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Sommario del 08/09/2015
- Motu Proprio del Papa. Favorire la celerità dei processi non la nullità
- Francesco: Dio cammina con tutti noi, santi e peccatori
- Comastri: impegnati in Vaticano per accogliere famiglie profughi
- Francesco riceve nunzio in Argentina
- Nomina episcopale di Papa Francesco in Canada
- Riapre il Dispensario S. Marta: con il Papa per i bambini
- Rifugiati. Europarlamento chiede sforzo di solidarietà
- Francia e Gran Bretagna pronti ad attaccare l’Is in Siria
- Guatemala: il ruolo negoziale della Chiesa nelle contestazioni
- Congresso foreste: in 25 anni scomparsa area come Sudafrica
- Clima: Meeting internazionale a Roma, 10-11 settembre
- Giornata Alfabetizzazione. Opam: educazione fondamentale per la pace
- Impagliazzo: gesti solidali cambiano percezione su immigrati
- Scola, lettera ai fedeli ambrosiani: maturiamo in Cristo
- Venezia. L'omicidio di Rabin 20 anni dopo nel film di Amos Gitai
- Siria. Mons. Hindo: speranze per la liberazione degli ostaggi assiri
- Centrafrica: mons. Nzapalainga chiede di fermare le violenze
- Coree: accordo per riprendere le riunificazioni familiari
- Nuova Zelanda: cattolici e anglicani per aumento quote di rifugiati
- Messico-Usa: incontro dei vescovi su espulsioni dei migranti
- Myanmar: al via la campagna elettorale
- Ccee: per la prima volta Assemblea plenaria in Terra Santa
- Terra Santa: vescovi francesi condannano il Muro di Cremisan
Motu Proprio del Papa. Favorire la celerità dei processi non la nullità
Favorire “non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi”. E’ questo l’architrave delle due lettere Motu Proprio datae di Papa Francesco, dal titolo "Mitis Iudex Dominus Iesus" e "Mitis et misericors Iesus", rese note oggi, sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Le norme entreranno in vigore l'8 dicembre, inizio del Giubileo straordianrio della misericordia. Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Nel solco dei Predecessori e del Sinodo
E’ la preoccupazione della salvezza delle anime - scrive il Papa - che ha spinto il Successore di Pietro “a offrire ai vescovi questo documento di riforma” sulle cause di nullità del matrimonio. Francesco, nel solco dei suoi Predecessori e continuando nell’opera avviata prima del Sinodo straordinario sulla Famiglia dell’anno scorso, con la creazione di una Commissione di studio in materia, ribadisce che il matrimmonio è “cardine e origine della famiglia cristiana” e che scopo del documento non è favorire la “nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi”.
La cura delle anime
Questo anche per “l’enorme numero di fedeli – scrive il Papa – che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale”. Quindi, “processi più rapidi e accessibili” come chiesto anche nel recente Sinodo sulla famglia, precisa Francesco, per evitare che “il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio”.
Centralità del Vescovo - Una sola sentenza
Le cause di nullità restano “trattate per via giudiziale, e non amministrativa” per “tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo”. Per la celerità, si passa a una sola sentenza in favore della nullità esecutiva, quindi non più una doppia decisione conforme. Tra le cause di nullità anche la "mancanza di fede che può generare la simultazione del consenso o l'errore che determina la volonta'". Il vescovo diocesano è giudice nella sua Chiesa particolare, il quale deve costituire un tribunale, da qui la necessità che sia “nelle grandi come nelle piccole diocesi”, il vescovo non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale.
Processo "Breve" oltre al "Documentale"
In aggiunta al processo documentale attualmente vigente, si affianca anche un processo più breve “nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti”. Per tutelare il principio dell’indissolubilità del matrimonio, a fronte del rito abbreviato, sarà giudice lo stesso vescovo, che è “garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina”.
La sede metropolitana
Viene ripristinato l’appello alla sede metropolitana quale “segno distintivo della sinodalità nella Chiesa”. Francesco si rivolge anche alle Conferenze episcopali, che “devono essere soprattutto spinte dall’ansia apostolica di raggiungere i fedeli dispersi” e devono rispettare “il diritto dei vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolare”.
La gratuità del procedimento e Rota Romana
Viene ribadita la gratuità delle procedure “perché – scrive il Papa – la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime, manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”. Rimane l’appello al Tribunale della Sede Apostolica, ovvero la Rota Romana, "nel rispetto di un antichissimo principio giuridico, così che venga rafforzato il vincolo fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari".
Presentazione in Sala Stampa Vaticana
In Sala Stampa Vaticana, durante la presentazione dei due documenti giuridici, è stata ripresa e sottolineata la sfida della brevità a fronte di cause che oggi durano anche dieci anni. Precisato anche che la riforma non sarà retroattiva e che entrerà in vigore l’8 dicembre prossimo. Mons. Pio Vito Pinto, decano della Rota Romana e presidente della Commissione speciale per la Riforma del processo matrimoniale canonico, ha ulteriormente rimarcato la centralità del ruolo del vescovo:
R. – Il Papa investe i vescovi di fiducia. Nessun Papa ha celebrato due Sinodi a distanza di un anno: la riforma si incentra sul vescovo diocesano e chiede un’apertura onesta, non solo come anima ma anche come mente e cuore alla massa dei poveri. Quando il Papa ripete che la Chiesa deve aprirsi ai poveri che sono nelle periferie ha inteso e intende parlare anche, come voi sapete bene, della massa dei divorziati che sono una categoria di poveri.
Il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e membro della Commissione speciale, ha sottolineato l’ambito operativo del Motu proprio:
R. – Si tratta, di un processo che conduce alla dichiarazione della nullità, che conduce, in altre parole, in primo luogo a vedere se un matrimonio è nullo e poi, in caso positivo, a dichiararne la nullità. Non si tratta, perciò, di un processo che conduca all’annullamento del matrimonio. I motivi che determinano la nullità del matrimonio sono molteplici. Notiamo bene che si tratta di constatare, non di inventare l’eventuale esistenza di qualche motivo di nullità. Il processo di nullità del matrimonio è in altre parole un processo “pro rei veritate”.
Da canto suo, mons. Dimitrios Salachas, esarca apostolico di Atene per i cattolici greci di rito bizantino e membro della Commissione speciale, spiegando l’importanza della collegialità sinodale nel supportare il vescovo, ha desiderato sottolineare, l'attesa e la bellezza dei due Motu Proprio che “mostrano” come la Chiesa respiri con due polmoni, perché “la legislazione latina e la legislazione orientale hanno pari dignità”: “Un’unica fede – ha osservato – ma diverse discipline”.
Francesco: Dio cammina con tutti noi, santi e peccatori
Dio riconcilia e pacifica nel piccolo, camminando con il suo popolo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ha preso spunto dall’odierna memoria della nascita della Madonna per sottolineare che tutti noi siamo chiamati ad essere umili e vicini al prossimo come ci insegnano le Beatitudini e il capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Come riconcilia Dio”, “qual è lo stile di riconciliazione di Dio”? Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia, muovendo da questo interrogativo nel giorno in cui si ricorda la nascita della Madonna. Il compito di Gesù, ha detto, è stato proprio “riconciliare e pacificare”. Ma, ha avvertito, Dio per riconciliare non fa “una grande assemblea”, non firma “un documento”. Dio, ha affermato, “pacifica con una modalità speciale. Riconcilia e pacifica nel piccolo e nel cammino”.
Dio riconcilia nelle piccole cose, camminando con il popolo
Francesco ha così fatto riferimento alla prima Lettura, tratta dal Libro del profeta Michèa, dove si parla della piccola Betlemme che sarà grande perché da quel “piccolo viene la pace”. Sempre, ha ribadito, il Signore sceglie “le cose piccole, le cose umili per fare le grandi opere. E anche ci consiglia di farci piccoli come bambini per poter entrare nel Regno dei Cieli”. Dio, ha evidenziato, “riconcilia e pacifica nel piccolo”:
“Ma, anche nel cammino: camminando. Il Signore non ha voluto pacificare e riconciliare con la bacchetta magica: oggi – pum! – tutto fatto! No. Si è messo a camminare con il suo popolo e quando abbiamo sentito questo passo del Vangelo di Matteo: ma, è un po’ noioso no? Questo generò questo, questo generò questo, questo generò questo … E’ un elenco: ma è il cammino di Dio! Il cammino di Dio fra gli uomini, buoni e cattivi, perché in questo elenco ci sono santi e ci sono criminali peccatori, anche. C’è tanto peccato, qui. Ma Dio non si spaventa: cammina. Cammina con il suo popolo”.
