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Sommario del 04/09/2015
- Il Papa: guerra è predatrice di vite e anime. Zenari: Siria sta morendo
- Francesco: nella Chiesa c'è una malattia, seminare divisione
- Papa: teologo è figlio del suo popolo, non separare dottrina e pastorale
- A sorpresa Papa Francesco in un negozio di ottica a Roma
- Musei Vaticani: al via aperture serali, presentata mostra su Costantino
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Aylan sepolto a Kobane. La morte del bimbo che sconvolge l'Europa
- Mons. Lazzarotto: ristabilire clima fiducia tra israeliani e palestinesi
- Colombia-Venezuela: iniziativa di pace dei vescovi dei due Paesi
- Burundi. P. Marano: unico futuro è che Hutu e Tutsi vivano insieme
- Salvini al Cara di Mineo. Il vescovo Peri: c'è chi cerca notorietà
- Caporalato: oltre 100mila i lavoratori agricoli coinvolti
- A Venezia il film sulla pedofilia nella diocesi di Boston
- Siria: nessuna conferma sulla sorte di padre Murad
- Vescovi Ungheria sui migranti: trovare forme efficaci di assistenza
- Vescovi Messico: spazi aperti ad una migrazione degna
- Portogallo. Card. Clemente: risposte concrete per i profughi
- Terra Santa: un dossier sul devastante Muro di Cremisan
- Kenya: sciopero docenti. Appello dei vescovi al dialogo
- Myanmar: emergenza alluvioni. L'aiuto della Chiesa
- Vescovi Malta: non depenalizzare vilipendio alla religione e pornografia
Il Papa: guerra è predatrice di vite e anime. Zenari: Siria sta morendo
“La guerra è madre di tutte le povertà, una grande predatrice di vite e di anime”. Con questo tweet, dal suo account @Pontifex, Papa Francesco torna a gridare al mondo l’origine principale dei drammi di cui è spettatore, a partire dall’emergenza migratoria che sta segnando l’Europa da mesi. C’è voluto lo scatto fotografico agghiacciante del bimbo siriano riverso sulla spiaggia turca per suscitare la reazione politica dell’Europa: servirà anche a fermare la guerra che va avanti da 4 anni e che spinge le popolazioni a fuggire? Gabriella Ceraso ne ha parlato con mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco:
R. – Questa immagine ci ha svegliato tutti quanti, direi, e soprattutto in Europa. Un’immagine tragica che fa riflettere perché questo bambino purtroppo non è l’ultimo. Anche quest’oggi, certamente, alcuni bambini stanno morendo o sono feriti. Secondo le statistiche sono 10 mila i bambini e i ragazzi che finora sono morti in questo conflitto che ha fatto in tutto 250 mila vittime. Così pure, direi, anche le immagini tragiche di queste colonne di immigrati che arrivano in Europa, sono migliaia di giovani che si aggiungono ai 4 milioni di rifugiati nei Paesi vicini, di 8 milioni di sfollati interni. Sono veramente immagini e cifre che fanno riflettere. Ma c'è anche un'altra considerazione da fare. Le telecamere in Europa presentano una parte del dramma di queste migliaia di giovani che cercano di arrivare alla loro meta, al Paese che hanno sognato in Europa. E’ solo una parte del dramma. Bisogna anche vedere che cosa provoca la partenza di questi giovani: provoca un vuoto, un vuoto che fa male. Una nazione senza giovani è una nazione senza futuro. Si capiscono certo le loro motivazioni: questi giovani non vedono futuro nel loro Paese, sono costretti a partire, ma guardiamo anche al vuoto che lasciano qui in Siria.
D. – Loro che vengono a bussare all’Europa lo fanno, come lei dice, perché non vedono il futuro ma anche perché qualcuno ha portato la guerra nella loro terra e questa guerra è quella a cui si appella il Papa anche nel tweet di oggi: vogliamo ribadirlo che è quella l’origine di tutto?
R. - Questa è la chiave, il Papa lo ripete spesso: fermare la guerra. Lo ha detto anche quel ragazzo di 12 anni che le televisioni hanno trasmesso e giustamente ha detto: “Noi rimaniamo volentieri in Siria purché ci aiutate a fermare la guerra”. Un’altra considerazione. Tanti siriani soffrono, tanti siriani muoiono, direi, però anche la Siria nel complesso sta soffrendo e sta morendo.Muore di fame in alcuni luoghi, di sete in altri, muore di mal di cuore vedendo i suoi figli morire, chi affogano in mare, altri asfissiati in un camion, altri intrappolati in fili spinati, altri che vagano sui binari... Sta morendo vedendo i suoi gioielli archeologici fatti saltare in aria. Vorrei, allora, in questo momento critico in cui la comunità internazionale o la diplomazia sta cercando di duplicare, di moltiplicare gli sforzi per arrivare a una soluzione, lanciare un appello a tutti i siriani, soprattutto alle parti in causa. La Siria è la patria, è la madre comune. Allora, al letto di questa “madre morente”, superate le vostre divergenze con l’assistenza della comunità internazionale, datevi una mano subito per salvare la "madre". Sedersi al tavolo delle trattative per salvare la Siria, non c’è altra soluzione!
Francesco: nella Chiesa c'è una malattia, seminare divisione
Nella Chiesa c’è una malattia: quella di seminare divisione e zizzania. I cristiani, invece, sono chiamati a pacificare e riconciliare, coma ha fatto Gesù: è quanto ha detto il Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:
Semino pace o zizzania?
Nella Lettera ai Colossesi San Paolo mostra la carta d’identità di Gesù, che è il primogenito di Dio - ed è Dio stesso - e il Padre lo ha inviato per “riconciliare e pacificare” l’umanità con Dio dopo il peccato. “La pace è opera di Gesù” – ha detto il Papa - di quel suo “abbassarsi per obbedire fino alla morte e morte di Croce". “E quando noi parliamo di pace o di riconciliazione, piccole paci, piccole riconciliazioni, dobbiamo pensare alla grande pace e alla grande riconciliazione” che “ha fatto Gesù. Senza di Lui non è possibile la pace. Senza di Lui non è possibile la riconciliazione”. “Il compito nostro” – ha sottolineato Papa Francesco – in mezzo alle “notizie di guerre, di odio, anche nelle famiglie” – è essere “uomini e donne di pace, uomini e donne di riconciliazione”:
“E ci farà bene domandarci: ‘Io semino pace? Per esempio, con la mia lingua, semino pace o semino zizzania?’. Quante volte abbiamo sentito dire di una persona: ‘Ma ha una lingua di serpente!’, perché sempre fa quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace. E questo è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, seminare non la pace. Ma questa è una domanda che tutti i giorni fa bene che noi ce la facciamo: ‘Io oggi ho seminato pace o ho seminato zizzania?’. ‘Ma, alle volte, si devono dire le cose perché quello e quella…’: con questo atteggiamento cosa semini tu?”.
