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Sommario del 18/12/2016

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Il Papa e la Santa Sede



Papa all’Angelus: come Maria e Giuseppe accogliamo Gesù e seguiamolo

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Sul modello di Maria e di Giuseppe rendiamoci disponibili ad accogliere il Figlio di Dio nella nostra vita concreta e a seguire con fiducia la volontà del Padre celeste. E’ l’invito rivolto dal Papa a migliaia di fedeli presenti questa domenica in piazza S. Pietro per l’Angelus. Da Francesco anche l’invito, in questa settimana che ci separa dal Natale a fermarci in silenzio davanti al presepe per cogliere veramente la grazia di amore che questa festa rappresenta. Il servizio di Gabriella Ceraso

La vicinanza di Dio all’umanità è il tema della quarta e ultima domenica di Avvento. Il Papa invita a guardare alle due persone che più di altre sono state coinvolte in questo “mistero di amore che si compie nel Natale”: Maria e il suo sposo Giuseppe.

Maria accoglie nella sua carne Gesù cambiando il destino dell'umanità
La Vergine ha concepito Gesù per opera dello Spirito Santo, rimarca Francesco, “il Figlio di Dio viene nel suo seno per diventare uomo e Lei lo accoglie”. Così, in modo unico, “Dio si è avvicinato all’essere umano prendendo la carne da una donna”: è quanto succede “anche a noi in modo diverso”, spiega il Papa. “Dio si avvicina con la sua grazia per entrare nella nostra vita e offrirci in dono il suo Figlio”:

“E noi che cosa facciamo? Lo accogliamo, lo lasciamo avvicinarsi oppure lo rifiutiamo, lo cacciamo via? Come Maria, offrendo liberamente sé stessa al Signore della storia, gli ha permesso di cambiare il destino dell’umanità, così anche noi, accogliendo Gesù e cercando di seguirlo ogni giorno, possiamo cooperare al suo disegno di salvezza su noi stessi e sul mondo. Maria ci appare dunque come modello a cui guardare e sostegno su cui contare nella nostra ricerca di Dio, nella nostra vicinanza a Dio, in questo lasciare che Dio si avvicini a noi e nel nostro impegno per costruire la civiltà dell’amore”.

Giuseppe anche nel dubbio si fida di Dio che si manifesta
Al fianco di Maria, altro protagonista del Vangelo di oggi, è San Giuseppe che, “da solo”, ricorda il Papa citando il testo di Matteo, non può darsi una spiegazione della gravidanza di Maria. Proprio allora “nel momento del dubbio e dell’angoscia”, sottolinea Francesco, Dio lo illumina con un Suo messaggero che annuncia: “ Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”:

“Così, di fronte all’evento straordinario, che certamente suscita nel suo cuore tanti interrogativi, si fida totalmente di Dio che gli si avvicina e, seguendo il suo invito, non ripudia la sua promessa sposa ma la prende con sé e sposa Maria. Accogliendo Maria, Giuseppe accoglie consapevolmente e con amore Colui che in lei è stato concepito per opera mirabile di Dio, a cui nulla è impossibile. Giuseppe, uomo umile e giusto (cfr v. 19), ci insegna a fidarci sempre di Dio, che ci si avvicina: quando Dio ci si avvicina dobbiamo fidarci. Giuseppe ci insegna a lasciarci guidare da Lui con volontaria obbedienza..”

Maria e Giuseppe modelli da seguire che ci introducono al Natale
Mediante la loro fede dunque Maria e Giuseppe ”per primi hanno accolto Gesù” e così “ci introducono al mistero del Natale”: l’una ci “aiuta a metterci nell’atteggiamento di disponibilità per accogliere il Figlio di Dio nella nostra carne”, l’altro “ci sprona a cercare sempre la volontà di Dio e a seguirla con fiducia”. Entrambi si sono fatti “avvicinare da Dio” e noi, si chiede ancora il Papa, facciamo lo stesso davanti al mistero del Natale che festeggia l’Emmanuele, il “Dio con noi”?:

“E' il Dio che si avvicina. Io gli apro la porta, al Signore, quando sento una ispirazione interiore, quando sento che mi chiede di fare qualcosa di più per gli altri, quando mi chiama alla preghiera? Dio-con-noi, Dio che si avvicina. Questo annuncio di speranza, che si compie a Natale, porti a compimento l’attesa di Dio anche in ciascuno di noi, in tutta la Chiesa, e in tanti piccoli che il mondo disprezza, ma che Dio ama e a cui Dio si avvicina loro.  quando sento una ispirazione interiore, quando sento che mi chiede di fare qualcosa di più per gli altri, quando mi chiama alla preghiera? Dio-con-noi, Dio che si avvicina. Questo annuncio di speranza, che si compie a Natale, porti a compimento l’attesa di Dio anche in ciascuno di noi, in tutta la Chiesa, e in tanti piccoli che il mondo disprezza, ma che Dio ama e che Dio si avvicina loro”.

