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Sommario del 21/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Messa all'Avana. Papa: amare è servire le persone non le ideologie

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Una folla immensa ha partecipato, ieri, alla Messa presieduta dal Papa nella Piazza della Rivoluzione all'Avana. Hanno assistito il presidente cubano Raul Castro e la presidente argentina Cristina Kirchner. Papa Francesco nell'omelia ha parlato della logica dell'amore di Gesù che sconvolge le nostre logiche di grandezza e di potere. Il Vangelo esalta i piccoli, quelli che servono. Hanno accompagnato la liturgia canti gioiosi tipici della spiritualità cubana. Il servizio del nostro inviato all'Avana Sergio Centofanti

Logica di Gesù lontana da ogni elitarismo
Ad aprire la Messa nella Piazza della Rivoluzione un canto sulla speranza che viene della fede. La Piazza è cambiata: c’è il noto ritratto murale del Che Guevara, ma ci sono anche le immagini di Gesù misericordioso, di Papa Francesco e di Madre Teresa di Calcutta. Tantissimi i fedeli che sin dalla notte hanno affollato la Piazza. Profondo il silenzio durante la celebrazione. Commentando il Vangelo in cui i discepoli si chiedono chi sia il più grande tra di loro, il Papa spiega che Gesù sconvolge la loro logica, con la logica dell’amore che esalta i più piccoli, non i grandi, non quanti si sentono o vogliono essere superiori:

"Lejos de todo tipo de elitismo, el horizonte de Jesús no es para unos pocos privilegiados ..."
“Lontano da ogni tipo di elitarismo, l’orizzonte di Gesù non è per pochi privilegiati capaci di giungere alla 'conoscenza desiderata' o a distinti livelli di spiritualità. L’orizzonte di Gesù è sempre una proposta per la vita quotidiana, anche qui, nella 'nostra' isola; una proposta che fa sempre sì che la quotidianità abbia un certo sapore di eternità”.

Servire gli altri, non servirsi degli altri
“E’ il grande paradosso di Gesù” che dice: “chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri!”. E servire significa “avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. Sono i volti sofferenti, indifesi e afflitti che Gesù propone di guardare e invita concretamente ad amare. Amore che si concretizza in azioni e decisioni”:

"Hay un «servicio» que sirve a los otros; pero tenemos que cuidarnos del otro servicio, ...".
“C’è un ‘servizio’ che serve gli altri; però dobbiamo guardarci dall’altro servizio, dalla tentazione del ‘servizio’ che si serve degli altri. Esiste una forma di esercizio del servizio che ha come interesse il beneficiare i ‘miei’, in nome del ‘nostro’. Questo servizio lascia sempre fuori i ‘tuoi’, generando una dinamica di esclusione”.

Servizio non è mai ideologico, serve le persone non le idee
Occorre non cadere nelle tentazioni del “servizio che si serve” e farsi “carico gli uni degli altri per amore”, lontani “dallo sguardo che giudica”:

"Este hacernos cargo por amor no apunta a una actitud de servilismo, por el contrario, pone en el centro la cuestión del hermano: ...".
“Questo farci carico per amore non punta verso un atteggiamento di servilismo, ma al contrario, pone al centro della questione il fratello: il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a ‘soffrirla’, e cerca la sua promozione. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone”.

Il popolo di Cuba – afferma il Papa – “ha delle ferite, come ogni popolo, ma che sa stare con le braccia aperte”. L’esortazione di Francesco è a non trascurare la fragilità dei fratelli “a causa di progetti che possono apparire seducenti, ma che si disinteressano del volto di chi ti sta accanto”.

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Appello del Papa per la pace in Colombia: no a fallimento negoziati pace

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Al termine della Messa nella Piazza della Rivoluzione il Papa, prima dell'Angelus, ha lanciato un accorato appello per la Colombia, nella consapevolezza “dell’importanza cruciale del momento presente, in cui, con sforzo rinnovato e mossi dalla speranza, i suoi figli stanno cercando di costruire una società pacifica”. Proprio a Cuba si stanno svolgendo i colloqui di pace tra governo colombiano e guerriglieri delle Farc e il Papa ha ringraziato il presidente cubano Raul Castro per il suo impegno per queste trattative. Ecco le parole del Papa, accolte da un grande applauso:

"Que la sangre vertida por miles de inocentes durante tantas décadas de conflicto ...
Che il sangue versato da migliaia di innocenti durante tanti decenni di conflitto armato, unito a quello di Gesù Cristo sulla Croce, sostenga tutti gli sforzi che si stanno facendo, anche in questa bella Isola, per una definitiva riconciliazione. E così la lunga notte del dolore e della violenza, con la volontà di tutti i colombiani, si possa trasformare in un giorno senza tramonto di concordia, giustizia, fraternità e amore, nel rispetto delle istituzioni e del diritto nazionale e internazionale, perché la pace sia duratura. Per favore, non possiamo permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e riconciliazione”.

Quindi, il Papa ha esortato a pregare “per coloro che hanno perso la speranza, e non trovano motivi per continuare a lottare; per quanti soffrono l’ingiustizia, l’abbandono e la solitudine; preghiamo per gli anziani, i malati, i bambini e i giovani, per tutte le famiglie in difficoltà, perché Maria asciughi le loro lacrime, li consoli con il suo amore di Madre, restituisca loro la speranza e la gioia. Madre santa, ti affido questi tuoi figli di Cuba: non abbandonarli mai!”.

Sull'appello lanciato dal Papa per la pace in Colombia, Alvaro Vargas Martino ha intervistato mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente della Conferenza episcopale della Colombia. Il presule ha voluto tracciare un breve profilo storico sugli attuali dialoghi di pace e come si è arrivati a L’Avana ... 

R. -  La strada che è stata percorsa per arrivare a L’Avana è cominciata con un processo molto privato, un dialogo, qui, nella città di Bogotà, tra il Governo e la guerriglia, con lo scopo di verificare se, effettivamente, loro volevano andare fino in fondo, cioè, fino a terminare il conflitto e deporre le armi. Una volta verificato che avevano questa buona volontà, questa intenzione, allora, loro stessi – Governo e guerriglia- si sono accordati di iniziare questo dialogo e renderlo pubblico, a L’Avana. È molto più facile farlo là, nel senso che ci sono meno interferenze, meno difficoltà rispetto a farlo qua (in Colombia, ndr). Questo è iniziato e mi pare che sta procedendo molto bene proprio perché si tiene in un luogo un po’ isolato dove è possibile dialogare tranquillamente.

D. -  Perché proprio a L’Avana e non in un’altra città o in un altro Paese estero?

R. - C’è l’idea che la guerriglia abbia più fiducia di Cuba che di altri Paesi. Lì si sentono più sicuri, più protetti, e Cuba ha risposto effettivamente con la sicurezza, mettendo a disposizione, con una gentilezza unica, tutto il necessario perché questi dialoghi si potessero svolgere nel migliore dei modi. Mi pare che è stata più un’idea della guerriglia, però penso che tutti erano d’accordo sul fatto di continuare questi dialoghi fuori dalla Colombia. Anche se non era esattamente L’Avana il luogo scelto dal Governo, penso che, alla fine, è stata una buona decisione. Io sono stato diverse volte a L’Avana, ci sono stato sei volte, accompagnando le vittime del conflitto, che erano dodici alla volta, e così ho potuto constatare come il Governo di L’Avana è stato molto gentile, molto sollecito, nel dare il proprio aiuto in qualunque cosa, dal servizio dall’aeroporto al centro dove si tenevano le riunioni, ad altri servizi che si rendessero necessari.

D. - Sappiamo dell’importantissimo ruolo che la Chiesa colombiana sta svolgendo nell’accompagnare i dialoghi di pace. Ma quale è l’impegno della Chiesa colombiana in favore della popolazione colpita dal conflitto nel Paese?