E in questo cammino, ha soggiunto, “fa crescere la speranza del suo popolo, la speranza nel Messia”. Il nostro, ha detto riprendendo un passo del Deuteronomio, è un “Dio vicino”. Cammina con il suo popolo. E, ha annotato, “questo camminare con buoni e cattivi ci dà il nostro stile di vita”.
Dio sogna cose belle per il suo popolo, per ognuno di noi
Come dunque, da cristiani, dobbiamo camminare per pacificare come ha fatto Gesù si chiede il Papa? Mettendo in pratica il protocollo dell’amore per il prossimo, è la sua risposta, il capitolo 25 del Vangelo di Matteo:
“Il popolo sognava la liberazione. Il popolo d’Israele aveva questo sogno perché gli era stato promesso, di essere liberato, di essere pacificato e riconciliato. Giuseppe sogna: il sogno di Giuseppe è un po’ come il riassunto del sogno di tutta questa storia di cammino di Dio con il suo popolo. Ma non solo Giuseppe ha dei sogni: Dio sogna. Il nostro Padre Dio ha dei sogni, e sogna cose belle per il suo popolo, per ognuno di noi, perché è Padre e essendo Padre pensa e sogna il meglio per i suoi figli”.
Nel piccolo c’è tutto, la pace di Dio e la sua riconciliazione
Dio è onnipotente e grande, ha detto Francesco, ma ci “insegna a fare la grande opera della pacificazione e della riconciliazione nel piccolo, nel cammino, nel non perdere la speranza con quella capacità di sognare dei grandi sogni, dei grandi orizzonti”. Oggi, ha sottolineato, nella commemorazione di una tappa determinante della storia della Salvezza, la nascita della Madonna, chiediamo la grazia dell’unità, della riconciliazione e della pace”:
“Ma sempre in cammino, in vicinanza con gli altri, come ci insegnano le Beatitudini e Matteo 25, e anche con grandi sogni. E continuiamo la celebrazione, adesso, del memoriale del Signore nel ‘piccolo’: un piccolo pezzo di pane, un po’ di vino … nel ‘piccolo’. Ma in questo piccolo c’è tutto. C’è il sogno di Dio, c’è il suo amore, c’è la sua pace, c’è la sua riconciliazione, c’è Gesù: Lui è tutto quello”.
Comastri: impegnati in Vaticano per accogliere famiglie profughi
Papa Francesco ha rilanciato in un tweet dal suo account @Pontifex l'appello levato domenica scorsa all'Angelus: "Che ogni parrocchia e comunità religiosa in Europa – scrive – accolga una famiglia di profughi". Il Vaticano si è subito attivato per dare risposta alle attese di Francesco. Dalle Caritas di Agrigento e Lampedusa arriverà la segnalazione delle due famiglie che il Papa ha disposto siano ospitate in appartamenti vaticani, assistite poi dall’Elemosiniere pontificio, mons. Konrad Krajewski, e dalle parrocchie di San Pietro e di Sant’Anna. Il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del vaticano, ne parla al microfono di Tiziana Campisi:
R. – Innanzitutto vorrei fare una precisazione sullo stupore che ha suscitato un po’ nel mondo l’iniziativa del Papa. La Chiesa cattolica da sempre è la casa della carità perché noi siamo guidati e stimolati da un comandamento ben preciso: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi”. E quel “come”, che è amare come ha amato Gesù, crea dentro di noi una tensione che non ha limiti. E’ chiaro che il Papa sente tutto questo. E di fronte al dramma dei migranti che sta diventando qualcosa di impressionante ha sentito il bisogno di intervenire e di coinvolgere tutte le comunità cattoliche dell’Europa, tutte le parrocchie dell’Europa, per dare un bel segno del volto della Chiesa cattolica. Ecco l’iniziativa! Essendo la parrocchia di Sant’Anna, la parrocchia di San Pietro, le parrocchie del Papa perché sono le parrocchie del Vaticano, noi ci sentiamo coinvolti in prima persona a rispondere e vogliamo essere i primi in questo. Per cui ci siamo subito attivati. Il Papa vuole due appartamenti vicino al Vaticano in modo che possano ospitare queste due famiglie, possiamo dire, anche all’ombra della paternità del Papa. E vuole anche che per l’assistenza sanitaria non gravino sull’Italia, ma possano beneficiare dell’assistenza sanitaria che hanno i dipendenti del Vaticano. Anche questo mi sembra un gesto di grande delicatezza, di grande attenzione e anche di grande rispetto per l’Italia. Evidentemente ci vorrà qualche giorno per individuare gli appartamenti per le due famiglie che possono avere la composizione di circa 5 persone e si stanno cercando anche queste famiglie tramite la Caritas di Agrigento e di Lampedusa, si vogliono accogliere due famiglie, possiamo dire, da poco arrivate e quindi che hanno un maggiore disagio in modo da far sentire subito un’accoglienza paterna del Papa.
D. – In che modo le parrocchie del Vaticano potranno offrire la loro assistenza?
R. – Quando le famiglie si saranno insediate le parrocchie si attiveranno per andare incontro per tante piccole esigenze materiali che si presentano ad una famiglia. E allo stesso tempo l’Elemosiniere pontificio ha il compito di provvedere e di organizzare tutto questo d’accordo con me, con il vicario del Santo Padre e d’accordo con i due parroci.
D. – Come è stato accolto l’appello del Papa in Vaticano?
R. – Mi sembra molto bene. Ci ha colto di sorpresa ma siamo abituati alle sorprese di Papa Francesco. Nessuno sapeva di questa iniziativa però immediatamente la risposta è stata entusiasta, anzi ognuno di noi è felice di poter dare questa piccola goccia di carità in un mare di bisogni, in un mare di necessità, che non potremmo noi esaurire con questa piccola goccia. Però Madre Teresa diceva: “L’oceano è fatto di gocce, anche una goccia ha la sua importanza”, ed è vero.
D. – Di fronte a questa tragedia che coinvolge migliaia di persone cosa può fare ogni singolo cristiano?
R. – Io direi che ognuno di noi deve guardarsi attorno e riscoprire lo sguardo benevolo verso i fratelli. Noi stiamo vivendo in una società molto egoista che si sta chiudendo in se stessa. Madre Teresa di Calcutta nell’ultimo periodo della sua vita diceva: “L’Occidente è colpito dalla più terribile povertà, la povertà di amore. La gente non sa più amare”. E aggiungeva Madre Teresa: “Scoppiano le guerre perché la gente non sa più amare”, e anche i popoli non sanno più amarsi. C’è violenza nelle strade perché anche le famiglie non sanno più amarsi e diceva: “Si spaccano le famiglie non perché finisce l’amore ma perché la gente non sa amare e l’amore non c’è mai stato”. Ecco, allora, riscoprire la bellezza di aprirsi agli altri, riscoprire la bellezza di fare del bene, perché del resto è facendo del bene agli altri che si è felici. Da quello che io sono venuto a sapere nelle varie conferenze nazionali europee già ci si sta attivando per dare un volto di concretezza all’appello del Papa. Certo, ci vorrà almeno qualche giorno ancora, ma so che da tutte le parti ci si sta attivando con entusiasmo per andare incontro, per rispondere concretamente all’appello che è uscito dal cuore del Papa, potremmo dire, come un’ispirazione e come un’esigenza, un’esigenza di amore che vuole essere concreto per essere vero.
Francesco riceve nunzio in Argentina
Francesco riceve questo pomeriggio in Udienza a Santa Marta mons. Emil Paul Tscherrig, arcivescovo tit. di Voli, nunzio apostolico in Argentina.
Nomina episcopale di Papa Francesco in Canada
In Canada, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Joliette presentata da mons. Gilles Lussier, per sopraggiunti limiti d’età. Il Santo Padre ha nominato vescovo di Joliette, mons. Raymond Poisson, finora vescovo titolare di Gegi ed Ausiliare di Saint-Jérôme.
