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Sommario del 19/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai ragazzi dell'Ac: contagiate il mondo con la gioia dell'amore

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La gioia è contagiosa e si moltiplica condividendola: Papa Francesco lo ha ricordato alla delegazione dell’Azione Cattolica Ragazzi ricevuta stamattina nella Sala del Concistoro in Vaticano. Oltre ai giovani, provenienti da dodici diocesi italiane in rappresentanza dell’associazione, presenti anche educatori e assistenti. Attraverso di voi, ha detto il Papa, desidero far arrivare il mio augurio natalizio all’intera famiglia dell’Azione Cattolica Italiana. Adriana Masotti

"Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, oggi è nato per voi un Salvatore”. E’ l’annuncio degli angeli ai pastori che si rinnova ogni Natale. La nascita di Gesù, sottolinea il Papa, è annunciata come una “grande gioia”, perché dice che Dio ci ama:  

"Siamo amati da Dio. Che cosa meravigliosa! Quando siamo un po’ tristi, quando sembra che tutto vada storto, quando un amico o un’amica ci delude – o piuttosto noi deludiamo noi stessi! – pensiamo: 'Dio mi ama'; 'Dio non mi abbandona'. Sì, ragazzi, il nostro Padre ci è sempre fedele e non smette un istante di volerci bene, di seguire i nostri passi e anche di rincorrerci quando ci allontaniamo un po’. Per questo nel cuore del cristiano c’è sempre la gioia".

Una gioia che si moltiplica condividendola: in famiglia, a scuola, in parrocchia, dappertutto. Il Papa commenta lo slogan “CIRCOndati di GIOIA” che accompagna quest’anno il cammino formativo dei ragazzi dell’Azione Cattolica:

"E’ suggestiva questa metafora del circo, che è un’esperienza di fraternità, di gioia e di vita 'nomade'. L’immagine del circo può aiutarvi a sentire la comunità cristiana e il gruppo nel quale siete inseriti come della realtà missionarie, che si muovono di paese in paese, di strada in strada 'CIRCOndando' di gioia quanti incontrate ogni giorno".

E la gioia è contagiosa, afferma Francesco, per poi affidare ai ragazzi “un compito”:

"Questa gioia contagiosa va condivisa con tutti, ma in modo speciale – e questo è il compito – con i nonni. (…) Domandate a loro tante cose, ascoltateli, loro hanno la memoria della storia, l’esperienza della vita, e per voi questo sarà un grande dono che vi aiuterà nel vostro cammino. (...) Ripetiamo il compito: parlare con i nonni, ascoltare i nonni. Poi l'anno prossimo vi domanderò su questo, cosa avete fatto..."

Contagioso è anche il vostro impegno per la pace, dice ancora il Papa, esprimendo apprezzamento per il legame tra pace e solidarietà voluto dall’ACR e per l’iniziativa promossa in favore dei coetanei di un quartiere disagiato di Napoli. Il Signore, conclude, benedica questo vostro progetto di bene!

Francesco ha voluto terminare l'incontro dicendo un'Ave Maria assieme ai ragazzi per "un nonno mite e buono" a cui lui, dice, ha voluto tanto bene, è don Mansueto Bianchi, assistente ecclesiastico generale dell'Azione Cattolica Italiana, "che se ne è andato" il 3 agosto di quest'anno.

Ma ascoltiamo i commenti di alcuni giovani raccolti da Marina Tomarro

 

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Papa incoraggia i vescovi del Congo: aiutate i politici a dialogare

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Il Papa ha ricevuto oggi in Vaticano il presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo di Kisangani, accompagnato dal vicepresidente, mons. Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Mbandaka-Bikoro. Al centro del colloquio la difficile situazione politica del Paese. Ce ne parla Sergio Centofanti:

Il Congo sta vivendo ore di grande tensione. Oggi a mezzanotte scade il secondo e ultimo mandato del presidente Kabila che non ha voluto indire nuove elezioni per la successione alla massima carica dello Stato. Si temono violenze. Kinshasa, la capitale, è una città fantasma presidiata dalle forze dell’ordine. Il Belgio ha invitato i suoi cittadini a lasciare il Paese. Nell’Est, in uno scontro con i ribelli, sono morti un casco blu sudafricano, un poliziotto e 4 insorti. Ieri all’Angelus il Papa ha invitato a pregare per il Congo. I vescovi, che stanno conducendo un’opera di mediazione, hanno lanciato un appello a governo e opposizione perché proseguano il dialogo e trovino “una soluzione alla crisi politica”. L’opposizione chiede garanzie precise perché Kabila non rimanga al potere per un terzo mandato consecutivo, vietato dall’attuale Costituzione. Le trattative dovrebbero riprendere il 21 dicembre. Ma l’opposizione parla di “profonde divergenze”, in particolare sulle modifiche alla Carta costituzionale che permetterebbero la rielezione di Kabila, e chiede che le presidenziali si tengano entro il 2017. La speranza della gente è che si trovi una soluzione prima che sia troppo tardi.

