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Sommario del 16/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: famiglia si salvi da colonizzazioni ideologiche

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“La famiglia è alla base della cultura mondiale che ci salva dagli attacchi, dalle distruzioni e dalle colonizzazioni del denaro e ideologiche“. E’ quanto ha ribadito il Papa nella catechesi dell’udienza generale di oggi in Piazza s. Pietro davanti a migliaia di fedeli. Chiudendo il ciclo di riflessioni sulla famiglia il Pontefice ne ha ribadito la portata universale e la responsabilità, che non è, “curare un’intimità fine a se stessa” ma “rendere domestico il mondo”, nella certezza della misericordiosa protezione di Dio. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

La famiglia è una comunità umana fondamentale e insostituibile la cui portata è universale, per questo, ricorda il Papa ai fedeli aprendo la sua catechesi, avranno respiro mondiale i due imminenti appuntamenti ad essa dedicati, il Sinodo del mese di ottobre e l’incontro a Filadelfia della prossima settimana. Ed è alla famiglia che il Papa attinge per l’epoca odierna dominata, dice, dalla tecnocrazia economica e dalla potente logica del profitto:

Famiglia comunità umana fondamentale, universale e strategica
“In questo scenario, una nuova alleanza dell’uomo e della donna diventa non solo necessaria, anche strategica per l’emancipazione dei popoli dalla colonizzazione del denaro. Questa alleanza deve ritornare ad orientare la politica, l’economia e la convivenza civile! Essa decide l’abitabilità della terra, la trasmissione del sentimento della vita, i legami della memoria e della speranza”. La famiglia dunque ci difende, ribadisce con forza il Papa, è la base per salvarci da tante "distruzioni che minacciano il mondo".

Alla famiglia è affidato il progetto di rendere domestico il mondo
Ed è alla famiglia, “nodo d’oro” dell’alleanza uomo donna, che Dio ha affidato “l’emozionante progetto di rendere domestico il mondo”. Ciò che accade tra loro dà l’impronta a tutto, come dimostra l’eredità del peccato originale. Nonostante ciò, ed è questa l’altra sottolineatura di Papa Francesco,” non siamo maledetti né abbandonati a noi stessi”, lo dimostrano le pagine della Bibbia “scritte col fuoco a questo riguardo”:

“Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe (Gn 3,15a). Sono le parole che Dio rivolge al serpente ingannatore, incantatore. Mediante queste parole Dio segna la donna con una barriera protettiva contro il male, alla quale essa può ricorrere – se vuole – per ogni generazione. Vuol dire che la donna porta una segreta e speciale benedizione, per la difesa della sua creatura dal Maligno!” Un profondità, osserva il Pontefice, che rivela una "teologia della donna" contrastante con i luoghi comuni, spesso offensivi,"sulla donna tentatrice che ispira al male".

Dio non ci abbandona al nostro destino di peccatori
Nè all’uomo né alla donna dunque Dio fa mancare la sua protezione: li veste di tuniche, dice la Bibbia, prima di allontanarli dall’Eden,quindi non li lascia "nudi al loro destino di peccatori". E l’incarnazione stessa di Cristo è segno di questa tenerezza divina:

“Cristo, nato da donna, da una donna. È la carezza di Dio sulle nostre piaghe, sui nostri sbagli, sui nostri peccati. Ma Dio ci ama come siamo e vuole portarci avanti con questo progetto, e la donna è quella più forte che porta avanti questo progetto”

La promessa di protezione e salvezza che Dio fa all’uomo e alla donna "include tutti gli esseri umani sino alla fine della storia", camminiamo dunque insieme, con fede "sotto questa benedizione", è l’invito conclusivo del Papa, e "sotto questo scopo di Dio di farci tutti fratelli nella vita, in un mondo che va avanti e che nasce proprio dalla famiglia, dall’unione dell’uomo e la donna".

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Il Papa annuncia viaggio a Cuba e USA: "con grande speranza"

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“Con grande speranza”: così Papa Francesco ha detto di accingersi al prossimo viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti d’America. Lo ha fatto nell’intervento dopo l’udienza generale, spiegando che “motivo principale del viaggio è l’Ottavo Incontro Mondiale delle Famiglie, che avrà luogo a Filadelfia”. E poi aggiungendo che si recherà “anche nella sede centrale dell’ONU, nel 70° anniversario di tale istituzione”. Ma ascoltiamo il suo pensiero: 

“Fin da ora saluto con affetto il popolo cubano e quello statunitense, che, guidati dai loro Pastori, si sono preparati spiritualmente. Chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera, invocando la luce e la forza dello Spirito Santo e l’intercessione di Maria Santissima, Patrona di Cuba quale Virgen de la Caridad del Cobre, e Patrona degli Stati Uniti d’America quale Immacolata Concezione".

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Padre Carvajal: cubani chiedono porte sempre più aperte

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La Chiesa a Cuba è una realtà molto vivace, nonostante le limitazioni e le difficoltà materiali. Componente importante della comunità ecclesiale è  il Centro culturale Padre Félix Varela che punta alla formazione del laicato cattolico. Padre Varela, vissuto tra il 1700 e il 1800, è considerato il padre spirituale di Cuba: accompagnò la popolazione nel cammino verso l’indipendenza dal dominio coloniale spagnolo e l’abolizione della schiavitù. Morì in esilio negli Stati Uniti nel 1853. Il nostro inviato Sergio Centofanti ha intervistato padre Yosvany Carvajal, parroco della Cattedrale dell’Avana e direttore del Centro Félix Varela: 

R. – Cuba si prepara a ricevere il terzo Papa che viene a confermare la nostra fede: quindi la prima preparazione è nella fede. E poi c’è anche una preparazione che avviene a tutti i livelli, non soltanto nella Chiesa, ma in tutto il popolo cubano che aspetta il Papa latinoamericano: un Papa che parla la nostra lingua, un Papa dunque particolarmente vicino, un Papa straordinariamente attento ai poveri e ai piccoli. E quindi questa Chiesa che è piccola, povera, bisognosa, riceve il Papa con un senso di gratitudine. La Chiesa cubana svolge un’opera sociale molto importante, perché non soltanto evangelizza, ma promuove la persona umana; e questo è un compito fondamentale, come afferma Papa Francesco. La Chiesa cubana promuove la persona, dialoga con il mondo ed è molto importante il dialogo in questo contesto di un nuovo rapporto tra gli Stati Uniti e Cuba, nell’ambito del quale la Chiesa e il Papa hanno avuto un ruolo molto importante. Quindi, per queste ragioni, la visita del Papa è attesa non soltanto dalla Chiesa cattolica, ma da tutto il popolo cubano che vuole ringraziare il Santo Padre per il suo gesto, la sua vicinanza e per il ruolo che ha svolto a livello sociale, culturale: un ruolo di spinta alla promozione del dialogo e della riconciliazione nazionale.

