordia, l’invito al popolo cinese a “riconciliarsi con la sua storia, con i suoi successi ed i suoi errori”, perché questo porta alla “maturità ed alla crescita”. “È sano per un popolo avere misericordia nei confronti di se stesso – spiega il Papa – è “nobiltà d’animo” che “permette di sorridere ed andare avanti”, perché “se ci si ferma, allora si diventa corrotti”, come le acque stagnanti.

Riconoscere la grandezza del popolo cinese
E qui il Pontefice torna sul tema del dialogo: “Dialogare non significa arrendersi – spiega – perché oggi c’è il rischio, nel confronto tra differenti Paesi, della colonizzazione culturale”. Al contrario, “è necessario riconoscere la grandezza del popolo cinese – dice – che ha sempre mantenuto la sua cultura”. Ed il Papa specifica: “Non sto parlando delle ideologie”, bensì della cultura.

Affrontare la realtà e cercare di migliorarla
Quando alla crescita economica del Paese che, domanda Sisci, ha portato drammatiche conseguenze sul piano ambientale ed umano, il Papa afferma: “Innanzitutto, bisogna affrontare la realtà per quella che è e poi, in secondo luogo, lavorare per cercare di migliorarla”. “Possono sembrare suggerimenti semplici, quasi banali”, continua il Pontefice, ma è bene non fare “come lo struzzo, che nasconde la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà”. D’altronde, “la grandezza della Cina, oggi, si trova proprio nel guardare al futuro da un presente sostenuto dalla memoria del suo passato culturale”, si trova nel “vivere in tensione, che non è angoscia”, ma confronto tra passato e presente che permette di andare avanti.

Gli auguri per il Capodanno cinese
Infine, in vista del Nuovo Anno Cinese, che avrà inizio l’8 febbraio e che sarà dedicato alla Scimmia, il Papa invia i suoi “migliori auguri e saluti al presidente Xi Jinping ed a tutto il popolo cinese”. “Spero – dice – che non perdano mai la consapevolezza storica di essere un grande popolo, con una grande storia di saggezza e che hanno molto da offrire al mondo”. “Con questa consapevolezza, in questo Nuovo Anno – conclude il Pontefice – possano continuare ad aiutare ed a collaborare con tutti nella cura della casa comune e di tutti i popoli”.

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Il Papa celebra il Giubileo della vita consacrata

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“Papa Francesco? Una benedizione per tutti i religiosi”. Non ha dubbi il presidente dell’Unione superiori generali (Uisg), padre Mauro Jöhri, nel valutare l’esperienza globale vissuta da Ordini e Congregazioni durante l’Anno della vita Consacrata, che si conclude oggi. Il suggello a questo periodo speciale verrà dato nel pomeriggio, alle 17.30, quando il Papa presiederà in San Pietro la Messa per i religiosi, che coincide anche con la celebrazione del Giubileo della Vita Consacrata. Le parole di padre Jöhri al microfono di Gudrun Sailer

R. – L’Anno dedicato alla vita consacrata è stato un anno che ha permesso alle diocesi, alla Chiesa, di rendersi conto, di rallegrarsi del fatto che esiste la vita consacrata. La mia speranza è che un po’ dappertutto ci sia stata questa presa di coscienza, soprattutto per quello che noi siamo come religiosi: penso che ciò che sta a cuore sia la consacrazione, una vita donata a Dio vissuta nella semplicità, nella povertà e nell’obbedienza e che vorrebbe essere una vita dedicata a chi è maggiormente nel bisogno.  La vita consacrata può rallegrarsi enormemente di Papa Francesco, della sua presenza e di quanto lui ci ha detto fino ad adesso. L’impulso, ad esempio, di andare in periferia, a essere molto più vicino ai poveri, a essere portatori di gioia, il fatto di vivere il nostro tempo con passione, di affrontare il futuro con molta speranza… Questo Papa sta dando alla vita consacrata una ricchezza di proposte che ora tocca a noi mettere in pratica.

D. – Lei è stato di recente, qualche settimana fa insieme a padre Adolph Nicolas, generale dei Gesuiti in udienza privata dal Papa. Di cosa si è parlato?

R.  – Padre Nicolas voleva prima di tutto presentarmi al Papa in questo nuovo ruolo di presidente dell’Unione (Uisg – ndr). Abbiamo parlato di tante cose: ad esempio la questione dell’accesso a tutte le cariche all’interno dei nostri Ordini da parte di tutti i membri dell’Ordine, quindi sacerdoti e laici. Ci sono molti Ordini religiosi che sono preoccupati del fatto che c’è una “clericalizzazione” della vita consacrata. Il Papa stesso mi diceva: “Prima consacrati, poi sacerdoti”. Quindi, noi vorremmo chiedere che la Chiesa conceda che, in nome della vita consacrata, ogni consacrato possa esercitare anche le cariche di ministro provinciale o generale. Il Papa ci ha incoraggiati a andare avanti e a preparare la documentazione necessaria perché per arrivare a questo bisogna cambiare il Diritto canonico.

D. – Tre anni di Papa Francesco: cosa sono questi tre anni?

R. – Tre anni di Papa Francesco sono una benedizione come lo è stata Papa Benedetto. Chiaramente, Papa Francesco ha portato una ventata nuova, direi soprattutto per lo stile con il quale sta svolgendo il suo ministero e per il coraggio con il quale ha annunciato e sta affrontando una riforma della struttura vaticana. Ma la cosa che più mi colpisce è questa sua libertà. Io l’attribuisco anche al fatto che lui da provinciale dei Gesuiti in Argentina, durante il periodo della dittatura, ha messo più volte la sua vita a rischio per salvare vite. Molte persone devono a lui la vita perché è riuscito a farli partire, a trovare delle soluzioni per persone che erano minacciate non guardava in faccia per dire: tu sei cristiano, tu non sei cristiano… tu sei minacciato.  Io questo lo avverto e in questo senso sono molto grato alla sua presenza e a ciò che sta facendo. Speriamo che il Signore gli dia tanta salute e tanti anni ancora per portare avanti quello che gli sta a cuore.

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Nomine episcopali in Grecia, Canada e India

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In Grecia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Esarcato Apostolico per i cattolici di rito bizantino presentata da mons. Dimitrios Salachas, in conformità al can. 210 § 1 del Codice dei Canoni per le Chiese Orientali. Al suo posto, Papa ha nominato l’archimandrita Manuel Nin, salesiano, finora rettore del Pontificio Collegio Greco in Roma, elevandolo in pari tempo alla sede titolare vescovile di Carcabia. È nato il 20 agosto 1956 in Spagna, dove ha compiuto gli studi primari e secondari: Entrato nel Monastero Benedettino di Monserrat per il noviziato, ha emesso i primi voti il 26 aprile 1977, la solenne professione monastica nel 1980 ed è stato ordinato presbitero il 18 aprile 1998. Trasferitosi a Roma, ha continuato gli studi negli Istituti e Facoltà teologiche dell’Urbe. Si è laureato in Teologia con specializzazione in Patrologia. Prevalentemente, si è dedicato all’insegnamento ed è tutt’ora impegnato in una intensa attività didattica. È stato Padre Spirituale del Pontificio Collegio Greco e dal 1999 è Rettore dello stesso. In seno al suo Ordine è stato primo Assistente dell’Abate Presidente della Congregazione sublacense-cassinese. È consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice. È membro della Commissione Liturgica della Congregazione per le Chiese Orientali. Oltre al catalano e allo spagnolo, conosce il greco, il latino, il siriaco, l’italiano, il francese e l’inglese.

