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Sommario del 31/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Giornata della pace, il Papa: la rivoluzione cristiana è amare il nemico

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Questa domenica, nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella 50.ma Giornata Mondiale della Pace, Papa Francesco presiederà alle 10.00 la Messa nella Basilica Vaticana. Alle 12.00 il tradizionale Angelus festivo con i fedeli radunati in Piazza San Pietro. Il Pontefice ha dedicato il suo Messaggio per la ricorrenza al tema: “La non violenza: stile di una politica per la pace”. Ce ne parla Sergio Centofanti

La pace - afferma il Papa – è responsabilità di tutti, non solo dei grandi: si costruisce con i piccoli gesti quotidiani di attenzione, amore e perdono. Si costruisce a partire dalla famiglia, iniziando a bandire la violenza dai cuori e dalle parole. Chi ha fede in Gesù dovrebbe sapere che “l’amore del nemico costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana”. Anche Gesù - rileva il Papa, è vissuto in tempi conflittuali tracciando “la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia”. Questo vuol dire che per “essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza” così come la leggiamo nel Vangelo. E’ una proposta che può raggiungere tutta l’umanità:  

“La nonviolenza è un esempio tipico di valore universale, che trova nel Vangelo di Cristo il suo compimento ma che appartiene anche ad altre nobili e antiche tradizioni spirituali”. (Discorso a un gruppo di ambasciatori, 15 dicembre 2016)

Alcune popolazioni e anche intere nazioni – ricorda il Papa – “grazie all’impegno di leader nonviolenti, hanno conquistato traguardi di libertà e di giustizia in maniera pacifica”:

“Questa è la strada da seguire nel presente e nel futuro. Questa è la via della pace, non quella proclamata a parole ma di fatto negata perseguendo strategie di dominio, supportate da scandalose spese per gli armamenti, mentre tante persone sono prive del necessario per vivere”. (Discorso a un gruppo di ambasciatori, 15 dicembre 2016)

La non violenza – sottolinea Papa Francesco – “non è affatto sinonimo di debolezza o di passività, ma, al contrario” è “attiva e creativa”:

“Presuppone forza d’animo, coraggio e capacità di affrontare le questioni e i conflitti con onestà intellettuale, cercando veramente il bene comune prima e più di ogni interesse di parte sia ideologico, sia economico, sia politico”. (Discorso a un gruppo di ambasciatori, 15 dicembre 2016)

Nel nuovo anno, chiede il Papa, “impegniamoci con la preghiera e con l’azione a diventare persone che hanno bandito” la violenza cominciando dalle cose piccole di tutti i giorni. “Maria è la Regina della Pace” – conclude – e ogni volta che guardiamo a Lei “torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”: chiediamo alla Madre di Dio “di farci da guida” sulla via della pace.

Bologna ospita questa sera la 49.ma Marcia nazionale per la pace, organizzata dalla Chiesa cattolica proprio dul tema del Messaggio del Papa sulla nonviolenza. Ascoltiamo il commento di mons. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, al microfono di Fabio Colagrande

R. – Un messaggio molto importante, la scelta: sia per la nonviolenza, che sembra aver lasciato spazio – al contrario – a una certa legittimazione della violenza, una giustificazione, un’accettazione … sembra un tema di anni passati e di una qualche ingenuità … Riproporlo significa, invece, che è l’unica via per interrompere la catena terribile dell’occhio-per-occhio, per spezzare la logica della contrapposizione e del riarmo. Ma anche la seconda parte, cioè la politica, come politica di pace: cioè, la nonviolenza non è di animi buoni ma fuori dal mondo; è l’unica via per raggiungere davvero la pace. E’ chi è non violento, chi sceglie la via della nonviolenza che può sconfiggerla. Quindi, un impegno anche che la nonviolenza non sia ridotta a buoni sentimenti, ma che i buoni sentimenti diventino una visione e una politica.

D. – Citando il suo predecessore, Benedetto XVI, Francesco ci ricorda che il Vangelo dell’“amate i vostri nemici” è la Magna Charta della non violenza: c’è una forte radice evangelica in questo valore …

R. – Certamente. Lui, anzi, dice proprio che tutti dovrebbero impegnarsi a vivere nella logica delle Beatitudini ma, appunto, come un’unica via possibile – io credo. Perché quando si vive la logica della violenza poi se ne viene catturati e non la si governa più; tanto più in un mondo così complicato come il nostro, dove i conflitti sono tutti, i tanti pezzi sono tutti mondiali. Io credo che sia un’intuizione che speriamo possa trovare molto ascolto, anche tra i governanti; certamente, impegna tutti, perché la nonviolenza è una scelta che è richiesta a tutti e tutti possono viverla.

D. – Di fronte a un’Europa spaventata da un nuovo attacco terroristico, la scelta della non violenza sembra una scelta debole, per garantire la sicurezza …

R. – Al contrario, credo che sia una scelta forte. Perché non violenza significa disarmare, significa intelligenza, significa fermezza, anche, ma senza mai cadere nella logica terribile della violenza che chiama violenza. Sappiamo anche quanto questo abbia inciso anche paradossalmente proprio nel non combattere seriamente il terrorismo, perché il terrorismo non si combatte con le modalità tradizionali ma si combatte con molta intelligenza e anche, appunto, con la scelta di continuare a costruire ponti, continuare a investire nel dialogo e non nell’innalzare i muri.

D. – Anche la guerra in Siria, il dramma umanitario di Aleppo possono essere letti attraverso la lente di questo messaggio del Papa?

R. – Ma credo di sì, perché tutto il messaggio del Papa è realistico: i conflitti ci sono, il problema è: come vogliamo risolverli? Se pensiamo di risolverli con la logica del più forte, oppure al contrario, con la logica della nonviolenza che è quella di capire davvero le cause dei conflitti e trovare le soluzioni.

