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Sommario del 17/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Iraq-Siria. Papa: comunità internazionale senza risposte. Sandri: Chiesa aiuta tutti

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“La comunità internazionale non sembra capace di trovare risposte adeguate” alla crisi in Siria e  in Iraq, Paesi travolti da un “oceano di dolore”. E’ quanto ha detto Papa Francesco rivolgendosi stamani ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum ed incentrato sulla situazione umanitaria in questa tormentata regione mediorientale. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

I conflitti in Siria e in Iraq provocano atroci sofferenze nella popolazione e continuano ad aprire insanabili ferite nel patrimonio culturale di questi Paesi. Milioni di persone - osserva il Papa - lasciano le loro terre di origine:

“Di fronte ad un tale scenario e a conflitti che vanno estendendosi e turbando in maniera inquietante gli equilibri interni e quelli regionali, la comunità internazionale non sembra capace di trovare risposte adeguate, mentre i trafficanti di armi continuano a fare i loro interessi. Armi bagnate nel sangue, sangue innocente”.

Le atrocità dei conflitti, le violazioni dei diritti umani – aggiunge il Santo Padre - sono sotto gli occhi del mondo grazie ai mezzi di informazione:

“Nessuno può fingere di non sapere! Tutti sono consapevoli che questa guerra pesa in maniera sempre più insopportabile sulle spalle della povera gente. Occorre trovare una soluzione, che non è mai quella violenta, perché la violenza crea solo nuove ferite, crea violenza”. 

Ad essere colpiti – ricorda il Pontefice - sono i più deboli: le famiglie, gli anziani i malati e i bambini. Sono indifesi anche i cristiani cacciati dalle loro terre, “tenuti in prigionia e addirittura uccisi”. Papa Francesco esorta in particolare gli organismi cattolici, in collaborazione con le istituzioni internazionali, a proseguire nel loro impegno umanitario:

“In Siria ed in Iraq, il male distrugge gli edifici e le infrastrutture, ma soprattutto distrugge la coscienza dell’uomo… Per favore: non abbandonate le vittime di questa crisi, anche se l’attenzione del mondo venisse meno”.

La Chiesa continua ad assicurare il proprio impegno per far fronte alla crisi umanitaria in Iraq e in Siria. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, card. Leonardo Sandri, intervenuto stamani all’incontro, promosso dal Pontificio Consiglio Cor Ununm: 

R. – Nonostante questo disastro umano, che stiamo vedendo ogni giorno in Medio Oriente, la Chiesa con i suoi mezzi - anche poveri e limitati - è rimasta e sta continuamente aiutando e sostenendo quelli che soffrono in Medio Oriente. La Chiesa non solo non ha abbandonato i cristiani, ma anche i musulmani. Aiuta tutti. Ed io ne sono stato testimone, quando sono stato a Baghdad. Ho visto le opere della Caritas Iraq anche per i bambini e le donne musulmane. Non è un’azione di potere o di prestigio, non è appariscente: è un’azione umile di ogni giorno di assistenza umanitaria. La Chiesa piccola, perseguitata, sofferente ha lavorato e continua a lavorare in questa regione dove ci sono l’esodo, la guerra, i bombardamenti, la fame e quelli che soffrono di più sono le donne e i bambini.

D. – E la Chiesa accompagna anche il dolore dei profughi…

R. – Certo e tutti quelli che accolgono adesso i rifugiati stanno dando il massimo. E tra questi  anche le associazioni cattoliche di aiuto. Ci troviamo di fronte ad una crisi umanitaria. Non è una crisi di religione: è uno sconvolgimento della dignità e della grandezza dell’uomo. Il Papa, soffrendo tantissimo per queste persone sofferenti,  quante volte ha alzato la voce per dire “pace”, per dire “mettetevi d’accordo, trovate una soluzione”. Anche attraverso i nunzi si è cercato in ogni modo di poter dare una soluzione. Ma il Papa non è ascoltato e tante volte è una voce che grida nel deserto. Il mistero dell’iniquità del male governa il mondo - e non sappiamo da chi dipende concretamente - e non porta a soluzioni di pace, di intendimento. Ma la Chiesa è sempre aperta ad essere ponte, ad essere mediatore, quando c’è bisogno e quando è richiesto.

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Francesco a giovani consacrati: no a provvisorietà, narcisismo, rigidità

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Il Papa stamane nell’Aula Paolo VI a colloquio con circa 5 mila giovani consacrati e consacrate, riuniti in questi giorni a Roma per il loro Incontro mondiale sul tema “Svegliate il mondo”. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Ha messo da parte Papa Francesco il discorso scritto, per rispondere a braccio alle domande dei giovani, non prima di un pensiero rivolto ai  martiri di oggi, in Iraq e Siria, raccontando commosso di aver ricevuto alcuni giorni fa, una piccola croce, che aveva in mano un sacerdote iracheno sgozzato per non aver rinnegato Gesù.

A parlare per primo proprio un giovane siriano, poi una suora indiana, quindi la domanda inviata da una suora di clausura. A tutti i giovani impegnati ad approfondire la loro vocazione, il Papa ha raccomandato di non sedersi nella comodità della vita consacrata, fatta di sola rigida osservanza di comandamenti e regole:

“….la vita consacrata può essere sterile, quando non è proprio profetica; quando non si permette di sognare”.

“Profezia capacità di sognare è il contrario della rigidità”, ha spiegato Francesco:

“…l’osservanza non deve essere rigida: se l’osservanza è rigida non è osservanza, è egoismo personale. E’ cercare se stesso e sentirsi più giusto degli altri.

E ancora un monito a non lasciarsi andare alle chiacchere maldicenti.

“Ma mai, mai buttare la bomba della chiacchera. Mai, mai! E’ la peste della vita comunitaria! E così il religioso, la religiosa, che ha consacrato la sua vita a Dio, diventa un terrorista e una terrorista, perché butta nella sua comunità una bomba che distrugge”.

Quindi una riflessione sulla “cultura del provvisorio” che da instabilità ai nostri tempi che “è entrata nella Chiesa”, “nelle comunità religiose”, “nelle famiglie, nel matrimonio”, dimenticando “la cultura del definitivo”.

“Dio ha inviato il Suo Figlio per sempre! Non provvisoriamente, ad una generazione o ad un Paese: a tutti! A Tutti e per sempre. E questo è un criterio di discernimento spirituale”.

“Evangelizzare - ha poi chiarito il Papa - non è lo stesso che fare proselitismo”

“Evangelizzare non è soltanto convincere: è testimoniare che Gesù Cristo è vivo”.

Ma come fare  questa testimonianza?

