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Sommario del 06/09/2015
- Papa Angelus: ogni parrocchia ospiti famiglia di migranti. Non basta dire "coraggio, pazienza!"
- La Farmacia Vaticana a sostegno dei migranti con la scabbia
- Card. Bagnasco: grati al Papa, vescovi pronti all'accoglienza
- Migrazione. L'Europa mostra il suo volto solidale
- Comunità Sant’Egidio Incontro a Tirana. Mons. Paglia: Europa diventi aquila per volare alto
- Nigeria: oltre 2 milioni di sfollati per violenze Boko Haram
- Brasile: il "Grido degli esclusi" contro le disuguaglianze
- Capitolo Comboniani. P. González: Africa e mondo, ovunque apostoli
- Expo. Mons. Santoro: separare lavoro e ambiente è distruttivo
- "Scuola del gratuito" per non lasciare nessuno indietro
- Vescovi Colombia e Venezuela riuniti su crisi al confine tra i due Paesi
- Elezioni in Guatemala. Oggi si vota il nuovo presidente
- Kenya. Card. Njue a donne africane: siate protagoniste pace
- Mons. Kondrusiewicz: catechesi, pilastro formazione dei giovani
- Settimana biblica negli Usa: la Parola di Dio nella famiglia
Papa Angelus: ogni parrocchia ospiti famiglia di migranti. Non basta dire "coraggio, pazienza!"
Il dramma dei migranti scuota le coscienze: non basta dire “coraggio, pazienza!”: Il Papa all’Angelus ha chiesto gesti concreti di solidarietà a tutte le Chiese e i fedeli d’Europa, in vista del Giubileo della Misericordia. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi” dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!...”. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura”.
Un appello “ad esprimere la concretezza del Vangelo”.
“Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma”.
“Misericordia è il secondo nome dell’Amore” ha ricordato il Papa a tutti i fratelli vescovi d’Europa, perché sostengano il suo appello, cosi come farà la città leonina
Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi.
La catechesi del Papa ispirata dal Vangelo domenicale, è stata incentrata sulla guarigione da parte di Gesù di un sordomuto, simbolo dei non credenti
“…la sua sordità esprime l’incapacità di ascoltare e di comprendere non solo le parole degli uomini, ma anche la Parola di Dio”.
Per questo Gesù compie tre gesti, anzitutto lo allontana dalla folla:
“non vuole dare pubblicità al gesto che sta per compiere, ma non vuole nemmeno che la sua parola sia coperta dal frastuono delle voci e delle chiacchiere dell’ambiente".
“La Parola di Dio che il Cristo ci trasmette - ha spiegato Francesco - ha bisogno di silenzio per essere accolta come Parola che risana, che riconcilia e ristabilisce la comunicazione”.
Gesù tocca poi le orecchie e la lingua del sordomuto, ripristina “la relazione con quell’uomo ‘bloccato’ nella comunicazione”, ristabilisce con lui un contatto. Quindi “alza gli occhi al cielo e comanda “Effatà - Apriti”.
“Il miracolo è un dono dall’Alto, che Gesù implora dal Padre”
“Ma questo Vangelo ci parla anche di noi”, ha sottolineato Francesco
“…spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa…E quello non è di Dio! Quello è il nostro peccato!”
“Guariti dalla sordità e dall’egoismo della chiusura e del peccato veniamo inseriti nella grande famiglia della Chiesa”
“…possiamo ascoltare Dio che ci parla e comunicare la sua Parola a quanti non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo”.
Nei saluti dopo la recita dell’Angelus, il Papa, ha reso omaggio alle tre suore martiri nella guerra civile del 1936, Fidelia Oller, Giuseppa Manrabal e Faconda Margenta, beatificate ieri in Spagna. “Malgrado le minacce e le intimidazioni queste donne rimasero al loro posto per assistere i malati, confidando in Dio
“La loro eroica testimonianza, fino all’effusione del sangue, dia forza e speranza a quanti oggi sono perseguitati a motivo della fede cristiana. E noi sappiamo che sono tanti”.
Il pensiero di Francesco è andato poi ai vescovi del Venezuela e della Colombia riuniti nei giorni scorsi - quale "chiaro segno di speranza" - per esaminare la critica situazione tra i due Paesi, innescata dalla chiusura del confine ordinata dal governo di Caracas.
Infine una segnalazione gioiosa l’apertura degli XI Giochi Africani, a Brazzaville, nella Repubblica del Congo, perché “questa grande festa dello sport - ha auspicato Francesco - contribuisca alla pace, alla fraternità e allo sviluppo di tutti i Paesi dell’Africa”.
La Farmacia Vaticana a sostegno dei migranti con la scabbia
La solidarietà ai migranti arriva anche dal laboratorio della Farmacia Vaticana: 50 chili di farmaco anti-scabbia, insieme con un centinaio di confezioni di antibiotici e di antistaminici e una cinquantina di pomate antimicotiche, sono stati consegnati a una struttura che accoglie gli immigrati a Roma. Al microfono di Nina Oezelt, il direttore della Farmacia Vaticana, fra Rafael Cizo Ramirez, spiega che questa carità è nella tradizione della farmacia:
"E‘ molto importante sapere che la Farmacia Vaticana non è un negozio, non è una impresa per guadagnare: non è questo l’obiettivo. L’obiettivo fondamentale della Farmacia Vaticana è fare il bene agli altri. Noi siamo aperti – giustamente – a tutto il mondo, nel senso che abbiamo farmaci che in Italia e in tante altre parte del mondo non si trovano. La gente viene qui e noi possiamo risolvere i loro problemi, queste necessità delle persone che hanno bisogno di questi farmaci”.