Chi porta pace è santo, chi "chiacchiera" è come un terrorista
I cristiani, dunque, sono chiamati ad essere come Gesù, che “è venuto da noi per pacificare, per riconciliare”:
“Se una persona, durante la sua vita, non fa altra cosa che riconciliare e pacificare la si può canonizzare: quella persona è santa. Ma dobbiamo crescere in questo, dobbiamo convertirci: mai una parola che sia per dividere, mai, mai una parola che porti guerra, piccole guerre, mai le chiacchiere. Io penso: cosa sono le chiacchiere? Eh, niente, dire una parolina contro un altro o dire una storia: ‘Questo ha fatto…’. No! Fare chiacchiere è terrorismo perché quello che chiacchiera è come un terrorista che butta la bomba e se ne va, distrugge: con la lingua distrugge, non fa la pace. Ma è furbo, eh? Non è un terrorista suicida, no, no, lui si custodisce bene”.
Mordersi la lingua
Papa Francesco ripete una piccola esortazione:
“Ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro… Mordersi la lingua! Io vi assicuro, eh? Che se voi fate questo esercizio di mordersi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere”.
Quindi, la preghiera finale: “Signore tu hai dato la tua vita, dammi la grazia di pacificare, di riconciliare. Tu hai versato il tuo sangue, ma che non mi importi che si gonfi un po’ la lingua se mi mordo prima di sparlare di altri”.
Papa: teologo è figlio del suo popolo, non separare dottrina e pastorale
Dottrina e pastorale sono legate come la preghiera e la vita. Così, in sintesi, Papa Francesco nel videomessaggio inviato al Congresso Internazionale di Teologia a Buenos Aires, svoltosi nel centenario della Facoltà di teologia dell’Università Cattolica Argentina e nel 50.mo anniversario del Concilio Vaticano II. Nel suo intervento, per la tre giorni di lavori, il Pontefice ha sottolineato l’importanza della memoria delle origini per poter affrontare con dinamismo le sfide del quotidiano, gioiosi nell’amore di Cristo. Massimiliano Menichetti:
Teologo è del popolo, credente, profeta
Memoria, studio e preghiera intrecciati alla concretezza della vita, dell’annuncio di Cristo. E’ la sfida che Papa Francesco ha ribadito ai tanti teologi riuniti per il Congresso Internazionale a Buenos Aires. Il teologo è principalmente figlio del suo popolo - ha spiegato - che “incontra le persone, le storie”, conosce “la tradizione”. “E’ l’uomo che impara ad apprezzare quello ha ricevuto come un segno della presenza di Dio”. Il teologo “è un credente” - ha proseguito - “che ha esperienza di Gesù Cristo e ha scoperto che senza di lui non può vivere”. Il teologo è un profeta perché riflettendo “la tradizione che ha ricevuto dalla Chiesa”, “mantiene viva la consapevolezza del passato”, creando l’invito al futuro in cui Gesù sconfigge l’autoreferenzialità e la mancanza di “speranza”. Centrale è la preghiera, via e realtà “tra passato e presente, tra il presente e il futuro”.
La memoria della Tradizione
Francesco ha sottolineato l’importanza di recuperare “la memoria del passaggio di Dio” nella “vita della Chiesa”, per sconfiggere divisioni e tentazioni. Guardando ai 100 anni della Facoltà teologica e ai 50 dal Concilio Vaticano II ha tracciato il legame tra tradizione e presente, tra studio e testimonianza in un “Cattolicesimo” che abbraccia tutto il tempo per poter essere “vero” e “autentico”. Ha spiegato che non può esistere una “Chiesa particolare isolata”, con la “pretesa di essere proprietaria e unica interprete della realtà e dell'azione dello Spirito”; così come - ha detto - non ci può essere una Chiesa universale che “ignora”, “rinnega” la realtà locale. Centrale è la tradizione della Chiesa definita “fiume vivo” che risale alle origini e si proietta verso il futuro, che “irriga” terre diverse, e “alimenta” varie aree geografiche del mondo”. Così - ha detto Francesco - si continua a ad “incarnare il Vangelo in ogni angolo” del pianeta in un modo “sempre nuovo”.
Relativismo e dignità della persona
In questo senso il compito del teologo è “di discernere”, “riflettere” su cosa significhi essere un cristiano di oggi. Perché - spiega il Papa - il cristiano di oggi in Argentina non è lo stesso di 100 anni fa e non lo è allo stesso modo “in India, in Canada, a Roma”. Volgendo lo sguardo in particolare alle sfide che affronta l’Argentina ha parlato di multiculturalismo, relativismo e globalizzazione, che a volte “minimizzano” la dignità della persona “rendendola un bene di scambio”. Ha ribadito la via del Vangelo, che “continua ad essere presente per placare la sete” “del popolo” e che permette di allontanare due grandi “tentazioni”: quella che condanna ogni cosa rifugiandosi “nel conservatorismo o nel fondamentalismo” e quella che consacra tutte le novità, tutto ciò che ha un "nuovo gusto", relativizzando “la saggezza”.
Dottrina e pastorale
In questo contesto – ha proseguito - lo studio della teologia acquista un valore di primaria importanza”, ma ha chiarito che non può esistere il concetto di mera “dottrina” “staccata dalla pastorale” e indicando i padri della Chiesa come “Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio” ha rimarcato che “sono stati grandi teologi perché erano grandi pastori”. Quindi è tornato a ribadire la necessità dell’incontro, con le famiglie, i poveri, gli afflitti, le periferie, vie per una “migliore comprensione della fede”. “Una teologia che nasce al suo interno - ha sottolineato - ha il sentore di una proposta che può essere bella, ma non reale”. Le “domande del nostro popolo - ha aggiunto -, la loro angoscia, i loro sogni, le loro lotte, le loro preoccupazioni hanno un valore ermeneutico", che non "possiamo" ignorare.
A sorpresa Papa Francesco in un negozio di ottica a Roma
Sorpresa nel centro di Roma per la presenza di Papa Francesco che si è recato, ieri sera, in un noto negozio di ottica di Via del Babuino a due passi da Piazza del Popolo per cambiare gli occhiali. Arrivato in auto è entrato nel negozio mentre all’esterno si è formato immediatamente un capannello di persone in attesa della sua uscita. Il Papa è stato accolto dal proprietario, Alessandro Spiezia, al quale, secondo il racconto dello stesso ottico, avrebbe detto: "Non voglio una montatura nuova, bisogna rifare solo le lenti. Non voglio spendere". Poi all'orecchio avrebbe aggiunto: "Mi raccomando, Alessandro: mi faccia pagare quello che è dovuto". Dopo circa 40 minuti, Papa Francesco ha lasciato il negozio e in auto, nella quale era presente il solo autista, è rientrato in Vaticano.