Sull'incontro con il Papa ascoltiamo mons. Fridolin Ambongo Besungu

R. – E’ andata molto bene. Il Papa ci ha accolto con grande gioia: era felice di vederci qui, rappresentanti del popolo del Congo. La prima cosa che abbiamo notato è stata che il Papa segue la nostra situazione già da tempo. Sapeva più o meno quello che sta accadendo lì da noi.

D. – Qual è stato il suo incoraggiamento?

R. – La prima cosa che ha detto è stata l’assicurazione della sua preghiera: prega per tutto il popolo congolese in questo momento difficile della storia del Paese. Poi, il suo incoraggiamento è stato per il lavoro che noi, Conferenza episcopale e la sua presidenza, stiamo facendo per aiutare i politici a dialogare, a trovare una soluzione alla crisi di oggi.

D. – All’Angelus c’è stato l’appello del Papa per il Congo: come è stato accolto?

R. – Con grande gioia dal popolo congolese; sapendo che noi stavamo andando a Roma, che il Papa avesse parlato del Congo per il popolo è stato un segno che sicuramente noi siamo nel cuore del Papa, con la speranza che dall’incontro di oggi possa uscire un aiuto per il popolo congolese, a trovare una soluzione.

D. – Temete disordini e violenze in Congo in questo momento?

R. – Sicuramente, tutti hanno questa ansia, questa paura di cosa possa accadere, soprattutto oggi e domani.

D. – Quali sono, secondo voi, le prospettive per il Congo, a tutt’oggi?

R. – Prima di venire qui avevamo sospeso le concertazioni per poter venire all’incontro con il Santo Padre. Secondo il programma, mercoledì riprendiamo i colloqui con i politici, nella speranza che ciò sia ancora possibile: infatti, tutto dipende un po’ dalle giornate di oggi e di domani. Se ci sono morti, se ci sono arresti, noi temiamo che alcuni partiti non torneranno più al tavolo dei negoziati.

D. – La Chiesa è ascoltata dai politici, in Congo?

R. – Sicuramente: la prova ne è che siamo riusciti a portare tutti intorno al tavolo del dialogo, tutti i partiti. Tutti hanno fiducia nella Chiesa, tutti oggi contano sulla mediazione della Chiesa per aiutare il Paese a uscire dalla crisi.

D. – Il Congo è un grande Paese, è un Paese molto ricco di risorse naturali e umane; ma la situazione che ci si presenta è ancora quella di un Paese povero …

R. – Il problema è che il Paese potenzialmente è ricco, ma il popolo che vive in quella terra ricca è uno dei più poveri della Terra. Lì è il paradosso della situazione del Congo. Poi, la ricchezza del Congo – per dire la verità – è anche una causa della sua maledizione …

D. – C’è molto sfruttamento dall’estero?

R. – Dall’estero e anche da parte dei capi congolesi, che si uniscono ai poteri economici esterni e da lì prendono i soldi per se stessi, non per gli altri …

D. – Quali sono le sue speranze?

R. – Sono cristiano, e noi viviamo della speranza cristiana. Anche nella odierna situazione difficile del Paese, noi pensiamo che ci sia la possibilità di uscire dal buio, perché il popolo vuole la pace. E poi, tutti pregano per la pace nel Paese. Noi pensiamo che anche i politici ormai riconoscono i limiti del loro potere e noi speriamo, con l’aiuto del Signore, che ascoltino la voce del popolo e si mettano d’accordo per uscire dalla crisi e lavorare per lo sviluppo del Paese.

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Altre udienze

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Per le altre udienze odierne del Papa consultare il Bollettino della Sala Stampa vaticana.

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Mons. Viganò: comunichiamo al mondo la misericordia di Dio

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Lasciamoci sorprendere da Dio e così potremo comunicare al mondo la Buona Notizia della sua misericordia. E’ quanto affermato da mons. Dario Edoardo Viganò nella Messa presieduta, stamani, in San Pietro per i dipendenti della Segreteria per la Comunicazione, in occasione delle festività natalizie. Il prefetto del dicastero si è soffermato sulle figure proposte dalle Letture del giorno, che mostrano come nulla sia impossibile per chi si affida al Signore. Venti i concelebranti all’Altare della Cattedra della Basilica petrina, tra i quali il segretario del dicastero per la Comunicazione, mons. Lucio Ruiz, il direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa, e il direttore dei programmi della Radio Vaticana, padre Andrea Majewski. Tra i presenti anche il direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke, e il direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian. Il servizio di Alessandro Gisotti

Annunciare il mistero di Dio che “entra nella vita delle persone e le cambia radicalmente”. Nella Messa per i dipendenti della Segreteria per la Comunicazione, mons. Dario Viganò si è soffermato sulla missione di chi è chiamato, nella Santa Sede, a comunicare la Buona Notizia della misericordia di Dio. Il prefetto del dicastero ha sviluppato la sua omelia come un ideale pellegrinaggio “sulle tracce dei personaggi” proposti dalla Parola di Dio. Le letture odierne, ha osservato, ci presentano due annunci di una nascita “inspiegabile per le categorie umane”. Sono protagoniste due coppie, ha detto, “ormai rassegnate alla sterilità” ma che nonostante tutto sono fiduciose in Dio. E dalla loro fede nasceranno Sansone e Giovanni Battista, due uomini figli della misericordia di Dio che portano avanti la loro missione superando difficoltà e tentazioni.