R. - Il nostro impegno è, prima di tutto, che queste vittime smettano di considerarsi vittime e siano persone sopravvissute a qualcosa di difficile, però che hanno ripreso nelle loro mani la propria vita e, con l’aiuto di Dio, hanno fatto un progetto di vita nuovo, un progetto nel quale non si sentano vittime, perché essere vittima è una disgrazia. Non esistono vittime felici, sono due parole che si contrappongono. Questo, da una parte. D’altra parte, noi insistiamo molto sul perdono e la riconciliazione, ma prima di tutto sul perdono, perché il perdono è un dono della vittima al “carnefice”. Il perdono è un momento di liberazione da tante cose che si possono portare nel cuore e che arrecano amarezza, che rendono la vita triste e difficile, per cui l’insistenza sul perdono è molto importante. Poi, qui tutti parlano di riconciliazione e speriamo che anche questo si dia poco a poco. Evidentemente, anche con queste cifre altissime di colombiani vittime della violenza, molti hanno compiuto questo passo verso il perdono, ma io direi che mancano ancora tantissimi altri, per cui ancora ci sono sentimenti d’odio, di vendetta e di tante cose negative, perché non è facile superare questo tipo di situazioni, non è facile neanche perdonare, ma questo è un compito che bisogna continuare. In questo senso, gli interventi del Papa sono meravigliosi per aiutare queste persone a essere diverse.

D. - Riguardo al ruolo specifico dei rappresentanti della Chiesa colombiana nel tavolo dei negoziati?

R. - Noi non abbiamo un ruolo nel tavolo dei negoziati, perché i negoziati sono un fatto al cento per cento politico. Noi siamo stati a L’Avana diverse volte, ma, come ho detto, prima di tutto, per accompagnare le vittime, e per fare da moderatori, cioè, coordinare i dialoghi tra le vittime e il tavolo dei negoziati. Quello sì, l’abbiamo fatto. Siamo stati presenti in tutti gli incontri. Gli altri sono aspetti che non richiedono la nostra presenza. Semplicemente, seguiamo da fuori tutto il processo. Però, bisogna anche dire che siamo andati a L’Avana per partecipare nel processo del dialogo, ma al di fuori dello stesso dialogo e per incontrare le stesse persone, e cioè, i membri del tavolo dei negoziati. E questo lo abbiamo fatto anche ultimamente quando abbiamo avuto un incontro con i rappresentanti della Guerriglia delle Farc.

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Papa ai sacerdoti, consacrati e seminaristi: siate poveri e perdonatori

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Povertà, servizio agli ultimi, capacità di perdono: non devono mai mancare nella vita di sacerdoti, consacrati e seminaristi. Così il Papa ai durante l’omelia dei Vespri celebrati nel pomeriggio nella cattedrale dell’Avana. Il servizio di Roberta Gisotti: 

“Povertà è una parola scomoda”, “che va controccorente” – ha detto il Papa – riprendendo quanto già sottolineato prima di lui dal cardinale Jaime Ortega., arcivescovo dell'Avana.

"El espíritu mundano no la conosce, no la quiere, la esconde ...
Lo spirito mondano non la conosce, non la vuole, la nasconde, non per pudore ma per disprezzo. Per questo lo spirito del mondo non ama il cammino del figlio di Dio che si è abbassato, si è fatto povero, si è umiliato, per essere uno di noi”.

Quindi la raccomandazione a sacerdoti, consacrati e seminaristi che gremivano la cattedrale:

“Que hay que saber administrar los bienes, es una obligación ...
Saper gestire i beni, è un obbligo, perché i beni sono un dono di Dio ma quando tali beni entrano nel cuore e cominciano a guidare la vita la si perde”. Ecco perchè - ha provocato il Papa - gli economi che fanno disastri nelle Chiesa sono “benedizioni di Dio”, “perchè la rendono libera, la rendono povera”.

Poi un grazie speciale a quante religiose si prendono cura di chi viene scartato disprezzato dal mondo.

“Cuántas religiosas, y religiosos, queman su vida, acariciando material de descarte ..."
E, un richiamo ai sacerdoti a farsi i più piccoli nel confessionale. "Pensate ai vostri peccati, e pensate che potete essere quella persona, e che potrenzialmente potese scendere ancora più in basso". "Pensate che voi in quel momento avete un tesoro fra le mani, che è la misericordia del Padre. Per favore – ha invocato Francesco - i sacerdoti non si stanchino mai di perdonare. Siate perdonatori".

“Por favor - a los sacerdotes - no se cansen de perdonar. Sean perdonadores".

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Il Papa ai giovani: sognate cose grandi, non camminate mai da soli

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Al termine della celebrazione dei Vespri nella cattedrale dell’Habana, il Papa ha incontrato i giovani nell’ultimo appuntamento di una giornata molto densa . In migliaia sotto una leggera pioggia lo aspettavano davanti al Centro Culturale annesso alla Chiesa e intitolato a padre Félix Varela, educatore e servitore della patria. Un luogo emblematico, "culla dell’identità nazionale di matrice cristiana", ha detto il rettore padre Carvajal al Papa, dove gli universitari cubani a prescindere da fede e ideologie, si ritrovano “come un’unica famiglia”.  E' stato un dialogo all’insegna della spontaneità e dell’entusiasmo, in cui Francesco ha lasciato ai giovani l’invito a sognare, a coltivare la speranza e la cultura dell’incontro. Il servizio di Gabriella Ceraso

"Ante ti querido papa Francisco hay jóvenes diversos y plurales ...
Davanti a te caro Papa Francesco ci sono giovani diversi, credenti e non credenti, ma uniti da una speranza: un futuro di profondo cambiamento in cui Cuba sia la casa di tutti i suoi figli".

E' Leonardo a prendere la parola davanti al Papa. Racconta con entusiasmo i sogni della gioventù cubana, ideali di accoglienza, libertà, solidarietà; chiede preghiere e anche “qualcosa di speciale” che rinnovi in loro la speranza. Francesco prende appunti e, ancora una volta, sceglie di parlare a braccio, ispirato da quanto ascoltato :

"Una palabra que cayò fuerte: soñar ...
Una parola che è risuonata forte è 'sognare'.....".

Il Papa insiste sull’importanza di essere capaci di sognare, misura, dice, del cammino della vita.Un giovane che non sogna, è chiuso in se stesso. Spesso, osserva, sogniamo cose che non si avvereranno, ma non importa, voi apritevi, sognate che il mondo con voi possa essere diverso e raccontate le cose grandi che avete in cuore…

Poi l’accento sulla nozione di “amicizia solidale”. Siate in grado di crearla, chiede il Papa ai giovani, partendo dalle cose che ci uniscono, per poi discutere e non litigare, di ciò che ci divide. Insomma "lavorate insieme per il bene comune" pur avendo diverse convinzioni. Francesco parla di "cuori aperti e menti aperte", senza costrizioni ideologiche e religiose. 

"La enemistad social destruye. Y una familia se destruye por la enemistad. ...
L’inimicizia sociale distrugge. Una famiglia si distrugge per l'inimicizia, un Paese si distrugge per inimicizia, il mondo si distrugge per l'inimicizia": e la più grande inimicizia, sottolinea il Papa, è la guerra che distrugge il mondo, perchè si è incapaci di sedersi, parlare, negoziare."E quando c'è divisione, c'è la morte". 

Quindi il passaggio più forte del suo discorso, sulla "speranza":

"Los jóvenes son la esperanza de un pueblo. Eso lo oímos de todos lados.... Pero, ¿qué es la esperanza? ...
I giovani sono la speranza di un popolo. Lo si sente dire da ogni parte, ma cosa significa? E' essere ottimisti? No...”.

La speranza è qualcosa in più, precisa il Pontefice, “è saper soffrire e sacrificarsi per un progetto. La speranza è feconda e dà vita. Essa si trova nel lavoro, che manca a tanti giovani europei, condannati, come gli anziani, dalla cultura dello scarto imposta dal Dio denaro ad una sorta di "eutanasia occulta". Quindi l'invito  ribadito a sperare, perché un giovane senza speranza, dice Francesco, è già andato in pensione per il disfattismo.

"El camino de la esperanza no es fácil y no se puede recorrer solo ...
Il cammino della speranza non è facile e non lo si può percorrere da soli", aggiunge il Papa in conclusione, consegnando un'ultima parola ai giovani cubani, la "Cultura dell’incontro", e con essa un invito:

"Por favor, no nos desencontremos entre nosotros mismos ...
Per favore evitiamo gli scontri tra noi, andiamo accompagnati, insieme, incontriamoci anche se la pensiamo in modo differente", cercando la speranza, cercando il futuro e la nobiltà della patria.

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Incontro cordiale tra Papa Francesco e Fidel Castro

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Papa Francesco ha incontrato all'Avana l'ex presidente cubano Fidel Castro. Lo ha riferito il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Il colloquio, durato poco più di mezz’ora, si è svolto dopo la Messa, nella residenza dell’anziano leader della rivoluzione cubana, in un clima cordiale e informale. Erano presenti anche la sposa di Fidel e altri familiari. Il Papa era accompagnato dal nunzio apostolico a Cuba, mons. Giorgio Lingua.