Musei Vaticani: al via aperture serali, presentata mostra su Costantino
Da questa sera ritornano le aperture serali dei Musei Vaticani. Fino al 30 ottobre, tutti i venerdì dalle 19.00 alle 23.00, i Musei del Papa apriranno le loro porte al tramonto. Intanto, sempre ai Musei Vaticani, è stata presentata la mostra allestita ad Amsterdam a partire dal 3 ottobre sul tema “Roma. Il sogno dell’imperatore Costantino”. Il servizio di Alessandro Filippelli:
L’idea è quella di mostrare la crescita del cristianesimo nella Roma tardoantica: da una piccola comunità religiosa, fino a diventare una religione in grado di esercitare una forte influenza sul mondo occidentale. Un passaggio reso possibile anche grazie al ruolo dell’imperatore Costantino e a una sua misteriosa visione. E grazie al particolare impulso dato da Papa Damaso nella seconda metà del IV secolo. Gli eccezionali prestiti raccontano una delle storie più affascinanti dell’età antica: scelte 86 opere, di cui 37 provengono dai Musei Vaticani. Sible de Blaauw, curatore della mostra:
“Per noi è un privilegio enorme, perché avremo opere veramente di grande importanza. E’ molto importante far conoscere nei Paesi Bassi questa storia che pure per la nostra cultura nazionale è veramente molto importante, anche se molto lontana nella memoria della gente. Vogliamo mostrare proprio nel cuore della città di Amsterdam, la capitale del Paese, la crescita e lo sviluppo del cristianesimo nella città di Roma, anche con il ruolo dell’imperatore Costantino”.
Di particolare interesse sarà l’esposizione di due statue dell’arte paleocristiana. Il cosiddetto “Cristo docente” del Museo Nazionale Romano e “Il Buon Pastore” concesso in prestito dai Musei Vaticani. Roberto Utro, curatore del reparto Antichità cristiane dei Musei Vaticani:
“I Musei Vaticani hanno ritenuto di dare un grande apporto. Raramente prestiamo così tante opere ad una mostra, non solo romana ma anche fuori dai confini dell’Italia. Per la prima volta si incontreranno due antiche immagini di Cristo: in una, Gesù è raffigurato come Pastore, nell’atto di portare sulle spalle la pecora; nell’altra, invece, Gesù è raffigurato come Docente, seduto in cattedra, come filosofo. Sono due immagini di Gesù antichissime, che esprimono la ricchezza del cristianesimo primitivo. L’arte ha mostrato Gesù come Salvatore e Gesù come Sapiente: mettere insieme questo e far comprendere questa varietà e questa ricchezza del cristianesimo primitivo credo sia importante anche per noi oggi”.
Altra scultura notevole, è una delle mani di marmo appartenenti a una statua colossale dell’imperatore Costantino proveniente dal cortile dei Musei Capitolini. La mostra, infine, verrà completata con monete e manoscritti provenienti dai Paesi Bassi.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
In prima pagina, in apertura, "Il fiume vivo"; in un videomessaggio alla facoltà teologica dell’Università cattolica argentina - pubblicato integralmente a pagina 8 il Papa ricorda il Vaticano II e sottolinea il collegamento dinamico tra tradizione e realtà. Accanto, l'editoriale del direttore, "Alla luce del Concilio".
Sempre in prima pagina, "Momento di verità": l’Europa cerca una strategia comune mentre cresce il flusso dei migranti e rifugiati che fuggono dai conflitti, accompagnato da un articolo dedicato al piano di Putin per fermare l’Is.
A pagina 4, "Giù le mani dalla Sfinge di Giza", Rossella Fabiani intervista l’archeologo egiziano Zahi Hawass e "Un’autobiografia nazionale; cattolici nella vita pubblica italiana" di Marco Bellizi.
Aylan sepolto a Kobane. La morte del bimbo che sconvolge l'Europa
Creazione immediata, soprattutto in Italia e Grecia, di “hot spot” centri per migranti e richiedenti asilo, e assunzione di responsabilità da parte di tutti gli stati dell’Unione. Lo chiedono la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Hollande in una lettera inviata alle autorità europee. Le porte di alcuni paesi intanto cominciato ad aprirsi, sulla scia soprattutto dell’emozione suscitata da foto del piccolo bimbo siriano morto sulla spiaggia di Bodrum. Francesca Sabatinelli:
E’ tornato a Kobane Abdullah Kurdi, proprio da dove era fuggito con la sua famiglia, ed è lì che li ha riportati tutti e tre, moglie e due figlioletti, di 3 e 5 anni, per seppellirli, dopo la loro morte nel mare turco, una tragedia che a lui ha distrutto la vita, mentre al mondo intero sembra aver risvegliato la coscienza. Aveva tentato di salvarli i piccoli Aylan e Galip ma gli erano scivolati dalle mani, nonostante i giubbotti di salvataggio. La foto di Aylan riverso sulla spiaggia ha sconvolto gli europei, e mentre ci si chiede ancora se sia stato giusto o meno averla pubblicata, tra tutte è soprattutto la reazione dei britannici a farsi sentire, che si sono mobilitati per donazioni, collette e raccolte aiuti in favore dei migranti, mentre il loro premier, David Cameron, ha già annunciato che il suo Paese è pronto a fornire sistemazione ad altre migliaia di profughi provenienti dalla Siria, oltre ai cinquemila già accolti. Si parla di altri quattromila, cifra però da confermare. Testa e cuore, spiega Cameron, saranno dietro ogni scelta britannica, di fronte a quella che definisce “la maggiore sfida” per l’Europa. Altre 30mila persone potranno arrivare in Polonia, che per questo sta approntando un piano di emergenza.
Il vecchio continente sta “affrontando il più grande afflusso di profughi degli ultimi decenni”, spiega l’Alto commissario Onu per i rifugiati Guterres, che sollecita un programma di ricollocazione di massa per circa 200mila rifugiati. Per Guterres servono misure urgenti e coraggiose, e “una strategia comune, fondata su responsabilità, solidarietà e fiducia”, e tutti i paesi Ue devono partecipare, soprattutto in aiuto di Grecia, Italia e Ungheria, Paese quest’ultimo che ha toccato il nuovo record di arrivi in 24 ore: 3.313 tra migranti e profughi, mille in più rispetto al giorno prima, perlopiù siriani, afghani e pakistani. Budapest oggi ha chiuso uno dei confini con la Serbia dopo la fuga di 300 persone da un centro. A Bickse, a nord della capitale, prosegue per il secondo giorno l’impasse tra polizia e migranti che rifiutano di scendere da un treno per essere trasferiti in uno degli altri centri di accoglienza ungheresi.