Ascoltare per capire e comunicare quello che il Signore ci chiede
Soffermandosi in particolare sulla figura di Manòach, padre di Sansone, mons. Viganò ha rammentato che il suo nome significa “luogo di riposo”. Un’indicazione, ha detto, e un invito per “riconoscere Dio che ci fa visita e chiede di essere accolto, anche quando si rivela in modo sorprendente”, “fuori dai nostri schemi” e in “tempi da noi non previsti”. Papa Francesco, ha così ricordato, ci ripete che la preghiera “è una chiave che apre il cuore” di Dio:

“È in queste oasi, in questi rifugi dello spirito che il Signore ci rivela quanto desidera da noi, che cosa dovremmo fare, per dirla in parole più semplici, per rispondere alla sua chiamata. Se non ascoltiamo, come possiamo dare una risposta? Si tratta anche di una buona regola di comunicazione: ascoltare, per capire e rispondere in modo sensato”.

Rivolgendo così il pensiero a Sansone, il cui nome richiama il sole, mons. Viganò ha esortato i dipendenti della Segreteria per la Comunicazione a sentirsi “dono gli uni per gli altri”, quasi “scintille di bellezza, nel lavoro” come in famiglia. “Ci è chiesto impegno – ha ripreso – rispetto delle regole, superamento delle inevitabili difficoltà e tentazioni” che ci creano “fatiche, incomprensioni, delusioni, ma ci fanno ritrovare la strada della fedeltà a Dio, alla sua chiamata”. Parlando quindi di Zaccaria, ha messo l’accento sul significato del nome: “Dio si è ricordato”. E finalmente la figura di Elisabetta, il cui nome – ha annotato - significa “Dio ha giurato”, ma potremmo anche tradurre con “Dio è fedele”.

Dio comunica al suo popolo la buona notizia: Egli ha ed è misericordia
“L’attesa, la preghiera quotidiana – ha constatato mons. Viganò – infondono, talvolta, la sensazione che stiamo ripetendo formule stantie”. E ancora, ha aggiunto: “Le chiacchere della gente, la sensazione di avere sbagliato qualcosa, quasi che Dio sia l’esattore delle tasse che ci punisce se i conti non quadrano, l’avvilimento e la rassegnazione che attanagliano il cuore sembrano soffocare ogni anelito dell’anima”:

“Ma Dio irrompe inaspettatamente, esplode la gioia per la vita che fiorisce come un  prodigio, davanti al nostro sguardo stupito germoglia un figlio, da noi ormai relegato tra i rimpianti, e testimonia la benedizione di Dio dopo i giorni di afflizione. Dio comunica al suo popolo una buona notizia: Egli ha, Egli è misericordia”.

Questo, ha detto ancora, “è il significato del nome Giovanni”. “Dio ha avuto misericordia – ha concluso – e continua a usare misericordia anche a ciascuno di noi, a ogni donna e a ogni uomo che si affaccia all’orizzonte del mondo, per sempre”.

Siamo comunità internazionale, portare messaggio del Natale a tutti
Le intenzioni di preghiera sono state pronunciate in diverse lingue dal cinese allo spagnolo, dall’inglese all’arabo. Un segno della ricchezza della comunità di lavoro della Segreteria per la Comunicazione, che sottolinea in modo eloquente che per la Chiesa nessuno è straniero. Proprio sul tema dell’internazionalità della comunicazione della Santa Sede si è soffermato mons. Viganò nei saluti dopo la celebrazione della Messa:

“Siamo una comunità internazionale, quindi portate questi auguri anche alle comunità di provenienza, che sono diocesi e comunità sparse in tutto il mondo. Ringrazio anche i due grandi Ordini che prestano un importante servizio all’interno della Segreteria per la Comunicazione, penso alla Compagnia di Gesù: mandiamo gli auguri, i primi auguri di Natale, al nuovo padre generale. E ai Salesiani. I due grandi Ordini religiosi che prestano, con un numero abbondante di persone, un servizio alla Santa Sede… Non ci resta che godere di questo Dio che ricordiamo in questo Natale come un Dio tenace, caparbio, che non vuole che l’uomo si perda e per questo si fa uomo”.

