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Sommario del 13/09/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: rifiutare mondanità. Problemi del lavoro risolti per le famiglie

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Rifiutare quella mentalità mondana che pone il proprio ‘io’ e i propri interessi al centro dell’esistenza, per seguire Cristo e il Vangelo, in una vita “rinnovata e autentica”. Così il Papa all’Angelus domenicale, in cui ha inoltre auspicato che i problemi del mondo del lavoro siano affrontati in base alle esigenze della famiglia. Il pensiero del Pontefice è andato anche al primo Beato sudafricano. Il servizio di Giada Aquilino

Problemi del lavoro da risolvere secondo esigenze delle famiglie
Un invito a percorrere un cammino “scomodo”, che non è quello “del successo o della gloria passeggera”, ma quello che conduce alla “vera libertà”, e un pensiero al mondo del lavoro in difficoltà. È stata una riflessione a tutto tondo quella di Papa Francesco all’Angelus in Piazza San Pietro.

“Auspico che i problemi del mondo del lavoro siano affrontati tenendo concretamente conto della famiglia e delle sue esigenze”.

Rifiutare mentalità mondana
Così ha salutato gli insegnati precari giunti dalla Sardegna. Quindi ha esortato a liberarci “dall’egoismo e dal peccato”, mettendosi “alla sequela di Gesù”, cioè prendendo quella “croce” che “tutti” abbiamo per accompagnarlo nella sua strada:

“Si tratta di operare un netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio “io” e i propri interessi al centro dell’esistenza: no, quello non è quello che Gesù vuole da noi! Invece, Gesù ci invita a perdere la propria vita per Lui, per il Vangelo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica”.

Seguire il Signore
Grazie a Gesù, ha spiegato Francesco, questa strada conduce “alla vita piena e definitiva con Dio”:

“Decidere di seguire Lui, il nostro Maestro e Signore che si è fatto Servo di tutti, esige di camminare dietro di Lui e di ascoltarlo attentamente nella sua Parola - ricordatevi: leggere tutti i giorni un passo del Vangelo - e nei Sacramenti”.

Farsi servitori come Cristo
Commentando il Vangelo di Marco in cui Gesù interroga i discepoli su chi Egli sia, “per verificare la loro fede”, il Pontefice ha spiegato come Cristo comprenda che in loro - e in “ciascuno di noi” - “alla grazia del Padre” si oppone “la tentazione del Maligno che vuole distoglierci dalla volontà di Dio”:

“Annunciando che dovrà soffrire ed essere messo a morte per poi risorgere, Gesù vuol far comprendere a coloro che lo seguono che Lui è un Messia umile e servitore. È il Servo obbediente alla parola e alla volontà del Padre, fino al sacrificio completo della propria vita. Per questo, rivolgendosi a tutta la folla che era lì, dichiara che chi vuole essere suo discepolo deve accettare di essere servo, come Lui si è fatto servo”.

Giovani, lasciate che il Signore vi parli
Quindi si è rivolto direttamente ai giovani presenti, chiedendo loro se abbiano avvertito “la voglia di sentire Gesù più da vicino”:

“Pensate. Pregate. E lasciate che il Signore vi parli”.

Il primo Beato sudafricano e i cristiani perseguitati
E il Signore parlò e guidò Samuel Benedict Daswa, beatificato oggi in Sudafrica e ricordato dal Papa: “appena 25 anni fa”, ha detto, fu ucciso nel 1990 “per la sua fedeltà al Vangelo”; nella sua vita - ha evidenziato - dimostrò sempre “grande coerenza”, assumendo coraggiosamente atteggiamenti cristiani e rifiutando abitudini “mondane e pagane”:

“La sua testimonianza si unisce alla testimonianza di tanti fratelli e sorelle nostre, giovani, anziani, ragazzi, bambini, perseguitati, cacciati via, uccisi per confessare Gesù Cristo. Tutti questi martiri, Samuel Benedict Daswa e tutti loro, ringraziamo per la loro testimonianza e chiediamo loro di intercedere per noi”.

Alla Vergine Maria ha chiesto infine di aiutarci a “purificare sempre la nostra fede da false immagini di Dio”.

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Un gruppo di detenuti in Cappella Sistina per seguire l'Angelus

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Giornata speciale, quella trascorsa da un gruppo di detenuti di Rebibbia che questa mattina hanno visitato in via eccezionale i Giardini Vaticani e la Basilica. Per loro si sono aperte anche le porte dei Musei Vaticani. Con una sorpresa. Ce ne parla Davide Dionisi

E’ stata la loro domenica. Un anticipo di quelle che saranno le iniziative previste per l’Anno giubilare. Una cinquantina di detenuti della sezione penale della Casa di Reclusione di Rebibbia, accompagnati dal Direttore, Stefano Ricca, hanno visitato questa mattina i Giardini Vaticani, la Basilica di San Pietro e alle 12.00 si sono ritrovati nella Cappella Sistina per ascoltare l’Angelus di Papa Francesco. Un'occasione unica per gli ospiti del carcere romano, che l'hanno voluta cogliere e respirare fino in fondo, lasciandosi alle spalle, anche se solo per poche ore, problemi e difficoltà e vivendo appieno la bellezza di luoghi a loro sconosciuti.

Nel programma della giornata anche una tappa ai Musei Vaticani, con una guida d’eccezione: il direttore, Antonio Paolucci. Il racconto del direttore di Rebibbia, Stefano Ricca:

R. – Sono quelle emozioni che resteranno nel nostro cuore e nella nostra mente per lungo tempo. Per i detenuti, chiaramente, questo assume un valore particolare: invece di trascorrere un’ennesima mattinata all’interno dell’istituto penitenziario, poter partecipare a una visita in esclusiva, che ci è stata offerta questa domenica, una giornata che normalmente vede i Musei chiusi, ha commosso i detenuti, che sono partecipi dell’eccezionalità dell’evento.

Al nostro microfono, anche la testimonianza di Carmine, uno dei detenuti che hanno preso parte a questa giornata speciale:

R. – Siamo stati accolti in una maniera bellissima: qualcosa che è difficile per un detenuto, nella società; veniamo sempre guardati con un occhio particolare. Invece oggi siamo stati trattati alla pari di una personalità importante. Questa è stata un’emozione per tutti noi. Ne stavamo parlando: qualcosa di indescrivibile!