In Canada, il Pontefice ha accettato la rinuncia  all’ufficio di Vescovo di Moosonee e Hearst, diocesi unite “in persona Episcopi”, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Vincent Cadieux, degli Oblati di Maria Immacolata. Al suo posto ha nominato Francesco Mons. Robert Bourgon, finora vicario generale della diocesi di Sault Sainte Marie. Il neo presule è nato il 10 marzo 1956, a Sudbury. Dopo gli studi primari e secondari a Creighton Mine e nel St. Charles College di Sudbury, si è iscritto alla Queen’s University e alla Western University, dove ha ottenuto il baccalaureato in psicologia e filosofia. E’ poi entrato nel Seminario St. Peter di London, e presso la Saint Paul University (Ottawa), ha conseguito il Master of Divinity e il Dottorato in diritto canonico. E’ stato ordinato sacerdote l’8 maggio 1981 per la diocesi di Sault Sainte Marie. Dopo la sua ordinazione è stato Vicario della Parrocchia Holy Name of Jesus e Assistente della Pro-Cattedrale di North Bay (1981-1983); Parroco di St. Bartholomew di Levaci (1986-1992); Parroco di St. François-Xavier di Cartier (1988-1996). Dal 1996 è di nuovo Parroco delle parrocchie di Levaci, Cartier e di Bowling, fuse tra loro, e di Onaping, nella regione di Sudbury. Insieme con l’attività pastorale ha svolto anche incarichi amministrativi e curiali: dal 1984 al 1986, è stato “prestato” alle diocesi di London e all’arcidiocesi di Kingston per riordinare i tribunali diocesani. Nel 1990 è stato annoverato tra i membri del Collegio dei Consultori. Nel 1998 è stato nominato Vicario giudiziale di Sault Sainte Marie e Vicario giudiziale aggiunto del Tribunale regionale di Toronto. Nel 2000 è stato nominato anche Vicario episcopale per le materie spirituali e nel 2011, pure Cancelliere. Dal 17 aprile 2012 è stato Vicario Generale della diocesi di Sault Sainte Marie.

In India, il Papa ha nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Trivandrum dei Latini il sacerdote Christudas Rajappan, rettore del St. Vincent’s Seminary della medesima arcidiocesi. Mons. Rajappan è nato il 25 novembre 1971 ad Adimalathura, Arcidiocesi di Trivandrum dei Latini. Ha completato gli studi filosofici e teologici nel Papal Seminary a Pune. Poi, ha conseguito un Dottorato in Missiologia presso la Pontificia Università Urbaniana, Roma. È stato ordinato sacerdote il 25 novembre 1998 per l’Arcidiocesi di Trivandrum dei Latini. Dopo l’Ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1998-1999: Amministratore Parrocchiale della St. Nicholas Church, Neerody; 1999-2001: Segretario del Vescovo e Cappellano del Jubilee Memorial Hospital & Catholic Hostel; 2000-2003: Direttore del KCYM, Trivandrum; 2001-2007: Cappellano del Catholic Hostel; 2002-2004: Parroco alla St. Magdalene Church, Parthiyoor; 2004-2009: Studi per il Dottorato a Roma; 2010-2013:Direttore Spirituale e docente al St. Joseph’s Pontifical Seminary, Alwaye; Dal 2013: Rettore del St. Vincent’s Seminary, Menamkulam, Direttore del Board of Clergy & Religious e Parroco alla St. Thomas Aquinas Church, Kochuthura.

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Papa, tweet: Maria, aiutaci a trasmettere le meraviglie di Dio

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Maria, Madre di Gesù, aiutaci a trasmettere le meraviglie del Signore a quanti incontriamo sul nostro cammino”.

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Card. Bo: dialogo e unità per sconfiggere guerra e miseria

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Ci sono continenti come Asia e Africa dove tante famiglie lottano per la sopravvivenza, mentre le nazioni ricche hanno dimenticato la lotta alla povertà e stanno introducendo nuove forme familiari scegliendo di distruggere la famiglia per via legale: è quanto ha sottolineato il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, nella Messa conclusiva del Congresso eucaristico internazionale, che si è svolto a Cebu, nelle Filippine, dal 25 al 31 gennaio. Per superare le sfide di oggi – ha detto il porporato, legato pontificio all’evento – è necessario puntare al dialogo e all’unità, come chiede Papa Francesco. Sul messaggio del Congresso al mondo ascoltiamo il cardinale Bo al microfono del nostro inviato Sean Lovett

R. – Yes: the issue is certain a sort of example to the whole world  ...
Sicuramente voleva che si desse una sorta di esempio al mondo intero per evidenziare che il dialogo interreligioso e l’armonia interreligiosa sono molto importanti. Quello che il Papa sta cercando di comunicare è l’atteggiamento di inclusione nei riguardi di tutte le religioni e nei riguardi di tutte le persone di ogni nazionalità e lingua: questo è molto importante, perché questo unisce. Le nostre differenze non sono una debolezza ma una forza e queste differenze devono essere vissute nell’unità tra di noi, in tutto il mondo, tra le diverse religioni e persone.

D. – Nel suo discorso al Congresso eucaristico ha parlato di una “terza guerra mondiale alla povertà” …

R. – So that’s something like a threatening statement, if you just hear it, …
Bè, a sentirla così, mette un po’ paura, ma quello che volevo dire è che tutto il mondo e tutti popoli dovrebbero partecipare alla soluzione del problema della povertà. Noi possiamo risolverlo perché è possibile una equa distribuzione delle risorse del mondo. Ci sono i poveri non perché non ci siano risorse naturali, non perché non ci sia abbastanza cibo, ma perché la distribuzione non è equa. Dovrebbe esserci un sistema, adottato da tutti i Paesi con i loro governi, che garantisca la condivisione dei beni tra tutti. Ascoltiamo quanto dice su questo punto Papa Francesco: non solo la Chiesa cattolica guarda a lui, ma tutto il mondo, le altre religioni guardano a lui. In lui abbiamo un leader al quale guardano i leader dell’umanità.

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P. Morra: Padre Pio, Santo del popolo e della misericordia

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E’ sicuramente tra i momenti più attesi dai fedeli in questo Giubileo della Misericordia: verranno traslate domani a Roma le spoglie di San Pio da Pietrelcina assieme a quelle di San Leopoldo Mandic che venerdì, dopo una solenne e suggestiva processione in Via della Conciliazione, verranno deposte nella Basilica Petrina davanti all’Altare della Confessione. L’evento è preceduto da molte iniziative spirituali e culturali legate al Santo francescano. Stamani, nella Filmoteca Vaticana, è stato presentato un documentario del Ctv dal titolo “Padre Pio. Costruttore di Misericordia” e il libro “La Misericordia in Padre Pio” di Stefano Campanella per le edizioni San Paolo. Durante la presentazione il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò, ha sottolineato che Padre Pio è un frate confessore che ha testimoniato lungo tutta la sua vita la forza del perdono di Dio. Dal canto suo, padre Marciano Morra, amico di Padre Pio e confratello del Convento dei Cappuccini di San Giovanni Rotondo, ha ricordato le tante ore passate ogni giorno dal Santo nel confessionale, ricordando che nel solo anno prima della morte si stima che Padre Pio abbia confessato 50 mila persone. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Marciano di raccontare cosa rappresenta per lui e i suoi confratelli la traslazione in San Pietro delle spoglie del Santo: 

R. – Per questa folla che lo vedrà è il papà: il papà che sta in mezzo ai figli. E questa è un’immagine molto bella, di Padre Pio. Non è il Santo che sta in Cielo e ha finito e dice “bè, voi datevi da fare” … No! E’ il Santo che ci segue continuamente, altrimenti non si spiega che sul quel Gargano roccioso arrivino ancora migliaia di pellegrini. Nessuno si muove da casa sua se non è certo di avere una ricompensa, di ottenere una grazia. Quindi è il Santo che ancora oggi vive in mezzo al popolo, vive per il popolo.