Riapre il Dispensario S. Marta: con il Papa per i bambini
Riapre domani, mercoledì 9 settembre, dopo la pausa estiva, il Dispensario pediatrico Santa Marta, un’isola di carità nel cuore del Vaticano. La struttura, nata per volontà di Pio XI, che opera da oltre 90 anni sotto la guida delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli assiste circa 500 bambini, senza distinzione di razza o religione. Oltre 50 i volontari (medici e non) che ogni giorno si alternano nell’aiutare le suore vincenziane che, ispirate dal loro fondatore, “non passano accanto a nessuno con il volto indifferente, il cuore chiuso o il passo affrettato”.
Nei prossimi giorni sarà attiva tutta una serie di nuovi servizi a sostegno della maternità, dalle vaccinazioni ai corsi sull’alimentazione. L’iniziativa che, significativamente, è stata denominata “C’è una culla per te” trova spazio in dei nuovi locali, messi a disposizione del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e inaugurati lo scorso maggio. Il 14 dicembre 2013, Papa Francesco ha visitato il Dispensario che si trova a pochi passi da Casa Santa Marta e, successivamente, ha ricevuto in Aula Paolo VI le famiglie dei bambini assistiti assieme a quelle dei volontari. Anche il Papa emerito Benedetto XVI aveva visitato il Dispensario nel dicembre del 2005. (A cura di Alessandro Gisotti)
Rifugiati. Europarlamento chiede sforzo di solidarietà
Ancora tensione in Ungheria, dove il flusso di migranti non accenna a diminuire. Nuovi scontri si sono registrati al confine con la Serbia. Alcuni treni sono ripartiti dall'Ungheria verso l'Austria ma sono molti i migranti che continuano a muoversi a piedi. Dopo l'apertura delle frontiere, la cancelliera tedesca Merkel dichiara: dobbiamo integrarli. Intanto, al Parlamento europeo si discute il dossier immigrazione chiedendo insistentemente ai governi un'azione comune. Il servizio della nostra inviata a Strasburgo, Fausta Speranza:
L'Ue chiederà a Germania, Francia e Spagna di accogliere più di 70 mila rifugiati. E' più della metà dei 120 mila rifugiati da ricollocare in base al nuovo piano che il presidente della Commissione Ue, Juncker, sta per presentare. Forse nell'atteso incontro del 14 settembre. Poi c’è l'offerta della Gran Bretagna che si impegna ad aprire le porte a 20 mila profughi siriani in cinque anni. Esentati per il momento Italia, Grecia e Ungheria, visto che hanno già abbondantemente superato le quote fissate. Al momento, non si può dire che l'Europa non abbia affrontato la questione e non abbia messo in campo scelte di solidarietà, ma dall'Europarlamento, che rappresenta direttamente i cittadini, si leva un appello e una protesta: l'appello è per un'azione davvero congiunta e non affidata alla disponibilità dei singoli Stati. La protesta è perché Tusk, presidente del Consiglio, l'organismo che riunisce i capi di Stato e di governo, non ha ancora risposto all'invito dell'assemblea parlamentare. Domani all'Europarlamento parlerà Juncker capo della Commissione, ma Tusk invece non ha risposto. Il punto è che l'Europarlamento vuole votare misure di emergenza ma anche a lungo termine e vuole che siano tutti i Paesi ad assumersi responsabilità, mentre per il momento alcuni Paesi dell'Est hanno "remato contro" o hanno rifiutato le possibili quote di ripartizione. Un'audizione del presidente del Consiglio Tusk all'Europarlamento sarebbe, dunque, il primo passo per "inchiodare" i capi di Stato e di governo a scelte condivise e durature. Ascoltiamo l'europarlamentare Lorenzo Cesa del Ppe:
“Assolutamente si, non è più tempo di far chiacchiere. È arrivato il momento della concretezza. Il discorso delle quote è giusto anche se è brutto dirlo; è giusto che ogni Paese si faccia carico con la massima solidarietà di un fenomeno epocale al quale non avevamo mai assistito; un fenomeno prevedibile perché quando ci sono due milioni di persone nei campi profughi, quando ce ne sono altri due in Libano, è chiaro che poi si riversano su altre parti del mondo nel quale possono vivere. È il momento della solidarietà di tutti i Paesi: nessuno deve tirarsi indietro. Ognuno faccia il proprio dovere.”
Perché la prospettiva che gli altri governi dell'Unione seguano l'esempio della Cancelliera tedesca non sia solo un auspicio ma un impegno istituzionale. E perché passata l’emotività del momento, non ci si possa dimenticare di nuovo del conflitto in Siria o di altre situazioni esplosive in Medio Oriente.
Francia e Gran Bretagna pronti ad attaccare l’Is in Siria
L’attenzione internazionale resta puntata sulla Siria. L’Iran propone il dialogo con tutte le potenze mondiali e regionali per una soluzione all’insegna della stabilità e della sicurezza nel Paese. Gran Bretagna e Francia, invece, preparano attacchi militari contro le postazioni del sedicente Stato Islamico in territorio siriano. Di questa opzione Eugenio Bonanata ha parlato con Alberto Negri esperto dell'area per "Il Sole 24 ore":
R. – I raid europei in Siria – dove gli Usa, tra l’altro, non vogliono mettere piede, ma solo controbilanciare le forze in campo - sono una tempesta di sabbia sollevata per smascherare un’altra storia sbagliata dell’Occidente. Qual è la storia sbagliata? Gli Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno avallato sin dal 2011 la guerra per procura in Siria, condotta dagli jihadisti e dai loro sponsor turchi ed arabi contro Assad e gli alleati di Assad, in primo luogo l’Iran e gli Hezbollah libanesi. Ora gli europei intervengono per coprire il loro fallimento: la fine stessa della Siria, la consegna del Paese agli jihadisti e la sua spartizione in zone di influenza. L’Is non è distante ormai da Damasco, ma l’aviazione americana in queste settimane non ha fatto nulla per contenerlo! Il Pentagono ci ha fatto vedere la cattura di Palmira, mostrandoci l’immagine della distruzione nella città antica, ma non sono mai intervenuti! Se il regime di Assad crolla, le ondate dei profughi – soprattutto quelle delle minoranze siriane – diventeranno, secondo me, immani.
D. – La Russia è contraria all’uscita di scena di Assad: cosa comporta questo?
R. – La Russia non è contraria – come del resto l’Iran – all’uscita di scena di Assad. Potrebbe anche esaminare questa opportunità. Mi trovavo qualche settimana fa a Teheran, dove il viceministro Bogdanov ha incontrato il ministro siriano Mohallen …. Si può discutere l’uscita di scena di Assad, ma quello che non accettano, né Mosca né Teheran, è un’uscita di scena che porti al crollo totale del regime del Paese.
D. – E qual è il ruolo dell’Iran?
R. – Il ruolo dell’Iran è evidentemente molto importante, perché gli iraniani hanno sempre sostenuto con aiuti militari, economici e anche con uomini in campo il regime di Assad. Ma assai più importante è stato quello che hanno concesso di fare gli occidentali, ben sapendolo che si stava facendo: di fare cioè affluire migliaia di jihadisti dalla Turchia, di far sostenere ai sauditi e alle monarchie del Golfo tutti i peggiori salafiti e i gruppi radicali più estremisti. Ebbene, oggi per liberare la Siria da questo incubo non serviranno purtroppo questi raid aerei.
