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Sommario del 23/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco è arrivato negli Stati Uniti d’America

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Gli Stati Uniti hanno abbracciato Papa Francesco, arrivato ieri da Cuba alla Base militare di Andrews, a Washington. Il Papa è stato accolto dal presidente Obama e dalla First Lady. Poco dopo le 9, quando in Italia saranno da poco passate le 15, la Casa Bianca sarà teatro della cerimonia ufficiale di benvenuto. Molti gli impegni che attendono il Francesco, tra cui spicca la Canonizzazione di padre Junipero Serra, in programma nel pomeriggio di Washington. Centrale sarà la preghiera con i vescovi degli Stati Uniti, il discorso al Congresso, a New York la visita alle Nazioni Unite e "Ground Zero", poi sabato e domenica l’abbraccio con le famiglie del Meeting Mondiale delle Famiglie. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti

Papa Francesco è arrivato negli Stati Uniti d’America il suo aereo proveniente da Cuba è atterrato alle 15.49 ora di Washington, sulla pista della Andrews Base. Qui dove stazionano gli aeroplani della presidenza, gli Air Force One, nel 1979 arrivò Papa Giovanni Paolo II, in occasione del suo primo viaggio in Usa, ne seguirono altri sei. Nel 2008 dalla scaletta scese Papa Benedetto.

Il nunzio apostolico, mons. Viganò, e il capo del protocollo sono saliti a bordo per salutare Papa Francesco.  Ai lati della scaletta dell’aereo, le due bandiere: a destra quella a stelle e strisce, a sinistra quella bianca e gialla. Sotto un cielo plumbeo e ventoso, il Papa è stato accolto dal presidente Obama accompagnato dalla First Lady, Michelle, e dalle figlie Malia e Sasha. Cordiali i saluti e lunga la stretta di mano tra il Capo della Casa Bianca e il Successore di Pietro. Presente anche il vicepresidente Biden, fatto assolutamente inusuale perché, per ragioni di sicurezza, le due maggiori cariche dello Stato non sono mai nello stesso posto, nello stesso momento.

Sui lati il picchetto d’onore, i vescovi della Conferenza episcopale americana, naturalmente l’arcivescovo di Washington, il cardinale Wuerl. Presenti anche il sindaco del distretto della Colombia e i governatori del Maryland e Virginia. Davanti alla scaletta, due gradinate gremite di persone che hanno potuto letteralmente urlare il proprio affetto al Papa venuto per la prima volta in terra statunitense. Francesco si è fermato a salutare anche due bambini e due bambine, studenti in scuole cattoliche. Poi, a piedi assieme al presidente, si è diretto in una sala privata per un breve colloquio. Quindi, ancora un cordiale il saluto prima di salire a bordo di una Fiat 500L che lo ha portato in nunziatura a Washington per la cena.

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Il Papa in aereo: su embargo spero in un accordo

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Durante il volo di trasferimento da Cuba negli Stati Uniti, Papa Francesco ha incontrato i giornalisti al seguito. I tre giorni nell’isola caraibica con i risvolti sociali, politici e religiosi al centro delle domande a cui ha risposto il Pontefice, alla luce del disgelo con Washington. Ce ne parla Giancarlo La Vella

“Sono contento di aver visitato Cuba”.

Papa Francesco ha spiegato i motivi che lo hanno portato nell’isola caraibica. L’annuncio del disgelo tra L’Avana e Washington, il 17 dicembre scorso – ha detto il Santo Padre – ha fatto propendere per la decisione di arrivare negli Stati Uniti proprio da Cuba. Una sorta di suggello, dunque, questo viaggio all’avvio di relazioni nuove tra i due Paesi, dopo oltre 50 anni di tensioni e sanzioni. E, a proposito della fine totale dell’embargo statunitense a Cuba, Francesco ha espresso precisi auspici:

“Spero che si arrivi a un accordo che soddisfi le parti. Rispetto alla posizione della Santa Sede sugli embarghi, i Papi precedenti ne hanno parlato, non solo di questo caso. Ne parla la Dottrina sociale della Chiesa. Al Congresso non parlerò in modo specifico di questo tema, ma accennerò in generale agli accordi come segno del progresso nella convivenza”.

Poi, il problema della dissidenza cubana, in esilio e in carcere, un tema al quale Francesco aveva accennato nelle sue omelie, auspicando la convivenza pacifica di tutti i cubani nella loro patria. La Chiesa di Cuba ha lavorato a una lista di prigionieri cui concedere l’indulto – ha detto Papa Francesco – e questo provvedimento di clemenza è stato concesso a più di tremila persone e ci sono altri casi allo studio. Segno evidente, questo, del grande impegno della Chiesa locale per la pace sociale:

“E la Chiesa qui a Cuba sta lavorando per fare indulti. Per esempio, qualcuno mi ha detto: 'Sarebbe bello finirla con l’ergastolo'. Parlando chiaramente: l’ergastolo è quasi una pena di morte nascosta. Tu stai lì, morendo tutti i giorni senza la speranza della liberazione”.

Altro tema al centro del dialogo con i giornalisti, l’incontro con Fidel Castro e le sofferenze della Chiesa cubana durante il regime castrista. Il Papa ha detto che il pentimento è una cosa molto intima, una cosa di coscienza. Al centro del colloquio soprattutto l'enciclica, “Laudato Sì”. Lui è molto preoccupato - ha detto Francesco - per l'ambiente. Per quanto riguarda il passato invece l’incontro col "lider maximo" ha riguardato il collegio dei gesuiti, dove Castro ha studiato, e di come lo facevano lavorare:

Infine, sulla posizione del Papa e della Chiesa sulla questione sociale, sul capitalismo e sul comunismo, Francesco ha evidenziato una domanda che gli era stata fatta in passato: “La Chiesa la seguirà?”. “Sono io a seguire la Chiesa!", ha risposto il Santo Padre.

“La mia dottrina su tutto questo, la 'Laudato si'' e sull'imperialismo economico, è nell'insegnamento sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il Credo, sono disposto a farlo...”.

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Canonizzazione Junipero Serra. P. Califano: fu un uomo umile

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Grande attesa oggi, nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington, per la Santa Messa presieduta dal Papa per la Canonizzazione del Beato padre Junipero Serra, apostolo della California. Nato nel 1713 a Maiorca, Junipero Serra entra nell’Ordine dei Frati minori. Cattedratico di teologia a 35 anni, parte per il Messico poi la California. Fondò numerose missioni. “Sempre avanti e mai indietro”, diceva sempre. Il nostro inviato, Massimiliano Menichetti, ha intervistato in esclusiva il postulatore generale, padre Giovannigiuseppe Califano, a Washington per la Canonizzazione: 

R. – “Un innamorato del Vangelo”. Non trovo una espressione migliore per sintetizzare la personalità spirituale e umana del nuovo Santo. Possiamo dividere la sua vita di religioso in due grandi fasi: circa 35 anni trascorsi nella sua patria, a Maiorca – di cui 20 come sacerdote dell’Ordine dei Frati minori – e altri 35 anni vissuti come missionario nel Nuovo Mondo, cioè nella regione dell’attuale Messico e della California. Sia nell’una che nell’altra fase della sua vita, padre Junipero fu un instancabile predicatore della Parola di Dio. Infatti, a Maiorca affiancò alla sua attività di insegnante di filosofia e di teologia nella Università Lulliana un’intensa attività pastorale, fatta di missioni al popolo, di predicazioni quaresimali e di omelie in occasione delle solennità liturgiche, quando era invitato come predicatore. Questa stessa passione per la Parola di Dio e per la Chiesa lo spinse poi a farsi missionario. Nel 1749, padre Junipero partì per il Nuovo Mondo, sulle tracce dei grandi Frati minori che lo avevano preceduto, come San Francesco Solano e il Venerabile Antonio Margil: proprio dalla lettura delle gesta dei missionari, nacque in lui questo desiderio. La sua prima azione missionaria si svolse nel territorio della Sierra Gorda, oltre duecento chilometri a nord di Città del Messico. Qui restò otto anni, dal 1750 al 1758. Dieci anni dopo, nel 1768, padre Junipero fu inviato nelle missioni della Bassa California, da dove poi estese la sua azione apostolica verso il nord, fondando le nuove stazioni missionarie nel territorio dell’attuale California.

D. – Dalla biografia di Junipero Serra emerge forte l’apostolato missionario: dunque, l’azione pastorale intrecciata alla difesa dei diritti dei nativi, la carità verso i poveri … E così?

R. – Indubbiamente. I Frati minori che si recavano nelle missioni del Nuovo Mondo sostavano per circa due anni nel Collegio Apostolico di San Ferdinando, in Città del Messico, per apprendere lingua, usi e costumi delle popolazioni alle quali erano inviati. Si trattava di un vero processo di “inculturazione” – diremmo oggi – un’inculturazione necessaria ai religiosi per poter comunicare con i nativi. Con la sua viva intelligenza, Fra’ Junipero non ebbe difficoltà ad apprendere in breve tempo la lingua dei Pame, per mezzo della quale poté avvicinare le popolazioni della Sierra Gorda, che fu la sua prima destinazione. Questo sforzo di inculturazione mi sembra di poter dire sia stato il primo atto di carità di padre Junipero verso quelle popolazioni, cioè il desiderio di sentirsi uno di loro per essere vicino a tutti, con cuore di francescano per comprendere, per sostenere. E questo desiderio di immedesimarsi con i popoli, con le culture, lo accompagnerà per il resto della sua vita, anche negli anni successivi, nell’azione in California.