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Papa: ricordiamo quest'anno per ringraziare e offrire tutto a Dio

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Papa Francesco presiederà questo pomeriggio alle 17.00 nella Basilica di San Pietro i Primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio con il tradizionale “Te Deum” di fine anno e la Benedizione Eucaristica a conclusione del rito.

In un tweet di questa mattina sull’account @Pontifex in nove lingue scrive: “Al termine di un anno, ricordiamo i giorni, le settimane, i mesi che abbiamo vissuto, per ringraziare e offrire tutto al Signore”.

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Mons. Tomasi: ascoltare il Papa sulla Siria, è il tempo della pace

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Regge la tregua in Siria dopo l’accordo entrato in vigore ieri a mezzanotte. Una tregua tante volte invocata da Papa Francesco che si è impegnato personalmente per facilitare in ogni modo la fine delle ostilità nel Paese mediorientale e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone travolte dal conflitto che dura da oltre 5 anni. Sulle speranze di pace in Siria e il ruolo del Papa e della Santa Sede, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, membro del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”: 

R. – La pace che si prevede in questo momento per la Siria è un’opzione veramente opportuna, una “window of opportunity” come si direbbe in inglese; cioè è un momento in cui si può tentare di cominciare i negoziati per una pace stabile nel Medio Oriente. È un cessate-il-fuoco fragile. Adesso la comunità internazionale deve fare il suo meglio per aiutare in questo momento il dialogo e portare avanti un negoziato solido, che costituisca la base per un futuro più sereno in questa parte del mondo. Il problema è che, in questi cinque anni, ci sono stati più di 300 mila morti, sei milioni di sfollati interni e quattro milioni di rifugiati nei Paesi vicini della Giordania, la Turchia, e il Libano soprattutto. Quindi dobbiamo veramente muoverci nella direzione di responsabilità da parte della comunità internazionale, perché la guerra in Siria è stata una guerra giocata dai grandi poteri e da altri gruppi regionali sul territorio. Speriamo che questa volta sia un momento opportuno; quindi che il passo fatto, quello di permettere l’arrivo di aiuti umanitari e soprattutto di far cessare le armi, possa davvero avviare una soluzione stabile!

D. – Papa Francesco ha denunciato tante volte per la Siria, e non solo, che non si può parlare di pace e poi con una mano, sotto banco, dare le armi alle parti in conflitto. C’è sempre, vediamo, un interesse economico perverso che alimenta le guerre…

R. – Alla radice di questa violenza, che è stata distruttrice di un Paese che funzionava, c’è il desiderio di potere. Chi va a dominare il Medio Oriente? Sunniti o sciiti? La Russia o l’America? Dobbiamo fare in modo che gli interessi dei grandi poteri e dei grandi movimenti religiosi non diventino forza di morte per la povera gente e per le popolazioni locali, che diventano semplicemente vittime di ambizioni che non hanno niente a che fare con il loro futuro, con il futuro e la vita normale di queste famiglie e di queste persone. E il Papa – giustamente – insiste sulla protezione dei civili e dei più deboli, perché è la vita della gente comune e sono le famiglie che noi incontriamo per le strade delle varie città del Medio Oriente, che vanno a pagare alla fine il prezzo più alto con la morte dei loro cari, la fame, l’esilio… Quindi dobbiamo veramente far prendere coscienza alla comunità internazionale che non si può giocare sulla pelle degli altri.

D. – Domani la Giornata Mondiale della Pace. in questo 2016 che si sta concludendo la Chiesa, la Santa Sede, hanno facilitato dei processi di pace: pensiamo ai rapporti diplomatici tra Cuba e Stati Uniti, alla Colombia… Qual è il ruolo specifico che la Santa Sede può giocare, anche su altri fronti, per la pace e la riconciliazione?

R. – La Santa Sede non è un potere economico o militare. Dico sempre che le alabarde delle Guardie Svizzere non possono fermare le bombe moderne, specialmente le bombe atomiche. Dobbiamo ringraziare il Signore che dei passi positivi sono stati fatti in questo anno che si sta chiudendo. Per cui, il messaggio di pace che è stato inviato dal Santo Padre per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace si concentra sulla nonviolenza attiva, cioè usare la nonviolenza come una strategia politica che raccolga, dopo 50 anni di messaggi sulla pace, un po’ il frutto di questo cammino che è stato fatto; e fare in modo che diventi parte della coscienza della famiglia umana che la soluzione dei problemi non può essere nell’uso delle armi, ma nel dialogo, nella creazione di incontri fraterni, nel creare ponti e non muri.

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"Un selfie per il Papa": la vita di Francesco attraverso le foto della gente

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Domani 1° gennaio alle 21, sarà trasmesso da RaiTre un documentario dedicato a Papa Francesco e realizzato con una tecnica innovativa, senza precedenti. A raccontare la vita del Pontefice saranno infatti i contributi video e le fotografie, che l’hanno visto protagonista, realizzati dalla gente, dalle persone che l’hanno incontrato e poi inviati alla Rai. “Abbiamo raccontato il Papa, in un’ora e mezza di televisione - spiega Michele Truglio, regista del documentario al microfono di Fabio Colagrande - che sta entusiasmando tutti e che ha capito l’importanza della comunicazione digitale basata sulla condivisione dei selfie”: 

R. - Si è voluto fare un documentario non agiografico, non che raccontasse la storia del Papa, ma che ne raccontasse l’energia e la voglia che molte persone hanno, sia nell’ambiente cattolico che non, di parlare di questo Papa o di incontrarlo; l’averlo incontrato e immortalato magari con una fotografia o con un bel filmato.

D. – Cosa vi ha colpito di più del materiale che avete ricevuto in questi mesi?

R. – Assolutamente la varietà, che apparentemente sembra disomogenea, ma che poi crea un’omogeneità data dalla voglia delle persone di qualsiasi nazionalità ed età di poter dire qualcosa sul Papa, di poterlo raccontare o di mandargli un messaggio. Credo che sia anche un partecipare al lavoro che questo Papa sta facendo: questo incontro così spontaneo da parte di una persona – un personaggio – così importante, il capo della Chiesa e dello Stato vaticano. Mai un personaggio così rilevante è stato così vicino alla gente, e la gente questo lo ha capito e lo ha manifestato. Ed ecco che questo materiale disomogeneo, che sembra venire da giovani e meno giovani da qualsiasi parte della terra, diventa un tributo nei confronti di Papa Francesco.