I centri per i migranti e richiedenti asilo dovranno essere “pienamente operativi” entro la fine del 2015, scrivono Merkel e Hollande nella lettera inviata ai presidenti del Consiglio europeo e della Commissione, e al premier lussemburghese ora presidente di turno dell’Ue. Si dicono determinati a difendere Schengen i due leader europei, il trattato che "garantisce la libera circolazione" in seno all'Ue e "permette agli stati membri di meglio far fronte alle sfide che si trovano davanti". L’esodo dalla Siria e dal Nordafrica verso l’Europa è una emergenza enorme, una crisi reale che si protrarrà per almeno 20 anni. E’ la preoccupazione del Pentagono che interviene sulla questione per mezzo di uno dei suoi massimi vertici, il generale Dempsey. Proseguono intanto gli sbarchi in Italia, dalle coste calabresi a quelle siciliane, si parla di centinaia di persone, tra loro, come di consueto, moltissimi bambini. E anche oggi si parla di tragedie in mare, perché secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni almeno trenta persone risulterebbero disperse a largo della Libia, dopo l’affondamento del canotto che avrebbe dovuto condurli in Europa.
Mons. Lazzarotto: ristabilire clima fiducia tra israeliani e palestinesi
È necessario e urgente “promuovere un clima di fiducia tra israeliani e palestinesi”. Lo hanno evidenziato Papa Francesco e il presidente israeliano Reuven Rivlin, ricevuto in udienza ieri in Vaticano. Sollecitata pure la ripresa di “negoziati diretti” tra i due popoli, come contributo “fondamentale” alla pace e alla stabilità del Medio Oriente. Ascoltiamo l’arcivescovo Giuseppe Lazzarotto, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Non manca lo spazio per rendere effettiva questa fiducia, ritornare ai negoziati diretti, al dialogo diretto: è l’aspirazione che portiamo tutti nel cuore, non solo noi della Chiesa cattolica e le nostre istituzioni, ma tantissime persone in tutti i campi. Questa linea di azione a noi sembra l’unica possibile per uscire da un certo impasse pericoloso, perché sono note le tensioni che durano da tanto tempo, ma se non si ristabilisce questo clima di fiducia e se non si arriva al colloquio diretto, onesto, sincero, leale questi focolai di tensione rischiano di sfuggire di mano, di andare fuori controllo, con conseguenze negative.
D. - Proprio per riavviare i negoziati diretti, quanto è importante che ci sia stato un appello congiunto del Pontefice e del capo di Stato israeliano?
R. – Mi pare che rappresentino non solo i vertici della Chiesa cattolica e dello Stato di Israele, ma direi che rappresentano la parte più sana della società. Bisogna ascoltare questi appelli. Il Santo Padre è venuto in Terra Santa un anno fa e non ha mancato occasione per sottolineare l’importanza del dialogo diretto in un clima di mutuo rispetto e fiducia. È un messaggio che il Papa continua a lanciare in tutte le occasioni, in tutti i modi, anche tenendo conto del contesto più ampio del Medio Oriente.
D. - Si è auspicato di raggiungere un accordo rispettoso delle “legittime aspirazioni” dei due popoli. E proprio di “auspicata soluzione dei due Stati” parlò anche mons. Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, in occasione della firma dell’accordo globale tra Santa Sede e Stato di Palestina…
R. - Quella è la soluzione che al momento appare come la più fattibile. Ci sono tanti ostacoli che impediscono di andare avanti in questa strada, però fondamentalmente credo si tratti di buona volontà, sincerità e lealtà reciproca. Se ci sono queste premesse, si può arrivare. Anche la comunità internazionale, ormai a grande maggioranza, vede come unica soluzione possibile quella dei due Stati.
D. - In questi giorni ha scioccato l’immagine del bimbo siriano, Aylan, anch’egli vittima di una delle tante guerre che sconvolgono il Medio Oriente. Come superare l’immobilismo e l’indifferenza di fronte a questi conflitti?
R. – Parlando dalla Terra Santa, mi sembra che se non si arriva a stabilire questa atmosfera, non solo qui in Terra Santa ma nella regione del Medio Oriente, difficilmente si potranno evitare queste grandi tragedie che sono davanti agli occhi di tutti. Ci vuole un’azione concertata, come da tanto tempo ripetono in molti, anche in campo europeo. Ci vuole pure un impegno serio che deve saper superare quelle che possono essere sia pure legittime preoccupazioni per ‘interessi’ diretti: però questa attenzione agli ‘interessi’ - chiamiamoli così - non deve diventare chiusura egoistica.
D. - Lei ha citato il viaggio del Papa in Terra Santa, l’anno scorso. Ricordiamo anche che a giugno 2014 il predecessore di Rivlin, Shimon Peres, venne dal Papa con il Presidente palestinese Abbas e con il patriarca Bartolomeo. Quella richiesta di pace per il Medio Oriente che si levò dai giardini vaticani oggi come risuona in Terra Santa?
R: - È sempre presente e costituisce un punto di riferimento molto chiaro e sicuro. Mi pare che il Santo Padre abbia voluto indicare chiaramente che, oltre alle soluzioni tecniche e politiche, c’è un’altra dimensione che non può essere messa da parte, dimenticata. Se vogliamo veramente costruire quell’atmosfera di fiducia reciproca - perché lasciare le soluzioni ai tecnici e ai politici sappiamo essere una strada difficile, lunga - bisogna incoraggiare tutti, anche i politici, ad entrare in una dimensione diversa. Mi pare che il senso del messaggio che il Santo Padre ha lanciato e continua a lanciare sia proprio questo.
Colombia-Venezuela: iniziativa di pace dei vescovi dei due Paesi
A seguito della crisi tra Colombia e il Venezuela, il cui governo ha avviato nei giorni scorsi l’espulsione dal Paese di molte centinaia di cittadini colombiani, le Conferenze episcopali di Colombia e Venezuela hanno cominciato ieri a Bogotà i lavori per un’iniziativa congiunta in favore della pace e in segno di solidarietà con le popolazioni dei due Paesi. Sentiamo al microfono di Alvaro Vargas Martino, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, presidente della Conferenza episcopale colombiana.
R. – Io penso che pur essendo grave e doloroso quello che è capitato ai colombiani espulsi dal Venezuela, il problema del popolo venezuelano è mille volte più grande perché è un problema politico, sociale ed economico di intensità molto forte. Per cui è importantissimo che possiamo avere espressioni di mutua solidarietà però anche studiare la possibilità di collaborare pastoralmente in quella regione di frontiera dove ci sono diocesi colombiane e anche diocesi venezuelane.