Non solo i dipendenti del Vaticano o i residenti nello Stato possono entrare nella Farmacia dietro le mura: sono i benvenuti tutti coloro che hanno bisogno e che sono muniti di una ricetta medica. La Farmacia Vaticana è tra le più frequentate al mondo, con 2.000 visite al giorno. Per quanto riguarda gli immigrati malati, è l’Elemosineria Apostolica a richiedere le medicine di cui hanno bisogno. Spesso – raccontano i farmacisti – a presentare le richieste per le medicine è lo stesso elemosiniere, l'arcivescovo Konrad Krajewski: viene in Farmacia a richiedere, ad esempio, i barattoli bianchi con il tappo rosso che contengono il “benzil benzoato” al 20%, che secondo gli addetti ai lavori sembra essere uno dei più efficaci trattamenti contro la scabbia. Il direttore della Farmacia vaticana, fra Rafael Cizo Ramirez specifica:
“Ovviamente, noi siamo attenti a dare risposta a tutte le richieste dell’Elemosineria Apostolica. E’ molto importante sapere che l’obiettivo non è il profitto, ma fare il bene. Certo che si guadagna qualcosa, ma tutto il guadagno c’è solo per le necessità del Santo Padre, per il suo contributo sociale a tutto il mondo".
Nel laboratorio sono in tre a lavorare per le persone malate e a volte a prestare aiuto è anche un frate. Il farmaco contro la scabbia da tempo si produce nei laboratori della Farmacia stessa per venire incontro alle necessità di migliaia di immigrati che giungono ogni anno in Italia. Adelina Marrazzo, dipendente della Farmacia Vaticana da 13 anni, conferma che le richieste del farmaco sono in aumento:
"La scabbia è un parassita che si trasmette e si contagia. È una malattia della pelle fastidiosa perché è molto pruriginosa, il prurito è insopportabile. In questo caso, ci attiviamo a preparare i quantitativi che i medici ci chiedono: si fa un'applicazione di tre giorni di questa pomata e poi si applicano anche creme lenitive, perché non sempre questo prurito va via con i trattamenti di tre giorni. Ecco, noi siamo solleciti a queste richieste”.
Il lavoro nel laboratorio avviene nel solco dell’antica tradizione farmacologica dei Fatebenefratelli, che nel 1874 diedero vita all’istituzione in Vaticano. Roberto Imperatori, da 4 anni impiegato nel laboratorio:
“Noi lavoriamo su richiesta: il lavoro del laboratorio è proprio questo. Abbiamo al centro del nostro lavoro non la malattia, ma il paziente, cioè il malato. Per cui siamo come dei piccoli o dei grandi sarti: facciamo i medicinali su misura per ‘quel’ malato, per ‘quella’ circostanza”.
Card. Bagnasco: grati al Papa, vescovi pronti all'accoglienza
"Ci siamo e siamo grati al Papa di questo appello: la Chiesa europea e italiana è pronta a mobilitarsi per l'accoglienza". Così in sintesi risponde alle parole del Papa oggi all'Angelus, sull'emergenza migranti, il cardinale Angelo Bagnasco vice-presidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa) e presidente della Conferenza episcopale italiana. L'intervista è di Gabriella Ceraso :
R. – Una grande riconoscenza al Santo Padre, che ci precede sempre sulle vie del Vangelo e ci indica le strade migliori per poterlo attuale con fedeltà. Questa indicazione è molto concreta e di una grande efficacia:spero sia un aiuto e uno stimolo per tutti i Paesi dell’Europa.
D. – Le parole del Papa sono sempre molto dirette: lui chiede concretamente alle comunità, alle parrocchie, ai monasteri, ai santuari “Aprite le porte e accogliete”. E ai vescovi di Europa dice “sostenetemi in questo appello”, praticamente. Come pensa si cocnretizzaerà questa risposta?
R. – Sì, sicuramente ci sarà una pronta risposta. Ne parleremo proprio la prossima settimana, quando i presidenti delle Conferenze episcopali europee si incontreranno a Gerusalemme per la Plenaria di quest’anno. Sarà anche un ulteriore stimolo – penso – per un sempre più profondo legame tra le diverse chiese che sono in Europa.
D. – Anche dopo le prime tragiche immagini che ci giungevano da Lampedusa, il Papa – visitando, qui a Roma, il Centro Astalli – disse proprio alle comunità di aprire le proprie porte. Non tanto, forse, è stato fatto… Anche forse per difficoltà tecniche, cosa accardà ora?
R. - Cosa vuole, le difficoltà tecniche ci sono sicuramente ovunque, ma ovunque possono e devono essere affrontate e risolte nei modi migliori. Aanche nel prossimo Consiglio permanente - che si terrà alla fine di questo mese – ed espressione della Chiesa italiana, ho già dato disposizioni per individuare dei criteri concreti per applicare e tradurre questo grande invito del Papa.
D. – E’ anche significativo che il Papa lo abbia collegato all’Anno della Misericordia: quasi a sottolineare che la misericordia è qualcosa di molto concreto..
R. – Sicuramente! E’ stata anche questa – direi – una grande intuizione di Papa Francesco per poter esprimere con un segno visibile - vorrei dire universale, ma diciamo pure continentale – l’Anno della Misericordia.
D. – Cosa pensa di quanto sta accadendo a livello di solidarietà europea?
R. – Sia dall’Europa che a livello più internazionale, mi sembra che ci siano segnali positivi. Lo spettacolo di questa disperazione, che affronta qualunque rischio, non poteva non toccare il cuore e la mente di tutti. In Italia, la gente, le nostre comunità, le amministrazioni cercano di rispondere già da molto tempo e al meglio possibile. Però, se ci sarà questa coralità, questa concertazione a livello europeo, che si è sempre invocata – la abbiamo sempre invocata come vescovi italiani- sarà un aiuto per tutti, a cominciare proprio da questa povera gente.