D. – Lei ha conosciuto, è stato per anni con Padre Pio; anche chi magari – e sono chiaramente pochissimi – non lo conoscono così bene, hanno questa immagine di padre Pio nel confessionale, che lì passa ore, instancabilmente. Questo ha un significato fortissimo in questo Giubileo della misericordia: il perdono …

R. – Chiaro! Teniamo presente che Padre Pio, come giustamente si dice, molte volte alzava la voce e rimproverava. E perché? E’ l’immagine del papà di famiglia. Ci ha i figliuoli e fa in modo che i figliuoli si comportino bene, dà buoni insegnamenti … Ma se il figlio incomincia a deviare, il padre deve intervenire, deve richiamarlo sulla retta via. Se questo non lo fa, non è un papà buono. Padre Pio era un papà buono, che quando si trovava di fronte a un penitente che faceva l’accusa dei peccati ma non aveva nessuna intenzione di cambiare strada, di cambiare vita, alzava la voce e lo rimproverava!

D. – Ricorda anche Papa Francesco che a proposito di parole forti, a volte è proprio sferzante nel condannare il peccato, mentre abbraccia il peccatore …

R. – Bellissimo, Papa Francesco! Possiamo dire che sta interpretando molto Francesco d’Assisi, ma nel campo della guida del popolo prende anche da Padre Pio, perché Padre Pio è moderno: Papa Francesco è moderno, e quindi è una realtà quasi simile … Quindi, Padre Pio è d’aiuto anche a Papa Francesco, non solo con l’intercessione dal cielo, ma anche con la sua testimonianza di vita.

D. – Che cosa rappresenta per lei, che cosa rappresenta per la vostra comunità questa traslazione, questo evento così straordinario?

R. – Bisogna rifletterci un po’ sopra, perché facilmente uno viene preso dal movimento, dall’organizzazione … Questo, a noi frati ci deve far riflettere. Siamo chiamati a battere la sua strada, quella che lui ci ha aperto; far riflettere a noi che siamo frati del popolo, come Padre Pio si sia preoccupato di far crescere quel deserto in cui era e l’ha sviluppato! Noi frati dobbiamo pregare, perché senza preghiera non si fa niente; dobbiamo preoccuparci di rimanere frati del popolo, stare in mezzo al popolo!

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San Leopoldo Mandić: la tenerezza di Dio nel confessionale

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San Leopoldo Mandić, le cui spoglie arriveranno domani a Roma in occasione del Giubileo della Misericordia e saranno esposte nella Basilica Vaticana dal 5 all'11 febbraio, è nato in Dalmazia nel 1866, è vissuto per 30 anni nel Convento dei Cappuccini di Padova e qui è morto nel 1942. Ha donato tutta la vita al Sacramento della Riconciliazione. Sul suo carisma, ascoltiamo padre Flaviano Giovanni Gusella, rettore del Santuario di San Leopoldo Mandić di Padova, al microfono di Sergio Centofanti

R. – Padre Leopoldo è stato additato dai Papi che lo hanno beatificato e canonizzato – Paolo VI e San Giovanni Paolo II – con un duplice carisma: quello di essere ministro straordinario, “eroico ministro della Riconciliazione” - sono le testuali parole usate nelle omelie di Beatificazione e di Canonizzazione - e nello stesso tempo profeta dell’ecumenismo spirituale. Padre Leopoldo era una persona dotta, sapiente, intelligente, una persona soprattutto che aveva tanto cuore verso i peccatori.

D. – Che cosa insegna oggi padre Mandić ai confessori?

R. – Certamente la disponibilità. Padre Leopoldo era in confessionale tutto il giorno: dalla mattina presto alla sera tardi. Se c’è una cosa che chiedeva ai superiori era quella di poter sforare anche oltre gli orari stabiliti per i confessori: la sua totale disponibilità e la fedeltà al suo ministero e al suo carisma. Ecco credo che sia questo, perché a volte, da parte di molti penitenti, si sente oggi il bisogno, il desiderio, di incontrare e di trovare lì – come dice Papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo della Misericordia – il confessore che ti aspetta, ti accoglie, non si spazientisce, e che è pronto ad accogliere te come immagine di Gesù Buon Pastore. Credo che questo sia l’atteggiamento di base fondamentale per i confessori. E poi, sempre come dice Papa Francesco nella Bolla per il grande Giubileo della Misericordia, questa capacità di essere volto misericordioso, tenero, dolce, paterno nei riguardi di coloro che si accostano al Sacramento della Riconciliazione. Così come ha fatto il Padre della parabola del Figliol Prodigo.

D. – E che cosa dice a chi si accosta al confessionale?

R. – Padre Leopoldo invita alla fiducia. “Abbia fede, abbia fiducia - diceva - non abbia paura. Vede, anch’io sono un peccatore come lei. Se il Signore” - lo chiamava il “Padrone Iddio – “non mi tenesse una mano sulla testa, farei come lei e anche peggio di lei”. Padre Leopoldo invita ad avere questa fiducia straordinaria in un Dio che è solo amore, solo perdono, solo capacità di accoglienza, tenerezza, che ha il desiderio più grande di riabbracciarci come suoi figli. Non importa i peccati né gli sbagli. Dio vede il nostro desiderio di riprenderci, di cambiare vita, di riconciliarci. E questo gli basta.

D. – Ci può raccontare un aneddoto della vita di padre Mandić?

R. – Quando ha conquistato un penitente nel suo confessionale, una persona di Padova, che da tanto non si confessava. Padre Leopoldo uscì dal confessionale e, privilegiando lui rispetto ad altri, gli disse: “Venga, venga lei signore”. Questo tale, che non frequentava il confessionale da tanto tempo, entrò nel piccolo confessionale – quello che c’è ancora oggi e che è rimasto intatto dopo il bombardamento del 1944, come del resto padre Leopoldo aveva previsto – e non sapeva dove mettersi. Si sedette allora nella poltroncina riservata al confessore. Padre Leopoldo, senza dire niente, si inginocchiò davanti a lui e ascolto così, in ginocchio, la confessione del suo penitente. Poi il penitente probabilmente si rese conto di aver sbagliato, chiese scusa, e padre Leopoldo lo congedò con un sorriso larghissimo, senza fargli pesare quell’errore. Quel tale poi disse: “Questo gesto mi ha profondamente conquistato”. E da allora diventò penitente abituale di padre Leopoldo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Incontro attraverso il dialogo: l’intervista al Papa uscita il 2 febbraio su “Asia Times”.

In prima pagina, un editoriale di Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato italiano per la bioetica, dal titolo “Un esperimento a rischio”: autorizzati in Gran Bretagna l’uso e la distruzione di embrioni umani.

La rivoluzione della tenerezza: Caterina Ciriello su vita consacrata e misericordia.

Felice Accrocca sulla vita semplice nei “Fioretti” di San Francesco.

Da domani a Roma le spoglie di san Pio da Pietrelcina e di san Leopoldo Mandic: i contributi di Francesco Castelli e Flaviano Giovanni Gusella.

Dall’anno della vita consacrata al giubileo: bilancia e prospettive nell’intervista di Nicola Gori al cardinale Braz de Aviz.