D. – Come regista esperto di cinema e televisione, come ti spieghi la capacità comunicativa di questo Pontefice?

R. – Io credo che spiegare la capacità comunicativa di qualcuno in generale - non di questo Pontefice, ma di qualcuno in generale - sia difficile perché è un talento. Io credo che sia una dote: molti si avventurano a dire delle cose, ma arrivare al cuore della gente, arrivare a dire qualcosa che colpisca, credo che ciò sia dato una buona base di talento. Credo che Francesco ci abbia colpito con la sua semplicità, da quel “Buonasera!” che noi abbiamo messo nel finale del film, che era assolutamente inaspettato. Semplice, perché poi è uscito in Piazza per la prima volta – era atteso – dicendo “Buonasera!”: la cosa più normale del mondo, apparentemente… Però, detta da lui in quel momento sembrava il messaggio più ecumenico, più profondo, più diretto, che ha colpito tutti. E quindi, come si fa a spiegare un talento… è come far capire o descrivere qualcuno che ha una dote musicale o un grande talento da un certo punto di vista. Io non riesco a dare una spiegazione; so soltanto che Papa Francesco ci sorprende tutti i giorni. Noi abbiamo finito appena adesso di montare quest’enorme quantità di materiale, ma già Francesco ce ne offrirebbe altro perché, come vedi, ogni giorno riesce a dire qualcosa che comunica, che ci fa fermare per un attimo a riflettere su quello che dice.

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Oggi in Primo Piano



Il parroco di Aleppo: Siria ridotta in macerie, ma ora speriamo

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L'Onu ha lanciato un appello per avere accesso alle popolazioni siriane che necessitano di aiuti umanitari, specie nelle aree assediate. Il Consiglio di Sicurezza ha programmato per oggi la votazione sulla risoluzione per approvare l'accordo di cessate il fuoco mediato da Russia e Turchia e per ribadire il supporto a una tabella di marcia per la pace che inizi con un governo di transizione. La risoluzione promossa dalla Russia chiede anche "un rapido, sicuro e senza ostacoli" accesso per fornire aiuti umanitari in tutto il Paese e guarda a un incontro a fine gennaio tra il governo siriano e l'opposizione nella capitale kazaka Astana. Per una testimonianza dalla Siria, Elvira Ragosta ha raggiunto telefonicamente il padre francescano Ibrahim Alsabagh, responsabile della comunità latina di Aleppo: 

R. – Prima di tutto, per noi è un segno di grande speranza la fine di questi bombardamenti sui civili: i nostri bambini hanno potuto riprendere ad andare a scuola in pace. E un altro segno veramente meraviglioso è stato il cessate-il-fuoco in tutto il territorio della Siria che – lo speriamo veramente – si manifesti forte e duraturo nel tempo.

D. – E si guarda anche ai prossimi colloqui in Kazakhstan e poi a Ginevra – i colloqui di pace …

R. – Sono tutti segni che riempiono il cuore di tranquillità: a noi, ma soprattutto alla popolazione sofferente che da più di cinque anni ha avuto tanto dolore, ha vissuto costantemente nel terrore dei bombardamenti e di condizioni di vita impossibili.

D. – Quali sono le vostre speranze per la pace in Siria per il 2017?

R.  –  Veramente, vogliamo sentire che è finita, sentire l’affermazione che tutta questa crisi, tutta questa guerra è finita, e di poter parlare di questa cosa come si parla di una cosa del passato; vogliamo che sia un momento, un anno pieno di pace e di riconciliazione, nell’arco del quale possiamo anche curare le ferite del passato e ricucire la comunione e l’unità, ricominciare a pensare e a progettare per ricostruire il Paese che ormai è ridotto in macerie e ruderi.

D. – Questo terribile conflitto, in oltre cinque anni ha provocato più di 400 mila morti e milioni di profughi. Com’è al momento la situazione umanitaria in Siria e ad Aleppo, in particolare?

R. – Per quanto noi cerchiamo e riusciamo a fare con tutte le associazioni internazionali e locali, sappiamo che non possiamo coprire tutti i bisogni; tante gente ancora vive il dramma sulla sua pelle con la fame, la sete, il freddo … ma soffre anche per aver perduto tutto quello che aveva, per vivere senza un tetto … Noi cerchiamo con tutte le nostre forze di fare la nostra parte; ma veramente i bisogni sono molto, molto al di là di quello che noi possiamo offrire.

D. – Come parrocchia di San Francesco ad Aleppo avete inviato una lettera al Papa per ringraziarlo del suo messaggio per la 50.ma Giornata mondiale della pace …

R. – E’ stato un modo per manifestare una grandissima gratitudine da parte del clero ma anche da parte dei bambini e delle famiglie, specialmente di Aleppo, perché abbiamo sentito il Papa vicino, quasi quasi che vivesse ogni giorno insieme a noi il dramma e la sofferenza e gli effetti della guerra; abbiamo accennato alle impossibili condizioni di vita dei bambini che subiscono più degli altri le conseguenze della guerra: dalla mancanza di cibo a quella delle cure mediche, dalle sofferenze al terrore in cui vivono; e abbiamo sicuramente anche accennato alla lettera del Papa sulla non violenza: cerchiamo sempre di essere ambasciatori del perdono, questo perdono che abbiamo dato e che continuiamo a dare, anche in forma di preghiera, anche per coloro che hanno lanciato missili e bombe su di noi. E abbiamo anche accennato che noi stiamo seguendo questa via del combattimento con le armi della luce, che sono la carità, la verità e la preghiera. Poi gli abbiamo assicurato il nostro affetto, il nostro amore, la nostra preghiera e abbiamo chiesto la sua benedizione, per noi e per tutta la Siria e per tutto il Medio Oriente. Anche per tutto il mondo.