D. – Ma l’attività di Junipero Serra non si limitò a questo…

R. – Certamente no, perché ciò che facevano i missionari, e padre Junipero Serra per primo, fu un’autentica opera di promozione umana. I Frati minori che raggiungevano queste nuove terre insegnavano alla popolazioni nativa l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, le arti, la musica e l’architettura. Era un modo per stabilire condizioni di vita più dignitose per quelle popolazioni che certamente erano ancora senza il Vangelo, ma che avrebbero potuto anche essere facili prede di una colonizzazione senza scrupoli. Sono rimasti a noi come esempi mirabili di questa attività “artistica”, di promozione, le grandi chiese delle missioni di Sierra Gorda che oggi sono considerate patrimonio mondiale dell’umanità. Inoltre, bisogna ricordare che padre Junipero moderò la metodologia di approccio che i militari gli spagnoli erano soliti condurre quando si stabilivano in quelle terre: cioè, ad esempio non impose la lingua spagnola, lasciò un certo margine di libertà per le coltivazioni per le quali non era obbligatorio versare una quota-parte alla missione, non interferì nella gestione dei guadagni e dei risparmi che potevano venire da queste piccole attività agricole o di allevamento… Consentì che i nativi si allontanassero dalle missioni per lo scambio di merce con altre tribù, come erano soliti fare per la loro cultura. E soprattutto intervenne per chiedere la mitigazione delle pene quando qualcuno incorreva in una violazione della legge instaurata dagli spagnoli.

D. – Quindi, come possiamo definire il contatto che ebbe padre Junipero con gli indiani?

R. – Sicuramente, come in un rapporto tra padre e figli. Padre Junipero aveva la consapevolezza di avere generato alla fede in Cristo questi popoli e quindi desiderava amministrare personalmente il Battesimo quasi per assumersi nei loro confronti una responsabilità, una responsabilità di padre, mostrando che i Sacramenti creano un vincolo con il Signore, ma anche tra gli uomini. Quando ottenne l’autorizzazione ad amministrare la cresima – è un fatto del tutto eccezionale, come si può pensare – benché fosse affaticato già dagli anni e sofferente, padre Junipero si mise in viaggio per donare questo Sacramento alle popolazioni di California e si calcola che il numero delle Cresime gli egli riuscì a distribuire sia stato 5.309! Quindi, in sintesi, gli indiani costituirono il cuore del suo apostolato: nei limiti dell’obbedienza ai superiori, non ebbe rispetti umani per chi osava attaccare, approfittare o soggiogare gli indiani. Per questo amore viscerale e intelligente, padre Junipero non ebbe timore di affrontare a viso aperto le autorità politiche e militari che volevano sottrarre alla Chiesa il compito dell’evangelizzazione, il compito primario per cui questi missionari, con tanta generosità, con tanto zelo affrontavano viaggi, disagi, sofferenze per portare Cristo ai popoli.

D. – In Junipero Serra si trovano dunque le radici degli Stati Uniti e del Vecchio Continente nell’abbraccio del cristianesimo…

R. – E’ sufficiente ricordare i nomi delle grandi metropoli della California per rendersi conto di quanto il cristianesimo abbia caratterizzato la cultura e la civiltà degli Stati Uniti. Risalendo dal sud verso il nord, incontriamo San Diego, San Juan Capistrano, Los Angeles, San Buenaventura, Sant’Antonio, Santa Clara, San Francisco, la grande metropoli… Sono città che hanno avuto origine dalle stazioni missionarie stabilite dai Francescani lungo il cosiddetto “Camino Real”. Questa vasta area geografica in cui San Junipero operò – quindi, Maiorca, Messico e California – suggerisce in qualche modo come avvicinare il nord ed il sud del mondo, abbattendo frontiere: Messico, Stati Uniti, Mediterraneo, Paesi africani, Europa... Sono immagini, sono idee, che abbiamo vive in questo momento… Il cammino del Santo suggerisce un perenne valore della solidarietà. Al tempo di San Junipero gli aiuti giungevano con le navi che partivano dal Messico: ora la traiettoria della ricchezza sembra invertita, ma non è invertito né cambiato il dovere della solidarietà umana. Siamo convinti che questa solidarietà possa e debba nutrirsi degli ideali evangelici, dell’amore del prossimo, che è gratuito, non guardi al proprio tornaconto, non calcoli il proprio interesse.

D. – Che cosa la colpisce personalmente della figura di Fra Junipero Serra?

D. – Penso che la virtù più eminente del nuovo Santo sia stata l’umiltà. Non sarebbe stato umanamente possibile realizzare una tale moltitudine di opere senza una umiltà eroica. Il suo più antico biografo fu il discepolo padre Palou, il primo a insistere con convinzione su questo concetto dell’umiltà del Santo. Ed egli scrive, nella sua biografia, subito dopo la morte del nostro Santo: “Si reputava il più inutile… facendo comprendere di essere servo e senza alcuna abilità… Quanto maggiore era l’onore che gli si voleva attribuire, tanto maggiore era la ripugnanza che egli dimostrava e utilizzava tutti i mezzi che l’umiltà e la prudenza gli suggerivano, per evitare le occasioni di elogio”. Se sfogliamo la biografia di San Junipero, troviamo moltissime manifestazioni concrete di questa umiltà eroica: basti pensare che quando era missionario in Sierra Gorda e, come dicevamo, aveva stabilito questo rapporto fraterno con le popolazioni, gli fu ingiunto di ritornare in Messico, a Città del Messico, nel Collegio di San Ferdinando per poi immediatamente ripartire verso le missioni del Texas, perché si era verificato che la stazione missionaria di San Saba era stata distrutta, ed egli accettò senza alcuna esitazione questo cambiamento di servizio. Accadde però che le autorità spagnole giudicassero troppo pericolosa questa nuova impresa e quindi il Santo lasciò il luogo dove stava con tanto profitto, tornò a Città del Messico e dovette aspettare ben 10 anni per poi ripartire per le missioni. Quindi, veramente una grande umiltà: sentirsi un servi inutile là dove l’obbedienza lo chiamava ad essere. E in questi 10 anni in cui fu più stabile nella sua attività, allo stesso modo fu missionario perché si dedicò alla predicazione alle popolazioni, al ministero della confessione, fu anche maestro dei novizi… Quindi, una persona molto operosa che sapeva stare là dove l’obbedienza lo poneva. E quando stava in convento tra i suoi frati, sebbene fosse una persona nota, una persona ormai anche di successo, assumeva gli atteggiamenti consueti dei Frati minori come fosse l’ultimo dei novizi: era puntuale agli atti comuni, alla preghiera, praticava la mortificazione… Veramente, sapeva stare all’ultimo posto. Ce ne sono molti altri, di questi episodi, in cui si rivela l’umiltà del Santo. Giunse da Roma la patente per procedere alla Confermazione, ad amministrare quindi il Sacramento della Cresima: gli fu contestata, l’autenticità della patente, perché non era passata attraverso l’autorizzazione delle autorità spagnole. Lui seppe attendere, pazientare che gli fosse riconosciuto il suo diritto per poi ripartire con coraggio e con forza, nonostante la piaga che aveva alla gamba.

D. – Lo ricordiamo: questa piaga come si era formata?

R. – La piaga alla gamba si era formata al suo arrivo in Messico, procurata probabilmente da una puntura d’insetto. Portò infezione e lui l’ha portata pazientemente, questa piaga, per i 35 anni in cui è stato missionario. Ha viaggiato sempre a piedi: solo in una circostanza gli fu prestata una lettiga, proprio negli ultimi anni, quando era sofferente, ma ha camminato sempre sul dolore e questo certamente per un desiderio di conformità a Cristo, per un’offerta più autentica della sua vita e proprio perché si riteneva un nulla.

D. – Le posso chiedere qual è, secondo lei, l’attualità di questo Santo? Cosa dice al giorno d’oggi questo Santo?

R. – Vorrei ribadire intanto il concetto della solidarietà verso gli ultimi, perché San Junipero è andato verso le popolazioni bisognose che non conoscevano Cristo e ha portato il Vangelo e ha portato la cultura, come dicevamo. E quindi, penso che questo interagire tra i popoli e tra le culture sia un messaggio senz’altro di attualità del nuovo Santo. Certo, per noi Francescani è anche una gioia, una grande soddisfazione spirituale vedere ancora un nostro confratello innalzato agli onori degli altari, ma è anche una grande responsabilità, perché facendo memoria dei Santi, del loro zelo per la causa del Vangelo, anche noi possiamo essere presenti nel mondo.

Certamente in San Junipero nessuna virtù fu assente: una fede robusta, una speranza e una carità sopranaturali, e tutte le virtù cardinali. Ma l’umiltà fu indubbiamente la virtù che tutte le altre univa in un insieme armonico. Da vero figlio di San Francesco d’Assisi, San Junipero viveva l’umiltà come un basso sentire di se, come gioiosa semplicità francescana, come resistenza agli onori e ai posti di responsabilità, come pronta e generosa obbedienza agli ordini dei superiori. L’umiltà fu l’abito a lui più congeniale.