D. – Come stanno vivendo i cubani quest’apertura con gli Stati Uniti?

R. – C’è molta speranza, e i cubani vogliono che le porte si aprano ancora di più. Il popolo cubano vive quindi con molta speranza questo nuovo capitolo della storia nazionale: l’apertura, il dialogo con un "nemico" molto antico del governo, ma non del popolo. Quest’ultimo è stato sempre molto legato alla storia degli Stati Uniti e anche dopo la rivoluzione questo legame si è fortificato ancora di più perché sono aumentati i cubani che sono andati in America. C’è speranza nelle famiglie affinché la situazione migliori a livello economico; affinché ci possa essere anche una cooperazione con gli Stati Uniti a livello accademico, economico e molti imprenditori possano venire a Cuba, così da fare in modo che la situazione economica delle famiglie del Paese migliori. Questa è la speranza del popolo cubano grazie alla nuova relazione Cuba-Stati Uniti.

D. – Qual è il ruolo del Centro culturale Félix Varela a Cuba dal punto di vista culturale e anche sociale?

R. – Innanzitutto il ruolo dell’Istituto è quello di promuovere il dialogo tra fede e cultura: quello di servire da ponte tra la cultura nazionale, nel suo complesso, e la fede. E questo dialogo è sempre stato possibile, anche nei momenti più difficili per la Chiesa di Cuba. Abbiamo sempre avuto un dialogo molto buono con il mondo della cultura: questo è sempre stato vicino alla Chiesa ed è stato il primo ad avvicinarsi in tempi difficili, ideologici. Questo è quindi il primo ruolo dell’Istituto: il dialogo tra la fede e la cultura. Poi c’è anche la preparazione dei laici perché possano lavorare in ambito culturale, sociale e politico, partendo da una formazione antropologica cristiana e, con questa visione, possano trasformare la società e rimanere a lavorare a Cuba.

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Dal Papa i ministri dell'Ambiente UE, in vista di vertice di Parigi

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“Solidarietà, giustizia e partecipazione, per rispetto della nostra dignità e per rispetto del Creato”: queste le parole d’esortazione che Papa Francesco ha rivolto alla delegazione formata da 28 ministri dell’Ambiente dei Paesi Ue e due commissari europei per l’Ambiente, il clima e l’energia, che ha incontrato nell’Auletta Paolo VI in Vaticano. L’appuntamento rientra nei lavori in previsione della 21.ma Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi dal 30 novembre all11 dicembre prossimi, ma già venerdì i ministri si riuniranno a Bruxelles per decidere una linea comune da adottare. Il servizio di Roberta Barbi: 

Lo sguardo è ben rivolto all’appuntamento di Parigi e alla questione dell’adozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile: la salute della casa comune per Papa Francesco è “un bene collettivo, patrimonio dell’intera umanità” ma soprattutto “responsabilità di ognuno di noi”. Per questo, la sua tutela richiede la collaborazione dell’intera comunità internazionale, che non deve dimenticare, però, nel suo operato, principi irrinunciabili come quello della solidarietà, una parola “talvolta dimenticata, altre volte abusata”:

“Sappiamo che le persone più vulnerabili dal degrado ambientale sono i poveri, che ne patiscono le conseguenze più gravi. Solidarietà vuol dire allora mettere in atto strumenti efficaci, capaci di unire la lotta al degrado ambientale con quella alla povertà. Esistono numerose esperienze positive in tale direzione. Si tratta, ad esempio, di sviluppo e trasferimento di tecnologie appropriate, capaci di utilizzare al meglio risorse umane, naturali, socioeconomiche, maggiormente accessibili a livello locale, in modo da garantire una loro sostenibilità anche nel lungo periodo”.

Francesco sottolinea, poi, il principio della giustizia, intesa come redistribuzione delle risorse, ricordando come nell’Enciclica “Laudato sii” abbia parlato di “debito ecologico soprattutto tra Nord e Sud, connesso a squilibri commerciali” ma anche di “un uso sproporzionato delle risorse naturali”: aspetti che hanno conseguenze in ambito ecologico. Un debito, questo, che alcuni Paesi devono ora onorare:

“Questi ultimi sono chiamati a contribuire, a risolvere questo debito dando il buon esempio, limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile, adottando sistemi di gestione adeguata delle foreste, del trasporto, dei rifiuti, affrontando seriamente il grave problema dello spreco del cibo, favorendo un modello circolare dell’economia, incoraggiando nuovi atteggiamenti e stili di vita”.

E poi c’è la partecipazione, cioè “il coinvolgimento di tutte le parti in causa, anche quelle che spesso rimangono al margine dei processi decisionali”:

“Da una parte, la scienza e la tecnologia mettono nelle nostre mani un potere senza precedenti; dall’altra, il corretto uso di tale potere presuppone l’adozione di una visione più integrale e integrante. Ciò richiede di aprire le porte ad un dialogo, dialogo ispirato da tale visione radicata in quella ecologia integrale, che è oggetto dell’enciclica “Laudato sì””.

Infine, il Papa ha invitato i ministri a intensificare il lavoro in vista di Parigi, ringraziandoli per i loro contributi e assicurando loro il sostegno della Santa Sede “per rispondere adeguatamente tanto al grido della Terra quanto al grido dei più poveri”.

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C9: nuove congregazioni, nomine vescovi, pedofilia, comunicazione

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Si è parlato delle nuove congregazioni, delle nuove procedure per la nomine dei vescovi, della nuova Segreteria per la comunicazione, ma anche dell’accelerazione dei processi nei casi di pedofilia durante la riunione del C9, il Consiglio dei nove cardinali, che con oggi chiude i lavori di questa sessione, per riunirsi dal 10 al 12 del prossimo dicembre. A riferirne è stato padre Lombardi direttore della Sala Stampa della Santa Sede in un briefing ai giornalisti. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Una nuova congregazione indicativamente chiamata laici-famiglia-vita, è su questa che i cardinali del C9 - questa volta assente per motivi di salute il cardinale Maradiaga - hanno inviato al Papa una proposta in merito, orientata all’attuazione, dopo aver ascoltato il cardinale Dionigi Tettamanzi, incaricato da Francesco di condurre un approfondimento circa la fattibilità del progetto. Non così è stato, invece, ha spiegato padre Lombardi, per la congregazione di aggregazione dedicata a carità-giustizia-pace, sulla quale per il momento non è stata ancora maturata una proposta conclusiva da parte del C9. I tempi, ha precisato il portavoce, saranno quelli del Santo Padre:

“Come abbiamo capito, ormai mi sembra abbastanza chiaro, non è che la riforma della curia dal punto di vista organizzativo sia da attendersi tutta in una volta, cioè che tutto è studiato sistematicamente, tutto è chiarito contemporaneamente, viene fuori un gran documento e tutto si rinnova allo stesso momento… Si va avanti per gradi e per tappe ed è il Papa poi nella sua libertà e autorità a vedere quando e come ritiene maturi i diversi passi”.

I cardinali - ha continuato padre Lombardi - hanno poi riflettuto sulle procedure per le nomine dei nuovi vescovi, più specificamente sulle qualità e i requisiti dei candidati, alla luce delle esperienze del mondo di oggi e sulla relativa raccolta delle informazioni. 

“Qual è la figura, la figura del vescovo adatto per il mondo di oggi e quali possono essere i requisiti, e quindi quali possono essere le questioni su cui essere attenti nella ricerca dei candidati, questo è un problema che può essere sempre di attualità, cioè non è che ci sia da pensare a delle motivazioni specifiche molto particolari, è un problema continuo”.