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Congo: accordo raggiunto, Kabila in carica fino al 2018

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Situazione di stallo per la Repubblica Democratica del Congo: dopo mesi di tensione e proteste, governo e opposizione hanno raggiunto un accordo politico tra le parti, grazie anche alla mediazione dei vescovi cattolici. Il mandato del presidente Joseph Kabila, terminato a dicembre, dovrebbe rimanere valido almeno fino al 2018, momento in cui si terranno le elezioni presidenziali legislative e amministrative, che vedranno l’ascesa di un nuovo capo di Stato. Un momento di respiro per il Paese, recentemente turbato da numerosi scontri, che hanno visto circa 40 vittime solo nei giorni precedenti al Natale. A delineare un quadro socio-politico dell’attuale contesto la prof.ssa Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa dell'Università di Torino, intervistata da Sabrina Spagnoli

R. – L’accordo prevede che si vada al voto entro la fine del 2017. Il voto presidenziale si sarebbe dovuto svolgere già il mese scorso; le elezioni erano state sospese con il pretesto che mancassero le condizioni per svolgerle; soprattutto, mancava un aggiornamento degli aventi diritto al voto. In realtà, tutta questa situazione è nata dal fatto che il presidente Kabila ha già ricoperto due mandati presidenziali; la Costituzione del Congo prevede che questo sia il limite, cioè dopo aver svolto due mandati presidenziali un cittadino del Congo non può più presentarsi, non può più candidarsi e il presidente Kabila rifiuta questa situazione. Non è ancora riuscito a ottenere una modifica della Costituzione come invece altri suoi colleghi sono riusciti a ottenere in altri Paesi africani; a maggio aveva ottenuto però dal Parlamento una legge molto importante. Importante, perché? Perché prevedeva che nel caso in cui le elezioni dovessero essere rinviate per qualunque motivo, il presidente in carica sarebbe rimasto fino al momento in cui queste elezioni si sarebbero potute svolgere. Puntualmente, a settembre la commissione elettorale ha annunciato che “malauguratamente” le elezioni avrebbero dovuto essere rimandate; rimandate, fino all’aprile 2018. Il che ha provocato proteste di piazza e anche da parte della comunità internazionale, con sanzioni; soprattutto proteste da parte dell’opposizione. Ed ecco che questo accordo viene a modificare in parte questa disposizione, programmando le elezioni per il 2017 … Però, sarà tutto da vedere, se così sarà. Nell’accordo c’è un punto importante, sempre a condizione che poi venga rispettato: cioè, nel frattempo Kabila non può chiedere, non può proporre, non può ottenere modifiche costituzionali che tolgano quel limite dei due mandati. Quindi lui alla fine del 2017 non si ricandiderà più. Questo è lo stato della situazione al momento. Però, è una situazione delicata: vedremo come evolverà.

D. – Allo stato attuale, quindi, che tipo di contesto si va delineando?

R. – La situazione è molto critica perché è quasi certo che il presidente Kabila nei mesi a venire approfitterà del tempo che comunque gli viene concesso per cercare di modificare la situazione a proprio vantaggio. Non sappiamo se per vie legali o se invece usando la forza, il che sarebbe una catastrofe perché vorrebbe dire guerra civile, e il Congo ne ha già passate abbastanza, di guerre! Proprio nei giorni scorsi sono state pubblicate sulla stampa internazionale delle rivelazioni - che poi, rivelazioni non sono - secondo cui il presidente Kabila e la sua famiglia hanno approfittato di questi anni al potere per arricchirsi, per attingere a piene mani alle casse dello Stato, per entrare come soci o per creare – approfittando appunto del fatto di potere attingere alle casse dello Stato – imprese economiche che spaziano in vari settori. E quindi lasciare il potere significa anche rischiare da questo punto di vista.

D. – Come potrebbe evolvere la situazione socio-politica del Congo dopo Kabila?

R. – Un avvicendamento che avvenga rispettando le regole democratiche o che sia con la forza, fa sempre sperare; però purtroppo in Africa queste speranze spesso vengono deluse. Voglio dire che spesso l’avvicendamento al potere, l’arrivo di una nuova leadership non cambia sostanzialmente la situazione: dal punto di vista politico sì, ovviamente, ma non dal punto di vista generale. Molto spesso – ne abbiamo tanti esempi – i nuovi arrivati approfittano, dopo aver preso il potere promettendo trasparenza, democrazia, rispetto delle regole democratiche, lotta alla corruzione – si rivelano poi simili ai loro predecessori …

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Messaggio vescovi Congo Brazzaville: rispettare l'ambiente

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“Rispettare l’intero Creato e salvaguardarlo, perché tutto ciò che Dio ha creato è buono e porta l’impronta del suo amore e della sua bellezza”: è quanto scrivono i vescovi del Congo Brazzaville in un messaggio ai fedeli, diffuso in occasione del periodo natalizio.

Prendersi cura della “Casa comune”
“Prendiamoci cura della nostra casa comune – si legge nel documento, a firma di mons. Miguel Angel Olaverri, vescovo di Pointe-Noire e delegato episcopale per la Pastorale sociale e lo sviluppo – Dio ci ha donato un Paese ricco di terre fertili e di materie prime, di foreste, di fiumi, di acque del mare”, tutte “espressioni sublimi dell’amore di Dio”.

Allarme per falde acquifere inquinate: provocano malaria e tifo
Al contempo, il presule costata “il cattivo uso che viene fatto della natura e il degrado” che essa finisce per subire, le cui cause si ritrovano, ad esempio, nell’eccessiva deforestazione, in un “politica di rimboschimento al ribasso”, nell’inquinamento delle falde acquifere, spesso divenute ricettacoli di immondizia e spazzatura, “con conseguenze nefaste per la salute pubblica”. I vescovi rilevano, infatti, come un ambiente malsano provochi, nel Paese, malattie come malaria e tifo, “cause principali di morte” tra la popolazione locale.