Migrazione. L'Europa mostra il suo volto solidale
L’Europa si riscopre solidale: circa ottomila sono complessivamente i migranti arrivati in treno dall’Austria a Monaco di Baviera, in Germania, mentre un migliaio di persone ha attraversato a piedi intorno all’alba il confine tra Ungheria e Austria, al valico di Nickelsdorf Burgenland, dove ad accoglierli c’era anche il cardinale Schönborn. “Il mare non sia un confine, ma un ponte tra un Paese e l’altro”, ha detto mons. Georg Gaenswein, prefetto della Casa Pontificia, nella celebrazione della Festa del Mare al Duomo di Ancona. Il servizio di Roberta Barbi:
C’è un punto oltre il quale non si può restare impermeabili all’orrore e non si accetta più che questo si ripeta, giorno dopo giorno. Per l’Europa il punto di non ritorno, la molla che ha fatto scattare la reazione di umana solidarietà è stata la foto del corpo di Aylan, il bimbo siriano di 3 anni arrivato morto sulla spiaggia di Bodrum, o forse la notizia di un altro bimbo, stavolta un neonato, che non ce l’ha fatta dopo essere sbarcato sull’isola di Agathonisi. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per l’immigrazione, Peter Sutherland li definisce “Atti d’accusa verso la nostra classe politica”. E l’Europa finalmente smette di far finta di non vedere, nelle parole dell’Alto rappresentante per la Politica estera Mogherini che assicura: “Non ci sono Paesi che non saranno coinvolti” per far fronte a una crisi migratoria che secondo il Pentagono durerà almeno 20 anni. E così c’è la Germania che intraprende quella che la cancelliera Merkel chiama “una sfida nazionale”, commossa nel vedere le migliaia di migranti accalcati alla stazione di Budapest urlare “Germania! Germania!”. Ottomila ne sono arrivati in treno a Monaco, accolti da applausi, poi smistati in diverse città tedesche; quelli ancora fermi in Ungheria ricevono la solidarietà dei cittadini che offrono panini e vestiti, peluche ai bambini. Sono tremila in tutto, invece, coloro che hanno attraversato il confine per raggiungere l’Austria a Nickelsdorf e sono stati portati a Vienna da cui saranno redistribuiti. La Gran Bretagna ha confermato che non parteciperà al piano Ue di suddivisione degli arrivi, ma di profughi ne accoglierà 15mila, prelevati direttamente dai campi vicino ai confini con la Siria, mentre la Francia è scesa in piazza gridando “Svegliati Europa” e “Benvenuti immigrati”. E si moltiplicano le offerte di ospitalità private, come quella del primo ministro finlandese che ha messo a disposizione la propria casa di campagna per i profughi, ma iniziative di solidarietà stanno nascendo in parrocchie, aziende, singole famiglie: risposte a quella chiamata del Vangelo che ci chiede di essere prossimi dei più piccoli e abbandonati, come ci ha ricordato oggi Papa Francesco.
Comunità Sant’Egidio Incontro a Tirana. Mons. Paglia: Europa diventi aquila per volare alto
La sfida globale, così definita, che viene dai migranti sarà uno dei temi forti dell’Incontro Internazionale delle grandi religioni, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, e che questo pomeriggio si aprirà a Tirana. “La pace è sempre possibile”, è il titolo dell’appuntamento che vede presenti in Albania centinaia di personalità religiose, della cultura, della politica provenienti da tutto il mondo, comprese quelle aree attraversate da conflitti e violenza e dalle quali fuggono le migliaia di persone che giungono in Europa. Il servizio dell’inviata, Francesca Sabatinelli:
Sono trascorsi 29 anni dall’incontro che San Giovanni Paolo II volle ad Assisi, quando invitò i leader delle religioni mondiali a pregare per la pace. A distanza di tre decenni, guerra e violenza stanno devastando intere aree geografiche, provocando masse di disperati costretti alla fuga, spesso dall’esito drammatico, come la cronaca racconta ormai quotidianamente. Da Tirana, spiega la Comunità di Sant’Egidio, si alzerà l’appello affinché tutti, governanti, popoli, giovani, si “mobilitino per fermare le guerre e per instaurare ovunque un clima di accoglienza verso i tanti che ormai vedono nell’emigrazione una via di salvezza dalle persecuzioni e dalla miseria, anche rischiando la vita nella traversata verso l’Europa” . Un’Europa che nelle ultime ore dimostra di voler invertire la rotta, per aprirsi ad un’accoglienza, solo fino a poco tempo fa totalmente negata. Mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, presente a Tirana:
R. - In certo modo potremmo dire che l’Europa ha ritrovato se stessa. Certo, ci voleva un bambino morto su una spiaggia… In ogni caso, siamo davvero lieti che questa Europa abbia ritrovato le sue radici, abbia ritrovato la sua dimensione di accoglienza, di solidarietà, di universalità. E dobbiamo anche dire grazie a Papa Francesco, che in questo tempo non ha mai cessato di dire a tutti: “Apritevi! Perché l’accoglienza a chi ha bisogno, è accoglienza a Cristo stesso”. Ecco perché penso che, riprendendo un cammino di accoglienza solidale, l’Europa possa guardare il suo futuro con maggiore speranza.
D. – Ci sono dei “ma” che nascono ancora dalle chiusure, dalle paure, dalle politiche di alcuni Paesi…
R. – Noi siamo qui, a Tirana, in Albania, per il Congresso internazionale di preghiera per la pace nello spirito di Assisi. E questo luogo è un po’ singolare e poi l’Albania è il Paese delle Aquile…. Ecco, oggi noi abbiamo bisogno di aquile, non di animali da cortile! Abbiamo bisogno di volare alto; abbiamo bisogno di capire che i ‘se’ i ‘ma’ non possono fermare il volo di un continente come quello europeo, che per vocazione - fin dalle origini - vola alto proprio per risolvere i ‘se’ e i ‘ma’. Ecco, perché credo che l’intelligenza di un’aquila aiuti a comprendere le difficoltà e anche a vivere la creatività di quell’amore che fa dire “nulla è impossibile”. Il titolo di questo convegno è “La pace è sempre possibile”: e io direi questo, anche l’accoglienza è sempre possibile.