D. – Cosa ci possiamo aspettare in prospettiva?
R. – In prospettiva ci possiamo aspettare che ci sarà una resistenza ovviamente del regime siriano, soprattutto nelle zone più strettamente sotto controllo, come Damasco, la fascia costiera di Latakya, dove qualcuno dice che già sono sbarcati i russi… Ma dobbiamo aspettarci anche una offensiva e non soltanto dell’Is, ma anche degli altri gruppi jihadisti che sono in campo, come Jabhat al-nuṣra, affiliato ad al-Qaeda, e come altri gruppi salafiti che sono sostenuti dalle monarchie del Golfo: tutti questi cercheranno di prendere posizione per arrivare, appunto, ad una spartizione del Paese. E questo purtroppo lo abbiamo purtroppo già visto, anche se in maniera diversa: è avvenuto anche in Iraq ed ha portato all’ingrossamento dei profughi e all’esodo di milioni di persone. Questo in Siria sta già avvenendo ed avverrà in misura ancora maggiore nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Guatemala: il ruolo negoziale della Chiesa nelle contestazioni
Il Guatemala vive i giorni che lo separano dal secondo turno delle presidenziali, dopo che domenica scorsa le urne – col 98,3% dei voti scrutinati – hanno assegnato a Jimmy Morales la vittoria parziale. Sandra Torres, moglie dell'ex presidente guatemalteco Alvaro Colom, che conta un vantaggio minimo sul terzo candidato, Manuel Baldizon (19,70% contro 19,59%), si è detta convinta di essere lei la sfidante di Morales e di venire eletta come “prossima presidente”. In questo scenario, dopo le dure contestazioni dei mesi scorsi, emerge sempre più netto il ruolo “terzo” giocato dalla Chiesa. Lo conferma Jorge Paiz Prem, mediatore della Chiesa con il governo guatemalteco, intervistato da Patrica Ynestroza:
R. – La Iglesia catolica ha jugado un papel importante...
La Chiesa cattolica ha giocato un ruolo importante. Quello che abbiamo cercare di fare, con questo incontro, è stato ricercare quei punti di convergenza e di incontro che potessero essere a vantaggio di tutti. Questo è stato permesso dalla Chiesa, che ha cercato di facilitarlo molto. I vescovi hanno ascoltato le due diverse opinioni, quelle delle comunità e quelle dei titolari del progetto che sono riusciti così a comprendersi. Questo lavoro è stato possibile perché la comunicazione è stata diretta e fatta con i veri interlocutori e non con quegli pseudo-interlocutori che hanno cercato di distruggere la rappresentazione di questo popolo. Il problema che si aveva era che si stava parlando con le comunità e le comunità non si stavano facendo ascoltare. Grazie alla partecipazione attiva e alla buona volontà della Chiesa, abbiamo raggiunto questa comunicazione. Credo che ciò abbia aiutato molto al raggiungimento di questo equilibrio, perché si è vista l’oggettività, l’obiettività che ha avuto sempre dalla Chiesa.
D. – Dopo il ballottaggio del 25 ottobre, che succederà, per esempio, con la Commissione internazionale contro l’impunità creata dall’Onu?
R. – Es difícil poder decir ahorita lo que va passar...
E’ difficile poter dire ora quello che succederà. Però, io credo che questo tipo di dialoghi e di partecipazione sarà essere tenuto in conto, perché quello che è stato fatto è cercare le soluzioni alla conflittualità che abbiamo avuto in Guatemala. Credo che con una maggior facilità potrà esserci un governo, perché la Commissione – attraverso il dialogo e i vescovi – è stata molto, molto positiva. E questo perché non ha alcun interesse politico o economico e quello che i vescovi, nei loro dipartimenti, cercano è di trovare il beneficio dei più bisognosi. La Chiesa cattolica è quella che aiuta a raggiungere questi canali di comunicazione e questo grazie al prestigio e al rispetto che si dà alla Chiesa cattolica in Guatemala e nelle comunità, specialmente all’interno della Repubblica.
Congresso foreste: in 25 anni scomparsa area come Sudafrica
“Foreste e persone: investire in un futuro sostenibile”. Ne discutono da ieri migliaia di esperti e delegati governativi di Paesi di tutti continenti, convenuti nella città di Durban nel Sudafrica, dove si è aperto il XIV Congresso mondiale sulle foreste, in programma fino a venerdì. Sta rallentando il ritmo della deforestazione ma dobbiamo fare di più: è il monito del direttore generale della Fao, Graziano da Silva, che ha inaugurato i lavori lanciando il Rapporto globale sulle risorse forestali. Il servizio di Roberta Gisotti:
In soli 25 anni sono scomparsi 129 milioni di ettari di foresta, come dire quasi l’intero Sudafrica. In compenso il ritmo di deforestazione è rallentato, dal 1990 al 2015 di oltre il 50 per cento. Le foreste coprono oggi il 30,6% del territorio mondiale, pari 3.999 milioni di ettari. A lamentare maggiori perdite sono l’Africa e il Sudamerica, con 2,8 e 2 milioni di ettari persi negli ultimi 5 anni. Il rapporto della Fao, che copre 234 Paesi e territori, evidenzia l’importanza fondamentale delle foreste per l’umanità, specie nella lotta alla povertà rurale, garantendo sicurezza alimentare e offrendo mezzi di sostentamento; per la tutela dell’ambiente, anzitutto contrastando la concentrazione di gas serra nell’atmosfera; e per l’economia globale, contribuendo con circa 600 miliardi all’anno al Pil mondiale, fonte lavoro per oltre 50 milioni di persone. La gestione delle foreste è notevolmente migliorata - sottolinea la Fao - grazie alla pianificazione e alla condivisione delle conoscenze, oltre che alle leggi e alle politiche messe in atto dai Paesi. Ma “non riusciremo - ha ammonito il direttore generale della Fao da Silva - a ridurre l’impatto del cambiamento climatico se non salvaguardiamo le nostre foreste e utilizziamo in modo sostenibile le molte risorse che ci offrono”.
Presenti a Durban migliaia di rappresentanti di Paesi e organizzazioni governative e non impegnate nella difesa dell'ambiente. Tra i rappresentanti politici, 20 ministri e viceministri, accolti dal presidente del Sudafrica Jacob Zuma, dal principe Laurent del Belgio, ambasciatore speciale della Fao per le Foreste e l'Ambiente e dal presidente della Commissione dell'Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma.
Clima: Meeting internazionale a Roma, 10-11 settembre
In vista della Conferenza internazionale di Parigi sul clima di dicembre, la Chiesa cattolica si confronta con esperti, mondo politico e aziendale per fare il punto sulla crisi climatica e contribuire alla costruzione di una soluzione condivisa. Questo nel meeting internazionale intitolato "Giustizia ambientale e cambiamenti climatici" in programma a Roma il 10 e l’11 settembre prossimi. A promuoverlo, i Pontifici Consigli Giustizia e Pace e degli Operatori Sanitari, insieme con la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Oggi, la presentazione nella sede della nostra emittente. Il servizio di Gabriella Ceraso:
Giustizia, salute e pace: i cambiamenti climatici influenzano questi tre ambiti e se non si inverte la rotta l’esito sarà drammatico. A pagare sono già ora le popolazioni più povere, in termini di alimentazione, diritti, sopravvivenza. Lo afferma la scienza, lo ribadisce il Papa nell’Enciclica "Laudato si'", che pone le basi del meeting romano. Da ciò, programma e interventi della due giorni che terminerà con l’udienza in Vaticano venerdì 11 settembre. "La prossima Conferenza di Parigi – dice Edo Ronchi, presidente della Fondazione promotrice – sarà la 21.ma, quella decisiva, dopo 20 mancati accordi precedenti mentre la terra continua a riscaldarsi”:
“Non c’è più tempo. Le emissioni continuano a crescere anche se nel 2014 hanno avuto un po’ di stabilizzazione. Bisogna fare un accordo che riporti il mondo nella traiettoria dei due gradi. Adesso, andiamo verso una traiettoria di oltre quattro gradi. Questo convegno serve a fare una riflessione scientifica e tecnica per richiamare l’attenzione dei decisori politici sul fatto che gli impegni assunti alla vigilia di Parigi sono insufficienti, in particolare quelli assunti dai grandi Paesi, grandi emettitori. La Cina non può aspettare il 2030 per ridurre le proprie emissioni, è troppo tardi. Bisogna cominciare prima. C’è uno studio di Stern che documenta che è possibile che questo venga fatto prima con esiti economici non preoccupanti, anzi con vantaggi di questo tipo. Gli Stati Uniti non hanno applicato il protocollo di Kyoto che avrebbe dovuto impegnarli a ridurre del 7%: in quel periodo, cioè ’90-2012, hanno invece aumentato le emissione del 10%, a fronte di un impegno di riduzione pari a 32. Anche questo non basta, perché il loro pro-capite rimane troppo alto. L’Europa ha un impegno che è nella traiettoria, ma potrebbe – come dice l’Agenzia internazionale dell’energia – migliorare i suoi impegni. In buona sostanza, ci vuole uno sforzo in più”.