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Mons. Chaput: Papa a Philadelphia per incoraggiare le famiglie

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Uno stile semplice e un “vocabolario” nuovo per riaffermare nella Chiesa e nel mondo del 21.mo secolo gli insegnamenti senza tempo del Vangelo. È il “ritratto” che fa del Papa l’arcivescovo di Philadelphia, mons. Charles Joseph Chaput, che sabato prossimo accoglierà Francesco nella sua città per l’ottavo Incontro mondiale delle famiglie. Il presule esprime le proprie aspettative al microfono del nostro inviato, Massimiliano Menichetti

“Per noi è un momento entusiasmante. La cosa che mi preoccupa è che quando arriverà a Philadelphia sarà proprio stanco. Ha speso tanta energia e tanto entusiasmo, ha già lavorato tanto, ha appena finito il viaggio a Cuba e ancora deve andare a Washington e a New York prima di arrivare qui… Prego che il Signore gli dia energia, forza e buona salute e un buon riposo notturno, in modo che quando arriverà qui possa essere pronto per il dono meraviglioso dell’Incontro mondiale delle famiglie che abbiamo preparato per lui. E spero che tutti quelli che verranno tornino alle loro case con un rinnovato impegno nei riguardi delle loro famiglie, mentre quelli che non sono ancora sposati abbiamo il coraggio di “rischiare” l’impegno che porta a una famiglia felice”.

Sempre Massimiliano Menichetti ha incontrato alcune persone partite dall’Italia per prendere parte all’ottavo Incontro mondiale delle famiglie. Una fra loro è Rosella, che spiega il suo stato d’animo in attesa dell’evento: 

R. – Per me, è una grande gioia perché in questo modo si vede che cosa è la Chiesa: le persone che vengono per approfondire la loro fede, per testimoniare la loro fede agli altri, per sorridersi… Il sorriso delle persone che si incontrano è il sorriso di chi si riconosce, riconosce la fede negli altri.

D. – Il Papa sottolinea la centralità della famiglia e invita a mostrare la bellezza. Questo incontro è su questa via?

R. – Sì, e lo si vede dagli sguardi. Quando lei incontra una bella famiglia, si vede nello sguardo di tutti una luce che è diversa da quella che si vede nelle altre persone.

D. – Il Papa incontrerà le famiglie e parlerà alle famiglie: qual è l’invito forte che ci si aspetta?

R. – Io non ho una famiglia, però sono figlia: sono figlia, sono nipote… Quindi, io penso che oggi la famiglia abbia bisogno del coraggio di stare insieme. Perché è facile di fronte alle difficoltà divedersi e la divisione non è mai del Signore, è sempre qualcun altro che divide. A volte ci vuole – e lo dico anche per me, per la mia esperienza di famiglia – il coraggio di volere l’unità, che il Signore ci dà. Il Papa spero che ci aiuti in questo, perché il Papa sta dando al mondo una strada nuova.

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Kerry: ruolo determinante di Francesco su grandi temi internazionali

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In occasione della visita di Papa Francesco negli Stati Uniti, appena iniziata, la Radio Vaticana in collaborazione con “La Stampa” ha intervistato in esclusiva il segretario di Stato americano, John F. Kerry. Nell’intervista di Paolo Mastrolilli, il responsabile della politica estera statunitense si sofferma sul ruolo del Pontefice dal riavvicinamento tra Washington e Cuba, all’impegno per l’ambiente, all’accoglienza dei profughi:

R. - Io sono profondamente soddisfatto per come le priorità di politica estera degli Stati Uniti e i buoni uffici della Santa Sede si intersechino su molti temi. Sono grato per il ruolo di Sua Santità nel ristabilimento delle relazioni con Cuba. E’ stato determinante ad incoraggiare i colloqui che hanno portato al riavvicinamento fra Usa e Cuba, e continueremo a cercare il suo sostegno mentre procediamo con la nostra relazione bilaterale. Noi proseguiremo la collaborazione con la Santa Sede per affrontare l’attuale crisi dei rifugiati e quelle future, l’instabilità data dai cambiamenti climatici, lavoreremo in campi come il dialogo interreligioso, favorire lo sviluppo, promuovere i diritti umani, prevenire il traffico di esseri umani.

D.- Nel Mediterraneo c’è una grave crisi per le migrazioni. Ritiene che Europa e Usa debbano fare di più per accogliere i rifugiati?

R. - Noi siamo profondamente rammaricati per la tragica perdita di vite umane nel Mediterraneo. La pratica dei contrabbandieri e trafficanti di “impacchettare” persone vulnerabili dentro imbarcazioni pericolose è deplorevole. Questa è un’area di continua cooperazione e dialogo fra gli Usa, la Santa Sede, e altri nella regione. Le migrazioni e l’immigrazione sono al cuore delle nostre priorità comuni in termini di diritti umani e benessere collettivo delle popolazioni più vulnerabili ed emarginate del mondo. La crisi delle migrazioni in Europa richiederà la cooperazione con tutti i Paesi del continente, insieme al resto della comunità internazionale, per garantire che le persone siano sicure, vengano trattate con umanità condivisa, e che affrontiamo la fonte del problema, cioè l’attuale crisi in Siria. Noi comprendiamo le enormi sfide che gli Stati europei fronteggiano, e accogliamo con favore gli sforzi continui per cercare una risposta comprensiva e coordinata. Qualunque approccio alla crisi deve essere focalizzato a salvare e proteggere le vite, assicurare che i diritti umani di tutti i migranti e rifugiati siano rispettati, e promuovere politiche di migrazione ordinate e umane. Gli Stati Uniti hanno fornito oltre 4,1 miliardi di dollari in assistenza umanitaria dall’inizio della crisi siriana - più di ogni altro singolo donatore - per aiutare ad affrontare le terribili condizioni in cui si trovano 7,6 milioni di sfollati all’interno della Siria, e oltre 4 milioni di rifugiati nella regione, in particolare in Libano, Turchia, Giordania, Iraq ed Egitto. Abbiamo anche creato un gruppo di lavoro per coordinare le risposte del Dipartimento di Stato alla crisi europea delle migrazioni e i rifugiati, e per garantire che saremo preparati per qualunque crisi simile in altre parti del mondo. Aumentando il sostegno all’assistenza umanitaria e alla protezione in Siria e nei Paesi vicini, meno rifugiati decideranno di muoversi, e saranno capaci di tornare a casa più facilmente quando il conflitto finirà. Gli Stati Uniti hanno deciso di aumentare significativamente il numero dei rifugiati siriani che accetteranno il prossimo anno. Ci aspettiamo di accoglierne almeno 10 mila nel 2016. Accogliere più rifugiati siriani negli Usa è solo parte della soluzione, ma io credo che questa decisione politica sia coerente con la nostra responsabilità morale di fare di più.

D.-  Molti rifugiati, come lei ha notato, vengono dalla Siria. Può l’attuale strategia di raid aerei e addestramento degli oppositori raggiungere l’obiettivo di sconfiggere l’Is, e dare a Damasco un governo migliore, evitando il rischio di un confronto militare con la Russia che sta mandando aiuti bellici ad Assad?

R. - La guerra in Siria è una crisi di sicurezza ed umanitaria. Noi lavoriamo strettamente con una coalizione di oltre 60 partner per raggiungere il nostro obiettivo comune di degradare e infine sconfiggere l’Is, e mettere fine al conflitto attraverso una transizione politica in Siria che la allontani dal Presidente Assad. La brutalità del regime - che la Russia sostiene - ha alimentato la crescita dell’estremismo. Ciò è contrario allo stesso obiettivo dichiarato da Mosca per una maggiore azione internazionale contro l’Is. Io ho espresso al ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, le preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo al sostegno militare di Mosca per il regime di Assad. Queste azioni potrebbero provocare una escalation ulteriore del conflitto, e portare ad una maggiore perdita di vite innocenti, accrescere il flusso dei rifugiati, e rischiare un confronto con la coalizione anti Is operante in Siria. Ma è anche importante che noi parliamo con i russi, per cercare di evitare i malintesi e deconflittualizzare le azioni delle nostre forze.

D.- La povertà e la diseguaglianza economica sono un problema crescente in tutto il mondo. Come possono gli Stati Uniti e la Santa Sede lavorare insieme per “mettere l’economia al servizio dei popoli”, come ha detto di recente Papa Francesco?

R.- Molti nel mondo sono ispirati dall’attenzione di Sua Santità nell’aiutare gli emarginati e gli svantaggiati. Gli Stati Uniti e la Santa Sede condividono la convinzione che tutte le persone hanno uguale dignità e valore, e che dobbiamo sforzarci di aiutare ogni essere umano a realizzare in pieno le proprie potenzialità nella vita. Come parte della Policy Directive on Global Development del Presidente Obama, noi stiamo sviluppando e rafforzando diverse partnership esistenti, incluse quelle fra le organizzazioni e istituzioni di affiliazione religiosa, e pensiamo in maniera innovativa a come affrontare il comune interesse per ottenere una crescita economica inclusiva, e risolvere sfide comuni come le minacce alla sicurezza globale, la prosperità, e la sostenibilità ambientale. Siamo incoraggiati dai successi visti con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, inclusa la significativa diminuzione della parte di popolazione mondiale che vive in povertà estrema. Siamo egualmente incoraggiati dalla conclusione positiva dei negoziati su un’ambiziosa, inclusiva l'Agenda dello Sviluppo Post-2015, che segna un momento chiave nel consenso internazionale su una visione comune per un mondo migliore, che offra opportunità ai più vulnerabili e metta il nostro pianeta su un cammino sostenibile. Siamo ansiosi di partecipare la prossima settimana al Summit dell’Onu per l’adozione dell’Agenda dello Sviluppo Post-2015, e segnare la strada per il progresso sostenuto dello sviluppo dei popoli nel globo per i decenni a venire.

D.- Nella sua Enciclica Laudato Si’, il Santo Padre ha affrontato il tema della cura della nostra casa comune. Alla fine dell’anno si terrà a Parigi la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici: cosa manca ancora per concludere un’intesa globale sul clima?