Il Papa ha donato a Castro alcuni libri di don Alessandro Pronzato sull'umorismo e la fede, una copia dell'Enciclica Laudato si' e della Esortazione apostolica Evangelii gaudium e alcuni Cd contenenti delle riflessioni del padre gesuita Armando Llorente, scomparso nel 2010, già professore di Fidel.

Il comandante ha donato al Papa una copia del libro "Fidel e la religione" di Frei Betto (1997) con una dedica: "Per papa Francesco in occasione della sua visita a Cuba con l'ammirazione e il rispetto del popolo cubano". L’ex presidente ha posto a Papa Francesco alcune domande riferendosi in particolare alla difesa dell'ambiente e alla situazione attuale del mondo. Fidel Castro aveva già incontrato Papa Wojtyla nel 1996 in Vaticano e nel 1998 a Cuba e Benedetto XVI all’Avana nel 2012. 

Nel pomeriggio il Papa ha poi incontrato il presidente Raul Castro nel Palazzo presidenziale dell’Avana. Il colloquio è durato circa 50 minuti. Al termine c’è stato lo scambio dei doni. Francesco ha donato al leader cubano un Mosaico della Vergine del Cobre. L’opera è stata realizzata dai Mosaicisti dello Studio del Mosaico della Fabbrica di San Pietro. Il presidente Castro ha donato al Papa un grande crocifisso in legno.

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P. Lombardi: popolo cubano colpito da forza spirituale di Francesco

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Al termine dell'intensa giornata di ieri a L'Avana, il nostro inviato a Cuba, Sergio Centofanti, ha intervistato il direttore della nostra emittente e della Sala Stampa vaticana al seguito del Papa, padre Federico Lombardi

D. – Padre Lombardi, vediamo un poco questa giornata molto intensa. Innanzitutto, la Messa: cosa si può dire?

R. – La Messa è sempre il culmine di un viaggio pastorale del Papa, è il grande incontro con la comunità cristiana, è il momento della fede e della comunione. Tra l’altro, in questa Messa c’erano cinque bambini che facevano la prima comunione e hanno ricevuto dal Papa – cosa che non è comune – la prima comunione. Questo può essere considerato anche un piccolo segno di speranza e di indicazione di una vitalità di una Chiesa che cresce: i bimbi, i giovani che si avvicinano al Signore e possono nutrirsi di lui per costruire il loro futuro. Naturalmente, di questa Messa noi ricorderemo certo la devozione, perché è stata una Messa molto partecipata, molto serena, molto raccolta, con una bellissima omelia del Papa sul servizio che era collegata al Vangelo ma che certamente si riferiva anche al modo in cui si deve vivere insieme in una società che ha i suoi problemi, che ha tante forme di fragilità in cui quindi bisogna servire a partire dai più fragili e dai più piccoli. Nell’Angelus abbiamo avuto un forte ricordo, un forte messaggio per le trattative di pace in Colombia, che in questo periodo si svolgono a Cuba, e questo certamente significa che il Papa continua a guardare ai problemi della pace nel mondo con grande attenzione e ha dato un messaggio estremamente forte a coloro che stanno trattando, dicendo: “Non è possibile che si abbia un nuovo fallimento in questo momento di trattative”. Quindi, un incoraggiamento molto grande a camminare verso la pace.

D. – Dopo c’è stato l’incontro con Fidel Castro …

R. – L’incontro con Fidel Castro era prevedibile anche se non era nel programma ufficiale: bisognava vedere, appunto, quando e come si sarebbe potuto realizzare; ma tutti sapevano che c’era un desiderio importante del comandante Fidel di vedere il Papa, come era stato fortissimo il suo desiderio di vedere Papa Benedetto in occasione della sua visita precedente, di parlare con lui, di fargli delle domande, perché il comandante Fidel in questa fase della sua vita – certamente è una fase conclusiva, perché è una persona anziana – vive di riflessione, vive di studio e di riflessione: legge molto e quindi è anche interessato a porre domande, a poter dialogare con persone che hanno una grande esperienza. Così era stato esplicitamente con Papa Benedetto e così è stato anche con Papa Francesco. Fidel aveva chiesto a Papa Benedetto di dargli poi dei libri, di mandargli dei libri che gli potessero essere utili per le sue riflessioni, e il Papa Francesco ha preso l’iniziativa – sapendo questo, ricordando questo – di portargli già lui stesso dei libri come dono. E gli ha portato due libri di Pronzato, che è un autore cattolico, un sacerdote italiano che molti conoscono come autore fecondo di considerazioni spirituali e catechetiche; e poi, un’altra cosa significativa, un libro e due cd di registrazioni del padre Llorente, che è un padre gesuita, morto alcuni anni fa, che era stato molto vicino a Castro come educatore quando Castro, da ragazzo, andava a scuola dai Gesuiti nel Collegio di Belen. Quindi, questa evocazione del suo rapporto con un educatore che aveva toccato profondamente la sua vita in giovinezza è stato anche un pensiero molto significativo da parte del Papa. Che gli ha dato anche, naturalmente, i due grandi documenti scritti da lui recentemente, la “Evangelii gaudium” e la “Laudato si’”: la “Laudato si’” pensando agli argomenti a cui Castro si interessa, anche in questa fase della sua vita, alle grandi domande del mondo di oggi e del suo avvenire. Certamente è un documento che troverà estremamente interessante. Per parte sua, il comandante Castro ha dato al Papa un libro, anche abbastanza noto: “Fidel e la religione”, di Frei Betto, una conversazione con Frei Betto. Quindi è stato un momento di familiarità, di scambio sereno anche alla presenza di diversi membri della famiglia, e certamente un momento positivo.

D. – Nel pomeriggio ci sono stati questi due eventi molto intensi: con i religiosi e i consacrati in cattedrale e con i giovani. Il Papa ha messo da parte il testo preparato e ha parlato a braccio …

R. – Sì: per i giovani eravamo praticamente certi, anche prima, perché fa quasi sempre così. Per i religiosi, fa spesso così e l’ha fatto anche questa volta, anche perché stimolato dagli interventi veramente molto belli, molto efficaci. L’intervento sia del cardinale Ortega, sia di una religiosa che fa attività in una istituzione per handicappati mentali, sia la testimonianza del giovane che ha parlato con molta forza del desiderio di sognare una Cuba migliore, rinnovata, e dell’impegno dei giovani per un dialogo pur con le differenze che ci sono tra di loro … Ecco, sono stati interventi che hanno stimolato il Papa: ha trovato in questi interventi introduttivi una materia più che sufficiente per reagire con suoi pensieri che in parte gli sono abituali, con questi uditori, ma che certamente erano molto pertinenti anche agli interventi che aveva ascoltato. Con i religiosi ha parlato di povertà, ha parlato di misericordia, ha parlato di perdono, ha parlato della umiltà di Cristo che serve gli altri a partire dai piccoli e dai poveri. E per i giovani ha parlato del “sognare”: sognare in senso positivo, di avere grandi ideali, di non avere paura di cercare di fare grandi imprese per il bene comune del proprio Paese. E farlo, però, in dialogo con gli altri: non da soli, ma accompagnandosi con gli altri, sempre nello sfondo di questa cultura dell’incontro che è un po’ una caratteristica di Papa Francesco che vede, appunto, il dialogo e l’incontro con l’altro, con le persone concrete più che con le idee o con le ideologie, ma con le persone concrete, la possibilità di costruire un cammino comune orientato al bene comune, orientato alla crescita della persona, alla sua dignità, al rispetto dell’altro anche se si hanno prospettive, esperienze, ideologie differenti.

D. – Il Papa è contento?

R. – Certamente … c’è qualche momento in cui può sentire la fatica, anche perché un giorno come questo è stato estremamente intenso. Però, lo vediamo reagire sempre con un’energia straordinaria: quando ha fatto questi due discorsi a braccio, abbiamo sentito la forza spirituale e anche fisica e morale che lo trascina in questo suo ministero attraverso il mondo.