Servono educazione e senso di responsabilità nei cittadini
Citando, poi, il magistero degli ultimi tre Papi sull’ambiente, in particolare le Encicliche “Laudato si’ sulla cura della casa comune” di Papa Francesco, “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, e “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II, mons. Olaverri esorta i fedeli ad “una vera conversione ecologica che passi attraverso il rispetto della natura e l’educazione”. Di qui, il richiamo allo Stato affinché provveda al servizio di raccolta dei rifiuti e si assuma “la responsabilità di educare la popolazione alla consapevolezza ecologica ed al rispetto dell’ambiente”. Ciò che serve, in pratica – è la sottolineatura dei vescovi – è “un’educazione civica nelle scuole” e “attraverso i mass-media”, così da sviluppare nei cittadini “un senso di responsabilità”.

Salvaguardia del Creato, opera di misericordia
“Coltiviamo il rispetto della natura e dell’ambiente”, è l’appello dei presuli, che ricordano anche la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, istituita da Papa Francesco e che si celebra il 1° settembre, così come l’ottava opera di misericordia spirituale e corporale suggerita dal Pontefice, ovvero la preghiera e la salvaguardia dell’ambiente.

Tutelare la vita e la dignità umana
Infine, i vescovi del Congo Brazzaville ribadiscono l’importanza di tutelare “l’uomo, la sua vita e la sua dignità”, che sono “sacre ed inviolabili” e che “nessuno ha il diritto di toccare”, in quanto dono di Dio. Di qui, l’invito conclusivo ad intraprendere “percorsi di pace, di verità e di rispetto” dell’ambiente e del prossimo. (A cura di Isabella Piro)

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Venezuela: 30 persone in ostaggio dei rapitori in un monastero

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L'irruzione - riferisce il quotidiano Avvenire - è avvenuta in pieno giorno, poco dopo pranzo. Mercoledì – ma la notizia è stata diffusa solo nella notte tra giovedì e venerdì – un commando di uomini armati e incappucciati ha assaltato il monastero trappista di Nuestra Señora de los Andes. La struttura è situata in un luogo impervio, fra le gole dei monti tra Canagua e Vigía, nello Stato occidentale di Mérida. È un’oasi di silenzio e preghiera, in cui venezuelani da tutto il Paese si recano per trascorrere qualche giorno in ritiro. Al momento della rapina, c’erano trenta persone, tra religiosi e ospiti.

30 persone in ostaggio dei malviventi per diverse ore, senza che la polizia intervenisse
Uno dopo l’altro sono stati malmenati, imbavagliati, legati con nastro adesivo e derubati. Poi, sono stati rinchiusi nelle celle mentre i banditi rovistavano dappertutto, portando via qualunque cosa trovassero, dai computer ai mobili, ai sacchi di caffè prodotto dai frati. La trentina di persone è rimasta in ostaggio dei malviventi per diverse ore, senza che la polizia della zona intervenisse, nonostante le numerose richieste di aiuto. Gli agenti hanno detto di non aver potuto raggiungere il monastero poiché non hanno mezzi di trasporto. Alla fine, alcuni privati – avvertiti da Nuestra Señora de los Andes – sono andati a prenderli e li hanno portati sul posto. 

La recessione nel Paese ha fatto impennare il tasso di criminalità
La rapina, al di là degli aspetti grotteschi, mette in luce il dramma venezuelano, in cui la feroce recessione ha fatto schizzare alle stelle il livello di criminalità. Con 92 omicidi ogni 100mila abitanti – secondo l’Osservatorio sulla criminalità –, il Paese ha ottenuto il tragico secondo posto dei più violenti al mondo, dopo El Salvador.

Il governo Maduro nega l'emergenza 
​Il governo del Presidente Nicolás Maduro, però, da parte sua nega l’emergenza. I dati ufficiali parlano di 51 assassini ogni centomila abitanti. La stessa crisi – con conseguente assenza di beni primari, dalle medicine al cibo – sarebbe la conseguenza dell’accaparramento di risorse da parte dell’oligarchia. (Lucia Capuzzi)

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Stretta sui migranti irregolari. Caritas: rimpatrio non è soluzione

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“Basta con gli ordini di espulsione che restano sulla carta”, è la linea del Viminale, secondo cui nel 2016 i migranti arrivati in Italia sono stati oltre 180 mila, il 17,8% in più rispetto al 2015. Il Ministro Marco Minniti pensa a un potenziamento dei Cie, Centri di Identificazione ed Espulsione. E si prevede un aumento dei controlli delle forze dell’ordine sul territorio. Eugenio Murrali ha chiesto a Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazioni Caritas, un commento alla politica annunciata dal Ministero dell'interno: 

R. – Credo che rassicuri molto l’opinione pubblica, però i tecnici sanno bene che il problema del meccanismo delle espulsioni non è tanto nella cattiva volontà di rimandare nel Paese di origine le persone che non hanno diritto a rimanere in Italia, ma quanto l’assenza di accordi bilaterali o, quando questi accordi esistono,  l’incapacità o l’impossibilità di rinviare i numeri importanti di persone nei propri Paesi di origine. Al di là delle dichiarazioni del ministro,il meccanismo è così complesso, articolato, e non solo per l’Italia ma per il resto dell’Europa, che nei fatti non vedo come questo potrà essere incrementato. Tra l’altro veniamo da una stagione – quella dei Cie – che avevano visto recentemente una diminuzione nel numero in Italia, cosa che aveva dimostrato l’impossibilità, attraverso questi centri, di procedere a un reale controllo, soprattutto perché le persone rimanevano per periodi troppo lunghi in una condizione di sostanziale detenzione amministrativa e spesso uscivano dopo lunghi periodi proprio perché non si riusciva a procedere con le espulsioni, i rimpatri nei Paesi di origine. Se il governo ha delle soluzioni che noi non conosciamo lo vedremo a breve, però se le cose – come immagino – rimarranno come sono state fino all’altro ieri, non vedo come l’aumento dei Cie possa determinare una maggiore efficacia nel controllo della gestione delle irregolarità. Il Cie serve per trattenere temporaneamente queste persone prima dell’espulsione, ma se non si riesce a fare le espulsioni, i Cie servono a poco.