Dopo la preghiera dell’Angelus il Papa ha salutato in particolare il gruppo dell’UNITALSI di Roma, che “ha dato vita a un presepe vivente inclusivo delle persone con disabilità” e soprattutto ha raccomandato una preparazione speciale al Natale in questa ultima settimana prima della festa:

Natale, festa della vicinanza di Dio, restiamo un pò in silenzio
“Cerchiamo di trovare qualche momento per fermarci, fare un po’ di silenzio, e immaginare la Madonna e san Giuseppe che stanno andando a Betlemme. Immaginare come vanno: il cammino, la fatica, ma anche la gioia, la commozione, e poi l’ansia di trovare un posto, la preoccupazione…, e così via. In questo ci aiuta molto il presepe. Cerchiamo di entrare nel vero Natale, quello di Gesù, che ci si avvicina – Dio-con-noi, vicino a noi – per ricevere la grazia di questa festa, che è una grazia di vicinanza, di amore, di umiltà e di tenerezza”.

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Gli 80 anni del Papa.Telefonata e doni da Benedetto XVI e dai leader cristiani

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Ancora tanta è la gioia dei fedeli per gli 80 anni di Papa Francesco, festeggiati ieri. All’Angelus il Pontefice ha ringraziato tutti. Oltre alle migliaia di mail ricevute e ai grandi del pianeta, gli auguri sono arrivati anche dal Papa emerito Benedetto XVI e dai leader delle altre Chiese cristiane. Toccante il colloquio in videoconferenza con i detenuti del carcere Due Palazzi di Padova. Il servizio di Michele Raviart

“Vorrei ringraziare tutte le persone e le istituzioni che ieri hanno voluto esprimermi i loro auguri. Grazie tante!”. Così Papa Francesco ha ricordato all’Angelus quanti hanno voluto festeggiare i suoi 80 anni. Oltre 70 mila i messaggi arrivati al Pontefice per posta elettronica, da tutto il mondo, soprattutto in inglese, spagnolo, polacco e italiano. Una festa che è continuata anche stamattina in piazza S.Pietro, dove alcuni fedeli hanno ribadito il loro affetto per il Papa:

R. – Tanti auguri, Papa Francesco! Ti vogliamo bene!

R. – Auguri a Papa Francesco! E’ un Papa buono, è un Papa che conosce la povertà… E’ un bellissimo Papa

R. – Glieli facciamo ogni giorno, al Papa, gli auguri. Se lo merita come uomo e nella veste di Pontefice della Chiesa romana.

R. – Auguri Papa Francesco!

R. – Ciao! Auguri Papa Francesco! E grazie di tutto quello che fai.

R. – Tanti auguri a Papa Francesco! E’ simpatico, è divertente…

R. – Io sono argentina e sono molto emozionata di avere un Papa argentino, perché è come noi: non è un muro…

R. – Gli auguri che posso fare a Papa Francesco è che il Signore che ce lo ha mandata e per noi è una grande gioia: gli facciamo tanti auguri per i suoi 80 anni.

R. – Auguri di vero cuore! Il Signore ce lo ha mandato perché ne avevamo bisogno di Francesco.

R. – Faccio gli auguri al Papa perché lui ha un grande cuore. E gli chiedo di continuare così, con la sua umiltà, perché con questa sua umiltà entra nei nostri cuori. Tanti auguri e un Buon Natale!