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Oggi in Primo Piano



Usa, in Iowa il voto dei giovani frena Trump e Clinton

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Negli Stati Uniti, a vincere la primissima tappa della corsa alla Casa Bianca non sono i candidati dati per favoriti dai sondaggi. Emergono sorprese, sia sul fronte repubblicano che democratico. I risultati nel servizio di Francesco Semprini, dallo Stato dell’Iowa dove si è votato: 

E’ senza dubbio una partenza da brivido quella che ha dato inizio ieri alla corsa per l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti. Nulla o quasi è andato come previsto qui in Iowa, dove i risultati emersi dai caucus, le assemblee degli elettori, hanno stravolto gli equilibri imposti nelle ultime settimane dalle più accurate rilevazioni statistiche. In casa repubblicana, è Ted Cruz a mettere a segno una netta vittoria ai danni del grande favorito, Donald Trump, dato alla vigilia come indiscutibile "front-runner" tra i candidati del Grand Old Party. Ancora più sorprendente è però la scalata del giovane Marco Rubio, che conquista un terzo posto dorato a una manciata di voti dalla testa della classifica, entrando di prepotenza nella corsa per la conquista della nomination repubblicana. Sulla sponda opposta invece, in casa democratica, il socialista Bernie Sanders fa incetta di voti, specie tra i giovani e i delusi, tenendo testa così alla favoritissima Hillary Clinton. "Noi siamo la nuova alba dell’America", sferza Ted Cruz salutando i suoi elettori accorsi in massa alla complesso fieristico di Des Moines per la grande festa organizzata dopo la vittoria nell'esordio elettorale. "L'Iowa ha parlato. Ha mostrato che la nomination repubblicana non sarà decisa dai media, da Washington e dalle lobby, ma dal popolo", dice Cruz che definisce la sua "una vittoria dal basso". Anche Bernie Sanders esulta: "Sono alla pari con Hillary Clinton: Questo è un messaggio preciso all'establishment", dice il senatore del Vermont, mentre in Iowa la gara è "too close to call" (troppo ravvicinata) per decidere se il vincitore sia lui o l'ex first lady. La corsa si sposta ora in New Hampshire per il voto delle primarie del prossimo martedì, in una nuova gara serratissima tra chi cerca di consolidare il successo dell’Iowa altri e chi è a caccia del riscatto. Ma con una discriminante: stavolta i vinti potrebbero esserlo del tutto.

Ted Cruz ha sottolineato che l'Iowa si è pronunciato dimostrando che la nomination non sarà decisa dai media ma dal popolo. Su questo primo voto, che ha smentito i sondaggi, e sulla partita aperta in casa dei repubblicani così come in casa dei democratici, Fausta Speranza ha parlato con lo storico, Daniele De Luca: 

R. – Ci si poteva aspettare che comunque in uno Stato estremamente conservatore e religioso, come l’Iowa, una persona come Ted Cruz, che rappresenta l’ala conservatrice dei repubblicani, potesse avere un ruolo superiore ad altri. Quello che appare abbastanza sorprendente è la terza figura: Marco Rubio. Invece, è ancora più sorprendente il fatto che, almeno in questa elezione, almeno nell’esperienza dei "caucus" dell’Iowa, una persona con un nome pesante come quello di Jeb Bush non sia riuscita ad avere un risultato ben definito positivamente. Per quanto riguarda invece i democratici, il testa a testa è questa probabilmente la maggiore sorpresa, cioè vedere un personaggio chiaramente socialista che pareggia i conti con la signora Clinton. Questa è sicuramente una sorpresa. Naturalmente siamo ancora al primo incontro, vedremo cose estremamente interessanti nei prossimi.

D. – Come dicevamo, tra i dati più sorprendenti c’è il terzo posto di Marco Rubio: origini cubane in uno Stato del nord come l’Iowa…

R. – Sì. Sicuramente, il fatto che Rubio abbia preso lo stesso numero di delegati – sette – quindi soltanto uno in meno rispetto a Ted Cruz, innanzitutto ci fa capire come tra i votanti, tra gli elettori repubblicani, ci sia come un abbandono dell’establishment e una scelta, un orientamento verso qualcosa di nuovo. È nuovo Ted Cruz; è nuovo, in un modo o in un altro, Donald Trump: per varie ragioni è nuovo politicamente; è nuovo Marco Rubio. Quello che non ha il riconoscimento effettivo è l’uomo individuato dall’establishment, l’uomo che era riuscito a raccogliere più fondi oltre ad averne già di suo: Jeb Bush. Quindi è, sì, una sorpresa ma attenzione: ancora siamo assolutamente all’inizio. Ripeto: Ted Cruz ha otto delegati, Donald Trump ne ha sette, Marco Rubio anche ne ha sette. Ne mancano ancora parecchi: è bene che si sappia che bisogna raggiungere almeno 1.237 delegati pe poter avere una nomination da parte del Partito repubblicano.

D. – In casa democratica, a insidiare un nome come quello della Clinton c’è Bernie Sanders, che ha sdoganato in America il termine “socialista”. Una rivoluzione, Daniele De Luca?

R. – Sì, una rivoluzione o un’apparente rivoluzione. Perché gli Stati Uniti sono cambiati molto negli ultimi anni: la forte crisi economica ha segnato molto la psicologia degli americani, anche dei democratici. Il nome della Clinton è un nome importante, un nome pesante: io non credo che a lei accadrà quello che sta accadendo in queste ore alla famiglia Bush. Vedremo il prossimo incontro-scontro agli inizi di febbraio nel New Hampshire, cha ha una situazione completamente diversa rispetto all’Iowa: è estremamente meno conservatore rispetto a uno Stato del Midwest come l’Iowa. Di sicuro, soltanto i due delegati di distacco tra Clinton e Sanders fanno vedere come veramente siamo molto vicini. Anche qui, i numeri possono essere importanti: al momento, la Clinton ha 23 delegati, Sanders 21. Nel caso dei democratici, bisogna raggiungere il numero di 2.383: quindi capiamo benissimo come la strada sia estremamente lunga.

D. – Che dire della grande partecipazione? Non è il record di giovani per i democratici, come è stato nel 2008, ma per i repubblicani senz’altro è stato un pieno non consueto di giovani...

R. – E' un chiaro segnale all’establishment politico repubblicano, che è stanco di molte scelte che vengono calate dall’alto. Quindi, bisogna tener conto anche dei nuovi elettori o degli elettori che sono nuovi in quanto non erano andati a votare per esempio nelle altre occasioni.

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A Parigi firma per abolire la pratica dell'utero in affitto

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Una Carta per proporre agli Stati europei l’abolizione universale della maternità surrogata o utero in affitto. Sarà firmata, questa sera, nella sede dell' Assemblea Nazionale di Parigi, al termine della Conferenza de La Haye, Organizzazione impegnata nella difesa dei diritti umani e della famiglia. Si ritrovano insieme rappresentanti del mondo politico, dell’associazionismo e della comunità scientifica europea che ritengono ingiusta e lesiva questa pratica. A presentare le proprie proposte anche la Federazione europea delle Associazioni familiari cattoliche. Gabriella Ceraso ha raggiunto il responsabile relazioni internazionali, Nicola Speranza: 

R. – Il fatto che queste assisi si svolgano all’Assemblea nazionale di Parigi ha un valore simbolico non da poco. Soprattutto se pensiamo che sin dall’allargamento dell’istituto del matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso, in Francia si attesta un aumento al ricorso di questa pratica. Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha inoltre fatto più volte dichiarazioni nelle quali esprime la sua opposizione, anche se di fatto finora nessuna iniziativa internazionale è stata presa dalla Francia. E’ interessante anche notare come i gruppi femministi che partecipano stiano denunciando con forza non soltanto lo sfruttamento della donna, ma anche – e qui cito la Carta che sarà firmata – " la maternità surrogata fa del bambino un prodotto con valore di scambio”. Ebbene, di fronte a tutto questo penso si spieghi anche come possiamo trovarci insieme, tante associazioni dalla storia e dalla cultura tanto diverse, a combattere contro questa pratica.

D. – Da questa assise, ma anche dal vostro lavoro, vogliono emergere delle possibilità di azione in vista di una abolizione, vie dunque che siano legali. Voi su che cosa puntate?

R. – Basterebbe aggiungere una frase, ad esempio, dell’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per chiarire il principio dell’inalienabilità della persona umana, della non commercializzazione del corpo umano. Ma si potrebbe anche proporre un Protocollo addizionale alla Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo o "ex novo" una specifica Convenzione internazionale che vieti la maternità surrogata.