Dai cardinali del Consiglio è stato ascoltato anche mons. Dario Viganò, prefetto della nuova Segreteria per la comunicazione, il quale ha riferito essenzialmente sulla nomina di un gruppo di elaborazione degli statuti della Segreteria stessa. Un gruppo di lavoro - ha precisato Lombardi - già costituito e che ha già iniziato le attività. E’ composto da rappresentanti delle nove istituzioni coinvolte a vario titolo, persone con competenze ed esperienze di carattere giuridico-amministrativo, in modo da poter pensare alla formulazione di uno statuto del Dicastero che, pur tenendo conto della fase progressiva di consolidamento dei vari enti che fanno parte della Segreteria, definisce la struttura “a regime”. I cardinali - ha aggiunto padre Lombardi - hanno espresso apprezzamento e chiesto che, nonostante la progressione, si diano da subito linee precise di comportamento alle istituzioni coinvolte, affinché, come chiesto dal Motu Proprio del Papa, la riforma proceda con decisione verso “una integrazione e gestione unitaria”. Per quanto riguarda le linee politiche dell’informazione, ha detto padre Lombardi in risposta ad una domanda, dipendono dalla Segreteria di Stato:

“Io evidentemente, se ho dei problemi che riguardano, non so, i rapporti diplomatici della Santa Sede con qualche Paese del mondo, chiedo alla Segreteria di Stato, chiedo a mons. Becciu, a mons. Gallagher, a volte al cardinale Parolin stesso. Questi sono i referenti sui contenuti sensibili dell’informazione. Invece, la Segreteria come Dicastero ha adesso più compiti di carattere organizzativo, che naturalmente poi influiscono sull’impostazione del lavoro, ma non riguardano contenuti specifici sensibili di informazione. La sorgente delle indicazioni e degli orientamenti per quanto riguardano i contenuti dell’informazione rimane la Segreteria di Stato”.

A proposito, poi, delle questioni attinenti agli abusi sui minori, i cardinali hanno preso in esame anche la possibilità di una trattazione più rapida dei numerosi casi ancora pendenti.

“Ci sono cause arretrate, cause che attendono da tempo, quindi uno dei punti di cui si è parlato è anche questo, per recuperare l’arretrato e non fare aspettare a lungo la trattazione di casi precedenti”.

Padre Lombardi, in conclusione, ha precisato che il C9 ha anche preso in considerazione una bozza di preambolo della nuova Costituzione della Chiesa.

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Mons. Tomasi all'Onu: superare l'indifferenza verso la schiavitù

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La comunità internazionale deve rifiutare la cultura relativista che permette a una persona di lucrare su di un’altra, trattandola come oggetto, imponendole il lavoro forzato, o rendendola schiava per ripagare un debito. E’ la richiesta di mons. Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, rivolta ieri alla 30ma Sessione del Consiglio per i diritti Umani dell’Onu. Servizio di Francesca Sabatinelli:

Dobbiamo superare la “globalizzazione della indifferenza” nei confronti di chi viene, a diverso titolo, ridotto in schiavitù. Lo dice mons. Silvano Tomasi alla comunità internazionale, fortemente sollecitata a trasformare questa indifferenza in un “rinnovato senso di solidarietà e di fraternità” .

La schiavitù coinvolge 35,8 milioni di persone; 5,5 milioni sono bambini
L’Osservatore ripete le tristi cifre già fornite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro: 35,8 milioni di persone al mondo sono ridotte in stato di schiavitù, 5,5 milioni degli oltre 20 milioni di persone impiegate nel lavoro forzato sono bambini. A correre i maggiori rischi sono i gruppi di vulnerabili: indigeni, minoranze, coloro considerati provenire dalle "caste più basse" e migranti, soprattutto irregolari. I settori “con un elevato rischio di forme contemporanee di schiavitù” sono quelli in cui troviamo catene di produzione: in agricoltura, nell’edilizia, nell’estrazione mineraria e nell’industria tessile. Tomasi spiega però che ci sono anche altre forme di schiavitù, che vanno al di là dello sfruttamento nel lavoro forzato, perché molti esseri umani, e in maggioranza minorenni, vengono catturati dal mondo della prostituzione, o vengono trasformati in schiavi del sesso.

Il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace
Tomasi ricorda il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2015, quando il Papa parla di  “donne forzate a sposarsi, vendute in vista del matrimonio o trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito, senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso”. Ed elenca poi le altre forme di riduzione in schiavitù, sempre citate dal Papa: “per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale”.

Per eliminare il fenomeno occorre una mobilitazione mondiale
Questo vecchio fenomeno disumano di sottomissione dell'uomo da parte dell'uomo – denuncia Tomasi, riprendendo le parole di Papa Francesco – affonda  le sue radici, oggi come in passato, in una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. “Siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le competenza di una sola comunità o nazione”, ci ripete mons. Tomasi e “al fine di eliminarlo abbiamo bisogno di una mobilitazione di dimensioni paragonabili a quelle del fenomeno stesso”.

Coordinamento transnazionale contro il traffico di esseri umani
Occorre quindi impegnarsi a prevenire questo fenomeno, a tutelare le vittime, a lavorare per la loro riabilitazione psicologica e pedagogica, a perseguire legalmente i responsabili. Ed ecco quindi che, prendendo esempio dagli sforzi della Chiesa cattolica per contrastare le moderne forme di schiavitù, “gli Stati dovrebbero garantire che la propria legislazione rispetti veramente la dignità della persona umana nei settori della migrazione, dell’occupazione, dell'adozione, nei movimenti  delle società offshore e nella vendita di articoli prodotti da lavoro degli schiavi, alla ricerca delle modalità più idonee per punire coloro che sono complici in questo commercio inumano”. Oltre che  combattere in modo coordinato le reti transnazionali del crimine organizzato che controlla il traffico di persone e il traffico illegale di migranti.

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In 4 mila a San Pietro per la Veglia dei giovani consacrati

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Riflettere sulla propria vocazione, mettendosi in ascolto di Gesù, che “chiamò a sé quelli che egli volle. Ed essi andarono da lui”. Con questo spirito ieri sera in piazza S.Pietro in 4 mila giovani hanno pregato durante la Veglia per il primo incontro mondiale dei giovani consacrati. L’evento, che terminerà sabato, è stato organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di vita apostolica. Il servizio di Michele Raviart: 

“Animo, siate forti! Perseverate, siate fedeli! Portate frutto, risvegliate il mondo!”. Ad esortare le migliaia di giovani consacrati e consacrate a ravvivare la loro fede e il dono della vocazione è mons. José Rodriguez Carballo, segretario del dicastero per i religiosi. Il Signore è stato generoso a chiedere di condividere la sua vita e la sua missione, ma consacrare la vita a Lui non è una scelta facile. Il rischio è quello di scegliere il cammino più semplice e vivere un processo di discernimento vocazionale infinito senza prendere mai una decisione definitiva, “adducendo ogni pretesto per non mantenere l’appuntamento con il Signore”. Nella consapevolezza che la vita consacrata “vissuta in pienezza, supera le nostre forze e capacità”, bisogna riconoscere che “nella debolezza si manifesta la forza di Dio” e affidarsi quindi al Vangelo e a Maria. Come ha ribadito nel suo saluto introduttivo il prefetto della Congregazione, il card. Joao Braz de Aviz, “la sua gioia e fedeltà nel seguire il Signore ci invade di gioia e di fedeltà”. In questo senso ascoltiamo la testimonianza di suor Rita Giarretta, orsolina impegnata a Caserta nella lotta alla prostiuzione, intervistata da padre Vito Magno.