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P. Suarez: Chiesa cubana povera ma gioiosa e fedele

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Papa Francesco presiederà, domani, la Messa nella Basilica della Vergine della Carità del Cobre. In questo Santuario è custodita l’immagine di Maria trovata sulle acque della Baia di Nipe da tre giovani pescatori nel 1612. Il popolo cubano è molto devoto alla cosiddetta “Vergine Mambisa”, Patrona di Cuba. Su questo evento ascoltiamo padre Ariel Suarez, rettore del Santuario di Nostra Signora della Carità del Cobre all’Avana, al microfono del nostro inviato Sergio Centofanti: 

R. – E’ innanzitutto un grande dono di Dio. Lo vediamo come un privilegio perché sappiamo di essere un Paese e una chiesa piccola e abbiamo avuto anche le visite in precedenza di Papa San Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI. Dunque che un terzo Papa venga a incontrarci nell’arco di pochi anni è un grande dono. Il fatto che Papa Francesco sia un Papa latinoamericano, il fatto che compie gesti importanti e venga rispettato e amato anche dal popolo non credente, dal mondo in genere, tutto ciò crea aspettative molto forti nel popolo cubano, nella Chiesa, che sente la visita del Papa come un rafforzamento della nostra strada di servizio, di comunione, di evangelizzazione.

D. – Com’è la Chiesa cubana?

R. – La Chiesa di Cuba è una chiesa piccola, povera, però è molto entusiasta, è un piccolo seme che ha una grande capacità di fermentare, di contagiare tutto il resto. In questo senso è presente forse dove noi non possiamo percepire a una prima visione, perché ha un raggio di influsso nella società, con la fedeltà, con la testimonianza dei nostri cattolici, una testimonianza molto semplice, molto umile, però è veramente feconda, di amore, di bontà, di tenerezza. Questa presenza dei nostri fedeli cattolici che visitano i malati nei quartieri, vanno a cercare i bambini per portarli al catechismo... Dunque, questa è la realtà ecclesiale: una Chiesa piccola, però una Chiesa unita, una Chiesa fedele, che ama Dio, che ama la Madonna della Carità, che ama profondamente il Papa. Poi, la questione della religiosità del cubano è un altro discorso. La religiosità del cubano è molto variegata. C’è ovviamente questa fede di quanti si identificano con la Chiesa cattolica, c’è questa pietà popolare di cui parla Papa Francesco, quando si riferisce all’America Latina e Papa Francesco sa che questa è una ricchezza. E’ vero che anche da noi ci sono altri influssi di religioni provenienti dal mondo africano, quella che noi chiamiamo “santéria”, che è molto diffusa anche nella nostra realtà. E poi è vero che ci sono Chiese evangeliche, diverse realtà ecclesiali non cattoliche. Dunque c’è un ampio ambito di religiosità. Noi possiamo dire che il popolo è religioso; nello stesso tempo, però, non possiamo dire che abbia una fede matura, ben formata, questo sicuramente no. Ma questa è la sfida dell’evangelizzazione per la Chiesa, per tutti noi.

D. – Cuba sta vivendo grandi cambiamenti, quali sono le vostre speranze per il futuro di Cuba?

R. – Per me, che sono sacerdote, i grandi cambiamenti avranno un influsso vero, autentico, nella vita del popolo, quando saremo in grado di cambiare i cuori, quando ci lasceremo trasformare dalla grazia del Signore Gesù. E allora se cambiano i nostri cuori, Cuba cambierà per il meglio. Questa è la nostra preghiera: che questa visita pastorale di Papa Francesco, la sua presenza tra di noi, sia lo strumento della grazia di Dio per poter trasformare tanti cuori dei cubani e così poter costruire una Cuba più fraterna più solidale, più radicata nella parola di Cristo.

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Gli Usa attendono Papa Francesco

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Gli Stati Uniti aspettano l’arrivo di Papa Francesco che nel suo decimo viaggio apostolico, dopo Cuba, arriverà a Washington accolto dal Presidente Obama e dalla sua famiglia. Fitto il calendario degli incontri che condurrà il Pontefice, anche a New York, nella Sede della Nazioni Unite e poi a Philadelphia al Meeting mondiale delle Famiglie. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti

“He is coming” – “Sta arrivando” è la scritta di uno dei tanti cartelloni che ritrae il volto di Papa Francesco sorridente con il pollice all’insù. Immagini come questa colorano Philadelphia che con il Meeting internazionale delle Famiglie è stato impulso di questo viaggio apostolico e che dopo Washington e New York abbraccerà il Pontefice. Veglie di preghiera e tanta gioia sostengono il Successore di Pietro che viene per confermare nella fede ed abbracciare tutto il popolo americano.  Massime le misure di sicurezza, ma altissima è soprattutto l’emozione. Come ribadisce, in un comunicato video, il sindaco di Washington Muriel Bowser:

“Sono così emozionata che Papa Francesco venga a Washington come sindaco di questa grande città mi unisco alla passione del Papa per il servizio. Sono anche d’accordo con la sua convinzione che dobbiamo aiutare quelli che tra noi sono più vulnerabili, inclusi gli uomini, le donne e i bambini che vivono nelle nostre strade e nei nostri ricoveri. Nello spirito di Papa Francesco e nella sua dedizione nel servire gli altri, lancio una sfida alla regione metropolitana di Washington DC perché stia unita: insieme siamo più forti e insieme possiamo farcela”.

Davanti al Madison Square Garden di New York troneggia il murale più alto del mondo, qui Francesco è lungo 54 metri. Il dipinto del quarantunenne Van Hecht-Nielsen, artista convertitosi al cattolicesimo, recita “Welcome Pope Francis” e darà effettivamente il benvenuto al Pontefice quando mercoledì nello Stadio sulla settima Avenue celebrerà la Santa Messa, dopo la Canonizzazione del Beato Junipero Serra a Washington.

La vista del Papa è un evento che semina nel futuro ha detto il primo cittadino di New York Bill de Blasio incontrando la popolazione nell’attesa dell’arrivo di Francesco:

“Possiamo dire in modo sicuro di non avere mai visto niente di simile prima e gli diamo il benvenuto, lo abbracciamo e non vediamo l’ora avvenga. Io ho la grandissima sicurezza che gli uomini e le donne e tutti i nostri partner radunati qui avranno la capacità di far funzionare e rendere questa serie straordinaria di eventi sicuri. La visita del Santo Padre per me sarà qualcosa che ci ispirerà, ci illuminerà e ci darà – penso – carburante per il costante miglioramento della nostra città negli anni a venire”.

Tutte le principali testate nazionali e locali attendono l’arrivo in terra americana del Papa. Ci si interroga sul fronte politico, Francesco per la prima volta nella storia del Paese sarà un Papa che parlerà al Congresso, si ipotizzano i temi che affronterà anche alle Nazioni Unite, in testa quello dell’immigrazione, l’ambiente, l’economia e la famiglia tema e motivo del viaggio negli Stati Uniti. Il Papa è atteso da tutto il Paese non solo dai cattolici, ribadiscono per le vie delle città. Creati siti internet, applicazioni per i cellulari ed anche canali televisivi che 24ore su 24 racconteranno ogni tappa di questo decimo viaggio pastorale internazionale. Migliaia i volontari impegnati. Ultimi preparativi anche Philadelphia dove domani inizia anche il Meeting Mondiale delle Famiglie e si attende l’arrivo del Papa il sindaco Michael Nutter ribadisce che tutto è pronto e sottolinea che oltre un milione di persone stanno confluendo nella città della Liberty Bell.

R. – What we expect is the eyes of the world to be on Philadelphia …
Quello che noi ci aspettiamo è che gli occhi del mondo si posino sulla città di Philadelphia per seguire l’Incontro mondiale delle famiglie e la visita di Papa Francesco negli Stati Uniti d’America. “E’ un momento incredibile - continua Nutter - siamo pronti”.  Insomma il clima è quello di festa per un’America che aspetta a braccia aperte l’arrivo di Papa Francesco.

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Papa al Palazzo di Vetro: Onu isserà bandiera Santa Sede

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Dopo consultazioni con la Santa Sede, le Nazioni Unite isseranno per la prima volta la bandiera della Santa Sede la mattina del 25 settembre, così che sia esposta all'arrivo di Papa Francesco alla Sede dell'Onu a New York. La Santa Sede e il segretariato delle Nazioni Unite, si legge in un comunicato della rappresentanza vaticana al Palazzo di Vetro, hanno concordato che la bandiera verrà issata senza alcuna cerimonia. Il personale delle Nazioni Unite la isserà in quel giorno insieme con le altre bandiere.

La bandiera della Santa Sede si compone di due bande verticali, una gialla e l’altra bianca. Nella parte bianca sono raffigurate due chiavi incrociate, una dorata e l’altra argentea, tenute insieme da una corda rossa e sormontate da un triregno, o tiara, con in cima una croce. Le chiavi (cfr Mt 16,19) e la tiara sono entrambe simboli tradizionali del Papato. Questa bandiera è quella ufficiale della Santa Sede dal 1929.