Si sa cosa e come fare per cambiare rotta sul clima, ma a mancare è soprattutto una "spinta morale per superare egoismi nazionali e settoriali", ripete Ronchi. Spinta che può venire dall’Enciclica del Papa al quale, dice, consegneremo un messaggio a fine lavori:
“Ci aiuta molto l’Enclica 'Laudato si'' che ha un richiamo forte a questo senso di lungo termine della politica e a questa responsabilità verso la natura”.
La "Laudato si'" richiama alla resposnabilità dell’uomo custode e decisore: da qui l’interlocuzione con i due Collegi pontifici, che al Meeting romano portano l’attenzione agli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute e sulla giustizia sociale, specie dei più deboli nel mondo. Padre Augusto Chendi, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari:
“Senz’altro, l’Enciclica del Papa entrerà a piene mani nel meeting in quanto una delle chiavi di lettura, a mio modesto avviso, è proprio questa priorità che il Santo Padre pone all’'humanum', alla dignità della persona umana rispetto alla dimensione puramente funzionalistica o finanziaria, economico-finanziaria. Sappiamo che soltanto operando questa inversione, la dignità della persona umana, ivi compreso il bene fondamentale della salute, verrà salvaguardato ed eventualmente anche promosso. Credo che come Chiesa dobbiamo essere persone profetiche, cioè mettere davanti al volto di questi scienziati la priorità dell’uomo, ricreare quell’ambiente di valori che purtroppo l’economia molte volte ha disatteso, offuscato del tutto o in gran parte".
Giornata Alfabetizzazione. Opam: educazione fondamentale per la pace
Si celebra oggi la Giornata Mondiale dell’Alfabetizzazione, dedicata quest’anno al tema “Alfabetizzazione e società sostenibili”. La ricorrenza è un’opportunità per discutere delle nuove sfide da affrontare alla luce del “Quadro d’azione dell’Istruzione 2030”, dibattuto nel maggio scorso al Forum mondiale sull’Educazione. Di particolare importanza sul fronte dell’alfabetizzazione è l’impegno dell’Opera di promozione dell’alfabetizzazione nel mondo (Opam), fondata da mons. Carlo Muratore. Al microfono di Maria Caterina Bombarda, mons. Aldo Martini, presidente dell’Opam, si è soffermato sul tema di questa Giornata:
R. – Non ci può essere una pace duratura dove non c’è giustizia - questo lo stiamo vedendo nei giorni nostri in modo eclatante - e non può esserci giustizia laddove i diritti fondamentali della persona, come il diritto all’istruzione, vengono negati e vengono disattesi. E questo perché il diritto all’istruzione è il padre o la madre di tanti altri diritti.
D. – Qual è oggi il quadro dell’alfabetizzazione?
R. – Nel mondo ci sono ancora almeno 700-800 milioni di analfabeti!
D. – I dati raccolti dall’Istituto di Statistica Unesco mostrano che ancora oggi c’è un alto tasso di analfabetismo femminile…
R. – In molti Paesi i picchi di analfabetismo femminile superano l’85 per cento. Quando abbiamo escluso dall’alfabetizzazione la categoria femminile significa che anche i bambini non andranno a scuola, che anche la vita di questi Paesi del Terzo Mondo non cambierà senza una leadership che si forma sui banchi di scuola.
Sul contributo che attualmente l'Opam dà per sostenere l'impegno di alfabetizzazione nel mondo la riflessione di Anna Maria Errera, vice presiedente dell'organismo, che spiega quale sia l’importanza di microprogetti locali sul territorio:
R. – L’Opam lavora attraverso microprogetti, progetti molto piccoli facilmente gestibili in loco dai responsabili locali. Questo significa creare progetti a misura del villaggio nel quale i progetti si svolgono. Il 99 per cento dei progetti Opam viene realizzato nelle zone rurali. Questa scelta è determinata dal fatto che se vogliamo mantenere e promuovere situazioni di giustizia e di pace è necessario favorire lo sviluppo delle zone rurali per evitare l’urbanizzazione forzata e forti tassi di emigrazione. Quindi cerchiamo di costruire scuole nei villaggi più remoti, lì dove normalmente neanche i grossi organismi internazionali vanno ad operare.
D. – I Paesi sviluppati non sono tuttavia esenti da questo problema, si parla di analfabetismo funzionale…
R. – E’ un problema gravissimo, abbastanza recente e direi progressivamente ingravescente. L’Osce valuta nel nostro Paese un 47 per cento di popolazione con un alfabetismo funzionale. E’ un problema gravissimo perché significa non essere in grado di interpretare in maniera corretta un articolo di giornale ma a volte neanche di leggere e comprendere un orario ferroviario o compilare una domanda di lavoro! Questo ci ripone in una situazione di marginalità sociale.
D. - Quale significato ha per voi il tema di questa giornata?
R. - E’ importante che esista questa giornata perché si dà al problema dell’analfabetismo un valore estremamente scarso: colpisce molto meno un bambino analfabeta che un bambino affamato ma la fame di istruzione non è meno grave della fame di cibo!
Impagliazzo: gesti solidali cambiano percezione su immigrati
Giornata conclusiva a Tirana, in Albania, dell’incontro internazionale tra le religioni organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Tre giorni di tavole rotonde per cercare un dialogo, così come le vie, per realizzare quella pace che, come dice il titolo del Convegno, “è sempre possibile”. Stasera, dopo le preghiere delle varie fedi e dopo la processione, verrà letto l’appello di pace firmato da tutti i leader religiosi presenti al meeting. L’inviata, Francesca Sabatinelli, ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio:
Sono stati tre giorni di incontri e dialogo che hanno permesso alle religioni di uscire dalla propria autoreferenzialità, dai mondi talvolta chiusi e separati in cui vivono, per affrontare le grandi questioni e sfide che la storia di oggi ci pone davanti, prime fra tutte: le guerre e il loro triste e drammatico prodotto, i rifugiati. Marco Impagliazzo, nell’ultimo giorno di appuntamento a Tirana con l’incontro sulla pace, ricorda come lo spirito di Assisi richiami tutte le religioni ad un senso di responsabilità ulteriore:
R. – Lo spirito di Assisi oggi richiama a lavorare di più, con più tenacia, con più audacia e con più coraggio per la pace, per evitare la crisi ambientale e per soccorrere i rifugiati. E’ l’idea di “religioni in uscita”: non più soltanto una Chiesa in uscita, ma “religioni in uscita”.
D. – L’accoglienza è necessaria per affrontare l’emergenza, ma non può essere la risposta alle guerre. Fondamentale, è individuare gli interlocutori giusti per costruire una scelta politica per il Mediterraneo, per Paesi come la Siria…
R. – I nostri interlocutori sono molti, devono essere tanti: sono gli Stati europei ma sono anche i Paesi arabi che poco si sono fatti carico, a mio avviso, della drammaticità della situazione che sta attraversando le loro terre. Ci sono molte divisioni anche al loro interno; poco si è riflettuto anche nel mondo arabo della tragedia che sta avvenendo in Medio Oriente. Dunque noi chiamiamo interlocutori europei, arabi, anche – naturalmente – gli Stati Uniti, la Russia e altri Paesi che hanno interessi nel Mediterraneo. Oggi la pace, secondo me, particolarmente in Siria, è un processo molto lungo che deve iniziare dal congelamento di alcune aree di guerra della Siria perché, come sappiamo, è una guerra pezzi, anche lì, con tantissimi interlocutori e quindi è difficile affrontarli tutti insieme. La nostra idea è quella di congelare parti della guerra della Siria e poi pian piano arrivare a un negoziato di pace.
D. – In un’Italia che si è sempre mostrata divisa sui temi dell’accoglienza, è possibile immaginare che un discorso sulla pace, sulle porte aperte, possa divenire popolare?