R. – Voglio fargli gli auguri per questi 80 anni e gli auguri di Buon Natale. E’ un Papa fantastico, meraviglioso!

Tra gli auguri ricevuti ieri anche quelli del Papa emerito Benedetto XVI, che prima ha scritto un messaggio molto affettuoso e particolarmente apprezzato e poi ha telefonato personalmente a Francesco. Consegnati anche tre piccoli doni che il Papa ha accolto come “tre segni molto personali e significativi per tutti e due”. Il Patriarca di Mosca Kirill ha pubblicato un lungo messaggio in cui ripercorre la vita di Francesco, “interamente legata al servizio di Dio e della Chiesa” e caratterizzata dalla “predicazione dell’amore di Cristo, l’aiuto ai poveri e la promozione della causa dell’unità dei cristiani”. Kirill ha ricordato anche quello che ha definito l’”indimenticabile” incontro all’Avana dello scorso febbraio, rallegrandosi “per l’elevato grado di comprensione reciproca che hanno raggiunto le relazioni bilaterali tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana in questi ultimi anni”. Un crocifisso del XVIII secolo realizzato dai monaci del monte Athos in Grecia è stato invece il regalo del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, mentre via twitter l’arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby ha inviato i suoi più calorosi auguri e la sua benedizione. Tra i momenti più emozionanti di ieri, la videoconferenza con i detenuti del carcere di Padova. Uno di loro, Marzio, ha ringraziato il Papa per il Giubileo dei detenuti dello scorso 6 novembre, ricordando la “semplicità imbarazzante” con il quale ha incontrato i partecipanti e il silenzio assordante dell’incontro con ciascuno di loro e dove lo sguardo del Papa “trasmetteva la forza della vera fede”. Il Papa li ha ringraziati per la loro tenerezza e per la loro vicinanza e li ha benedetti nel nome del Signore.

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"Siamo artigiani di misericordia". Il saluto del Papa al concerto in Vaticano

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Grande emozione e commozione ieri sera in una affollata Aula Paolo VI, in Vaticano, dove Claudio Baglioni ha tenuto il concerto di beneficenza “Avrai”, destinato, come richiesto da Papa Francesco, a raccogliere fondi per i bambini di Bangui, in Centrafrica, e quelli terremotati del centro Italia. Attraverso il numero solidale 45523 è ancora possibile donare per queste due finalità fino al 21 dicembre. La trasmissione è stata diffusa in diretta nazionale a reti unificate da RTL, Radio Zeta l’italiana, Radio Vaticana e Radio Inblu. A tutti il saluto del Papa in un videomessaggio. Il servizio di Giancarlo La Vella

"Grazie a nome dei bambini di Bangui e di quelli delle zone terremotate. Non potremo fare cose grandi, realizzare grandi progetti, ma ciò che faremo avrà la firma della nostra passione per il Vangelo. Buon Natale a tutti!"

Papa Francesco ringrazia “tutti gli artigiani di misericordia” che hanno reso possibile questo progetto per la ricostruzione di un ospedale pediatrico a Bangui e la realizzazione di uno spazio per i bambini terremotati del centro Italia. “Perché le opere di misericordia – dice il Pontefice - ispirate dal Signore, hanno poi bisogno, di mani e cuori di uomini e donne”. La misericordia, ricorda, non può essere solo una bella teoria.

"E' necessario trasformare la misericordia nella vita di tutti i giorni, vita che diventa partecipazione e condivisione".

Sono ancora più meritevoli queste iniziative di solidarietà, sottolinea Francesco, quando sono indirizzate ai più indifesi.

"Questa sera tutti voi state partecipando concretamente e generosamente alla costruzione di due progetti rivolti ai più deboli e fragili, i bambini".

Ed è l’attenzione alla miseria che – afferma il Papa – ci avvicina di più al Signore, che è venuto tra noi da povero.

"A volte qualcuno mi chiede: “Ma Lei, padre, parla sempre dei poveri e della misericordia”. Sì – dico – ma non è una malattia. E’ semplicemente il modo con cui Dio si è rivelato. Questo è il nostro Dio: non il totalmente altro ma l’assolutamente prossimo".

La trasmissione del concerto è stata diffusa a reti unificate da RTL, Radio Zeta l’Italiana, Radio Vaticana e Radio Inblu. Federica Gentile e Angelo Baiguini di RTL.

"Grande musica, grandi emozioni, grandi intenti e, soprattutto, una grandissima partecipazione da parte di tutti: artisti, pubblico, ascoltatori. E' stata un' esperienza davvero straordinaria".

"La musica è la colonna sonora della nostra ita e può dirci qualcosa di più. Anzi, se avete un telefonino a portata di mano: 45523, donate 2 euro.

Dunque un sms al 45523 per donare ancora, subito, perché, con le parole di Baglioni… la vita è adesso!

