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Sommario del 15/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Giornata Malato. Francesco: curare i malati con l'amore di Gesù

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“Affidarsi a Gesù misericordioso come Maria: Qualsiasi cosa vi dica, fatela”: questo il tema del Messaggio del Papa per la 24.ma Giornata mondiale del malato, diffuso oggi, memoria della Beata Vergine Maria Addolorata. Al centro del documento pontificio, il racconto evangelico delle nozze di Cana, definito dal Papa “icona della Chiesa”. Le celebrazione centrale della Giornata mondiale del malato si terrà l’11 febbraio 2016 a Nazareth dove “Gesù ha dato inizio alla sua missione salvifica”. Il servizio di Isabella Piro

“Perché proprio a me?”: il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale del malato risponde a questo interrogativo che la malattia, “soprattutto quella grave”, suscita nel cuore di chi soffre. Una domanda che “scava in profondità”, mentre l’esistenza umana entra “in crisi” e si ribella. Potrebbe essere facile, allora, cedere a “la tentazione della disperazione” e “pensare che tutto è perduto”, ma è proprio in questi momenti che “la fede in Dio rivela tutta la sua potenzialità positiva”. La fede, infatti – spiega il Papa – non fa sparire la malattia o il dolore, ma ne offre una chiave di lettura con cui si può scoprire “il senso più profondo di ciò che si vive”. E questa chiave, continua il Pontefice, ce la consegna Maria, Madre di Dio, “esperta della via” per arrivare più vicini a Gesù.

Curare i malati con gli occhi dell’amore, rispecchiando la tenerezza di Dio
Quindi, Papa Francesco si sofferma sul racconto evangelico delle nozze di Cana, definendolo “icona della Chiesa” con al centro Gesù misericordioso, circondato dai discepoli e da Maria “provvidente ed orante”, “Madre consolata che consola i suoi figli”, “donna premurosa” dagli “occhi vigili e buoni” e dal “cuore materno e ricolmo di misericordia”. Nella sollecitudine di Maria, “si rispecchia la tenerezza di Dio”, la stessa che si ritrova in tante persone che curano i malati e “sanno coglierne i bisogni, anche quelli più impercettibili, perché guardano con occhi pieni d’amore”.

La preghiera per chi soffre: salute e pace del cuore
E qui il Papa ricorda le mamme al capezzale di figli malati, i figli che curano i genitori anziani, i nipoti che restano accanto ai nonni: tutti loro si affidano alle mani della Madonna. Cosa chiedere, dunque, per i nostri cari che soffrono? La salute, certo, scrive Papa Francesco, perché Gesù stesso ha manifestato il Regno di Dio attraverso le guarigioni. Ma anche “qualcosa di più grande”: “chiediamo una pace, una serenità della vita che parte dal cuore e che è dono di Dio”.

Il servizio ai bisognosi rende l’uomo simile a Gesù
Il messaggio pontificio guarda anche ai servitori presenti alle nozze di Cana, coloro che riempiono le anfore di acqua che poi Cristo trasforma in vino. Sono “personaggi anonimi”, spiega il Papa, ma “ci insegnano tanto” perché “obbediscono generosamente, e fanno subito e bene ciò che viene loro richiesto, senza lamentarsi e senza calcoli”. Questo ci dice che Cristo “conta sulla collaborazione” dell’uomo, sulla sua “disposizione al servizio dei bisognosi e dei malati”. Può essere un servizio “faticoso e pesante”, eppure il Signore lo trasformerà “in qualcosa di divino”, perché essere “servitori degli altri ci rende simili a Gesù più di ogni altra cosa”. Tutti noi, allora, possiamo essere “mani, braccia, cuori che aiutano Dio a compiere i suoi prodigi, spesso nascosti” e se seguiamo l’esempio di Maria, “Gesù trasformerà sempre l’acqua della nostra vita in vino pregiato”.

Promuovere cultura dell’incontro e della pace in ogni ospedale
Guardando, poi, al prossimo Giubileo straordinario della Misericordia, alla celebrazione della Giornata del Malato in Terra Santa ed alle due suore figlie di questa terra canonizzate lo scorso maggio - Santa Maria Alfonsina Danil Ghattas e Santa Maria di Gesù Crocifisso Baouardy - Papa Francesco sottolinea che “ogni ospedale o Casa di cura può essere segno visibile e luogo per promuovere la cultura dell’incontro e della pace”, dove la malattia, la sofferenza, come pure l’aiuto professionale e fraterno “contribuiscano a superare ogni limite e ogni divisione”. Il messaggio si conclude, quindi, con l’invocazione a Maria, affinché rivolga i suoi occhi misericordiosi all’uomo, “specialmente nei momenti di dolore”.

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Francesco: Chiesa sia madre, non associazione rigida

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“La Chiesa è madre”, non “un’associazione rigida” che alla fine diventa “orfana”. E’ quanto affermato da Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta alla quale hanno preso parte anche i cardinali del “Consiglio dei 9”, riuniti fino a domani con il Papa in Vaticano. Il Pontefice ha sottolineato che, come la Vergine, la Chiesa deve avere quella “maternità” che si esprime negli atteggiamenti di umiltà, bontà, perdono e tenerezza. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Figlio, ecco la tua Madre”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dalla straordinaria parola che Gesù sulla Croce rivolge “al discepolo che Egli amava e a Maria”. E subito, commentando il Vangelo odierno, sottolinea che “non si può pensare Maria senza pensarla madre”.

Gesù non ci lascia orfani, abbiamo una Madre che ci protegge
Al tempo stesso, ha proseguito, “la sua maternità si allarga nella figura di quel nuovo figlio, si allarga a tutta la Chiesa e a tutta l’umanità”:

“In questo tempo dove non so se è il principale senso ma c’è un grande senso nel mondo di orfanità, (è) un mondo orfano, questa Parola ha un’importanza grande, l’importanza che Gesù ci dice: ‘Non vi lascio orfani, vi do una madre’. E questo anche è il nostro orgoglio: abbiamo una madre, una madre che è con noi, ci protegge, che ci accompagna, che ci aiuta, anche nei tempi difficili, nei momenti brutti”.

Chiesa sia madre tenera, non associazione  senza calore umano
I monaci russi, ha rammentato, dicono che “nei momenti delle turbolenze spirituali dobbiamo andare sotto il mantello della Santa Madre di Dio” e così la madre “ci accoglie e ci protegge e si prende cura di noi”. Ma “questa maternità di Maria – ha ripreso – possiamo dire che va oltre Lei, è contagiosa”. Dalla maternità di Maria viene una seconda maternità, la “maternità della Chiesa”:

“La Chiesa è madre. E’ la nostra ‘santa madre Chiesa’, che ci genera nel Battesimo, ci fa crescere nella sua comunità e ha quegli atteggiamenti di maternità, la mitezza, la bontà: la Madre Maria e la madre Chiesa sanno carezzare i loro figli, danno tenerezza. Pensare la Chiesa senza questa maternità è pensare a un’associazione rigida, un’associazione senza calore umano, orfana”.

Senza maternità, rimane solo rigidità e disciplina
“La Chiesa è madre e ci riceve a tutti noi come madre: Maria madre, la Chiesa madre”, una maternità che “si esprime negli atteggiamenti di umiltà, di accoglienza, di comprensione, di bontà, di perdono e di tenerezza”:

“E dove c’è maternità e vita c’è vita, c’è gioia, c’è pace, si cresce in pace. Quando manca questa maternità soltanto rimane la rigidità, quella disciplina, e non si sa sorridere. Una delle cose più belle e umane è sorridere a un bambino e farlo sorridere”.

“Il Signore – ha concluso il Papa – ci faccia sentire anche oggi quando Lui un’altra volta si offre al Padre per noi: ‘Figlio, ecco la tua madre!’”.