R. – Ci vorrà tempo, perché la predicazione dell’odio contro le persone, l’identificazione dei rifugiati con persone pericolose, addirittura terroristi è stata troppo lunga, nel nostro Paese. C’è una grave responsabilità di una parte del mondo politico, ma anche della cultura del nostro Paese, di non aver sviluppato una visione realistica delle questioni, come oggi in altri Paesi europei invece è più evidente. E’ chiaro che il discorso dei rifugiati può essere sempre strumentalizzato a fini politici o – peggio – elettorali. Quello che però a me pare, ed è il vero cambiamento che noi registriamo anche qui, da Tirana, che nell’opinione pubblica un cambiamento è iniziato. Ed è iniziato perché le immagini del bambino curdo, della turista greca che sul motoscafo abbraccia un rifugiato che lei ha salvato in mare, ci fanno capire che il mondo è diverso da come è stato dipinto, e che in realtà l’abbraccio oggi può vincere sullo scontro.
Da Tirana stasera, in chiusura di incontro, si alzerà anche quest’anno l’appello dei rappresentanti di tutte le religioni, un richiamo al mondo intero affinché possa comprendere e accettare che “La pace è sempre possibile”. R. – Lo spirito di Assisi oggi richiama lavorare di più, con più tenacia, con più audacia e con più coraggio per la pace, per evitare la crisi ambientale e per soccorrere i rifugiati. E’ l’idea di “religioni in uscita”: non più soltanto una Chiesa in uscita, ma “religioni in uscita”.
Scola, lettera ai fedeli ambrosiani: maturiamo in Cristo
Educarsi al pensiero di Cristo per tentare di pensare l’esistenza attraverso di lui. E’ l’invito che l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, rivolge ai fedeli ambrosiani per il prossimo biennio. Lo fa con una lettera in cui la maturazione di una mentalità plasmata dall’incontro con Cristo, sull’esempio di Pietro e degli Apostoli, genera una dimensione culturale delle fede. Da Milano, il servizio di Fabio Brenna:
“Se Gesù attraverso la Parola di Dio, il Sacramento, ci dice chi è l’uomo, per il fatto stesso di dirci questo Egli fa cultura: ci dice come deve amare, come deve usare i soldi, come deve rapportarsi a chi è nel bisogno, come deve perdonare chi gli fa ingiustizia… Allora, noi abbiamo costatato che in questo momento di grande cambiamento è un po’ difficile praticare regolarmente questa attitudine o, se vogliamo, sviluppare questa dimensione di vitale esperienza culturale della Fede”.
Non dunque una teoria sui sentimenti di Cristo e nemmeno un pacchetto di principi da applicare alla quotidianità, ma la richiesta di tentare di pensare alle cose secondo la mentalità di Cristo:
“Noi oggi abbiamo enormi problemi. Come possiamo affrontare la nuova antropologia, il nuovo modo di concepire la differenza sessuale, le neuroscienze, l’immigrazione e una serie di problemi? Non abbiamo delle soluzioni in tasca, ma pensando secondo Cristo e attraversando tutti questi problemi con il desiderio di dare delle ragioni valide per tutti a partire dal nostro rapporto con Cristo, possiamo tentare di fare la nostra proposta”.
La Lettera prende spunto dal recente viaggio del cardinale in Libano e nel Kurdistan iracheno per ribadire come i cristiani della parte nordoccidentale del pianeta non possono girare la faccia dall’altra parte sul dramma dei perseguitati nelle terre dove affondano le nostre radici. Il cardinale indica poi gli eventi che segneranno il prossimo anno, da Expo al Convegno ecclesiale di Firenze, passando per il pellegrinaggio ad Assisi delle Chiese di Lombardia del prossimo 3-4 ottobre, l’Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia e ancora l’anno santo della Misericordia. Due le novità per la diocesi: l’annuncio della visita pastorale che nel prossimo biennio porterà l’arcivescovo nei 74 decanati e l’istituzione dei “Dialoghi di vita buona”. Concepiti laicamente insieme ad esponenti di altre religioni e cosmovisioni cercheranno di individuare percorsi comuni per l’edificazione della vita buona nella nostra società plurale.
Venezia. L'omicidio di Rabin 20 anni dopo nel film di Amos Gitai
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia "Rabin, l'ultimo giorno" del regista israeliano Amos Gitai. A vent'anni dall'assassinio del Primo ministro che tentò la pace, il film ricostruisce il clima politico e sociale che portò a quel gesto folle e insensato. Dal nostro inviato a Venezia Luca Pellegrini:
La pace non è soltanto una meta difficile da raggiungere. E' anche un luogo difficilissimo da difendere. E l'omicidio politico è il mezzo più facile, nei Paesi che pur godono di un altissimo grado di maturità civile e dinamica democratica, per compromettere progetti così ricchi di speranza per un rinnovamento degli sguardi di odio, per un cammino di coesistenza. Questo stava accadendo quando il 13 settembre 1993 Yitzhak Rabin e Yasser Arafat compirono a Washington il gesto simbolico di stringersi la mano. Due anni e due mesi dopo, il 4 novembre 1995, la mano del primo ministro israeliano si fermò per sempre, insieme al suo cuore e al processo di pace discusso a Oslo. Al termine di un comizio nella Piazza dei Re d'Israele a Tel Aviv uno studente venticinquenne lo colpì a morte con tre colpi di pistola. E' certo il ventennale di quell'assassinio che ha fatto decidere il famoso regista israeliano, Amos Gitai, a scrivere e dirigere "Rabin, l'ultimo giorno", portandolo in concorso a Venezia, mentre in Israele uscirà proprio nella data della ricorrenza. Ma si capisce anche che il clima generalizzato di sfiducia, i continui avvertimenti bellici, la sospensione di ogni prospettiva compiutamente pacifica e risolutiva della questione arabo-israeliana, ha dettato l'agenda del cineasta facendogli decidere che il mondo non doveva e non deve dimenticare quanto accaduto e quanto è stato perduto con quell'atto insensato.
Fiction e documenti dell'epoca si susseguono per oltre due ore posizionando la morte di Rabin nel contesto politico e sociale che animava in quei mesi Israele, il suo popolo e la sua opinione pubblica. Rabin da circoli conservatori di estrema destra veniva additato come "uno schizofrenico, un megalomane, un traditore". Le immagini delle manifestazioni degli opposti versanti - chi vedeva la vicina fine del conflitto e chi la catastrofe e la resa totale nei confronti della Palestina - insieme a interviste e cinegiornali, si legano in un flusso drammatico alla ricostruzione rigorosa degli interrogatori della commissione d'inchiesta istituita per far luce sull'accaduto, delle riunioni di rabbini che invocano l'eliminazione fisica dell'uomo politico per il bene della nazione.
Si percepisce anche, nella ricostruzione accuratissima, la messa in secondo piano delle teorie del complotto e la marginalità della figura dell'assassino, che pur si dimostra sereno e orgoglioso, perché al centro e al cuore del film si coglie il rimpianto per quando poteva accadere e la forte inquietudine per quando sta, invece, accadendo oggi nella regione più tormentata del pianeta. E che tutti ci riguarda.
Siria. Mons. Hindo: speranze per la liberazione degli ostaggi assiri
I circa 230 cristiani assiri che i jihadisti del Daesh (il sedicente Stato Islamico) hanno preso in ostaggio alla fine di febbraio, quando hanno attaccato i villaggi della valle del fiume Khabur, sono ancora nelle mani dei loro sequestratori. Il luogo della loro detenzione con tutta probabilità si trova ancora nella zona al-Shaddadi, roccaforte del Daesh, a 60 chilometri da Hassakè. Nel frattempo le condizioni poste dai sequestratori allo loro liberazione si sono di molto ridimensionate. Lo riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia di Hassakè-Nisibi.
Per mons. Hindo più accessibili le richieste dei jihadisti
“Nei primi contatti tentati attraverso intermediari - spiega l'arcivescovo siro cattolico - si era parlato di una richiesta esorbitante, pari a 23 milioni di dollari (circa 100mila dollari a ostaggio) per liberare i cristiani prigionieri”. Davanti alle risposte di chi dichiarava l'impossibilità di raccogliere tale cifra esorbitante di denaro, le trattative si erano interrotte. Ma adesso - aggiunge mons. Hindo - chiedono molto, molto meno. Una cifra imparagonabile rispetto a quella richiesta all'inizio.