“La mia vocazione è stata un po’ avanzata: avevo 29 anni. Ho lasciato il mio lavoro da infermiera. Ero  soprattutto impegnata nel sindacato. Ma ci sono quelle voci interiori che sono così difficili da comunicare agli altri, che ti indicano una strada. Senti che ad un certo punto la tua vita deve essere “obbediente” a queste voci, a queste chiamate, che si rivelano anche faticose. Hai sempre dei ritorni, infatti, dei ripensamenti. C’è, però, una luce davanti. Ed oggi, a distanza di anni, sono felice, con una gioia che ogni giorno sento riaffiorare dentro di me: la gioia di camminare dietro al Cristo - mio sposo, mio fratello, mio amato - e sentire che insieme – perché anche Lui ha bisogno di me – continuiamo a creare vita nuova e speranza”.   

Tanti giovani che hanno iniziato il percorso che li porterà ad essere religiosi possono cadere infatti nella tentazione di lasciare. E’ necessario perciò alimentare la fedeltà a Cristo, attraverso un progetto di vita ‘ecologico’ nel quale, spiega ancora mons. Caballo, “abbiamo tempo per noi stessi, tempo per gli altri e tempo per Dio”. “Svegliate il mondo!” è il tema di quest’anno dedicato alla vita consacrata, inaugurato da Papa Francesco lo scorso 29 novembre, e questo può avvenire solo se il consacrato “è tutto del Signore”, donandosi a Lui in obbedienza, povertà e castità. E vivere secondo l’amore e con l’amore, lasciando che sia questo a dare frutti abbondanti, nella comunità, nella Chiesa e nel mondo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il nodo d'oro: all'udienza generale il Papa conclude le riflessioni sulla famiglia e saluta i popoli cubano e statunitense in vista del viaggio.

Nel cuore delle persone con il Vangelo: il cardinale arcivescovo dell'Avana sulla visita del Pontefice a Cuba.

Tra banalità e informazioni distorte: Lucetta Scaraffia recensisce un saggio francese sulla storia del matrimonio.

Il Giappone e i cristiani nascosti: il prefetto Cesare Pasini sul fondo Marega della Biblioteca Vaticana.

Un articolo di Fabrizio Contessa dal titolo "Perché l' Europa ascolti": l'appello dei presuli delle conferenze episcopali del continente riuniti in Terra Santa.

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Oggi in Primo Piano



Siria, intervista all'arcivescovo di Aleppo: "Aiutateci a rimanere"

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220.000 morti dal 2011 a oggi, 4 milioni di rifugiati all’estero e 140 chiese distrutte: è quanto accade in Siria, dove prosegue da cinque anni il conflitto civile. Se ne è parlato questa mattina, a Roma, alla conferenza  organizzata  dalla fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre. Il titolo: “Cristiani di Siria: aiutateci a rimanere”. Invitato a parlare l’Arcivescovo Caldeo di Aleppo mons. Antoine Audo, l’ha incontrato per noi Eugenio Murrali: 

R. – Quello che cerchiamo è una soluzione politica, un aiuto maggiore per i cristiani e per i siriani.

D. – La Francia però ha annunciato incursioni aeree e bombardamenti. Come vi ponete di fronte a questo?

R. – Penso che questa non sarà la soluzione. Credo sia una strategia militare per guadagnare tempo e portare la violenza in tutta la regione, per generare divisioni e, forse, vendere armi e fare progetti economici.

D. – Restare è più importante che assicurarsi la sicurezza all’estero?

R. – Per me, come vescovo della chiesa cattolica caldea, è una questione di vita o di morte. Le chiese orientali devono fare tutto il possibile per assicurare la loro presenza, che è molto importante per la storia della Chiesa universale. È fondamentale nel contesto arabo e musulmano una chiesa capace di dialogare, di vivere con gli altri con dignità e rispetto. Noi, come orientali, vogliamo vivere nel nostro Paese, che ha una bella storia e non abbiamo desiderio di andare in Occidente. L'Occidente non è meglio della nostra terra, che noi lasciamo solo per ragioni di sicurezza e di povertà.

D. – Qual è la situazione dei cristiani? Qual è la vita che devono affrontare oggi in Siria?

R. – È molto dura. Il primo problema è la mancanza di sicurezza. E' terribile. Tutti i giorni, soprattutto ad Aleppo, le bombe arrivano da ogni parte, in ogni momento e non si sa dove. La seconda questione riguarda l’economia: tutti sono poveri, senza lavoro, la vita è molto cara. Poi c’è la questione dell’acqua, dell’elettricità, che toglie ogni dignità, ogni possibilità di vivere il quotidiano.

D. – La posizione dei cristiani, forse, è tra tutte la più delicata …

R. – Penso sia la più delicata perché sono deboli, non sono armati, non hanno pretese di potere o di denaro. Vogliono soltanto vivere con dignità, ma allo stesso tempo c’è chi cerca di usare la loro debolezza per interessi politici.

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La Croazia apre ai migranti. Esperti Ue nei centri di identificazione

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La Croazia lascerà passare i migranti e i profughi che nelle ultime ore hanno cominciato ad affluire nel Paese per aggirare il muro anti immigrati ungherese. In Ungheria nuove tensioni davanti al muro al confine con la Serbia. Intanto la Commissione Europea fa sapere che "gli esperti di Easo, Frontex, Eurojust ed Europol sono in Italia e gli hotspot stanno iniziando a funzionare, quindi i ricollocamenti si potranno fare da inizio ottobre": Il servizio di Marco Guerra: 

Sono 277 i migranti entrati finora in Croazia dalla Serbia dopo la chiusura del confine serbo-ungherese. Molti di loro, siriani e afghani con bambini al seguito sono giunti a bordo di 6 autobus provenienti dal sud della Serbia dove i profughi affluiscono da Grecia e Macedonia. E  in quest’ultimo Paese nelle ultime 24 ore si registrano circa 5000 ingressi. "La Croazia è assolutamente in grado di accogliere e indirizzare queste persone dove desiderano andare, vale a dire la Germania o alcuni paesi scandinavi", ha detto il premier croato Milanovic.  Intanto al confine tra Ungheria e Serbia sono scoppiati incidenti tra polizia magiara e un gruppo di migranti che cercava di abbattere il filo spinato, mentre le autorità di Budapest hanno già arrestato 367 migranti  dopo l’entrata vigore della nuova legge anti-immigrazione. Della creazione dei centri di identificazione – i cosiddetti ‘hotspot’ - in Grecia e Italia come condizione per la redistribuzione dei richiedenti asilo,abbiamo parlato con la Direttrice del Consiglio italiano rifugiati Fiorella Rathaus:

R. – L’intero quadro è davvero poco chiaro. Però in questo famoso “Hotspot Approach” si parla di gestione locale supportata da Easo, da Frontex ,da Europol e Eurojust. Queste quattro agenzie lavoreranno insieme agli Stati membri per ottemperare a questo obbligo di identificazione. Chiaramente qui si aprono scenari molto complessi  che ci creano gravi preoccupazioni. Innanzitutto, gli hotspot sembrano, per loro natura, dei centri chiusi; questo mi sembra il punto più qualificante o squalificante nel caso specifico, perché effettivamente nessuna misura di trattenimento obbligatorio può essere applicata su richiedenti asilo senza che ci sia un presupposto giuridico condivisibile e oggettivo.