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Papa negli Usa: media pronti a copertura senza precedenti

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I media statunitensi stanno raccontando da giorni l’attesa per la visita pastorale del Papa che arriverà a Washington domani. Sia i principali network sia le testate locali stanno impegnando risorse per coprire quello che nella percezione degli stessi americani è un evento senza precedenti. Al microfono del nostro inviato Massimiliano Menichetti, Delia Gallagher una delle giornaliste di Cnn international che segue il viaggio del Papa: 

R. - Non c’è dubbio, c’è una grande attesa per questa visita storica di un Papa di grande popolarità. Direi che c’è anche una grande attenzione su quello che potrebbe dire sui temi dell’immigrazione, capitalismo, clima che sono temi molto sentiti negli Stati Uniti. Siamo anche già in campagna elettorale per le presidenziali dell’anno prossimo. E ciò che dirà al Congresso, per esempio, ogni parola sarà in qualche modo usata, forse strumentalizzata per la campagna elettorale ma non solo, saranno parole che torneranno nei discorsi dei politici e nella "conversazione nazionale"… Quindi c’è anche un’attesa di questo tipo, ovvero quella che cerca di capire che cosa pensa il Papa e come ciò che dirà sarà ricevuto da un popolo che è abbastanza diviso nel modo di vedere questi argomenti.

D. - La popolazione come percepisce la visita del Papa?

R. – C’è un’attesa di massa che gioisce per la visita di questa grande figura tanto amata. Anche chi non è cattolico vive un momento di orgoglio per il fatto che il Papa visiti il proprio Paese e quindi abbiamo il grande murales nel midtown di New York: si tratta di un enorme dipinto di Papa Francesco che lo accoglie e che esprime questa gioia. Abbiamo addirittura un nuovo canale 24 ore su 24 sul Papa, creato proprio per questo viaggio. C’è l’app “Joke with the Pope” che è una delle tante app ideate per questo viaggio…  insomma su tutti i livelli, tutti si sentono partecipi, non solo i cattolici.

D. - Come i media statunitensi si sono impegnati nel raccontare questa visita del Papa?

R. - Intanto non ho mai visto nei miei 17 anni come giornalista una tale eccitazione, una tale anticipazione di un evento perché, ripeto, anche per chi non è cattolico - io lavoro per una testata che non è assolutamente religiosa - è un evento di grande importanza: la figura di questo Papa è molto sentita e molto amata da tutti.

D. – Tu lavori per Cnn: come Cnn coprirà questo evento?

R. – Cnn è specializzata nel seguire i grandi eventi. Siamo un canale 24 ore su 24 quindi è chiaro che mettiamo in onda non tutto ma quasi tutto quello che dice e fa il Papa. Abbiamo centinaia, per non dire migliaia, di persone fra operatori, producer e giornalisti che si stanno dedicando giorno e notte a questo evento.

D. – L’incontro con Obama; il Papa parlerà al Congresso; sarà a Gorund zero e poi Philadelphia all’incontro mondiale con le famiglie; incontrerà, poveri, immigrati… un viaggio intenso… Qual è il volto degli Stati Uniti chi lo accoglierà?

R. – Intanto è un volto sorridente, come si dice sempre di noi americani, che sorridiamo. Poi ci sarà un’attenzione particolare ai contenuti del Papa per gli argomenti come l’immigrazione, tema che è molto sentito negli Stati Uniti per via delle frontiere con il Messico… Le parole del Papa andranno poi misurate con le opinioni che già la gente ha di questi argomenti... Ad esempio come si è visto, se un candidato repubblicano per le presidenziali come Jeb Bush si è permesso di dire in campagna elettorale che non prende lezioni economiche dal Papa, vuol dire che lui è convinto che c’è un popolo che è d’accordo con lui.

D. – Questo in relazione all’Enciclica del Papa Laudato si’?

R. – Esatto. Questo è rappresentativo della visione che viviamo su questi argomenti.

D. - Qual è il tuo auspicio per questo viaggio di Papa Francesco?

R. – L’augurio per questa visita non è tanto sugli argomenti politici e sociali, ma che il Papa possa portare un momento sacro, trascendente, di riflessione. Noi siamo anche un popolo molto religioso, non tutti cattolici, però penso che gli americani avranno anche un’opportunità, un momento di riflessione insieme al Papa e questo potrebbe aiutare il nostro Paese.

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Papa a nuovo patriarca assiro: vicino a cristiani perseguitati

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In un telegramma Papa Francesco esprime gioia per l’elezione del nuovo patriarca della Chiesa assira d’Oriente, Mar Gewargis Sliwa III. Francesco rivolge a tutto il clero e ai fedeli della Chiesa assira la preghiera allo Spirito Santo affinchè elargisca le sue abbondanti benedizioni sul nuovo patriarca nel nobile compito che lo attende perchè sia “costruttore instancabile di pace e armonia, servitore del bene comune e del bene di tutto il Medio Oriente". Il Pontefice si unisce inoltre alla preghiera per tutti coloro che soffrono a causa della "tragica situazione nella regione" , pensando in particolare ai “fratelli cristiani e di altre minoranze religiose in Iraq e Siria”. “Con lei – scrive il Papa a Mar Gewargis Sliwa III – chiedo al Signore di concedere loro forza affinchè siano perseveranti nella loro testimonianza cristiana. Infine il Pontefice nell’esprimere gratitudine a Dio per i legami di fraternità tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa assira d’Oriente, augura che l’amicizia e il dialogo proseguano e siano ulteriormente sviluppati. 

L'insediamento a Erbil il prossimo 27 settembre
La cerimonia liturgica di insediamento del nuovo patriarca sarà celebrata nella cattedrale di san Giovanni ad  Erbil il prossimo 27 settembre. Mar Gewargis Sliwa III succede a Mar Dinkha IV, spentosi a marzo negli Stati Uniti, dopo un mandato patriarcale durato 39 anni. Il Sinodo della Chiesa assira d'Oriente ha scelto il suo nuovo patriarca lo scorso 18 settembre. Mar Gewargis Sliwa, già metropolita di Iraq, Giordania e Russia, era l'unico metropolita assiro ancora residente in territorio iracheno. La sede patriarcale assira, in seguito all'esilio del patriarca Mar Eshai Shimun XXIII, ha lasciato il Medio Oriente dal 1933 e dal 1940 è stata insediata presso Chicago, negli Stati Uniti. Dal 2006 è iniziato il progetto di costruzione di una residenza patriarcale a Erbil, che viene portato avanti ancora oggi e che rende ancora plausibili le voci su un possibile trasferimento della sede patriarcale nella capitale del Kurdistan iracheno. 

Chi è il nuovo patriarca
​Gewargis Sliwa, 112.mo patriarca della Chiesa assira d’Oriente,  è nato il 23 novembre del 1941 ad Habbaniya, in Iraq. Ha compiuto i suoi studi prima a Baghdad e poi negli Usa. E' stato ordinato sacerdote nel giugno del 1980 e arcivescovo metropolita per l'Iraq nel 1981. (A cura di Paolo Ondarza)

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Un milione di visitatori al Padiglione Expo della Santa Sede

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Un milione di presenze al Padiglione della Santa Sede all’Expo di Milano. E’ il traguardo toccato ieri con l’ingresso delle Piccole apostole della carità, l’istituto fondato da don Luigi Monza. Crescono anche le offerte libere destinate ai campi profughi in Giordania che è possibile fare all’interno dello stand. Benedetta Capelli ha intervistato Luciano Gualzetti, vicecommissario del Padiglione della Santa Sede: 

R. – Come Santa Sede, noi abbiamo presentato – oltre a tutta una serie di convegni che portavano, appunto, la riflessione sui temi che ci stanno a cuore – un Padiglione molto particolare, un Padiglione senza eventi commerciali, senza vendite, ma solo di riflessione. Quindi il fatto che all’interno di questo contesto, anche molto variegato e con tante presenze, un milione di persone abbiano comunque scelto di entrare in un Padiglione "sobrio", che fa riflettere anche in modo brusco, perché appena entrati si vedono i volti delle persone colpite dai conflitti, dalla fame, dall’abuso dell’utilizzo del Creato e abbiano iniziato a riflettere, a fare un percorso anche attraverso il messaggio cristiano dell’Eucaristia - ci sono stati due quadri: prima uno del Tintoretto sull’Eucaristia e adesso un arazzo del Rubens sempre sull’Eucaristia; ma poi un tavolo interattivo che dice che la vita va promossa integralmente; ed anche tre progetti di solidarietà che oggi il Santo Padre fa nel mondo - per noi è un grande risultato. In fondo la sfida era quella di catturare per 10 minuti, 20 minuti l’attenzione di visitatori, che magari erano entrati per tutt’altro. Quindi il fatto che siano entrati e che stiano entrando molte persone ci conferma nell’ipotesi fatta: bisognava esserci, bisogna esserci così, cercando di portare delle riflessioni e soprattutto una proposta che parte dal Vangelo, che è quella della condivisione, che nasce ovviamente dall’Eucaristia, e che anche di fronte a non credenti o a persone di altre religioni può dire qualcosa di fortemente umano e quindi anche cristiano.