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Sinodo: 45 nomine pontificie e 17 coppie di sposi tra auditori

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Resa nota oggi la lista dei partecipanti alla XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre prossimi. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Attenzione puntata sui 45 padri sinodali nominati dal Papa, erano stati 26 nel precedente Sinodo sulla famiglia celebrato nell’ottobre 2014, tra questi 15 italiani. Dopo Francesco, presidente dell’Assemblea, seguono nell’elenco il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale, poi i presidenti delegati, i cardinali André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila, Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, quindi il relatore generale, cardinale card. Péter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest, il segretario speciale arcivescovo Bruno Forte e il sottosegretario il vescovo Fabio Fabene. Vi sono poi 22 rappresentanti delle Chiese orientali cattoliche. E gli eletti delle Conferenze episcopali di ogni continente, 44 da Paesi africani, 45 dall’America, di cui 4 dagli Stati Uniti ed altri 4 dal Canada, 23 dall’Asia, 47 dall’Europa, 5 dall’Oceania. Tra i padri sinodali anche 10 eletti dall’Unione Superiori Generali. Quindi 25 capi dicastero della Curia romana. Infine i 23 collaboratori del segretario speciale, 15 sacerdoti e 8 laici tra cui due donne. Rivevante il numero di uditori e uditrici, in tutto 51, tutti laici, tra cui 17 coppie di sposi  oltre a un parroco e tre suore. Infine 12 membri della segretaria generale e due loro collaboratori e i responsabili della divulgazione delle notizie, oltre a padre Federico Lombardi e padre Ciro Benedettini, tre incaricati per le lingue francese, tedesca e spagnola.  Da segnalare in ultimo 14 delegati fraterni delle Chiese ortodossa, luterana, metodista e di altre confessioni cristiane.

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Il Papa a Cuba e negli Usa: i momenti salienti

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“Un viaggio lungo, complesso, ma bellissimo”. Così padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, alla presentazione, stamani ai giornalisti, della 10^ visita apostolica di Papa Francesco a Cuba, negli Stati Uniti, e all’Onu. Il Pontefice sarà in viaggio dal 19 al 28 settembre prossimi. I momenti salienti nel servizio di Giancarlo La Vella

Per quanto riguarda la prima tappa del viaggio, quella cubana, padre Lombardi ha ricordato San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, gli altri due Pontefici che hanno visitato l’isola caraibica. L’Avana, Holguin e Santiago, le città nella quali sarà Papa Francesco. Da segnalare la Messa nella Piazza della Rivoluzione Josè Martì, nel corso della quale il Santo Padre impartirà la prima comunione a cinque bambini, come segno di speranza e crescita per la Chiesa cubana. Non in programma, ma da non escludere un possibile incontro del Papa con l’anziano lider maximo, Fidel Castro. Altri momenti forti: l’incontro con i giovani nella capitale, poi, a Santiago, la visita devozionale alla Virgen de la Caridad del Cobre, nel 100° anno dalla proclamazione della Vergine quale patrona dell’isola e, infine, il saluto alle famiglie. Lasciata Cuba, Papa Francesco si trasferirà a Washington accolto dal Presidente americano, Obama, e da altre autorità civili e religiose. Cerimonia d’accoglienza ufficiale il giorno successivo, 23 settembre, alla Casa Bianca. Nella capitale americana il Papa canonizzerà il beato Junipero Serra, spagnolo, grande evangelizzatore del continente americano nel XVIII secolo. Il giorno successivo Francesco sarà il primo Pontefice a entrare nel Congresso degli Usa, dove parlerà ai deputati. Un altro dei momenti clou della permanenza negli Stati Uniti, la visita all’Onu, al Palazzo di Vetro di New York, dove Papa Francesco terrà un atteso discorso. Poi la visita a Ground Zero, luogo del memoriale degli attentati dell’11 settembre 2001. Infine, sarà la città di Philadelphia ad accogliere Papa Francesco per l’8° Incontro Mondiale delle Famiglie. In tutte e tre le città statunitensi, particolare l’attenzione del Pontefice ai poveri, ai detenuti, alle iniziative di carità e beneficenza. In totale il Papa terrà 26 discorsi: 8 a Cuba e 18 negli Stati Uniti. Lunedì 28 settembre il volo di rientro in Vaticano.

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Carriquiry: Francesco a Cuba per abbracciare il popolo

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L’isola di Cuba, meta della prima parte dell’imminente viaggio apostolico del Papa, ha vissuto momenti difficili negli ultimi decenni, ma ora, grazie al riavvicinamento con gli Stati Uniti tanto auspicato anche dalla Chiesa locale, si aprono per il popolo e i fedeli nuove prospettive. Del significato del viaggio di Francesco nell’isola caraibica, Roberta Barbi ha parlato con il prof. Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina: 

R. – Alcuni hanno voluto sottolineare la dimensione politica di questo viaggio nei tempi di riallacciamento dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba, tenendo presente che il Papa parlerà al Congresso degli Stati Uniti, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma non è un’intenzionalità politica ciò che porta il Papa a Cuba e negli Stati Uniti, bensì uno scopo pastorale e missionario: questo è molto importante, bisogna riaffermarlo con forza. Il Papa va a Cuba per abbracciare nella carità di Cristo tutto il popolo cubano, per confermare la fede dei cattolici cubani, per ringraziare la Chiesa cubana per la sua fedeltà e per incoraggiarla oggi a prestare un prezioso servizio per tutta la nazione in tutti gli ambiti, in tutte le dimensioni della vita del Paese.

D. - La Chiesa cubana ha vissuto momenti di grande difficoltà negli ultimi decenni. Ora ha davanti a sé nuove prospettive, anche di presenza nella società. Qual è la sua riflessione?

R. - Bisogna affermare, prima di tutto, che Cuba a differenza dei regimi sovietici dell’Europa orientale non ha mai rotto i rapporti diplomatici con la Santa Sede, anzi, questi sono migliorati negli ultimi anni, così come sono migliorati i rapporti di dialogo tra le autorità cubane e quelle ecclesiastiche. Questo è importante, però è ancora più importante sottolineare questa rinnovata vitalità della Chiesa di Cuba. Il pellegrinaggio della Vergine della Carità del Cobre dal 2010 alla fine del 2011 ne fu un segno evidente, accolta in tutte le case, nei luoghi di lavoro, di vita dei cubani tra lo stupore e la devozione, l’entusiasmo. Fu come l’inizio di un rilancio della presenza della Chiesa nel tessuto vivo del popolo cubano. Oggi la Chiesa di Cuba è un grande segno di speranza. La Chiesa non chiede privilegi per se stessa, ma una sua maggiore presenza nelle istanze educative, della comunicazione sociale, dei servizi sociali, della carità e in tutti gli ambiti della vita pubblica del Paese, sarebbe un segno di maggiore spazio di libertà per tutti.

D. - Il popolo cubano sta vivendo un periodo di grandi cambiamenti, ma anche di grande speranza. Qual è il suo auspicio?

R. - Ricordo quelle parole profetiche di San Giovanni Paolo II, quando disse: “Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba”. Oggi sembra realizzarsi questo auspicio in modo singolare. “La Chiesa costruisce sempre ponti - come dice Papa Francesco – non muri”. Il superamento di questi 50 anni di contrapposizione tra Stati Uniti e Cuba è un grande bene. Certamente è importante per una distensione dei rapporti e sono convinto che il Santo Padre Francesco chiederà - come lo hanno fatto i suoi predecessori - di superare l’embargo che ancora subisce il popolo cubano. Ci sono dei passi in avanti da fare, l’auspicio è che da una parte la caduta dei muri aiuti a migliorare la situazione economica di un popolo impoverito come quello cubano e dall’altra favorisca lo sviluppo di una società più plurale e meno ingessata dal regime.

D. - Dopo Cuba, Papa Francesco si recherà negli Stati Uniti. Il riavvicinamento tra questi due Paesi come potrà cambiare il panorama del continente americano?