Difficoltà per far uscire gli ostaggi dal luogo del sequestro
Adesso, il maggior ostacolo alla liberazione dei nostri fratelli assiri non è più il denaro, ma le difficoltà su come organizzare dal punto di vista pratico la fase della liberazione. Per far uscire gli ostaggi dal luogo del loro sequestro e farli tornare ad Hassaké, servirebbero almeno quattro pullman, che dovrebbero comunque fermarsi lontano dalla città, per evitare il pericolo di attentati. In ogni caso, si tratterebbe di un'operazione delicata, che in qualche modo andrebbe concordata anche con le forze dell'esercito siriano e con le milizie curde, per evitare che ci siano intoppi”. (G.V.)
Centrafrica: mons. Nzapalainga chiede di fermare le violenze
“Occorre che le autorità del Paese si assumano le proprie responsabilità per mitigare le sofferenze della popolazione” ha affermato mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, in un’intervista al Réseau des Journalist pour le Droit de l’Homme, ripresa dall'agenzia Fides, commentando le violenze che hanno colpito la città di Bambari negli ultimi giorni.
Mons. Nzapalainga condanna la passività della comunità internazionale
“Anche la comunità internazionale che opera qui deve assumersi le proprie responsabilità, perché la violenza non diventi esponenziale ma sia ridotta il più possibile. A volte si ha invece l’impressione che si è passivi o incapaci” sottolinea l’arcivescovo, riferendosi alla Missione Onu in Centrafrica (Minusca) e a quella francese Sangaris, sotto accusa tra l’altro per il comportamento di alcuni suoi militari che avrebbero commesso violenze sessuali nei confronti di minori centrafricani.
L'arcivescovo di Bangui chiede elezioni per uscire dalla crisi
Le violenze alle quali si riferisce mons. Nzapalainga riguardano diverse aree del Paese, e in particolare la città di Bambari, dove il 20 agosto, negli scontri tra diverse comunità, una ventina di persone hanno perso la vita, mentre altre migliaia sono state costrette alla fuga. La grave insicurezza di diverse aree del Centrafrica e i ritardi nella registrazione degli elettori hanno costretto le autorità di transizione a posticipare il referendum costituzionale, previsto per il 4 ottobre, mentre si discute se anche le elezioni presidenziali e legislative del 18 ottobre verranno posticipate. Su questo punto mons. Nzapalainga afferma: “se coloro che sono incaricati di organizzare le elezioni ci dicono che non è possibile farle, non serve a niente correre per avere in seguito delle frustrazioni e delle ingiustizie”. L’arcivescovo propone invece di “riunirsi per definire un nuovo calendario. Occorre essere realisti, guardando in faccia la realtà, perché possiamo onestamente e in modo ragionevole posticiparle, per avere delle elezioni che ci facciamo uscire dalla crisi” ha concluso. (L.M.)
Coree: accordo per riprendere le riunificazioni familiari
I governi delle due Coree si sono accordati per riprendere le riunificazioni familiari. L’ultima edizione degli incontri si era svolta nel febbraio 2014. La nuova edizione - riporta l'agenzia AsiaNews - si terrà dal 20 al 26 ottobre 2015 in un resort sul monte Kumgang, luogo turistico molto conosciuto nella parte Nord del confine. Ammessi 100 familiari per parte.
A gestire l’evento sarà come sempre la Croce Rossa
I funzionari di entrambe le parti si sono incontrati una settimana fa nel “villaggio della pace” di Panmunjon per mettere a punto i dettagli. Secondo fonti sudcoreane, i rappresentanti di Seoul hanno spinto per ottenere una calendarizzazione fissa delle riunificazioni su base annua. La richiesta “è stata accolta in via preventiva” dai nordcoreani, che comunque “non hanno espresso alcuna opinione” in materia.
Le riunificazioni non sono istituzionali
Le riunificazioni familiari sono iniziate per la prima volta nel 1985. Rappresentano un "gesto di buona volontà" da parte dei governi di Seoul e Pyongyang, che tuttavia non sono mai riusciti a renderle istituzionali. Per partecipare, i cittadini che possono dimostrare di avere un parente ancora in vita dall'altra parte del confine si registrano presso il ministero sudcoreano dell'Unificazione: all'inizio erano 130mila, oggi ne restano in vita poco più di 66mila.
Liste per ordine di anzianità e per grado di parentela
Da questa macro-lista, il governo di Seoul prepara diverse liste per ordine di anzianità e per grado di parentela: la precedenza viene data a chi è più anziano - ma può comunque sopportare i disagi fisici e mentali che queste riunificazioni comportano - e a chi ha parenti prossimi come figli o fratelli e sorelle. Dati questi criteri si arriva a una lista di circa mille nomi, e il ministero affida a un computer nel corso di una lotteria trasmessa in televisione la scelta casuale dei nomi che verranno inclusi nelle riunificazioni. A questi si aggiungono una serie di “riserve”, che subentrano in caso di impreviste marce indietro dell'ultimo momento: chi partecipa viene poi escluso dalle liste. Sconosciuti invece i metodi di selezione applicati da Pyongyang e le statistiche sui familiari della parte Nord.
L'evento si è ripetuto 19 volte ed ha coinvolto 18.800 famiglie
Dallo storico summit inter-coreano del 2000 – che doveva renderle istituzionali – le riunificazioni familiari si sono svolte in 19 edizioni faccia a faccia, più sette in video conferenza. Soltanto 18.800 familiari hanno avuto modo di incontrarsi. (R.P.)
Nuova Zelanda: cattolici e anglicani per aumento quote di rifugiati
La fotografia del corpo esanime del piccolo Aylan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, ha colpito anche le opinioni pubbliche di Paesi molto lontani dall’Europa. E’ il caso della Nuova Zelanda, che negli ultimi giorni ha visto moltiplicare gli appelli di diverse ong per incrementare la quota di rifugiati nel Paese - ferma dal 1987 a 750 persone – per includervi anche i profughi dalla Siria. Un’ipotesi che la coalizione di Governo guidata da Partito nazionale sta valutando, mentre il Partito Laburista e i Verdi hanno presentato oggi un progetto di legge per portare la quota a 1.500.
L’appello congiunto dei leader della Chiesa cattolica e anglicana
A sostegno della proposta sono scese in campo anche le Chiesa cattolica e anglicana. La settimana scorsa, il presidente della Conferenza episcopale neo-zelandese, il card. John Dew, e l’arcivescovo anglicano Philip Richardson hanno scritto al Primo Ministro John Key per sollecitare il Governo a studiare una risposta alla crisi dei rifugiati “che rifletta la generosità del popolo neo-zelandese” e ieri, in una dichiarazione congiunta, i due leader religiosi hanno ribadito “l’urgenza di una risposta collettiva” che coinvolga “le comunità e le Chiese insieme”.
Nessuna nazione civile può ignorare la crisi globale dei rifugiati
“L’escalation globale del numero dei rifugiati è una crisi che nessuna nazione impegnata per i diritti umani può ignorare”, ha dichiarato il card. Dew, osservando che i viaggi via mare dei profughi siriani verso l’Europa sono simili a quelli intrapresi dai migranti ospitati a Nauru, l’isola del Pacifico dove l’Australia mantiene alcuni centri di raccolta per i richiedenti asilo. “Dobbiamo capire i bisogni di tutti i rifugiati: quelli che vediamo adesso in televisione e quelli meno visibili sparsi nei campi in tutto il mondo”, ha aggiunto l’arcivescovo di Wellington ricordando che la Chiesa cattolica in Nuova Zelanda ha una lunga storia di accoglienza e aiuto ai rifugiati. (L.Z)
Messico-Usa: incontro dei vescovi su espulsioni dei migranti
Per affrontare la "situazione dolorosa" che vivono i migranti nel tentativo di attraversare il confine con gli Stati Uniti, vescovi del Messico e degli Stati Uniti si sono incontrati lo scorso fine settimana nella città messicana di Matamoros, Tamaulipas. Attraverso un comunicato pervenuto a Fides, i vescovi messicani informano che in questo incontro binazionale hanno analizzato "le espulsioni di massa e le loro conseguenze per il Messico", i rischi per i migranti nel loro "percorso" verso gli Stati Uniti, oltre ad aver ascoltato le testimonianze di alcuni migranti.