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Giubileo: San Pio, card. Parolin porta saluto del Papa a San Giovanni Rotondo

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Ha portato il saluto e la benedizione di Papa Francesco a San Giovanni Rotondo il cardinale segretario di Stato Pietro Paolin, inaugurando il nuovo Centro di ricerca per la medicina rigenerativa della Casa Sollievo della Sofferenza e nella Messa al Santuario di San Pio di Pietrelcina. Il porporato ha ricordato che il Pontefice ha scelto il Santo come “modello esemplare della misericordia”, a cui guardare durante il prossimo Giubileo. Il cardinale Parolin ha spiegato di essersi fatto “pellegrino tra i pellegrini” per venerare San Pio e per “affidare alla sua intercessione” l’ormai prossima celebrazione dell’Anno Santo della Misericordia, affinché esso susciti nella Chiesa e nel mondo “un desiderio di conversione e di rinnovamento interiore e contribuisca a farci riscoprire - secondo l’auspicio del Papa - le opere di misericordia”. Di tale missione è esempio la Casa Sollievo della Sofferenza, espressione “particolarmente eloquente” - ha aggiunto il segretario di Stato vaticano - dell’impegno della Chiesa “di stare accanto a chi soffre e di coltivare un’attenzione privilegiata per i malati”, secondo l’esempio di Gesù.

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La Chiesa proclama Benedict Daswa primo Beato sudafricano

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“Catechista diligente, insegnante premuroso, testimone del Vangelo fino all'effusione del sangue”: così Papa Francesco definisce Benedict Daswa, laico e padre di famiglia, primo Beato sudafricano nella storia della Chiesa. Lo ha ricordato anche all'Angelus. La cerimonia di beatificazione si è svolta questa domenica in Sudafrica, a Tohoyandou. A rappresentare il Pontefice è stato il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Isabella Piro: 

“Tshimangadzo”, ovvero “meraviglia, miracolo”: è questo il nome tradizionale di Benedict Daswa. E davvero la sua vita è un miracolo della grazia: nato il 16 giugno 1946 nel villaggio rurale di Mbahe da una famiglia non cristiana, dopo la morte prematura del padre, si prende cura dei quattro fratelli. A 17 anni incontra Benedetto Risimati, catechista carismatico: grazie a lui, riceve il battesimo ed in suo onore sceglie il nome di Benedict. Gli piace coltivare la terra e rifornisce di verdura l’intero paese, aiutando i poveri ed i giovani.

Impegnato sul fronte educativo, Benedict Daswa diventa maestro elementare e poi direttore di scuola primaria. Fornisce il suo villaggio di un campo sportivo ed allena i ragazzi della squadra di calcio. E con le sue stesse mani, contribuisce alla costruzione di una chiesa e di una scuola, trasportando sassi e ghiaia dal fiume al villaggio. A 30 anni si sposa con Shadi Eveline Monyai, dalla quale ha 8 figli. Sfidando usi e costumi locali, lava i loro pannolini e aiuta la moglie nelle faccende domestiche.

Dal 1980 al 1990, opera attivamente in parrocchia, aiutando il parroco, animando le funzioni liturgiche ed insegnando catechismo. Ma a gennaio del 1990, le cose cambiano: un nubifragio si abbatte sul villaggio e il tetto di molte capanne va a fuoco a causa dei fulmini. I capi-villaggio parlano di una maledizione, frutto di stregoneria, e decidono di assoldare uno sciamano perché individui il responsabile del sortilegio e lo allontani dal villaggio. Benedict si oppone: “La mia fede mi impedisce di partecipare a questa caccia alle streghe”, dice, mentre si sforza di spiegare l’origine naturale dei fulmini.

Guardato con sospetto e deriso per aver rinnegato le tradizioni popolari, una settimana dopo cade in un’imboscata: alcuni rami messi di traverso sulla strada che deve percorrere lo costringono a scendere dall’automobile, permettendo così l’assalto di un gruppo di compaesani armati di pietre e bastoni. Rincorso e malmenato senza pietà, ustionato con acqua bollente e finito a colpi di pietra, prega ad alta voce fino all’ultimo respiro. Il suo martirio appare subito chiaro, il processo per la beatificazione avviene in tempi rapidi e tre sono i messaggi che oggi il nuovo Beato, “capolavoro dello Spirito Santo”, lascia a tutti noi. Ascoltiamo il cardinale Angelo Amato:

“Anzitutto ci invita a essere testimoni autentici di Cristo e della sua parola di vita. Come egli ha testimoniato con il sangue la sua fede, anche noi siamo chiamati a farlo con la quotidiana e sacrificata fedeltà alla pratica dei comandamenti di Dio e soprattutto al suo precetto di amore e di perdono in famiglia, in comunità, nella società. In secondo luogo il Beato Benedict Daswa ci incoraggia ad essere evangelizzatori e missionari di Cristo. In terzo luogo Benedict è un padre di famiglia che amava la vita accogliendola, curandola e proteggendola come un prezioso dono di Dio. È questo un messaggio che il nostro Beato rivolge con urgenza a tutte le famiglie cristiane del mondo: accogliere la vita con generosità e riconoscenza verso Dio, creatore di ogni vita sulla terra. La Chiesa, famiglia di Dio, ama la vita, protegge la famiglia, educa i suoi figli a diventare buoni cristiani e onesti cittadini”.

Impuniti e perdonati, gli assassini di Bedict ancora oggi chiedono ed ottengono aiuto dai figli del Beato, che dicono: “Così avrebbe fatto nostro padre”. Ancora il cardinale Amato:

“Onorando il Beato Benedict, la Chiesa invita i cattolici a nutrire solo sentimenti di carità, di fraternità, di concordia, di solidarietà al di là delle differenze etniche, sociali e religiose. La Chiesa cattolica esalta i suoi Martiri e i suoi Santi perché essi sono messaggeri di pace e di bontà. Le loro vite sono medicine efficaci per risanare i cuori dalle ferite dell'odio, della divisione, del disprezzo del prossimo”.