D. – I minori stranieri non accompagnati: nel 2016 siamo passati dai 12mila agli oltre 24mila…

R. – È un dato che desta profonda preoccupazione. Da un lato perché non abbiamo un sistema in Italia in grado di dare accoglienza a tanti minori non accompagnati, perché il rischio è che tanti minori rimangano senza le tutele previste per legge;  qui stiamo parlando di legge, quindi come il governo italiano disciplina la tutela dei minori stranieri non accompagnati. Dall’altro lato, in più occasioni abbiamo sottolineato come sia necessario andare a capire quali sono le cause che spesso spingono tante famiglie a mandare i propri figli in Europa da soli. Si tratta spesso di minori che hanno 12, 13 anni. In questo caso, chiaramente, verificare i villaggi di provenienza per capire come arginare questo flusso è quanto meno necessario.

D. – Il 2016 è stato l’anno di costruzione di muri, di fili spinati, di accordi di rimpatrio, ma soprattutto di morti nel Mediterraneo: oltre cinquemila. Che eredità lascia?

R. – Credo che questo sia stato uno degli anni più bui per l’immigrazione a livello internazionale e europeo in modo particolare. Se c’è un aspetto che più di altri ci consola, è quello di un Paese, come l’Italia, che ha comunque garantito a tutte queste persone un’accoglienza. I problemi sono molti, come l’elevato numero di persone che richiedono asilo e che poi vengono denegate: sono i futuri irregolari, che poi dovrebbero finire in qualche modo all’interno del circuito dei Cie. Oggi dobbiamo più che nel passato collaborare noi del terzo settore e le istituzioni, per tentare di trovare soluzioni che siano sostenibili per tutti, evitando processi di criminalizzazione, perché è vero che c’è un allarme di terrorismo a livello internazionale, ma non possiamo immaginare di gestirlo attraverso i Cie.

D. – Il 2017 come si annuncia? L’Italia stringe – appunto – sui controlli, la Germania sui rimpatri, l’Austria propone di ricontrattare gli aiuti ai Paesi che non accettano rimpatri …

R. – È il frutto di due anni in cui l’Europa si è sentita fortemente sotto pressione, non dimostrando però una capacità di risposta unitaria. Qui si continua a operare in ordine sparso e questo non fa bene a nessuno. Per cui assisteremo ancora a situazioni difficili che vedranno intrecciarsi vicende personali, storie di vita, diritti umani e politica, senza però trovare una reale soluzione.

D. – C’è stata una narrazione populista anche rispetto alle persone migranti nel 2016?

R. – Sì, la narrazione da parte di alcuni è chiaramente demagogica, populista. Si cerca evidentemente, attraverso l’immigrazione, di superare o quanto meno di affrontare problemi di altra natura. Chiaramente, come si dice in questi casi, ragionare sui migranti è più semplice, è più efficace nell’immediato, però non porta molto lontano. Ormai è oltre un decennio che assistiamo a politiche che fanno del migrante il capro espiatorio dei problemi di un’Europa che fa fatica su molti fronti.

D. – I corridoi umanitari sono stati un passo avanti, forse, nel 2016?

R. – Assolutamente sì. Sono stati un messaggio politico importantissimo. Ricordiamo che oltre 300 mila persone sono arrivate in Europa lo scorso anno. I corridoi umanitari hanno permesso a poco meno di mille persone di raggiungere l’Italia. Quindi sono numeri che hanno un impatto numericamente relativo, però portano uno straordinario messaggio, soprattutto all’opinione pubblica, per dire che si possono, e anzi si devono, gestire le immigrazioni attraverso canali sicuri e legali.

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Myanmar. Card. Bo: il 1° gennaio digiuno e preghiera per la pace

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Facciamo appello a tutte le religioni “affinché il primo gennaio 2017 osservino una giornata di preghiera e digiuno per la pace. Affolliamo monasteri, chiese, templi e moschee portando manifesti e bandiere con scritto ‘Stop a tutte le guerre!’. Trascorriamo la giornata in preghiera e digiuno per cambiare il cuore di tutte le persone”. È l’appello contenuto nel messaggio di fine anno del card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon.

Da tre mesi violenze scoppiate in varie zone del Paese
Il documento - riferisce l'agenzia AsiaNews - indirizzato a tutti i “fratelli e sorelle del Myanmar”, prende le mosse dalle violenze che si sono scatenate da tre mesi in varie zone del Paese. Nelle ultime settimane sono aumentati gli scontri fra il Tatmadaw (esercito governativo) e quello che i soldati definiscono “un gruppo militante di musulmani Rohingya” nello Stato Rakhine (sud-ovest del Myanmar). Dall’inizio di ottobre, il bilancio parla di almeno 90 persone uccise e circa 30mila sfollati. Il Tatmadaw continua a passare di villaggio in villaggio ripulendo il territorio dagli elementi ribelli.

Nello Stato di Kachin più di 200mila sfollati vivono nei campi profughi
 In contemporanea è ripresa anche la guerra civile nello Stato Kachin (nord-est). Le truppe di Naypyiadaw utilizzano attacchi aerei e terrestri per colpire le postazioni delle milizie etniche del Kia (Kachin Independence Army), causando un numero indefinito di morti e danneggiando anche la comunità cristiana. In queste parti del Myanmar, scrive il card. Bo, “non c’è felicità. La guerra prosegue e più di 200mila sfollati vivono nei campi profughi. Per loro non sarà un buon anno”. Mentre la Cambogia e il Vietnam hanno risolto i loro conflitti, continua il presule, “noi rimaniamo coinvolti in una guerra che non si può vincere. L’unico risultato è l’agonia e il dislocamento della popolazione”.