R. - Raggiungere un accordo ambizioso e duraturo alla Conferenza dell’Onu di Parigi sarebbe un passo avanti storico nella lotta contro i cambiamenti climatici. Un accordo giusto, che si applichi a tutti i Paesi, sia focalizzato sulla riduzione delle emissioni di gas e sulla costruzione della resilienza, includa forti misure di responsabilità e verifica, e assicuri l’assistenza finanziaria e tecnica a chi ne ha bisogno, è a portata di mano. Concluderlo manderebbe il segnale chiaro e necessario ai mercati e alla società civile che le nazioni del mondo stanno affrontando i cambiamenti climatici e non si tornerà più indietro. La comunità internazionale deve cogliere questa opportunità. Abbiamo davvero la possibilità di avviarci sul cammino verso un’economia globale a bassa emissione di carbonio, sostenibile, e se perdiamo questa occasione le conseguenze si estenderanno ad ogni nazione sulla terra. La buona notizia è che sappiamo come dovrà essere un accordo finale. Per cominciare, dovrà ridurre le emissioni più efficacemente possibile. Il primo passo per i Paesi è quello di presentare obiettivi nazionali forti e tempestivi. L’accordo dovrà contenere anche solide misure di verifica, affinché tutti possano vedere come i Paesi stanno applicando i loro target. Inoltre, dobbiamo accrescere l’importanza dell’adattamento. I Paesi devono produrre piani efficaci per l’adattamento, e applicarli per costruire la resilienza verso gli impatti dei cambiamenti climatici. In più, l’accordo deve essere giusto per tutti e aderente ad un mondo dinamico e in evoluzione. Infine, il risultato deve assicurare un’assistenza economica forte e durevole, mirata specialmente a sostenere gli sforzi di adattamento dei più vulnerabili, come i piccoli Stati insulari e quelli africani, costruendo sulle robuste misure prese negli anni recenti. Ovviamente, nessuno pensa che raggiungere un accordo a Parigi sarà facile, ma se siamo intelligenti, e ognuna delle nostre nazioni si impegna non solo a rappresentare le rispettive posizioni, ma a cercare davvero un terreno comune e a rispettare le preoccupazioni e gli imperativi degli altri, non ho dubbi che possiamo farcela.

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Francesco: la nostra rivoluzione passa attraverso la tenerezza

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La rivoluzione della fede è quella della tenerezza che si fa compassione per chi soffre, abbatte i muri e semina riconciliazione: è quanto ha detto Papa Francesco durante la Messa presieduta al Santuario della Vergine della Carità del Cobre, Patrona di Cuba. Il servizio del nostro inviato Sergio Centofanti

Dio mette in movimento
Accanto al Papa la statuetta della Vergine del Cobre, piccola, umile come Maria, trovata da tre piccoli pescatori, due indios e un bimbo nero in schiavitù in una terra lontana dal potere. I canti dicono la bellezza e la forza della fede dei semplici che contagia il mondo. La fede vera mette in movimento. Il Papa, partendo dal Vangelo di Maria che va a visitare Elisabetta, afferma che "la presenza di Dio nella nostra vita non ci lascia mai tranquilli, ci spinge sempre a muoverci. Quando Dio ci visita, sempre ci tira fuori di casa. Visitati per visitare, incontrati per incontrare, amati per amare". Maria non si crede "chissà chi", "esce di casa e va a servire". E' "la gioia che scaturisce dal sapere che Dio è con noi, con la nostra gente" che "risveglia il cuore, mette in movimento le nostre gambe, 'ci tira fuori', ci porta a condividere la gioia ricevuta e condividerla come un servizio, come dedizione in tutte quelle situazioni 'imbarazzanti' che i nostri vicini o parenti stanno vivendo". Maria - ha detto il Papa - "ha saputo visitare e accompagnare" i popoli in situazioni drammatiche e "ha protetto la lotta di tutti coloro che hanno sofferto per difendere i diritti dei loro figli".

Fede mantenuta viva a Cuba da nonne e madri
"La patria cubana - osserva - è nata e cresciuta nel calore della devozione alla Vergine della Carità", proclamata Patrona di Cuba nel 1916 da Benedetto XV, ma iniziata già nei primi anni del 1600 con il ritrovamento della immagine di Maria nelle acque della Baia di Nipe. Da questo Santuario - sottolinea - Maria "conserva la memoria del santo Popolo fedele di Dio che cammina a Cuba" e "custodisce le nostre radici, la nostra identità, perché non ci perdiamo sulle vie della disperazione". Così, dolori e privazioni "non sono riusciti a spegnere la fede" del popolo cubano:

"Esa fe que se mantuvo viva gracias a tantas abuelas que siguieron haciendo posible...".
"Questa fede che si è mantenuta viva grazie a tante nonne che hanno continuato a render possibile, nella quotidianità domestica, la presenza viva di Dio; la presenza del Padre che libera, fortifica, risana, dà coraggio ed è rifugio sicuro e segno di nuova risurrezione. Nonne, madri, e tanti altri che con tenerezza e affetto sono stati segni di visitazione - come Maria - di coraggio, di fede per i loro nipoti, nelle loro famiglie. Hanno tenuto aperta una fessura, piccola come un granello di senape, attraverso la quale lo Spirito Santo ha continuato ad accompagnare il palpitare di questo popolo".

Crediamo nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto
E «ogni volta che guardiamo a Maria - ha affermato Papa Francesco - torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 288)". Siamo invitati a vivere la rivoluzione della tenerezza come Maria, Madre della Carità. Siamo invitati a “uscire di casa”, a tenere gli occhi e il cuore aperti agli altri.

"Nuestra revolución pasa por la ternura, por la alegría que se hace siempre projimidad, que se hace..."
"La nostra rivoluzione passa attraverso la tenerezza, attraverso la gioia che diventa sempre prossimità, che si fa sempre compassione, (che è "soffrire con" per liberare) e ci porta a coinvolgerci, per servire, nella vita degli altri".

Una Chiesa che esca dai suoi templi per seminare speranza e riconciliazione
La fede "ci fa uscire di casa" e andare incontro agli altri per condividere gioie e dolori, speranze e frustrazioni: dei malati, dei prigionieri, dei vicini:

"Como María, queremos ser una Iglesia que sirve, que sale de casa, ..."
"Come Maria, vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, che esce dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità di un popolo nobile e degno. Come Maria, Madre della Carità, vogliamo essere una Chiesa che esca di casa per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione".

La Chiesa sappia accompagnare le situazioni “imbarazzanti” della nostra gente
E' un uscire per essere vicini a tutti:

Como María, queremos ser una Iglesia que sepa acompañar todas las situaciones «embarazosas» de nuestra gente..."
"Come Maria vogliamo essere una Chiesa che sappia accompagnare tutte le situazioni 'imbarazzanti' della nostra gente, impegnati nella vita, nella cultura, nella società, non nascondendoci ma camminando con i nostri fratelli, tutti insieme. Tutti insieme! Servendo, aiutando. Tutti figli di Dio, figli di Maria, figli di questa nobile terra cubana".

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Famiglia antidoto a individualismi e manipolazioni: ultimo incontro del Papa a Cuba

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“La famiglia è scuola di umanità”, anche se “non esistono genitori e figli perfetti”. Così Papa Francesco nel discorso alle famiglie nella cattedrale di Santiago, ultimo incontro prima del congedo da Cuba. Con una benedizione particolare a tutte le donne incinte, a partire da quelle presenti o quelle che seguono l’avvenimento attraverso i media, alle quali Francesco ha chiesto di poggiare una mano sul proprio ventre. Il servizio di Fausta Speranza: 

In famiglia  si impara che “ognuno ha bisogno degli altri per andare avanti”. 

"En muchas culturas hoy en día van despareciendo estos espacios, van desapareciendo estos momentos familiares, ..."
Se spariscono i momenti familiari, come “accade - ricorda il Papa - in molte culture al giorno d’oggi”,  allora “tutto tende a separarsi, isolarsi”, prevalgono “divisione e massificazione”, che il Papa definisce “fenomeni attuali”. E il Papa avverte: “Le persone si trasformano in individui isolati, e dunque - spiega - facili da manipolare e governare”. In famiglia – spiega il Papa – “non c’è posto per le maschere, siamo quello che siamo e siamo chiamati a cercare il meglio per gli altri”. “Quando viviamo bene in famiglia, gli egoismi diventano piccoli: esistono, perché tutti noi abbiamo qualcosa di egoistico… Però quando non si vive una vita di famiglia, si vanno ingrandendo queste personalità che possiamo chiamare cosi:  “Io, me, con me, per me”. Totalmente centrati in se stessi, che non conoscono la solidarietà, la fraternità, il lavoro insieme, l’amore, la discussione”.

Non c'è futuro senza famiglie, dimenticando papa' e mamma
"Se discute mucho hoy sobre el futuro, sobre qué mundo queremos dejarle a nuestros hijos, qué sociedad queremos para ellos".
Il Papa dunque invita tutti a considerare che, se si pensa al futuro, non si può che volere un mondo con le famiglie, "migliore eredità". “In una casa vuota non di persone ma vuota di relazioni, vuota di contatti umani – dice il Papa -  non si sa aspettare, non si sa chiedere permesso, non si sa chiedere scusa, non si sa dire grazie”. E’ ripetuto e ribadito l’’invito di Francesco ad “avere cura delle famiglie”, che definisce “vere scuole del domani”, “veri spazi di libertà”, "veri centri di umanità”.