D. – Quindi il visitatore che ha avuto accesso al Padiglione della Santa Sede - possiamo dire - è un visitatore curioso?

R. – Da noi sono entrati anche giovani che volevano sapere quale fosse il cibo del Papa e poi si sono resi conto che il cibo del Papa è una Parola, è una relazione, una relazione di solidarietà, che quindi passa attraverso un cambio di mentalità, un cambio anche di modelli economici. Naturalmente poi ci sarà quello che è entrato solo per curiosità e ne è uscito come prima, ma io ho visto che la stragrande maggioranza dei visitatori sono usciti e ci hanno fatto i complimenti, dicendo che è uno dei pochi che veramente fa capire come “nutrire il Pianeta” e come “energia per la vita” possano essere declinati e declinati da parte della Chiesa. Quindi questi ritorni ci confortano sul fatto che anche quelli che sono entrati in maniera distratta, hanno poi capito che c’era qualcosa di diverso.

D. – C’è poi anche questo aspetto importante delle donazioni: si può fare una offerta libera per i campi profughi in Giordania e anche da questo punto di vista c’è stato un incremento delle offerte…

R. – Certo. Noi vogliamo che tutti quelli che riflettono, possano poi anche capire che cosa possono fare in prima persona: possono cambiare gli stili di vita, possono cambiare la mentalità… Il fatto di rendere protagonista il visitatore, con un gesto piccolo di solidarietà e di sostegno a un progetto per la Chiesa della Giordania che accoglie profughi iracheni, ci sembra importante proprio per dare completezza a questa riflessione: in fondo la proposta cristiana è una proposta di concretezza, di adesione alla realtà, che deve poi essere giocata nella propria vita, soprattutto in termini di solidarietà.

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Nomina episcopale di Papa Francesco in Ungheria

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In Ungheria, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Debrecen-Nyíregyháza, presentata da mons. Nándor Bosák, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Debrecen-Nyíregyháza mons. Ferenc Palánki, trasferendolo dalla Chiesa titolare di Fidolma e dall’Ufficio di Vescovo Ausiliare di Eger.

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Oggi in Primo Piano



Grecia: Tsipras al lavoro per formare il nuovo governo

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In Grecia, dopo la vittoria elettorale ottenuta dal partito Syriza, col 35,47% dei voti e 145 seggi, Alexis Tsipras è al lavoro per la formazione del nuovo governo. Syriza si alleerà con i nazionalisti del partito "Greci indipendenti", che può contare solo su 10 seggi, pochi ma necessari a Tsipras per ottenere la maggioranza in Parlamento. I conservatori di "Nea Democratia" si attestano come secondo partito, con il 28,09% dei consensi, mentre si registra un aumento, rispetto alle precedenti elezioni, per i neonazisti di "Alba Dorata", che guadagna 18 seggi. Bassa l'affluenza alle urne: ha votato solo il 56,55 per cento degli aventi diritto. Previsto per questa sera il giuramento del neo premier Tsipras nelle mani del presidente della repubblica, Prokopis Pavlopoulos, mentre l'esecutivo dovrebbe prestare giuramento domani, secondo quanto si apprende da fonti vicine al neo eletto premier. Per un'analisi sui risultati elettorali, Elvira Ragosta ha intervistato il prof. Antonio Villafranca, responsabile Europa dell'Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale): 

R. – E’ una Syriza molto diversa da quella che ha vinto le elezioni lo scorso gennaio. Allora Syriza era un movimento di protesta che si accingeva a governare senza avere alcuna esperienza. Nel frattempo Tsipras è stato molto bravo e molto abile nel togliere la parte più estremista del partito e ripresentarsi come una forza di governo per l’intera legislatura. Quindi, una Syriza diversa e uno Tsipras decisamente più forte.

D. – Positive le reazioni delle istituzioni europee. Quali i primi passi nel dialogo con l’Unione europea per rispettare gli impegni presi con i creditori internazionali e per dar vita alle riforme?

R. – La reazione dei leader politici europei e di Bruxelles non poteva che essere positiva e il risultato è stato il migliore possibile. Alcuni auspicavano la vittoria del partito più euro-entusiasta che era Nuova Democrazia, ma se avesse vinto Nuova Democrazia, Syriza sarebbe ritornata al suo ruolo di opposizione, di un’opposizione dura. Invece, con la vittoria di Syriza avremo all’opposizione, come primo partito, Nuova Democrazia che in realtà supporterà le riforme e supporterà anche i pacchetti di austerity. Il vero problema adesso e per i prossimi mesi non sarà tanto quello di far passare nuove leggi ma di implementare quelle che sono state fatte finora. C’è da vedere per esempio dove e come tagliare la spesa militare, che sarà un argomento non facile per Tsipras, visto che il suo alleato è un partito di destra. Ci sarà la questione della riforma fiscale e della riforma previdenziale. E’ nella fase di implementazione tecnica che il meccanismo si può inceppare e potrebbe far arrabbiare i creditori e creare ulteriori tensioni in futuro.

D. – Sulla sostenibilità del debito greco che previsioni si possono fare?

R. – Su questo non c’è dubbio, il debito greco andrà incontro a un’ulteriore revisione. Non voglio usare il termine ristrutturazione perché non si tratterà di tagliare il debito ulteriormente ma rivedere i meccanismi di rimborso e quindi i periodi di rimborso  - e sono già molto avanti nel tempo per quanto riguarda i prestiti europei, soprattutto dei Paesi europei e dei fondi salva Stato - e di ridurre ancora, seppur di poco, gli interessi pagati dalla Grecia.

D.  – Che messaggio arriva alla sinistra europea da questa vittoria di Syriza, sfrangiata dall’ala estrema e alleata, per la seconda volta, dei nazionalisti di Anel?

R.  – E’ un messaggio costruttivo, secondo me. Si può criticare, si può pensare a un’Europa un po’ diversa ma in maniera costruttiva. Non esiste come soluzione il fatto che si abbandoni l’area dell’Euro perché abbiamo visto che soltanto ipotizzare una cosa del genere crea disastri. Quindi è un messaggio che va a tutti gli euroscettici che va a tutti i populisti. Attenzione, perché va bene criticare ma in maniera costruttiva.

D. – Lei parlava della necessità di implementare le riforme già concordate ma come cambieranno le condizioni sociali ed economiche della popolazione greca?

R. – Probabilmente peggioreranno ancora un poco. Quello che si prevede per un sentiero di rientro dall’enorme di debito pubblico che potrebbe sfiorare il 200 per cento nel 2016 è veramente draconiano in termini di impegno per la popolazione e per questo io dico che è necessario riconsiderare il debito pubblico greco.

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A Praga riunione vertici Ue e Paesi Est contrari a quote migranti

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A Praga riunione tra la presidenza lussemburghese di turno dell'Ue e i Paesi dell'Europa centrorientale finora refrattari al sistema europeo di redistribuzione dei migranti, in base alle cosiddette quote. All'incontro straordinario, partecipano i Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) più Romania e Lettonia. Discussione ancora aperta sulle possibili opzioni alternative per i Paesi che rifiutano i migranti e la costruzione degli hotspot di accoglienza e smistamento.Intanto la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Hollande fanno sapere che il 7 ottobre interverranno assieme alla sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo. unico precedente simile nel 1989.  Fausta Speranza ha intervistato Alfonso Giordano, docente di geopolitica e flussi migratori all’Università Luiss: 

R. – Il problema è che stiamo ancora intendendo la questione - e questo lo dicono anche e soprattutto i media e i politici - come una questione di emergenza. Lo Stato è strutturale e se non si prendono delle azioni strutturali da parte di tutti i Paesi europei - quindi tutti assieme - mettendo in riga anche quelli che non ci stanno, il problema si riproporrà all’infinito. Il punto è che nei prossimi almeno 20-25 anni non possiamo aspettarci qualcosa di diverso. Quindi, è una questione demografica, una questione geopolitica che ci porterà sempre a questi flussi, che vanno in qualche modo gestiti e gestione significa capire che è un problema strutturale e non emergenziale.