“Con la tua carne, con la tua vita. Tu potrai studiare, potrai fare corsi di evangelizzazione e questo è buono, ma la capacità di riscaldare i cuori non viene dai libri, viene dal tuo cuore!”

E dal cuore del Papa un grazie speciale:  

“E qui vorrei, perdonatemi se sono un po’ femminista, ringraziare la testimonianza delle donne consacrate… Non tutte, però… Ce ne sono alcune un po’ isteriche, ma…  Voi avete questa voglia di andare sempre in prima linea: perché? Perché voi siete madri, avete questa maternalità della Chiesa, che vi fa vicine”.

Infine una memoria personale, rispondendo alla domanda  “Com’è stata la sua prima chiamata?

“So che per caso, sono entrato in Chiesa, ho visto un confessionale e sono uscito differente, sono uscito in un’altra maniera. La vita lì è cambiata”.

Di Gesù mi ha affascinato “la sua vicinanza a me”, ha aggiunto

“..il Signore mai mi ha lasciato da solo, pure nei momenti brutti e oscuri, pure nei momenti dei peccati, eh? Perché anche questo dobbiamo dire: tutti siamo peccatori. E lo diciamo in teoria... No, nella pratica, eh? Io ricordo i miei e mi vergogno”.

Ha poi rammentato che non conosceva il sacerdote che lo ha confessato, e che in seguito lo ha guidato un salesiano, che infine lo ha portato dai Gesuiti

"Ecumenismo religioso!"

"Guardatevi dal narcisismo", ha concluso Francesco

 “Siate donne e uomini di adorazione".

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Papa: bambini abbandonati sono un grido che sale a Dio

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I bambini e le donne di strada non sono numeri, ma esseri umani, figli di Dio con i nostri stessi diritti: così il Papa, nell’udienza ai partecipanti al Simposio internazionale sulla Pastorale della strada, organizzato dal Pontificio Consiglio per i Migranti e gli itineranti. Dal Pontefice anche la condanna della tratta e della corruzione, che aggravano le ingiustizie contro i più deboli, e l’esortazione a tutelare e promuovere la dignità di donne e bambini di strada. Il servizio di Isabella Piro: 

“Nessun bambino sceglie per contro suo di vivere in strada”: parte da questa constatazione Papa Francesco nel suo discorso ai partecipanti al Simposio internazionale sulla Pastorale della strada, e cita “le realtà molto tristi” causate da indifferenza, povertà, violenza familiare e sociale, tratta delle persone umane, cui si aggiunge “il dolore” per le separazioni coniugali e la nascita di bambini fuori del matrimonio, “destinati spesso ad una vita ‘randagia’”. Di qui, il monito del Pontefice:

“I bambini e le donne della strada non sono numeri, non sono “pacchi” da scambiare: sono esseri umani con un proprio nome e un proprio volto, con un’identità donata da Dio a ciascuno di loro. Sono figli di Dio come noi, uguali a noi, con gli stessi nostri diritti”.

Guardando, poi, “anche al mondo moderno e globalizzato”, Papa Francesco ricorda i “tanti bambini che vengono derubati della loro infanzia, dei loro diritti, del loro futuro”, e punta il dito contro “la carenza di leggi e strutture adeguate” che “contribuisce ad aggravare il loro stato di privazione”, così che essi “mancano di una vera famiglia, dell’educazione, dell’assistenza sanitaria”. Ma c’è una cosa da non dimenticare:

“Ogni bambino abbandonato o costretto a vivere nella strada, diventato preda delle organizzazioni criminali, è un grido che sale a Dio, il Quale ha creato l’uomo e la donna a sua immagine; è un grido di d’accusa contro un sistema sociale che da decenni critichiamo ma che facciamo fatica a cambiare secondo criteri di giustizia”.

Quindi, il Pontefice esprime preoccupazione che l’aumento di giovani ragazze e donne “costrette a guadagnarsi da vivere sulla strada, vendendo il proprio corpo, sfruttate da organizzazioni criminali e, a volte, da parenti e familiari”:

“Tale realtà è una vergogna delle nostre società che si vantano di essere moderne e di aver raggiunto alti livelli di cultura e di sviluppo. La corruzione diffusa e la ricerca del guadagno a tutti i costi privano gli innocenti e i più deboli delle possibilità di una vita dignitosa, alimentano la criminalità della tratta e le altre ingiustizie che gravano sulle loro spalle. Nessuno può rimanere inerte di fronte all’urgente necessità di salvaguardare la dignità della donna, minacciata da fattori culturali ed economici!”.

L’appello del Papa, allora, è a “tutelare e promuovere la dignità” dei bambini e delle donne di strada, senza arrendersi e guardando a “l’amore preferenziale di Dio Padre verso i più deboli ed emarginati”:

“La Chiesa non può tacere, le istituzioni ecclesiali non possono chiudere gli occhi di fronte al nefasto fenomeno dei bambini e delle donne della strada. (…) Noi non possiamo mai evitare di portare a tutti, in modo particolare ai più deboli e svantaggiati, la bontà e la tenerezza di Dio Padre misericordioso. La misericordia è l’atto supremo con il quale Dio ci viene incontro, è la via che apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre”.

Incoraggiando, infine, gli operatori pastorali del settore ad “andare avanti con fiducia e slancio apostolico” per “la liberazione dei più fragili e sfruttati” e “la salvaguardia della loro identità e dignità”, il Santo Padre conclude il suo discorso con una preghiera alla Madonna, affinché rivolga il suo dolce sguardo ai bambini e le donne che vivono sulla strada, donando loro una carezza.

Conclusosi oggi a Roma, il Simposio Internazionale sulla Pastorale della Strada mira a studiare strategie efficaci per combattere la piaga dei bambini e delle donne di strada e delle loro famiglie. “Un dramma – informa il dicastero organizzatore dell’evento - che richiede di affrettare i tempi di intervento sia da parte della Chiesa Universale e delle Chiese locali, che dalle Istituzioni civili”.

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Papa incontra premier Lussemburgo: in primo piano profughi e rifugiati

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Nella mattinata di oggi, Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il primo ministro del Granducato di Lussemburgo, Xavier Bettel, che si è successivamente incontrato con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i  Rapporti con gli Stati.

Durante i cordiali colloqui, informa una nota della Sala Stampa vaticana, si è ribadita la volontà di “consolidare le buone relazioni esistenti fra la Santa Sede ed il Granducato di Lussemburgo e di affrontare temi di comune interesse, con speciale attenzione ai rapporti tra la Chiesa e lo Stato, sottolineando la rilevanza della libertà religiosa e dei valori spirituali per la coesione sociale”. Nel prosieguo della conversazione e anche nel quadro della presidenza di turno lussemburghese dell’Unione Europea, conclude il comunicato, “ci si è soffermati su alcune questioni di carattere europeo ed internazionale, con particolare riferimento ai conflitti in corso, alla questione migratoria e alla necessità di fornire assistenza ai profughi e rifugiati, come pure alla situazione delle minoranze religiose perseguitate”.

