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Sommario del 30/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Usa-Cuba. Papa: muri cadono sempre, misericordia vince i conflitti

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“Dio vuole costruire ponti, siamo noi che costruiamo muri”. E’ quanto affermato da Papa Francesco all’Udienza generale in Piazza San Pietro, tutta dedicata al viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti. Il Pontefice ha sottolineato che la misericordia di Dio è più forte dei conflitti e delle ideologie ed è tornato a mettere l’accento sull’importanza della famiglia, a pochi giorni dall’inizio del Sinodo dei vescovi. Prima della catechesi in piazza San Pietro, il Papa aveva incontrato in Aula Paolo VI un folto gruppo di malati, accompagnati dalla sezione tedesca dell’Ordine di Malta. Il servizio di Alessandro Gisotti

Un viaggio memorabile all’insegna della misericordia e della costruzione di ponti. All’Udienza generale in Piazza San Pietro, Francesco torna alla visita a Cuba e negli Stati Uniti. Dal Pontefice innanzitutto un grazie ai Presidenti Castro e Obama, al Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e a quanti in terra cubana e statunitense hanno lavorato per la riuscita del viaggio.

A Cuba come missionario della misericordia
“Missionario della Misericordia”, così ha detto Francesco “mi sono presentato a Cuba, una terra ricca di bellezza naturale, di cultura e di fede”.

“La misericordia di Dio è più grande di ogni ferita, di ogni conflitto, di ogni ideologia; e con questo sguardo di misericordia ho potuto abbracciare tutto il popolo cubano, in patria e fuori, al di là di ogni divisione”.

Simbolo di questa unità profonda dell’anima cubana, ha detto, è la “Vergine della Carità del Cobre”, Madre di “speranza, Madre che guida nel cammino di giustizia, pace, libertà e riconciliazione”. Francesco ha poi soggiunto che ha “potuto condividere col popolo cubano la speranza del compiersi della profezia di San Giovanni Paolo II: che Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”.

Non più chiusure, non più sfruttamento della povertà, ma libertà nella dignità. Questa è la strada che fa vibrare il cuore di tanti giovani cubani: non una strada di evasione, di facili guadagni, ma di responsabilità, di servizio al prossimo, di cura della fragilità”.

Usa-Cuba, i muri crollano sempre
“Un cammino – ha soggiunto – che trae forza dalle radici cristiane di quel popolo, che ha tanto sofferto”. Quindi, è tornato al tema a lui caro della costruzione di ponti:

“Da Cuba agli Stati Uniti d’America: è stato un passaggio emblematico, un ponte che grazie a Dio si sta ricostruendo. Dio sempre vuole costruire ponti; siamo noi che costruiamo muri! E i muri crollano, sempre!”

Negli Stati Uniti, ha rammentato il Papa, ho compiuto tre tappe: Washington, New York e Filadelfia. Qui, ha evidenziato di aver incontrato non solo le autorità politiche, ma anche la gente comune, i vescovi, i sacerdoti e i consacrati, i più poveri ed emarginati. Francesco ha così ribadito che “la più grande ricchezza di quel Paese e della sua gente sta nel patrimonio spirituale ed etico”.

Usa fondati su base religiosa e morale
Dal Papa l'incoraggiamento “a portare avanti la costruzione sociale nella fedeltà al suo principio fondamentale, che cioè tutti gli uomini sono creati da Dio uguali e dotati di inalienabili diritti, quali la vita, la libertà e il perseguimento della felicità”. Valori, ha detto, che hanno avuto come testimone padre Junípero Serra, francescano, grande evangelizzatore della California, canonizzato dal Papa a Washington. “San Junípero – ha rimarcato il Papa – mostra la strada della gioia: andare e condividere con gli altri l’amore di Cristo”.

“Questa è la via del cristiano, ma anche di ogni uomo che ha conosciuto l’amore: non tenerlo per sé ma condividerlo con gli altri. Su questa base religiosa e morale sono nati e cresciuti gli Stati Uniti d’America, e su questa base essi possono continuare ad essere terra di libertà e di accoglienza e cooperare ad un mondo più giusto e fraterno”.

All’Onu, un incoraggiamento a lavorare per la pace e il creato
Francesco è quindi tornato con il pensiero alla visita alle Nazione Unite dove ha rinnovato “l’incoraggiamento della Chiesa Cattolica a quella Istituzione e al suo ruolo nella promozione delle sviluppo e della pace, richiamando in particolare la necessità dell’impegno concorde e fattivo per la cura del creato”. Ancora, ha detto, “ho ribadito anche l’appello a fermare e prevenire le violenze contro le minoranze etniche e religiose e contro le popolazioni civili”. “Per la pace e la fraternità – ha detto ancora – abbiamo pregato presso il Memoriale di Ground Zero, insieme con i rappresentanti delle religioni, i parenti di tanti caduti e il popolo di New York”.

La famiglia è la risposta alle sfide del nostro mondo
Francesco ha così dedicato l’ultima parte della catechesi al “culmine del viaggio” ovvero “l’Incontro delle Famiglie a Filadelfia, dove l’orizzonte si è allargato a tutto il mondo, attraverso il ‘prisma’” della famiglia.

“La famiglia, cioè l’alleanza feconda tra l’uomo e la donna, è la risposta alla grande sfida del nostro mondo, che è una sfida duplice: la frammentazione e la massificazione, due estremi che convivono e si sostengono a vicenda, e insieme sostengono il modello economico consumistico. La famiglia è la risposta perché è la cellula di una società che equilibra la dimensione personale e quella comunitaria, e che nello stesso tempo può essere il modello di una gestione sostenibile dei beni e delle risorse del creato.

Ripensare il modello di sviluppo partendo dalla famiglia
La famiglia, ha poi rilevato, è “il soggetto protagonista di un’ecologia integrale, perché è il soggetto sociale primario, che contiene al proprio interno i due principi-base della civiltà umana sulla terra: il principio di comunione e il principio di fecondità”. Un ultimo pensiero di gratitudine dunque alla città e alla Chiesa di Filadelfia. E’ stato “provvidenziale – ha osservato – che il messaggio, anzi, la testimonianza dell’Incontro Mondiale delle Famiglie sia venuta in questo momento dagli Stati Uniti d’America, cioè dal Paese che nel secolo scorso ha raggiunto il massimo sviluppo economico e tecnologico senza rinnegare le sue radici religiose”.

“Ora queste stesse radici chiedono di ripartire dalla famiglia per ripensare e cambiare il modello di sviluppo, per il bene dell’intera famiglia umana”.

Al momento del saluto ai pellegrini, oltre 20 mila, Francesco ha ricordato la memoria di San Girolamo. “Cari giovani – ha detto – la sua passione per la Sacra Scrittura vi faccia innamorare del Libro della Vita; cari ammalati, la sua austerità riempia di significato la vostra sofferenza; cari sposi novelli, il suo vigore spirituale fortifichi la fede nella vostra nuova casa”.

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Papa benedice statua Santa Rita: sua storia fu straordinaria

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“Rileggere la sua straordinaria esperienza umana e spirituale come segno della potenza della misericordia di Dio”. È l’invito che il Papa ha rivolto alla folla alla fine dell’udienza generale riferendosi a Santa Rita da Cascia, della quale Francesco ha benedetto una statua in pietra calcarea del Libano, alta 6 metri e di 30 tonnellate di peso, che tra pochi giorni verrà collocata al bivio tra Cascia e Roccaporena, il paese natale della Santa “dei casi impossibili”. Il vicesindaco di Cascia, Mario De Carolis, spiega nell’intervista di Luca Collodi la particolare storia di devozione che ha portato alla realizzazione di questa monumentale effigie: 

R. – La cosa sconvolgente è soprattutto la devozione del Libano verso la nostra Santa. Attraverso incontri fatti in modo particolare con dei padri maroniti, in modo particolare padre Charbel, un devoto di Santa Rita e assiduo frequentatore della nostra città e del nostro Santuario, è venuta fuori questa idea. Ringrazio in finanziatore dell’opera Sarkis – devoto di santa Rita insieme alla sua famiglia, che tramite la Chiesa maronita ha finanziato l’intera opera – e lo scultore Nayef Alwan che l’ha realizzata.