D. – Un legame particolare lega la Comunità di Sant’Egidio all’Albania e quest’anno è stato scelto proprio questo Paese. Che emozione?
R. – L’emozione è straordinaria, perché sono passati appena vent’anni e troviamo e ritroviamo un Paese completamente trasformato. Qui le religioni erano proibite per Costituzione e io ricordo tutte le chiese chiuse: nessuna aperta. Come anche le altre… Non c’erano ovviamente sinagoghe, salvo una moschea al centro di Tirana. Rivedere oggi questo Paese che – aiutato dalla solidarietà – è stato capace davvero di risorgere. Io vorrei ricordare anche agli italiani che vent’anni fa l’America per gli albanesi era l’Italia, oggi talvolta l’America per gli italiani è l’Albania. E’ la solidarietà che aiuta a risolvere i problemi: ci si organizza e anche il Paese che prima soffriva, può crescere e diventare un aiuto quando, in questo caso, l’Italia ha bisogno di sostegno. E’ quella comunione – potremmo dire – dei beni che nel pensiero cattolico è uno dei fondamenti e che credo sia anche il fondamento di quel nuovo umanesimo di cui tutti abbiamo bisogno e che dal tesoro dell’Europa può esser tratto anche senza tante grandi difficoltà.
Nigeria: oltre 2 milioni di sfollati per violenze Boko Haram
In Nigeria, l'inasprimento delle violenze compiute dagli estremisti islamici di Boko Haram ha costretto da giugno almeno 800mila civili del Nord-Est a lasciare le proprie case. Dal 2009, ovvero dall’inizio della guerra scatenata dagli integralisti, si calcolano 15mila morti e più di 2 milioni di sfollati. Il presidente Buhari ha lanciato una vasta offensiva per fermare le stragi dei miliziani musulmani, ma dopo alcuni successi si registra un rallentamento della sua azione. Giacomo Zandonini ne ha parlato con il prof. Giovanni Carbone, africanista:
R. – La natura di Boko Haram ha oscillato in questi anni tra quella, delle origini, di organizzazione più strettamente terroristica, e quella di organizzazione di guerriglia che ha anche tentato il controllo di una parte del territorio nel Nord della Nigeria. La Nigeria si trova in una situazione di transizione, perché l’attuale presidente, Buhari, è subentrato al suo predecessore, Goodluck Jonathan, solo a maggio. È un presidente del Nord, quindi cambia completamente la dinamica del raffronto tra il governo centrale nigeriano e i Boko Haram. Adesso c’è un presidente che ha una grossa base di sostegno proprio nella popolazione che abita l’area in cui opera il movimento armato; proprio per questo, Buhari ha assicurato che la sua priorità è quella di sconfiggere questo movimento. Ma i tempi non possono che essere più lunghi di quelli che ha promesso: Buhari ha detto che entro il dicembre 2015 Boko Haram sarebbe stato sconfitto, e invece sicuramente non sarà così, ci saranno alti e bassi. E in questa fase stiamo assistendo a un ritorno della violenza da parte di Boko Haram, dopo che, tra i mesi di marzo e maggio, si erano avuti alcuni successi governativi.
D. – La presenza di miliziani nelle file di Boko Haram provenienti – pare, dalle ultime notizie – anche dal Ciad, mette in rilievo anche il ruolo di questo Paese: un ruolo nella regione piuttosto importante… È così?
R. – Boko Haram è una realtà fortemente nigeriana: emerge in un contesto politico, economico e sociale molto specifico, che è quello del Nord della Nigeria. Al tempo stesso, però, il Nord della Nigeria è l’area di confine con il Lago Ciad – quindi con il Ciad, il Niger e il Camerun – una zona in cui i confini sono storicamente molto labili tra uno Stato e l’altro, e la mobilità di movimenti armati come Boko Haram è molto facile. Il Ciad è stato, sin da subito, interessato dalle attività di Boko Haram. Questo Paese ha uno degli eserciti più efficaci, sostenuto e anche addestrato in questi anni dall’appoggio francese. Boko Haram è una realtà che opera sul piano regionale, che attraversa i confini di questi altri Stati, anche perché recluta popolazioni diverse, non esclusivamente nel Nord della Nigeria. Però su questo la verità è che le informazioni che abbiamo sono estremamente scarse. Sappiamo che Boko Haram ha addestrato i propri militanti anche in Somalia, in Algeria e in parte anche in Ciad, ma si tratta di informazioni da prendere molto con le pinze.
D. – Si parlava anche recentemente di una possibile affiliazione di Boko Haram con il sedicente Stato islamico: potrebbe rientrare in una strategia di alleanze internazionali, in qualche modo?
R. – Qui ci sono, ancora una volta, le due facce del conflitto: da un lato, i legami con i network del jihadismo internazionale, quindi l’affiliazione proclamata nei primi mesi di quest’anno con il Califfato, dopo che Boko Haram aveva flirtato con al-Qaeda, tra l’altro un’affiliazione proclamata in un momento di debolezza di Boko Haram che voleva evidentemente cercare alleanze. Ma, dall’altro lato, non bisogna fraintendere questo come l’espressione, anche in Nigeria, di un fenomeno che proviene da altrove.
D. – Parlavamo del Lago Ciad. Questa è anche una zona dove ci sono giacimenti di gas, di petrolio, spesso legati anche ad episodi di conflitto. Come sappiamo, in tutta l’Africa dietro ai conflitti c'è un interesse economico: secondo lei anche in questo caso?