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P. Gonzales: Chiesa cubana, punto di riferimento per tutti

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Cuba si prepara ad accogliere Papa Francesco, il terzo Pontefice che viene nell’isola caraibica: un record condiviso solo con il Brasile. Il Pontefice si fermerà a Cuba quattro giorni, dal 19 al 22 settembre. Con quali sentimenti i cubani attendono il Papa argentino? Il nostro inviato Sergio Centofanti lo ha chiesto a padre José Miguel Gonzales Martin, direttore della Casa sacerdotale san Giovanni Maria Vianney dell’Avana: 

R. – Io direi con tantissima speranza, perché il Papa per noi viene come missionario della Misericordia. Il popolo cubano in generale - non soltanto la Chiesa cattolica - ma tutti noi aspettiamo che il Papa ci possa dare una parola di speranza, di gioia, in questo preciso momento in cui Cuba sembra che si stia aprendo un po’ di più al mondo e si stiano compiendo le parole profetiche di San Giovanni Paolo II.

D. – In merito a questi grandi cambiamenti qual è la situazione?

R. – La situazione in cui vive la gente continua ad essere la stessa: non si vedono ancora tanti cambiamenti nel modo di vivere quotidiano. Ma comunque aspettiamo, perché in futuro questi cambiamenti, che per il momento sono presenti soltanto ad alto livello, possano migliorare la vita quotidiana della gente. Ci sono tantissime difficoltà e la vita qui è un po’ difficile per tutti…

D. – Quali sono le speranze dei cubani?

R. – La speranza è sempre quella di avere un futuro migliore e che non ci sia la necessità di lasciare la propria patria. Anche la Chiesa cattolica soffre per l’emigrazione di tante persone buone, preparate, che scelgono di partire per gli Stati Uniti, la Spagna, l’Italia, per cercare un futuro migliore. Allora, la prima speranza è che, se c’è più lavoro, se la situazione economica migliora e se le libertà crescono, potremo avere un Paese in cui non ci sia più bisogno di emigrare. Anche dal punto di vista spirituale serbiamo altre speranze: che le persone che vivono qui a Cuba possano pensare da sole, nella libertà, possano agire liberamente, senza una forma di tutela da parte dei governanti.

D. – Che Chiesa è quella di Cuba?

R. – La Chiesa di Cuba è una chiesa povera, nel senso del numero dei sacerdoti. Non siamo tanti: siamo circa 300 sacerdoti per undici diocesi e alcune di queste hanno solo cinque, sei o sette sacerdoti. È una chiesa minoritaria, molto minoritaria e impoverita, perché ha pure perso tanti laici ben preparati, che se ne sono andati negli Stati Uniti, in Spagna e in altri Paesi. È una Chiesa povera, ma significativa: la società cubana in generale ha un grandissimo rispetto per la Chiesa cattolica, per i vescovi e per i sacerdoti. Lo dico senza orgoglio: siamo sempre un punto di riferimento per tante persone, pure per quelle che non vengono in Chiesa, e addirittura – io direi – anche per alcuni che neanche credono, cioè per gli atei: anche loro hanno un’ammirazione per la Chiesa. Allora, penso che da questo punto di vista la Chiesa cattolica abbia un compito essenziale nel presente e nel futuro di Cuba. E questo è stato messo in luce grazie al ruolo e all’intervento del Papa nel processo di negoziato per recuperare le relazioni con gli Stati Uniti e anche grazie al cardinale Ortega, arcivescovo dell’Avana, e al lavoro quotidiano di tanti vescovi, sacerdoti… Cerchiamo di aprire le porte al dialogo, non soltanto con il governo e con le istanze politiche, ma anche con la gente e con tutta la società.

D. – La Chiesa sta acquistando nuovi spazi di azione…

R. – Io direi “piccoli” nuovi spazi di azione: per noi sarebbe una cosa buona averne di più. Ma non abbiamo molti soldi per poter cominciare dei servizi, ad esempio nella radio, nei mezzi di comunicazione… Forse in un futuro prossimo avremo nostre scuole … Ma questo per noi è ancora il futuro: dobbiamo essere pronti per aprirci a queste possibilità.

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Francesco negli Usa. John Allen: atteso da tutti, non solo cattolici

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“Il Papa è atteso da tutti gli americani non solo dai cattolici”. Così John L. Allen jr, vaticanista del "Boston Globe", sulla imminente visita pastorale di Francesco negli Stati Uniti. L’arrivo a Washington è previsto per martedì prossimo al termine della tappa cubana del decimo viaggio apostolico internazionale del Pontefice. Papa Francesco sarà anche a New York e poi Philadelphia dove prenderà parte al Meeting mondiale delle Famiglie. Al microfono di Alvaro Vargas Martino, il commento proprio di John L. Allen jr: 

R. – Tutti i sondaggi ci dicono che questo è un Papa che ha una grande popolarità negli Stati Uniti: è diventato, subito dopo la sua elezione, un punto di riferimento in senso assoluto nel dibattito americano. Quindi c’è un grande interesse. Papa Francesco può portare una prospettiva più morale e direi anche spirituale nel nostro dibattito pubblico, che in America è prevalentemente un dibattito molto politico, pragmatico. Papa Francesco è diventato in un certo senso popolare e anche per i media, in America, il punto di riferimento centrale per le questioni morali, per le questioni relative alla giustizia, per le questioni di diritti umani: la voce morale.

D. – Quali sono le attese della stampa americana, in vista del viaggio del Papa?

R. – Le attese della stampa sono un discorso diverso. Io ho l’impressione che per tanti miei colleghi della stampa americana la domanda centrale riguardo a questo viaggio è chi, nel nostro panorama politico, potrà avere maggior vantaggio da questo viaggio in vista delle elezioni americane del 2016. Per i Repubblicani, ma anche per i Democratici la lotta per essere candidato è abbastanza aperta e questo vuol dire che è una campagna elettorale molto vivace e, in un certo senso, anche molto tesa. Io ho l’impressione che lui parlerà del cambiamento climatico, della povertà, dell’immigrazione, che sono temi molto vantaggiosi per i Democratici; ma parlerà anche del matrimonio, della difesa della vita, della concezione tradizionale cristiana della famiglia che sono temi, invece, molto cari per i Repubblicani. Quindi io non prevedo che ci sarà un vantaggio politico, ma per i media questa è la domanda più bollente!

D. – A partire dal viaggio apostolico di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel Duemila, lei ha partecipato a tutti i voli papali fino ad oggi. Quale messaggio di Papa Francesco si aspetta durante questo viaggio nel suo Paese?