D. – Lei ha seguito tutto l’evolversi del trasporto in modo particolare perché mi sembra di capire che in questo caso la devozione per Santa Rita da Cascia abbia comportato anche uno sforzo organizzativo non indifferente…

R. – È stato un sforzo importante. Abbiamo avuto, per fortuna, dei bravissimi collaboratori che devo ringraziare, come il nostro Comune, ma in modo particolare dobbiamo ringraziare il vescovo, mons. Boccardo, e  non per ultimo anche i Vigili del fuoco e questo scultore importante, Nayef Alwan, il realizzatore della scultura che questa mattina ha incantato in Piazza San Pietro: ci ha fatto emozionare, devo dire la verità.

D. – Dobbiamo anche dire che il Comune di Cascia ha anche un rapporto di gemellaggio con una città del Libano…

R. – Sì, da alcuni anni c’era questa idea di mettere un monumento all’ingresso di Cascia per ringraziare la Santa e per far vedere quanto anche noi eravamo devoti. Con questa occasione, i maroniti hanno espresso di realizzare la statua. Per il popolo libanese è un segno di pace – ovviamente loro hanno bisogno di questa benedizione da parte della santa – e questo dono oltre a onorarci ci ha permesso di capire quanto sia importante per loro. Durante il gemellaggio che abbiamo fatto a marzo siamo stati in Libano, abbiamo visitato i loro monasteri e in ogni chiesa c’è la statua di Santa Rita. Questo ci ha impressionato.

Una volta collocata la statua nel suo luogo definitivo, l’evento sarà celebrato a Cascia con una Messa presieduta dal cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei maroniti. Tiziana Campisi ha chiesto a madre Natalina Todeschini, badessa del monastero di clausura di Cascia, dove ha vissuto Santa Rita, per quale motivo i devoti della Santa continuano ad aumentare e cosa spinga tanti cristiani a pregarla: 

R. – Santa Rita è una santa del popolo e per il popolo; la sua devozione è così forte in tutto il mondo perché molti la sentono vicina, una di loro, e questo – sappiamo tutti – è dovuto al fatto che Santa Rita, nella sua esistenza di figlia, moglie, madre, vedova e consacrata, ha vissuto in semplicità e concretezza una storia di vita che può essere quella di ciascuno di noi. Ecco perché viene percepita dalle persone come un’amica a cui rivolgersi, con cui confidarsi, che può comprendere il nostro stato d’animo e i nostri bisogni. Un’amica, però, molto vicina a Dio, che intercede presso di Lui per le nostre necessità tutte le volte che ricorriamo a lei. È questa infatti la speranza per tanti devoti che diventa certezza di essere esauditi.

D. – Che testimonianze vi giungono dai diversi continenti?

R. – Sono testimonianze di gratitudine di moltissime persone che hanno sperimentato l’intercessione e la protezione di Santa Rita: donne, uomini, malati, che si sono sentiti consolati e sollevati nel corpo e nello spirito. E tanti ci scrivono e ci telefonano per chiedere preghiere per le situazioni che vivono: conflitti in famiglia, problemi economici, mancanza di lavoro, malattie, ecc. L’uomo oggi ha bisogno di qualcuno che lo ascolti, che gli dia tempo. La frenesia del mondo lascia spesso il fratello solo con il proprio dolore, noi lo sperimentiamo molto, per esempio, nei parlatori, infatti chiamiamo la grata il “ministero della consolazione”. Noi sorelle di Santa Rita siamo qui per donare a tutti una parola di conforto e di speranza, di consiglio, per orientare l’uomo sulla via dei veri valori cristiani: l’amore, la bontà, la pace, la giustizia, la fraternità.

D. – La figura e il messaggio di Santa Rita – sposa, madre e vedova – rivestono una particolare attualità alla vigilia del Sinodo dei Vescovi…

R. – Santa Rita è donna della pace, del perdono. Come sposa, ci dà un grande esempio di tolleranza, di altruismo, di pazienza. Lei ha avuto un marito non facile, ma non si è arresa! Ha detto: “Io voglio portare il mio sposo a vivere una vita serena con me e con i figli che il Signore ci ha dato”. E lei per questo ha pregato tanto. E soprattutto ha avuto sempre un atteggiamento di accoglienza e di amore. Poi vediamo Santa Rita mamma, e le mamme desiderano per i figli il meglio. Purtroppo si è trovata in una situazione in cui, uccidendole il marito, i figli volevano fare violenza. E Santa Rita ha pregato, ha supplicato, ha fatto di tutto perché i figli non si macchiassero di sangue. Lei ha cercato la pace ad ogni costo, andando famiglia per famiglia a mettere pace nei cuori che portavano l’odio. Proprio per queste vicissitudini è riuscita a mettere pace in tutti: quella pace che comunque è sempre dono di Dio, perché noi non potremmo arrivare a questa eroicità. Però lei l’ha accolta la pace che il Signore le ha donato e l’ha offerta e promossa in tutti i modi.

D. – Dunque Santa Rita è un modello per le famiglie di oggi?

R. – Sì. Noi sperimentiamo in parlatorio quanti conflitti ci sono nelle famiglie oggi, e il mondo ha bisogno di pace, la famiglia ha bisogno di pace. E io credo che Santa Rita sia un esempio “luminoso” di questo, perché lei ha pregato con tutte le sue forze, e ci è riuscita, perché ha creduto che Dio poteva realizzare la pace nei cuori. Però ha fatto di tutto, l’ha promossa in tutti i modi questa pace!

D. – A Santa Rita si domandano intercessioni per i casi più disparati e anche più difficili, ma Santa Rita cosa domanda ai credenti di oggi?

R. – Santa Rita, che ha perseguito il dialogo e la riconciliazione attraverso l’amore per Cristo e i fratelli, ci chiede di amare con il cuore di Dio, di farci strumenti di accoglienza e misericordia come è stata tutta la sua vita.

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Nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Lins, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Irineu Danelon, dell Congregazione salesiana. Al suo poto, il Papa ha nominato mons. Francisco Carlos da Silva, trasferendolo dalla diocesi di Ituiutaba. Il presule è nato il 30 settembre 1955 a Tabatinga, nello Stato di São Paulo, diocesi di São Carlos.  Ha compiuto gli studi di Filosofia nel Seminario diocesano di São Carlos e quelli di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Campinas. È stato ordinato sacerdote l’11 dicembre 1982 ed incardinato nella diocesi di São Carlos, nella quale ha svolto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale a Itápolis; Amministratore parrocchiale e poi Parroco a Itajú; Parroco della parrocchia “São Sebastião” a Borborema; Responsabile della Pastorale Giovanile; Coordinatore di Pastorale della Regione Pastorale IV; Coordinatore Diocesano di Pastorale; Vicario Generale; Vicario Episcopale per la Regione Pastorale IV; Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori; Canonico della Cattedrale e Presidente del Capitolo diocesano; Amministratore Diocesano; Direttore dell’Archivio diocesano e membro della Commissione per i Beni Culturali della diocesi. È stato nominato Vescovo di Ituiutaba il 19 settembre 2007 ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 22 novembre successivo.