R. – Sicuramente ci sono interessi economici dietro Boko Haram. La Nigeria ha una storia di legami tra violenze e controllo delle risorse, ma questo riguarda essenzialmente il Sud-Est del Paese, l’area del Delta del Niger, che è stata lungamente instabile. Per quanto riguarda Boko Haram, i legami con gli interessi economici riguardano traffici commerciali più che il controllo delle risorse minerarie.
Brasile: il "Grido degli esclusi" contro le disuguaglianze
Poveri, detenuti, anziani: a loro si rivolge la 21.ma edizione della manifestazione brasiliana “Il grido degli esclusi”, in programma il 7 settembre di ogni anno, in concomitanza con la Festa nazionale dell’Indipendenza. Nata per testimoniare le disuguaglianze della società nel Paese, l’evento ha l’appoggio della Conferenza episcopale brasiliana e del Consiglio delle Chiese cristiane del Brasile. Il servizio di Michele Raviart:
La musica e le parole dell’inno del 21.mo “Grido degli esclusi” annunciano il motto di questa edizione: “Che Paese è questo che uccide la gente, in cui i mass media mentono, e che ci consuma?”. Un interrogativo rivolto alla società brasiliana, giudicata elitaria e poco sensibile ai destini degli ultimi, siano essi tossicodipendenti, vittime delle violenze o operai senza diritti. Sotto accusa anche il ruolo dei media, come spiega Ari Alberti, coordinatore dell’evento, intervistato da Bianca Fraccalvieri:
R. - Questo grido è per la società brasiliana ed è rivolto anche alle autorità. Noi vogliamo dire che la nostra realtà non è facile, ma è un po’diversa da quello che guardiamo ogni giorno nel sensazionalismo dei media. C’ è un tentativo di spostare l’attenzione dai problemi veri del Brasile e noi ne vogliamo discutere in questa edizione del “Grido degli esculsi”.
D. - Quali sono questi “problemi reali” e perché i media non ne parlano?
R. - I media devono essere un servizio pubblico, come prevede la Costituzione. In Brasile otto o nove grandi gruppi famigliari possiedono tutto quello che si sente, si guarda e si legge in questo Paese. I mezzi di comunicazione di una nazione non possono essere nelle mani degli interessi politici e famigliari di pochi gruppi famigliari. I media devono rispetatre il pluralismo e le concessioni devono essere più trasparenti
D. - Un’altra grande questione per voi è quello della rappresentazione della violenza nei media brasiliani...
R. - Il nostro è un Paese dove si uccide più che se ci fosse una guerra. Abbiamo circa 50 mila omicidi ogni anno. Poi abbiamo le carceri piene, siamo il terzo o il quarto Paese al mondo per numero di detenuti e le strutture brasiliane sono qualcosa di cui avere paura. In questo contesto i media puntano solo al sensazionalismo, enfatizzando i casi di omicidio in cui sono coinvolti giovani e adolescenti. Così passa l’idea che con il carcere per i minori di 18 anni si risolverà il problema della violenza. E si sposta così il punto della questione.
Capitolo Comboniani. P. González: Africa e mondo, ovunque apostoli
“Chiamati a vivere la gioia del Vangelo nel mondo di oggi”. Sarà questa la linea portante della riflessione che, a partire da questa domenica, orienterà il 18.mo Capitolo generale della Congregazione dei Missionari Comboniani. Al microfono di Alessandro De Carolis, il superiore generale dell’Istituto fondato da Daniele Comboni, padre Enrique Sánchez González, parla di questo evento che cade tra la fine dell’Anno della Vita consacrata e il prossimo Giubileo della Misericordia:
R. – Per il nostro Capitolo è un momento molto particolare, sia per la vita dell’istituto sia per la missione che portiamo avanti in quei Paesi in cui siamo presenti, in quei contesti dove la misericordia oggi è veramente una grande sfida, soprattutto in situazioni di violenza, di guerra, di persecuzione, dove tanti dei nostri missionari sono presenti. Allora, questi due forti momenti della vita della Chiesa ci interpellano e ci sfidano. Direi di più, stiamo cercando di riflettere e di vivere questo momento della vita dell’Istituto all’ascolto di tutto quello che Papa Francesco in questi ultimi mesi ci sta dicendo, provocandoci nel buon senso della parola. Per questo, abbiamo cercato di darci come tema del nostro Capitolo il diventare oggi discepoli, missionari Comboniani chiamati, a vivere la “gioia” del Vangelo.
D. – Voi siete missionari e quindi uomini delle periferie del mondo per definizione. Con le continue esortazioni a uscire verso il mondo e soprattutto verso gli emarginati delle società, Papa Francesco sprona tutti i cristiani a un esame di coscienza tra la fede “creduta” e la fede praticata ogni giorno. Come vivono i Comboniani questo richiamo?
R. – Sono convinto che non sia questione soltanto di partire geograficamente, perché si può andare dall’altra parte del mondo e rimanere con il cuore chiuso e con la mente chiusa e non scoprire il Dio che è presente in quelle periferie che noi giustamente siamo chiamati a visitare. Per noi, questo richiamo, questo invito del Papa è prima di tutto un appello forte, una conversione profonda a livello personale per – come dice il Papa – mettere al centro della nostra vita il Signore, fare un’esperienza di incontro con Lui per poterlo identificare, riconoscerlo nel volto di tante persone che vivono in queste periferie dove lui è crocifisso, martoriato, ignorato, scartato. Il vero ed unico missionario è Dio.
D. – La vostra Congregazione oggi è sparsa in vari continenti, ma la sua anima più profonda – quella del vostro fondatore Daniele Comboni – è, direi, “africana”. Come svolgete oggi la vostra missione in questo continente, dove peraltro anche il Papa tra circa due mesi sarà in visita?