D. – Dunque, si punta soprattutto a rivedere la trattatistica, se ho capito bene, a livello europeo per rendere chiara e evidente la condanna di questa pratica…

R. – Certo. Quello che bisogna chiarire è che già ad oggi il diritto europeo, molti diritti nazionali e il diritto internazionale vietano di fatto la pratica dell’utero in affitto. Ma dal momento in cui ci sono molti Stati che ne permettono in un modo o in un altro la pratica, ci pare allora evidente che bisogna andare avanti in maniera più esplicita che bisogna creare degli strumenti giuridici più forti per evitare il ricorso a questa pratica.

D. – L’importanza di fare adesso questa azione comune è legata anche al fatto che, contestualmente al Consiglio d’Europa, si rischia di arrivare a una regolamentazione di questa procedura e non a una bocciatura come è già accaduto al Parlamento europeo. Perché? Cosa sta succedendo?

R. – Su questo tema, appunto, al Consiglio d’Europa è in corso un dibattito su una relazione sui diritti umani e le questioni etiche legate all’utero in affitto. Relatore di questo progetto di risoluzione al Consiglio d’Europa è un senatore belga del partito dei Verdi, di nome Petra De Sutter, che si dice in favore di una regolamentazione di questa pratica quando effettuata senza remunerazione, ma senza mai voler condannare chiaramente la pratica in sé. In più, il relatore De Sutter è un ginecologo che nella Clinica Universitaria di Gent pratica lei stessa la maternità surrogata… Per noi c’è anche un palese conflitto di interessi, che abbiamo anche fatto presente a più riprese.

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Bioeticisti britannici: verso bimbi geneticamente modificati

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In Gran Bretagna, la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) inglese, ha dato il via libera al Francis Crick Institute, a modificare geneticamente gli embrioni umani, provenienti da cliniche che utilizzano tecniche di fecondazione in vitro, per comprendere il processo cruciale nelle prime fasi di  sviluppo. Si tratta del primo Paese in Europa che ha deciso di approvare questo tipo di tecnica. Obiettivo degli scienziati, quello di  studiare i geni nello sviluppo di cellule che formano la placenta e spiegare gli aborti spontanei. Proprio dal Regno Unito arriva il no deciso dei bioeticisti cattolici: "Si tratterebbe - ha spiegato David Albert Jones, direttore dell’ istituto cattolico britannico di bioetica Anscombe Bioethics Centre - di un ulteriore passo in avanti verso la creazione di bambini geneticamente modificati”. Forti le polemiche per le gravi implicazioni etiche che tale sperimentazione comporta: "Ogni ulteriore passo in avanti - ha continuato il professor Jones - è stato accompagnato da promesse esagerate per curare o prevenire le malattie, ma il vero risultato è semplicemente dar vita a sperimentazioni sempre più immorali sugli esseri umani nelle primissime fasi del loro sviluppo”. Ascoltiamo, a questo proposito, il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, al microfono di Marina Tomarro: 

R. – Ci sono due temi fondamentali. Il primo naturalmente è un tema di forte rilevanza etica: si tratta di stabilire che cos’è un embrione umano; su questo sarà difficile, anche nel tempo, metterci d’accordo, nel senso che ci sono coloro – e la penso come loro – che ritengono che l’embrione umano sia un progetto biologico unico ed irripetibile, che è degno di tutto rispetto come di una persona che potenzialmente è destinata a svilupparsi. Ci sono invece coloro che ritengono che l’embrione nei primi 7-15 giorni sia un ammasso di cellule ed è privo di qualunque valore. Allora è un problema di rilevanza etica e naturalmente su questo non ci si metterà mai d’accordo. Quello che secondo me è l’aspetto su cui dobbiamo fare chiarezza è che, entro certi limiti, quello di cui si parla in queste ore è qualcosa che rientra – a mio parere – in quello che potremmo definire “la pubblicità ingannevole”, nel senso che si danno delle prospettive, delle promesse che al momento non possono essere mantenute. In poche parole, questa tecnica di re-editing del Dna, cioè della manipolazione del Dna, una manipolazione embrionica - una tecnica importantissima che da qualche anno si sta utilizzando e sperimentando anche in programmi di terapia genica - ha in questo momento un limite insormontabile. Nel momento in cui metto le mani sul Dna per fare una correzione di interesse, cerco di modificare il gene malattia, induco con un tasso altissimo di probabilità una mutazione da altre parti del genoma. Il problema quindi è molto semplice: se è una tecnica imprecisa, perché dobbiamo sperimentarla sull’embrione umano piuttosto che su quello di topo, di pollo o di coniglio? Questo è il quesito fondamentale. Non possiamo in questo momento promettere che stiamo facendo sull’embrione umano una tecnica di correzione dell’embrione umano perché di fatto nel momento in cui correggiamo qualcosa che vorremmo, rischiamo di fare un danno peggiore.

D. – Quali sono i limiti di questa ricerca e quanta possibilità c’è che approdi veramente negli ospedali?

R. – Al momento direi che la probabilità di approdare negli ospedali è vicina a zero. Mi ricordo che quando abbiamo discusso la Legge 40, c’era un articolo che diceva che si può mettere mano all’embrione per finalità di terapia. Allora, ovviamente era del tutto utopistico pensare che si poteva fare una terapia sull’embrione. Oggi questa tecnica apre a lungo termine delle potenziali prospettive, ma non siamo assolutamente ancora pronti. Quindi nessuno si illuda che una coppia che attualmente oggi è a rischio fa un embrione in provetta, questa tecnica glielo corregge e viene impiantato un embrione corretto; potrebbe essere tecnicamente corretto l’embrione del difetto che si cerca, ma c’è un’alta probabilità che si faccia un rischio di un’altra patologia. Poi c’è un altro argomento, secondo me, di fondo: nell’annuncio che è stato dato in questi giorni si è parlato di questa visione prospettica dove si garantirà attraverso la manipolazione del genoma, l’embrione perfetto. Effettivamente questo lo ritengo qualcosa del tutto utopistico, nel senso che una gran parte delle nostre malattie sono dovute non dalle strutture del genoma, ma al malfunzionamento della regolazione del genoma. Quella che si chiama l’epigenesi, cioè la regolazione del genoma, è qualcosa su cui ancora conosciamo molto poco i fattori che lo determinano. Quindi nel momento in cui vado a fare la cosiddetta manipolazione del genoma e dico: “La sequenza del Dna è perfetto”, non sono assolutamente in grado né oggi né negli anni a venire di dire che quell’embrione sarà perfetto, sarà sano.

D. – Con la modificazione dell’embrione umano a cosa si potrebbe andare incontro quindi?

R. – Qualche utopista dice: “Vado a creare un individuo perfetto fatto su misura”. Credo che questo sia un sogno molto difficile e molto lontano dalla sua realizzazione.

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Google è la società più ricca al mondo, boom della new economy

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Il digitale batte il petrolio, Facebook vale più di Exxon Mobile e nelle prime quattro posizioni della classifica sulle aziende più ricche al mondo, ci sono solo colossi della New Economy: primo Google con il colosso Alphabet, che supera Apple, seguono Microsoft e la nuova entrata Facebook. La Silicon Valley supera quindi la Old Economy in uno scenario economico mondiale ormai incentrato su regole e attori molto diversi da quelli di solo un decennio fa. Un cambiamento epocale che interessa le nuove generazioni e che non è immune da profonde contraddizioni. Ce ne parla Carlo Formenti, giornalista e docente in sociologia dei processi culturali all’Università di Lecce e autore del libro “Felici e sfruttati: Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro”. Lo ha intervistato per noi Stefano Pesce: 

R. – Ai quattro colossi della New Economy dovremmo aggiungere cinque grandi banche e cinque grandi imprese finanziarie che controllano più del 90 per cento del capitale finanziario a livello mondiale. Questi non sono più due settori separati. Al tempo stesso questo processo di finanziarizzazione del tasso agevolato da queste tecnologie ha messo queste grandi imprese - che lavorano soprattutto con e attraverso la Rete, le tecnologie digitali - in condizione di assurgere non solo a imprese potentissime ma anche da modello di una nuova industria.