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Mons. Celli: on line il magistero pontificio sulla comunicazione

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“La comunicazione non è una delle tante attività della Chiesa, ma è l’essenza stessa della sua vita”: lo ha sottolineato stamattina mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, presentando il progetto: “Tutto il Magistero Pontificio sulla comunicazione on line. Dal Baragli ai nostri giorni”. Alla conferenza, nella Sala Stampa vaticana, sono intervenuti anche don Franco Lever e Paolo Sparaci, docenti della Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale all’Università Pontificia Salesiana, e curatori del Progetto Baragli con la collaborazione della Libreria Editrice Vaticana e del sito Vatican.va. Adriana Masotti

Il Progetto Baragli, dal nome del gesuita padre Enrico Baragli, pioniere nello studio degli “strumenti della comunicazione sociale”, vissuto tra il 1908 e il 2001,  è “prezioso”, dice mons. Celli, perché riunisce e mette a disposizione di un pubblico sempre più ampio una lunga tradizione di insegnamento da parte della Chiesa proprio sulla centralità della comunicazione e permette di apprezzare come i linguaggi e i mezzi della Chiesa per esprimere il suo messaggio si siano trasformati nel corso degli anni, nella ricerca del modo migliore per comunicare. Mons. Claudio Maria Celli:

“La Chiesa ha sentito sempre questo problema e ha cercato di rispondervi in una maniera o nell’altra, ma facendo sue poco a poco le tecnologie che aveva a propria disposizione”.

Una ricerca, ha detto mons. Celli, che è stata anche riflessione teologica perché, come sottolineava nel 2011 Papa Benedetto XVI, “Se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione”.

“Io credo che questa sia una delle sfide principali che la Chiesa sta affrontando nel mondo di oggi: il vedere come è capace di stabilire un dialogo rispettoso con la cultura digitale in essere in questo momento e come è capace con il linguaggio degli uomini e delle donne di oggi di annunciare il Vangelo”.

La pubblicazione di tutto il materiale on line, spiega ancora mons. Celli, consentirà a teologi e studiosi di comunicazione di approfondire le loro riflessioni su come la Chiesa oggi deve svolgere l’impegno di condividere il suo messaggio con tutte le persone”. Sarà utile a coloro che si occupano della formazione dei futuri sacerdoti e dei responsabili della pastorale. Inoltre il formato digitale renderà accessibile i contenuti anche ai luoghi che in precedenza avrebbero avuto grosse difficoltà a fruirne.

“Credo che pian piano il nostro progetto si allargherà, vedremo di aprire le porte anche ad un insegnamento che non sia solamente quello della Chiesa cattolica. Un domani il progetto si aprirà a quegli interventi sulla comunicazione, che può avere avuto ad esempio una comunità ortodossa, oppure anche nelle Chiese evangeliche. Riteniamo che sia per noi fondamentale avere una coralità di voci”.

Don Franco Lever, spalleggiato dal dott. Sparaci, è entrato nei dettagli del Progetto Baragli: il sito www.chiesaecomunicazione.com, ha detto, metterà a disposizione degli utenti brani scelti per ora da 1105 documenti in traduzione multilingue, dal primo al Ventunesimo Secolo; un “navigatore” che guida ad esplorarne le fonti disponibili in Rete; una piattaforma per la lettura e per lo studio personale; un ambiente aperto alla collaborazione. Don Lever:

“Che cosa presentiamo? Innanzitutto presentiamo la versione Beta, ossia noi riteniamo di aver fatto una macchina che funziona, però vorremmo metterla su strada e farci dire se e dove sono i difetti. Siamo interessatissimi a vedere quali sono gli ingranaggi che ancora non funzionano, là dove ci sono delle cose da completare e là dove ci sono degli errori. Ma questi sono degli autentici regali da parte dell’audience”

Si tratta, dunque, di un progetto work in progress, precisa don Lever in almeno 3 direzioni di lavoro: far crescere l’archivio: includendo anche quelli delle Conferenze episcopali i contributi dei singoli vescovi e i documenti delle altre Chiese. Costruire una rete di collaboratori: indispensabile per offrire la traduzione dei documenti e per raggiungere nuove fonti, infine offrire nuovi strumenti e metodologie attraverso la piattaforma di pubblicazione Ipernote, che sperimenta e propone nuove tecnologie a vantaggio della lettura, dello studio e della condivisione nella comunità dei lettori, come ha spiegato il dott. Paolo Sparaci:

 “Gli strumenti per il navigatore quindi sono: gli strumenti per la ricerca, applicati già nella versione Beta di questo sito web; in parte gli strumenti della lettura; mancano invece ancora, ma saranno pronti per il 2016, gli strumenti per lo studio. E quindi gli strumenti per l’annotazione multimediale di ogni capoverso e ogni stringa del documento; la possibilità di annotarlo; di preparare dei propri elaborati all’interno della stessa piattaforma con queste proprie annotazioni; e la possibilità di creare delle comunità di lettori che scambino e condividano queste ricerche, liste di documenti, elaborati e annotazioni”.

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Mons. Gallagher: "etica globale" contro minaccia nucleare

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Settant’anni fa, quando la morte arrivò dal cielo e due città giapponesi vennero vaporizzate, l’umanità toccò con mano e con orrore quale potenza distruttiva poteva essere concentrata in un atomo. Settant’anni dopo, con il realismo che un immutato scenario costringe ad avere, Francesco ha scritto nella “Laudato si’”: “Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce lo utilizzerà bene, soprattutto considerando il modo in cui se ne sta servendo”.

La citazione dell’ultima Enciclica del Papa è il perno attorno al quale mons. Richard Gallagher fa ruotare il suo intervento sugli armamenti nucleari ai lavori della nona Conferenza sulla Facilitazione dell’entrata in vigore del Trattato che li mette al bando. Ciò che serve nel mondo globalizzato “per ridurre la minaccia nucleare” è, afferma, “un’etica globale” che dia coraggio ai popoli a “operare insieme per un mondo più sicuro”. Ma il basamento, per così dire, di questa etica deve essere costituito da una “consapevolezza” e una “determinazione” in grado di “sostituire alla logica della paura e della sfiducia, l’etica della responsabilità, e in tal modo favorire un clima di fiducia che valorizzi il dialogo multilaterale mediante una consistente e responsabile cooperazione tra tutti i membri della comunità internazionale”.

In sostanza, per permettere di entrare in vigore a un Trattato così importante, i Paesi che ancora non lo hanno ratificato – osserva mons. Ghallagher – dimostrerebbero “una leadership coraggiosa e un alto senso della responsabilità politica al servizio, una volta di più, del bene comune e della promozione di una genuina cultura di pace”.

“È nostro dovere verso l’umanità nel suo insieme, e specialmente verso i poveri e le future generazioni – conclude il segretario per i Rapporti con gli Stati – usare del potere senza precedenti di cui la scienza e la tecnologia dispone al servizio del bene comune e per promuovere una genuina cultura della pace”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, “Da Cuba agli Stati Uniti per ricostruire un ponte”;  all’udienza generale il Papa ricorda il passaggio emblematico del viaggio in America

Una grande coalizione contro l’Is; Obama rilancia la proposta per una soluzione della crisi siriana. Sotto, la Nato a Kunduz per strappare ai talebani la città settentrionale afghana

A fondo pagina, “Catene spezzate”, l’annuncio della prossima uscita del numero di ottobre di “Donne chiesa mondo”

Nelle pagine della cultura, “In marcia per il futuro”; una nuova casa religiosa nel distretto indiano di Kandhamal, di Elena Rastello e "Giovinezza di un classico", “Rebel Without a Cause”, il capolavoro di Nicholas Rey a sessant’anni dall’uscita nelle sale nella lettura di Emilio Ranzato

A pagina 5, “Senza guardare l’orologio”, “La comunicazione perduta” di Antonella Lumini

e "La danza di un abbraccio”: inaugurata a Loreto la statua della Visitazione, di Silvia Guidi

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Oggi in Primo Piano



Siria: Parlamento russo approva raid. Mosca: è richiesta di Assad

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Il Parlamento russo ha approvato l'uso delle proprie forze armate in Siria come domandato dal Presidente Vladimir Putin, su specifica richiesta del Presidente siriano Bashar al Assad. Mosca ha precisato che il provvedimento riguarda solo raid aerei. L'ultima volta che il capo del Cremlino aveva chiesto al Senato il permesso di inviare truppe all'estero era stato nel marzo del 2014, nel pieno della crisi ucraina, poco prima dell'annessione della Crimea. Sul terreno, comunque, velivoli russi pilotati da militari siriani stanno già effettuando incursioni contro obiettivi identificati del sedicente Stato Islamico: le operazioni sono coordinate dal centro informativo a Baghdad a cui partecipano Russia, Siria, Iraq e Iran. Sulla decisione di Mosca, Giada Aquilino ha intervistato Dario Fabbri, analista del periodico di geopolitica ‘Limes’: 

R. – Di fatto era un “sì” scontato. Il fatto stesso che la Camera Alta del Parlamento russo abbia votato all’unanimità dice come il voto fosse considerato assolutamente previsto. Rappresenta l’autorizzazione per Putin, peraltro successiva al fatto compiuto, di impiegare i propri mezzi in Siria.