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La profezia di Giovanni Paolo II a Cuba

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Prima tappa di Papa Francesco nel suo nuovo viaggio pastorale nel Continente americano è Cuba: il Pontefice resterà nell’isola caraibica dal 19 al 22 settembre, poi partirà alla volta degli Stati Uniti. Cuba  riceve il terzo Successore di Pietro in 17 anni: nel gennaio 1998 si svolse la storica visita di Giovanni Paolo II, seguita nel 2012 da quella di Benedetto XVI. Ripercorriamo il viaggio di Papa Wojtyla in questo servizio di Sergio Centofanti

Cuba possa aprirsi al mondo e il mondo a Cuba!
Un viaggio storico (21-25 gennaio 1998), caratterizzato dagli incontri con Fidel Castro e con una popolazione cubana entusiasta, che ha inaugurato una nuova stagione nei rapporti tra Stato e Chiesa nell’isola caraibica.  Papa Wojtyla viene come “pellegrino della verità e della speranza”. Nella cerimonia di benvenuto (21 gennaio) lancia l’appello, profetico, che resterà emblematico di questa visita: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba”. Il Papa arriva “con il desiderio di dare un nuovo impulso all'opera evangelizzatrice che, anche in mezzo alle difficoltà, questa Chiesa locale prosegue con vitalità”. Nel suo primo discorso annuncia apertamente “la verità su Gesù Cristo, il quale ci ha rivelato la verità sull'uomo … e la sua inviolabile dignità”. E ribadisce la sua esortazione: “Non abbiate paura di aprire il vostro cuore a Cristo, lasciate che Egli entri nella vostra vita, nelle vostre famiglie, nella società, affinché in questo modo tutto venga rinnovato”. Esprime l’auspicio che la Chiesa possa “disporre dello spazio necessario” per la sua missione che a Cuba svolge “con un numero insufficiente di sacerdoti e in circostanze difficili”. Ringrazia i “tanti credenti cubani per la loro fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Papa”. Quindi prega affinché “questa terra possa offrire a tutti un clima di libertà, di fiducia reciproca, di giustizia sociale e di pace duratura”.

Nessuna ideologia è più forte di Gesù
A Santa Clara (22 gennaio) Giovanni Paolo II ribadisce la necessità che siano garantiti i diritti umani fondamentali, la libertà di associazione, il diritto dei genitori ad essere “i primi e principali educatori dei propri figli”. L’autorità pubblica non può “sostituirsi ai genitori”. Quindi denuncia la mentalità antinatalista, l’aborto, “crimine abominevole”, la separazione forzata delle famiglie dovuta all’emigrazione e alla disoccupazione. “La via per sconfiggere questi mali non è altro che Gesù Cristo” – afferma – “Nessuna ideologia può sostituire la sua infinita sapienza e il suo potere”.

Cristiani coraggiosi nella verità e audaci nella libertà
Nella Messa a Camaguey (23 gennaio) parla del relativismo morale e del materialismo sfrenato: “I cristiani – dice - per rispettare i valori fondamentali che caratterizzano una vita pura, a volte devono subire, anche in maniera eroica, l'emarginazione o la persecuzione”. Quindi lancia un appello a credenti e non credenti ad “essere virtuosi … coraggiosi nella verità, audaci nella libertà … generosi nell’amore”. E invita le autorità a educare i giovani “nella libertà, affinché possa avere un futuro di autentico sviluppo umano integrale”.

La voce della Chiesa sembrava soffocata
Nel Messaggio ai giovani cubani esorta a tornare “alle radici cubane e cristiane” per “costruire un futuro sempre più degno e sempre più libero”, mentre negli ultimi decenni la voce della Chiesa “sembrava soffocata”. “C’è un’urgente necessità di sacerdoti”, nota. Dice no all’embargo Usa che colpisce i più poveri e invita i cristiani ad “una presenza attiva e audace in tutti gli ambienti della società”.

Padre Varela, padre spirutuale della patria cubana
Il discorso all’Università dell’Avana (23 gennaio) è dedicato al padre spirituale della patria, il sacerdote e patriota Felix Varela, promotore, nel 1800, dell’indipendenza cubana. Giovanni Paolo II ricorda che propugnava la democrazia, la libertà e una società permeata dai valori cristiani.

Libertà è riconoscere diritti umani e giustizia sociale
Nella Messa a Santiago di Cuba (24 gennaio) afferma che la libertà “include il riconoscimento dei diritti umani e la giustizia sociale”. Ribadisce che i cattolici hanno “il diritto di partecipare al dibattito pubblico con uguali opportunità”. La Chiesa è chiamata ad assumere “posizioni coraggiose e profetiche di fronte alla corruzione del potere politico ed economico”.

Persone in carcere per idee pacifiche, la loro coscienza non li condanna
Incontrando i malati a San Lazaro all’Avana (24 gennaio) parla della sofferenza di coloro che “vivono segregati, i perseguitati, i detenuti per crimini diversi o per motivi di coscienza, per le loro idee pacifiche, ma non condivise”. Questi ultimi subiscono ”una pena alla quale la loro coscienza non li condanna”.

La storica Messa nella “Plaza de la Revolución” all’Avana
Il 25 gennaio il Papa celebra la Messa nella storica “Plaza de la Revolución” all’Avana annunciando “la buona notizia della speranza in Dio”: “non si tratta – afferma - né di un'ideologia né di un sistema economico o politico nuovo, bensì di un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche”. “I sistemi ideologici ed economici succedutisi negli ultimi secoli hanno spesso enfatizzato lo scontro”;  alcuni “di questi sistemi hanno preteso anche di ridurre la religione alla sfera meramente individuale, spogliandola di ogni influsso o rilevanza sociale” mentre “è bene ricordare che uno Stato moderno non può fare dell'ateismo o della religione uno dei propri ordinamenti politici. Lo Stato, lontano da ogni fanatismo o secolarismo estremo”, deve fare in modo che ogni persona e ogni confessione religiosa viva “liberamente la propria fede, esprimerla negli ambiti della vita pubblica”. Il Papa denuncia quel “neoliberalismo capitalista che subordina la persona umana e condiziona lo sviluppo dei popoli alle forze cieche del mercato, gravando dai propri centri di potere sui popoli meno favoriti con pesi insopportabili” e imponendo “alle Nazioni, come condizione per ricevere nuovi aiuti, programmi economici insostenibili”: così “i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. La Chiesa “propone al mondo una giustizia nuova”, unita alla libertà e alla responsabilità. Parla del cammino di liberazione dell’uomo: “la liberazione non si riduce agli aspetti sociali e politici, ma raggiunge la sua pienezza nell'esercizio della libertà di coscienza, base e fondamento degli altri diritti umani”. Grandi gli applausi della folla a queste parole di Giovanni Paolo II che prosegue: “Per molti dei sistemi politici ed economici” la sfida più grande è “rappresentata dal coniugare libertà e giustizia sociale, libertà e solidarietà, senza che nessuna di esse venga relegata ad un livello inferiore”. In tal senso, la Dottrina sociale della Chiesa cerca di “conciliare i rapporti tra i diritti inalienabili di ogni uomo e le esigenze sociali”.  “Cuba – ha detto - possiede un'anima cristiana” ed è “chiamata a vincere l'isolamento, deve aprirsi al mondo e il mondo deve avvicinarsi a Cuba ... È giunta l'ora di intraprendere i nuovi cammini che i tempi di rinnovamento in cui viviamo esigono”. Ma occorre “costruire ponti per avvicinare le menti e i cuori”.