R. - Oggi è un’occasione storica per gli Stati Uniti per rivedere seriamente le proprie responsabilità verso l’America Latina e per rilanciare una politica di cooperazione con i Paesi latinoamericani molto rispettosa dei suoi interlocutori. Un’altra intuizione profetica di Giovanni Paolo II può avverarsi: quella dell’esortazione apostolica “Ecclesia in America”: la Chiesa che è segno di comunione tra le chiese di tutto il continente e di solidarietà tra i popoli. D’altra parte, il fatto che gli ispanici siano una componente così importante nella società, nella popolazione nordamericana aiuta questo processo. Non si può dimenticare che fra pochissimi anni gli ispanici costituiranno la metà dei cattolici di tutti gli Stati Uniti. Questa rifondazione dei rapporti tra Stati Uniti e i Paesi latinoamericani fatta con questo rispetto, con questa autentica solidarietà, è un auspicio che dovrà passare attraverso tempi certamente lunghi e non semplici.

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Papa aprirà "Porta santa della carità" a ostello Caritas di Roma

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Il 18 dicembre Papa Francesco aprirà la “Porta santa della carità" all'Ostello della Caritas di via Marsala, vicino la Stazione Termini di Roma. Lo ha annunciato il cardinale vicario Agostino Vallini durante la sessione conclusiva del Convegno diocesano di Roma che si è tenuta ieri nella basilica di San Giovanni in Laterano con i catechisti e gli operatori pastorali. Dopo l’apertura il Papa visiterà la mensa dell’ostello dedicata a San Giovanni Paolo II, che tornerà in funzione nel mese di novembre. Un’altra Porta Santa, oltre a quelle delle quattro Basiliche maggiore, sarà aperta al santuario del Divino Amore.

Prima di questi annunci il cardinale vicario ha esposto le conclusioni del Convegno diocesano del 2015, tappa finale degli oltre 50 laboratori di discussione sul tema “Noi genitori testimoni della bellezza”. L'obiettivo è quello di integrare madri e padri nella vita della Chiesa e della parrocchia, accompagnandoli durante l’iniziazione cristiana dei figli e accogliendoli se vengono da ferite famigliari profonde. Il servizio di Michele Raviart: 

L’iniziazione cristiana non è la preparazione ai Sacramenti, ma è cominciare a vivere da cristiani attraverso i Sacramenti. In questo senso, spiega il cardinale Vallini, il coinvolgimento dei genitori nella formazione di chi si battezza, riceve la Prima Comunione e la Cresima diventa essenziale. Come evidenziato, gli anni di iniziazione cristiana sono anni in cui molti genitori si riavvicinano alla Chiesa e la parrocchia deve essere in grado di far sentire loro “un’aria di casa”, nella quale trovano una comunità viva e “sentono che il Vangelo è prezioso per loro e per i loro figli”. Il primo passo deve essere quello dell’accoglienza.

In vista del prossimo Sinodo, continua il cardinale Vallini, il Papa ci dice chiaramente che occuparsi della famiglia vuol dire essere una “Chiesa in uscita” e, in alcuni casi “andare nelle periferie”. Lo testimonia il dramma dell’immigrazione in cui l’accoglienza ai migranti spesso corrisponde all’accoglienza di famiglie. Il secondo passo è quello dell’accompagnamento nella fede, che è un opera di misericordia. Ed è tanto più vero – nell’Anno Santo a questo dedicato - per le famiglie che vengono da situazioni difficili – separati, divorziati risposati o impegnati in relazioni di altro tipo. L’invito è quello di raccomandare a questi genitori di fare il possibile per educare i loro figli alla vita cristiana, “dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata” e invitandoli a “compiere nella liturgia quei gesti che ne valorizzano la loro testimonianza di credenti” per far sentire “quanto il Signore li ami e quanto la Chiesa riconosca la bellezza della loro partecipazione, pur nella consapevolezza del dolore che vive chi non riceve l’Eucarestia”.

In un contesto in cui parallelamente il 30 percento dei genitori cattolici affida totalmente alla parrocchia la trasmissione della fede e in cui molti genitori che si dichiarano non cattolici decidono comunque di battezzare i loro figli, il ruolo della Chiesa diventa decisivo per rispondere a questo bisogno religioso. Per questo è necessario coinvolgere i genitori in momenti di condivisione e di confronto, attraverso una serie di strumenti che vanno da una migliore formazione dei catechisti a un maggiore raccordo tra scuola, famiglia e parrocchia.

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Veglia per giovani consacrati. Card. de Aviz: rafforzare vita fraterna

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Stasera Veglia di preghiera in piazza San Pietro, nell’ambito dell’Incontro mondiale per giovani consacrati e consacrate, oltre 4 mila, arrivati a Roma dai cinque continenti, per rispondere alla sfida  “Svegliate il mondo!” consapevoli del “Vangelo-profezia-speranza”. L’evento, organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di vita apostolica, è un’opportunità per approfondire la propria vocazione religiosa, in vista di iniziare il noviziato, nel periodo di discernimento e prova, durante la professione temporanea ed entro 10 anni dall’entrata definitiva in istituti e congregazioni. I lavori aperti oggi proseguiranno fino a sabato. Bianca Fraccalvieri  ha intervistato  il card. Joao Braz de Aviz, prefetto del Dicastero promotore. 

D. - Lei ha viaggiato molto durante quest’anno, ha avuto contatto con questi giovani. Cosa li accomuna?

R. - Si sente che i giovani sono sensibili ad una chiamata meravigliosa, misteriosa, esigente che Dio fa. E, si vede in tanti consacrati questa disponibilità senza misura ad andare. Ai giovani piace questo essere assoluto, cioè il donarsi veramente. Ho riscontrato questo nei vari continenti. Ma c’è anche la difficoltà, alle volte, di vedere una testimonianza chiara su questo. Allora qui ci sono cose da rivedere. Noi abbiamo parlato di tre campi.

Il primo riguarda la vita comunitaria: noi non possiamo togliere al giovane la famiglia che deve essere una Congregazione religiosa, un Istituto religioso; deve trovare fiducia, deve trovare fratelli e sorelle, non persone che giudicano che vedono sempre il negativo. C’è bisogno di ricomporre la vita fraterna. Dove c’è fiducia, dove c’è amore, dove c’è  aiuto reciproco fiorisce di più la risposta del giovane.

Il secondo riguarda una formazione che non mira a ridurre le nostre debolezze – fa bene anche quello – ma, soprattutto, a consegnarsi nelle mani di Dio, cioè lasciare che Dio lavori sulla persona.

Il terzo riguarda il cambiamento dello stile di autorità, di obbedienza e il posto dei soldi, perché l’autorità non può essere di un ‘illuminato’ che comanda su quelli che non hanno luce; questo non ha senso! Anche colui che è superiore è un discepolo di Gesù, del fondatore! Il criterio affinché lui possa indicare la volontà di Dio è che sia discepolo di Gesù. Allora la prima cosa è essere fratello, essere sorella, dopo di che sei anche superiore. Tu non sei superiore perché sei più degno, tu sei uno dei tanti, ma hai questo compito. In questo senso dobbiamo cambiare molto anche noi preti, vescovi, cardinali; non dobbiamo continuare con questo sistema di imposizione. E’ stato Papa Benedetto a dire questo, ovvero che il cristianesimo, l’evangelizzazione camminano non per imposizione ma per attrazione che viene da un fratello. E questa non è democrazia, è un’altra cosa: è entrare nel mistero.

Poi c’è la questione dei soldi, perché in tanti posti, in tante famiglie religiose è entrato il più disgraziato dei capitalismi: si vive dei soldi, si calcola tutto a partire dai soldi. C’è bisogno di credere di più nella Provvidenza e meno ai soldi che abbiamo in banca. Dobbiamo averli sì, ma per la comunione, per la Chiesa, per coloro che hanno bisogno come ci indica il Papa. Bisogna aprirsi ai più poveri e l’appello del Papa è diretto proprio in questa direzione: “Dobbiamo farlo”. Apportare questi cambiamenti aiuta il giovane ad avvicinarsi a qualcosa di autentico. Questo attrae! Perché Dio attrae!