 

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Oggi in Primo Piano



Papa prega per il dialogo nella R. D. del Congo: no alla violenza

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"Chiedo a tutti voi di pregare affinché il dialogo nella Repubblica Democratica del Congo si svolga con serenità per evitare qualsiasi tipo di violenza e per il bene di tutto il Paese". Così il Papa oggi all'Angelus col pensiero rivolto alle trattative in corso nel paese africano tra le opposizioni e il partito del presidente Joseph Kabila, che vorrebbe ricandidarsi nonostante il secondo e ultimo mandato scada martedì prossimo. Per ora i colloqui avviati sotto l'egida della Conferenza episcopale locale, sono stati sospesi e rinviati al 21 dicembre: si temono quindi manifestazioni di piazza. Quale dunque l’apporto della Chiesa congolese al dialogo? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Enrico Casale, della rivista Africa dei Padri Bianchi: 

R. - È un apporto importantissimo, perché intanto i vescovi sono un’autorità soprattutto morale. Ricordiamo poi che la Repubblica Democratica del Congo, uno dei Paesi più grandi del continente africano, ha una popolazione cattolica per circa il 40%. In questo momento i vescovi hanno di fronte una situazione politica instabile e hanno deciso di scendere in campo per favorire il dialogo nazionale, nella speranza che porti a breve a elezioni presidenziali e parlamentari, in modo tale che il Paese esca dalla fase di stallo che sta vivendo a causa del tentativo del presidente Kabila di rimanere al potere.

D. - Quali sono i rischi in questo momento per la stabilità in Repubblica Democratica del Congo, un Paese, tra l’altro, alle prese con altre emergenze soprattutto ai confini?

R. - Sarebbe un dramma se Kabila si intestardisse nel voler rimanere al potere, cioè non aprisse a nuove elezioni e non si facesse da parte. Teniamo presente che Kabila ha già portato a termine due mandati presidenziali previsti dalla Costituzione, quindi non potrebbe ricandidarsi per una terza elezione. Se succedesse questo, o se volesse rimanere al potere, porterebbe un’ulteriore instabilità in un Paese che è già instabile di suo: pensiamo ai grossi problemi che ci sono nella regione orientale, nel nord e nel sud del Kivu, zone ricchissime di risorse naturali e molto ambite anche dai Paesi vicini.

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Siria: osservatori Onu ad Aleppo. Ripresa l'evacuazione dei civili

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Ogi il voto del Consiglio di Sicurezza dell'Onu per inviare osservatori nella citta' siriana di Aleppo e controllare l'evacuazione dei civili e la loro protezione. Le procedure di sgombero sono riprese in mattinata sotto la supervisione di Croce rossa e mezzaluna rossa siriana ,con alcuni incidenti. Ribelli antigovernativi siriani hanno infatti attaccato e bruciato diversi pullman che avrebbero dovuto essere usati per l'evacuazione di villaggi sciiti nella provincia di Idlib. Intanto a livello diplomatico è stato anticipato al 20 dicembre il summit Iran-Russia-Turchia. Nel mondo invece sale la protesta con le prime manifestazioni di piazza a Berlino,Londra, Sidney per chiedere ai governi di fare di più per il popolo siriano.Anche a Venezia oggi un sit-in silenzioso 

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Yemen: kamikaze fa strage tra i soldati. Is rivendica

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Ancora violenza nello Yemen. I jihadisti del sedicente Stato islamico hanno rivendicato l'attentato kamikaze di stamane in una base militare a nord est di Aden. Una cinquantina i soldati rimasti uccisi e decine i feriti sorpresi mentre erano in attesa per ritirare lo stipendio. L'attentato arriva otto giorni dopo un attacco analogo, in cui persero la vita 48 soldati, nelle medesime circostanze. Da mesi, le autorita' yemenite portano avanti un’offensiva contro i jihadisti che operano nel Sud e nell'Est del Paese approfittando del caos dovuto al conflitto tra il governo e i ribelli Houthi.

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Ucraina. Mons. Shevchuk: dalla guerra non odio, ma risveglio della fede

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Il conflitto nel sud est dell'Ucraina. Sempre tese le relazioni con Mosca e in discussione l'appoggio dell'Unione europea anche dopo l'ultimo Consiglio Ue di questa settimana. Ma nel Paese la guerra ha provocato un risveglio della fede: è la Chiesa greco-cattolica a dirlo, facendosi portavoce di un messaggio di pace. "Noi non odiamo i nostri nemici", ribadisce l’Arcivescovo Maggiore di Kiev, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, a Roma in questi giorni per un ciclo di conferenze. Fabrizio Mastrofini lo ha intervistato. L’intervista completa andrà in onda il 4 gennaio alle 18,30 nell’ambito della trasmissione “Roma: la Chiesa nella città”. 