Alla riunione vescovi e istituzioni che operano nel campo dei migranti
I vescovi messicani che hanno partecipato alla riunione erano: mons. Ruy Rendón Leal, vescovo di Matamoros; mons. Alonso Garza Trevino, vescovo di Piedras Negras; mons. José Guadalupe Torres, vescovo di Ciudad Juarez; mons. Guillermo Ortiz Mondragón, vescovo di Cuautitlán, e responsabile della Conferenza episcopale messicana per la mobilità umana. Dagli Stati Uniti hanno partecipato: mons. Gustavo Garcia-Siller, arcivescovo di San Antonio, Texas; mons. Daniel Flores, vescovo di Brownsville; mons. Michael Sis, vescovo di S. Angelo; e mons. Mark Joseph Seitz, vescovo di El Paso. Alla riunione hanno partecipato anche i rappresentanti di alcune istituzioni che lavorano con i migranti, come il Collegio della Frontera Norte, l'Istituto per i Migranti di Tamaulipas e la Casa del Migrante San Juan Diego. (C.E.)
Myanmar: al via la campagna elettorale
Si è aperta oggi, a due mesi dalle elezioni generali dell’8 novembre, la sfida fra Aung San Suu Kyi e il partito emanazione dei generali birmani, attualmente al potere, per la conquista dei seggi in Parlamento. Saranno oltre 30 milioni i cittadini chiamati alle elezioni cui parteciperanno i principali schieramenti politici del Paese, fra cui la Nld che aveva vinto le elezioni del 1990. In lizza vi sono circa 90 fra partiti e movimenti politici di varia natura ed estrazione, un numero impensabile fino a pochi anni fa nella nazione del Sud-est asiatico retta da una ferrea dittatura militare.
Cambiamenti politico-amministrativi in atto
Sebbene il processo di democratizzazione abbia subito un brusco rallentamento negli ultimi mesi, rispetto alle elezioni del 2010, boicottate dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld) - riferisce l'agenzia AsiaNews - l’ex Birmania ha intrapreso un cammino di riforme che ha portato cambiamenti significativi, politico e amministrativo, uno dei quali auspicato in passato dalla stessa Nobel per la pace. Cinque anni fa, quando era ancora agli arresti, Aung San Suu Kyi aveva detto di sperare - un giorno - di poter aprire un account Twitter e parlare con il mondo esterno. Oggi per dare il via ufficiale alla campagna elettorale, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un video messaggio in inglese per rilanciare l’auspicio di elezioni libere e giuste per il Paese.
Il video messaggio d’apertura della campagna
Nel videomessaggio Aung San Suu Kyi sottolinea che il voto dell’8 novembre è un “crocevia” per la storia del Myanmar. “Per la prima volta in decenni - aggiunge - il nostro popolo avrà davvero la possibilità di portare un vero cambiamento. Questa è una chance che non dobbiamo farci sfuggire”. La leader birmana invita la comunità internazionale a vigilare sulle operazioni di voto e assicurarsi che “il nostro popolo senta che la sua volontà viene rispettata” e che essa sia foriera di “un vero cambiamento politico e amministrativo”. Infine, la leader della Nld ha auspicato che il risultato “sia accettato da tutti” e che per questo vi sia un “aiuto concreto” da parte di “tutti” nelle settimane successive al voto.
Una norma vieta la candidatura della San Suu Kyi
Al futuro Parlamento spetterà il compito di eleggere il nuovo Presidente del Myanmar, una carica cui non può aspirare la Nobel per la pace, a causa di una norma contra personam che la esclude dalla corsa. Tuttavia, il principale favorito per la vittoria finale resta il partito di governo Union Solidarity and Development Party (Usdp), emanazione della vecchia giunta, che assieme al 25% dei militari cui è riservato per legge un posto all’Assemblea, controllano la vita politica e istituzionale del Paese. (F.D.F.)
Ccee: per la prima volta Assemblea plenaria in Terra Santa
Su invito del patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, si svolgerà dall’11 al 16 settembre in Terra Santa l’annuale Assemblea plenaria del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), assise cui partecipano i presidenti delle Conferenze episcopali di 45 Paesi del Vecchio continente. È la prima volta nella storia del Ccee che un’assemblea plenaria si svolge in Terra Santa.
Pellegrinaggio alle radici stesse dell’Europa, della cultura europea
Un evento eccezionale, si legge nel comunicato del Ccee diffuso oggi e ripreso dall'agenzia Sir, che vuole essere per i presidenti delle Conferenze episcopali “un pellegrinaggio alle radici stesse dell’Europa, della cultura europea” come conferma mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee. “Da sempre quest’area del mondo è un incrocio di civiltà, pervasa da grande diversità culturale e alle volte di forti tensioni sociali che hanno unito in passato e continuano ancora oggi a legare intrinsecamente l’Europa al Medio Oriente”. Due i temi centrali dell’incontro: la figura di Gesù e la condivisione delle sfide della Chiesa in Europa. A turno, i presidenti riferiranno sulla situazione della propria nazione.
Gli incontri con tutte le realtà della Terra Santa
Il programma prevede anche varie celebrazioni nei luoghi santi della Galilea come a Cafarnao, Magdala, una veglia di preghiera per la famiglia nella basilica dell’Annunciazione a Nazareth, sabato 12 settembre, guidata dal prefetto della Congregazione per i vescovi, il card. Marc Ouellet, preceduta da un incontro dei vescovi con le famiglie cattoliche della città. In agenda anche una visita alla città di Betlemme, dove i partecipanti conosceranno diverse opere di carità promosse dalla Chiesa. Sempre a Betlemme, i presidenti incontreranno il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, i vescovi dell’Assemblea Cattolica degli Ordinari di Terra Santa (Acohl) e i rappresentanti delle altre confessioni cristiane. La plenaria si concluderà mercoledì 16 settembre con la celebrazione nella basilica del Santo Sepolcro. E’ anche prevista la visita alle autorità d’Israele e di Palestina. (R.P.)
Terra Santa: vescovi francesi condannano il Muro di Cremisan
Anche la Conferenza episcopale francese (Cef) si unisce agli appelli contro la costruzione del Muro di separazione tra Israele e Palestina nella Valle di Cremisan, a Beit Jala. Un comunicato firmato da mons. Michel Dubost, presidente del Consiglio per le relazioni interreligiose della Cef, chiede al Governo francese e alle comunità ebraiche del Paese di adoperarsi presso le autorità israeliane per bloccare i lavori ripresi lo scorso 17 agosto dopo il nulla osta della Corte suprema d’Israele, con la conseguente confisca delle terre alle famiglie palestinesi residenti nell’area.
I cristiani palestinesi espulsi dalle loro terre ancestrali
“Questa parte del cosiddetto Muro di sicurezza renderebbe di nuovo molto difficile la vita di numerose famiglie palestinesi che vedranno le loro terre passare dalla parte israeliana”, sottolinea la Cef che deplora la “progressiva espulsione dei cristiani di Betlemme e di Beit Jala dalle loro terre ancestrali”. La nota ricorda che anche la Corte internazionale di Giustizia si è espressa contro il Muro in quanto contrario alla quarta Convenzione di Ginevra, mentre la stessa Corte Suprema israeliana aveva chiesto in un primo momento di fermare la sua costruzione.
Urgente un risveglio delle coscienze
“Non possiamo rassegnarci a vedere i cristiani espulsi dalla Palestina”, affermano quindi i presuli francesi che esortano tutti “a un risveglio delle coscienze”: “E’ ora che i due popoli, quello israeliano e quello palestinese, ritrovino la speranza e questo esige dagli uni e dagli altri giustizia ed equità”, conclude la nota.
Le proteste della Chiesa sinora inascoltate
L’intervento della Conferenza episcopale francese si aggiunge a quello dei vescovi americani, canadesi e dell’Africa australe e alla ferma condanna del patriarca di Gerusalemme Fouad Twal che, il 19 agosto, aveva definito la costruzione del muro di Cremisan un “insulto alla pace”. Queste proteste sono rimaste finora inascoltate. Il Governo di Gerusalemme giustifica l’espansione della barriera con motivi di sicurezza, ma per molti l’obiettivo è in realtà quello di collegare le colonie – illegali secondo il diritto internazionale – di Gilo e Har Gilo, separandole dalla cittadina palestinese di Beit Jala. (L.Z)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 251