D. – Secondo lei c’è il rischio che l’attuale crisi tra il Venezuela e la Colombia possa incidere anche sul processo di pace con le Farc a Cuba?
R. – Il mio atteggiamento è stato un energico “no” a mettere in rapporto il processo di pace di Cuba con questo che è accaduto. Sono due cose differenti. Se noi cominciamo a relazionare una cosa con l’altra facciamo che questo diventi a un certo punto di dimensioni incontrollabili. Invece sono due cose molto differenti e dobbiamo rispettare l’apporto del Venezuela al processo di pace. Non si possono relazionare o mettere in rapporto una cosa con l’altra. Per cui io sono molto energico contro coloro che cominciano a dire: “E’ meglio che il Venezuela non stia più davanti nel processo di pace”. Questo è proprio sciocco.
D. – Come vengono accolte le parole della Chiesa in Colombia?
R. – Certamente in Colombia la voce della Chiesa è molto ascoltata e siamo in buoni rapporti. Per cui penso che possiamo incidere in qualche maniera anche in tutto questo processo.
Burundi. P. Marano: unico futuro è che Hutu e Tutsi vivano insieme
In Burundi “c’è soltanto una strada: quella di mettersi insieme, di vivere insieme”: questo l’appello del padre saveriano Claudio Marano, missionario per 30 anni nel Paese, alla guida del Centro giovanile Kamenge che assiste circa 45mila ragazzi. Intanto, continua a salire il livello di violenza nella capitale Bujumbura, dove almeno altre 4 persone sono state uccise nel corso di sparatorie, avvenute durante le ultime due nottate. Gli scontri si sono verificati nei quartieri di Nyakabiga, Cibitoke, Musaga, dove le proteste contro il terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza, eletto lo scorso 21 luglio, sono state più forti da quando aveva annunciato la sua candidatura nel mese di aprile. Maria Caterina Bombarda ha intervistato padre Claudio Marano che ha spiegato il motivo delle tensioni nel Paese:
R. – Quello che resta sempre un punto interrogativo per il Burundi è il fatto di non riuscire a mettere la politica sulla strada della democrazia; ma chi va al potere si porta dietro tutto il Paese. Il fatto che, oggi, ci sia un governo con i ministri già eletti nel Paese ed un altro fuori, questo porta il Paese a una situazione di degrado impossibile. Ogni sera ci sono spari, morti, e la mattina questi quartieri sono completamente circondati dalla polizia che passa di casa in casa a controllare e a vedere se trova le armi, e - guarda caso ! - non le trova mai.
D. – Qual è la situazione oggi del Centro Giovani Kamenge?
R. – Il fatto che non continui tutto come prima è un problema legato alla situazione politica attuale. Il problema per il Centro è quello di riuscire a sopravvivere in mezzo ai quartieri. Il metodo del Centro è uno: “Lavora per riuscire a far comprendere a tutti che è bello vivere insieme, nonostante le differenze”.
D. – Parlando di Tutsi e Hutu: l’alternanza al potere tra queste due etnie si rifà agli accordi di Arusha del 2000. Tuttavia, questa è una visione che sembra rifiutata dalla maggioranza della popolazione, vero?
R. – Non è la popolazione che la rifiuta, ma è la gente che è al potere. Nonostante tutto, non si capisce pienamente perché in ogni partito politico ci debbano essere i Tutsi e gli Hutu nella stessa quantità. Ad Arusha una serie di cose è stata messa in ordine. Nonostante tutto questo, però, non si riesce a vivere insieme, perché quello che prima era il problema tra Tutsi e Hutu, oggi è diventato il problema del partito al potere contro tutta l’opposizione.
D. – Ma secondo lei queste manifestazioni popolari sono spontaneamente nate dal basso o in qualche modo sono veicolate?
R. – Anche le manifestazioni non sono popolari: tutto è guidato in Burundi. C’è il partito che è al governo che ha le milizie e le paga e poi c’è l’opposizione che paga i giovani per manifestare. I giovani e la popolazione accettano questa situazione, perché non hanno lavoro, non hanno soldi: lo fanno per non morire di fame. E fanno un calcolo molto semplice: morire di fame oggi o essere fucilati è la stessa cosa.
D. – Secondo lei, qual è la strada possibile per uscire da questo impasse?
R. – C’è soltanto una strada: quella di mettersi insieme, di vivere insieme. Ai giovani ho sempre detto: “Non dovete essere la fotocopia dei vostri genitori, voi dovete essere un’erba nuova!” L’unica soluzione per il Burundi è questa: che Tutsi e Hutu vivano insieme, che gente di diverse religioni, partito politico o estrazione sociale vivano insieme.
D. – Questo è l’appello che lei fa ai giovani e alla comunità internazionale?
R. – Che la storia non insegna assolutamente niente! Che non si deve aiutare il Paese soltanto per quanto riguarda lo sviluppo, ma bisogna aiutarlo a crescere psicologicamente e moralmente… Solo così può funzionare. Non si può soltanto dare da mangiare o curare, perché poi una guerra può distruggere di nuovo tutto.
Salvini al Cara di Mineo. Il vescovo Peri: c'è chi cerca notorietà
Visita del leader della Lega Matteo Salvini al Cara di Mineo. Una visita legata all’omicidio dei coniugi Solana, compiuto - secondo la magistratura - da parte di un ospite del Centro. Per Salvini, il Cara va chiuso anche perché coloro che hanno diritto all’asilo sarebbero una minoranza. Alessandro Guarasci ha sentito il vescovo di Caltagirone, mons. Calogero Peri:
R. – Io inviterei tutti a prendersi le proprie responsabilità, a non strumentalizzare questo momento e soprattutto a non venire qui a colonizzarci con le proprie idee. Che ci rendano, a noi che conosciamo meglio il territorio, un poco più artefici di riuscire a dipanare questa situazione. Gli altri fanno queste puntate, cercano notorietà, poi i problemi restano a noi.
D. – L’alternativa però sarebbe chiudere il Cara di Mineo, secondo lei...
R. – Il Cara può funzionare a mio modesto modo di vedere come un centro di smistamento, laddove stai un mese-15 giorni. Io so che i nostri sindaci, quando furono convocati per l’apertura del Cara, dissero in maniera molto semplice che sarebbe stato preferibile che, se il Cara doveva accogliere tremila persone, 15 comuni ne avrebbero accolte 200 ciascuno integrando così meglio gli immigrati.