"Y bueno, uno se olvida de cómo se dice papá, mamá, hijo, hija, abuelo, abuela… ".
Dunque, un avvertimento forte, attenzione a perdere certi termini e certe relazioni: “Ci si dimentica di come si dice ‘papà’, ‘mamma’, ‘figlio’, ‘figlia’, ‘nonno’, ‘nonna’, e ci si comincia a dimenticare che queste relazioni sono il fondamento, il fondamento del nome che abbiamo”. “Si perdono le relazioni che ci costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone”.

Dio si manifesta nella verità del quotidiano, fatta anche di discussioni
Nelle “cose quotidiane” – dice il Papa - si mostra l’amore di Dio e opera lo Spirito Santo, ricordando che Gesù ha scelto le nozze di Cana come primo avvenimento pubblico e ha poi tante volte scelto i pranzi, le cene, le visite in casa “per far conoscere il progetto di Dio”. Francesco sottolinea che in questo “Gesù non è selettivo, non gli importa se sono pubblicani o peccatori – dice - come Zaccheo”. Ed è “in casa che sperimentiamo il perdono”. Il Papa non nasconde difficoltà e dolori quando parla di “semina e raccolto, di sogni e ricerche, di sforzi e impegno, di lavori faticosi”. E anche fotografando il momento del ritrovarsi la sera, il Papa riconosce che tante volte si arriva stanchi e – aggiunge a braccio – “può capitare di assistere a qualche discussione, a qualche litigata tra il marito e la moglie”. “Non bisogna averne paura",  dice con verità Francesco che confida: “Io ho più paura di alcuni matrimoni in cui mi dicono che mai, mai, hanno avuto una discussione…”.  E l’incoraggiamento è davvero forte quando Papa Francesco ricorda che Gesù ha scelto proprio i momenti e gli spazi in casa per manifestarsi. E questo – spiega - per “aiutarci a scoprire lo Spirito vivo e operante” in quelle che, con semplicità ma anche massima chiarezza, Francesco fotografa come “le nostre cose quotidiane”. Francesco ricorda alle famiglie, e a tutti, quello che definisce “l’amore concreto e operante di Dio”.

Sguardo all'Incontro Mondiale delle Famiglie e al Sinodo
"
Estamos en familia. Y cuando uno está en familia se siente en casa"...
In particolare, alle famiglie cubane che si sono raccolte nella Cattedrale di Santiago, Papa Francesco dice di sentirsi a casa, in un incontro che definisce “la ciliegina sulla torta” del suo viaggio a Cuba e parla di “gente che sa ricevere”, che sa accogliere, che sa far sentire a casa”.

Dunque, il saluto e quasi un appuntamento virtuale, anzi due, per tutte le famiglie: 

"En unos días participaré junto a las familias del mundo en el Encuentro Mundial de las Familias y en menos de un mes en el Sínodo de los Obispos".
“Tra pochi giorni - annuncia - parteciperò insieme alle famiglie del mondo intero all’Incontro Mondiale delle Famiglie, e tra meno di un mese al Sinodo dei Vescovi che ha per tema la Famiglia. Vi chiedo per favore di pregare per queste due intenzioni, perché sappiamo tutti insieme aiutarci a prenderci cura della famiglia”. 

Resta da dire dell’invito più grande e più bello di sempre: l’invito all’Eucarestia che Papa Francesco ci chiede di considerare “la cena della famiglia di Gesù”.  Con l’invito a non dimenticare che come spazio del suo memoriale Gesù vuole utilizzare una cena, “momento concreto della vita familiare”, “momento vissuto e comprensibile”. E Papa Francesco sembra dire che così è più facile per noi ricordarci e capire che Gesù “vuole essere sempre presente nutrendoci con il suo amore, sostenendoci con la sua fede, aiutandoci a camminare con la sua speranza”.

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P. Lombardi: con il Papa a Cuba momenti di grande gioia

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Al termine della visita di Papa Francesco in terra cubana, Adriana Masotti ha sentito il direttore della nostra emittente e della Sala Stampa vaticana al seguito del Papa, padre Federico Lombardi. Ecco il suo commento a caldo: 

R.- Questa ultima mattinata è stata veramente splendida con la celebrazione al Santuario della Carità del Cobre, che era un po’ il culmine spirituale di questo viaggio e una delle importanti motivazioni per il centenario della proclamazione di questa immagine della Vergine come Protettrice della nazione cubana. Cosa molto, molto, molto sentita da tutti e con una grande partecipazione. La presenza a questa Messa proprio di coloro che sono gli evangelizzatori di base della Chiesa cubana – laici, catechisti, persone semplici che fanno le piccole comunità nelle case di missione - era molto significativa. E poi anche l’incontro con le famiglie nella cattedrale di Santiago è stato bellissimo ed è stato veramente il punto di passaggio naturale tra questa tappa e quella negli Stati Uniti e poi il Sinodo. Momenti di grande gioia. Il Papa era in grande forma, dobbiamo proprio dirlo. Quindi, una conclusione migliore di questa non era pensabile. Sono stati tre giorni intensi, ma che hanno risposto pienamente – direi – alle attese del popolo e della Chiesa in Cuba, attese del popolo perché il Papa ha dato un messaggio certamente di grande speranza, nonostante le difficoltà. Il Papa ha una grande autorità morale, essendo stato anche l’incoraggiatore di questo processo di avvicinamento agli Stati Uniti, che è molto significativo di una ricerca e possibilità di cambiamento nella situazione cubana. E poi il Papa, come grande pastore, ha saputo dare l’ispirazione per l’incoraggiamento di una comunità ecclesiale che vive in povertà, che ha poche possibilità, forse, di agire e di esprimersi e poche risorse, ma che vive con molta purezza il suo servizio agli altri e alla società, a cominciare dai poveri. Il Papa ha dato dei messaggi che sono molto secondo il suo cuore, quindi quello del valore della povertà, il valore del servizio per i poveri, il valore della misericordia, il valore dell’amicizia sociale e della responsabilità solidale per il bene comune. Insomma, mi pare che in tre giorni ci siano stati messaggi importanti, belli e per tutti.

D. – E’ emerso il concetto di una Chiesa in uscita e di una famiglia che è scuola di umanità: mi pare questi siano i due concetti principali…

R. – I concetti sono moltissimi ed è difficile isolarne qualcuno. Certamente per quanto riguarda le chiese, il Papa ha ripreso una formula che aveva usato anche nel suo precedente viaggio in America Latina, parlando del “santo popolo di Dio fedele in cammino”, in Cuba come negli altri Paesi. Ecco, questo è il senso del grande rispetto per il popolo di Dio, in cui è presente lo Spirito del Signore e che testimonia, attingendo al Vangelo, questi suoi valori di amore, di carità, di servizio, che sono preziosi veramente per tutti. E poi, quindi, è una Chiesa che serve e che non è centrata su se stessa.

D. – Padre Lombardi, un’ultima cosa: abbiamo visto che c’è stato un leggero anticipo sul programma, siamo abituati ai ritardi del Papa, come mai?

R. – Perché il Papa è sempre molto rapido. A volte, nelle sue celebrazioni sono previsti dei tempi un po’ più abbondanti, per essere poi sicuri di non trovarsi in ritardo per gli eventi successivi. Però a volte si crea un qualche anticipo e questo permette poi di muoversi con grande naturalezza e serenità. Diciamo semplicemente che la Messa al Santuario si è svolta con totale serenità – come era previsto – però è durata un poco meno di quanto era stato programmato e quindi si è guadagnato un poco di tempo. Ma siamo nella assoluta normalità delle cose: quando c’è un programma complesso ci possono essere dei ritardi o ci possono essere anche – a volte – degli anticipi.

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Nomina episcopale in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ponta de Pedras, presentata da per raggiunti limiti di età da mons. Alessio Saccardo, della Compagnia di Gesù. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Teodoro Mendes Tavares, della Congregazione dello Spirito Santo, finora coadiutore della medesima diocesi.

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Ad Assisi l'apertura del Cortile di Francesco incentrato sull'umanità

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L’Umanità è il tema del “Cortile di Francesco” che si apre oggi ad Assisi. Cinque giorni di incontri e dibattiti animati da 90 relatori invitati dal Pontificio Consiglio della Cultura ma anche dal Sacro Convento di Assisi con le famiglie francescane.  Ad inaugurare l'evento l'incontro "Diritto e dignità umana in relazione a migranti e caporalato".  Uno sguardo all’attualità dunque ma anche all’economia, la filosofia e la teologia, particolare spazio pure per i bambini. Al Cortile parteciperanno anche tre ministri del governo Renzi: Maria Elena Boschi, Stefania Giannini e Roberta Pinotti. Benedetta Capelli  ha parlato del “Cortile di Francesco” con padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi: 

R. – E’ un cortile che mette al centro il tema dell’umanità, un’umanità ferita da molte istanze. Io penso alla questione degli immigrati, alla questione dei rifugiati… Ma ferita anche dalla questione ambientale: i segnali che arrivano dalla Germania creano sconcerto e meraviglia, proprio perché si sta bleffando sulla “casa comune”, come l’ha chiamata Papa Francesco. Questa casa comune che ci chiede di essere abitata, rispettandola e accogliendola come sorella e come madre: sono due termini che Papa Francesco ha usato per la terra, ad indicare il profondo senso di responsabilità, proprio perché Francesco d’Assisi, nel Cantico delle Creature, ha messo in luce che la terra è sia madre sia sorella. Mentre le altre realtà le chiama con un solo appellativo, o “sorella” o “fratello, per la terra usa i due termini, ad indicare davvero il profondissimo e significativo senso di responsabilità che ha l’uomo di fronte ad essa.