Chiesa cubana fedele nonostante le difficoltà
Nel discorso ai vescovi cubani (25 gennaio) Papa Wojtyla esprime la sua gratitudine a questa Chiesa “rimasta fedele nonostante le non poche difficoltà”: “la croce è stata feconda in questa terra”. Ribadisce il diritto alla libertà religiosa, auspica che i cattolici possano partecipare alla vita pubblica come gli altri cittadini, anche con una presenza nei mass media. “Voi, cari vescovi di Cuba – dice –avete predicato la verità sull’uomo”.

La Chiesa illumina le coscienze
Parlando al clero nella Cattedrale dell’Avana (25 gennaio), invita a non perdere la speranza per il “numero ridotto di sacerdoti” e “di fronte alla mancanza di mezzi materiali”; esorta a continuare a “illuminare le coscienze”, auspica “che in un futuro non lontano la Chiesa possa assumere il proprio ruolo nell’insegnamento”.

Inaccettabili embargo Usa e limitazioni delle libertà fondamentali
Infine, nella cerimonia di congedo (25 gennaio), ribadisce che Cuba non può essere isolata e definisce “ingiuste e inaccettabili” le misure restrittive imposte dall’embargo Usa. Ma denuncia anche “le limitazioni delle libertà fondamentali, la spersonalizzazione e lo scoraggiamento degli individui”. L’appello conclusivo è al cambiamento: “Tutti possono e devono compiere passi concreti per un cambiamento” per il bene di tutti, specialmente dei più poveri e dei più deboli.

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Oggi in Primo Piano



Migranti: arrivi record in Germania e Ungheria. Domani il piano Ue

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Non accenna a placarsi il flusso di migranti lungo la cosiddetta rotta balcanica. Arrivi record si registrano nelle ultime 24 ore in Ungheria e Germania. Mentre è tensione tra Budapest e Vienna, dopo le critiche del cancelliere austriaco che ha evocato le 'deportazioni naziste' parlando della politica ungherese verso i migranti. Il servizio di Marco Guerra: 

La giornata di ieri ha visto il picco degli arrivi di migranti in Ungheria, con oltre 4 mila persone che hanno attraversato il confine dalla Serbia; e in Germania, dove 12 mila profughi hanno raggiunto Monaco di Baviera. Le autorità tedesche stimano che si raggiungeranno i 40 mila ingressi per la fine del weekend, il doppio rispetto lo scorso fine settimana. Intanto nel capoluogo bavarese la situazione in fatto di accoglienza comincia a farsi critica. Le autorità locali hanno fatto appello agli altri laender ad accogliere più migranti. E mentre si continuano ad allestire nuovi posti nei centri di accoglienza ungheresi, il ministro degli Esteri magiaro ha convocato l'ambasciatore austriaco per protestare contro le dichiarazioni del cancelliere, Werner Faymann, il quale ha censurato le politiche di Budapest sui migranti, alludendo alle 'deportazioni naziste'. Ma il vero scontro politico si rischia domani al consiglio dei 28 ministri degli Affari interni dei Paesi Ue, che discuteranno del meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo. Il piano messo a punto dal presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, prevede le quote obbligatorie. Ma su questo punto resta la ferma contrarietà di Repubblica Ceca, Slovacchia, Danimarca e della stessa Ungheria.

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La Catalogna torna a chiedere l’indipendenza dalla Spagna

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In Spagna la Catalogna torna ad invocare la secessione in vista delle elezioni regionali del prossimo 27 settembre. Ad aprire la campagna elettorale, una massiccia manifestazione di piazza che si è svolta nei giorni scorsi a Barcellona. A Madrid sempre netta la chiusura del Partito Popolare del premier Mariano Rajoy. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Alfonso Botti, docente di Storia Contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia e condirettore della rivista Spagna Contemporanea: 

R. – La questione catalana ha rimesso in gioco il Partito Popolare: se dovessero vincere gli indipendentisti, il Partito popolare ne trarrebbe vantaggio, perché questo è il partito che rappresenta l’unità territoriale della Spagna, quindi verrebbe premiato. Se gli indipendentisti catalani non dovessero ottenere il successo che si aspettano, i meriti li incasserebbe Rajoy perché, con la sua opposizione alla secessione, ha frenato la spinta indipendentista. Quindi la situazione catalana pesa molto anche nel quadro politico spagnolo complessivo.

D. – Quindi cosa ci dovremmo aspettare in questa campagna elettorale?

R. – Nella campagna catalana mi sembra che gli elementi siano già chiari. C’è uno schieramento di forze abbastanza eterogeneo, perché mette insieme “Convergencia Democrática de Cataluña” – cioè il partito del presidente della “Generalidad”, Artur Mas, un partito social-democratico, moderato – con i repubblicani de “Izquierda Democrática de Cataluña”, che è un partito storico indipendentista da quando è nato, quindi dagli anni ’30. Però è difficile che i due assieme ottengano la maggioranza dei deputati - certamente non otterranno la maggioranza degli elettori - e quindi dovranno appoggiarsi su un nuovo movimento, il Cup, che è un movimento antagonista di estrema sinistra e nazionalista. Quindi, è una situazione certamente molto complessa: però, mi sembra di capire che Artur Mas, qualunque sia la soluzione, voglia giocare e puntare sulla rottura con Madrid.

D. – Comunque, c’è da dire che la questione secessionista è molto delicata anche a livello europeo…

R. – È certamente delicata a livello europeo perché se la Catalogna dovesse diventare uno Stato indipendente – e non è una cosa semplice anche dal punto di vista giuridico-formale – poi avrebbe bisogno del consenso dei Paesi dell’Unione per essere riammessa. E la Spagna certamente porrebbe il proprio veto. Però non credo che sia una linea opportuna quella di usare, come sta facendo il Partito popolare, lo spauracchio dell’Europa. Ci sono altri strumenti, altre leve politiche di mediazione, di negoziato, che Rajoy non ha percorso e non ha utilizzato.