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Oggi in Primo Piano



Libano, Patriarca Raï: governo di unità è speranza per i libanesi

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Due mesi dopo l’elezione del presidente cristiano maronita Michel Aoun, ora il Libano ha anche un nuovo governo di unità nazionale, composto da 30 ministri e guidato dal primo ministro sunnita Saad Hariri. L’intento annunciato è quello di mantenere la stabilità nel Paese, affrontandone le emergenze e cercando un’intesa sulla legge elettorale che porterebbe, in tal caso, a una rimessa in discussione dello stesso esecutivo, già nel prossimo maggio. Francesco Gnagni ha raccolto il commento del patriarca di Antiochia dei Maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï: 

R. – Prima di tutto, dopo due anni e cinque mesi di vuoto presidenziale, è stato eletto un presidente nella persona del generale Michel Aoun, e questo già di per sé ha dato a tutti i libanesi una nota di speranza e di sollievo. Poi, dopo quasi due mesi di attesa per la formazione del nuovo governo, l'esecutivo è uscito fuori: quasi dubitavano, i libanesi, di avere un governo prima di Natale … E anche questo ha dato un altro sollievo. E dopo due anni e sette mesi noi tutti, tutti i libanesi – musulmani e cristiani – tutti i componenti del Paese guardano con speranza al futuro perché le sfide sono tante, non solo a livello politico ma anche a livello economico, a livello sociale e specialmente per quanto riguarda tutti questi rifugiati siriani – un milione e mezzo – più mezzo milione di palestinesi, che fanno due milioni di profughi sul territorio libanese che è di 10 mila chilometri quadrati, e costituiscono la metà della popolazione libanese. Quindi tutti ringraziano il Signore perché è un dono natalizio, avere un presidente e un governo. E noi speriamo che possano andare avanti e affrontare tutte queste sfide che noi viviamo oggi, specialmente le dure conseguenze delle guerre in Siria, in Iraq … Già subiamo le conseguenze del conflitto israelo-palestinese …

D. – Che cosa chiede al nuovo primo ministro?

R. – Di incominciare subito ad affrontare le sfide, che sono tante. La povertà in Libano va accrescendosi e i debiti ancora sono tremendi; mettere un punto all’emigrazione massiccia dei giovani libanesi; affrontare il problema dei profughi siriani. Poi, occuparsi della corruzione che sta toccando tutte le istituzioni pubbliche dello Stato. Il primo ministro sa tutto questo e il discorso di investitura del presidente, il generale Aoun, ha menzionato tutti questi capitoli e i ministri dicono che basta partire dal discorso di investitura del presidente della Repubblica per avere il programma da affrontare quanto prima. Questo è il nostro augurio al primo ministro.

Sulle modalità di formazione del nuovo esecutivo, sulle diverse fazioni che lo compongono e sulle sue prospettive future, Francesco Gnagni ha sentito anche il giornalista libanese Camille Eid

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Siria: accordo all'Onu per l'invio di osservatori ad Aleppo

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E' slittato a oggi il voto del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla mozione francese per inviare osservatori a monitorare l'evacuazione di civili. Alla richiesta di Parigi si è opposta la Russia, che ha minacciato il veto. Dopo un braccio di ferro durato qualche ora tra gli ambasciatori dei due Paesi, i membri del Consiglio di Sicurezza ieri hanno trovato un accordo su una bozza di risoluzione in cui si chiede al segretario generale "di adottare misure urgenti per consentire il monitoraggio sullo stato dei civili ad Aleppo Est e quello diretto e neutro sulle evacuazioni" dalla città siriana. Intanto ad Aleppo sono ripresi i trasferimenti dalle aree assediate dall’esercito governativo. Da mezzanotte, almeno 4.500 persone hanno lasciato questi quartieri. Il servizio di Marco Guerra: 

Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu è pronto a votare il testo di una risoluzione che prevede il dispiegamento di osservatori delle Nazioni Unite ad Aleppo Est, al fine di garantire le operazioni di evacuazione della popolazione e l'accesso degli aiuti umanitari. “Abbiamo un buon testo”, ha detto l’ambasciatore russo dopo aver ottenuto alcune modifiche della bozza presentata dalla Francia. Al momento è trapelato solamente che oltre 100 osservatori dell'Onu saranno inviati nella città siriana, insieme a personale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa. Intanto è ripreso lo sgombro dei quartieri ancora sotto il controllo dei ribelli. Sono 12mila i civili evacuati dall'inizio delle operazioni, 4500 quelli portati via oggi. E’ un percorso inverso, invece, quello dei 500 civili portati oggi ad Aleppo dai villaggi a maggioranza sciita della provincia settentrionale di Idlib. Altri bus provenienti dai due villaggi assediati dai ribelli sono attesi in città nelle prossime ore. E degli sviluppi in Siria si parlerà domani a Mosca nel vertice tra i ministri della Difesa di Russia, Turchia e Iran. Ma per un commento sentiamo l’esperto dell’area Fulvio Scaglione:

R. – Credo che dalla battaglia di Aleppo - dalla carneficina anche di Aleppo - emerga una realtà politica che fino a pochi giorni fa era in discussione. La realtà politica è questa, e cioè ci sarà ancora, almeno per il prossimo futuro, una Siria di Assad. Questo è il risultato politico ottenuto per via militare dallo stesso Assad, dai russi, gli iraniani e i libanesi di Hezbollah. E questo è il dato politico sui cui bisognerà riflettere, perché la Siria di Assad che futuro ha, che cosa ha intenzione di fare, come vorrà regolarsi nei confronti delle popolazioni delle aree riconquistate: queste sono tutte domande importantissime e a cui è difficile al momento rispondere. Per quanto riguarda la situazione in loco, dalle notizie che si hanno - e personalmente dai contatti che ho - il problema forte è ovviamente adesso quello di “pulire” le aree di Aleppo Est che sono state riconquistate. Dico pulire tra virgolette perché questo verbo può avere tanti significati: può voler dire ripulire la città dalle ultime sacche di resistenza dei jihadisti, ma può anche voler dire una serie di vendette, rappresaglie, da parte dei lealisti ai danni della popolazione che può aver collaborato con i jihadisti o che è sospettata di aver collaborato con loro. Gli stessi jihadisti hanno due atteggiamenti diversi: da un lato, cercano di mescolarsi alla popolazione, di rientrare nel mare per confondersi “con tutti gli altri pesci”; altri ancora invece vorrebbero approfittare di queste trattative per l’evacuazione per raggiungere i loro compagni di lotta che sono nella provincia di Idlib, che è ancora sotto il controllo di jihadisti e ribelli. Quindi la situazione è molto confusa e tesa, e c’è il rischio che possa degenerare sia da un lato che dall’altro.

D. – Il trasferimento dei ribelli e delle loro famiglie verso alcune aree ancora sotto il controllo degli insorti significa che la guerra si sposterà su questi fronti?

R. – Indubbiamente la guerra in Siria non è finita. La situazione di Palmira, che è quella più clamorosa - più nota - ce lo dimostra. E la provincia di Idlib è ancora saldamente controllata dai jihadisti e dai ribelli. Quindi è presumibile che le forze lealiste, i russi, gli iraniani, Hezbollah, una volta assestata – se mai si assesterà – la situazione ad Aleppo, pensino a procedere ad una offensiva anche contro l’altra regione. Vorrei però sottolineare che la situazione della Siria non dipende soltanto dalla Siria, ma anche dell’Iraq. Bisogna vedere cosa succede anche lì, perché quello che è successo finora è che, essendosi l’offensiva contro Mosul completamente arrestata, i jihadisti dell’Is hanno potuto distaccare 4-5mila combattenti e mandarli a Palmira per riprendere la città. Palmira è in Siria, quindi la situazione della Siria è fortemente influenzata anche da quanto avviene, o per il momento non avviene, in Iraq.

D. – L’Europa, l’Occidente, continuano ad essere un attore secondario in questa guerra?

R. – Assolutamente sì: l’Europa naturalmente. L’Occidente meno, perché si sa che gli Usa, sia direttamente, aiutando concretamente, armando e finanziando alcune formazioni di ribelli, sia indirettamente, attraverso i Paesi alleati - le monarchie del Golfo Persico - che invece hanno attivamente sostenuto i jihadisti: l’Occidente in qualche modo è intervenuto in questa crisi, eccome se è intervenuto! La stessa Nato, che dice di non essere intervenuta, dice in realtà una mezza verità. Non dobbiamo infatti dimenticare che quando ci fu la crisi nei rapporti tra Russia e Turchia, la Nato intervenne a proteggere quel confine turco attraverso cui passavano decine di migliaia di jihadisti che da tanti altri Paesi accorrevano in Siria per combattere nelle file dell’Is. Certamente l’Europa ha giocato un ruolo molto, molto, molto secondario, preoccupata com’era di garantirsi i rapporti con Erdogan per stipulare l’accordo sui migranti, che ad essa premeva molto di più della carneficina in Siria.

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Pizzaballa: tragica situazione dei cristiani in Siria, Iraq, Egitto

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 "La situazione dei cristiani in Siria, Iraq e Egitto è una completa tragedia ": lo ha detto, nella sua prima conferenza stampa, in occasione del Natale, l'amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa. "In queste terre, origine della nostra civiltà', il ciclo vizioso della violenza che è all'opera sembra senza speranza e senza fine", ha aggiunto, incontrando i giornalisti stamane a Gerusalemme. 

Difficile anche la situazione in Terra Santa
"Tutti noi - ha continuato mons. Pizzaballa - abbiamo visto le immagini di Aleppo della scorsa settimana, ma anche di tutta la regione durante i lunghi anni del conflitto". "Siria e Iraq sono distrutti". Ma mons. Pizzaballa ha messo in guardia anche sulla situazione in Terra Santa, che "riecheggia l'estremismo e il
fondamentalismo che stanno crescendo in tutto il mondo". Per mons. Pizzaballa, inoltre, il futuro, appare "appannato" : "manchiamo di una visione". Ma, a suo avviso, si possono vedere alcune luci all'orizzonte, soprattutto grazie alla guida e alla predicazione di Papa Francesco. (R.P.)