R. – Per noi Comboniani, l’Africa è stata sempre prima di tutto la culla della nostra spiritualità, della nostra missione, del nostro apostolato. Noi siamo nati in Africa, per l’Africa e il nostro cuore – posso dirlo con molta sincerità e semplicità – è in Africa. Ma per Comboni l’Africa non è soltanto il continente o l’area geografica: è una realtà dell’umanità. Allora, in questo senso, quello che Comboni chiamava la “nigrizia” – la situazione di povertà, di urgenza missionaria al suo tempo – per noi Comboniani oggi questa realtà la troviamo anche in tante altre parti. Non solo, per dire, nelle piccole presenze che abbiamo a Macao, a Taiwan in Cina… C’è anche l’esperienza dell’Africa qui in Europa, in questo momento, con tutto quello che stiamo vivendo con i tanti fratelli e sorelle che arrivano in questo continente e vivono in situazioni veramente disperate.
D. – Quali opere hanno i Comboniani a sostegno di queste persone?
R. – Ad esempio, qui in Italia varie comunità stanno collaborando con la Caritas o con altri Istituti per aprire le porte. Poi, nella provincia di lingua tedesca siamo presenti in almeno tre luoghi nei quali si sta organizzando l’accoglienza dei migranti: a Graz, in Austria, poi nel ……. In Germania e …… dove collaboriamo con i centri di appoggio e di accoglienza. In altre province in Spagna, in Portogallo, in Inghilterra si fa un servizio di appoggio a persone che arrivano, che non hanno documenti. Si cerca di accompagnarli.
D. – Quali sono i suoi sentimenti, quelli del superiore generale dei Comboniani all’inizio del Capitolo generale?
R. – Nel cuore porto una grande fiducia, una grande speranza. Ho avuto la fortuna, in questi sei anni, di conoscere dall’interno e molto profondamente l’Istituto e la missione. Con grande soddisfazione posso dire che ci sono veramente esempi di grande santità, di grande impegno, di grande donazione missionaria, che mi fanno credere che questo Istituto possa ancora dare tanto alla Chiesa. Allora, provo una gioia profonda che mi fa vedere le prossime settimane come una benedizione per il futuro della missione.
Expo. Mons. Santoro: separare lavoro e ambiente è distruttivo
All'Expo di Milano, Cei e Padiglione della Santa Sede hanno promosso un Convegno per la Giornata nazionale per la custodia del creato: al centro dell'incontro, l'Enciclica di Papa Francesco Laudato si’. Una riflessione a più voci con mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali; il ministro italiano dell’ambiente Galletti; Simone Morandini, presidente della Fondazione Lanza; Pierlugi Malavasi dell’Alta Scuola per l’ambiente dell’Università Cattolica e fra Roberto Lanzi, della comunità monastica Siloe. Il servizio di Fabio Brenna:
Una straordinaria convocazione della famiglia umana per la cura della casa comune. E’ il senso innovativo dell’Enciclica di Papa Francesco che, nell’ambito di Expo, è stata letta per evidenziarne lo stretto legame esistente fra l’alimentazione dei popoli, lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia dell’ambiente. Particolarmente significativa l’esperienza di Taranto, città simbolo di come ecologia umana e salvaguardia dell’ambiente siano state separate. L’arcivescovo della città, mons. Filippo Santoro, ha spiegato come l’Enciclica innerverà il prossimo piano pastorale perché si applica alle ferite di un territorio e di una popolazione causate da scelte sbagliate; risolve il dilemma se salvaguardare l’ambiente e la salute o piuttosto i posti di lavoro, come ha spiegato mons. Santoro, perché dice chiaramente che se l’economia è solo per il lucro - “Questa economia uccide” - non può essere a servizio della vita:
“E soprattutto una prospettiva di speranza, perché la vita individualistica, separata, che separa il lavoro dall’ambiente, dalla storia, dalla cultura, dalla tradizione, crea dei muri e distrugge. Invece l’Enciclica e questa Giornata per la custodia del Creato sono un grande invito a superare queste divisioni”.
L’Enciclica segna poi una svolta in quanto si rivela strumento ecumenico e di interconnessione con la società intera, chiamata a ristabilire un ascolto del grido della terra e del grido del povero. Ma dà indicazioni utili anche a chi deve provare a trovare soluzioni per l’ambiente, come ha sottolineato il ministro italiano dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, citando il caso di Cop21, la Conferenza sul Clima che si terrà a dicembre a Parigi:
“Mentre noi siamo concentrati su Parigi 2015 in negoziati difficili che abbiamo pensato fino ad oggi di poter risolvere con la scienza, con la tecnica e con la politica, che sono sicuramente indispensabili, il Papa ci indica una via nuova con questa Enciclica: ci dice che se non c’è l’etica, la morale, l’accordo sarà difficile da raggiungere”.
"Scuola del gratuito" per non lasciare nessuno indietro
Si conclude questa domenica a San Marino il Convegno nazionale della “Scuola del gratuito”: si tratta di una iniziativa promossa dall'Associazione Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, che porta avanti un progetto pedagogico che punta a non lasciare indietro nessuno. Alessandro Filippelli ne ha parlato con Giovanni Ramonda, responsabile generale dell'Associazione:
R. – La scuola del gratuito è stata un’intuizione del nostro carissimo don Oreste Benzi. E’ un progetto pedagogico che mette al centro il giovane, mette al centro anche la famiglia che diventa corresponsabile di questo percorso educativo, una famiglia attenta, una famiglia presente, in dialogo anche con la scuola, in dialogo con il corpo docente. E soprattutto è una pedagogia fondata sulla gratuità, cioè sulla scoperta dei talenti che ogni allievo ha: ognuno ha delle capacità, delle abilità, anche i ragazzi disabili, diversamente abili, con disturbi comportamentali, hanno competenze che vanno scoperte, che vanno sviluppate. Quindi una pedagogia non più fondata sul profitto. E questa è stata una scommessa che noi da anni portiamo avanti.