D. - Ci può elencare altre criticità?

R. - In primis, in questo momento, questi hotspot sembrerebbero la condicio sine qua non del passaggio alle riallocazioni previste dal programma europeo. In tutti questi programmi viene menzionato il fatto che questa sarà la sede di una necessaria identificazione e - nel passaggio successivo - di una valutazione di chi è destinatario di protezione internazionale e chi no. Entrambi i punti ci creano gravi perplessità. Innanzitutto, non si capisce bene come all’interno di questo luogo sarà possibile procedere all’identificazione, visto che fin qui è stato un argomento così drammaticamente difficile da affrontare per le forze di polizia italiane perché le persone si sottraggono volontariamente per la questione del Trattato di Dublino, cheprevede di restare nel Paese dove sei stato identificato. Quindi, non possiamo immaginare che magicamente gli addetti di Frontrex piuttosto che altri ufficiali europei possano riuscire ad ottenere che queste persone accettino una procedura di identificazione. Non è che siamo fautori di un’alternativa in questo momento impossibile. Il punto, però, è che non possiamo immaginare che solo l’esistenza degli hotspot possa magicamente risolvere il problema intrinseco del fatto che le persone si sottraggono a questa procedura. Speriamo di non dovere immaginare che all’interno degli hotspot dovranno essere adottate misure coercitive in questo senso.

D. - Quindi materialmente chi dovrà identificare e con quali strumenti potrà riuscire ad identificare questi migranti?

R. - Il sistema previsto è quello di sempre:  foto segnalamento, fingerprints (impronte digitali), … Il problema è come immaginare che questo passaggio diventi imprescindibile, visto che fin qui è stato così problematico, non perché le forze di polizia italiane o chi per loro si sottraevano al compito, ma perché oggettivamente i richiedenti asilo spesso non accettavano questo passaggio per sottrarsi al regolamento di Dublino. Dunque, in questo momento non abbiamo ricette alternative, ma sappiamo che non da un momento all’altro e per miracolo succederà qualcosa di diverso. Il problema di identificazione continuerà ad essere un problema di difficile soluzione. Dobbiamo augurarci che la soluzione non sia quella di un passaggio coercitivo.

D. - Si può sperare almeno in una velocizzazione dei tempi delle procedure per riconoscere lo status di rifugiati?

R. - Tutti auspichiamo che i tempi delle procedure siano più brevi di quelli attuali, per carità. Ma non è possibile decidere su due piedi chi merita protezione e chi deve essere rimandato a casa. Queste persone vengono a chiedere asilo e nel momento in cui lo fanno non è possibile sottoporli ad una procedura sommaria come quella che potrebbe essere garantita in tempi così brevi - due-tre giorni - all’interno degli hotspot. È importante anche per decidere chi dovrà procedere al ricollocamento che le persone non vengano rinviate, rimpatriate, senza aver avuto la possibilità di esprimere in modo corretto le ragioni che li hanno portati in Italia a chiedere asilo, ed è altrettanto importante che sia rispettato il loro successivo diritto al ricorso, nel caso la decisione non sia loro favorevole.

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Gerusalemme, torna la calma sulla Spianata delle Moschee

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A Gerusalemme sembra tornata la calma sulla spianata delle Moschee, dopo i 3 giorni di scontri tra  polizia israeliana e manifestanti palestinesi registrati fino a ieri sera, in concomitanza con la fine delle celebrazioni del Capodanno ebraico. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, dopo un vertice di emergenza convocato ieri sera, ha esteso le misure straordinarie contro chi lancia pietre e bombe incendiarie in vigore in Cisgiordania al territorio israeliano.  Dal segretario generale della Lega Araba, Nabil el Arabi, giunge la condanna a Israele per  l'escalation di violenze di questi giorni. Araby, in una telefonata al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, ha sottolineato la necessità che il Consiglio di Sicurezza agisca per proteggere la pace e la sicurezza internazionale. "E' importante - ha aggiunto la Lega Araba in una nota - che la riunione del quartetto internazionale, che si terrà il 30 settembre a New York, alla presenza dei ministri degli esteri di Egitto, Giordania e Arabia Saudita e della Lega Araba, porti a risultati tangibili". Ma come vanno letti gli avvenimenti degli ultimi tre giorni sulla Spianta delle Moschee? Elvira Ragosta lo ha chiesto a Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni internazionali all’Università di Firenze: 

R. – La Spianata delle Moschee, soprattutto in coincidenza delle feste ebraiche che vengono celebrate anche davanti al Muro occidentale, che sta sotto alla Spianata, è da mesi – anzi, da un anno – un terreno di scontro continuo. Sia perché gli israeliani impediscono l’accesso ai giovani, soprattutto musulmani, che vogliono andare a pregare, sia perché parecchi ebrei, nonostante questo sia proibito dalla legge, vanno su a pregare. E infatti, recentemente è stato dichiarato illegale un gruppo di donne musulmane che sulla Spianata circondava gli ebrei che pregavano, gridando preghiere islamiche. E’ un punto caldissimo, la Spianata, dentro una città in cui la convivenza tra le due comunità – se si può chiamare convivenza – è ormai diventata impossibile.

D. – Fa discutere questo giro di vite annunciato ieri da Netanyahu, dopo il vertice d’emergenza convocato in serata, sull’inasprimento delle pene per chi lancia i sassi: molte significative per i minorenni e i genitori e modifica delle regole d’ingaggio per i poliziotti …

R. – La legge è già passata ed è – a modo suo – draconiana perché non solo si punisce il lancio di pietre, soprattutto contro i veicoli, con una pena di 20 anni, ma per avere una riduzione l’onere della prova di non aver voluto far male è dell’imputato. Il problema vero di questa legge che ora si vuole estendere a tutto il territorio, mentre prima era focalizzata essenzialmente al West Bank, è che dovrebbe essere usata contro i coloni che lanciano pietre contro i palestinesi, a volte protetti dall’esercito.

D. – L’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che consente alla bandiera della Palestina, che è osservatore permanente alle Nazioni Unite, di sventolare sul Palazzo di Vetro …

R. – Dall’Onu arriva un ulteriore segno che forse, passetto dopo passetto, si sta arrivando a qualcosa di più importante, che poi sarebbe una risoluzione – l’ultima bozza pare sia francese – per sbloccare con tempi certi il cosiddetto “processo di pace”. E’ comunque un voto simbolico, anche se di altro significato. Dal Parlamento europeo è arrivata anche una mozione non vincolante, a grande maggioranza, in cui si incoraggia anche l’Europa a spingere per il processo di pace e soprattutto a etichettare correttamente i prodotti provenienti dal West Bank che non è parte di Israele.