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Giordania: trovati esplosivi nella casa degli attentatori di Karak

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In Giordania 10 persone sono state uccise da un commando armato nel distretto di Karak, nel sud del Paese. Le vittime sono sette poliziotti giordani, due civili e una turista canadese, presa in ostaggio insieme a una quindicina di persone nel castello medievale della città. L’attacco non è stato rivendicato, ma si teme il coinvolgimento del sedicente Stato Islamico, contro cui lo Stato giordano sta combattendo insieme alla coalizione internazionale. Il servizio di Michele Raviart

Il commando, formato da quattro uomini armati, ha prima sparato su alcuni agenti di pattuglia a Karak per poi colpire una stazione di polizia. Numerosi gli agenti e i passanti feriti prima che il gruppo si rifugiasse nel castello medievale della città, tenendo in ostaggio una quindicina di persone, tra cui alcuni turisti. Il bilancio totale è di 34 feriti e dieci morti, ai quali bisogna aggiungere gli attentatori, uccisi dalle forze di polizia durante il blitz nel castello. Nessuna rivendicazione anche se nella presunta base dei terroristi sono state trovate armi e cinture esplosive. Si sospetta tuttavia dello Stato Islamico, che già nel giugno scorso aveva rivendicato un attacco al confine con la Siria, in cui persero la vita sette guardie di frontiera giordana. Karak è inoltre la città natale del pilota che nel dicembre 2014 precipitò in Siria, dove venne catturato e giustiziato dall’Is. La Giordania partecipa infatti ai raid aerei diretti contro lo Stato Islamico, nell’ambito della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. “La Giordania vincerà il terrorismo”, titolano i giornali locali, anche se il rischio che il Paese venga travolto dall’ondata jihadista rimane alto, come spiega Andrea Ungari, docente della Luiss e curatore dell’Atlante geopolitico del Mediterraneo per il Cesi:

R. – Il problema della Giordania è un problema che emerge adesso con questo attentato, ma che in realtà tutti gli analisti avevano messo in evidenza già da qualche mese. E questo perché la Giordania, insieme al Libano, vista la vicinanza alla crisi siriana, è uno degli Stati più a rischio proprio a causa di questa crisi: è quindi emerso con questo attentato, anche se in realtà la Giordania è uno dei Paesi che – anche se se ne sa poco in.  Occidente - risente di più, anche riguardo ai campi profughi – insieme alla Turchia – della questione siriana. Ci sono tantissimi campi profughi al bordo proprio, al confine tra Giordania e Siria, all’interno dei quali evidentemente sta cominciando una infiltrazione terroristica che cerca di destabilizzare uno degli Stati del Medio Oriente che è più legato non solo ad Israele, ma anche all’Occidente.

D. – La Giordania ha gli strumenti per poter affrontare questa minaccia? C’è un rischio per la sua stabilità?

R. – Io credo che il rischio sia assolutamente concreto, perché la Giordania è un Paese molto povero – non è assolutamente un Paese ricco! – ed è un Paese che in questi anni ha avuto una serie di finanziamenti da parte dell’Onu proprio per far fronte alla crisi siriana: quindi è un Paese che è effettivamente a rischio di una crisi e di un processo di involuzione, perché questo flusso di profughi ha alterato anche il tessuto socio-economico della Giordania, un po’ come era avvenuto quando i palestinesi, negli anni Settanta, si erano trasferiti tutti dalla Palestina alla Giordania, creando il famoso fenomeno del “Settembre nero”. Quindi c’è un rischio che non solo è di carattere proprio identitario, e quindi socio-identitario, ma anche di carattere economico: la Giordania ha dovuto realizzare lo scorso anno un recovery program, grazie ai finanziamenti dell’Onu, proprio per far fronte all’emergenza di profughi.

D. – Quanto pesa il fattore dei campi profughi rispetto al fatto che la Giordania è un Paese che fa parte della coalizione internazionale che sta combattendo contro lo Stato Islamico?

R. – Sono tutte e due aspetti che ovviamente influiscono: la presenza dei tanti profughi è una presenza abbastanza consistente e ci sono milioni di siriani che sono fuggiti dalla Siria e che sono fuggiti dalla guerra; e poi questo legame occidentale della Giordania ovviamente la mette a rischio, la mette in prima linea di fronte ad un terrorismo che vuole colpire anche gli amici della coalizione occidentale e quindi che non è diretto solamente agli Stati Uniti o all’Europa, ma anche a quei Paesi arabi alleati dell’Occidente. Questo è l’obiettivo primario del terrorismo in questa fase.

D. – E’ solo un messaggio all’Occidente o c’è la possibilità che lo Stato Islamico possa occupare alcuni territori, come già ha fatto in Iraq e in Siria?

R. – Questa è una delle tendenze, ancor prima della nascita dello Stato Islamico: quella della territorializzazione, come era avvenuto in precedenza anche con il tentativo di al-Qaeda in Mali. Quindi che ci sia un tentativo da parte dello Stato Islamico di cercare di acquisire territori di fronte a questa controffensiva, che in qualche maniera è stata fatta dall’alleanza occidentale con la Russia, rientra certamente in un obiettivo di lungo periodo che sicuramente vuole portare all’acquisizione di territori da poter sfruttare e da poter inquadrare all’interno dello Stato.