D. – Che cosa vuol dire avere un mondo dominato dalla New Economy piuttosto che dalla Old Economy come era fino a qualche anno fa?

R. - Tutte queste imprese che hanno una capitalizzazione formidabile hanno relativamente pochi dipendenti diretti. Per esempio, ad Apple fanno capo indirettamente i milioni di operai cinesi della Foxcom che lavorano per costruire iphone e quant’altro. Sono imprese che sfruttano indirettamente non tanto i propri dipendenti - che da un certo punto di vista rappresentano una sorta di élite sia dal punto di vista dei livelli retributivi che dei benefit, del welfare aziendale di cui possono usufruire - ma una massa enorme di lavoratori in condizione di precariato, sottoccupazione, …

D. - Digitalizzazione, volatilità del lavoro: che cosa comporterà per le nuove generazioni?

R. - Quello che si sta chiaramente verificando è che con l’aprirsi di questa forbice tra alto e basso aumenta il tasso di conflittualità. Sono un fattore formidabile di accelerazione della concentrazione della ricchezza in poche mani e di aumento delle disuguaglianza sociali, di status e quant’altro.

D. - La differenza tra New Economy e Old Economy sembra abbia portato anche ad un abbassamento del valore stesso del lavoro …

R. - È successo che la Rete ha messo a disposizione di queste grandi imprese, soprattutto all’inizio, la possibilità di appropriarsi gratuitamente del lavoro di masse enormi di persone. Facebook e altri social network in pratica svolgono di fatto un’attività di costruzione di reti, di relazioni sociali, di diffusione, di condivisione di conoscenze, di linguaggi e quant’altro che in passato erano delle vere e proprie attività professionali che si scambiavano contro reddito. Oggi vediamo un dimagrimento generalizzato dei dipendenti dell’industria dell’informazione - giornali, televisioni, network, - ed una riduzione drastica delle retribuzioni soprattutto dei giovani che si affacciano su questo settore produttivo.

D. - Ed è questa la vera paura delle nuove generazioni: quanto varrà il lavoro nelle future professioni digitali?

R. - Certo, e come al solito tutto questo oggi viene affidato alla libera contrattazione del mercato che si traduce automaticamente nella legge del più forte: se io sono nelle condizioni di appropriarmi del tuo lavoro senza pagarlo, lo faccio senza problemi. Il problema è sempre politico in ultima istanza.

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Femminicidio, la lunga lotta per fermare la violenza sulle donne

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Sta bene la piccola Giulia Pia, nata prematura con parto cesareo dalla donna data alle fiamme dal compagno, a Pozzuoli, e che ora si trova in gravissime condizioni al Cardarelli di Napoli. L’uomo, un quarantenne si trova in carcere. Così come in stato di fermo si trova un altro uomo, nel catanese, accusato di aver strangolato la sua ex convivente, madre di tre figli. Nel bresciano la terza tragedia: un uomo di 57 anni ha ucciso la moglie a coltellate per poi andarsi a schiantare con la sua auto, contromano sulla A4, contro un tir. Tre storie orribili, tre storie di femminicidio, dalle cause diverse, ma dallo stesso drammatico esito. La speranza è che Carla Caiazzo, la 38.enne che lotta contro la morte con il 45% del corpo ustionato, riesca a sopravvivere. Per lei stasera, a Pozzuoli, si svolgerà una fiaccolata silenziosa. Una storia che ha scioccato, come spiega Maria Giovanna Ruo, avvocato, presidente di "CamMiNo", Associazione autrice di una ricerca sulla violenza domestica e di genere. Francesca Sabatinelli l’ha intervistata: 

R. – Direi che è normale che siamo scioccati, direi proprio di sì, per il senso della perdita del linguaggio primario della cura, anche nei confronti di chi sta per nascere. Quello che io posso dire, da un osservatorio particolare, che è quello dell’avvocatura, è che la violenza nelle relazioni familiari e quella domestica è un fenomeno che potremmo definire presente, trasversale a ogni ambiente e ceto sociale, investe qualsiasi contesto, compresi quelli abbienti o “acculturati”, tra virgolette, perché poi chiaramente quando parliamo di episodi di violenza parliamo di una sottocultura. Tra l’altro, è un fenomeno destinato a essere sottostimato, non emerge nella sua interezza. Non conosciamo le miriadi di episodi che vi sono, che vengono perpetrati nei confronti soprattutto di donne in ambiente familiare e domestico. Di questo gli avvocati sono consapevoli: spesso noi raccogliamo il primo “disvelamento” della violenza e possiamo anche constatare purtroppo come la violenza sia vissuta troppo spesso dalle donne come un evento normale, che viene accettato per il bene della famiglia, tanto che meno spesso è l’oggetto dei primi colloqui con l’avvocato fiduciario del quale si chiede l’assistenza. Si dice: “Voglio un accordo”, ma è nei colloqui successivi che si scopre che sotto questo desiderio di accordo vi è una debolezza infinita, una situazione di vessazione che è ripetuta.

D. – Il fatto che questa ammissione arrivi tardiva, rispetto all’iniziale manifesta volontà della separazione, dipende da cosa?

R. – Nel 2013-2014, abbiamo svolto un’indagine a livello nazionale sul "numero oscuro" della violenza domestica e di genere. La maggior parte dei casi, quando queste donne che subiscono violenza decide di separarsi, non fondano la loro scelta di porre fine alla convivenza in relazione alla violenza subita. Nella maggior parte dei casi non vanno subito dall’avvocato, nel 48% nemmeno parlano della violenza subita. E quando finalmente la raccontano, lo fanno se indotte a seguito di domande delle professioniste. Nonostante tutto questo, in un ulteriore 70% dei casi il racconto non è nemmeno immediatamente integrale, ma avviene – nella stragrande maggioranza dei casi – progressivamente, nel corso del rapporto professionale. Il dato significativo è che nel 62% vi è stata una sosta di riflessione, prima di agire: “Grazie, avvocato, poi torno”, ma la maggior parte delle volte non tornano.

D. – E’ una questione culturale, prettamente culturale?

R. – Guardi, è una questione composita. C’è una dimensione culturale, c’è una dimensione di vergogna: vergogna per sé, vergogna per il partner, soprattutto se il partner è socialmente inserito. La donna ha paura di non essere creduta e ha paura del discredito sociale che deriverebbe da tutto ciò. Vi è poi la dipendenza economica: il violento è spesso anche colui che fornisce il tenore di vita, se non a volte proprio i mezzi di sostentamento al nucleo familiare. Allora, liberarsi di un violento – lei capisce – diventa estremamente complesso! Ancora: la violenza è multiforme. La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa prevede varie forme di violenza: fisica, ma accompagnata spesso dalla violenza psicologica, di denigrazione progressiva della figura dell’altro e infine dalla violenza economica: molto spesso, quando queste donne riescono a liberarsi del partner violento, il partner violento se è più forte economicamente lo diventa quindi anche sul piano economico, cioè non paga il dovuto, e questo è proprio – ahimé – un passaggio quasi obbligato, direi. Non paga il dovuto, affatica la donna sul piano giudiziario e molto spesso c’è una resa. Le dirò anche che la difficoltà delle donne di denunciare la violenza – e non intendo “denunciare” in senso tecnico-penale, ma proprio di formulare, di verbalizzarla – deriva, come conseguenza diretta, anche dal maltrattamento perché la donna perde il senso della propria dignità, non riesce più a distinguere quel che è giusto da quel che è sbagliato. E poi, molto spesso, dichiara di farlo per i figli. E questo è un errore enorme, perché i figli che assistono alle violenze anzitutto ricevono un danno loro stessi. Ci spiegano gli psicologi che un bambino esposto a violenza domestica vive un trauma e avrà conseguenze simili, e addirittura più gravi, di quelle dei bambini che hanno subito direttamente un maltrattamento o sono stati vittime di violenza. Chi ha assistito alla violenza da bambino o giovinett, tende a riprodurla nei confronti della vittima di violenza e se questa è la madre non denuncia: non può denunciare, non ci sono rimedi, è difficilissimo che ci siano rimedi.