D. – Quanto pesa la rappresentatività di Abu Mazen nel contesto palestinese di questi giorni?

R. – Abu Mazen è il presidente dell’Autorità palestinese e dell’Olp e come presidente dell’Autorità è prorogato da anni e anni perché non si sono mai rifatte elezioni. E’ anche vero che è l’ultimo della generazione di Arafat, che dietro di lui c’è una sorta di vuoto; che lui si sente fortemente responsabile degli sviluppi ed è vero che quello che accade in questi giorni – manifestazioni, lanci di pietre eccetera – vede schierati, ognuno a modo suo, israeliani e palestinesi per tirare Abu Mazen nella propria direzione. Questo in vista del discorso che Abu Mazen terrà a fine settembre all’Onu, dove potrebbe fare dichiarazioni importanti. In particolare, potrebbe ridurre o annullare la collaborazione con gli israeliani in tema di sicurezza, ed è questa l’unica cosa che ancora impedisce un’Intifadah vera, oppure addirittura dichiarare di smantellare l’Autorità palestinese, lasciando l’amministrazione agli israeliani e creando, di fatto, uno Stato occupato, governato dall’Olp in modo non ufficiale.

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Sfide e comunione: si chiude l'incontro Ccee in Terra Santa

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La disperazione non ha confini e se gli Stati devono mantenere l'ordine, hanno però anche il dovere di rispondere alle necessita' di aiuto immediato e di accoglienza verso i migranti. Lo scrivono i presidenti delle Conferenze episcopali europee nel messaggio finale della Plenaria che si e' chiusa oggi a Gerusalemme. I vescovi auspicano un intervento delle Nazioni Unite sulla questione dei profughi ma anche un deciso impegno di pace per la Terra Santa e per l'Ucraina. I vescovi europei si pronunciano inoltre a favore della liberta' religiosa in Terra Santa, in riferimento ai tentativi di limitare la liberta' di azione delle scuole cristiane. Per quanto riguarda la famiglia ribadiscono che essa e' fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e chiedono che sia piu' ampia la sensibilizzazione per contrastare il ''pensiero unico'' che tende a colonizzare l'Europa imponendo una certa teoria del ''gender'', contraria alla vera e autentica valorizzazione della persona umana.  Nell'intervista del nostro inviato Fabrizio Mastrofini, la valutazione di mons. Duarte Da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali: 

R. – L’importanza di questo incontro in Terra Santa è in tre grandi punti. Il primo punto riguarda l’incontro con Gesù Cristo e l’incontro con i luoghi dove Gesù Cristo vive, che genera un rinnovamento del radicamento delle missione delle Chiese in Europa e in Gesù Cristo. Non che prima non ci fosse ma è chiaro che dopo questi giorni sentiamo veramente che vale la pena e dà senso. Il secondo punto è l’aver vissuto l’incontro con le popolazioni locali, con le famiglie di Nazareth, con i religiosi a Betlemme, con i diversi capi delle Chiese e diversi vescovi, con il popolo nella processione a Milia… Sono stati tutti incontri di una grande profondità di fede, di una grande commozione per la testimonianza della fede dei cristiani in Terra Santa. Il terzo punto è la riflessione su quelle che abbiamo chiamato le gioie e le sofferenze della Chiesa europea, come il tema dei migranti soprattutto visto come la pluralità delle circostanze e le realtà, perché ogni vescovo ha parlato e ha anche avuto opportunità di far vedere quello che accade nel proprio Paese e si vedeva come per alcuni i problemi sono gli stessi ma ci sono anche esperienze diverse. Allora, credo che questa diversità e questa sintonia di problematiche abbia aiutato molto la promozione e la collaborazione. Inoltre, c'è il tema della famiglia, legato a quanto si discuterà al Sinodo ma anche a quello che si sta vivendo attualmente come sfida culturale in tutta l’Europa con l’avanzata della teoria del gender, che risveglia nella Chiesa la coscienza della necessità di evangelizzare e difendere la persona umana in tutte le sue dimensioni. Quindi questi temi, così come l’importanza del dialogo interreligioso che è stato sottolineato in diversi Paesi come fondamentale, ha permesso di capire che l’incontro è stato un grande successo. Io sono convinto che tutti i vescovi che hanno partecipato a questo incontro torneranno a casa senz’altro stanchi, perché i lavori sono stati intensi, però veramente felici di dire che vale la pena essere pastori, vale la pena di essere cristiani oggi in Europa e in Terra Santa perché la fede dà senso.

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Napoli: polemiche per le dichiarazioni di Bindi sulla camorra

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Polemiche dopo le dichiarazioni del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, sulla camorra a Napoli. Il fenomeno – ha detto – rappresenta un dato costitutivo della società partenopea. Particolarmente critiche verso la Bindi, i rappresentanti delle istituzioni locali. Eugenio Bonanata ne ha parlato con padre Fabrizio Valletti, gesuita della comunità di Scampia: 

R. – La camorra a Napoli, ma soprattutto in alcuni quartieri, è l’unica realtà ormai diventata istituzionale. Il problema è che è talmente sottile il modo e il sistema con cui la camorra opera, che anche la magistratura può solo in parte intervenire e quindi sanare la questione. Credo che, oltre ad un problema di tipo repressivo, quello che manca è una visione politica più complessa e complessiva, che va dall’educazione dei giovani alle opportunità lavorative alla tutela dell’impresa. Il fenomeno è molto complesso.

D. – Ma c’è anche un problema sulla definizione della camorra?

R. – La radice del problema è che dove ci sono denari, dove ci sono appalti, dove ci sono forniture, la camorra riesce a sviluppare tutta la sua rete di interessi. Il problema è che non è solo la manovalanza ad essere camorrista, ma non c’è impresa, non c’è imprenditore, non c’è realtà, anche della borghesia napoletana, che in qualche modo non sia coinvolta in questo costume, che è un costume veramente deleterio. Riconoscere questo vuol dire, da parte dell’istituzione, anche riconoscere un fallimento di molto tempo rispetto a questo sistema.

D. – Quali sono le conseguenze di questi atteggiamenti polemici?

R. – Certamente non giova, e bisogna tener conto che, della malavita, più se ne parla e più è contenta. Un po’ come le fiction televisive, che dicono molte cose false. L’importante, però, è che si parli della camorra. Questo vuol dire che la camorra ha un potere. Gli interessi della camorra non sono solo economici, ma sono degli interessi culturali. Loro dominano la cultura del popolo e questo danneggia certamente uno sviluppo della socialità della cittadinanza. La polemica, anziché unire le responsabilità e fare corpo unico, tende a disfare una rete e questo non fa che giovare alla stessa camorra.

D. – Qual è, secondo lei, il ruolo dei media in questo processo?

R. – I giornalisti  hanno un’arma molto efficace, quella dell’indagine, dell’inchiesta, per mettere alla luce quelli che sono i traffici illeciti. Quindi il miglior contributo che i media possano dare è quello di alzare il coperchio di tutta questa realtà, dove chi fa le spese maggiori sono i poveri, sono la popolazione, a cui non arriva nessun beneficio. Un giornalismo che raccolga i dati, che raccolga la documentazione, che faccia lavoro d’inchiesta è un giornalismo sano, che può servire anche all’educazione popolare.