R. – Questa è la prima volta che Papa Francesco mette piede negli Stati Uniti: è la prima volta non solo da Pontefice, ma in tutta la sua vita. Secondo me, lui sta andando negli Stati Uniti non solamente per predicare, ma anche per imparare: questo è un Papa della periferia ed è quindi ovvio che il suo cuore sta con la periferia del mondo, con i piccoli Paesi che vengono dimenticati, con i poveri, con i migranti, con i rifugiati, con questa cultura dello scarto di cui lui parla sempre. Gli Stati Uniti non sono la periferia del mondo: gli Stati Uniti sono in un certo senso, da un punto di vista economico, militare, politico, il centro di questo mondo. Quindi – secondo me – Papa Francesco - oltre a tutti i punti specifici dell’immigrazione, dell’economia, della famiglia.. -  il messaggio centrale che ha nel cuore e che vuole portare in America è di non dimenticare la periferia. La mia aspettativa è che questo sarà il filo conduttore in tutti i suoi messaggi, in tutti i suoi discorsi. La mia speranza – non è esattamente una aspettativa, ma è la mia speranza – è che i miei connazionali siano veramente in grado di ascoltarlo.

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Tweet Papa: nonostante le ingiustizie e le sofferenze, la vittoria del Signore è sicura

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"Nonostante le ingiustizie e le sofferenze, la vittoria del Signore è sicura". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account @Pontifex in 9 lingue.

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Oggi in Primo Piano



Dopo gli scontri in Ungheria, migranti diretti in Croazia

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Immigrazione. Dopo i violenti scontri di ieri al confine con l’Ungheria tra migranti e polizia, sembra essere tornata la calma. Ma di fronte ai muri ungheresi, i flussi si spostano, ripiegando sulla Croazia, dove i profughi si stanno riversando a migliaia. Intanto il Parlamento Europeo ha votato a larga maggioranza il ricollocamento "urgente" di 120 mila rifugiati da Italia, Grecia ed Ungheria. I particolari da Paola Simonetti: 

Feriti e arresti in un’escalation di rabbia da parte dei migranti bloccati al confine serbo-ungherese di Horgos, in quella che è di fatto una “terra di nessuno”. E’ stata un’altra nottata di violenti scontri davanti ai muri  ungheresi, la polizia ha sparato gas lacrimogeni e usato manganelli per arginare le proteste. A situazione placata le forze dell’ordine hanno poi raddoppiato i cordoni di agenti e rafforzato la barriera di filo spinato. Tuttavia, il governo ungherese fa sapere che se l‘Unione accetterà di creare una forza che protegga le frontiere, sarà pronto a sostenere il sistema della redistribuzione dei migranti per quote. Intanto, però, i flussi si spostano verso la Croazia, dove nelle ultime ore sono giunti almeno 4 mila profughi. Una situazione delicata, che secondo il ministro dell'Interno croato, Ostojic, potrebbe portare il governo a rivedere le proprie posizioni se il numero di migranti in arrivo dovesse aumentare. Dal canto suo la Bulgaria ha inviato soldati a presidiare il confine con la Turchia in vista di un possibile massiccio afflusso di rifugiati.

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Burkina Faso: colpo di stato militare, condanna di Usa e Ue

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Colpo di stato in Burkina Faso, dove ieri sera le unità militari della guardia presidenziale - fedeli all’ex capo di Stato, Blaise Compaorè, deposto lo scorso ottobre - hanno preso in ostaggio il presidente Kafandò, il primo ministro Zida e altri membri dell’esecutivo. In un discorso alla tv, il colonnello Mamadou Bamba ha dichiarato destituito il governo di transizione e ha annunciato la creazione di un "consiglio nazionale per la democrazia" incaricato di organizzare le elezioni. Ma il golpe arriva proprio a poche settimane dalla data del voto, previsto per l'11 ottobre, e utile per riportare la democrazia nel Paese africano. Condanna da parte di Usa e Ue che chiedono il rilascio del presidente e degli esponenti del governo. Per un commento sulla situazione, Marco Guerra ha intervistato Raffaello Zordan della rivista comboniana Nigrizia

R. - Non abbiamo gli elementi per capire esattamente sul terreno cosa sia successo però il contesto è molto semplice: Compaorè, cioè l’uomo che nel 1987 ha ucciso Thomas Sankara ed è stato al potere fino all’ottobre del 2014, sta tentando di ritornare in pista. Era stato cacciato da sollevazioni popolari, circa un anno fa perché ancora una volta voleva ripresentarsi alle elezioni presidenziali, quando la Costituzione glielo impediva. Questo sta avvenendo anche in altri Paesi africani e avviene anche in Burkina. Quindi è una partita che si gioca tra la possibilità di un minimo di cambiamento e il ritorno in pista di Compaorè. Le elezioni presidenziali e politiche dovevano tenersi l’11 ottobre. Credo che a questo punto saranno rinviate. Le persone che erano in ballo per la guida del Paese erano un ex uomo di Compaorè, che aveva la possibilità di diventare lui il nuovo presidente, cioè Christian Kaboré. Contro di lui si batteva con qualche possibilità di successo Zephirin Diabre, un uomo noto alla comunità internazionale, abbastanza dentro anche alle Nazioni Unite, quindi tranquillizzante per la comunità internazionale. E poi c’era un terzo candidato del giro di Sankara, quindi quello che esprimeva il sentimento di una parte della società civile che guardava un po’ al passato. Oggi credo che questa partita sia tutta da riscrivere a meno che - e questo, mi pare, sia l’altro aspetto che viene messo in evidenza - la comunità economica dell’Africa Occidentale non intervenga pesantemente e ripristini questa ipotesi di voto magari non tra un mese ma tra sei mesi, continuando la transizione, perché qui c’è un’interruzione di una transizione che è cominciata nell’ottobre 2014 per arrivare al voto.

D. – I militari però dicono che vogliono far tenere delle elezioni più "inclusive", portando alle urne anche la componente più vicina all’ex presidente Compaorè…

R. – Da questo punto di vista bisogna dire che in questa fase di transizione è stata approvata una legge, è stato riformato il codice elettorale. E ora il codice elettorale prevede che alcuni personaggi vicino a Compaoré non si possano presentare alle elezioni, questo è stato votato, è stato discusso. C’è l’obbligo per chi si candida di lasciare l’esercito, deve dimostrare in maniera trasparente che ricchezze ha, che patrimoni ha, che interessi ha e deve essere una persona che ha una certa trasparenza. Se questi militari vogliono cancellare questa riforma, naturalmente lo possono fare con la forza, ma quella riforma è stata approvata dal parlamento di transizione e quindi ha una sua validità precisa.