R. – Ovviamente ci sono tanti elementi importanti dell’identità e tanti modi di conservarla: la vita liturgica, la vita comunitaria, la strategia comune dello sviluppo della nostra Chiesa, che si chiama la “parrocchia vivente” come il luogo dell’incontro con il Cristo vivente. Ma devo dire che quando è cominciata la guerra in Ucraina tutta la diaspora si è risvegliata: anche quelle persone che per vari motivi si erano allontanate sia dalle comunità culturali che dalla Chiesa. Ritornano perché sentono che devono fare qualcosa per coloro che soffrono in Ucraina; spesso la gente, sia in Ucraina che nel resto del mondo, vede che i politici, i diplomatici, che non riescono a fermare la guerra. E perciò le risposte alle domande difficili, la nostra gente, sia in Ucraina sia in diaspora, le trova nel Vangelo, nella fede cristiana; e questa guerra in Ucraina ha provocato un risveglio della vita cristiana autentica. La Chiesa si è risvegliata. Abbiamo perciò individuato le dimensioni importanti della “parrocchia vivente”, che è una comunità che vive la liturgia, una comunità che annuncia il Vangelo e insegna la Catechesi. Ma soprattutto è una comunità che fa il servizio sociale: perché se una parrocchia si chiude in sé stessa muore.

D. – Come convive questo grande senso di fede, speranza e carità con il fatto che non si riescono molto a scalfire gli interessi economici che a volte sottostanno e presiedono a tanti conflitti nel mondo, e probabilmente anche al conflitto in Ucraina?

R. – Gli aggressori moderni, che vogliono modellare il mondo secondo il loro piano strategico o geopolitico, vogliono incidere su tutti noi – non soltanto su noi ucraini ma anche sugli europei – due sentimenti molto pericolosi: paura e odio. Forse la paura di perdere la sicurezza economica, a causa delle migrazioni; paura di perdere il potere, a causa delle nuove elezioni; paura di questo, paura di quest’altro… Ma la risposta cristiana è: “Non abbiate paura!”, perché non sono le leggi cieche dell’economia che dirigono la nostra vita, ma le persone libere e responsabili. Noi siamo i costruttori sia della nostra vita e che di quella dei nostri Paesi. Non dobbiamo avere paura di mostrarci cittadini liberi e responsabili. Il secondo sentimento è l’odio: veramente l’egoismo, sia privato che comunitario, adesso fa chiudere le nazioni europee. È l’odio verso l’altro: lo sconosciuto, lo straniero, e così via… È un sentimento molto pericoloso perché può essere, e di fatto lo è, la causa dei conflitti e delle guerre. Forse un messaggio che può venire dall’Ucraina è questo: non possiamo cedere all’odio! Non odiate quelli che forse si presentano come vostri nemici. Sappiamo che solo l’amore è capace di generare gli eroi. Se noi cederemo alla tentazione dell’odio globale, questo distruggerà sia la collaborazione tra gli Stati europei che la sicurezza mondiale, il sistema della sicurezza.

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Migrazioni, Centro Astalli: Europa ritrovi il suo spirito di accoglienza

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“La comunità internazionale arrivi ad un patto mondiale per migrazioni sicure e regolari al fine di costruire un mondo di pace e di possibilità per tutti”. Così il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon nella odierna giornata che l’Onu dedica alle migrazioni. Gli ultimi dati dell'agenzia Frontex dicono che in 350mila sono arrivati quest'anno in Europa, 6000 circa i minori non accompagnati, numeri in calo rispetto al 2015, soprattutto per gli accordi siglati con la Turchia. "Accordi discutibili come tutto l’atteggiamento europeo sulla questione", dice il Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati. Francesco Gnagni ne ha parlato con Donatella Parisi, responsabile della comunicazione: 

R. – Spariscono dall’agenda europea sulle migrazioni, i rifugiati: non si parla più di misure per accogliere e proteggere le persone che scappano da guerre e persecuzioni. La priorità è la sicurezza, la priorità è la chiusura delle frontiere, considerando tutte indistintamente illegali le persone che si trovano costrette o nella situazione di dover migrare. E in base a questo si stipulano accordi che violano apertamente le convenzioni internazionali e il rispetto dei diritti umani. La Turchia, e l’accordo con la Turchia, che blocca i siriani in questo limbo di mancanza di diritti e di prospettive, viene preso come buona prassi e alcuni governi europei e anche lo stile e l’atteggiamento della Comunità Europea è quello di voler replicare questo accordo in altri contesti. Per questo noi siamo molto preoccupati e allarmati perché pensiamo alla Libia o ad altri Paesi di transito in cui non ci sono assolutamente le condizioni di dignità e di rispetto di diritti umani per le persone che migrano.