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Il card. Filoni in India e Bangladesh: rinviata la tappa in Nepal

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Sono stati tre gli appuntamenti particolari che ieri hanno caratterizzato la giornata del card. Fernando Filoni in India, nell’arcidiocesi di Calcutta: l’incontro con vescovi, sacerdoti, religiosi e laici; il discorso a formatori, seminaristi, novizi e novizie, e nel pomeriggio la Messa nella basilica di “Our Lady of the Rosary”.

La benedizione del Papa
Il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione, in questa seconda tappa della sua visita pastorale in Asia dopo il Bangladesh - riferisce l'agenzia Fides - ha incontrato vescovi, sacerdoti, religiosi e laici di Calcutta nell’auditorium del St. Xavier’s College. “Vengo in questa arcidiocesi come pellegrino – ha detto il card. Filoni nel suo discorso - solo tre mesi prima dell'inaugurazione dell'Anno Giubilare della Misericordia annunciato da Sua Santità Papa Francesco, del quale vi porto la sua Benedizione Apostolica. In India e in tutto il mondo, Calcutta è diventata sinonimo di misericordia attraverso la lungimiranza, l'amore e la misericordia della Beata Madre Teresa verso i poveri e i diseredati”.

L'attività missionaria è la sfida più grande per la Chiesa
Il cardinale si è ampiamente soffermato sul tema dell'evangelizzazione e della missione della Chiesa, ribadendo che “tutti hanno il diritto di ricevere la Buona Novella” e “tutti i cristiani hanno il dovere di annunciare il Vangelo, senza escludere nessuno”. “Oggi l'attività missionaria è la sfida più grande per la Chiesa e il nostro impegno missionario deve sempre rimanere in cima all'agenda diocesano o al piano pastorale” come ci invita la Evangelii Gaudium. Quindi ha ricordato ai “fratelli vescovi” la loro grande responsabilità per la vita della Chiesa: “dobbiamo guidarla con l’esempio e dobbiamo fare il primo passo”. I sacerdoti devono “mettersi in gioco, con la parola e con le opere, nella vita quotidiana delle persone”. Ha invitato i religiosi a “mettere Cristo al centro della loro spiritualità e di tutte le loro attività, proprio come Madre Teresa”. Infine ha esortato i laici ad attingere dal Vangelo nuovo entusiamo per la missione, in quanto “il Vangelo è amicizia con Gesù Cristo; il Vangelo è amore del prossimo”.

I seminaristi siano introdotti in un'autentica spiritualità missionaria
Nel discorso ai formatori, ai seminaristi, ai novizi e alle novizie dell’arcidiocesi di Calcutta, che ha incontrato nel Seminario regionale “Morning Star” a Barrackpore, il card. Filoni ha sottolineato che “fin dal suo inizio, la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli ha considerato la formazione sacerdotale come uno dei ministeri più importanti della Chiesa” e che “la formazione oggi è davvero una grande sfida, soprattutto nel contesto della globalizzazione contemporanea”. Ha quindi ringraziato i formatori per il loro impegnativo incarico e li ha invitati ad essere attenti affinché “i seminaristi siano introdotti in un'autentica spiritualità missionaria, che li trasformi in ministri zelanti, impegnati e gioiosi del Vangelo di Gesù”.

Il sacerdozio sia un servizio spirituale e non un mezzo di potere o di guadagno
Richiamando l’attualità della Esortazione apostolica “Pastores dabo vobis” sulla formazione dei sacerdoti, il cardinale si è rivolto ai seminaristi e ai novizi: “attraverso la vostra fede e generosità avete dato una risposta positiva a Colui che vi ha chiamati, che vi ha scelto per essere ‘uno strumento nelle Sue mani’. La vostra umile risposta deve essere in sintonia con una vita di fede ed è facilmente riconoscibile dagli altri nelle vostre parole e azioni. Ricordate che siete chiamati ad un servizio spirituale, non a qualcosa che porta un guadagno personale, una posizione nella società, o un potere”.

La Croce è diventata il segno dell'amore e della gloria
Nel pomeriggio di ieri, il card. Filoni ha presieduto la Santa Messa nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nella basilica di “Our Lady of the Rosary” a Bandel. “La Croce di Cristo è lo strumento dell'amore con cui Dio ci ha salvato” ha detto nell’omelia. “Da essere un oggetto di scherno e di vergogna, la Croce è diventata il segno dell'amore e della gloria. In effetti, l'adorazione della Croce è l'adorazione di Gesù Cristo, e questo strumento di tortura e di morte è diventato uno strumento di vita e di grazia”. 

La visita in Bangladesh e la tappa rinviata in Nepal
Ricordando la sua visita in Bangladesh - prima tappa del suo viaggio in Asia - il card. Filoni ha detto che "è stato davvero consolante vedere la piccola Chiesa in Bangladesh con un entusiasmo che definirei travolgente. Ci infonde grande speranza – prosegue il cardinale a Fides - constatare la vitalità e la vivacità delle Chiese che vivono come un ‘piccolo gregge’. Proprio oggi è arrivato l'annuncio che la visita del cardinale in Nepal, dove avrebbe dovuto recarsi dall’India, è stata rinviata per motivi di sicurezza in seguito alle agitazioni antigovernative che si stanno svolgendo in diverse parti del Paese. (S.L. - P.A.)

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Udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto stamani mons. Martin Krebs, Arcivescovo tit. di Taborenta, Nunzio Apostolico in Nuova Zelanda, Fiji, Isole Cook, Isole Marshall, Kiribati, Nauru, Palau, Samoa, Stati Federati di Micronesia, Vanuatu, Tonga; Delegato Apostolico nell’Oceano Pacifico.

Negli Usa, il Papa ha nominato Vescovo di Kansas City–Saint Joseph (U.S.A.) mons. James Vann Johnston, finora Vescovo di Springfield–Cape Girardeau.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Come i servitori anonimi di Cana: messaggio per la Giornata mondiale del malato che sarà celebrata a Nazareth.

Vocazione e missione della famiglia: l'elenco dei partecipanti alla quattordicesima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi.

Le ragioni di un'unione: in prima pagina, editoriale del vicedirettore sulla debolezza europea di fronte all'emergenza dei profughi.

Verso un mondo senza armi nucleari: l'intervento dell'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, alla conferenza dell'Aiea.

Damasco chiede una nuova conferenza internazionale: Mosca ribadisce la necessità di sostenere il Governo siriano nella lotta contro l'Is.

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Oggi in Primo Piano



Paesi Ue spaccati su accoglienza profughi

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Nei primi otto mesi di quest'anno, più di 500 mila migranti sono stati rilevati alle frontiere dell'Unione Europea, 156 mila solo nel mese di agosto. E oltre duemila sono stati i morti nel Mediterraneo. La Commissione Europea, intanto, fa sapere che chiederà conto all’Ungheria delle nuove misure anti immigrati, mentre prende corpo l’ipotesi di un nuovo incontro dei ministri degli Interni a breve dopo quello di ieri che ha visto di nuovo l’Europa spaccata: irremovibile l’opposizione del blocco dei Paesi di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca e Polonia) all’aumento fino a 160 mila profughi da accogliere e smistare, superando il tetto già deciso dei 40 mila. Nell’intervista di Fausta Speranza, la riflessione di Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. - Avevo sperato finalmente in una forte posizione da parte dell’Europa. Il dramma delle numerosi morte causate dal tentativo di immigrazione, da parte di coloro che ne hanno veramente bisogno, mi aveva fatto sperare che finalmente ci fosse un momento di comprensione tra tutti i Paesi europei. Purtroppo questo non è più così, perché il documento iniziale in cui erano state stabilite le quote di ripartizione dei migranti nei vari Paesi europei, giorno dopo giorno, è stato stravolto e strappato, a partire dall’impegno di ricollocare i migranti a quello di un accordo di principio, fino a quello di lasciare alla semplice volontà dei Paesi di accogliere o meno i migranti stessi.