D. – E quali sono questi strumenti?

R. – Che gli indipendentisti in Catalogna siano il 49 o il 51%, questa rappresenta una realtà che non si può evitare di considerare come presente, come forte. Quindi, una forza politica responsabile è una forza politica che legge la realtà e introduce e vede quali sono le risposte più adeguate. Il punto è che di tutto questo, nel caso spagnolo degli ultimi anni, non si è assolutamente mai parlato! E invece i problemi sono: in primo luogo, l’individuazione del quorum con cui un referendum secessionista possa funzionare; in secondo luogo, la maggioranza con cui si produce una secessione – e qui il riferimento è la Corte costituzionale del Québec che ha fissato una maggioranza alta. Se noi pensiamo che una riforma costituzionale nei parlamenti europei si fa con una maggioranza di 2/3, possiamo pensare che una secessione - la creazione di un nuovo Stato - si faccia con il 51% dei voti? Io credo che questo non abbia senso né fondamento. Un’altra questione è: ogni quanti anni si fa il referendum? Adesso mettiamo che vincano gli indipendentisti portando a termine la secessione: chi non è d’accordo con quest’ultima, non avrà il diritto di chiedere un referendum per rientrare nello Stato spagnolo? E ogni quanto lo facciamo? Questi sono i termini politici della questione, che invece non sono mai entrati in gioco nel dibattito pubblico spagnolo di questi anni e di questi mesi.

D. – Quindi, secondo lei, la questione è mal posta?

R. – Il Partito Popolare sta affrontando questa questione – il problema catalano – con uno scontro frontale, a muso duro. Mentre i socialisti, pur essendo in crisi, per lo meno stavano proponendo una riforma costituzionale; “Podemos” propone un processo costituente: di ripensare l’organizzazione territoriale dello Stato in chiave federale. Queste sono tutte mosse che possono aprire un dibattito portando ad un negoziato e ad una mediazione.

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Congresso mondiale foreste: stop ad uso agricolo e per allevamento dei boschi

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Si è svolto in questi giorni a Durban in Sudafrica, il XIV Congresso mondiale sulle foreste, organizzato dalla Fao, per la prima volta in un Paese africano. Presenti ai  lavori migliaia gli esperti e delegati governativi e di organizzazioni ambientaliste per dibattere sulla tutela delle foreste, tema di fondamentale importanza per i riflessi sul clima, la sicurezza alimentare e l’economia globale. Roberta Gisotti ha intervistato Eduardo Mansur, direttore del Dipartimento Foreste della Fao. 

R. - Siamo 7 miliardi di persone, oggi, nel mondo e saremo 9 miliardi nel 2050. L’area boschiva in tutto il mondo rappresenta più o meno un terzo dell’area terrestre del pianeta. Ma si riduce ogni anno: negli ultimi 25 anni abbiamo perso un’area forestale più o meno della dimensione di questo Paese, nel quale siamo noi adesso in Sudafrica, pari a 129 milioni di ettari. La principale causa della deforestazione è la conversione della terra boschiva agli usi agricoli e per allevamento del bestiame.

D. - Quindi il problema non è tanto il taglio degli alberi per utilizzare il legname?

R. - Esattamente! L’utilizzazione del legno, l’utilizzazione dei prodotti forestali se non avviene in maniera sostenibile provoca il degrado del bosco e la distruzione della ricchezza del bosco. Ma la vera causa della deforestazione è la conversione dell’uso della terra in altri usi, soprattutto l’agricoltura e l’allevamento.

D. - Il Rapporto della Fao evidenzia che la foresta naturale è in calo mentre aumenta la foresta piantata e la foresta di proprietà privata. Ci sono rischi di speculazione?

R. - Il 93% delle foreste mondiali sono foreste naturali e un 7% delle foreste mondiali sono foreste piantate. E’ importante avere tutte e due queste realtà: la gestione sostenibile del bosco naturale e la produzione del bosco piantato, che siano un fatto positivo per la società, per l’ambiente e per l’economia.

D. - La Fao raccomanda una gestione forestale sostenibile: cosa vuol dire, in pratica?

R. - Significa che la gestione forestale deve avvenire osservando principi sociali, ambientali ed economici che permettano che le foreste esistano per le generazioni di oggi e per le generazioni future. Quindi, la sostenibilità non vuol dire solo avere un risultato economico, non vuol dire solo l’approvvigionamento di legname per l’industria e per le necessità umane; vuol dire soprattutto che la sostenibilità si trova quando le necessità umane, l’impatto sociale della produzione e la conservazione dell’ambiente vanno mano nella mano e tutti e tre sono in equilibrio.

D. - Per la prima volta il Congresso si è tenuto in Africa, dove si registrano le maggiori perdite di foreste. L’Unione Africana ha portato proposte per meglio tutelare il proprio patrimonio forestale?

R. – Sì, è vero che il bosco africano si riduce a una tassa molto grande, di 2 milioni e 800 mila ettari all’anno. Questo avviene soprattutto per la causa che ho menzionato prima, e cioè la conversione della terra ad uso agricolo e per l’allevamento. Si deve soprattutto intensificare la produzione agricola nelle aree che già sono a produzione agricola, e promuovere la gestione sostenibile del bosco esistente. L’Unione Africana è stata presente in questo Congresso con la presidente, signora Dlamini-Zuma e anche con diversi ministri dei Paesi africani. Avere il Congresso in Africa è un’opportunità per offrire una seria analisi del problema alle autorità africane, che sono qui presenti a Durban: sono loro i responsabili per le soluzioni africane.

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Dalla Terra Santa, appello alla pace e all'accoglienza in Europa

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Nella Domus Galilaeae vicino Cafarnao, proseguono i lavori dell’Assemblea del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, riunito da venerdì. Due i temi al centro dell’attenzione: la situazione nelle diverse Chiese europee ed il contatto con la realtà della Terra Santa. E dalla Terra Santa arriva un appello per la pace in Europa e una esperienza concreta di accoglienza dei migranti. Il servizio del nostro inviato Fabrizio Mastrofini

A Nazareth sabato sera i presidenti delle Conferenze episcopali europee hanno incontrato le famiglie, nello scenario suggestivo e solenne della Basilica dell’Annunciazione. Alcune centinaia di fedeli ed i vescovi hanno partecipato poi ad una veglia di preghiera. Si è pregato per la famiglia in vista del prossimo Sinodo, seguendo le indicazioni di Papa Francesco nel messaggio indirizzato a inizio lavori al cardinale ungherese Peter Erdö, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Il porporato da parte sua ha rivolto un invito preciso: “Vi chiediamo di continuare questa preghiera quotidiana per il Sinodo. Vi saremmo immensamente grati se, ogni giorno, almeno una famiglia di Nazareth venisse qui al Santuario a pregare insieme per il Papa ed i vescovi riuniti a Roma in ottobre”. Al termine della veglia è stata presentata l’icona di Maria di Nazareth, Madre dell’Europa, incisa per l’occasione e segno del legame tra la Chiesa europea e le sue stesse radici che si trovano in Terra Santa.