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Nella Chiesa e nel mondo



India. Nel Tamil Nadu prete cattolico e tre laici malmenati

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Condanna per il grave gesto, solidarietà alle vittime, avvio di una immediata inchiesta: è quanto chiede il card. Baselios Cleemis, presidente della Conferenza episcopale dell'India, dopo l'incidente occorso a un prete cattolico, padre Jose Kannumkuzhy, e a tre laici nei pressi di Coinbatore, città nello Stato di Tamil Nadu, nel Sud dell’India. Come riferisce l'agenzia Fides, il 28 gennaio scorso una folla di giovani, probabilmente vicini a gruppi estremisti indù, ha aggredito il sacerdote e tre laici cattolici della diocesi di Ramanathapuram, malmenandoli a lungo con violenza. Il prete, 49 anni, parroco della chiesa di San Sebastiano ad Arapparaora, è sotto shock e si trova in ospedale in stato di semicoscienza, dati i numerosi traumi e ferite riportate dopo il pestaggio.

La polizia non è intervenuta per fermare l'aggressione
Padre Jose Kannumkuzhy, e i laici Liji, Joseph e Kannumkuzhy, tutti membri del Consiglio Pastorale diocesano, erano andati a verificare la situazione nel Centro sanitario locale per bambini malati di Aids, chiamato “Assisi Snehalaya”, creato e gestito dai frati minori conventuali, dove si era verificata la morte di un bambino affetto da Hiv. Il prete e i laici si stavano recando alla polizia per riferire l'accaduto, ma sul cammino sono stati aggrediti da una folla di 30 persone che li hanno costretti a seguirli malmenandoli, protestando e accusandoli della morte del bambino. La polizia, sia pure avvisata, non ha agito tempestivamente per fermare l'aggressione.

I vescovi chiedono protezione per il personale cattolico
La Conferenza episcopale ha rivolto un appello alle autorità perché agiscano con prontezza e ha chiesto maggiore protezione per il personale cattolico. (P.A.)

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Usa: audizioni contro copertura sanitaria contraccezione e aborto

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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha fissato per il 23 marzo le audizioni sui ricorsi presentati da diverse organizzazioni cattoliche e confessionali contro l’obbligo di fornire ai propri dipendenti piani assicurativi sanitari comprensivi di copertura per la contraccezione. Lo riferisce l’agenzia Cns.

Un punto controverso della riforma sanitaria del Presidente Obama
Come è noto, l’estensione della copertura sanitaria obbligatoria anche alle pratiche abortive e contraccettive è uno dei punti più contestati dalla Chiesa dell’Affordable Care Act, la riforma sanitaria del Presidente Obama, in quanto considerata lesiva della libertà religiosa e di coscienza. Il Ministero della Salute americano (Hhs) ha esonerato da tale obbligo solo le Chiese e organizzazioni confessionali che impiegano prevalentemente personale adibito ad attività religiose, ma non altre ong di carattere confessionale che svolgono attività sociali e di assistenza. Per queste ultime è prevista una soluzione di compromesso, in base alla quale esse sono comunque obbligate a notificare formalmente al Ministero che non intendono offrire tali servizi ai propri dipendenti, i quali potranno essere quindi affidati a soggetti terzi.

I vescovi in campo a sostegno dei ricorrenti
Una soluzione considerata insufficiente dalle organizzazioni interessate che hanno fatto ricorso per ottenere l’esonero anche dall’obbligo di presentare la notifica, in mancanza della quale la normativa prevede pesanti multe. Questi ricorsi, sette in tutto, sono stati finora respinti dai tribunali ed i casi, riuniti sotto il titolo comune “Zubik v. Burwell” sono stati rinviati alla Corte Suprema. Tra i ricorrenti le Piccole Sorelle dei Poveri a sostegno delle quali è scesa in campo la Conferenza episcopale che l’’8 gennaio, ha inviato una nota alla Corte Suprema per sostenere le loro ragioni. 

Le multe rovinano le organizzazioni fedeli ai propri principi
Secondo i vescovi, le pesanti multe previste dalla normativa rischiano di mandare in rovina le organizzazioni che vogliono restare a fedeli ai propri principi, “un risultato – affermano nella nota – che non giova a nessuno: né alle organizzazioni, né ai donatori, né agli utenti, né ai loro dipendenti”. Inoltre essa ricorda gli importanti contributi dati dalle organizzazioni caritative cattoliche e da altre charities religiose che assistono milioni di persone ogni anno negli Stati Uniti.  (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Canada: plauso per rinvio della legge sull'eutanasia

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La Conferenza episcopale canadese ha chiesto di essere ascoltata dallo speciale Comitato sul suicidio medicalmente assistito istituito dal Governo in vista della prossima scadenza del termine di un anno stabilito dalla Corte Suprema del Canada per modificare l’attuale normativa in materia. Il 6 febbraio del 2015 i giudici supremi hanno, infatti, dichiarato incostituzionale la legge che vieta la possibilità di ricorrere al suicidio assistito nel Paese e hanno dato un anno di tempo alle forze politiche per varare una nuova legge. Legge che intanto è stata approvata nella provincia del Québec nel 2014.

Le ragioni  contro l’eutanasia condivise dalla maggior parte dei canadesi
In una lettera indirizzata ai Ministri della Giustizia e della Sanità, il presidente della Cecc, mons. Douglas Crosby, plaude l’intervento dell’Esecutivo per ottenere il rinvio dell’entrata in vigore del provvedimento in Québec, prevista lo scorso 10 dicembre, e la richiesta di prolungare il periodo concesso dalla Corte Suprema per permettere un tempo di riflessione maggiore su un tema così delicato. Allo stesso tempo il vescovo di Hamilton ribadisce le preoccupazioni e ragioni morali della Chiesa contro il suicidio e l’eutanasia. Ragioni – sottolinea – condivise dalla maggior parte dei canadesi, come testimonia, tra l’altro, l’ampia adesione alla campagna in difesa della sacralità e della dignità della vita umana lanciata nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale insieme dall’Alleanza evangelica.

Le conseguenze della legalizzazione del suicidio assistito prevedibili
Secondo mons. Crosby, l’esperienza dei Paesi che hanno legalizzato l’eutanasia e l’aiuto al suicidio dimostra che qualsiasi legislazione che tenta di limitare le pratiche eutanasiche solo ad alcuni limitati casi è debole e aggirabile: “Le conseguenze della legalizzazione – afferma - sono facilmente prevedibili: tentativi di applicare l’eutanasia e il suicidio assistito a nuove situazioni mediche; un sentimento crescente di angoscia per le persone disabili, gli anziani, i malati cronici, le persone con depressione e morenti sottoposte a minacce supplementari alla loro vita e serenità; erosione della fiducia reciproca tra medico e paziente; più stress per gli operatori sanitari; accresciuto rischio di pressioni sulle persone vulnerabili e le loro famiglie per incitarle e non diventare “’un peso’”.