D. – Al centro del Cortile di Francesco c’è - come lei ha detto -  proprio l’umanità. Una parola che spesso, e soprattutto in questo periodo, è stata anche abusata. Che significato vuole dare, invece, questo Cortile?

R. – Vuole dare il significato di persone che stanno l’una accanto all’altra, che mettono al centro l’uomo, chiunque esso sia, non come un problema, ma come una soluzione. Quand’è che l’uomo diventa una soluzione? Quando si rende capace di accoglierlo, quando io lo accolgo. A me è piaciuta molto l’affermazione di uno statista che dice: “per molto tempo l’uomo ha pensato al progresso, ma ha smarrito il senso della sua umanità”. Davvero si tratta di rimettere al centro questo senso dell’umanità, che in fondo è quello che poi Papa Francesco sta indicando: essere uomini di misericordia, essere uomini di compassione, essere uomini che incoraggiano, essere uomini che accolgono.

D. – Il dialogo tra credenti e non credenti in che modo può arricchire e aiutare anche nel riconoscere il diverso, alla luce dell’aspetto che ci ha appena sottolineato dell’umanità che implica la fraternità?

R. – Quando parliamo di fraternità, noi parliamo di una umanità realizzata pienamente, perché è capace di dialogare, è capace di stare con l’altro, è capace di mettersi al servizio dell’altro. Oggi, di fronte alla deriva nichilista, di fronte alla deriva narcisista, di fronte alla deriva capitalistica, la fraternità davvero può rappresentare un argine, in cui tutto ciò che ci circonda – compreso l’uomo, soprattutto l’uomo – non viene visto come qualcosa da usare e gettare, ma come un qualcosa che mi appartiene e mi fa vivere, mi fa esistere, nella misura in cui io faccio esistere l’altro.

D. – Il dialogo sarà calibrato anche sulle sfide di oggi: il caporalato, i migranti, l’economia… Qual è l’auspicio dei frati francescani per questo Cortile?

R. – Che l’uomo possa aprire, prima di tutto, le porte del cuore. Una volta che questo avviene, avviene il miracolo della vita: tutto cambia, tutto si trasforma, tutto profuma, tutto ricomincia. Una volta aperte le porte del cuore, si apriranno le porte delle case, si apriranno le porte di ogni realtà e sarà tutto un ponte e non un muro.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo “La visita del pastore”.

Saper morire: Ferdinando Cancelli su un discutibile libro riguardo ai progressi delle cure palliative.

Sul Marlowe di John Banville, un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo “Chissà che avrebbe detto Chandler”.

La corale più antica: Massimo Palombella sulla “Cantate Domino”, il nuovo cd della Cappella musicale pontificia.

La pace è più importante: intervento dei vescovi giapponesi dopo la legge di modifica costituzionale.

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Oggi in Primo Piano



Oggi a Bruxelles nuovo Consiglio europeo sull'immigrazione

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I Paesi dell’Unione Europea devono accogliere la loro “equa quota” di rifugiati provenienti dalla Siria nel quadro di una soluzione di ampio respiro. Lo hanno ribadito in un colloquio telefonico il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il cancelliere tedesco Angela Merkel, a poche ore dal Consiglio europeo dei ministri degli interni che ha stabilito il ricollocamento di 120 mila profughi dall’Italia alla Grecia. Il servizio di Michele Raviart

L’appello all’unità di Obama e della Merkel si scontra contro il no di Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania, che ieri a Bruxelles hanno rifiutato il piano di accoglienza dei migranti per quote proposto dalla Commissione. I ministri degli interni dell’Ue hanno deciso comunque a maggioranza qualificata – ed è la prima volta su questo tema –  sul ricollocamento di 120 mila profughi siriani. A beneficiarne saranno principalmente Italia e Grecia, che vedranno partire dal proprio territorio rispettivamente 15 mila e 50 mila richiedenti asilo. Fuori l’Ungheria, che con il suo rifiuto al piano, ha rinunciato all’espatrio di 54 mila migranti, che partiranno l’anno prossimo da Italia, Grecia o da altri Paesi che dovessero essere in emergenza. La decisione di ieri, che la Commissione specifica essere questa volta obbligatoria e “vincolante per tutti”, sarà discussa a livello di capi di Stato e di governo in un Consiglio europeo straordinario oggi a Bruxelles: l’obiettivo è anche quello di fermare il flusso verso l’Europa aiutando i Paesi confinanti della Siria, che ospitano ora 4 milioni di rifugiati.

 

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Burkina Faso: trovato accordo, torna presidente Kafando

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A una settimana dal golpe in Burkina Faso, il presidente di transizione, Michel Kafando, ha ripreso le sue funzioni questa mattina. L’accordo tra le due frange dell’esercito, quella golpista e quella lealista, è stato trovato nella tarda serata di ieri nel palazzo di Mogho Naba, re delle comunità Mossi, principale etnia del Paese. I vescovi del Burkina Faso, in un comunicato pervenuto all’Agenzia Fides, hanno condannato il golpe che “ha messo brutalmente fine al processo di transizione e alle attese di un intero popolo” e invitano alla preghiera per la pace nel Paese, lanciando un appello alle parti coinvolte perché risolvano la crisi con “un dialogo vero, chiaro, franco e rispettoso dei valori per i quali il popolo è insorto”. Il golpe era avvenuto lo scorso 17 settembre per mano del Reggimento di sicurezza presidenziale, unità di élite dell'esercito burkinabé. A guidare i golpisti, tutti fedelissimi dell’ex presidente Comaporé, il generale Deindéré. L'accordo, che dovrà essere ratificato sotto l'egida dell'Ecowas, rimette in moto il processo di transizione democratica nel Paese africano che lo scorso ottobre, dopo una serie di manifestazioni popolari, ha deposto l’ex presidente Compaoré, al potere per 27 anni. Sull'accordo Elvira Ragosta ha raccolto l’analisi di Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

R. – Questo accordo è importantissimo perché rappresenta un primo riavvicinamento tra i golpisti della guardia presidenziale, da una parte, e l’esercito e il governo di transizione, dall’altra. L’accordo prevede l’aqquartieramento della guardia presidenziale nelle proprie caserme e il ritiro dell’esercito in un raggio di 50 km dalla capitale. Quindi, si è disinnescato il pericolo di uno scontro tra le due parti. Va detto che questo, però, è un accordo di massima che è stato siglato sotto l’ala protettrice di questo capo tribale che è una delle massime autorità morali del Burkina Faso. La ratifica di questo accordo verrà fatta prossimamente sotto l’egida dell’Ecowas, cioè la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale.

D.  – Ora che prospettive si aprono per il Paese e cosa sarà delle due ali dell’esercito, quella golpista e quella lealista?

R. – Io credo che a breve termine sicuramente rimarranno. A medio e lungo termine, può essere che la guardia presidenziale venga riassorbita dalle Forze armate. Detto questo, il futuro potrà essere positivo se a mio parere verranno riammessi alle elezioni i vecchi leader legati al presidente Blaise Compaoré. Non è detto che poi questi leader verranno rieletti, perché la popolazione è in larga parte ostile a un ritorno della vecchia classe politica legata al presidente che ha governato per 27 anni. Certamente, le elezioni non verranno tenute l’11 ottobre, come era previsto, ma verranno spostate più avanti. Si parla della fine di novembre e saranno elezioni più inclusive, nel senso che tireranno dentro anche i vecchi leader legati a Compaoré. E secondo me, questo darà ancora più forza ai movimenti democratici che hanno portato alla caduta di Compaorè, perché avranno più stimolo ancora di più a entrare in campo, a giocare fino in fondo la partita per riuscire a vincere le elezioni.

D. – Il fatto che l’intesa sia stata trovata con la mediazione del re delle comunità Mossi rappresenta un fallimento nella fase di mediazione precedente della comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale?

R. – No, io credo che l’aver coinvolto i capi tradizionali significa aver coinvolto una parte importante della società civile burkinabé. Non solo, ma significa anche che la soluzione è arrivata dall’interno e non è stata imposta dall’esterno. Comunque, la mediazione dell’Ecowas è stata importante perché ha dato la possibilità ai burkinabé di incontrarsi, ha favorito l’incontro tra le diverse anime della politica burkinabé.

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Messa al bando armi chimiche: anche Angola aderisce a trattato

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L’Angola è divenuta il 192° Paese ad aderire alla Convenzione per la messa al bando delle armi chimiche, come informa l’agenzia Misna. Il trattato, siglato a Parigi nel 1993 ed entrato in vigore il 29 aprile 1997, sarà vincolante per Luanda dal prossimo 15 ottobre. Il testo vieta la produzione, l’uso e la proprietà di agenti chimici destinati ad uso bellico. La decisione dell’Angola, che ha alle spalle una lunga guerra civile durata da metà degli anni 70 fino al 2002, giunge in un momento particolarmente delicato per il Paese, che sta affrontando una grave crisi finanziaria ed economica dall'ultimo trimestre del 2014, a causa della vertiginosa caduta delle entrate provenienti dalla vendita di prodotti petroliferi. Sull’importanza dell’adesione dell’Angola alla Convenzione, Giada Aquilino ha intervistato Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo: 

R. – Sicuramente è un passo importante per il Paese stesso ed è un segnale per l’intera Africa. Non dimentichiamo che l’Africa, sconvolta purtroppo da tante guerre ancora in atto, è anche un continente che è stato in grado di aderire ad una zona di disarmo nucleare. Praticamente, è il primo continente a livello mondiale che ha aderito a questo progetto. Però, per quanto riguarda la messa al bando delle armi chimiche, rimangono fuori alcuni Paesi.