Proprio la situazione di questa parte del mondo, dove Gesù è nato, ha predicato, è morto, e da dove il cristianesimo si è diffuso, è stata al centro dell’omelia della Messa di stamattina, in rito maronita, presieduta da mons. Youssef Soueif, arcivescovo maronita di Cipro e presidente della Caritas locale. Mons. Soueif ha rivolto un appello alla pace vera, alla pace interiore, alla pace basata sullo spirito del Vangelo, nella logica del Buon Samaritano che si prende cura delle ferite.

Dal Medio Oriente, attraverso i nostri microfoni, arriva un appello per la pace in Europa, da parte di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Lviv dei greco-cattolici:

R. – Dopo avere ascoltato le relazioni ai lavori, dopo avere anche avuto la possibilità di presentare un piccolo filmato sulla guerra in Ucraina, vorrei cogliere questa possibilità di lanciare un appello di pace e di riconciliazione, proprio dalla Terra Santa, accanto al Lago di Galilea dove Gesù ha chiamato i suoi discepoli. Anche ascoltando la relazione dell’arcivescovo metropolita di Mosca, mons. Paolo Pezzi, crediamo che l’appello di pace e di riconciliazione, che è il cuore del messaggio di Cristo, è quella forza che può sanare le ferite, vincere l’indifferenza e costruire la pace. Noi, russi e ucraini, cattolici e ortodossi bizantini, abbiamo lo stesso fondamento spirituale che adesso è vitale per noi. Ricordiamo due fratelli martiri, Boris e Gleb, due principi: mentre tornavano dalla battaglia per difendere la loro patria dall’avanzata dei popoli nomadi dall’Oriente, hanno rifiutato di usare le armi contro i loro fratelli. Proprio quest’anno ricordiamo il millenario del loro martirio: sia la Chiesa ortodossa russa sia la Chiesa greco-cattolica ucraina, sia il popolo ucraino sia quello russo. Allora, nel nome di Dio, ricordando la nostra comune tradizione di non violenza, vorrei fare questo appello alla riconciliazione.

Dall’Assemblea arriva anche un messaggio per il dramma dei profughi e migranti. Con una esperienza concreta di accoglienza, come quella che da alcuni mesi sta portando avanti mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo:

“Ho accolto due giovani rifugiati dell’Eritrea che sono copti ortodossi; quando rientro a casa li trovo lì: qualche volta hanno voglia di parlare, vogliono farmi assaggiare il cibo che hanno preparato. Dunque, il problema dei rifugiati, della loro integrazione, io lo vivo ogni giorno. Non posso ‘rifugiarmi’ nei miei pensieri, ma devo essere attento a quello che si fa in questo mondo”.

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Mostra del Cinema di Venezia: la giuria premia "Desde allá"

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Si è chiusa ieri sera la Mostra del Cinema di Venezia con la premiazione ufficiale e la consegna dei Leoni. Verdetto inaspettato da parte della giuria, che premia il cinema del Sudamerica con l'opera prima "Desde allá" di Vigas e "El clan" di Trapero, dimenticando così alcuni importanti autori e i loro film, sicuramente i migliori del Concorso. Da Venezia, Luca Pellegrini

Un presidente di giuria messicano, Alfonso Cuarón, insieme alla sua giuria molto autoriale di cui cinque sono registi, decide di premiare con il Leone d'Argento l'argentino Pablo Trapero e con il Leone d'Oro il venezuelano Lorenzo Vigas. Estremamente facile interpretare queste scelte con il riconoscimento da parte della Mostra veneziana di un cinema sudamericano in fase di rapida visibilità internazionale. E questo non può che far bene alla cultura e alla società di quei Paesi, molti ancora immersi in estreme difficoltà politiche e tensioni sociali. Anche se i film in questione certamente non ne rilasciano un'immagine rassicurante: "El clan" segue, con uno stile semplicemente corretto, le quotidiane imprese criminali e di sangue di una famiglia argentina negli ultimi anni della dittatura militare; "Desde allá" (Da lontano) immerge, invece, lo spettatore, nella violenza e nel degrado dei sobborghi attuali di Caracas, dove un anziano omosessuale adesca ragazzini sbandati.

Così si sono dimenticati, per scelta voluta della Giuria, film splendidi, importanti, che avrebbero dovuto essere sostenuti anziché riposti nel cassetto delle cronache: pensiamo a Sokurov, Gitai, Giannoli, Skolimowski e, imperdonabile, il cinese Zhao Liang. Unici in un Concorso a senso alternato.

Condivisibile e applaudita la scelta delle migliori interpretazioni: quella femminile a Valeria Golino, attrice di gran carisma interprete assoluta del film di Giuseppe Guadino "Per amor vostro", e quella maschile al francese Fabrice Luchini, giudice sospeso tra legge e una delicata storia d'amore passata nel bellissimo "L'hermine" di Christian Vincent. Senza dimenticare il ghanese Abraham Attah, appena tredicenne, bambino soldato in "Bestie senza patria", cui è andato il premio per il miglior attore emergente. Di tutti gli altri riconoscimenti, in diversa misura, si può sorvolare.

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Sagra musicale umbra: un concerto per un Mediterraneo senza muri

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Non muri, barriere o resistenze tra culture e tradizioni del Mediterraneo, ma una fratellanza possibile. Questo il messaggio che ha lasciato il concerto di ieri sera a Perugia dal titolo ”Voci sacre, tre fedi, un solo Dio”. L’appuntamento rientra nella 70.ma Sagra musicale umbra, rassegna che prosegue fino al 30 settembre sul tema dei Salmi. Il servizio della nostra inviata a Perugia, Gabriella Ceraso

Il contesto scelto per il pubblico è quello emblematico della chiesa di S. Bevignate a Perugia, stratificazione di storia e tradizioni d’Oriente e d’Occidente. E’ qui che tre voci femminili cantano in arabo, latino ed ebraico le melodie delle religioni monoteiste. Il Cantico dei Cantici è il filo conduttore della tradizione giudaico sefardita, come la pace lo è nei canti sufi e la figura di Maria prevalente nei brani cristiani affidati al soprano, Patrizia Bovi:

“Non credo che ci sia niente di più giusto che cantare questo Dio unico attraverso l’armonia della musica. Non c’è modo migliore per sentire questa presenza, credo”.