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Vescovi venezuelani chiedono ai politici di ascoltare la gente

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In Venezuela più di 300 persone sono state arrestate nel corso dei disordini scoppiati dopo la decisione del presidente Maduro di ritirare dalla circolazione le banconote da 100 bolivar, il taglio più usato dalla popolazione. Ieri il Presidente Maduro ha prorogato la validità della banconota fino al 2 gennaio 2017.La Conferenza episcopale venezuelana, intanto, in un messaggio invita i politici ad ascoltare le necessità della gente. Elvira Ragosta

Era stato il Presidente Nicolas Maduro ad annunciare, lo scorso 13 dicembre, il ritiro delle banconote da 100 bolivar. Una decisione che, insieme alla chiusura temporanea della frontiera con la Colombia, doveva contrastare le attività della criminalità organizzata. Ma il ritiro del taglio da 100 non è stato rimpiazzato dalle banconote da 500 bolivar, non ancora disponibili. Il Presidente Maduro ha affermato che i 500 bolivar non sono tati distribuiti a  causa di un "sabotaggio internazionale" orchestrato da nemici operanti all'estero per ritardare gli aerei che trasportavano i biglietti. Dopo le proteste e  i saccheggi in diverse città del Paese che hanno portato all’arresto di oltre 300 le persone, Maduro già ieri ha deciso di prolungare fino al 2 gennaio la validità dei bolivar da 100.

Il messaggio dei vescovi venezuelani ai politici
Intanto, secondo quanto riporta l’agenzia Fides, la Conferenza episcopale venezuelana ha pubblicato un messaggio rivolto alle autorità sulle recenti misure economiche imposte. Riguardo alle nuove disposizioni, i vescovi denunciano: "Hanno peggiorato la crisi che colpisce la nostra nazione e tutti i cittadini... le più colpite sono state le persone più svantaggiate e vulnerabili… Le persone che fanno lunghe file (per poter comperare un po’ di pane o latte ndr) e conservavano un briciolo di speranza in attesa di qualche soluzione della crisi, si sono sentite abbandonate e non protette da tutti i leader politici. Molti uomini e donne non esitano ad esprimere i loro sentimenti di frustrazione e di abbandono da parte di coloro che dovrebbero parlare e promuovere soluzioni eque”.

La gente non sa cosa accadrà dei loro soldi e dei loro risparmi
Il comunicato dei vescovi segnala che il ritiro dalla circolazione in tutta fretta della banconota più usata dalla gente ha causato indignazione, frustrazione e rifiuto nella popolazione. "C'è grande incertezza nelle persone perché non sanno cosa accadrà dei loro soldi e dei loro risparmi. Questo, oltre a colpire un gran numero di persone, può portare violenza e disordini" scrivono i vescovi.

Il popolo è il vero protagonista della democrazia
Il testo si conclude con tre richieste: occorre ricordare a tutti che il popolo è il vero protagonista della democrazia; i leader politici devono mettersi a fianco del popolo ed ascoltare i gravi problemi che ha provocato questa misura nociva del governo; tutti i cattolici devono aprirsi alla carità e alla solidarietà, aprendo le porte a coloro che soffrono per condividere un po' di cibo e di sostegno. Il documento, con la data del 17 dicembre, è firmato dal card. Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, dal neo card. Baltazar E. Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida, da mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumaná e presidente della Cev, a nome di tutta la Conferenza episcopale del Venezuela.

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2016: 74 giornalisti morti nel mirino di guerre e regimi autoritari

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Il giornalismo una professione a rischio, ancora oggi, in molti Paesi del mondo, non solo in zone di guerra e sotto regimi autoritari ma anche in contesti, sulla carta, democratici. Lo documentano i rapporti annuali delle organizzazioni Reporter Senza Frontiere, con sede a Parigi e il Comitato per la protezione dei giornalisti, con sede a New York. Il servizio di Roberta Gisotti

74 operatori dell’informazione - 57 giornalisti, 9 blogger e  8 collaboratori di media – sono stati uccisi nel 2016, denuncia Reporter Senza Frontiere, semplicemente “per aver esercitato la loro missione di informare”. Massima parte hanno perso la vita in zone di guerra: 19 in Siria, 10 in Afghanistan, 7 in Iraq e 5 nello Yemen. Ma al terzo posto, nella lista nera per la stampa è un Paese dell’America Latina, il Messico con 9 vittime. Se le morti di giornalisti, sono in calo - erano state 67 nel 2015 - questo si deve alla loro fuga da alcuni Paesi troppo pericolosi, come quelli citati oltre Libia e Burundi. Qui oggi abbiamo - lamenta Reporter Senza Frontiere – veri ‘buchi informativi’ dove regna l’impunità, nonostante 780 giornalisti abbiano perso la vita negli ultimi 10 anni, per documentare realtà scottanti non solo su guerre in corso, ma su violazioni di libertà e diritti, malaffare e corruzione che affliggono anche molti Paesi democratici. In Italia, secondo dati dell’Agenzia europea dei diritti umani, sono stati, nei primi 9 mesi del 2016, 92 gli episodi di minacce, pressioni, attacchi contro giornalisti. A seguire la Francia ne ha avuti 55.