D. – Al contrario come ci si potrebbe comportare, cioè da quali provvedimenti iniziare?

R. – La prima cosa che il Centro Astalli e altri organizzazioni umanitarie ormai da tempo chiedono è l’attivazione di canali umanitari e vie legali di accesso per l’Europa, per una serie di motivi. Il primo fra tutti è che si continua a parlare di emergenza, che siamo in emergenza migranti, ma l’emergenza non è data dai numeri che arrivano, ma dalle persone che muoiono in mare. Prima di tutto canali umanitari e vie legali; anche perché istituendo delle vie legali di accesso il fenomeno e i flussi migratori sarebbero controllati, noi sapremmo chi e quante persone arrivano in Europa a chiedere asilo. Quindi, anche una delle teorie, dei cavalli di battaglia, di parte della politica europea di associare in maniera assurda immigrazione e terrorismo, verrebbe smantellata. Far entrare le persone attraverso una via legale e documentata migliorerebbe di molto la vita delle persone e il controllo che si potrebbe fare. Ad oggi c’è un monopolio esclusivo dei trafficanti: è una cosa inaccettabile.

D. – Per quale regione, secondo lei, c’è questa mancanza di volontà? E’ una questione culturale di un’Europa vecchia e stanca – per citare il Santo Padre – o pesa anche la crisi economica degli ultimi anni, specialmente all’interno di un’Europa che non riesce a trovare una sua dimensione unitaria?

R. – Ci sono vari elementi culturali e sociali che determinano questa situazione di paura, di xenofobia, di chiusura. Certamente c’è una propaganda politica che non aiuta. In nome della sicurezza si calpestano i diritti delle persone, ma i diritti umani o sono di tutti o sono dei privilegi. E questo bisogna dirlo, bisogna ribadirlo e bisogna comunicarlo soprattutto alle nuove generazioni. Il Centro Astalli da tempo chiede che ci sia una cultura dell’accoglienza, della solidarietà. Accoglienza e solidarietà sono le parole chiave su cui costruire un’Europa che altrimenti non ha una vita molto lunga, intanto perché chiudersi in sé stessa non genera frutto, non fa nascere nuove generazioni… Le crisi democratica ed economica non si risolvono con la chiusura, innalzando i muri. La globalizzazione, le migrazioni, sono un fatto storico, strutturale, che non possiamo impedire recintandoci e chiudendoci dentro i muri. Questo è un dato di fatto. Prenderne atto e trovare e mettere in atto politiche che gestiscano l’accoglienza, l’integrazione dei migranti, è la via per crescere, la via per ritrovare lo spirito da cui è nata l’Unione europea.

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Celebrato il 50 dei Focolari tra il popolo Bangwa del Camerun

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A Fontem, in Camerun, solenni celebrazioni hanno chiuso in questi giorni, l’Anno giubilare indetto dal vescovo di Mamfe, mons. Andrew Nkea per festeggiare i 50 anni della presenza del Movimento dei Focolari tra il popolo Bangwa. "Attraverso i Focolari Dio ha visitato il popolo Bangwa (...) ora è il momento di celebrare l’amore di Dio per tutto il popolo", ha scritto in una lettera mons. Nkea, sottolineando che i focolarini hanno vissuto il patto dell’amore scambievole e insegnato la fraternità universale, hanno ridotto quasi a zero la mortalità infantile e lavorato perchè migliaia di persone avessero una buona formazione scolastica. Risale al 1966 l’arrivo dei primi focolarini a Fontem. Rispondere all’emergenza in cui si trovava allora il popolo Bangwa diventò una priorità per tutto il Movimento fondato da Chiara Lubich che per tre volte visitò la regione.