D. - Si hanno notizie di spari nella capitale per disperdere la folla, c’è il pericolo di un’escalation delle violenze con questo golpe?

R. – Il pericolo di un’escalation quando qualcuno mette le mani in una situazione di questo genere c’è sempre. Però bisogna vedere il grosso dell’esercito come si muove. E’ certo che la guardia presidenziale ha una suo specifico peso perché chi è intervenuto da quello che sappiamo è un reparto scelto, che sono circa 1200 uomini, e per una nazione piccola, con pochi abitanti, sono tanti. Bisogna vedere se ci sono fratture all’interno oppure no. Però è chiaro che se ci saranno manifestazioni, c’è senz’altro il rischio che la cosa degeneri.

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Ebola: nuovo caso in Sierra Leone, l'impegno dei medici Cuamm

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L’Ebola torna a fare paura in Sierra Leone. Dopo un nuovo caso di decesso registrato nel distretto di Bombali, a Nordest del Paese, le autorità sanitarie hanno annunciato di aver messo in quarantena il villaggio per impedire il diffondersi di una nuova epidemia. La vittima è una ragazza di 16 anni che, risultata positiva al test per il virus, è deceduta nella periferia rurale della città di Makeni, nella provincia di Bombali, dove, come riferito dalle autorità e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), non erano stati più segnalati casi di febbre emorragica da sei mesi. Intanto una cinquantina di persone sono state messe in quarantena nella provincia vicina di Kambia, dove è stato individuato un altro focolaio di contaminazione dopo la morte di una donna di 67 anni. Per un analisi della situazione, Maria Caterina Bombarda ha intervistato Matteo Bottecchia, coordinatore dei progetti di Medici con l'Africa Cuamm in Sierra Leone: 

R. – Oltre a questo caso recente, ce n’è stato un secondo una decina di giorni prima. Quindi la cifra delle 700 persone in quarantena è inesatta, perché, attualmente, abbiamo 1733 persone in questo stato in due distretti del Paese. Dunque, sono due casi nuovi e inaspettati, uno dei quali ha già prodotto ulteriori contagi. Oggi abbiamo quattro persone malate di Ebola nei centri di trattamento del Paese.

D. – Quali sono le preoccupazioni principali in questo momento?

R. – La preoccupazione principale nasce dal fatto che sono dei casi inaspettati. Si sta ancora cercando di capire quale sia l’origine e quale sia stata la catena del contagio. Ci sono diverse ipotesi in merito: una potrebbe riguardare la possibilità che si siano persi dei contatti e che quindi ci siano delle catene di contagio ancora nascoste; la seconda ipotesi chiama in causa i sopravvissuti. È noto che il virus Ebola permanga nel liquido seminale maschile per molto tempo dopo la guarigione. Quindi il rischio di contagio da un sopravvissuto è presente.

D. – Quindi le frontiere sono bloccate?

R. – In realtà no. Sarebbe estremamente difficile per questi Paesi continuare con i regimi di restrizione che abbiamo avuto per tutto il 2014. Quindi le frontiere sono aperte. Ci sono ancora molti controlli in atto, quindi spostarsi tra i Paesi come Guinea e Sierra Leone, e all’interno di quest’ultimo, vuol dire passare attraverso check point, controlli della temperatura e lavaggio delle mani.

D. – Si tratta solo dell’attivazione di un protocollo di sicurezza oppure la paura del contagio è tornata concreta?

R. – Diciamo che il livello di controllo e di sorveglianza su tutto il territorio nazionale è ancora alto. In più, ci sono delle azioni più focalizzate, più mirate proprio intorno a questi nuovi casi di contagio, come la quarantena che oggi coinvolge circa 300 abitazioni e la cosiddetta “vaccinazione circolare”, misura messa in atto ora. Si tratta del vaccino che proprio poche settimane fa ha avuto risonanza mediatica importante perché ha dato risultati ottimi; oggi viene utilizzato e quindi le persone più vicine al caso di contagio vengono vaccinate.

D. – Quindi le misure di precauzione, di fatto, quali sono?

R. – Continuano tutti i controlli lungo le vie di comunicazione, controlli all’ingresso dei luoghi pubblici; si continua costantemente a monitorare la temperatura delle persone che entrano in banca o in un qualsiasi ufficio pubblico, il lavaggio le mani. Quindi nonostante siano solo due i distretti che hanno avuto di recente dei casi, le misure di controllo vigono su tutto il territorio nazionale.

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Cile: revocato allarme tsunami dopo terribile terremoto

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Allarme tsunami revocato in quasi tutto il Cile, dove questa notte un terremoto di magnitudo 8,3 della scala Richter ha scosso il Nord del Paese. Almeno 8 i morti, a fronte di oltre un milione di evacuati con poche ore di preavviso. Rimane alta l’allerta nella regione di Coquimbo, dove si svolgerà una riunione di emergenza del gabinetto di governo della presidente Michelle Bachelet. Il sisma è stato il più forte tra quelli registrati in tutto il mondo nel 2015 e uno dei più violenti nella storia del Paese, come spiega il giornalista cileno Luis Badilla al microfono di Michele Raviart: 

R. – Pare che l’epicentro – secondo gli osservatori – sia stato nella parte Nord del porto più importante del Cile, Valparaíso. Al tempo stesso dicono che sia stato molto esteso e che addirittura si sia sentito a Buenos Aires: questo significa che l’onda tellurica ha attraversato tutto il Sud America, dal Pacifico all’Atlantico. La cronaca storica di questi eventi ci dice subito che è uno dei terremoti che ha colpito il Cile, tra i più importanti, i più intensi, i più gravi… Soprattutto si insiste molto sul fatto che il movimento tellurico sia stato molto prolungato, quasi ad arrivare a circa tre minuti o qualcosa di questo tipo…

D. – Quello che impressiona è come siano state sfollate oltre un milione di persone con un preavviso minimo di qualche ora. Come funziona la prevenzione per i terremoti in Cile?

R. – Impressiona questo, ma impressiona anche il fatto che un terremoto di questa natura in qualsiasi altra parte del mondo ci darebbe delle notizie sconvolgenti, di migliaia e migliaia di morti… Essendo il Paese sismico è un Paese preparato e questo si traduce poi nel tipo di costruzioni, nel modo in cui vengono costruiti i fabbricati di ogni tipo e in particolare di quelli pubblici, quindi scuole, ospedali, caserme, università… E anche il fatto che il popolo cileno - e lo ricordo anche personalmente - sin da piccolo, già dall’asilo, viene psicologicamente preparato a questo evento e quindi ogni cileno sa come si può proteggere, come si deve proteggere, le cose che deve fare e soprattutto quelle che non deve fare. Il popolo cileno, in questo senso, ha una esperienza dolorosa  ma forte, che consente di arrivare a risultati come quelli che stiamo vedendo adesso.