D. – Di quali Stati stiamo parlando?

R. – Ci troviamo oggi con 192 Paesi che hanno firmato e ratificato questo trattato. C’è un altro Stato che ha firmato già nel ’93 la Convenzione ma non l’ha mai ratificata: è Israele. Mentre rimangono fuori altri Paesi come la Corea del Nord, l’Egitto e il Sud Sudan da poco costituito.

D. – In questo campo, che interessi ci sono in gioco?

R. – Egitto e Israele rispecchiano una realtà mediorientale difficilissima, una situazione di tensione che si protrae ormai purtroppo da 60-70 anni. Quindi, a fronte di Israele che non ha ratificato, anche l’Egitto non ha fatto un passo analogo. La Corea del Nord ha puntato addirittura a realizzarsi di nascosto un arsenale nucleare, seppure decisamente modesto e limitato. Anche l’arma chimica è ovviamente un altro strumento in mano a questo regime. Altro discorso riguarda il Sud Sudan, che vive una situazione di estrema difficoltà e quindi credo che i passi in questo senso siano da percorrere, anche se non possiamo certo ritenere che sia dotato di grandi arsenali chimici. Non dimentichiamo però che l’arma chimica viene detta ‘l’arma nucleare dei poveri’, perché in realtà qualunque industria chimica teoricamente può trasformare i propri prodotti - che possono essere per la pulizia della casa o componenti per le attività industriali - in armi pericolose. Si tratta comunque di un’arma molto difficile da gestire.

D. – La Convenzione vieta la produzione, l’uso e la proprietà di agenti chimici destinati ad uso bellico: eppure nelle guerre di oggi ancora si parla di tali armi. Perché?

R. – E’ un trattato internazionale e, come tutti i trattati, purtroppo possono essere anche violati. Però certamente è una dichiarazione di volontà, è un segnale positivo a livello regionale per i Paesi vicini, nel momento in cui uno Stato dichiara un determinato atteggiamento, ma è anche un segnale a livello globale, per cui l’intera comunità mondiale, di fatto, riesce ad esprimere una volontà di pace e di distensione. Quindi c’è una pressione morale, politica da parte degli altri Paesi verso quelli che ancora non hanno ratificato o non hanno neppure firmato il trattato affinché ci arrivino. Ovviamente è un’operazione di tipo diplomatico, è una pressione politica, non certamente di tipo militare, come peraltro abbiamo visto nella drammatica vicenda della Siria: una serie di pressioni hanno fatto sì che anche il regime di Damasco, in pieno conflitto, aderisse a questo trattato.

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Putin inaugura grande Moschea a Mosca e attacca l'Is

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Il Presidente russo Putin ha attaccato i terroristi del sedicente Stato islamico che "compromettono la religione mondiale dell'Islam” e – dice – cercano di arruolare gente anche in Russia. Putin ha parlato alla cerimonia di inaugurazione della nuova Moschea di Mosca, alla quale partecipano il Presidente  turco Erdogan e il leader palestinese Abu Mazen.  Dei rapporti tra Putin e Erdogan in relazione al conflitto in atto in Siria, Fausta Speranza ha parlato con Aldo Ferrari, docente di Russia e Europa orientale all’Università  Ca’ Foscari: 

R. – Innanzitutto, l’incontro bilaterale va visto sì nel contesto dell’odierna crisi mediorientale, in particolare per quel che riguarda la Siria, dove Russia e Turchia hanno posizioni diverse, in particolare riguardo al ruolo di Assad. Ma va visto anche nel contesto delle tradizionali, stabili, importanti, relazioni politiche e strategiche tra i due Paesi, che soprattutto nella sfera energetica hanno molti interessi in comune. Quindi, sicuramente, in questo incontro si parla tanto della contingenza della Siria quanto del rapporto di collaborazione politica ed economica di lungo raggio. Sicuramente Erdogan sarà preoccupato, perché questo ingresso in forze della Russia, più importante che in passato, in appoggio ad Assad va ad essere un elemento di novità e in contrasto con la politica anti Assad, seguita sinora dalla Turchia.

D. – Le dimissioni in Turchia dei ministri curdi sono state accompagnate dalla denuncia di un’atmosfera di guerra in Turchia, che dire?

R. – Qui la situazione è estremamente complicata. Erdogan, da quando ha il potere, ha fatto molto per migliorare il problema curdo, che non ha creato lui, ma ha ereditato dai decenni della Repubblica kemalista. Purtroppo negli ultimi anni questi segnali positivi, che sono stati molti, stanno andando in crisi, anche per la guerra siriana che vede impegnati i curdi. La Turchia fatica a gestire questo problema e l’affermazione nel Parlamento turco di un partito, che potremmo definire curdo, ha impedito ad Erdogan di avere la maggioranza assoluta. E’ chiaro che negli ultimi mesi, se a questo si aggiunge anche il peggioramento della situazione militare della Turchia nel sud-est asiatico, i problemi tra Ankara e la grande minoranza curda sono peggiorati. Quindi è un problema che riguarda la Turchia, ma va inserito in un contesto più vasto della crisi mediorientale.

D. – L’appoggio di Putin ad Assad in Siria è scontato ma sta cambiando qualcosa degli equilibri in atto?

R. – L’appoggio è scontato, fa parte delle alleanze internazionali della Russia già da tanti anni. Ma è chiaro che l’intervento così diretto, così visibile, così forte militarmente in un momento di grande difficoltà per Assad può cambiare le carte in tavola e lo si vede anche dall’intervento degli Stati Uniti. E’ chiaro che se la Russia interviene in prima persona, sebbene per adesso in maniera molto limitata, Assad ne verrà rinforzato. Ma ciò che interessa evidentemente alla Russia non è tanto Assad in sé, quanto il mantenimento di un equilibrio e il proprio ruolo nello scacchiere mediorientale, oltre che naturalmente la conservazione dell’unica base marittima che la Russia ha nel Mediterraneo proprio nel porto di Tartus in Siria. Da questo punto di vista, si tratta effettivamente di un ingresso molto importante, anche se estremamente rischioso per la Russia.

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Lavoro minorile, 280 mila i giovani italiani coinvolti

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In Italia oltre il 40% dei genitori ignora l’esistenza del lavoro minorile e 1 su 3 ritiene che l’attuale crisi economica giustifichi l’impiego di ben 280 mila giovani al di sotto dei 16 anni, italiani, in mestieri che vanno dalla ristorazione, al commercio, all’agricoltura e non solo. Sono i dati di una statistica promossa da Paidoss, l’Osservatorio nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza che, con la partecipazione dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro (Anmil), ha organizzato, dal 24 settembre e per due giorni, a Lecce il forum dal titolo 'Figli di un lavoro minore'. A livello globale, sono quasi 168 milioni i minori che lavorano e di essi ben 5,5 milioni sono oggetto di vero e proprio sfruttamento, le situazioni più gravi riguardano l’Africa sub-sahariana e l’area asiatica del Pacifico. Il servizio di Eugenio Murrali: 

Danni psicofisici, infortuni e rinuncia precoce alle attività formative e ludiche dell’infanzia. Sono solo alcune delle conseguenze del lavoro minorile. Ed è questo il tema del secondo Forum internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza dal titolo 'Figli di un lavoro minore'. A organizzarlo è Paidoss, il cui presidente, Giuseppe Mele, sottolinea uno degli effetti più gravi del fenomeno:

“La dispersione scolastica è l’elemento più importante del danno per un ragazzo, perché abbandonare la scuola significa non poter avere uno sviluppo migliore per sé dal punto di vista economico e anche sociale”.

Fondamentale, per portare alla luce il lavoro minorile sommerso sarà la collaborazione dei pediatri, che dovranno rivestire un ruolo di antenna sociale, aiutando a individuare i casi di malattie e infortuni legati all’impiego degli under 16 nei diversi mestieri. L’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, al fianco di Paidoss, fa opera di sensibilizzazione sul tema, come afferma il presidente Franco Bettoni:

“Parla una persona che si è fatta male sul lavoro a 14 anni. Andiamo nelle scuole a parlare ai ragazzi, a spiegare i temi degli infortuni, delle malattie professionali. Purtroppo anche oggi in Italia molte migliaia di ragazzi vanno a lavorare dai 7 ai 15 anni”.

La percezione del problema è, però, in Italia, ancora molto bassa se, secondo l’indagine di Paidoss, più di un quarto dei mille intervistati non vede nulla di male nel lavoro minorile.

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Ospedale Bambino Gesù all'Expo: il cibo come cura

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Il Dna guida le nostre scelte alimentari. Sono i geni ad orientare il metabolismo e quindi il nostro stato di salute o di malattia. Non solo: per molte patologie come obesità, diabete o altre malattie del metabolismo, il cibo diventa terapia. E’ emerso ieri, nel corso del secondo convegno promosso dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, nell’ambito delle iniziative del padiglione della Santa Sede ad Expo Milano 2015. Da Milano, il servizio di Fabio Brenna

La pratica clinica ha dimostrato l’efficacia di regimi alimentari particolari: la dieta chetogena, ricca di grassi e povera di carboidrati, può avere effetti benefici contro l’insorgenza delle crisi epilettiche. Nel 60% dei casi trattati si sono prevenute e ridotte le convulsioni che non potevano più essere controllate con i farmaci.

Sulla base di questa esperienza, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, è impegnato nel trovare il programma alimentare per ogni piccolo paziente. Il cibo dunque non riveste più solo il ruolo di integratore di terapie farmacologiche, ma diventa terapia esso stesso.