Il dovere morale di proteggere i più deboli e i più vulnerabili
Di fatto le ricadute nefaste del suicidio nella società canadese – prosegue mons. Crosby - sono già visibili: basti pensare che il suicidio è la seconda causa di decesso tra i giovani di età compresa tra i 10 ed i 24 anni e che il tasso di suicidio tra le popolazioni autoctone è cinque volte superiore a quello dei non autoctoni. Di qui il rimprovero alla Corte Suprema di avere trascurato con la sua sentenza “il dovere morale della società di proteggere i suoi membri soprattutto quelli più deboli e vulnerabili” e di avere incoraggiato i governi, le autorità sanitarie e le famiglie a non investire nelle cure palliative, cure centrate sulla persona.

Puntare sulle cure palliative
​Proprio su questo fronte infatti il Canada è gravemente deficitario: manca un’adeguata formazione del personale medico; mancano investimenti   e ricerche per le cure del dolore. Di qui in conclusione il rinnovato appello a una riflessione serena e approfondita su questo tema che coinvolga tutta la società canadese, compresa la Chiesa,  per promuovere le cure palliative, che sono la vera soluzione del problema: “Prendersi cura dei morenti infatti non è aiutarli a togliersi la vita”. (L.Z)

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Vescovi Tanzania: Zanzibar non trascini il Paese nel caos

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“Dobbiamo continuare a pregare perché regni la pace e lo stallo a Zanzibar non finisca per dividerci”.  Se infatti “lo Zanzibar sprofonda nel caos, il resto del Paese non sarà sicuro”: è l’appello lanciato nei giorni scorsi da mons. Jude Thadaeus Ruwa’ichi, arcivescovo di Mwanza, durante la cerimonia di insediamento del nuovo vescovo di Mtwara, mons. Titus Mdoe.

Nuove elezioni a Zanzibar dopo l’annullamento di quelle del 25 ottobre
Il riferimento era alla situazione venutasi a creare nell’arcipelago semi-autonomo dove, lo scorso ottobre, la Commissione Elettorale Indipendente della Tanzania ha deciso l’annullamento dei risultati delle elezioni presidenziali, legislative e locali per le “gravi irregolarità” riscontrate nel corso dello scrutinio tenutosi il 25 ottobre, mentre nel resto della Tanzania le elezioni sono state invece considerate valide, portando al potere il Presidente John Magufuli. Il 22 gennaio è stato annunciato che le nuove elezioni a Zanzibar si terranno il 20 marzo.

Il Ministro: il Governo tanzaniano impegnato a fare rispettare le leggi
Alla celebrazione – riferisce l’agenzia Cisa - era presente Jenister Mhagama, Ministro di Stato nel Gabinetto del Primo Ministro responsabile per gli affari parlamentari, il lavoro, i giovani e i disabili, che ha espresso apprezzamento nei confronti di del nuovo vescovo di Mtwara. “Il Governo investe le sue speranze in leader come lei, mons. Mdoe. Contiamo sui leader religiosi che esortano i tanzaniani ad accogliere e a promuovere gli insegnamenti religiosi, e noi nel Governo ci impegniamo perché i cittadini rispettino le leggi”,  ha detto la Ministra.

La Chiesa a Zanzibar nelle mire degli islamisti
​Negli ultimi anni lo Zanzibar - in netta maggioranza musulmano e da sempre caratterizzato  da sentimenti indipendentisti - è stato teatro di attentati e di episodi violenti che hanno coinvolto anche la Chiesa cattolica, presa di mira da movimenti islamisti che vorrebbero islamizzare tutta la Tanzania. La grande maggioranza dei musulmani tanzaniani non condivide queste posizioni estremiste, ma la presenza e l’azione di questi gruppi preoccupa la Chiesa, impegnata a mantenere buoni rapporti di collaborazione con le autorità religiose musulmane per contrastare il propagarsi del fondamentalismo islamico nel Paese. (L.Z)

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Chiesa Paraguay: sostegno a campagna di prevenzione zika

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Preoccupati per l’aumento dei casi di denghe, di chikungunya e di zika, i vescovi del Paraguay hanno esortato i fedeli e  tutte le persone di buona volontà ad appoggiare e collaborare alla Campagna di prevenzione, controllo ed eliminazione delle malattie vettoriali trasmesse dalla zanzara Aedes aegypti. “Ai sacerdoti e agenti di pastorale - si legge nella nota - chiediamo di comunicare, nell’ambito delle loro competenze, gli orientamenti e le informazioni emanate dal Ministero di Salute Pubblica, e di rendere consapevoli i fedeli dell’importanza della pulizia dei rifiuti organici e delle acque stagnanti per l’eliminazione dei vivai della zanzare vettore.

Invito a diventare agenti moltiplicatori d’informazione
All’indomani della conferma del Ministero della Salute, giovedì scorso, sul registro di sei nuovi casi di zika nel Paese, i vescovi hanno sottolineato che diventare “agenti moltiplicatori di informazione pubblica” dimostra l’impegno di ogni cittadino nella cura della propria salute e quella dei propri cari e vicini. Infine, l’episcopato ha esortato i fedeli a pregare il Signore per benedire e accompagnare il popolo paraguaiano in questa situazione di emergenza sanitaria.

Il governo dichiara lo stato di emergenza sanitaria
​Dopo l’allerta epidemiologica lanciata dal governo lo scorso 11 gennaio, questa settimana, è stato avviato il Piano di Contingenza che comprende il protocollo di registrazione dei casi, prevenzione e cura in tutte le istituzioni sanitarie, l’attivazione di squadre di disinfezione dei focolai  e le campagne d’informazione pubblica. Questa strategia era già stata applicata nel 2013, per l’epidemia di  dengue, che ha colpito 150 mila persone e causato oltre 250 decessi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il continente americano è il più colpito dall’epidemia di zika, attualmente in corso in 22 Paesi: Barbados, Bolivia, Brasile, Colombia, Repubblica Dominicana, Ecuador, El Salvador, Guyana Francese, Guadalupa, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Martinica, Messico, Panama, Paraguay, Porto Rico, Saint Martin, Suriname, Isole vergini degli Stati Uniti e Venezuela. (A cura di Alina Tufani)

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Vescovi Benin: giornata di preghiera per le prossime elezioni

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Una giornata di preghiera perché le elezioni presidenziali del 28 febbraio siano trasparenti e per un sereno svolgimento delle campagne elettorali. Ad indirla per il 5 febbraio i vescovi del Benin che la scorsa settimana hanno promosso a Cotonou un colloquio nazionale sul tema “La necessità di lottare contro la corruzione elettorale e i suoi misfatti nel regime democratico”.

I vescovi temono la corruzione elettorale e le frodi
Al centro della due giorni, che si è svolta il 27 e 28 gennaio, organizzata dall’Osservatorio cristiano cattolico della governance allo Chant d’Oiseau, la libera scelta dei governanti da parte della gente - fondamento di ogni vera democrazia -, e l’impatto della corruzione elettorale nel sistema economico. Con l’incontro, riferiscono diversi media on line, tra cui Actubenin e Benin Web Tv, si è voluto dunque sensibilizzare l’opinione pubblica sul ruolo e l’importanza delle consultazioni elettorali come esercizio del potere popolare e sulle modalità per arginare o limitare gli effetti negativi sulla democrazia del Paese. I presuli temono l’utilizzo del denaro da parte dei politici come strumento di persuasione per le loro campagne e frodi, come la distribuzione tardiva dei certificati elettorali, le liste irregolari, i voti espressi da non aventi diritto.

Negoziazioni fra partiti e compravendite di voti, attentato alla democrazia
“Oggi voci persistenti fanno pensare ad un deterioramento assai avanzato di negoziazioni, alleanze fra partiti politici, raduni di politici o della popolazione a favore di questo o quel candidato a colpi di ingenti somme di denaro – ha affermato mons. Antoine Ganié, presidente della Conferenza episcopale del Benin –. Se tutto ciò è vero, c’è da temere per la qualità delle prossime elezioni e quindi per la sopravvivenza della nostra democrazia”. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 33

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.