Distinte ma mai troppo lontane sono le voci come le fedi e le tradizioni dell’area mediterranea. Si possono alternare, come nel concerto, e unirsi in una compresenza che è sempre arricchimento, anche se l’attualità ci vuol far credere il contrario. Fadia Tomb el Hage, libanese, è interprete della tradizione islamica:

“Le problème n’a jamais été un problème de religion dans notre région. …
Il problema, dice, non è mai stato di religione nella nostra regione. In Siria, Libano, Giordania la mescolanza di fedi e tradizioni è naturale; sono piuttosto gli interessi politici legati a petrolio, gas e armi a causare le guerre, utilizzando la scusa della religione”.

E’ così che il concerto diventa un messaggio di rispetto reciproco e di lode a Dio: “che si chiami Allah o Adonai”, ripete Françoise Altan, interprete della tradizione ebraica, “è sempre un Dio dell’amore e del bene”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Milano: dal cardinale Scola il metropolita ortodosso russo Hilarion

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L’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, riceverà domattina il metropolita Hilarion Alfeev, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca. Con l’incontro privato, inizierà la giornata milanese del metropolita: una visita ufficiale che fa seguito al viaggio in Italia effettuato nel giugno scorso dallo stesso Hilarion. “Positivi e costruttivi” i rapporti tra la Chiesa ortodossa russa e Milano, nelle parole del metropolita. Nel pomeriggio Hilarion sarà all’Expo, al padiglione della Russia, e inaugurerà la mostra fotografica: “La missione della Chiesa ortodossa russa nel mondo moderno”, dedicata al compito della Chiesa in una società pluralistica e secolare. A seguire, terrà una lectio accademica alla Biblioteca Ambrosiana. Nell’occasione saranno presentanti anche i cinque volumi della prima traduzione bilingue latino-russa dell'opera omnia di Sant'Ambrogio, promossa dall'Università umanistica ortodossa San Tichon di Mosca e dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana. In serata, il concerto del Coro sinodale del Patriarcato di Mosca nella Basilica di Sant’Ambrogio, presentato dall’abate, mons. Erminio De Scalzi. (G.A.)

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Una riflessione sulla pastorale per bambini e donne “di strada”

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L’impegno nella lotta al fenomeno di bambini e donne “di strada” è al centro del simposio internazionale sulla pastorale della strada promosso e organizzato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, da oggi al 17 settembre all’istituto “Maria Bambina” di Roma. Un incontro che mira a studiare strategie efficaci per combattere la piaga, puntando ad affrettare i tempi di intervento sia da parte della Chiesa, sia dalle istituzioni civili. I partecipanti si confrontano sull’attualità dei problemi che riguardano donne e bambini di strada e, in modo particolare, le loro famiglie e proporranno piani d’azione mirati alla pastorale di quella che è una delle sfide più impegnative e drammatiche del nostro secolo. Ad aprire i lavori, il saluto del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, con una riflessione sul ruolo della Chiesa nei confronti di chi è costretto, per molteplici motivi, a vivere in strada. (G.A.)

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Nigeria: terzo Congresso missionario sulle attività pastorali

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“Insieme in missione… la Chiesa va avanti”. Sarà questo il tema del terzo Congresso missionario della Nigeria (Namicon 3), in programma ad Abuja dal 1° al 4 ottobre. L’evento è organizzato dalle Pontificie Opere Missionarie nigeriane insieme al Dipartimento missione e dialogo della Conferenza episcopale della Nigeria. All’evento sono attesi vescovi, sacerdoti religiosi, ma anche fedeli laici.

Rilanciare la missione evangelizzatrice della Chiesa in Nigeria
L’obiettivo dell’incontro - ha spiegato alla Catholic News Services of Nigeria, padre George Ajana, direttore delle Pom nigeriane - è di fare il punto sulle attività pastorali della Chiesa nel Paese per potere rilanciare la sua missione evangelizzatrice. In particolare si discuterà dei progressi compiuti nell’attuazione delle decisioni adottate nei due precedenti Congressi.

Il primo Congresso missionario nel 2007 ad Onitcha
​Il primo si è svolto nel 2007 ad Onitcha sul tema  “Mi sarete testimoni (At 1,8)”. Tra le raccomandazioni scaturite da quell’incontro: la promozione di un maggiore coinvolgimento dei laici nell’animazione missionaria e a, questo fine, la messa a punto di adeguate strutture di formazione e aggiornamento, con una particolare attenzione ai giovani; l’aggiornamento dei catechisti per rendere più incisiva la loro opera “in un contesto missionario in continua evoluzione”; un rinnovato impegno della Chiesa nigeriana nella missione universale; la promozione delle vocazioni missionarie nei seminari e, in generale, di una più sistematica opera di sensibilizzazione sulla centralità della missione in tutti gli ambiti ecclesiali. Il documento finale sottolineava, inoltre, la necessità di promuovere una più stretta collaborazione e un più ampio coordinamento in questo ambito tra vescovi, sacerdoti, congregazioni religiose e laici. (L.Z)

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Vescovi Filippine: indagini su uccisione esponenti indigeni

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Un'indagine “onesta, completa, imparziale e veloce” affinché i colpevoli siano “chiamati a rispondere delle loro azioni”: è quanto chiede al governo di Manila l’arcivescovo Socrates Villegas, presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp). Il presule chiede chiarezza sull’uccisione di alcuni esponenti della popolazione indigena locale “Lumad”, avvenuta nei giorni scorsi per mano di miliziani armati, nella regione del Suriago del Sud.

Associazione miliziani-governo può danneggiare il Paese
Ribadendo la volontà di dare voce “a chi non ha voce” e di parlare in difesa delle vittime e delle loro famiglie, mons. Villegas sottolinea le numerose difficoltà che vivono i popoli indigeni, “i poveri del Signore”, “emarginati e meno abbienti” ed afferma che ucciderli impunemente “non è legittimo e non è la volontà di Dio”. Quindi, il presule punta il dito contro i miliziani armati, che spesso “il governo utilizza per operazioni anti-sommossa”: “La loro associazione con il governo - spiega il presidente della Cbcp - può essere dannosa perché essi agiscono con il tacito consenso delle autorità statali, ma non possono essere chiamati a rispondere delle loro azioni”.