D. – Capito questo, poi, quali primi passi doverosi da fare, secondo lei?

R. – I primi passi doverosi da fare sono da parte degli Stati. Certo si richiama sempre la responsabilità dell’Unione Europea, che ha le sue responsabilità, ma è un problema anche di egoismi nazionali. La Germania ci ha provato per un po’ a superare la logica egoistica. Quindi, quello che bisognerà fare è mettere tutti attorno ad un tavolo, rendere conto di questa situazione e soprattutto avere il coraggio politico di non dover rispondere necessariamente alla pancia degli elettori. Il problema, infatti, è proprio questo: i politici prendono degli accordi a Bruxelles, che vengono poi puntualmente smentiti di fronte alle televisioni e di fronte ai propri elettori, perché è un tema sensibile, caldo e pericoloso. Quindi, ci vuole una chiamata alla responsabilità generale, soprattutto da parte dell’Unione Europea nei confronti dei Paesi che sono meno disponibili a questo tipo di attività.

D. – Anche le Nazioni Unite dovrebbero essere coinvolte o no?

R. – Sicuramente è una questione che va affrontata nella sua gravità. Le Nazioni Unite dovrebbero essere sicuramente coinvolte, non solo nel ribadire quelli che sono i diritti umani, ma anche nell’intraprendere delle azioni dirette sul territorio. Il che significa autorizzare anche delle operazioni, non dico militari, ma operazioni di controllo, di ristabilimento della pace. Il problema fondamentale, infatti, è in quelle aree da dove effettivamente le persone scappano: non hanno altra soluzione che buttarsi nel mare. Rischiano meno nell’andare in mare che restare nella loro terra. Quello che va fatto è ristabilire la situazione di vivibilità in quella parte di mondo. Naturalmente questo significa anche un investimento da parte dei Paesi sull’estero, e questo significa una politica estera che al momento sappiamo è latitante; degli investimenti monetari, perché queste sono operazioni che costano; e, oltre a questo, anche un investimento morale da parte di alcuni Paesi, per poter gestire le operazioni fuori dai propri territori. Torno a dire, quindi, che non è un fatto emergenziale, ma strutturale. E, soprattutto, non è più solo un problema di politica interna, legata al welfare o all’accoglienza o all’integrazione, che sono cose importantissime, ma ormai anche a questioni di politica estera, legate a situazioni esterne, all’Unione Europea, sulle quali non abbiamo nessun tipo di controllo, e quindi i flussi continuano assolutamente in maniera ingestibile.

D. – Anche gli equilibri all’interno delle Nazioni Unite sono equilibri vecchi con altre dinamiche mondiali o no?

R. – Assolutamente. Le dinamiche sono uscite fuori dalla Seconda Guerra Mondiale, ma il mondo è totalmente cambiato sia dal punto di vista demografico che dal punto di vista economico e politico. E di questa cosa si stenta a prendere atto. Anche lì, quindi, c’è un problema legato ad una decisionalità che è legata a vecchi schemi di oltre 60 anni. Per cui ci vorrebbe un rinnovamento politico. Diciamo che la questione principale è soprattutto politica. Con questo non bisogna dare il carico o la colpa ai politici, ma è una questione di visione politica, che va condivisa anche con la popolazione. Mi rendo conto che non è un’operazione facile, ma è un’operazione necessaria soprattutto nel lungo termine.

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Nella Chiesa e nel mondo



Capi delle Chiese di Terra Santa condannano violenze Spianata delle Moschee

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I Capi delle Chiese di Gerusalemme esprimono “seria preoccupazione” per le recenti violenze consumate sulla Spianata delle Moschee negli scontri tra polizia israeliana e musulmani palestinesi, ed esprimono ferma condanna per le iniziative con cui si punta a manomettere le regole codificate che presiedono all'accesso e alla gestione dei Luoghi santi. Negli ultuimi giorni, le forze dell'ordine israeliane avevano consentito l'accesso solo agli adulti con età superiore ai quarant'anni.

Diritto di libero accesso e di culto presso la moschea di Al Aqsa
Le preoccupazioni e le condanne dei Capi delle Chiese di Gerusalemme sono contenuti un un comunicato, diffuso dalle fonti ufficiali del patriarcato latino di Gerusalemme. “I musulmani” si legge nel comunicato, ripreso dall'agenzia Fides, “hanno il diritto di libero accesso e di culto presso la moschea di Al Aqsa”. I leader cristiani ribadiscono che i Luoghi Santi “hanno bisogno di protezione vigile e costante”, e richiamano anche il ruolo di custode dei Luoghi Santi musulmani a Gerusalemme riconosciuto alla Giordania e sancito anche dal trattato di pace sottoscritto tra Stato ebraico e Regno Hascemita nel 1994. Il comunicato è sottoscritto da 13 patriarchi, vescovi e Capi di Chiese e comunità cristiane presenti a Gerusalemme, compresi il patriarca greco ortodosso Theophilos III, il patriarca latino Fouad Twal e padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, (G.V.)

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Assemblea generale delle Commissioni europee Giustizia e Pace

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“Vivere insieme in Europa”: su questo tema, la Conferenza europea delle Commissioni Giustizia e pace si riunirà in Assemblea generale dal 25 al 28 settembre a Copenaghen e Malmö, rispettivamente in Danimarca e Svezia. Per l’occasione, informa una nota, si terrà anche un seminario internazionale dal titolo “Modelli europei del vivere insieme: le esperienze di Copenaghen e Malmö”.

Incontri con le realtà che operano per l’integrazione di migranti e rifugiati
A moderare i lavori dell’Assemblea sarà il presidente di Giustizia e Pace Europa e arcivescovo di Lussemburgo, mons. Jean-Claude Hollerich. 20 su 31, saranno i rappresentanti delle varie commissioni che prenderanno parte all’evento. La cerimonia di apertura si terrà presso il Municipio di Copenaghen, alla presenza delle istituzioni statali danesi, mentre nell’ambito del seminario internazionale si prevedono visite ai Centri locali che operano per l’integrazione di migranti e rifugiati, una visita all’Istituto danese per i diritti umani e incontri con rappresentanti dei partiti e dei mass media. 

In esame una bozza di dichiarazione su obiettivi di sviluppo sostenibile
“L’Assemblea generale di Giustizia e pace Europa – continua la nota – si terrà domenica 27 e sarà l’occasione per un scambio di vedute sul lavoro delle singole Commissioni nazionali. Nel corso dei lavori, si esaminerà anche una bozza di dichiarazione sui nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile, da approvare entro il 2016”. Previsto anche un incontro dei delegati con mons. Czeslaw Kozon, vescovo di Copenaghen. Infine, lunedì 28 settembre, mons. Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma e presidente della Commissione Giustizia e pace svedese, celebrerà la Santa Messa a Malmö per tutti i partecipanti all’incontro. 

31 Commissioni Giustizia e pace all’opera
Da ricordare che la Conferenza delle Commissioni europee Giustizia e pace raccoglie 31 Commissioni Giustizia e pace del continente ed opera per la promozione della giustizia, della pace e del rispetto della dignità umana. Giustizia e Pace Europa contribuisce, inoltre, alla sensibilizzazione della dottrina sociale cattolica nelle società e nelle istituzioni europee Il suo Segretariato generale ha sede a Bruxelles, in Belgio. (I.P.)

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Laos: un cristiano muore in prigione per mancanza di cure

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E’ morto in prigione, a causa delle complicanze di un grave diabete, Tiang, un cristiano del villaggio di Huey, nel distretto Atsaphangthong, parte del territorio della provincia di Savannakhet. Tiang era stato arrestato e condannato a nove mesi di carcere dal tribunale di Savannakhet. Come riferisce all'agenzia Fides l’Ong “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” (Hrwlrf), Tiang soffriva di diabete e aveva bisogno di cure specifiche per le complicazioni della malattia: ma le cure in carcere non gli sono state somministrate. Durante la prigionia Tiang ha chiesto il permesso di essere curato in un ospedale, ma i funzionari del carcere hanno negato il permesso. Tiang lascia la moglie e sei figli.