Carlo Dionisi Vici, responsabile di Patologia metabolica all’Ospedale Bambino Gesù:

“Noi vorremmo far capire prima di tutto che esistono malattie che vengono curate attraverso il cibo e attraverso un’alimentazione che non è sana, ma è un’alimentazione terapeutica, con una dieta fatta apposta, che è una dieta specifica, pesata, calcolata, che necessita di integratori e che è importante venga fatta per tutta la vita, proprio perché è la cura di alcune malattie”.

Cibo che diventa cura, anche fastidiosa come tante altre terapie:

"Il nostro obiettivo è quello di migliorare - tornando ai bambini con malattie metaboliche - un pochino la qualità della loro alimentazione, quindi far sì che per loro un mangiare un po’ particolare non sia un mangiare cattivo e non sia un mangiare che li renda diversi dagli altri”.

Nel corso del convegno è emerso anche che sono più di 500 le patologie metaboliche ereditarie e come rappresentino circa il 10% delle malattie rare.

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Nella Chiesa e nel mondo



Burundi: i vescovi esortano al dialogo politico

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Un dialogo produttivo tra le parti per evitare il rischio di un ritorno alla guerra civile: a richiederlo sono i leader della Chiesa cattolica del Burundi, ammonendo coloro che potrebbero essere tentati dal “riprendere in mano le armi”. Nel comunicato, letto dal vescovo Gervais Bashimiyubusa ai microfoni delle emittenti radiofoniche cattoliche e ripreso dall'agenzia Misna, si definisce “molto preoccupante” la situazione a Bujumbura dove alcune persone sono state “brutalmente assassinate” assieme ad altre “rapite, torturate o imprigionate senza processo”.

Rapporti tesi tra episcopato e governo di Bujumbura
Il messaggio – diffuso in seguito ad una riunione dei vescovi del Burundi, la scorsa settimana a Gitenga – giunge in un momento in cui i rapporti tra il governo di Bujumbura e la Chiesa cattolica sono particolarmente tesi. Quest’ultima a luglio si era espressa contro il controverso terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza, vincitore di elezioni boicottate dall’opposizione e definite ‘incostituzionali’ dalla comunità internazionale.

Un vero dialogo per la sicurezza di tutti
​Le tensioni politiche erano sfociate in un mancato golpe militare e mesi di violenze e disordini alimentati dall’opposizione. In proposito i vescovi sottolineano che “la vera sicurezza e la pace duratura si raggiungono solo con il  dialogo” e “più ritardiamo questo vero dialogo inclusivo, più coloro che ne hanno la responsabilità, allontanano l'arrivo della sicurezza per tutti”. La Conferenza episcopale invita tutti i burundesi ad "abbandonare la via del male, le uccisioni e la vendetta, l’esclusione, il regno della menzogna, e l'uso della forza per prendere il potere o mantenerlo”. (A.d.L.)

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Nigeria: nonostante attacchi di Boko Haram, sfollati tornano a Maiduguri

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Maiduguri, la capitale dello Stato nigeriano di Borno, è colpita da nuovi attentati di Boko Haram, l’ultimo risale a domenica 20 settembre con un bilancio, a seconda delle fonti, dai 54 agli 85 morti. Nonostante questo, gli abitanti della città che l’avevano abbandonata per sfuggire alle violenze, stanno tornando.

Gli sfollati rientrati sono malati, affamati e traumatizzati
“I residenti hanno iniziato a tornare alla loro vita” ha detto al programma inglese della Radio Vaticana padre Gideon Obasogie, direttore delle Comunicazioni sociali della diocesi di Maiduguri. Secondo una sintesi dell’intervista inviata all’agenzia Fides, padre Obasogie ha affermato che “diversi villaggi, case, scuole, ospedali, ponti sono stati rasi al suolo dalla bombe di Boko Haram. La vita e gli spostamenti in questa parte della Nigeria sono molto difficili. Un gran numero di nostri fedeli sono tornati, ma sono malati, affamati e traumatizzati” ha aggiunto il sacerdote.

Invio di sacerdoti nelle zone più colpite dal terrorismo
“Queste comunità necessitano di assistenza e per questo il vescovo di Maiduguri, Oliver Dashe Doeme, ha preso la decisione inusuale di inviare sacerdoti in quelle comunità dove la sicurezza è ben lontana dall’essere garantita. Desidera che i sacerdoti accompagnino la popolazione mentre cerca di ricostruire la propria vita”.

L'ordinazione di tre sacerdoti un segno di speranza
​L’ordinazione sacerdotale di tre nuovi sacerdoti in una delle comunità che sono state bombardate e saccheggiate da Boko Haram è stata un segno di speranza. Nonostante i timori di nuovi attentati, i fedeli provenienti anche da luoghi distanti della diocesi si sono recati alla Messa di ordinazione.
Padre Obasogie ha infine affermato che “l’amministrazione del Presidente Buhari sta facendo del suo meglio per mettere fine all’insorgenza. I militari stanno avanzando e riprendendo le comunità che erano sotto il controllo dei terroristi. Nonostante questo, un gran numeroso di persone vivono nella paura della presenza di attentatori suicidi in città e nei villaggi”. (L.M.)

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Chiesa Terra Santa: auguri per celebrazioni di ebrei e musulmani

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Dal tramonto di ieri a quello di oggi, gli ebrei di tutto il mondo celebrano lo Yom Kippur, il giorno del “Grande Perdono”, giorno solenne di preghiera e digiuno, il più santo dell’anno ebraico. Da questa sera e fino a domenica 27 settembre, sarà il turno dei musulmani che festeggiano l’Aid El-Adha, la festa del Sacrificio, la più importante del calendario musulmano, che ricorda l’obbedienza di Abramo alla volontà di Dio. Per questi due eventi - riferisce l'agenzia Sir - la Chiesa cattolica di Terra Santa ha inviato “i suoi più sinceri auguri ai suoi fratelli ebrei e musulmani, con l’auspicio che questi giorni di festa siano, malgrado le tensioni attuali, l’occasione per vivere il rispetto reciproco, la giustizia, il perdono e la fraternità. Crediamo nello stesso Dio creatore e misericordioso, tutti apparteniamo alla stessa grande famiglia dei figli di Abramo. La Chiesa cattolica - conclude il messaggio - implora la benedizione dell’Onnipotente sui suoi fratelli ebrei e musulmani, e sulle loro famiglie”. (R.P.)

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Leader cristiani Nord Irlanda: crisi politica minaccia i più poveri

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Un cambio di marcia che porti ad “una società più equa, giusta ed inclusiva”, essenziale “per ricostruire la fiducia e fare avanzare il cammino della riconciliazione” in Nord Irlanda. E’ quanto chiedono, in una dichiarazione congiunta, i leader religiosi nord-irlandesi, che intervengono così sulla nuova crisi politica aperta dall'omicidio, il mese scorso, di un ex membro dell’Ira , per il quale sono stati arrestati tre esponenti del partito cattolico Sinn Fein. La crisi è precipitata  il 10 settembre con la decisione di Peter Robinson, Primo Ministro del Dup -  maggiore partito protestante della regione - di rassegnare le dimissioni, ritirando tutti i suoi ministri dall'esecutivo di Belfast. L’assassinio e gli arresti che ne sono seguiti hanno ulteriormente destabilizzato il già precario equilibrio tra unionisti e repubblicani raggiunto nel dicembre scorso con l’Accordo di Stormont sulla controversa riforma del welfare già messa in atto in tutto il Regno Unito e osteggiata dallo Sinn Fein.

I tagli al welfare e l’instabilità politica danneggiano i più vulnerabili
In questo contesto - che rischia di mettere fine a un decennio di governo autonomo congiunto fra unionisti e repubblicani in Nord-Irlanda, minacciando la pace che dura da quasi vent'anni - si inserisce l’appello dei leader cristiani irlandesi che richiamano l’attenzione sulle difficoltà economiche di tante famiglie nella regione. “Per un numero crescente di persone che lottano per sbarcare il lunario, l’attuale instabilità politica è un ulteriore motivo di ansia”, ammoniscono. “Insieme all’incertezza sugli effetti della riforma del welfare, i tagli ai servizi pubblici essenziali e il mancato accordo sul bilancio per la futura copertura di questi servizi, hanno un impatto significativo sui membri più vulnerabili delle nostre società”.

La povertà una minaccia alla coesione sociale
“Come cristiani – prosegue la dichiarazione, firmata, tra gli altri, dal Primate cattolico irlandese Eamon Martin – abbiamo la responsabilità non solo di donare generosamente per sopperire ai bisogni più urgenti, ma anche di collaborare con i leader politici e la comunità nel suo insieme per cambiare le strutture che intrappolano la gente nel circolo vizioso della povertà”. Una povertà che - si denuncia - ha raggiunto livelli inaccettabili soprattutto tra i bambini nord-irlandesi. I leader religiosi puntano quindi il dito contro i nuovi tagli alle spese sociali, soprattutto nel settore dell’educazione, che rischiano di vanificare i progressi compiuti negli ultimi anni per ridurre le disuguaglianze.  Di qui l’appello a cambiare passo ai leader politici che “hanno la possibilità decisiva di restituire la speranza a chi è in difficoltà e a chi ha perso la fiducia nelle istituzioni”: “I crescenti livelli di povertà ci allontanano dalla visione della società in cui vogliamo vivere, minacciando la coesione sociale in Nord-Irlanda”, concludono i leader religiosi. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 266

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.