Alle iniziative per questo 50º hanno partecipato attivamente i Fon, cioè i re delle tribù locali e i responsabili delle istituzioni. Nel settembre scorso si è svolto, tra l’altro, un pellegrinaggio a Roma con la partecipazione all’udienza generale di papa Francesco. Adriana Masotti ha raggiunto telefonicamente Martin Nkafu, filosofo e teologo,originario di Fontem, direttore del Dipartimento delle Scienze Umane e Sociali alla Pontificia Università Lateranense di Roma, presente alle celebrazioni: 

R. – 50 anni fa i “Fon”, i re del popolo, incontrando mons. Julius Joseph Willem Peeters, vescovo di Buéa, che conosceva il luogo, espressero al vescovo il desiderio di avere delle persone competenti in materia di salute perché tra loro tanti bambini morivano: c’era quasi il 90 per cento di mortalità infantile. Allora il vescovo quando nel ’62 incontrò a Roma Chiara Lubich, che aveva sentito avere un movimento espansivo e generoso, le chiese se era pronta a venire alla missione di Fontem per salvare quelle vite. Non era per fare evangelizzazione in un altro modo, ma per portare la salute a questo popolo. E così Chiara Lubich nel 1966 mandò i primi focolarini e quindi i primi medici, infermieri, tecnici, elettricisti, muratori, vennero a Fontem. A un certo punto la gente cominciava a meravigliarsi e a chiedersi: “Come mai voi fate questo lavoro per noi? Perché vi occupate di noi?”. Ecco, allora cominciarono a raccontare…La testimonianza derivata dal Vangelo diventò il loro modo di fare evangelizzazione. Potremmo dire che il popolo, accogliendo e aderendo fin dall’inizio ai suoi invitati, si è contagiato in modo totalmente naturale al loro modo di vivere prodotto dal Vangelo. Ecco perché è tutto il popolo che celebra il 50.esimo di convivenza con il Movimento dei Focolari.

D. - Quali frutti, appunto, si raccolgono in questo Giubileo?

R. – I frutti sono molteplici. Innanzitutto il popolo a un certo momento disse a Chiara: “Tu ci hai portato un ospedale e noi stiamo bene adesso, nessun bambino muore, tanti bambini sono cresciuti”, quindi chiesero a Chiara di andare avanti e di fare anche una scuola per loro. E così nacque la scuola secondaria di Fontem. In seguito, il popolo chiamò il vescovo dicendo: “Adesso che tu ci hai mandato queste persone così brave, ti devi prendere cura delle nostre anime: abbiamo bisogno di parrocchie anche noi”. Così nacque il progetto della parrocchia. Il quarto frutto è stato il progetto dello Stato: lo Stato è interessato a sviluppare tutti i settori di cui uno Stato deve occuparsi: prima cosa un comune, poi la prefettura, poi tutti i dipartimenti dei ministeri del Paese… E’ nata così anche una provincia e, in un secondo momento, una regione di Fontem.

D. – Era un piccolo villaggio, Fontem, quanti sono adesso gli abitanti?

R. – Fontem conta circa 80 mila abitanti, è il capoluogo di tutta la regione, che si chiama Lebialem division. Oggi qui contiamo 28 licei, centri sanitari pubblici e statali, 5 parrocchie, tra cui la prima parrocchia di cui abbiamo parlato. Ci sono 17 regni che comprendono questo territorio, quindi 17 Fon, cioè i re dei Bangwa.

D.  – Ma la presenza dei focolarini non ha portato ad una occidentalizzazione della regione?

R. – Assolutamente no. La nostra grande paura era una specie di colonizzazione, anche evangelica se vogliamo, e invece il fatto che non avrebbero dovuto predicare il Vangelo ma viverlo, ha messo le cose in modo tale che eravamo tutti insieme a vivere ogni passo che veniva fatto. Perciò qui l’Occidente non c’entra niente. E poi, non solo gli occidentali sono venuti qui: vengono dall’Asia, dall’America, dall’Australia, dagli altri Paesi dell’Africa e tutti sono qui a costruire la cittadella di Fontem. La cittadella è di tutti, siamo tutti cittadini sullo stesso piano, siamo il nuovo popolo nato dal Vangelo.

D. – Che cosa rappresenta allora Fontem oggi per l’Africa e anche per il mondo, potremmo dire?

R. – Chiara Lubich disse che Fontem per lei, e così anche per noi, è quel luogo dove tutti sarebbero potuti andare per vedere come il mondo sarebbe se tutti vivessero il Vangelo. Non tutti sono battezzati, ma nessuna persona che vive e che è cresciuta qui può dire oggi che non conosce il Vangelo, perché sanno ciò che il Vangelo ha prodotto. E chiunque conosce il Vangelo può solo produrre bene: produrre unità, produrre pace, produrre giustizia, produrre uomini nuovi. E mi sembra che questa sia una cosa eccezionale.