D. - Il blocco dei Paesi dell’Est europeo è il problema …

R. - È il serio problema e dimostra ulteriormente – se ce ne fosse bisogno – l’incapacità dell’Europa di utilizzare una politica coercitiva, quando è necessario, nei confronti dei Paesi che aderiscono all’Unione Europea. Posso anche capire le difficoltà di Paesi come Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania: e noi italiani e la Grecia affrontiamo da anni situazioni simili. Ma dobbiamo ricordare che sono Paesi esclusivamente "di passaggio": i migranti siriani o di altri Paesi in guerra non si fermano in questi Paesi dell’Est europeo. Punto focale è la totale disparità di trattamento nei confronti dei migranti e la totale mancanza di assunzione di responsabilità. La Germania ha fatto i conti con il proprio passato negli anni precedenti ed oggi dimostra di sapere bene come non si possa chiudere la porta in faccia chi ha bisogno. Altri Paesi, per scelte politiche assolutamente non condivisibili, per la svolta autoritaria, hanno dimenticato quale sia stata la loro storia e dimenticano di essere stati loro stessi dei migranti nel momento in cui è caduto il Muro.

D. - Due ultimissimi dati: duemila morti del Mediterraneo dall’inizio dell’anno, oltre 200 mila arrivi in Ungheria; cifre da riflessione epocale …

R. - Sono cifre che sconvolgono se ci si ferma solo per un attimo a pensare. Ma se si leggono come semplici numeri potrebbero anche sembrare delle semplici statistiche. Le immagini sono assolutamente drammatiche, così come lo solo le migliaia e migliaia di persone che fuggono dai Paesi in guerra, ma soprattutto lo sono i numeri delle persone che riempiono il Mar Mediterraneo o la terra con i morti. Io vorrei sottolineare un’ultima cosa: la totale assenza non solo dell’Europa, o meglio l’incapacità in quel momento da parte dell’Europa di far fronte a questo problema, ma la totale assenza di aiuto da parte dei Paesi arabi. Queste sono persone che fuggono da Paesi in guerra, in difficoltà nel vicino e Medio Oriente. Eppure non c’è un solo Paese arabo - esclusa la Giordania per ovvie ragioni o il Libano per ragione di vicinanza -  ad esempio, Emirati Arabi o Arabia Saudita, che non si sia fatto carico di un solo migrante o che abbia in maniera decisa affrontato la questione della migrazione dalla Siria, di persone che sono in seria difficoltà perché fuggono soprattutto da quello che è il nemico stesso dei Paesi Arabi: il Sedicente Stato islamico.

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Putin: aiuti militari alla Siria in chiave anti terrorismo

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La Russia continuerà a fornire supporto tecnico-militare alla Siria per aiutare Damasco nella lotta contro il terrorismo. Lo ha detto il presidente russo Putin precisando che senza questo sostegno il numero di profughi verso l’Europa sarebbe ancora maggiore. Intanto, la Francia continua a ribadire la necessità di effettuare raid aerei in Siria contro postazioni dello Stato Islamico. Ma quali conseguenze provocherebbe un'opzione del genere? Eugenio Bonanata lo ha chiesto Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali (Ce.S.I.): 

R. – Un intensificarsi dell’azione contro l’Is. Ma se qualcuno si immagina di poter sconfiggere l’Is soltanto dall’aria è veramente un’anima bella. Il territorio va controllato e posseduto. Ci vuole, quindi, qualcuno che da terra utilizzi l’esercito per poi tenere, mantenere, ricostruire i territori che eventualmente sono stati liberati con un intervento aereo. E’ così dalla notte dei tempi! Basti pensare all’impatto delle nostre stazioni dei carabinieri sul territorio. Non si può pensare di sconfiggere un avversario, che sia terroristico o della criminalità, senza una presenza capillare.

D. – Tuttavia c’è una forte contrarietà soprattutto da parte della Russia?

R. – C’è una forte contrarietà da parte di tutti ad intervenire via terra, perché se viene fatto con le stesse modalità degli interventi del passato, quindi operazioni militari senza una chiara strategia politica, i danni e i drammi li vediamo adesso.

D. – C’è spazio per una soluzione politica?

R. – Prima di tutto ci dovrebbe essere spazio per qualcuno alternativo ad Assad. Fino adesso tutti vogliono contrastare Assad, il dittatore Assad, ma nella realtà dei fatti gli unici attori politici, tolto Assad, in quel Paese, in questo momento - attori politici reali - sono al-Nusra, ovvero al Qaeda, e soprattutto l’Is.

D. – Bisogna coinvolgere Russia ed Iran...

R. – Assolutamente sì, bisogna coinvolgere tutti. I problemi regionali vanno dibattuti e risolti in ambito regionale o anche più allargato. Le soluzioni minimali – parliamo solo con i nostri amici – hanno prodotto i disastri che viviamo quotidianamente.

D. – Ma possiamo, secondo lei, aspettarci qualcosa in questo senso, perché le due lotte contro Assad e contro lo Stato Islamico stanno producendo una sorta di cortocircuito…

R. – Assolutamente sì, ma è la politica occidentale che è totalmente miope: penso al ruolo dell’Europa, che non esiste, dove ciascuna nazione decide di fare una politica propria, senza neanche consultarsi con gli alleati; penso agli Stati Uniti che sono stati tirati per il collo di nuovo in Medio Oriente, soprattutto per l’insipienza europea, quando il loro interesse principale ormai sono l’Oceano Indiano e Pacifico. Penso un po’ a tutti.

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Congo: fine dei colloqui. L'Udps boicotta il dialogo nazionale

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Resta tesa la situazione nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Dopo che l’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps), storico partito d’opposizione in Rdc, ha annunciato il suo ritiro dai colloqui con il Presidente della repubblica Joseph Kabila – che miravano all’instaurazione di un dialogo nazionale – parte dell’Udps ha già aderito alla richiesta di scendere in piazza. Il nodo sul quale i partiti d’opposizione insistono è la volontà del Presidente Kabila di cambiare la Costituzione per ricandidarsi alle elezioni presidenziali per un terzo mandato. Qual è il motivo del fallimento del dialogo fra le parti? Maria Caterina Bombarda lo ha chiesto a Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

R. - Il motivo del fallimento è il fatto che l’opposizione non credeva in questo dialogo. Temeva un gioco sporco del presidente. Teniamo presente che alla base di tutto questo c’è una paura nell’opposizione, ma anche in gran parte del Paese, che Kabila possa tentare un colpo di mano e ripresentarsi per un terzo mandato, il che sarebbe contro la Costituzione congolese e riproporrebbe in scala decisamente maggiore, quanto è avvenuto e sta avvenendo nel piccolo Burundi, dove il Presidente Pierre Nkurunziza, si è candidato per il terzo mandato ed è stato eletto, forzando il dettame costituzionale burundese.

D. - C’è il rischio che scoppi qualcosa di più grave in relazione anche con le elezioni presidenziali che si terranno il  prossimo anno in Ruanda?

R. - Sì, io direi che è tutto collegato, nel senso che in Burundi la ricandidatura e la rielezione di Nkurunziza ha creato e sta creando forte instabilità. Il rischio è che questa forte instabilità, che è un instabilità non tanto etnica ma politica, aggravi sia la situazione politica, sia la situazione etnica, e la stessa situazione si ripresenti in Ruanda, dove poi il Presidente Kagame sta cercando di ricandidarsi per un ulteriore mandato. Se queste crisi politiche si avviano su canali etnici, rischiano veramente di scoppiare nuove tensioni che possono diventare molto gravi. Lo stesso si può riprodurre su più larga scala in Congo, Paese già instabile di per sé perché le regioni orientali sono fuori controllo.

D. - Quindi possiamo dire che ciò rappresenterebbe un passo indietro per tutta l’area…

R. - Direi di sì. E’ un grosso rischio che questa area che sembrava avviata, anche se  con molte contraddizioni, ad una maggiore stabilità, rischi di riprecipitare nel gorgo dell’instabilità, delle tensioni e della guerra.

D.  - Quale significato politico e civile potrebbero avere le elezioni di Kabila al terzo mandato e quindi il cambiamento della Costituzione?

R. - Potrebbe essere il perpetrarsi di un sistema di potere che è quello attuale sul Congo e quindi un rallentamento, se non addirittura uno stop a lungo termine, del processo democratico che sembrava avviato, quindi il ripresentarsi di quei vecchi stereotipi delle classi politiche africane, incapaci di accettare l’alternanza democratica  e di fatto la democrazia.