D. – Dunque un’accoglienza più diffusa a livello locale sarebbe stato meglio piuttosto che un grosso centro…
R. – Sì; poi c’erano anche i bandi con cui sono state assegnate le gestioni del Cara, alcuni sembravano pilotati... Noi come Chiesa abbiamo fin dall’inizio tentato in tutti i modi di umanizzare per quello che era possibile. Alcune cose ci sono state permesse, altre no. Le parrocchie avevano chiesto di creare lì un luogo di culto ma non è possibile perché sarebbe un’ingerenza esterna…
Caporalato: oltre 100mila i lavoratori agricoli coinvolti
Questo pomeriggio, il Guardasigilli Andrea Orlando e il ministro delle politiche agricole Maurizio Martina illustrano le linee dei prossimi interventi normativi del governo per sconfiggere il fenomeno del caporalato. E' quanto annuncia il ministero della Giustizia in una nota. Un gravissimo sfruttamento lavorativo, che coinvolge in Italia oltre 100mila lavoratori agricoli, dalla Sicilia che appare come la regione italiana nella quale è maggiore lo sfruttamento dei lavoratori, fino al Piemonte, dove è in corso un'inchiesta sugli stagionali per la vendemmia. Ma su questo fenomeno ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro.
Sono 400mila, i lavoratori stagionali nel settore dell’ agricoltura e 100mila di loro vivono in condizioni di disagio. La Cgil ha recensito 80 Centri dove esiste il fenomeno del caporalato, che è diffuso dal nord al sud dell’Italia. La maggior concentrazione resta comunque al sud della penisola, soprattutto in Sicilia, Puglia, Campania e Calabria. Ascoltiamo don Francesco Catalano direttore della Caritas Diocesana di Foggia-Bovino, dove sono numerosi i gruppi di braccianti arrivati per la raccolta del pomodoro, l’oro rosso del sud.
“La Capitanata – come sappiamo – è un giacimento di questo “oro rosso”, che è appunto il pomodoro. E laddove c’è ricchezza si infiltra sempre la criminalità e quindi parliamo di tutta quella rete della criminalità che vede anche la presenza del caporalato. Naturalmente si gioca molto sulla difficoltà anche degli agricoltori di far fronte alle spese a causa del prezzo del pomodoro che si abbassa sempre di più e ci sono quelli che allora sono tentati di risparmiare utilizzando lavoratori a nero o sottopagati. D’altra parte ci sono le vittime - che sono appunto i migranti - disposte a tutto pur di portare qualche soldo a casa per aiutare le famiglie…
E disumane le condizioni lavorative a cui sono sottoposte queste persone. 12 ore di lavoro ed anche oltre per una media di 25 euro al giorno. a cui vanno tolte 5 euro per il trasporto, 3 euro per un panino e 1.50 per una bottiglia d’acqua. Ascoltiamo ancora don Francesco Catalano.
“C’è tutta una rete di criminalità, che parte anche dai Paesi di origine: ci sono annunci fatti i diversi Paesi – magari come la Romania - dove si offre la possibilità di lavorare in Italia… Quando poi arrivano qui, però, non trovano quello che era stato proposto loro: trovano uno sfruttatore che li sequestra e che li costringe a lavorare per pagare il debito contratto per il viaggio e per l’alloggio in questi casolari abbandonati… Chi non muore in mare, affogato, rischia poi di morire in terra, perché lavorare così, tante ore sotto il sole…. Mancano le condizioni per potersi riposare e bere dell’acqua fresca…
D. – In che modo cerca di dare loro una mano?
R. – Attraverso il “Progetto Presidio”, un progetto voluto dalla Cei già dal 2014. Come Caritas diocesana di Foggia siamo una delle dieci coinvolte in questo progetto e abbiamo degli operatori – ne abbiamo quattro – che vivono con i migranti e frequentando i “ghetti” dove alloggiano. Quando tornano dal lavoro, la sera, è il momento in cui si può dialogare con loro, parlare con loro e ascoltare le loro storie. Naturalmente laddove si riscontrano casi di sfruttamento, di riduzione in schiavitù o quant’altro, li invitiamo a denunciare e li accompagniamo presso i sindacati, l’ispettorato del lavoro. C’è sempre la paura di denunciare e non soltanto per le conseguenze fisiche di ritorsione, ma anche per l’aspetto economico, perché se denuncio non lavoro più. Allora è meglio lavorare sfruttati che non lavorare per niente. Come Caritas, naturalmente forniamo alle forze dell’ordine, alla prefettura, ai carabinieri le informazioni che riusciamo a raccogliere, perché poi loro facciano il loro lavoro investigativo e quindi punire i criminali.
A Venezia il film sulla pedofilia nella diocesi di Boston
E' stato presentato ieri sera fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia uno dei film più attesi, "Spotlight" con il quale il regista statunitense Thomas McCarty ripercorre la storia della famosa inchiesta che nel 2002 portò alla luce lo scandalo e l'orrore della pedofilia tra i sacerdoti della diocesi di Boston. Dal nostro inviato a Venezia, Luca Pellegrini:
Proprio mentre a New York crollavano, in quel fatidico 2001, le Twin Towers centrate dagli aerei civili, portando con sé nel baratro centinaia di vittime innocenti, nella Boston cattolica le fondamenta di quella grande e antica diocesi cedevano non perché attaccate da qualche forma di terrorismo umano, ma dalla forza inesauribile e incontenibile della verità. Non secondario il fatto che fosse un manipolo di validi giornalisti del quotidiano "Boston Globe" a rendersi interpreti della loro più pura vocazione, quella cioè di trovare i fatti, verificare le fonti, raccontarli e rendersi, per il bene della comunità e di una città, paladini di un bisogno di giustizia. Grazie all'unità Spotlight - da qui il titolo del film di McCarty - il 6 gennaio del 2002 solennità dell'Epifania, una data scelta non a caso, uscì un numero storico del giornale che in prima pagina scoperchiava l'orrore già in parte noto e troppo a lungo da molti taciuto, quello della pedofilia diffusa tra i sacerdoti cattolici della diocesi americana, con centinaia di vittime sulla coscienza non solo di chi il crimine l'aveva operato, ma anche di chi lo aveva nascosto, ancor peggio negato. Il film ricostruisce in modo avvincente e lineare soltanto ciò che accadde dentro e fuori le mura di quel giornale in quel periodo limitato di tempo. Il regista, dunque, non cade mai nell'interpretazione personale e nella trappola dello scandalo, mentre gli straordinari interpreti, tra cui Mark Ruffalo e Michael Keaton, si limitano ad essere soltanto ciò che i loro personaggi reali fecero e dissero. Un atteggiamento onesto e necessario, quando un film tocca temi così sensibili e delicatissimi per tutta la comunità dei fedeli, quando un velo tragico finalmente si squarciava per poi ricomporsi e diventare quello capace di asciugare le lacrime, lenire il dolore e purificare.