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Torna al Teatro dell'Opera di Roma la magia de "Lo Schiaccianoci"

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Torna questa sera sul palcoscenico del Teatro dell'Opera di Roma uno dei titoli di danza più amati dal pubblico di ogni età e che ogni anno apre le feste di Natale con gioia e fantasia: "Lo Schiaccianoci". Nell'estrosa regia e coreografia di Giuliano Peparini ne sono interpreti Rebecca Bianchi e Michele Satriano. Repliche fino al 24 dicembre. Il servizio di Luca Pellegrini

Sotto il grande albero, ove prima ha vissuto tutte le dolcezze della vigilia di Natale, Marie sogna, e così inizia la favola, e così inizia il più famoso e amato dei balletti, che a Natale è appuntamento imperdibile: "Lo Schiaccianoci". Nato dalla penna onirica e ispirata di Hoffmann e riscritto con dolcezza da Dumas, il balletto di Čajkovskij  - eseguito per la prima volta a San Pietroburgo nel 1992 con le coreografie di Lev Ivanov - è un classico della danza, capace di appassionare il pubblico di ogni età proprio per il clima che crea sul palcoscenico e che si trasmette nella platea, soprattutto ai bambini, già avvolti dal sapore delle feste e dei regali. Giuliano Peparini ne ha curato per il teatro dell'Opera di Roma una versione che ha riscosso lo scorso anno un grande successo, con qualche novità. Ce la racconta.

R. – Penso che in ogni favola ci sia un fondo particolare, che comunque rispecchia una realtà, perché ogni volta che leggo le favole mi rendo conto che ci sono tante cose dietro che sono trasformate o magari reinterpretate, ma sono temi sempre molto forti, nelle favole. Quindi io ho cercato di ritirare fuori questi temi e di ri-basarmi veramente non soltanto sulla storia che conosciamo tutti, della piccola che sogna nella notte di Natale … Ecco, ho cercato di reinterpretarla a modo mio, con temi più sociali e legati anche a ognuno di noi, più accessibili. Ho portato anche una danza un pochino più “di oggi”, perché ci sono i breaker che rappresentano i topi nel sogno di Marie e quindi c’è anche un miscuglio di stili”.

D. – Quali sono allora però questi temi sociali e attuali dietro alle tende della favola?

R. – Ho reinterpretato delle situazioni … Per esempio, sentivo che per me, dal primo al secondo atto c’è un passaggio dall’infanzia all’adolescenza, alla crescita dei personaggi e quindi ho cercato di mettere in valore questo: il fatto che nel Primo Atto Marie e François sono bimbi che giocano e nel Secondo Atto Marie diventa più donna e quindi incomincia a scoprire determinate cose. Anche certi aspetti della sua personalità cambiano: visualmente, per esempio, nel Primo Atto è in mezza punta e nel Secondo Atto è sulle punte; c’è anche questo cambio. Poi ho aggiunto questo personaggio che non esiste nella storia, che io ho chiamato il pet-boy che è questo ragazzino che arriva, nell’ultimo atto, in questa festa e viene un po’ a scombussolare la “normale” festa natalizia perché nella mia storia, nel mio “Schiaccianoci”, il papà di Maria e di François è un ricco imprenditore che ogni anno invita un suo impiegato a passare la festa di Natale con i suoi amici.

D. – Un titolo che ogni teatro del mondo prima o poi allestisce per Natale. Che il pubblico ma sempre, applaudendolo. Quali ne sono secondo lei i motivi?

R. – Innanzitutto, trovo che sia musicalmente accessibile, perché comunque è un balletto semplice da ascoltare, molto melodico e già questo fa sì che vi sia un interesse maggiore. E poi, racconta una storia a cui tutti siamo affezionati perché il Natale – soprattutto in quel periodo – è bella poterlo rivedere e rivivere in un balletto. E questo, secondo me, fa molto. Poi, i colori che ci sono … Secondo me, è un balletto che è giusto che sia ripreso e rappresentato in tutti i Paesi, perché [il Natale] è un momento in cui le persone si riuniscono, è una cena … comunque è sinonimo di riunione e di famiglia. Per questo è importante che ci sia e che sia visto e apprezzato.

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Sito Radio Vaticana

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 353

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Serena Marini.