D. – In questo senso le cose sono migliorate? Ricordiamo che soltanto nel 2010 un altro tsunami aveva causato oltre 500 vittime…

R. – Sì, migliorano sempre. Diciamo che negli ultimi 40 anni, quando il Paese ha preso coscienza di questa sua realtà intrinseca si è andati avanti sempre migliorando. Il problema è che c’è una parte del progresso in questo senso, dal punto di vista preventivo, che è molto più lenta, perché vuol dire costruire in modo diverso, con materiali diversi e in luoghi diversi. Mentre un bambino lo puoi educare ad affrontare questa emergenza in 5-6 anni, per cambiare l’architettura ingegneristica della costruzione pubblica o privata ci vogliono decenni...

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Capi delle Chiese di Gerusalemme: non discriminare le scuole cristiane

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 Lo sciopero a oltranza che le scuole cristiane stanno conducendo da due settimane contro le politiche discriminatorie attuate nei loro confronti dal governo israeliano rappresenta una battaglia a difesa dell'educazione, “diritto umano fondamentale che non dovrebbe essere negato a nessun giovane”. Così 13 patriarchi e capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme inquadrano la lotta intrapresa dagli istituti educativi cristiani che dall'inizio dell'anno scolastico non hanno ancora aperto le scuole ai loro studenti per protestare contro il taglio dei finanziamenti statali disposto dal governo israeliano. “Ci ferisce - scrivono i leader cristiani in un comunicato ripreso dall'agenzia Fides - vedere 33mila studenti di tutte le fedi e confessioni che rimangono fuori dalle classi”, mentre centinaia di docenti e impiegati trascorrono le giornate di mobilitazione nelle scuole vuote.

I tagli del governo hanno causato deficit finanziari alle scuole cristiane
Nel comunicato si fa presente che la battaglia di giustizia contro le discriminazioni delle scuole cristiane è iniziata due anni fa, quando pesanti tagli di bilancio imposti dal governo hanno portato molti istituti scolastici cristiani a versare in una situazione di deficit finanziario. Nel comunicato, le soluzioni finora prospettate dal ministero israeliano per superare la crisi vengono definite irrealistiche o addirittura peggiorative. “Per centinaia di anni” si legge nel testo pervenuto all'agenzia Fides “le nostre scuole hanno offerto educazione di alto livello. Il nostro impegno al servizio dell'educazione e nella promozione della nostra società è radicato nella nostra stessa missione e nella nostra visione”. 

Dal 1948 i contributi alle scuole cristiane diminuiti del 45%
Alla radice della protesta ci sono le restrizioni di bilancio imposte dallo Stato ebraico, che mettono a rischio la sopravvivenza stessa degli istituti educativi animati dalle Chiese e dalle comunità cristiane in Israele. In pochi anni, i contributi pubblici alle scuole cristiane sono diminuiti di oltre il 45%, costringendo gli istituti ad aumentare le rette scolastiche a carico delle famiglie, spesso dotate di redditi bassi, sotto la media nazionale. Le 47 scuole cristiane presenti in Israele sono frequentate da 33mila studenti (di cui solo la metà sono battezzati) e impiegano 3mila insegnanti. I sussidi statali, che fino a qualche hanno fa coprivano il 65% delle rette, sono stati drasticamente ridotti e adesso non coprono nemmeno il 30% delle spese di gestione. 

Sulle ragioni dello sciopero e sulla missione delle scuole cristiane in Israele, nel corso dell'Assemblea plenaria del Consiglio delle conferenze episcopali europee che si è concluso ieri a Gerusalemme, Fabrizio Mastrofini ha intervistato mons. Giacomo Marcuzzo, vicario episcopale del patriarcato latino: 

R. - Queste scuole hanno una missione importantissima per la Chiesa, perché noi, essendo solo il 2% della popolazione, senza la scuola non possiamo formare veramente i nostri cristiani e assicurare un futuro alle nostre parrocchie, alle nostre comunità. Queste scuole per anni sono andate avanti bene, con un sistema meraviglioso. Di questo dobbiamo dare atto ad Israele: in questi ultimi anni lo Stato assicurava l’infrastruttura dell’insegnamento ed ogni gruppo, ogni minoranza, ogni fede, poteva educare i suoi addetti secondo quello che riteneva opportuno e che le famiglie credevano opportuno. Secondo me era veramente un piccolo capolavoro storico di educazione. Ma in questi ultimi anni, proprio a partire dal 2009, piano piano ci sono stati dei tagli, delle riduzioni ed oggi riceviamo dallo Stato solo il 29% di cui abbiamo diritto. Le nostre scuole non possono andare avanti in questo modo, perché il resto – quasi il 70% – era coperto dalle famiglie, che nella maggior parte dei casi non sono in grado di coprire questa spesa per i loro bambini. Noi chiediamo che lo Stato ritorni a quello che faceva prima, cioè che ci dia quello che è necessario – come è di diritto, come è decretato qui in Israele – per l’educazione dei nostri figli e per aiutare le famiglie che hanno veramente dato molto all’insegnamento dei loro figli.

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Circolare Miur: la riforma della scuola non introduce gender

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La riforma della cosiddetta “Buona Scuola” non introduce la teoria del gender. Così una circolare del Ministero dell’Istruzione inviata  a tutti i dirigenti nella quale viene sottolineato il patto di corresponsabilità scuola-famiglia e il diritto dei genitori a conoscere prima dell’iscrizione il Piano di Offerta Formativa. Soddisfazione dalle associazioni genitori che però promettono: continueremo a vigilare. Paolo Ondarza ha intervistato il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi

R. – Questa circolare è molto chiara e netta, così come era molto chiara anche la circolare di luglio. Queste due circolari dettano una regola chiara: lotta alla discriminazione sì, teoria del gender no. Non ci saranno più assolutamente alibi per chi vuole portare la teoria del gender all’interno delle nostre scuole!

D. – Le associazioni dei genitori apprezzano le rassicurazioni del ministero, ma dicono: continueremo a vigilare. In particolare chiedono: perché parlare di “educazione di genere”, perché distinguere tra “sesso” e “genere”? La domanda è: per genere si intende quello maschile e quello femminile oppure la pluralità di generi contemplati dalla teoria del gender?

R. – E’ difficile chiedere al ministero di fare l’interpretazione autentica di una parola, anche perché l’italiano è abbastanza semplice e “genere” - da che mondo è mondo - è maschile e femminile. Le associazioni dei genitori fanno bene a vigilare: è loro compito. E’ la nostra Costituzione – e lo ricordo come Ministero dell’Istruzione – che ci impone un patto educativo tra scuola e famiglia, tra genitori e insegnanti.