Appello di pace a tutte le religioni ed a tutte le etnie
​Dopo 60 anni di conflitti intestini, recita il messaggio, “è giunto il momento di unirsi – tutte le religioni e i gruppi etnici – per fare in modo che il 2017 sia davvero un buon anno. La pace è possibile con la giustizia. La pace è possibile con la negoziazione. La risposta armata ha fallito”. (R.P.)

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“L’ultimo con gli ultimi”: Capodanno per i senza fissa dimora

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Giovani, anziani e senza fissa dimora, tutti insieme riuniti per lasciarsi alle spalle la fine del vecchio, e salutare in un clima di solidarietà il nuovo anno. Questo il cenone “L’ultimo con gli ultimi”, una serata dedicata a coloro che sono soli in strada e che possono così trascorrere qualche ora celebrando l’Eucarestia, e dimenticare, anche se per poco, i problemi che li affliggono. Organizzata dall’Associazione Papa Giovanni XXIII all’interno della “Capanna di Betlemme Maria Stella del Mattino”, ex convento delle suore Orsoline di Chieti, l’iniziativa pone inoltre l’attenzione verso coloro che hanno perso il lavoro e che ora si trovano in stato di indigenza. Il più delle volte, si tratta di cinquantenni che non riescono in nessun modo a riqualificarsi e non hanno alle spalle una famiglia in grado di ospitarli o sostenerli. Luca Fortunato, volontario dell'associazione, ha raccontato a Sabrina Spagnoli come nasce e si sviluppa questa iniziativa: 

R. – Nasce grazie a don Oreste Benzi; lui, in tutte le sue iniziative cerca di richiamare l’attenzione su chi è rimasto fuori dalle mura, come Gesù, e quindi ci richiama a mettere Lui al centro: metterli (i fuori le mura) al centro del nostro cuore. E quindi anche a Capodanno ha inventato questa iniziativa che si chiama “Ultimo con gli ultimi”.

D. – Come viene organizzata, questa serata?

R. – Ci sarà un gruppo di giovani che con dei pullmini andrà nelle diverse stazioni o nei punti dove sappiamo che ci sono i senzatetto che conosciamo, che ci conoscono e che abbiamo già invitato: quindi, a molti di loro abbiamo dato appuntamento in stazione a Pescara alle 19, per andare a prenderli. E altri, di cui sappiamo che non raggiungerebbero la stazione perché sono più in periferia, andiamo a prenderli con i furgoni e li portiamo su, alla Capanna di Betlemme, a piedi. E in più, ai giovani, invece, alle persone di Chieti-Pescara, anche a chi viene da fuori, abbiamo chiesto loro di portare un amico o persone anziane o persone povere, che magari hanno sì, la casa, ma non possono permettersi un cenone con festa di Capodanno, che comunque ha dei costi, oppure non avevano nessuno che li invitasse. Naturalmente, noi abbiamo previsto una piccola quota ma solo per chi può pagare. Quindi, voi immaginate, su 220 persone ci saranno 50 paganti …

D. – Questa iniziativa fa una netta distinzione tra il Capodanno come serata di festa e il Nuovo Anno come inizio di un nuovo percorso spirituale. Vogliamo parlare anche di questo aspetto?

R. – Noi avevamo questo desiderio: innanzitutto, con questa iniziativa, volevamo far sentire una vicinanza concreta; non solo parlare dei poveri, oppure parlare ai poveri di quanto è bello l’amore di Dio, ma testimoniare in opere concrete, attraverso l’amicizia alle persone che sono rimaste più emarginate. Quindi sarà una festa: molte delle persone che verranno le conosciamo, ma ne arriveranno altre, sole, alle quali proporremo, per l’anno prossimo, un percorso di vicinanza, di sollievo della solitudine. Eventualmente, poi, noi cerchiamo anche di rimuovere le cause che portano all’ingiustizia, quindi di entrare nello specifico delle problematiche. E per noi in questo, guardi, c’è tanto di spirituale, perché questo Dio che si fa amico attraverso dei poveri come noi, come me e altri volontari della “Papa Giovanni”, che non si mettono al di sopra … – Don Oreste diceva sempre: “I poveri sono i vostri maestri” …  – quindi noi abbiamo anche un approccio che può essere professionale, di persone formate che però hanno chiaro che queste persone sono dei fratelli e che hanno molto da insegnarci in quanto a umanità. Ci insegnano, quindi, a restare più umani: per me, l’essere umano ha un’altissima forma spirituale, in realtà: implica il rispetto dell’uomo, il rispetto della dignità della persona, far sì che nessuno resti solo, in stato di abbandono …

D. – Cosa significano la fine di un anno passato e l’inizio di un anno nuovo per chi si trova in strada? Quali sono le aspettative?

R. – Per chi è in strada, dobbiamo essere anzitutto messaggeri di speranza; poi, non dobbiamo dire loro soltanto tante parole, quindi oltre a dare l’accoglienza, la vicinanza dobbiamo coinvolgere le istituzioni e anche le associazioni per garantire sempre più diritti: il diritto alla casa, il diritto al reddito … Loro hanno poche speranze: noi cerchiamo di darle loro e cerchiamo di coinvolgere le associazioni e le istituzioni in progetti, affinché loro abbiano i loro diritti; non siano solo beneficiari della carità di turno e del caritatevole di turno. Queste sono le loro aspettative: di avere dei diritti come, appunto, il diritto alla casa, il diritto al lavoro e il diritto ad avere un piccolo reddito, il diritto a un’assistenza sanitaria adeguata e gratuita.

D. – Oggi, purtroppo, a vivere in strada sono anche molti italiani a causa della grave crisi economica e della perdita del lavoro. Quali sono quindi le vostre esperienze con questi 'rifugiati della povertà'? Quali sono le iniziative messe in campo?