D. – Cosa intende per gratuità? Che cosa mette dentro questo concetto?
R. – La gratuità intesa come dono, cioè le mie abilità, i miei talenti, le mie competenze le metto a servizio anche degli altri. E mettendole al servizio, queste competenze si moltiplicano, cioè diventano ricchezza per tutti, quindi anche la scuola non è il luogo della competizione, dell’arrivismo, ma la scuola è il luogo dove si cresce insieme.
D. – Nell’ambito di questo progetto pedagogico attento alla persona, quanto incide il ruolo di partner educativo della famiglia?
R. - La famiglia ha un ruolo fondamentale. I primi educatori sono i genitori che collaborano con la scuola ma non possono più delegare. C’è una mentalità che purtroppo è abbastanza dominante nella cultura di oggi che delega tutto alla scuola ma poi critica la scuola. E la famiglia, i genitori, papà e mamma, sono i primi soggetti educativi. I bambini hanno bisogno di loro, hanno bisogno di sapere che ci sono anche i genitori che collaborano al loro sviluppo e alla loro crescita e che tifano per loro nel loro percorso scolastico.
D. – Questa è una scuola che non giudica con i voti. La vostra scuola è così e perché?
R. – Perché il voto può portare molto al confronto e a questo arrivare all’obiettivo di arrivare al top, di arrivare anche a scapito a volte di altri. No, noi vogliamo che invece ci sia un percorso fatto insieme, che ognuno parta dalle proprie capacità, dalle proprie competenze per crescere verso un punto di miglioramento. Quindi noi siamo più per dare conferme, dando nuove responsabilità agli studenti. Quando raggiungono degli obiettivi di far fare loro dei passi in avanti ma non determinati solo dal voto ma dal desiderio di partecipare di più, di sperimentare di più, di conoscere di più.
D. – E’ possibile affermare che i vecchi schemi, quelli che premiano soltanto i più bravi, sono ribaltati, e gli ultimi, quelli che hanno più bisogno di aiuto sono messi al centro delle attenzioni della classe?
R. - Sì, perché un popolo, una famiglia una comunità educativa, come anche può essere la scuola, è tale se sa tenere il passo degli ultimi, dei più deboli, che non vuol dire non riconoscere le capacità di chi ha un’intelligenza brillante, una capacità di conoscere, di applicarsi al di sopra della media, ma è un camminare insieme, cioè è un concetto di scuola che prevede il noi prima dell’io. Allora, anche le eccellenze, inserite in questo noi, un domani che saranno nella società civile, sapranno lavorare e far crescere il bene comune, non solo il proprio tornaconto personale.
Vescovi Colombia e Venezuela riuniti su crisi al confine tra i due Paesi
Nei giorni scorsi i vescovi di Colombia e Venezuela si sono riuniti nel tentativo di dare il proprio contributo per dirimere la situazione tra i due Paesi, dopo la chiusura della frontiera decisa dal presidente venezuelano Maduro, ricordata oggi all'Angelus anche da Papa Francesco, che ha definito l'incontro tra i presuli "un segnale di speranza". Intanto il presidente della Colombia, Santos, ha annunciato di voler decretare lo stato d’emergenza economica, per fronteggiare la crisi in corso che ha causato anche l'espulsione di molti cittadini colombiani. Il provvedimento di emergenza consentirà al Paese di semplificare le procedure di approvvigionamento e gli investimenti come si conviene nei casi eccezionali; quanto al provvedimento voluto dal suo omologo venezuelano Maduro, a suo dire è stato motivato dall’esigenza di fronteggiare il narcotraffico e contrastare le bande paramilitari che imperversano nella zona. Il procuratore della Colombia - secondo quanto riferito dall'Osservatore Romano - ha chiesto al presidente di denunciare Maduro alla Corte penale internazionale dell'Aja per crimini contro l'umanità. (R.B.)
Elezioni in Guatemala. Oggi si vota il nuovo presidente
Election day, oggi, in Guatemala, dove oltre sette milioni e mezzo di aventi diritto sono chiamati alle urne per le elezioni presidenziali, le politiche e le amministrative. Per quanto riguarda le Presidenziali, nei giorni scorsi il presidente Otto Pérez si era dimesso in seguito alle accuse di far parte di una vasta organizzazione criminale operante nel Paese: in lizza per sostituirlo sono Manuel Baldizón, di Libertà democratica; Jimmy Morales del Fronte di convergenza nazionale, e Sandra Torres, moglie dell’ex capo dello Stato Álvaro Colom ed esponente dell’Unità nazionale della speranza, che si era già candidata nel 2011. Oltre al presidente e al suo vice, i guatemaltechi sono chiamati a votare 158 deputati e 20 rappresentanti del Parlamento, nonché 338 sindaci. (R.B.)
Kenya. Card. Njue a donne africane: siate protagoniste pace
“Le donne africane siano protagoniste della riconciliazione, della pace e dell’amore, partendo proprio dalle loro famiglie”: questo l’invito lanciato dal card. John Njue, arcivescovo di Nairobi, in Kenya, intervenuto il 2 settembre al meeting panafricano delle donne cattoliche. Organizzato dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), in collaborazione con l’Associazione dei membri delle Conferenze episcopali dell’Africa orientale (Amecea), l’evento ha avuto come titolo “Le donne africane in cammino verso l’Anno africano della riconciliazione”. Da ricordare che questo Anno speciale, indetto dal Secam sul tema “Un’Africa riconciliata per una pacifica coesistenza”, è stato inaugurato lo scorso luglio e si concluderà a luglio 2016.