Per la Chiesa degli Stati Uniti fu cruciale stabilire il confine tra verità e crociata ideologica, accettare nel suo seno il peccato, ammetterlo pubblicamente, pagarne tutte le conseguenze, che furono non soltanto economiche, ma di immagine e fiducia. Come ha specificato il regista, infatti, non furono soltanto incommensurabili ferite fisiche quelle che gli adolescenti subirono, ma anche non rimarginabili ferite spirituali. E Ruffalo ha confessato che il film non è stato fatto per distruggere un sistema, ma per mostrare la verità e permettere a tutti di riallinearsi alla sua scia. Ebbe il coraggio, la Chiesa, alzandosi da quelle macerie, di mostrarsi nella sua nuda povertà, di anelare alla trasparenza, di denunciare i peccatori, di chiedere perdono, di allontanare chi il peccato lo aveva permesso, pur conoscendolo. Il film non riesce a contenere tutti i fatti accorsi durante quel paio di anni cruciali per la storia della Chiesa universale e del giornalismo americano, ma inserisce tutte le notizie che il pubblico dovrebbe trattenere, per formarsi un giudizio onesto. Minore ironia sul trasferimento del cardinale Law a Roma, colpito dalle accuse ben note, e l'informazione che uno dei più diabolici predatori, John Geoghan, sia stato strangolato in carcere nell'agosto del 2003, avrebbero dato il credito finale a un film del quale la Chiesa non dovrebbe aver paura, come oggi non ha. Dopo quegli anni e quei fatti le decisioni dei Papi, dei Dicasteri vaticani e delle Conferenze episcopali, sono state tutte indirizzate all'estirpazione del male sempre e ovunque, e McCarty non ne dovrebbe dubitare. Ci sono poi gli atti della giustizia terrena che possiamo conoscere e commentare, mentre di quella divina - cui anche ci si affida - non ne conosciamo né il tempo né il modo.
Siria: nessuna conferma sulla sorte di padre Murad
"Che padre Jacques Murad sia vivo, naturalmente è un'ipotesi: fortunatamente non c'è nessuna prova della sua morte" commenta così al quotidiano Avvenire il padre Jihad Youssef della Comunità di Mar Musa. "Due giorni fa Michael Naham, un sacerdote siro-cattolico, ha dichiarato di aver saputo che padre Jacques è vivo. Se questo ci può far sperare, si tratta comunque di voci incontrollate, di notizie riportate di seconda o di terza mano". Solo voci, nessuna prova. Ricordiamo che padre Murad era stato sequestrato lo scorso 21 maggio da un commando di jihadisti mentre si trovava nel monastero di Mar Elian poi distrutto dagli stessi miliziani del sedicente Stato Islamico.
Non esiste nessuna lettera di padre Murad ai monaci del monastero di Mar Musa
"Su questo vorrei essere molto chiaro - precisa padre Jihad - la nostra comunità non ha ricevuto nessuna lettera, nessun documento da padre Jacques". Nemmeno le numerose dichiarazioni di questi giorni dimostrerebbero per la Comunità di Mar Musa che qualcosa nella trattativa si sta muovendo: "Da quando padre Murad è stato rapito, si sono presentate molte persone che assicuravano di poter trattare con i rapitori ma le promesse di fornire prove in una settimana, massimo 10 giorni, non sono mai state mantenute. A maggior ragione adesso non diamo credito a nulla, se non di fronte a prove certe e inequivocabili".
Non esiste nessun video di padre Jacques
"Per questo dire che c'è un video con padre Murad che afferma di stare bene oltre che una falsità è molto pericoloso: un'operazione per cui vorrei esprimere la mia indignazione" conclude padre Jihad Youssef. Fonti contattate dall'agenzia Fides specificano che il servizio sulla vicenda di padre Murad trasmesso nei giorni scorsi dalla rete televisiva libanese Nursat Tv non conteneva alcuna dichiarazione in prima persona del religioso rapito, ma solo considerazioni rassicuranti sulla sua sorte, espresse da un altro sacerdote. (R.P.)
Vescovi Ungheria sui migranti: trovare forme efficaci di assistenza
“La Conferenza episcopale ungherese sollecita le istituzioni caritative cattoliche - in sintonia con quanto già chiesto da Papa Francesco - a trovare i modi più efficaci per fornire assistenza in collaborazione con gli enti pubblici per quanto si sta verificando nel Paese, nel rispetto dei diritti specifici di questa situazione umanitaria”. Così si legge in una “dichiarazione sulla situazione dei rifugiati” pubblicata ieri e adottata durante la sessione autunnale della Conferenza episcopale ungherese (Budapest, 1-2 settembre). I vescovi - riferisce l'agenzia Sir - sentono “il peso di questa situazione storica” e sono “interessati a conoscere le sorti dei cristiani in Medio Oriente”, pur sottolineando “il diritto e il dovere degli Stati di proteggere i propri cittadini”.
Mons. Veres nuovo presidente dei vescovi ungheresi
I vescovi ungheresi, nel corso dell’Assemblea plenaria, hanno eletto alla presidenza della Conferenza episcopale il vescovo di Szombathely, Andras Veres. Il cardinale primate di Budapest Peter Erdö, che è anche presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha infatti terminato i 5 anni del suo mandato. Il neo-presidente, 55 anni, già segretario della conferenza episcopale tra il 1998 al 2006, è stato ordinato vescovo da Giovanni Paolo II a Roma il 6 gennaio 2000. Fino ad ora, in seno alla Conferenza episcopale ungherese, era responsabile per la pastorale della famiglia. (R.P.)
Vescovi Messico: spazi aperti ad una migrazione degna
“Come ogni persona ha il diritto di difendere la propria identità, di porre limiti ai suoi spazi, così ha anche la necessità vitale di aprire le sue frontiere per andare incontro all'altro, per donare la sua ricchezza e riceverla dagli altri. Nessuno vive da solo”. Mons. Guillermo Ortiz Mondragón, vescovo di Cuautitlán, incaricato della Pastorale delle Migrazioni della Conferenza episcopale messicana, nel suo messaggio per la Giornata del Migrante, che in Messico verrà celebrata domenica prossima, 6 settembre.
La mobilità non apre l'orizzonte della vita alle persone
Nel testo, ripreso dall’agenzia Fides, il vescovo sottolinea che non solo in Messico, ma in tutto il mondo, la realtà della mobilità umana viene oggi contraddistinta “da una globalizzazione che perde di vista la persona e Dio; dall’insicurezza causata dalla violenza, dalla criminalità organizzata. Spesso non è più una mobilità che apre l'orizzonte della vita alle persone”.
La cura della Chiesa per i migranti
Il vescovo ricorda che in Messico la Chiesa si prende cura direttamente dei migranti in 60 Case e Centri, grazie al servizio generoso di laici, consacrati e ministri ordinati. Inoltre, nel dialogo con le istituzioni, si impegna a promuovere leggi e regolamenti secondo i principi della giustizia e della carità per questi fratelli.