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Notizie e Giubileo: appello a non perdere il senso autentico

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Capire come comunicare il  prossimo Giubileo della Misericordia partendo dalla fonte, in modo che il messaggio arrivi diretto, senza essere modificato nel suo intento. E’ questa la sfida maggiore che aspetta i giornalisti di tutto il mondo, che dal prossimo 8 dicembre lavoreranno sugli eventi del Giubileo. Se ne è parlato ieri all’incontro “Comunicare il Giubileo. Pellegrini alla ricerca della misericordia”, organizzato dall’associazione culturale Greenaccord onlus e dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti. Nell'intervista di Marina Tomarro,  Angelo Scelzo vice direttore della Sala Stampa Vaticana: 

R. –  Comunicare il Giubileo significa innanzitutto riuscire ad essere consapevoli dell’autenticità del messaggio, perché cambiano i modi di comunicare, cambiano i mezzi, però abbiamo la necessità di vivere a fondo il messaggio del Giubileo. Per quanto riguarda poi, questo Giubileo straordinario della misericordia, il nostro compito, il compito di chi lavora per la comunicazione, o che deve comunicare, è quello di essere soprattutto fedeli al messaggio. Comunicare questo Giubileo è un impegno ancora maggiore e diverso. Maggiore perché la struttura della comunicazione oggi non sempre riesce ad essere all’altezza della complessità delle cose; il grande flusso di informazione non sempre corrisponde all’autenticità maggiore di essa. Ed è più difficile oggi perché il messaggio si può confondere in mezzo a tante altre fonti di informazione, e in particolare quello sulla misericordia mette di fronte all’impegno personale anche di entrare nel vivo del Pontificato di Papa Francesco.

D. – Qual è il modo migliore anche per far passare il messaggio di Papa Francesco ed evitare che sia frainteso?

R. – La struttura della comunicazione oggi difficilmente rende ragione alla complessità dei temi, porta a semplificare e a tradurre tutto ad una frase ad effetto, a tradurre tutto in un titolo. Questi sono, da una parte, i rischi della comunicazione oggi ma sono anche le sfide di chi ha il dovere di entrare nel vivo, di approfondire, di fare in modo che il messaggio, nonostante tutte le difficoltà, arrivi in maniera vera all’interlocutore. E’ un compito di fronte al quale il Pontificato di Francesco è una sfida, giorno per giorno, perché Papa Francesco ha un modo di comunicare del tutto diverso, diretto, immediato, e quindi pone di fronte alla necessità di una riflessione anche immediata.

D. - Ci saranno novità per quanto riguarda questo Giubileo dal punto di vista della comunicazione?

R. – Certamente saranno potenziate le possibilità di comunicazione e le strutture, che il Vaticano metterà a disposizione anche dei giornalisti che verranno da ogni parte del mondo a seguire l’evento, ma ancora non sono state ancora definite. Infatti, stiamo lavorando comunque intorno a queste possibilità per rendere più efficace il lavoro dei nostri colleghi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nepal: gruppi estremisti attaccano tre chiese protestanti

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La nuova Costituzione del Nepal, che sarà promulgata ufficialmente il 20 settembre, conferma la laicità dello Stato, dato che l’assemblea del Parlamento che la sta votando ha respinto la proposta di far tornare il Paese a essere una “nazione indù”. L’assetto istituzionale di “stato laico” ha trovato il favore e l’apprezzamento della Chiesa cattolica e delle altre minoranze etniche e religiose, ma ha generato le proteste di alcuni gruppi nazionalisti indù.

Attacchi a tre chiese
Secondo fonti locali dell'agenzia Fides, nelle manifestazioni di protesta, due bombe sono esplose lunedì scorso in due chiese protestanti nel distretto di Jhapa, nel Nepal orientale, causando alcuni danni alle strutture ma nessun ferito. Inoltre tre agenti della polizia sono rimasti feriti ieri mattina, nel tentativo di disinnescare una bomba rimasta inesplosa in una terza chiesa protestante. Nei luoghi degli attentati sono stati rivenuti opuscoli di una organizzazione radicale indù, “Hindu Morcha Nepal”.

Legge anti-conversione mette a rischio i cristiani 
Il Nepal è stato dichiarato “Stato laico” già nel 2007, dopo l'abolizione della monarchia indù, ma negli anni successivi si è assistito alla crescita del nazionalismo indù, nella società e nella politica, guidato dal “Rastirya Prajatantra Party-Nepal”. Tra le preoccupazioni dei cristiani nepalesi, oltre a questi gruppi violenti, c’è anche la modifica dell'articolo 31 del testo della Costituzione, che dichiara “punibile dalla legge ogni atto per convertire un'altra persona da una religione ad un'altra” e “qualsiasi comportamento che metta in pericolo la religione di un altro”. Questo articolo potrebbe essere strumentalizzato dai gruppi fanatici indù ed essere usato per colpire i cristiani, accusandoli di proselitismo, come avviene in India.

Rinvio della visita del card. Filoni
Proprio a causa dei disordini e delle violenze di questi giorno degli estremisti hindu in varie parti del Paese, è stata annullata per motivi di sicurezza la visita in Nepal del card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. La visita - che sarebbe stata la terza tappa del suo viaggio che lo ha portato in Bangladesh e India - è rinviata a data da destinarsi. (P.A.)

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Sinai: crisi al Monastero di S. Caterina per blocco pellegrinaggi

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Il Monastero greco ortodosso di Santa Caterina, nella regione del Sinai, sta affrontando una grave crisi finanziaria a causa della totale sospensione del flusso turistico, che in passato portava ogni anno presso l'antico complesso monastico decine di migliaia di pellegrini. Secondo quanto riportato dai media egiziani, a pesare negativamente è stata soprattutto la chiusura temporanea del Monastero ai visitatori, disposta dalle autorità egiziane a partire dal 2013, dopo che alcuni episodi – compreso il rapimento di un monaco – avevano aumentato l'allarme su possibili attacchi terroristici ai danni della comunità di religiosi greco-ortodossi.

I 400 lavoratori del monastero rischiano il posto
Il monastero - riferisce l'agenzia Fides - in passato garantiva il salario a circa quattrocento lavoratori, impiegati soprattutto nella coltivazione degli olivi e delle viti. Adesso, dopo le misure di sicurezza disposte dalle autorità, molti di loro hanno perso il lavoro. Negli ultimi cinquant'anni, il monastero di Santa Caterina è stato chiuso già due volte. E’ accaduto nel 1977 – in occasione dello storico viaggio del Presidente egiziano Anwar Sadat a Gerusalemme – e nel 1982, quando l'esercito egiziano era entrato nel Sinai dopo il ritiro dei militari israeliani.

E' il più antico Monastero cristiano ancora attivo
Il Monastero di Santa Caterina, alle pendici del monte Horeb, ospita attualmente una ventina di monaci greco-ortodossi, sottoposti all'autorità di un arcivescovo/abate, e gode di uno statuto di autocefalia. E' considerato il più antico Monastero cristiano ancora attivo, e nel 2002 è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco per la sua architettura bizantina, la sua preziosa collezione di icone e la raccolta di manoscritti antichi.