D. – L’uso delle truppe russe era stato chiesto appunto da Putin su richiesta del siriano Assad. Alla luce dell’incontro Putin-Obama, le posizioni di Mosca e Washington però non cambiano…

R. – Anche gli Stati Uniti sono entrati da tempo – ormai da diversi mesi – nell’ordine di idee che al Assad debba rimanere almeno in una fase iniziale di transizione politica. La questione è come arrivare a tale transizione politica e chi mettere poi al posto di al Assad, anche perché molte fazioni che si combattono sul terreno in questo momento non hanno alcuna voglia di trattare. Sarebbe troppo semplice se bastasse mettersi d’accordo tra russi ed americani per sostituire qualcuno a Damasco. La situazione è molto più complicata: al di là del sedicente Stato Islamico ci sono diversi ribelli, anche semplicemente bande criminali, che si affrontano sul terreno. Quindi la situazione non è matura non solo per un accordo tra russi ed americani, ma neppure per una sua soluzione completa.

D. – In questo quadro, i raid aerei russi in Siria che contributo saranno per la coalizione?

R. – Non credo che la Russia abbia – anzi, sicuramente non ha – come primo obiettivo quello di combattere l’Is, anche perché tale obiettivo non ce l’ha nessuno: nessuna potenza straniera, neanche gli americani. L’obiettivo principale dei russi è semplicemente quello di puntellare lo Stato alawita che si deve comunque realizzare sul terreno, ovvero mantenere il clan di al Assad e un’intera fascia della popolazione siriana di tendenze sciite, che probabilmente sarebbe massacrata dai sunniti se arrivassero verso la costa. L’obiettivo dei russi è quindi quello di mantenere questa parte di territorio intatta e corroborare il proprio potere negoziale, un giorno in cui si sedessero al tavolo delle trattative principalmente con gli americani, ma non soltanto. I russi, ricordiamolo, hanno come vero punto dirimente della loro strategia l’Europa, l’Ucraina. Rendendosi indispensabile in una crisi meridionale, il Presidente russo spera di ottenere concessioni sull’Ucraina, che è il dossier che gli interessa più da vicino. Non a caso, nell’incontro di pochi giorni fa tra Obama e Putin alle Nazioni Unite, si è parlato per metà del tempo di Siria e per l’altra metà di Ucraina. Ed è proprio questo punto che ancora oggi gli americani non hanno intenzione di fare alcuna concessione ai russi, perché considerano la congiuntura europea legata alla crisi ucraina favorevole ai loro interessi.

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Centrafrica. Onlus: servono sicurezza, cibo, mobilità

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La Repubblica Centrafricana ancora nel terrore e nella violenza. Il presidente, Samba Panza, di ritorno da New York si è fermata in Camerun in attesa di poter rientrare nel Paese, dove oggi esercito e forze Onu della Minusca stanno sgombrando aeroporto e strade, dalle barricate erette dai diversi schieramenti dell’opposizione. Nella notte sono diminuiti i saccheggi e questa mattina qualche stazione di servizio ha provato a riaprire dopo giorni di paralisi. Ma la gente è terrorizzata: "Siamo tutti bloccati e non riusciamo ad aiutare chi ha più bisogno" dice al microfono di Gabriella Ceraso, Fulgence Koinè, responsabile formazione e rapporti istituzionali della Onlus “Amici per il Centrafrica”, raggiunto telefonicamente a Banguì: 

R.- À partir de ce qu’il est arrivé …
A partire da quanto accaduto sabato ci sono state una serie di rivendicazioni politiche: si chiedono le dimissioni del presidente, la partenza delle Ong umanitarie internazionali, della Minusca (Missione ONU ndr), si chiede di riarmare l’esercito centrafricano. E il risultato di tutto questo è una situazione molto difficile. Tutto è chiuso, le scuole i luoghi pubblici: in pochi escono da casa e solo per cercare cibo. Tante persone sono state uccise e derubate e ci sono circa 30 mila sfollati nei campi profughi che noi non possiamo raggiungere perché ci sono barricate ovunque. Solo la forza Onu, la Minusca può fare qualcosa per loro.

D.- Quali sono ad oggi i bisogni principali della popolazione?

R.- Alors, dans ce moment les trois grand besoins sont …
In questo momento i tre grandi bisogni sono: in primo luogo la sicurezza, la gente ha bisogno di protezione, ci sono barricate ovunque e spari sporadici; poi c’è il grande bisogno alimentare ormai radicalizzato, perché non si sa come procurarsi il cibo, visto che è tutto chiuso. E il terzo bisogno è legato alla mobilità: la paralisi è totale, attività professionali, servizi, scuole, e la gente non sa cosa fare.

D.- E’ vero che ci sono molti bambini coinvolti o vittime delle violenze ? E per loro cosa riuscite a fare  nel vostro centro Joie de vivre?

R.- Oui, beaucoup d’enfants ont été impliqués …
Senza dubbio molti bambini sono coinvolti. Tra le persone con cui lavoro io qui almeno tre famiglie hanno subito danni materiali, saccheggi e una è bruciata viva nella sua casa data alle fiamme. Il problema è che noi possiamo fare poco ora, perché i bambini non sono attualmente nel nostro Centro, ma con le loro famiglie o chiusi in casa

D.-Vuole lanciare un appello per la situazione che si è creata?

R.- Oui tout à fait! L’ appel que je voudrais lancer …
Assolutamente! L’appello che posso lanciare per Bangui è di sollecitare le forze che possono restituire sicurezza alla popolazione. Questo è il mio grido d’allarme: finchè non c’è sicurezza noi non riusciamo ad aiutare le persone che ne hanno bisogno.

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Curare dal conflitto: bimbi dalla Siria a Roma grazie all'Unrwa

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Sono a Roma, e in attesa di cure e ricoveri, i primi piccoli rifugiati palestinesi provenienti da Damasco e dai campi profughi siriani. Affette da gravi patologie, le cinque bambine verranno curate all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e al Policlinico Gemelli grazie all’aiuto di Unrwa Italia e dell’Associazione Kim onlus, con il contributo del Ministero della Salute, di quello della Difesa e della Farnesina. Servizio di Francesca Sabatinelli

C’è un modo per rompere il ghiaccio: ‘darsi il cinque’, o mimare con le mani un cuore, e subito dopo scoppiano le risate. Ruba, nove anni, è irrefrenabile, ti guarda con occhietti vispi e allegri, è sulla sedia a rotelle perché affetta da spina bifida, ma è come se volasse, da pochi giorni a Roma ha già imparato a contare in italiano, fino a dieci, e, di sicuro, di qui ai prossimi tre mesi avrà imparato molto di più. Con lei ci sono Safaa e Ilaf, di 11 e 10 anni, soffrono di valvulopatia, una malattia delle valvole cardiache e Seba, la più piccola, cinque anni, malata di tumore. La più grande, Raghad, 13 anni è, con il suo corpo, la testimone diretta degli orrori della guerra: ha perso le gambe quando una bomba ha colpito la sua casa, le schegge le hanno lesionato in modo irreparabile anche la laringe, e parla a fatica. Sono loro, queste cinque piccole, il primo gruppo dei 13 minori che l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi è riuscita, e riuscirà, a far uscire dalla Siria in fiamme per le cure  in Italia, al Bambin Gesù e al Policlinico Gemelli, con un permesso di tre mesi, estendibile in caso di necessità. Le bimbe, accompagnate da uno dei genitori, per una di loro l’unico, ospitate dall’Associazione Kim onlus, arrivano dai campi rifugiati di Saida Zenab, o di Yarmouk, alle porte di Damasco, dove le condizioni di vita sono disumane, al limite della sopravvivenza, senza elettricità, né acqua, né cibo, ne cure mediche. Molti di loro sono fuggiti per via dei bombardamenti continui e ora sono sfollati a Damasco. E’ Omar a parlare:

(parole in arabo)
“Vengo dalla Siria sono qui per far curare mia figlia, la nostra vita nel campo profughi è difficile, la maggior parte di noi ha perso la casa, chi ha un po’ di soldi riesce ad affittarne un’altra, ma la vita è difficile. Nessuno ci sta aiutando, c’è l’Unrwa che fa qualcosa per noi. Mi ricordo, un giorno, è stato davvero brutto, ero a lavoro, c’è stato un bombardamento, siamo scappati dal campo. E abbiamo visto morire una nostra vicina e i suoi figli, mia figlia è rimasta scioccata”.

Ruba, Safaa, Ilaf, Seba, Raghad: sono le piccole vittime di una crudele e devastante guerra che però non le ferma dal voler ritornare a casa “perché noi – dicono – non abbiamo paura”:

(parole in arabo)
“Sto bene qui, ma mi piace il mio Paese
"Sto bene qui, ma mi mancano i miei fratelli”

“Non ho paura di niente, siamo abituati, non ho paura”

Gli occhi di Mouna non nascondono la sofferenza, tantomeno la  preoccupazione per l’operazione che sua figlia dovrà sostenere, ma il suo sorriso è pieno di gratitudine:

(parole in arabo)
“Da 5 anni siamo fuori casa, mia figlia è malata di cuore, nessun medico l’ha seguita. Deve fare un importante intervento chirurgico, è il secondo. Mancano i medici specialisti. Voglio ringraziare tutti qui in Italia per l’aiuto che ci stanno dando … davvero”

Mancano medici, mancano farmaci, gli ospedali non possono ricoverare e i malati, bambini e adulti, dopo le prime cure vengono rimandati a casa, anche in caso di gravissime patologie o ferite da guerra. Marina Calvino, segretario generale di Unrwa Italia:

R. – Il sistema sanitario in Siria al momento è al collasso, al quinto anno di guerra, quindi questi bambini non avevano l’opportunità di avere cure in gran parte salvavita. Ci siamo impegnati a cercare delle modalità in Italia per poter venire incontro a queste esigenze di cure, e abbiamo trovato porte aperte nelle nostre istituzioni, in particolare nel Ministero della salute, che sostiene le cure dei minori che vengono da contesti di guerra. E così, da lì abbiamo iniziato con i nostri amici dell’Associazione Kim, che è un’associazione meravigliosa che dedica il suo lavoro quotidiano proprio ad assistere i bambini e i loro genitori nel percorso delle cure, garantendo loro una casa accogliente dove sostare, dove stare, dove vivere in attesa delle operazioni, del post-operatorio o delle cure riabilitative dopo questi interventi importanti. Insieme abbiamo ricevuto il sostegno sia del ministero della Salute sia di quello della Difesa, perché abbiamo chiesto di poter trasportare questi bambini in Italia attraverso voli aerei regolari che vengono utilizzati dall’esercito per le missioni umanitarie in ambito Onu in Libano (Unifil ndr). E poi la Farnesina, e soprattutto l’ambasciata a Beirut, sono state eccezionali nell’aiutarci a gestire la questione dei visti.

D. – In quanto tempo siete riusciti a mettere insieme questa operazione di assistenza, di supporto?

R. -  E’ veramente stato un parto! Lavorare questi nove mesi nella speranza di poter realizzare quanto prima questa operazione. Sapevamo che i genitori erano impazienti, che i bambini scalpitavano per poter avere questa opportunità, ed è stata una corsa contro il tempo. Appena arrivati qua, dopo il viaggio da Beirut, ci siamo resi conto che già non vedevamo l’ora di pensare agli altri otto che aspettano il nostro supporto. Sono storie incredibili, quelle che stanno alle spalle di questi genitori e di questi bambini, che stiamo scoprendo giorno dopo giorno, e ogni volta è un brivido ed è un’emozione, quella di conoscerli così da vicino. Il contesto di guerra ci spinge ad essere ancora più efficaci, ancora più incisivi. Sapere che 460 mila rifugiati palestinesi in Siria sono intrappolati in una guerra che non è la loro, sfollati, rifugiati due volte visto che lo sono già di status, dalla nascita, ci scatena una grande emozione questo essere riusciti a fare questo piccolo gesto. Ci rende una gioia incredibile vedere questi bambini che sono straordinari, allegri, dinamici, hanno già imparato – come avrete sentito – in una settimana a contare in italiano, bambini intelligentissimi, ci rende veramente fieri vedere come la nostra agenzia faccia un lavoro quotidiano eccellente e protegge le persone in contesti così difficili.

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"Summer School" di Libera sui beni confiscati alle mafie

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La “Summer School “di Libera Campania "GIÀ - Giovani Imprenditoria ed Innovazione" si terrà fino al 2 ottobre prossimo in luogo simbolo della lotta alla camorra: il Palazzo Mediceo di Ottaviano, in provincia di Napoli. Coinvolti 20 giovani, tutti tra i 18 e i 35 anni, che affronteranno il tema su come riutilizzare i beni confiscati alla mafia. Al microfono di Maria Cristina Montagnaro, il coordinatore regionale di Libera Campania, Fabio Giuliani

R. – La scuola è rivolta a tutti i giovani dai 18 ai 35 anni, residenti nella Regione Campania. Siamo alla terza edizione, che è presente anche in altre regioni di Italia. Proviamo a immaginare un futuro diverso e modelli di sviluppo alternativa a partire dalla tematica dei beni confiscati.

D. – Qual è sarà il luogo simbolo?

R. – In realtà, è un luogo anche molto emblematico: si tratta del Palazzo Mediceo a Ottaviano, che è stata la residenza di Raffaele Cutolo, benché non vi abbia mai abitato… E’ un palazzo mediceo, quindi un castello della fine del ‘400. Sono tre anni che siamo qui, con l’aiuto del gestore di quel bene confiscato, che è il Parco Nazionale del Vesuvio, e con il supporto dell’amministrazione comunale di Ottaviano. Ha ovviamente anche un valore simbolico molto, molto forte: lei si immagini che lì si entrava da sudditi, noi proviamo invece a far entrare tutti da cittadini…

D. – Quali materie saranno oggetto di scuola particolare?

R. – Il titolo è “I beni confiscati per il bene sociale” e l’idea è quella di immaginarsi nuovi sistemi di welfare a partire da questo straordinario patrimonio che sono, appunto, i beni confiscati alla criminalità organizzata. Immaginare quindi di costruire modelli alternativi di sviluppo, con un occhio di riguardo a tutte quelle persone che fanno un po’ più di fatica, tenendo anche presente che molto spesso sono poi state le vittime di secondo di livello della presenza mafiosa sul territorio.

D. – In che modo sono stati selezionati questi giovani?

R. – Li abbiamo selezionati in base ai loro curricola e ad una lettera di motivazione, perché le motivazioni fanno la differenza nell’intraprendere determinati percorsi... Ci teniamo molto a non generare false e inutili aspettative: non è un modo per trovare un posto di lavoro, ma per provare a costruire insieme un futuro diverso, che possa passare anche dal lavoro. Abbiamo anche chiesto una idea progettuale, perché da questi ragazzi vogliamo anche imparare e non provare soltanto a insegnare o a dare loro qualche strumento.