D. – Secondo quel patto di corresponsabilità ricordato dalla circolare, passaggio molto apprezzato dalle associazioni di genitori, che ricordano: ben prima della “Buona Scuola” si sono verificati nelle aule scolastiche casi di introduzione dell’ideologia del gender ad insaputa dei genitori. Si fa riferimento in particolare alla strategia Unar e all’affidamento ad associazioni Lgbt di corsi sull’educazione all’affettività senza il coinvolgimento dei genitori…

R. – Dobbiamo lavorare all’interno delle scuole contro la discriminazione. Ma un’altra cosa è la teoria gender: dai libretti Unar, alle varie iniziative fatte dalle associazioni. E su questo tema noi non possiamo non tener conto di una legge costituzionale, di una norma costituzionale, ma addirittura di una norma – direi – del buon senso, che è il rapporto tra genitori e insegnanti. Tutto ciò che entra nella scuola deve essere a conoscenza preventiva dei genitori, che devono poter liberamente scegliere se partecipare ad attività extrascolastiche, magari non contenute nel Pof, nel Piano dell’Offerta Formativa iniziale della scuola.

D. – E come risponde a quei genitori che denunciano che in passato questo patto di trasparenza, alleanza genitori-scuola, non è stato sempre rispettato…

R. – Rispondo che, in effetti, è così e che negli anni qualcosa è accaduto, altrimenti non ci sarebbe stato questo dibattito pubblico, anche molto acceso, e magari non ci sarebbero state queste due circolari, di cui la seconda ieri… Quindi guardiamo al presente e soprattutto al futuro. Il ministero ha detto cose chiare e nette: adesso lavoriamo per la scuola. E lo ribadiscono:  la scuola non è terreno di scontro, di lotte ideologiche sulla pelle dei nostri ragazzi.

Intanto è polemica per le parole del ministro Giannini  che ieri presentando la circolare ha definito una “truffa culturale” quella messa in atto da chi accusa la riforma di introdurre il gender nelle aule, non escludendo il ricorso a strumenti legali”. Sulla circolare del Miur Paolo Ondarza ha intervistato Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Difendiamo i nostri Figli, l’organizzazione che lo scorso 20 giugno ha portato in piazza a Roma circa un milione di persone: 

R. – Se da una parte vogliamo dargli una lettura positiva, prendiamo atto che il ministro dichiara e rassicura che il gender non entra nelle scuole, dall’altra parte diciamo: “Attenzione, perché è già accaduto”. Quindi monitoreremo che le cose vadano in un determinato modo. Inoltre, non ci si può permettere di far passare il milione e più di persone che erano presenti a Piazza San Giovanni e tutte le correlate a quelle persone come dei visionari, dei terroristi, degli allarmisti.

D. - Se la “Buona scuola” non contiene la teoria del gender, le famiglie sono preoccupate dal comma 16 della stessa riforma …

R. - Perché quando nel comma 16 si legge che in tutte le scuole di ogni ordine e grado deve passare l’educazione alle parità tra i sessi  - e siamo perfettamente d’accordo - , la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, voglio chiedere al ministro: “Perché prima si usa la parola “sessi” e poi “genere”?”

D. - Come fossero due cose diverse?

R. - Come se fossero due entità diverse! Se il ministro ci dice, scrive e dichiara che per quanto riguarda la scuola e la Repubblica italiana genere e sesso sono sinonimi, per cui esistono due generi punto e basta – maschile e femminile  - siamo tutti perfettamente d’accordo. Ma nel momento in cui si dice: “Ci sono i sessi, maschio e femmina. Poi ci sono i generi”, cioè addirittura l’autodeterminazione dei bambini verso un orientamento sessuale diverso, rispetto a quello che la propria appartenenza maschile e femminile è in grado di determinare, questa si chiama ideologia di gender e contro questa noi combatteremo con tutte le nostre forze.

D. - Va detto che nella circolare viene sottolineata l’importanza del patto educativo di corresponsabilità scuola-famiglia per condividere il progetto educativo …

R. - Mi permetto di dire che questo è un punto che noi abbiamo stimolato con le nostre prese di posizione e con le nostre dichiarazioni. Il nostro comitato non è contro qualcuno; che cosa vogliamo? Vogliamo che venga tutelata la famiglia - Art. 29 delle Costituzione “ ….società naturale fondata sul matrimonio”  - e che vengano difesi i bambini da una specie di “colonizzazione ideologica” – felicissime e splendide parole del Santo Padre -; non vogliamo che questo “sbaglio della mente umana” – come lo ha definito sempre il Papa – del gender venga a colonizzare le nostre scuole. Allora, proprio per questo, vogliamo un dialogo addirittura ferrato; vogliamo metterci quasi al servizio della scuola dicendo: “Stiamo attenti che non vi siano delle persone schierate dal punto di vista ideologico, le quali sfruttando l’idea di educare i bambini alla non violenza, alla non discriminazione, in realtà introducono delle cose totalmente diverse. Ci permettiamo di dire, inoltre, che vigileremo anche a livello di composizione di un osservatorio nazionale per vedere che le cose vadano effettivamente nella direzione che il ministro ha tentato nuovamente di dire, perché se risulta che accreditati presso il ministero per costruire dei percorsi, delle strategie nazionali contro la discriminazione e la violenza di genere, ci sono 29 associazioni Lgbt, mentre l’Age, l’Agesc e le associazioni che fanno riferimento a principi valoriali diversi, non vengono né accreditati né tanto meno contattati, allora lei capisce che qualche dubbio ed una piccola mala fede ci viene. Allora sgombriamo i dubbi, non facciamo nessun muro contro muro, non vogliamo metterci in guerra contro niente e contro nessuno, né istituzioni né persone, ma cerchiamo di fare un ragionamento leale corretto e virtuoso avendo come fari la difesa della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio, e l’educazione dei bambini che deve collimare con la loro crescita di identità sessuale.