La condanna per aver pregato per una donna malata
​Insieme con altri quattro cristiani, Tiang era stato riconosciuto colpevole di violazione di una legge sull’assistenza sanitaria (l’accusa era “abuso della professione medica”) con una sentenza di nove mesi di carcere e una pesante multa. I tre avevano visitato una donna cristiana molto malata e pregato per la sua guarigione. La donna, malata terminale, poi è deceduta, e i tre sono stati accusati dei averne provocato la morte e arrestati. Il Tribunale provinciale di Savannakhet ha equiparato la preghiera di guarigione a un “trattamento medico” disposto la condanna e la reclusione I cristiani hanno presentato appello ma nell’attesa della sentenza, Tiang è deceduto.

Al cristiano negate le cure mediche necessarie
L’Ong Hrwlrf chiede al governo del Laos di addossare la responsabilità per la morte di Tiang alle autorità della prigione, ricordando che “gli hanno negato cure mediche necessarie”. La Corte d’appello dovrà pronunciarsi sugli altri quattro cristiani accusati dello stesso reato: aver pregato per una donna morente. (P.A.)

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Pakistan. Allarme vescovo anglicano: fuga dei cristiani

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La crescente violenza contro i cristiani sta generando la fuga dei fedeli dal Pakistan. Lo afferma il vescovo anglicano di Lahore, Alexander John Malik, notando che vi è stato negli ultimi anni un aumento della violenza contro i cristiani del Pakistan. “A causa di discriminazioni e persecuzioni, oltre 100.000 cristiani pakistani sono fuggiti nei campi profughi delle Nazioni Unite in Thailandia, Sri Lanka, Malesia e Filippine negli ultimi anni” afferma il Vescovo in una nota inviata all’Agenzia Fides.

Tra le causa della fuga: la legge sulla blasfemia e l'intolleranza religiosa
“A causa delle legge sulla blasfemia e della diffusa intolleranza, i cristiani pakistani subiscono discriminazioni e maltrattamenti compiuti da cittadini musulmani ma anche da parte dello stato” osserva. “Interi quartieri vengono attaccati o bruciati come conseguenza dell’accusa di blasfemia rivolta ad un solo cristiano” prosegue. Inoltre “centinaia di ragazze cristiane ogni anno sono rapite e costrette a convertirsi all'Islam e a sposare un musulmano”. In molti casi, nota il vescovo, “per le minoranze religiose è quasi impossibile ottenere giustizia dalle istituzioni dello Stato”, come la magistratura e il governo. Per questa situazione, molti scelgono di vendere i propri beni ed emigrare verso altri paesi asiatici. “Ci sono oltre sei milioni di cristiani in Pakistan, estremamente vulnerabili” conclude.

La fuga dei cristiani del Paese è una crisi che colpisce tutti i pakistani
Il ministro pakistano per gli affari religiosi, Muhammad Amin-ul Hasnat Shah, ha concordato con questa analisi, affermando che “il trasferimento di massa dei cristiani pakistani è una crisi che colpisce tutti i pakistani. Non è la prima volta nella storia che le minoranze religiose cercano di stabilirsi all'estero. Il governo sta cercando di risolvere i problemi della sicurezza per tutti i cittadini, anche se non possiamo forzare nessuno a rimanere nel Paese”. (P.A.)

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Card. Rodríguez Maradiaga: “L’Honduras è malato di odio”

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Il card. Honduregno Mons. Oscar Andres Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, ha detto ieri, durante la Messa della domenica, che il Paese è pieno di odio e che ha bisogno di cambiare, perché "il futuro del mondo non si trova in una vita senza Dio e senza il riferimento ai valori del Vangelo". "Il nostro Honduras è malato, è malato di odio. Non possiamo andare avanti così, l'odio produce solo più odio e violenza" ha detto ancora il cardinale.

La vita è sacra, solo Dio è padrone della vita
Secondo la nota pervenuta all'agenzia Fides da una fonte locale, il porporato faceva riferimento all'assassinio, avvenuto la scorsa settimana, di un avvocato honduregno che guidava la difesa di una deputata e di tre suoi familiari coinvolti in una presunta truffa ai danni dello Stato. Il cardinale ha aggiunto: "L’Honduras è di tutti" e "non c'è posto per l'ideologia del pensiero unico. Pensiamo in modo diverso, ma questo non significa che siamo nemici da eliminare, la vita è sacra, solo Dio è padrone della vita".

Il dramma dei poveri migranti per i quali si costruiscono muri
​Nell’omelia il card. Rodríguez Maradiaga ha inoltre osservato che un sistema economico senza cuore è seme di ingiustizia e di sofferenza per molti esseri umani, e che alla crisi economica in Honduras si aggiunge il dramma dei poveri migranti. In questo secolo il mondo non apre le braccia agli immigrati ma, al contrario, "costruisce muri ovunque", emulando il Medioevo, quando si costruivano "le città circondate da mura per non ricevere nessuno". Ha lamentato anche la crisi economica che colpisce i giovani migranti dell'Honduras, costringendoli a lasciare il Paese. "Se in Honduras c’è la volontà di cambiare, per combattere la corruzione e avere giustizia, questo si può fare, ma senza violenza né odio" ha ammonito. (C.E.)

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Expo 2015: la Pontificia Facoltà Auxilium alle periferie dell’educazione

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“Nutrire il corpo, educare la persona, coltivare il sogno”. E’ il tema scelto dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” per le due giornate, ospitate il 23 e 24 settembre nella Casa don Bosco, il Padiglione della Famiglia salesiana all’Expo 2015 di Milano, che ogni giorno accoglie centinaia di visitatori, credenti e non credenti, sotto il motto “Educare i giovani, energia per la vita”, ispirato da San Giovanni Bosco fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, nel bicentenario della sua nascita.

Coltivare il talento di educare
Ad aprire la due giorni - di dibattito ed ascolto di esperienze - sarà il 23 settembre, alle ore 13, una Tavola Rotonda su come “Coltivare il talento di educare” nella società contemporanea per formare cittadini e cittadine responsabili della propria identità per il futuro del Pianeta, in contesti culturali caratterizzati da grandi cambiamenti, rivendicazioni sociali, pressioni politiche e mediatiche. Sarà questa l’occasione per conoscere da vicino le tante attività didattiche e di animazione culturale dell’Auxilium, l’unica Università pontificia retta da donne, con sede nella periferia romana, che da oltre 50 anni forma professionisti nel campo educativo-socio-pisco-pedagogico, destinati ad operare nella scuole di ogni grado, nei servizi sul territorio pubblici e privati rivolti alla famiglia, all’infanzia, al disagio e marginalità minorili, all’integrazione interculturale e nell’impegno ecclesiale, pastorale e catechetico. Ampia e variegata la sua offerta di Corsi di Laurea triennali o di baccalaureato e Laurea magistrale o di licenza oltre che di Master di alta formazione, qualifica e perfezionamento. Ad animare il dibattito saranno la preside dell’Auxilium suor Pina Del Core, insieme ai docenti della Facoltà Massimiliano Padula, Elisabetta Straffi e Maria Grazia Vergari oltre a Freddy Nicolas, direttore del Centro ProLingua di Roma.

Periferie dell'educazione
A seguire nel pomeriggio del 23 settembre, alle ore 17.30, la discussione si sposterà alle “Periferie dell’educazione”, per conoscere le attività dei Centri affiliati e partner dell’Auxilium, impegnati nella promozione e tutela dei diritti umani, specie in difesa di minori e di donne maltrattate. Porteranno la loro esperienza Lorenzo Bontempo, consulente scientifico del Centro Studi Sociali per l’infanzia e l’adolescenza di Scerne Pineto in Abruzzo; Claudio Foti, direttore scientifico del Centro studi Hansel e Gretel, di Torino; Luca Balugani, direttore dell’ Istituto Superiore di Scienze dell’Educazione e della Formazione Giuseppe Toniolo, di Modena; suor Maria Grazia Caputo, direttrice dell’Ufficio Diritti Umani dell’Istituto internazionale delle Figlie di Maria Ausiliatrice presso l’Onu di Ginevra. Gli incontri saranno moderati da Roberta Gisotti, caporedattore della Radio Vaticana.

Educare è nutrire la vita
La giornata del 24 settembre sarà interamente dedicata a tre laboratori aperti agli studenti, imperniati sui temi “Educare è nutrire la vita”, "Educare alle emozioni con le emozioni" e "La comunità che nutre, la comunità che educa",  guidati dai docenti Enrica Ottone, Claudio Foti, Silvia Deidda, Andrea Ascari. (R.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 264

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.