D. – Quale sono le caratteristiche principali che deve avere il progetto vincente?

R. – Sicuramente, restituzione alla collettività tale da poter dialogare con il territorio: il territorio deve comprendere quali sono le sue lacune e cosa vorrebbe farci con il bene confiscato. Un progetto che sia però assolutamente autosostenibile, perché non abbiamo intenzione di chiedere l’elemosina a nessuno. Un progetto che sia impatto occupazionale, perché pensando attraverso i beni confiscati al lavoro riusciamo a ribaltare anche un altro dogma: molto spesso nei nostri territori, purtroppo, ci vengono a dire che dove c’è la camorra c’è lavoro e dove non c’è più la camorra non c’è più lavoro… La legalità vince, la legalità conviene, la legalità offre anche posti di lavoro!

D. – Da quali università provengono?

R. – Le più disparate. Ci sono laureati in fisica, diplomati e periti elettrotecnici…

D. – Qual è il messaggio che volete rivolgere?

R. – Che questo patrimonio sottratto ai mafiosi è nostro. Ce lo dobbiamo riprendere con forza e da lì ripartire per una nuova idea di economica e per una nuova idea anche di welfare.

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"I ragazzi di don Zeno" in un musical a Roma

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È in arrivo a Roma “I ragazzi di don Zeno”, il musical che racconta la storia di don Zeno Saltini e della comunità da lui creata, Nomadelfia. L’evento è stato presentato oggi in conferenza stampa nella Sala Marconi della Radio Vaticana. Il servizio è di Maria Caterina Bombarda

In programma a Roma dal 17 al 19 ottobre, presso l’Auditorium di via della Conciliazione, lo spettacolo “I ragazzi di don Zeno”, che sarà in scena per raccontare al grande pubblico la vita di don Zeno Saltini e della comunità da lui creata in provincia di Grosseto, Nomadelfia, termine che dal greco significa “legge della fraternità”. Scritta da Franca De Angelis e prodotta dalla stessa comunità, l’opera è il frutto di due anni di lavoro con gli stessi ragazzi che vi sono ospitati. La regista, Anna Cianca:

“Il 99 per cento del cast è costituito da giovani: da bambini dai 10 anni in su e da giovani. Alcuni sono nomadelfi e altri invece sono appunto ospiti. Alcuni di loro, anzi la maggior parte di loro, non erano neanche mai entrati in un teatro e quindi è stata veramente un’esperienza fantastica, perché nonostante questo io mi sono trovata di fronte a delle persone non solo piene di entusiasmo, ma anche – posso usare questa parola? – estremamente professionali. Innanzitutto, i ragazzi sono abituati fin da piccoli ad esibirsi di fronte ad un pubblico. Io non so se tu sai che don Zeno, credo nel 1965 - quindi parliamo di 50 anni fa - si è inventato queste serate. Le serate sono degli spettacoli di danza popolare, moderna, jazz, che i nomadelfi preparano per l’estate e portano in giro per circa un mese e mezzo o due per tutta l’Italia, ed è un mezzo, uno strumento, per far conoscere la loro esperienza di vita”.

Sul palcoscenico 87 attori, che attraverso prosa, canti e danze raccontano la loro storia in prima persona sul palco. Samuel Andrenucci della Comunità di Nomadelfia:

“Senz’altro, dal punto di vista umano è stata una crescita come tutte le esperienze nuove che possono succedere nella vita di una persona. Il teatro infatti ti chiede molto: di metterti in gioco; la conoscenza di te stesso; il capire quali siano i tuoi limiti e cosa puoi dare di più, sotto l’aspetto teatrale, di recitazione. Dal punto di vista dell’esperienza personale e di vita è molto arricchente conoscere più da vicino quella che è stata la storia di Nomadelfia e poi cercare di rappresentarla per trasmettere agli altri ciò che è la tua vita di tutti i giorni. E’ interessante come l’ha definita il vescovo di Grosseto, dopo aver visto il nostro musical, – “un memoriale” – perché effettivamente racconta la storia di don Zeno di Nomadelfia dagli inizi ad oggi”.

Anche il periodo e il luogo della rappresentazione teatrale non sono casuali. Essere presenti a Roma, durante il Sinodo sulla Famiglia, significa offrire la testimonianza di una piccola realtà di famiglie che, unite insieme, hanno saputo riaccogliere attraverso l’affido e l’adozione tanti figli abbandonati. Il successore di don Zeno, don Ferdinando Neri:

“Per noi è un’opportunità di far conoscere che il cambiamento di una civiltà da non cristiana a cristiana è legato molto alle relazioni umane e che quindi le relazioni umane si coltivano all’interno della famiglia. Ma essendo oggi la famiglia molto ridotta numericamente, ed anche in crisi per altre ragioni, Nomadelfia propone una unione di famiglie che noi chiamiamo ‘gruppo familiare’ che funziona dal 1954, quando don Zeno vide che la famiglia isolata diventava facilmente un fortino, che era di difesa e tante volte di aggressione nei confronti di altre famiglie. Quindi per vivere la fraternità ci vuole un luogo dove allenarsi e l’allenamento appunto sono i gruppi famigliari, che noi viviamo tutt’oggi”.

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Presentata la Festa del Cinema di Roma, pochi film ma di qualità

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Presentata ieri  la 10.ma Festa del Cinema di Roma in programma al Parco della Musica della capitale, dal 16 al 24 ottobre. Numero contenuto di film e spazi ridotti, una scelta molto ponderata del neodirettore Antonio Monda, rappresentativa anche delle novità della manifestazione. Il servizio di Luca Pellegrini: 

In tre parole, tutte accentate sull'ultima vocale, il neo direttore artistico, Antonio Monda, ha trovato lo spirito col quale presentare la recuperata Festa del Cinema di Roma: discontinuità, varietà, qualità. Decidendo, come dichiara ai nostri microfoni, significative abolizioni, così da premiare i film e togliere l'orpello:

“Innanzitutto, questa abolizione dei premi – tranne il premio del pubblico – le giurie, le madrine, le serate di apertura e di chiusura, ma anche le tre fasce che hanno uguale importanza. Retrospettive, incontri, e film: 37 film”.

Non ha dunque avuto paura, Monda, di mettere in programma solo 37 film provenienti da 24 Paesi, tutti di genere diversissimo. Ubbidendo, come lui ha confessato, alla sua coscienza. Il requisito, quello della bellezza.

R. – Ci siamo dati una dittatura: i film devono essere belli o almeno devono apparire a noi della migliore qualità possibile. Abbiamo detto dei “no” a degli amici, perché ci sembrava che i loro film non fossero sufficientemente belli.

D. – E anche varietà…

R. – Varietà, perché abbiamo generi diversissimi: dalla commedia alla fantascienza; dal cartone animato al melodramma. Ma anche Paesi come Hong Kong, la Serbia, la Croazia, l’Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti, la Francia, l’Italia… da ogni parte del mondo”.

Ci sono, inoltre, tre retrospettive: una dedicata a Antonio Pietrangeli, maestro troppo oscurato; una a Pablo Larraín, che di film ne ha fatti solo cinque, tutti capolavori; infine, una grande festa anche per lo Studio Pixar, con le sue meravigliose storie animate. Gli incontri: ogni sera uno diverso, da Jude Law a Wes Anderson, da Sorrentino a Joel Coen, ma anche chi il cinema lo avvicina per altre sponde, come Renzo Piano con l'architetture e Riccardo Muti con la musica. Quattro gli italiani: il melodramma con Alaska di Claudio Cupellini, la commedia con Dobbiamo parlare di Sergio Rubini e il pulp con "Lo chiamavano Jeeg Robot" di Gabriele Mainetti, più il documentario di Gianni Amelio Registro di classe, viaggio di un secolo nella scuola dell'obbligo italiana. Ci sono poi un rimpianto e una soddisfazione:

“Il grande rammarico è Spielberg: purtroppo il film "Il ponte delle spie" non era disponibile. Ci sono stato vicino e l’ho molto perseguitato. La più grande soddisfazione: The work di Zemeckis”

Ossia l'atteso film di Robert Zemeckis che narra della storia vera di Phlippe Petit, funambolo francese che il 7 agosto del 1974 camminò sul vuoto percorrendo la distanza tra le due Torri gemelle di New York. Un simbolo, una metafora. Infine, la citazione preferita di Monda, da  di Fellini: "E' una festa la vita, viviamola insieme".