Il 2016 è stato anche l’anno peggiore per le incarcerazioni, come rivela il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ): ce ne sono 259 dietro le sbarre di prigioni statali, ben 81 in Turchia, che ha superato la Cina che ne ha 38, seguita da tre Paesi africani, Egitto, Eritrea ed Etiopia. A questi vanno aggiunti 40 giornalisti, tutt’ora scomparsi o rapiti in Medio Oriente e Nord Africa, oltre ai molti rilasciati durante quest’anno. 456 di loro hanno scelto, dal 2008, la via dell’esilio dal proprio Paese.

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Saveriani: è morto il Superiore generale padre Luigi Menegazzo

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È morto ieri per crisi cardiaca, all’Ospedale Santo Spirito di Roma, il Superiore generale dei Saveriani, padre Luigi Menegazzo. Aveva 64 anni compiuti. Era nato a Cittadella (Padova) il 16 luglio 1952. Entrato all’Istituto di Vicenza nel 1963 - riferisce l'agenzia Sir - emise la Prima Professione a San Pietro in Vincoli l’8 settembre 1969. Fu ordinato presbitero a Parma il 25 settembre 1977. Conseguita la Licenza in Missiologia alla Gregoriana, fu inviato in Giappone dove fu viceparroco e poi parroco della parrocchia di Nichinan. Nel 1989 venne richiamato in Italia, docente allo Studentato Teologico-Filosofico di Parma. Nel 1994 ritornò in Giappone fino al 2001: parroco a Tamana; viceregionale poi regionale. Nel 2001 fu eletto vicario generale, prefetto delle persone e procuratore generale presso la Santa Sede. Il 4 luglio 2013 era stato eletto Superiore generale.

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Algeria. Colloquio su Agostino: nuovo passo nel dialogo cristiano-islamico

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Agostino torna a “parlare” ad Ippona. Ad Annaba, in Algeria, un colloquio internazionale di tre giorni sul tema “Agostino d’Ippona e il suo pensiero nelle sue dimensioni locali e universali” ha esaminato l’eredità intellettuale del grande padre della Chiesa e i limiti che nel nord Africa ne impediscono la ricezione. E’ la prima volta che la “moderna Ippona” ospita un’iniziativa accademica sull’opera del suo celebre vescovo che vi ha lasciato tracce indelebili. E se fra queste alcune sono ancora visibili, come i resti nel sito archeologico dell’antica cittadina numida – tra cui quelli della basilica officiata da Agostino nel V secolo –, altre sono da recuperare. I testi del vescovo di Ippona sono poco noti in terra algerina, ma nelle università se ne sta riscoprendo la ricchezza.

Un’iniziativa promossa dall’università musulmana Badji Mokhtar di Annaba
Sono svariati gli scritti di Agostino che evidenziano il desiderio di favorire uno scambio fecondo di idee religiose e filosofiche e di promuovere un incontro fra culture, per questo la Facoltà di Lettere, Scienze Umane e Sociali dell’Università Badji Mokhtar di Annaba, con il patrocinio del Ministero dell’Insegnamento Superiore e della Ricerca Scientifica, ha proposto l’incontro accademico. Obiettivo quello di interrogarsi sulla vita e la produzione letteraria di Sant’Agostino, analizzando la sua attualità e l’influsso della sua produzione filosofica, culturale e teologica, le sue tracce locali e il suo ragionamento universale.

Nuove strade nel dialogo fra cristiani e musulmani
Diversi gli studiosi, gli storici, i teologi, i ricercatori, i docenti e gli studenti che hanno preso parte al colloquio; tra gli interventi anche quello di padre Bernard Jobert, canonico di Sant’Agostino, che è stato parroco a Skikda, che ha definito l’iniziativa - voluta da una università musulmana - un passo avanti nel dialogo cristiano-islamico in Algeria. “Questi tre giorni hanno permesso di misurare lo scarto che esiste ancora tra lo studio di questo gigante cristiano e la ricezione un po’ tumultuosa da parte degli studenti, e talvolta degli insegnanti, ansiosi anzitutto di identificarsi come musulmani” ha spiegato. Ma per padre Jobert il dibattito, ricco di contributi e scambi, ha contribuito ad affinare, nei partecipanti lo spirito critico e scientifico.

Agostino ancora vivo nelle testimonianze archeologiche e nell’attualità dei suoi scritti
Nel programma della tre giorni anche una visita alle rovine di Ippona e alla moderna basilica di Sant’Agostino, sulla collina che sovrasta Annaba: luoghi suggestivi che fanno pensare alla possibilità di interessanti itinerari turistici, culturali e religiosi. Non è mancato infine lo sguardo all’attualità rapportato alla questione dei migranti rifugiatisi in Africa dopo il sacco di Roma del 410, con riflessioni teologiche sul male, sulle risposte dei credenti e sule parole di Agostino. Ricorda Luigi Alici, studioso che ha preso parte all’incontro di Annaba, che Agostino nella Lettera 229 scrive: “E’ una gloria più grande uccidere la guerra con la parola, anziché uccidere gli uomini con la spada e procurare o mantenere la pace con la pace, non con la guerra”.  (A cura di Tiziana Campisi)

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 354

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.