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Le spoglie di Santa Maria Goretti in pellegrinaggio negli Usa

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Fino a novembre viaggeranno negli Stati Uniti le reliquie del corpo di Santa Maria Goretti, uccisa a 11 anni all'inizio del secolo scorso durante un tentativo di stupro a Nettuno. E’ la seconda volta che i resti della 'Santa Bambina' lasciano l'Italia: il “pellegrinaggio della misericordia” partirà da Newark, New Jersey, il 21 settembre, per poi precedere Papa Francesco a Filadelfia il 24 e 25, nei giorni del Meeting Mondiale delle Famiglie. Tappa, poi, a New York con una giornata, il 28, di venerazione nella cattedrale di San Patrizio e poi, via via, il pellegrinaggio della Santa si snoderà tra parrocchie e cattedrali, prigioni e anche un braccio della morte presso la Holy Cross di Boston. Altre tappe in 25 diocesi cattoliche su 16 Stati, tra cui anche le arcidiocesi di Detroit, Chicago, Atlanta, Houston, e Oklahoma City. Al microfono di Francesca Di Folco, i particolari del viaggio da padre Giovanni Alberti, rettore del santuario di Nettuno: 

R. - È un evento grandioso, soprattutto tenendo conto che questo pellegrinaggio è stato voluto dai vescovi e dai cardinali americani in preparazione al Giubileo della Misericordia. Il fatto che il Papa sia presente in questo luogo, in questi giorni per noi è motivo di grande orgoglio e forza. Questo viaggio di Maria Goretti negli Stati Uniti è stato voluto perché la Misericordia di Dio si esprime anche attraverso la santità di questa bambina che ha perdonato l’uccisore permettendo a quest’ultimo di rinascere e di riscoprirsi come uomo e come cristiano.

D. - Quali sono le motivazioni che hanno spinto i vescovi statunitensi a chiedere il pellegrinaggio della santa?

R. - È stata fatta una richiesta scritta da parte dei vescovi americani affinché fosse concesso il privilegio di avere il corpo della santa nell’anno del Giubileo della Misericordia. La santa perdonando il suo uccisore – il gesto più eroico della sua santità – ha aperto la strada ad un modo nuovo di vivere le relazioni tra persone addirittura ferite.

D. - Considerando i temi legati alla violenza sulle donne, quanto è attuale ancora oggi il messaggio che la "Santa Bambina" trasmette a noi tutti?

R. - Penso che non ci sia bisogno di rimarcare questo perchè basta aprire i giornali dove quotidianamente vediamo come c'è veramente poco rispetto per la donna, il suo mondo, la sua sensibilità. Anche in questo campo, ma non solo in questo campo, Maria Goretti apre le strade ad un messaggio nuovo che vuole essere anche qui di rispetto, perdono e di amore.

D. - L’importanza del perdono prende forma viva in relazione alla tappa in cui le reliquie della Santa entreranno nel braccio della morte di una prigione …

R. - Sarà certamente un momento molto emozionante perché ricordiamo tutti la storia dell’uccisore Alessandro Serenelli che ha vissuto una nuova stagione della sua vita grazie al perdono. La sua esperienza ha sollevato l’interesse dell’opinione pubblica perché ha sempre dichiarato che grazie al perdono è riuscito a riscattarsi, a rimarginare le ferite della sua storia, della sua vita ed essere una creatura nuova. Oggi Alessandro Serenelli – è bene saperlo – è sepolto nella chiesa di Corinaldo. Pensare che un uccisore venga sepolto in chiesa, davanti alla tomba di mamma Assunta, ha veramente dello strepitoso.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: missione di solidarietà dei vescovi belgi

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Tre vescovi belgi sono da oggi al 21 settembre nel Nord dell’Iraq per una missione di solidarietà. Mons. Guy Harpigny, vescovo di Tournai, mons. Jozef De Kesel, vescovo di Bruges, e mons. Leon Lemmens, vescovo ausiliare per il vicariato di Brabant, saranno ospiti della Chiesa cattolica caldea a Erbil e a Dohuk visiteranno le migliaia di rifugiati. “Non possiamo abbandonare i cristiani del Medio Oriente al loro destino”, dicono i vescovi. “La presenza delle comunità cristiane risale all’inizio dell’era cristiana e nel corso dei secoli queste comunità hanno potuto professare la loro religione in libertà”, si legge in un comunicato diffuso ieri sera dalla Conferenza episcopale belga e ripreso dall'agenzia Sir.

La solidarietà concreta della Chiesa belga
​“Questo modello sociale sempre attualmente in pericolo è la ragione per la quale la Conferenza episcopale del Belgio ha accettato l’invito del patriarca dei caldei d Bagdad, Louis Raphaël I Sako, e dell’arcivescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda”. I vescovi belgi informeranno personalmente a Erbil il patriarca della Chiesa cattolica caldea della solidarietà concreta che la Chiesa belga vuole offrire alle Chiese sorelle del Medio Oriente avvalendosi delle organizzazioni attive sul posto come l’Aiuto alla Chiesa che soffre, la Caritas e il Jesuit Refugee Service. (R.P.)

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Bolivia: alle presidenziali la Chiesa chiede l'alternanza

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"Come Chiesa cattolica, affermiamo che l'alternanza sempre è una espressione di democrazia", ha affermato il direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, nonché segretario della Conferenza episcopale della Bolivia, mons. Eugenio Scarpellini, vescovo di El Alto. Il direttore delle Pom è stato intervistato dalla stampa locale dopo che il partito di governo ha annunciato di ricandidare Evo Morales per la quarta volta alla Presidenza della Repubblica.

Per la Chiesa è la popolazione che deve decidere se accettare la riforma
​Secondo una nota pervenuta a Fides, due settimane fa Evo Morales aveva dichiarato che, a suo parere, quelli che propongono l'alternanza al potere sono alla ricerca di un cambiamento del modello economico. Nel frattempo, il governo e il Coordinatore Nazionale per il Cambiamento (Conalcam) si sono riuniti la scorsa settimana per concordare una proposta di riforma costituzionale, per rendere possibile la candidatura di Evo Morales, cosa al momento vietata dal testo costituzionale vigente. Mons. Scarpellini ha osservato che dovrebbe essere la popolazione a decidere se accettare o rifiutare questa riforma. (C.E.)

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Colombia-Venezuela. Nunzio: risolvere crisi con il perdono

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"Il popolo della Colombia e Venezuela sono fratelli, e la pace e la riconciliazione sono sempre possibili. La gente non merita la violenza, e sempre per scrivere nuove pagine di storia, è necessario il perdono", ha affermato il nunzio apostolico a Caracas, mons. Aldo Giordano, riferendosi alla crisi tra Colombia e Venezuela. Mons. Giordano - riporta l'agenzia Fides - ha espresso il suo auspicio in occasione del forum sulla lettera enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, organizzato dal Centro per la formazione politica Aristide Calvani, tenutosi a Caracas, martedì scorso.

Governi non hanno fatto del loro meglio per risolvere la crisi
​Tra i relatori c’era anche il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumanà, il quale ha sottolineato l'importanza di promuovere il dialogo tra Colombia e Venezuela a tutti livelli. Egli ha insistito sul fatto che tutta la Chiesa venezuelana è molto preoccupata per la situazione del confine, in quanto a suo avviso, “i governi non hanno fatto del loro meglio per risolvere la crisi”. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 260

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.