Occorre indagine affidabile ed imparziale
In particolare mons. Villegas punta il dito contro quei “leader nazionali che si sono affrettati a scagionare i miliziani” coinvolti nelle uccisioni di Suriago. “Questo allarmante desiderio di negare la loro colpevolezza non depone in favore della verità e della giustizia”, perché parlare “prima che si svolga un’indagine affidabile, portata avanti da persone competenti ed imparziali”, significa rivelare “il preoccupante rifiuto” di richiamare alle proprie responsabilità coloro che sono protetti dalle autorità.  “Se i gruppi di miliziani non possono essere inseriti in una struttura gestita legittimamente dallo Stato - continua mons. Villegas - allora non dovrebbero essere utilizzati come mercenari da parte del governo”.

Appello a seguire la via della pace
Di qui, la richiesta avanzata dalla Chiesa filippina “a tutti coloro che hanno prove dirette dei fatti” di “contribuire alla giusta risoluzione di questo tragico avvenimento per gli indigeni”. Infine, il presule esorta le popolazioni indigene a “mantenere la fede nella via della pace ed a rispettare la legge, pur nella giusta rivendicazione dei loro diritti”. (I.P.)

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Libia: Leon annuncia accordo tra Tobruk-Tripoli

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I governi rivali libici di Tobruk e Tripoli hanno raggiunto un "consenso" sui principali punti di un accordo politico. Lo ha annunciato l'inviato dell'Onu, Bernardino Leon, a Skhirat in Marocco dove le due parti si sono incontrate e sarebbero riuscite a "superare le loro differenze" sui temi principali. Il testo dell’intesa, ha aggiunto Leon, dovrebbe essere pronto per la firma entro il 20 settembre. Per quella data, secondo il calendario dettato dall’Onu, tutte le forze, i partiti, le rappresentanze parlamentari e congressuali dovrebbero dare vita al governo di pacificazione nazionale e indicare un programma di ripresa economica della Libia, che rilanci l'industria dell'estrazione del petrolio e del metano. (M.G.)

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Siria: due aerei militari russi con aiuti umanitari

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Continua a far discutere, nella comunità internazionale, il supporto della Russia alle forze armate governative siriane. Due aerei cargo militari russi hanno trasportato in Siria ottanta tonnellate di aiuti umanitari e attrezzature per allestire un campo tendato per più di mille persone. Lo ha reso noto il portavoce del ministero della Difesa russo, generale Igor Konashekov, precisando che gli aiuti umanitari comprendono tutto il materiale per il campo: materassi, cisterne per l'acqua, stufe e cibo. L'opposizione siriana ha criticato Mosca per la sua presenza militare in Siria, confermata dal ministro degli Esteri russo Seghiei Lavrov che, nei giorni scorsi, ha detto di aver inviato armi e soldati per addestrare gli uomini dell'esercito del presidente Bashar al Assad.

E sul fronte diplomatico si registra l’appello delle cancelliera tedesca Angela Merkel rivolto agli altri principali governi europei affinché si lavori, insieme a Russia e Stati Uniti, ad una soluzione della crisi siriana. Intanto, sul terreno proseguono i raid dalla coalizione internazionale guidata dagli Usa: almeno 32 persone sono rimaste uccise e altre quindici ferite a causa dei bombardamenti nella provincia di Raqqa. (M.G.)

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Gerusalemme: scontri alla Spianata delle Moschee

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Nuove tensioni a Gerusalemme, dove palestinesi e polizia israeliana si sono scontrati sulla Spianata delle Moschee a poche ore dall'inizio delle celebrazioni del capodanno ebraico. Diverse le persone rimaste ferite. Secondo alcuni testimoni, gli agenti dello Stato ebraico hanno fatto irruzione nella moschea Al Aqsa, il terzo luogo più sacro dell'islam. Un portavoce della polizia riferisce invece che le forze dell’ordine si sono limitate a chiudere l'ingresso della moschea dopo essere stati bersagliati con sassi e petardi da giovani palestinesi a volto coperto barricatisi all'interno con l'obiettivo di disturbare l'arrivo di visitatori ebrei sulla Spianata, domenica sera. Il presidente del'Anp, Abu Mazen, ha condannato quello che ha definito come “l'attacco” della polizia israeliana contro i palestinesi alla moschea di Al Aqsa.

Intanto Israele ha rafforzato le misure di sicurezza a Gerusalemme e limiterà fino a giovedì i transiti al valico con la Striscia di Gaza in coincidenza con l'inizio questa sera di ‘Rosh Hashana', il Capodanno ebraico, che dura fino a martedì notte. La scorsa settimana il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, aveva messo al bando il movimento Al Mourabitoun che si oppone alla presenza di visitatori ebrei sulla Spianata delle Moschee o Monte del Tempio, luogo sacro sia per l'islam sia per l'ebraismo. (M.G.)

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Gran Bretagna: Labour a sinistra, Corbyn è il nuovo leader

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Netta svolta a sinistra per il partito laburista inglese. Jeremy Corbyn, 66 anni, deputato di vecchia scuola socialista, è da ieri il nuovo leader dei “Labuor”.  La conferenza del partito tenutasi a Westminster lo ha proclamato eletto al primo turno, dopo lo spoglio dei voti di mezzo milione fra iscritti e simpatizzanti, con quasi il 60% delle preferenze. Corbyn, con la sua linea anti-austerity, ha letteralmente sbaragliato la concorrenza per la successione a Ed Miliband, al di là dei più rosei sondaggi delle ultime settimane. 

In un discorso tenuto subito dopo l'elezione, Corbyn ha ribadito i punti cardini del suo programma in favore di tematiche come ambiente, pace, welfare, parità uomo-donna e immigrazione, quindi ha rivendicato il legame “organico” con i sindacati. Una manifestazione in favore dei rifugiati sarà, infatti, uno dei primi atti annunciati dal nuovo leader dei laburisti. Intanto la vittoria di Corbyn è stata salutata positivamente da tutte le sinistre radicali europee, allargando un fronte che vede tra i principali protagonisti Podemos in Spagna e Syriza in Grecia. Sul fronte interno, i conservatori britannici liquidano già Corbyn come “una seria minaccia alla sicurezza nazionale”, mentre il populista Nigel Farage (Ukip) evoca il fantasma delle "frontiere aperte all'immigrazione". (M.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 256

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.