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Ccee in Terra Santa: vicini a cristiani che soffrono

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La Chiesa europea vive legami di grande solidarietà con le realtà eclesiali del Medio Oriente. Lo hanno ribadito i presidenti delle Conferenze Episcopali del Continente che stamattina a Gerusalemme si sono confrontati sulle prove che affrontano i cristiani in Terrasanta. Stamani, inoltre, una delegazione dei vescovi ha incontrato il presidente palestinese Mahmoud Abbas per ribadire la vicinanza della Chiesa a chi soffre e il desiderio di vedere la pace nel Medio Oriente. Il servizio del nostro inviato Fabrizio Mastrofini

L’Europa possa farsi mediatrice di pace. Lo ha ribadito il Patriarca latino, mons. Fouad Twal, intervenendo stamattina alla sessione dedicata alla Terra Santa ed alla situazione dei cristiani. Una situazione con luci ed ombre, dove il grande impegno delle realtà ecclesiali locali non è più sufficiente a far fronte all’arrivo dei profughi dalla Siria e dall’Iraq. Il Patriarca ha citato anche le sfide sociali e pastorali portate dalla grande quantità di immigrati che da diversi Paesi dell’Asia si riversano in Israele alla ricerca di lavoro. “Questi migranti interpellano la coscienza”, ha ripetuto mons. Twal, chiedendo una maggiore solidarietà a livello di Chiese europee verso le Chiese del Medio Oriente. Si tratta di una missione precisa perché in Medio Oriente si trovano le radici di tutta la Chiesa universale ed in particolare della Chiesa in Europa, continente che è stato raggiunto dall’annuncio degli apostoli, primi seguaci di Gesù, e da qui l’annuncio si è propagato in tutto il mondo. Il dialogo nel nome della speranza deve essere il segno distintivo di chi evangelizza nel nome di Gesù, come conferma ai nostri microfoni mons. Mario Grech, vescovo di Gozo:

“Mi auguro, ci auguriamo che con il Vangelo nelle nostre mani noi possiamo incontrare l’uomo nelle difficoltà che sta vivendo e potremo anche intavolare questo dialogo. Incontrandoci con l’uomo che sta cercando, anche l’uomo credente o non credente o l’uomo battezzato che ha perso purtroppo la fede, la Chiesa può comunicare questa speranza. E sono lieto che a casa abbiamo tante persone – sacerdoti, religiosi e anche laici – che sono impegnati in questa che noi chiamiamo ‘nuova evangelizzazione’”.

Per la Terra Santa un aiuto concreto potrà venire dalla ripresa dei pellegrinaggi, calati di numero in maniera vistosa, in questi mesi, a causa della paura del terrorismo. Ma non è così, non ci deve essere questa paura. Lo conferma ai nostri microfoni padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa:

R. – Le Chiese del Medio Oriente e le Chiese d’Europa sono sempre state legate, storicamente, e oggi assistiamo a un mischiarsi di popolazioni, a un intrecciarsi di relazioni che è importante. Questo vale anche per le relazioni tra le Chiese. E’ importante che le Chiese di tutti i Paesi d’Europa vengano in Terra Santa a rendersi conto di come le radici della fede siano ancora qui e tangibili. E sostenere la piccola presenza cristiana qui, in Terra Santa e anche attingere dalla Terra Santa il patrimonio di relazioni e di presenza e di tradizione cristiana, che qui è un unicum.

D. – In questo senso, i pellegrinaggi quanto possono contare?

R. – I pellegrinaggi sono lo strumento concreto di questa corresponsabilità. Altrimenti, resta teoria. Il legame tra le diverse Chiese passa certamente attraverso la preghiera e la comunicazione, ma anche con i pellegrini che da tutto il mondo vengono qui, in Terra Santa, toccando i luoghi santi e toccando l’esperienza dei cristiani in Terra Santa fanno l’esperienza del Cristo vivente qui, in Terra Santa.

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Caritas: povertà raddoppiata, il governo faccia di più

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Il governo Renzi ha raggiunto pochi risultati nella lotta alla povertà. Lo afferma la Caritas nel suo rapporto presentato oggi a Roma. Il governo risponde che le risorse sono limitate, ma promette un primo intervento nella Legge di Stabilità. Il servizio di Alessandro Guarasci

Sulla lotta alla povertà, il governo Renzi in sostanza sta continuando sulla linea tracciata dai governi precedenti di centrodestra. Insomma, per la Caritas vengono sottovalutate le esigenze di quel 10% di famiglie povere. Di queste solo un quinto ha avuto benefici da bonus bebè, bonus nuclei numerosi, Asdi e Nuova Social Card. In Italia, il numero di persone in povertà assoluta è più che raddoppiato in 7 anni, passando da 1,8 milioni del 2007 a 4,1 milioni del 2014. Mons. Francesco Soddu, direttore della Caritas, riconosce che il tema è all’ordine del giorno delle forze politiche, ma bisogna fare di più:

“Non è vero che qualcosa è meglio di niente: no, non è vero, perché può essere addirittura fuorviante. E’ necessario mettere in atto politiche, questioni che vengono studiate non soltanto a tavolino, ma che vengono programmate con un preciso intento: quello di eliminare totalmente la povertà estrema”.

E anche il taglio della Tasi, annunciato da Renzi, avrà un effetto limitato, visto che solo un terzo delle famiglie povere la paga. Dunque per la Caritas è necessaria una misura universale e strutturale di contrasto all'esclusione. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, afferma che il governo ci sta lavorando, ma le risorse sono poche, e nel frattempo difende gli 80 euro e il futuro taglio della Tasi:

“Questo significa dare un supporto al reddito di tante famiglie italiane che aiuta a fronteggiare i loro bisogni. Questa cosa non è la lotta alla povertà e nulla toglie al fatto che dobbiamo affrontare anche il tema dei più poveri, anzi: come dicevo prima, su questo si apre un percorso che vogliamo rendere realistico e operativo”.

Nella prossima Legge di Stabilità sarà irrobustita la Nuova Social Card, di quanto però non si sa.

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Metropolita Hilarion a Milano: Ambrogio maestro di unità

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Un cammino di fraternità e di incontro delle Chiese che deve proseguire. E’ l’augurio espresso dal metropolita Hilarion nel corso della sua giornata milanese. Il presidente del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa ha anche auspicato un incontro fra il Papa e il Patriarca di Mosca “in un prossimo futuro, ma in un Paese “neutrale”, a compimento di una storia recente di vicinanza e di gesti di buona volontà con la Chiesa milanese. Da Milano il servizio di Fabio Brenna

“Incontro sua eminenza il cardinale Scola. Questi buoni rapporti rispecchiano in generale i buoni rapporti che esistono fra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana. Questi rapporti si sviluppano in diverse direzioni, in diverse dimensioni. Speriamo che questi rapporti avranno un buon futuro”.

Dopo l’incontro privato con il card. Scola e la visita al Duomo, nel pomeriggio alla Biblioteca ambrosiana, il metropolita Hilarion ha affrontato la figura di Sant'Ambrogio padre della Chiesa indivisa come maestro fecondo per la Chiesa d’oggi e per l’Europa. “Ambrogio è un classico della letteratura teologica e della poesia”, ha detto Hilarion, “studiarlo e tradurlo ci rende suoi interlocutori. E ci chiama a scoprire in Cristo la fonte del nostro lavoro scientifico e a riscoprire le radici cristiane della civiltà europea”. In questa occasione sono stati presentati i primi quattro volumi di una collana di cinque che traducono l’Opera Omnia di Sant'Ambrogio; un progetto di collaborazione fra l’Ambrosiana e l’Università San Tichon.

Inaugurando la mostra “La missione della Chiesa ortodossa russa nel mondo moderno”, ospitata nel padiglione russo di Expo, il metropolita ha spiegato come il messaggio dell’Esposizione Universale sia un no al consumismo, lotta alla fame e rispetto per il creato.