Diventare strumenti di Dio per portare l’armonia nella società
Ribadendo l’importanza del tema scelto per il meeting, il card. Njue ha sottolineato come il confronto e la riconciliazione siano quanto mai necessari, oggi nel continente africano, a tutti i livelli: a partire da quello familiare per arrivare a quello nazionale. Ma il confronto e la riconciliazione, ha proseguito il porporato, sono importanti anche “nell’ampio corpo spirituale che è la Chiesa”: per questo, promuovere la riconciliazione significa “diventare strumenti di Dio nel portare la necessaria armonia nella società”, a partire proprio dalle sue radici, ovvero “la famiglia”.
Le donne sappiano leggere segni dei tempi per evangelizzare efficacemente
L’arcivescovo di Nairobi ha poi esortato le donne africane a costruirsi “un’identità di integrità ed amore”: “Se vogliamo ottenere la riconciliazione – ha spiegato – dobbiamo comprendere che possiamo essere strumenti di pace. Ma per fare questo, dobbiamo essere consapevoli della nostra identità e dignità, senza spaventarci di fronte ad eventuali problemi”. In quest’ottica – è stata l’ulteriore esortazione del porporato – “le donne devono costantemente leggere i segni dei tempi, così da evangelizzare in modo efficace”.
La riconciliazione dell’Africa, nobile causa affidata alle donne
Vicinanza a Dio, preghiera, accostamento ai sacramenti sono stati, inoltre, gli ‘strumenti’ suggeriti dal card. Njue alle donne africane per portare avanti “lo spirito della riconciliazione”. Il tutto sempre guardando “allo splendido esempio di Maria, Madre di Dio”: “Di solito, l’ultima persona ad uscire da una casa in fiamme è la madre, perché vuole essere sicura che nessun figlio sia rimasto indietro – ha concluso l’arcivescovo di Nairobi – La responsabilità di riconciliare la famiglia, la società, il Kenya e l’Africa è quindi, in gran parte, nella mani di voi donne: non rifuggite da questa nobile causa di portare grandi cambiamenti nella società e contate pure sulle nostre preghiere”. (I.P.)
Mons. Kondrusiewicz: catechesi, pilastro formazione dei giovani
"La catechesi portata avanti con tutti gli strumenti disponibili è un pilastro della formazione delle generazioni future, affinché tutti diventino cittadini buoni e fedeli”: è quanto scrive mons. Tadeusz Kondrusiewicz, arcivescovo di Minsk-Mogilev, in Bielorussia, in una lettera indirizzata agli studenti ed ai catechisti in occasione del nuovo anno accademico che inizia in questi giorni nelle scuole e istituzioni educative del Paese.
Libertà religiosa è un dono, ma implica responsabilità formativa
"Durante i periodi di persecuzione – scrive il presule, citato dall’agenzia Sir - le attività della Chiesa cattolica in Bielorussia, inclusa l'istruzione religiosa, erano limitate. La Chiesa vedeva le necessità spirituali dei fedeli, ma non le era permesso di rispondervi in pienezza. Oggi la situazione è diversa, il che è un grande dono, ma anche un grande compito per noi". Per questo, l’arcivescovo di Minsk invita i catechisti a crescere nella conoscenza, così come nella formazione e nell'istruzione spirituale personale, affinché siano in grado di “rispondere alle sfide della società contemporanea e ai suoi sviluppi, e di essere testimoni autentici della fede” nei confronti dei loro allievi.
Scuole, famiglie, parrocchie collaborino a formazione spirituale dei giovani
Mons. Kondrusiewicz ricorda, poi, gli oltre 25 anni di libertà e di opportunità offerti alla nazione, dalla caduta del regime comunista, sottolineando che “un’istruzione religiosa di qualità porta frutto soltanto quando i destinatari - bambini e ragazzi - prestano attenzione a questo tema”. Infine, il presule sottolinea che la formazione cristiana nelle scuole rappresenta solo una parte della formazione generale alla fede, che non può sostituire la formazione in famiglia e la vita attiva in parrocchia, ma deve andare di pari passo con esse. (I.P.)
Settimana biblica negli Usa: la Parola di Dio nella famiglia
“La Bibbia: un libro per la famiglia”: su questo tema si svolgerà, dal 15 al 21 novembre, negli Stati Uniti, la Settimana biblica nazionale. L’evento, organizzato dalla Conferenza episcopale locale, è rivolto a famiglie, parrocchie, scuole ed altre organizzazioni cattoliche. Nel corso della Settimana verrà celebrato anche il 50.mo anniversario della “Dei Verbum”, la Costituzione dogmatica conciliare sulla Divina Rivelazione promulgata da Papa Paolo VI il 18 novembre 1965.
Condividere la Parola di Dio in famiglia
Tra gli argomenti che si possono approfondire nel corso della Settimana biblica – e per i quali i vescovi statunitensi offrono, sul loro sito web, numerose risorse teologiche - ci sono: “L’intronizzazione della Bibbia nella famiglia”, ovvero il riporla in un luogo significativo della casa in cui ci si possa raccogliere in preghiera, lontani dal rumore; “Rendere la Parola di Dio parte della propria casa”; “Sempre antica, sempre nuova: l’arte e la pratica della Lectio Divina” e “Condividere la Parola di Dio in casa”.
Avviare uno studio biblico nelle parrocchie
Per le parrocchie, invece, si suggeriscono la promozione di incontri di formazione alla fede tramite la lettura e la comprensione della Bibbia; l’avvio di uno studio parrocchiale biblico; ritiri spirituali per famiglie; indicazioni per l’uso della Bibbia nelle catechesi ed una veglia di preghiera sui temi della Dottrina sociale della Chiesa. Ulteriori iniziative saranno promosse dall’Associazione degli editori cattolici, dalla Società biblica americana e dalla Federazione biblica cattolica. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 249