R. – Anzitutto, l’accoglienza; dopodiché noi siamo in rete per fornire loro assistenza psicologica perché possano un po’ riprendersi, perché purtroppo quando perdi il lavoro e non porti un reddito, la società ti fa sentire che non vali niente: vali per il valore dei soldi che porti a casa, non vali in quanto persona. Quindi c’è tutto un percorso, anche psicologico, che si fa, con l’inserimento attraverso ore di lavoro, che iniziano con quattro-cinque ore al giorno. E quando anche riescono a percepire un reddito che sia anche al di sotto dei mille euro, magari di 500-600 euro, noi proponiamo progetti di co-housing (coabitazione, ndr), quindi troviamo case da prendere in affitto a prezzi bassi.

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Al Teatro dell’Opera di Roma il “Pipistrello”, celebre balletto di Roland Petit

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Si chiude questa sera l’anno e si festeggia l’arrivo del nuovo al Teatro dell’Opera di Roma con l’allegria del “Pipistrello”, il celebre balletto che Roland Petit ha tratto dall’omonima, spumeggiante operetta di Strauss. Mentre l’Accademia di Santa Cecilia ha in programma dal 5 gennaio “Una notte a Vienna - Concerto per il Nuovo Anno”, eseguendo il secondo atto del capolavoro straussiano, diretto da Gustavo Gimeno, con tante sorprese musicali. Il servizio di Luca Pellegrini

Il sapore viennese della festa lambisce Roma con una spruzzata di allegria: è il clima ideale per festeggiare la fine di un anno terribile e difficile, e aspettare il nuovo. Non per dimenticare gli orrori che ci circondano e ci hanno segnato, ma per respirare una boccata d'aria buona e pensare che le cose belle ci sono: basta cercarle, volerle, difenderle. Così al Teatro dell'Opera approda questa sera, con un brindisi finale per tutto il pubblico, uno dei balletti più famosi di Roland Petit: "Il Pipistrello", protagonisti Maria Yakovleva e Friedmann Vogel, la coreografia ripresa da Luigi Bonino, collaboratore storico di Petit. Lo spettacolo è nato nel 1979 per la moglie del coreografo francese, Zizi Jeanmaire, come un atto d'amore nei suoi confronti e verso quelli di un'operetta tra le più eseguite del mondo, quella appunto di Johann Strauss jr., scritta in soli 43 giorni, facendo nascere un capolavoro. La Vienna delle feste e delle passioni, degli intrighi e dell'aristocrazia per rappresentare, con la sensibilità dell'arte, una società imprigionata in convenzioni e perbenismo, fragile e pronta ad essere scossa nelle sue fondamenta. Oggi diremmo il tramonto di una civiltà. Ma riletto con quella leggerezza musicale che ritroviamo fin dalle prime note della celeberrima Ouverture, che spalanca da subito ampie vetrate su un universo languido ed elegante; poi, con le sue grandi frasi, ci dà un anticipo del turbinio fastoso e della follia, quelle che verranno da lì a poco. Anche nel mondo. Non per nulla Fedele D'Amico chiamava Il Pipistrello "una universale catarsi danzante": un turbine indissolubile, forse una dissoluzione, ma nella dimensione dell'allegrezza, con levità e divertimento. Dalle punte dei ballerini all'Opera ai violini e alle voci dell'Accademia di Santa Cecilia: passato il Capodanno, dal 5 gennaio il direttore spagnolo Gustavo Gimeno dirigerà il secondo atto dell'operetta straussiana, senza dialoghi parlati, ma con molte sorprese musicali, che tradizionalmente sono inserite nella festa scatenata al palazzo del misterioso principe Orlofsky, come si addice a questo tempo di feste e regali, e come è d'uso quando "Il Pipistrello" si porta in scena. Le scene all'Auditorium romano non ci saranno, ma bastano le melodie e i ritmi delle danze a creare i sogni. Petit aveva spostato l'azione nella Parigi della Belle Epoque, fondendo la tecnica classica accademica con le movenze del musical-hall. Si respirava la stessa aria di Vienna. "Il mio è il sogno di un valzer allo champagne", dichiarava. Sulle note suadenti, un brindisi con bollicine per regalare a tutti un sorriso e un po' di felicità.

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Commento di don Sanfilippo sulla Solennità di Maria Madre di Dio

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Nella Solennità di Maria Madre di Dio, la liturgia ci propone il Vangelo in cui i pastori, avvertiti dagli angeli, si recano nella grotta di Betlemme dove sono Maria e Giuseppe e Gesù Bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferiscono ciò che del bambino era stato detto loro: 

“Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di Don Gianvito Sanfilippo presbitero della diocesi di Roma: 

Maria, Madre di Dio, Madre di Gesù e Madre nostra ha una particolare missione nel cooperare alla nascita di Gesù Cristo in noi, ovvero, al dono della Sua natura divina in noi che ci trasforma in veri figli di Dio, figli del Padre. Il Vangelo ci presenta, anzitutto, Maria che medita sugli eventi che le accadono collegandoli tra di loro, scorgendo in essi un progetto che dà loro senso: il progetto della Volontà di Dio per sé stessa e per l’umanità. Una capacità, infatti, che contraddistingue chiunque ha lo Spirito di Cristo è quella di saper “leggere i tempi”, anzi intravvedere nella propria storia e in quella altrui la costante presenza del Volto del Padre che illumina ogni accadimento e riempie di letizia il cuore degli uomini. Questo dono che accompagna i cristiani adulti nella fede si chiama discernimento. Nel Passaggio fra il vecchio e il nuovo anno è doveroso soffermarsi, come fa la neo-Madre di Dio, sulla propria vita, rileggendola con fede e ringraziando il Signore per tutti i benefici e le benedizioni ricevute, e per la Provvidenza che fa sì che “Tutto concorra al bene” in ciò che ci capita.  Non c’è fatto, anche doloroso o umiliante, che Dio non utilizzi per il nostro bene, e anche dal peccato cominciando a chiamarci a conversione, Egli sa creare occasioni per renderci più capaci di amore e di speranza.  “Te Deum laudámus…”.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 366

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.