L’intensa giornata si è quindi chiusa con il concerto nella basilica di S. Ambrogio. Qui i 55 elementi del Coro sinodale del Patriarcato di Mosca fondato nel 1721 e rilanciato nel 1999 dal Patriarca Kirill , hanno eseguito 11 brani di Rachmaninov, Čajkovskij, Cesnokov e alcune composizioni dello stesso Metropolita Hilarion.

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I bambini e la sfida delle emozioni nel film "Inside Out"

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Le coloratissime emozioni del film Disney Pixar “Inside Out” sono state protagoniste della serata di ieri all’Auditorium Conciliazione. Una première nel cuore di Roma a cui ha partecipato anche Pete Docter, il regista del cartone animato, che arriva domani nelle sale italiane. Il servizio di Corinna Spirito

Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia. Sono queste le emozioni all’opera ogni giorno nella nostra mente. Parola di Pete Docter, il regista della Disney Pixar, che ha scelto di ambientare il suo nuovo film, “Inside Out”, all’interno della mente di Riley, una ragazzina di 11 anni:

“L’idea di questo film mi è venuta osservando crescere mia figlia. Mia figlia dà la voce ad Ellie in Up, se avete visto il film in inglese avete sentito la sua voce e lei era veramente simile a quel personaggio… finchè non ha compito 11 anni! All’improvviso ha cominciato ad avere gli atteggiamenti classici della ragazzina un po’ chiusa in se stessa. Quindi, mi continuavo a chiedere che cosa le frullasse per la mente. Mi sono ricordato che in realtà anch’io da ragazzino avevo vissuto questa stessa esperienza. Crescere è veramente difficile e il film parla proprio di questo”.

Vincitore di un Oscar nel 2011 per “Up”, Pete Docter realizza con “Inside Out” un altro film esilarante e commovente, che insegna a dare importanza a ogni nostra emozione:

“Tutti vogliamo una vita felice e da genitori vorremmo che i nostri figli fossero sempre felici. Purtroppo, però, nella vita non c’è soltanto la felicità: c’è la delusione, c’è la perdita… Ci sono cose che percepiamo come negative e cerchiamo di evitarle: ma queste altre emozioni esistono per aiutarci ad affrontare le difficoltà. Siamo tutti cresciuti con i film di Disney e ameremmo tutti avere sempre il lieto fine. Nella vita, però, non è sempre così semplice e abbiamo cercato di rappresentare proprio questo nel film”

Un messaggio potente che, raccontato con la delicatezza e la semplicità tipiche di "casa Disney", arriva anche ai più piccoli, come ha spiegato Pete Docter:

“Avevamo realizzato circa metà film e abbiamo fatto una proiezione di prova. Non soltanto i ragazzini hanno capito il film, ma sono anche stati in grado di spiegarlo meglio di quanto io stesso non fossi capace di fare. Una cosa molto bella, una cosa che mi ha colpito moltissimo è stata la storia di un animatore che lavora alla Pixar, che ha portato il figlio a vedere il film. Lui ci ha raccontato che la settimana precedente il figlio era andato a lezione di nuoto e che non riusciva a saltare dal trampolino nella piscina perché aveva paura. Poi, durante il fine settimana, ha portato il figlio a vedere il film, il giorno dopo il bambino è andato a lezione e si è tuffato senza problemi. Il padre gli ha detto: “Fantastico! Come mai sei riuscito a farlo?” E il ragazzino ha detto: “Sai, ho pensato che fondamentalmente la paura era alla guida”. Aveva colto completamente il messaggio del film e l’ha messo in pratica. È più di quanto potessi chiedere. Io credo che i bambini, ancor prima di imparare una lingua – italiano, inglese, quello che sia – parlino la lingua delle emozioni. Mi ricordo quando mio figlio era molto piccolo, io e mia moglie avevamo litigato per il conto corrente, e ovviamente mio figlio non sapeva e non capiva la ragione. Aveva, però, colto, aveva capito le emozioni, era riuscito a leggere le emozioni. Io credo, quindi, che questo film crei con facilità un legame con loro”. 

Nella vita non ci sono emozioni negative, ci dice “Inside Out”. Senza i momenti bui, non potremmo apprezzare quelli pieni di luce. E allora Gioia e Tristezza vanno viste come due facce della stessa medaglia, tanto compatibili da poter persino diventare amiche.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: 4 cristiani tra le vittime dei jihadisti ad Hassakè

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Ci sono anche 4 cristiani tra le oltre venti vittime provocate da due attentati suicidi realizzati ieri ad Hassakè, nella regione siriana nord-orientale di Jazira. Lo confermano fonti locali della Chiesa siro-cattolica, contattate dall'agenzia Fides. Le vittime cristiane appartenevano tutte alla stessa famiglia. I due attentati terroristici, rivendicati dal sedicente Stato Islamico (Daesh), sono stati realizzati tramite auto-bomba in due zone diverse della città. In un caso, l'obiettivo dell'azione terroristica era il quartier generale delle milizie curde che in quella regione si oppongono ai miliziani del Daesh. L'altro attentato è stato realizzato in una zona controllata dall'esercito governativo.

Nei sobborghi di Hassakè presenti gruppi jihadisti
​Hassakè aveva subito un attacco massiccio da parte dei miliziani dello Stato Islamico alla fine di giugno. In quell'occasione l'offensiva jihadista aveva provocato anche la fuga di migliaia di cristiani, in buona parte tornati alle proprie case dopo la riconquista della città da parte delle milizie curde e dell'esercito governativo. I due attentati di ieri confermano che in alcuni quartieri e sobborghi della città sono ancora presenti gruppi di jihadisti, pronti a sostenere dall'interno eventuali nuovi assalti sferrati dal Daesh contro la città. (G.V.)

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Sud Sudan: ferito in un agguato, missionario comboniano congolese

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Un missionario comboniano di nazionalità congolese è stato ferito in un agguato stradale nel Lakes State in Sud Sudan. Il fatto è accaduto l’11 settembre. Secondo fonti della Chiesa contattate dall’agenzia Fides nel Paese africano, il missionario, del quale si conosce solo il nome di battesimo, padre Placide, si trovava insieme ad altre persone su un autoveicolo che percorreva la strada che va da Rumbek (capitale del Lakes State) a Mapuordit, dove i missionari comboniani hanno una missione.

L'attentato nel contesto di instabilità e violenza in tutto il Sud Sudan
Intorno alle 6 del pomeriggio dell’11 settembre, all’altezza dei villaggi di Makur Agar e Agany, l’autoveicolo è stato attaccato a colpi d’arma da fuoco da tre uomini armati, dei quali uno sembra indossasse un’uniforme militare. L’unico ad essere colpito è stato il missionario congolese. Ha riportato alcune ferite ma non sono stati lesi organi vitali. Padre Placide dovrebbe essere stato trasportato a Nairobi, in Kenya, per essere sottoposto ad un intervento chirurgico.
“Questo episodio può essere collocato nel contesto di instabilità e violenza che caratterizza tutto il Sud Sudan” dicono le fonti di Fides. “Nel caso del Lakes State, più che la guerra civile tra l’ex vice Presidente Riek Machar ed il Presidente Salva Kiir, formalmente conclusasi con gli accordi firmati ad agosto, sono le dispute tra clan rivali legate ai furti di bestiame a provocare le violenze. L’anno scorso e quest’anno ci sono stati numerosi morti negli scontri tra clan, che un tempo avvenivano con le lance, ora usando armi da guerra facilmente reperibili nel Paese.

La regione alla mercé degli scontri interclanici
Il Lakes State è stato toccato marginalmente dalla guerra civile ma è stato lasciato alla mercé degli scontri interclanici. Ora se l’accordo di pace nazionale tiene, si aprono spazi per la società civile e per le autorità per trovare i modi per risolvere le dispute tribali” concludono le fonti di Fides. (L.M.)