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi dell'Africa sulle sfide alla famiglia

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La famiglia in Africa è minacciata dalla povertà, dalle guerre, dalla crisi ecologica e dalla diffusione di ideologie contrarie ai valori familiari. Lo afferma il Contributo alla 14esima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, elaborato dal Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar. Il documento, ripreso dall’agenzia Fides, si intitola “L’avvenire della famiglia, nostra missione”.

In Africa l'ineguaglianza economica grava sulle famiglie
“Conosciamo numerosi casi di famiglie ferite, separate, spezzate e di divorziati. Questo fenomeno è aggravato dai problemi economici e politici legati sia alle nostre proprie responsabilità sia agli effetti nefasti d’un sistema economico mondiale di arricchimento degli uni e di impoverimento di altri” affermano i vescovi africani. “Peggio ancora, alcune, più numerose, sono abbandonate ad una precarietà economica infraumana generalizzata. E si trova ancora, in Africa, una ineguaglianza economica molto grave: una maggioranza di persone e di famiglie vive in una povertà estrema mentre una minoranza approfitta delle ricchezze e dei beni che devono servire al benessere di tutti. Questa ineguaglianza è rafforzata da quella che esiste tra i Paesi ricchi e i Paesi detti in via di sviluppo”.

Lo sviluppo urbano crea gravi problemi ecologici
Il forte, e spesso caotico, sviluppo urbano registratosi in Africa negli ultimi decenni comporta problemi ecologici che hanno un impatto sulla vita delle famiglie, notano i vescovi: “Purtroppo la terra è aggredita ogni giorno da una mancanza di manutenzione, in particolare per la promiscuità delle popolazioni che vi sono installate senza rispetto delle norme d’igiene urbana, per l’esistenza di villaggi e di città dove le famiglie marciscono in quartieri insalubri, privi di acqua potabile e di corrente elettrica”.

L’Africa è veramente minacciata sul piano ecologico
“In Africa, la sfida ecologica riguarda anche il supersfruttamento avido della terra che conduce alla sua distruzione. Incontriamo uomini e donne di affari, governi e gruppi economici che, con il pretesto di ridurre la povertà e di lavorare per lo sviluppo delle popolazioni povere, si impegnano in programmi di sfruttamento, defraudano i contadini delle loro terre, distruggono le foreste, inquinano l’ambiente e provocano una desertificazione senza precedenti” denunciano ancora i vescovi. Le guerre “provocano non soltanto una vera ecatombe, ma anche una catastrofe ecologica. L’Africa è veramente minacciata sul piano ecologico”.

La famiglia è la culla della vita
Di fronte a queste e ad altre sfide, i vescovi africani concludono con il ribadire che “la famiglia è la culla della vita. La vita è dono di Dio e speranza in un futuro migliore. La nostra convinzione e la nostra fede sono che la famiglia non può, per conseguenza, essere sommersa dalle crisi e dalle situazioni difficili che essa attraversa. Nell’annuncio del Vangelo della vita, noi siamo chiamati ad essere testimoni di questa speranza”. (L.M.)

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Chiesa Burkina Faso: golpe fallito grazie a popolo e esercito regolare

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L’esercito regolare del Burkina Faso ha preso il controllo della caserma dove si sono ritirati i golpisti del Régiment de Sécurité Présidentielle (Rsp), procedendo al loro disarmo. Questo dovrebbe essere l’ultimo atto del fallito golpe avviato il 16 settembre poi risolto in via pacifica grazie alla mediazione di Mogho Naaba, il re dei Mossi, l’etnia principale del Paese, e della Comunità Economia degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao).

Il ruolo della popolazione e del resto dell’esercito rimasto fedele alle istituzioni 
Il golpe è fallito perché “nessuno in Burkina ha accettato questo colpo di forza, nemmeno il resto dell’esercito” ha affermato mons. Paul Ouédraogo, arcivescovo di Bobo-Dioulasso e presidente della Conferenza episcopale di Burkina Faso e Niger, in un’intervista al quotidiano “L’Observateur Paalga”. “L’Rsp si è isolato” spiega mons. Ouédraogo, ricordando che dopo la rivolta popolare del 30/31 ottobre che ha cacciato l’ex Presidente Blaise Compaoré, il capo di Stato Maggiore ha sempre assicurato che l’esercito non intende più interferire nella vita politica, ma solo garantire la sicurezza della popolazione e l’integrità del territorio nazionale. Il golpe è così fallito per la reazione della popolazione e del resto dell’esercito rimasto fedele alle istituzioni legittime.

Rapporto della Chiesa sui pericoli di un'elite militare presidenziale
Mons. Ouédraogo è anche presidente della Commissione per la riconciliazione nazionale. Pochi giorni prima della presa del palazzo presidenziale da parte dei golpisti, l’arcivescovo aveva consegnato al governo il suo rapporto, che tra l’altro raccomanda una riforma dell’esercito e le attribuzioni della sicurezza presidenziale ad un reparto misto polizia-gendarmeria e non più ad un’unità d’elite militare, come l’Rsp. Secondo mons. Ouédraogo non è stato questo l’elemento che ha scatenato il golpe, che a suo avviso era stato preparato da tempo.

Il contributo della comunità musulmana, protestante e cattolica
​L’arcivescovo sottolinea infine il ruolo positivo avuto nella risoluzione della crisi dalle “comunità musulmana, protestante e cattolica, che hanno l’abitudine di concertarsi, agendo come forza morale insieme ai capi tradizionali riuniti attorno a Mogho Naaba”. (L.M.)

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Sinodo: reliquie S. Teresa Lisieux e dei genitori a S. Maria Maggiore

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Dal 4 al 25 ottobre 2015, durante tutta la durata dell’imminente Sinodo ordinario dei Vescovi dedicato alla famiglia, le Urne contenenti le reliquie di Santa Teresa del Gesù Bambino e dei suoi Beati Genitori saranno esposte alla venerazione dei fedeli nella Cappella della Vergine Salus Populi Romani nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore.

I genitori della Santa saranno canonizzati il 18 ottobre
I coniugi Louis Martin e Zélie Guérin saranno canonizzati il 18 ottobre da Papa Francesco in Piazza San Pietro. Si tratta dei primi sposi, non martiri, che nella storia della Chiesa giungono congiuntamente agli onori degli altari, ed è rilevante come proprio nel corso del Sinodo sulla famiglia il Santo Padre abbia deciso di canonizzarli. “Louis e Zélie hanno dimostrato con la loro vita che l’amore coniugale è uno strumento di santità, è un camino verso la santità compiuto insieme da due persone – ha dichiarato in proposito il Vice Postulatore della Causa di Canonizzazione dei coniugi Martin, il padre carmelitano Antonio Sangalli -. Questo, secondo me, è oggi l’elemento più importante per valutare la famiglia. C’è un bisogno enorme di una spiritualità semplice realizzata nella vita quotidiana”.

Le reliquie potranno essere venerate con l'apertura della basilica
Anche l’esposizione delle reliquie in Santa Maria Maggiore assume un significato particolare, dato che è proprio davanti alla Vergine Salus Populi Romani – da lui veneratissima – che il Papa ha chiesto di pregare per i frutti dei lavori sinodali e per tutte le famiglie del mondo. Le reliquie potranno essere venerate durante il normale orario di apertura della Basilica: tutti i giorni, dalle 7 alle 19. (T.C.)