False e irresponsabili le notizie di attacchi di gruppi jihadisti
​Nell'ottobre 2014, il Monastero aveva smentito le notizie su presunti assalti subiti da gruppi islamisti, messe in circolazione da media e blog cristiani. La netta smentita era stata affidata a un comunicato ufficiale del Monastero, pervenuto a Fides, dove si definivano “false e irresponsabili” le operazioni di disinformazione messe in atto da chi, per richiamare l'attenzione, non esita a fabbricare falsi allarmi riguardanti la condizione dei cristiani nei Paesi arabi. (G.V.)

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Yemen: ad Aden incendiata la chiesa di san Giuseppe

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Uomini a volto coperto hanno dato fuoco e incendiato la Chiesa di San Giuseppe a Aden, principale città portuale nel sud dello Yemen. Lo riferiscono testimoni locali secondo cui l’incendio potrebbe essere opera di un gruppo della rete di Al Qaida, ampiamente radicata nella regione. Secondo i testimoni - riferisce l'agenzia Misna - l’edificio di culto sarebbe stato prima saccheggiato e poi dato alle fiamme.

L’attacco coincide con il ritorno in città del premier Bahah
La chiesa si trova nel quartiere di Crater, uno dei quartieri principali della città riconquistata due mesi fa dalle forze fedeli al Presidente Abdel Rabbo Mansour Hadi, in armi contro la ribellione houthi. L’attacco coincide con il ritorno in città del primo ministro Khaled Bahah, rientrato ieri con una delegazione di sette membri del governo in esilio. (A.d.L.)

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Chiesa brasiliana: dal 1983 uccisi almeno 50 leader indigeni

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"Quante persone devono ancora morire, per arrivare alla conclusione che abbiamo bisogno di fare qualcosa di concreto per la pace, il rispetto dei diritti e della giustizia, che siano garantiti a tutti?". L’interrogativo è posto da mons. Dimas Lara Barbosa, arcivescovo di Campo Grande, che insieme ai vescovi della zona Regional Centro-Oeste del Brasile, ha indirizzato una lettera alle autorità denunciando l’impunità degli autori degli omicidi degli indigeni della zona. “Il movimento indigeno e i suoi alleati continueranno a monitorare l’avanzare del processo, sperando che questa giustizia arrivi in tempo e in modo esemplare per punire i responsabili del crimine barbaro” conclude la lettera pervenuta all'agenzia Fides, che è stata pubblicata dal Cimi (Consiglio Indigenista Missionario) come riflessione sugli ultimi tragici avvenimenti che ancora aspettano risposta.

Gli autori dei reati contro gli indigeni rimangono impuniti
Sabato 29 agosto, Simeone Vilhalva, è stato ucciso durante gli scontri con gli agricoltori del paesino Antônio João per il possesso di un allevamento. Gli autori del reato sono rimasti ignoti e le circostanze non sono mai state chiarite. Secondo il presidente del Consiglio Comunale dei Diritti Indigeni, Sander Barbosa, Simeone è il nuovo simbolo della lotta indigena per la giustizia, perché dal 1983 ad oggi almeno 50 leader indigeni hanno già perso la vita a causa dei conflitti per la terra.

Gruppi sociali e religiosi chiedono risarcimenti per le aree sottratte agli indigeni
​Un altro caso eclatante fu l'omicidio del missionario Vicente Cañas, nel mese di maggio 1987. Dopo quasi 30 anni, una nuova giuria si dovrebbe costituire nei prossimi mesi, secondo quanto deciso dalla Corte Federale della 1.ma Regione. “Nel caso attuale di Simeone, sarà lo Stato ancora una volta il responsabile di tale impunità ?” domanda la lettera pubblicata dal Cimi, che prosegue: “Per evitare che ciò accada, la società brasiliana chiede indagini e la punizione dei colpevoli in modo veloce”. Oltre ai chiarimenti e alle punizioni per i responsabili, i diversi gruppi sociali e religiosi chiedono l'accelerazione nel processo di demarcazione delle terre nella zona, e di difendere la proposta di legge Pec 71 che prevede un risarcimento per le aree sottratte agli indigeni. (C.E.)

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Argentina: è morto il teologo gesuita Boasso. Insegnò a Bergoglio

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Era stato professore di teologia biblica di Jorge Mario Bergoglio all’Universidad del Salvador il gesuita Fernando Boasso morto lunedì sera, nel Colegio Máximo San José, in località San Miguel, nei pressi di Buenos Aires. Le sue condizioni - riferisce l'Osservatore Romano - erano improvvisamente peggiorate a inizio marzo quando era stato colpito da un ictus.

Una Chiesa che sappia perdonare e che sia solidale
Il sacerdote argentino che — come amava ripetere — cercava «il sacro nelle impronte quotidiane», era chiamato da tutti semplicemente padre Fernando, con una familiarità che seguiva la sua idea di una Chiesa «che sappia perdonare, che non sia sempre pronta a condannare e che sia solidale». In questo senso Boasso è stato definito un autentico “figlio del Vaticano II” che ha vissuto in pieno le evoluzioni della Chiesa cattolica post-conciliare. Da sempre nel suo impegno e nella sua testimonianza di sacerdote, si era schierato dalla parte dei più poveri, dei più deboli.

Sempre a partire dal popolo e centralità dei poveri
Evangelizzare a partire dal popolo, vedere il popolo al centro della storia immerso in un processo storico, assumerne la cultura, optare per la centralità dei poveri, erano le linee della sua ricerca teologica nella quale, tra l’altro, ha approfondito la recezione del Vaticano II da parte dei popoli dell’America latina. Boasso era inoltre uno studioso appassionato di storia. Sosteneva che non è giusto parlare genericamente di cultura latinoamericana e identificava almeno tre diversi filoni che si intersecano nella vita delle popolazioni locali: la cultura popolare, quella moderna e quella ecclesiale. Nel 1967, insieme ad altri quattrocento sacerdoti argentini, Boasso sottoscrisse il «Manifesto de Obispos del Tercer Mundo», documento che puntava alla corretta applicazione del Vaticano II e della Populorum progressio. Non fece però mai parte del movimento dei sacerdoti del Terzo mondo, così come non aderì mai alla teologia della liberazione.

Studioso dell’opera artistica di origine quechua
Nato nel 1921 in un paesino della provincia di Santa Fe, dopo l’ordinazione sacerdotale si era laureato in antropologia e teologia biblica e simbolica, con un dottorato sulla fenomenologia del linguaggio dei simboli degli antichi miti. È stato anche uno studioso dell’opera dell’artista folclorico di origine quechua Atahualpa Yupanqui, il quale — secondo padre Fernando — rappresentava la vera memoria popolare profonda del popolo latinoamericano.

Legato a Bergoglio per la figura del beato Brochero, il “prete gaucho” 
A Bergoglio lo legava anche la passione per la vita e le opere del beato José Gabriel Del Rosario Brochero, amatissimo nel suo Paese, il “prete gaucho” che nella seconda metà dell’Ottocento percorreva instancabilmente su una mula la sua vasta parrocchia nella provincia di Córdoba. Del curato Brochero, Boasso — ricorda l’agenzia argentina Aica — scrisse nel 2013 una breve biografia con la prefazione di Papa Francesco. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 259

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.