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Laos: pastore protestante ucciso dalla polizia

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C’è sconcerto fra i cristiani in Laos: il Pastore cristiano protestante laotiano Singkeaw Wongkongpheng è stato ucciso a sangue freddo dalla polizia nella provincia di Luang Prabang. Il delitto è stato commesso la mattina dell’8 settembre scorso, ma solo ora la notizia è stata diffusa. Secondo una ricostruzione inviata all’Agenzia Fides dall’Ong “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” (Hrwlrf), cinque uomini non identificati sono entrati in casa del Pastore, nel villaggio di Na-ang, che si trova nel distretto di Chomphet, parte del territorio provinciale di Luang Prabang.

Un tentativo di rapimento degenerato in omicidio?
In primo luogo hanno preso sua moglie. Giunto per aiutarla, il Pastore Singkeaw è stato afferrato e trascinato via. Dato che l’uomo ha opposto resistenza, lo hanno pugnalato tre volte alla schiena e poi sono fuggiti. Il figlio del Pastore ha rincorso uno degli aggressori e lo ha ferito. L’uomo si trova in un ospedale della Provincia di Luang Prabang. Si è appurato che il ferito è un agente della polizia provinciale di Luang Prabang, in servizio come guardia carceraria. I cristiani di Luang Prabang sospettano che i cinque uomini inizialmente avessero pianificato di rapire il Pastore Singkeaw e la moglie e che poi l’azione sia degenerata in omicidio.

Le autorità gli avevano intimato di non diffondere la fede cristiana
Il Pastore Singkeaw guidava una piccola comunità a Na-ang con 58 fedeli. Secondo un leader cristiano locale, il Pastore era un buon cittadino, rispettoso della legge, che conduceva una vita semplice ed essenziale. Tra il 1997 e il 2002 aveva avuto i primi problemi, quando le autorità gli avevano intimato di non diffondere la fede cristiana, ordine ribadito due anni fa. L’Ong Hrwlrf chiede al governo laotiano di indagare sulla morte del Pastore Singkeaw e di fare giustizia alla sua famiglia, identificando e punendo anche gli altri quattro uomini, anch’essi agenti di polizia secondo fonti locali, per l’omicidio compiuto a sangue freddo. (P.A.)

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Myanmar: appello card. Bo contro leggi su razza e religione

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In Myanmar, la Chiesa si unisce all’allarme lanciato dall’opposizione sulle nuove “Leggi a difesa della razza e della religione” approvate lo scorso mese di agosto dal Parlamento su pressione di frange estraparlamentari buddhiste. Il pacchetto legislativo, voluto dal Comitato per la protezione della nazionalità e della religione (Ma Ba Tha, in sigla), comprende misure contro i matrimoni misti, le conversioni religiose e la poligamia e per il controllo delle nascite.

Il Paese ha bisogno di pace e riconciliazione
Secondo gli attivisti per i diritti umani e i movimenti dell’opposizione, le nuove leggi ledono i diritti e le libertà dei cittadini e potrebbero diventare una nuova arma per colpire le minoranze e i gruppi più emarginati del Paese, in particolare musulmani di etnia Rohingya.  Una preoccupazione condivisa dal card. Charles Maung Bo che, in un messaggio  ai governanti e al popolo birmano in vista delle prossime elezioni parlamentari di novembre, richiama l’attenzione sulla pericolosità delle misure in questione per l’unità del Paese e per il fragile processo di democratizzazione avviato nel 2010. Nel messaggio – riporta l’agenzia Eglises d’Asie - l’arcivescovo di Yangon parla di una nazione “ancora una volta” a un “crocevia, divisa fra speranza e disperazione”, dopo aver vissuto oltre “cinquant’anni di oppressione politica”. “Il Myanmar – ammonisce - non può andare verso un conflitto permanente. Cinquant’anni di agonia bastano. Abbiamo bisogno di pace. Abbiamo bisogno di riconciliazione. Abbiamo bisogno di una identità condivisa e di cui fidarsi, in quanto cittadini di una nazione che nutre speranza”.

Un’offesa agli insegnamenti buddisti e una minaccia alla democrazia
Secondo il porporato, le nuove leggi “sembrano aver suonato la campana a morto” per tutte queste speranze di cambiamento, di unità e di rinascita democratica del Paese. Esse – sottolinea  - sono il frutto della campagna di “odio” di alcuni gruppi radicali che mirano ad “istituzionalizzare ideologie estremiste”, offendendo Buddha e gli insegnamenti di pace, misericordia e compassione del buddhismo. Di qui l’appello rivolto ai leader politici e agli eletti a rivedere queste leggi per scongiurare il pericolo di “altri conflitti nei decenni a venire”.

La vera sfida del Paese è la povertà, non le conversioni religiose
​Il messaggio richiama, infine, l’attenzione sulla vera sfida cui il Paese dovrebbe dare una risposta concreta. Il pericolo più grande – avverte il card. Bo - non sono le conversioni religiose ma “la povertà… che è la religione comune della maggioranza dei cittadini birmani. Il 30% della nostra gente - ricorda - vive in condizioni di povertà, un dato che negli Stati Rakhine (dove vive la minoranza Rohingya) e Chin raggiunge punte del 70%”. “Come nazione - conclude il porporato - è necessaria una vera conversione per questo 30% della popolazione costretta a subire una religione oppressiva chiamata povertà”. (L.Z)

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India: aspettative della Chiesa dal Sinodo sulla famiglia

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Le sfide pastorali poste dai matrimoni misti; la cura pastorale verso quelli che si sono allontanati dalla pratica religiosa; l’impatto negativo sulle famiglie dei media e delle nuove tecnologie dell’informazione; i problemi delle famiglie migranti. Sono queste, le problematiche su cui la Chiesa indiana vorrebbe puntare i riflettori al Sinodo ordinario dei vescovi sulla famiglia. E’ quanto evidenzia un documento dei vescovi di rito latino dell’India che sintetizza le risposte al questionario dei lineamenta per la sessione del prossimo ottobre. Al questionario hanno risposto 50mila tra membri del clero , religiosi e fedeli laici di 80 delle 131 diocesi indiane di rito latino.

Necessario un nuovo approccio pastorale per i matrimoni interreligiosi
Da esso emerge come tra le sfide pastorali più sentite dalla Chiesa in India vi sia quello dei matrimoni interreligiosi. Un fenomeno in crescita in un Paese in cui i cattolici rappresentano appena l’1,2% della popolazione, in netta maggioranza indù, e di fronte al quale - evidenzia il rapporto dei vescovi latini – l’attuale normativa canonica non fornisce risposte all’altezza delle difficoltà da esso poste, con riguardo alla configurazione giuridica, al battesimo e all'educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della diversità della fede. Mancano, in particolare, indicazioni pastorali su come trattare le situazioni concrete, quali, ad esempio, la partecipazione dei cattolici alle funzioni religiose di altre confessioni. L’auspicio espresso è quello un approccio più “flessibile” a queste situazioni.

La sfida dell’aborto
Questo l’orientamento auspicato anche su altre questioni, come quella della contraccezione per prevenire l’aborto, un piaga in preoccupante crescita in India, la cui gravità non è sempre percepita dai fedeli. Oltre alla promozione di programmi di sensibilizzazione pro-vita, un’adeguata catechesi e preparazione pre-matrimoniale delle coppie e dei metodi naturali di controllo delle nascite.

L’impatto negativo sulle famiglie dei media
Un altro tema al quale i vescovi indiani vorrebbero dare spazio al Sinodo è poi l’impatto negativo sulle famiglie dei media e delle nuove tecnologie della comunicazione che stanno portando a un preoccupante aumento della violenza e degli abusi sessuali nella società indiana “soprattutto sulle donne e i bambini”, attraverso la diffusione di modelli e stili di vita materialisti.

Non escludere dalla vita della Chiesa i conviventi e i divorziati
​Il rapporto non affronta, invece, la questione della comunione ai divorziati risposati, limitandosi a proporre, per le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziate e risposate,  o che semplicemente convivono, percorsi di coinvolgimento nella vita della Chiesa e a suggerire una semplificazione dei processi di nullità dei matrimoni. (L.Z)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 258

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.