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Sacerdote accoltellato a morte nelle Filippine centrali

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Il sacerdote cattolico Antonio Magalso, 44 anni, è stato accoltellato a morte ieri mattina, nella città di Tanjay, sull’isola di Negros, nelle Filippine centrali. Lo conferma all’agenzia Fides don Nathaniel B. Gomez, preside del Collegio Santa Caterina e prete del clero diocesano di Dumaguete, diocesi a cui don Magalso apparteneva. “Siamo profondamente scioccati per un omicidio a sangue freddo che è del tutto immotivato. Don Magalso era un semplice parroco, molto amato dalla sua gente, dedito alla vita pastorale. Non era un prete attivista impegnato in altre battaglie. L’omicidio non è stato motivato dal furto: la polizia sta indagando” riferisce a Fides padre Gomez. Il sacerdote stava andando a celebrare la Messa in un villaggio della sua parrocchia, quando è stato pugnalato a morte alle spalle. Condotto in ospedale, vi è arrivato già cadavere. Grazie ad alcuni testimoni, l’omicida è stato catturato dalla polizia ed è sotto interrogatorio. Secondo le prime indiscrezioni, potrebbe essere un uomo malato di mente.

Un’ora di adorazione e preghiere per il sacerdote ucciso
Come appreso dall'agenzia Fides, nella diocesi di Dumaguete il vescovo Julito Cortes ha indetto “un’ora santa di adorazione in tutte le parrocchie per pregare per don Magalso e per il suo uccisore”. Il vescovo si recato alla parrocchia della Santa Croce, dove il sacerdote era parroco, portando consolazione e incoraggiamento alla comunità, chiedendo “coraggio e preghiera” e di “vivere questo evento in una atmosfera di penitenza e misericordia”.

Il sacerdote era impegnato nell'apostolato biblico
​Don Magalso era anche impegnato nell’evangelizzazione, essendo il responsabile della Commissione diocesana dell’apostolato biblico. “Siamo costernati per questa perdita e anche la gente è sconsolata” afferma padre Gomez. La comunità diocesana celebrerà una santa Messa in cattedrale il 5 ottobre, le esequie di don Magalso saranno celebrate il 7 ottobre nel suo villaggio di origine. (P.A.)

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Colombia: interrogativi sull’accordo sulla giustizia

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L'accordo sulla giustizia firmato dalle Farc e dal governo colombiano non prevede il carcere per coloro che confessano la verità e neanche richiede chiarimenti o altri sviluppi, perché l'accordo è chiuso: è quanto ha detto ieri, il gruppo ribelle in una dichiarazione che ha rivelato profonde divergenze tra le parti.

Per il negoziatore del governo l'accordo è ancora aperto
Secondo il governo, l'accordo ha superato il tema più difficile del negoziato, che prevedeva che i responsabili di uccisioni, massacri, rapimenti, torture, sparizioni forzate e violenza sessuale dovessero essere puniti e sottoposti a restrizione della libertà in un luogo specifico, sotto vigilanza. La nota ripresa dall'agenzia Fides, confermata dalle agenzie di stampa, riporta che il capo negoziatore del governo, Humberto de la Calle, aveva invece detto, lunedì scorso che l'accordo sulla giustizia è aperto, deve ancora essere sviluppato, presenta aspetti mancanti prima di arrivare alla conclusione e adottare delle decisioni.

Estradizione ed amnistia per i guerriglieri, non ancora chiari nell'accordo
Nel documento firmato non è chiaro se i guerriglieri non possano essere estradati verso gli Stati Uniti, dove sono accusati di traffico di droga o sequestro di persona, o se saranno amnistiati. Il governo e le Farc hanno comunque deciso di firmare un accordo per giungere alla fine dei negoziati entro sei mesi e concludere il conflitto armato che dura da 50 anni.

Per la Chiesa la giustizia va al di là di una prigione
​Pochi giorni fa il direttore del segretariato nazionale per la Pastorale sociale, mons. Héctor Henao Gaviria, aveva detto: "il Paese deve capire che la giustizia va al di là di una prigione", riferendosi all'accordo sulla giustizia di transizione annunciato dal governo e dal gruppo di guerriglia Farc la settimana scorsa.
(C.E.)

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Cammino Neocatecumenale: da Philadelphia mille famiglie per evangelizzare

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Oltre 40.000 membri del Cammino Neocatecumenale hanno preso parte ad un incontro vocazionale che si è svolto lunedì sera, a Philadelphia, dopo aver assistito all’Incontro mondiale delle Famiglie insieme a Papa Francesco. L’evento, che ha avuto luogo nel Wells Fargo Center, è stato presieduto dall’arcivescovo di Filadelfia, mons. Charles Chaput. Erano presenti - riferisce l'agenzia Zenit - anche i cardinali Sean O'Malley (Boston), Stanislaw Rylko (presidente del Pontificio Consiglio per i Laici), Theodore McCarrick (arcivescovo emerito di Washington), Jean-Pierre Kutwa (Abidjan, Costa d'Avorio), e Andrew Soo-Yung (Seul). Con loro anche altri 30 vescovi degli Stati Uniti e di altri Paesi.

Hanno risposto alla chiamata vocazionale 230 giovani, 400 ragazze e 1000 famiglie
La celebrazione è stata guidata dagli iniziatori e responsabili internazionali del Cammino, Kiko Argüello e padre Mario Pezzi. Momento centrale dell’incontro è stato l’annuncio del Kerygma, la Buona Notizia, da parte di Kiko, il quale, subito dopo, ha chiesto vocazioni per il sacerdozio e la vita religiosa. Per ultimo la chiamata per le famiglie disposte a partire in missione in qualsiasi zona del mondo, specialmente in quelle secolarizzate. A queste chiamate hanno risposto 230 ragazzi per entrare il seminario, 400 ragazze per la vita consacrata, e oltre 1000 famiglie (con diversi figli ognuna) per partire in missione nel mondo. Tutti inizieranno ora un processo di discernimento vocazionale. 

Una piccola pietra della tomba di san Pietro per il nuovo seminario di Philadelphia
Da parte sua, l’arcivescovo di Philadelphia, nella sua omelia, ha sottolineato che “non esiste un gruppo nella Chiesa oggi che rifletta la vita degli Atti degli Apostoli meglio del Cammino Neocatecumenale. Quando vescovi e fedeli laici del mondo vi vedono, imparano cosa significa essere Chiesa”, ha aggiunto. L’arcivescovo ha rivelato anche di aver chiesto a Papa Francesco, durante la sua visita a Philadelphia, di benedire una pietra presa dalla tomba di San Pietro a Roma che servirà come pietra angolare del nuovo seminario diocesano Redemptoris Mater che si sta costruendo nella diocesi, che accoglie le vocazioni nate nel Cammino Neocatecumenale.

Papa Francesco ha inviato in missione nel mondo 250 famiglie
Il 6 marzo scorso Papa Francesco aveva ricevuto in udienza 7mila membri del Cammino e nel corso dell'incontro, aveva inviato in missione 250 famiglie. "Confermo la vostra chiamata, sostengo la vostra missione e benedico il vostro carisma" aveva detto in quell'occasione Papa Bergoglio. E rivolgendosi agli iniziatori, aveva espresso apprezzamento per tutto quello che il Cammino sta facendo nel mondo "a beneficio della Chiesa". Oggi gli aderenti al Cammino Neocatecumenale sono circa 1,5 milioni in 125 Paesi del mondo. (R.P.)

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E' africano il nuovo Superiore generale dei Comboniani

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Padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie è il nuovo Superiore generale dei missionari comboniani, primo africano a guidare la congregazione. 46 anni, originario dell’Etiopia, padre Tesfaye è stato eletto questa mattina nel corso del XVIII Capitolo generale dei comboniani. Negli ultimi sei anni - riferisce l'agenzia Misna - aveva ricoperto l'incarico di assistente generale, responsabile della formazione di base e delle province e delle delegazioni dell’Africa anglofona e del Mozambico. Succede a padre Enrique Sànchez González, messicano, superiore generale dal 2009. Padre Tesfaye è nato nella città di Harar il 22 settembre 1969 ed è stato ordinato sacerdote il 26 agosto 1996. (V.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 273

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.