Siamo tutti in cammino verso la meta definitiva che è Dio stesso
“Celebrando la Giornata nazionale del Migrante in Messico – conclude il messaggio -, facciamo appello alle nostre autorità e a tutte le persone di buona volontà, perché continuino a lottare perché la nostra nazione sia uno spazio aperto ad una migrazione degna, nella giustizia e nella pace, ricordando che tutti siamo in cammino verso la meta definitiva che è Dio stesso”. (S.L.)
Portogallo. Card. Clemente: risposte concrete per i profughi
Dare una risposta più umana e fattiva al dramma dei rifugiati in Europa. E’ l’appello indirizzato ai fedeli dal patriarca di Lisbona, card. Manuel Clemente, nella lettera per l’apertura del nuovo anno pastorale della diocesi. La missiva esorta “le famiglie, le comunità e le organizzazioni cattoliche” locali ad accogliere l’invito rivolto da Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario “Misericordiae Vultus” ad “aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali” per dare, come credenti, “una testimonianza forte ed efficace della Misericordia di Dio”.
Urgente una risposta globale all’emergenza rifugiati
“La drammatica situazione di migliaia di persone che cercano di raggiungere l’Europa , affrontando terribili difficoltà per cercare pace e sostentamento per sé e le proprie famiglie – scrive il presidente dei vescovi portoghesi – esige da tutti noi una risposta più umana e adeguata”. Una risposta - sottolinea - che deve essere “globale”, data la “complessità” dei problemi da risolvere “nel breve, medio e lungo termine”.
La preparazione al Sinodo diocesano del 2016
Nella lettera, il card. Clemente ricorda quelli che saranno gli appuntamenti salienti della Chiesa di Lisbona nel nuovo anno pastorale: a cominciare dal Sinodo diocesano del 2016, convocato in occasione del terzo centenario della bolla pontificia con cui, nel 1716, Clemente XI elevò l’arcidiocesi di Lisbona al rango di patriarcato. A fare da sfondo all’evento, in avanzata fase di preparazione, l’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” e in particolare l’invito di Papa Francesco ad essere Chiesa “in uscita” per raggiungere i margini, le periferie, le frontiere interne della società, e a sperimentare nuovi modi di raccontare la fede e di fare comunità. Il testo pontificio sarà la base del documento di lavoro del Sinodo diocesano che dovrà definire le linee di azione pastorale della diocesi nei prossimi anni. Quindi, il patriarca di Lisbona ricorda altri tre appuntamenti importanti che stimoleranno la vita della Chiesa locale: il prossimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia a ottobre; il Giubileo della Misericordia e la visita nella diocesi, a gennaio e febbraio, dell’immagine pellegrina della Madonna di Fatima, che lo scorso maggio ha iniziato un pellegrinaggio in tutte le diocesi del Portogallo in preparazione alle celebrazioni del centenario delle apparizioni della Vergine ai tre pastorelli nel 2017.
La Chiesa farà sentire la sua voce alla prossime elezioni
L’ultima parte della lettera pastorale è dedicata alle elezioni politiche del prossimo autunno. Anche in questa occasione, sottolinea il card. Clemente, la Chiesa portoghese non mancherà di adempiere al “dovere civico” di fare sentire la sua voce, ispirandosi al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa. Particolarmente attuali e illuminanti in questo senso saranno le indicazioni offerte da Papa Francesco nell’enciclica “Laudato sì” sulla cura della casa comune, con la sua proposta di un’”ecologia integrale” in cui la preoccupazione per la natura, l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, la difesa della vita e della dignità umana, risultino inseparabili. (A cura di Lisa Zengarini)
Terra Santa: un dossier sul devastante Muro di Cremisan
“L'ultimo chiodo sulla bara di Betlemme: il Muro di annessione di Cremisan”. Così si intitola un nuovo, dettagliato rapporto, diffuso ieri dalla Societé St Yves, centro cattolico per i diritti umani collegato con il patriarcato latino di Gerusalemme. Il dossier di 90 pagine, corredato di mappe e foto – spiegano le fonti ufficiali del patriarcato – intende ricostruire e analizzare in tutte le sue implicazioni, presenti e future, il “caso Cremisan”, la costruzione del Muro di separazione imposto dalle autorità israeliane e costruito in buona parte su terre palestinesi. La sua realizzazione, prima interrotta e poi di nuovo autorizzata dalle Corte suprema d'Israele, sfigurerà per sempre la valle di Cremisan, polmone verde per tutta l'area ad alta densità abitativa che comprende le città di Betlemme, Beit Jala e Beit Sahour.
Gli espropri faranno sorgere nuovi insediamenti di coloni ebraici
In particolare viene prefigurato l'impatto devastante che la costruzione del Muro avrà sulle famiglie cristiane che vivono in quell'area. “Non ci sarà più futuro per la permanenza dei cristiani: la densità abitativa si alzerà a livelli insostenibili e tanti finiranno per scegliere la via dell'esodo, che già da tempo sta riducendo la presenza cristiana in Terra Santa” ha dichiarato all'agenzia Fides Vera Baboun, sindaco di Betlemme. Nel dossier della Societé St Yves vengono ricostruiti ed esaminati gli intrecci tra le leggi civili e quelle militari israeliane utilizzati per la confisca di terre private palestinesi, con l'intento di utilizzare tali aree per far sorgere nuovi insediamenti di coloni ebraici. (G.V.)
Kenya: sciopero docenti. Appello dei vescovi al dialogo
Aule scolastiche chiuse, in questi giorni, in Kenya, a causa dello sciopero degli insegnanti. All’origine della protesta, la problematica questione dell’aumento salariale: se, infatti, da una parte c’è una recente sentenza della Corte Suprema che obbliga il governo ad aumentare del 50% lo stipendio dei docenti, dall’altra c’è il rifiuto dell’esecutivo di applicare la normativa, motivato dalla mancanza di fondi. In questa diatriba, interviene la Chiesa cattolica locale, invitando al dialogo le due parti in causa.
Permettere agli studenti di proseguire la formazione
In particolare, la Conferenza episcopale locale (Kccb) chiede che si realizzi un incontro tra il Ministero del Tesoro, quello dell’Istruzione ed i due principali sindacati degli insegnanti, ovvero la Commissione per il servizio docenti e la Commissione per il salario e la remunerazione. “Al contempo – sottolinea mons. Maurice Makumba, responsabile del settore Educazione nella Kccb – lanciamo un appello affinché le scuole restino aperte, così che gli studenti possano continuare a prepararsi agli esami di Stato”.
Preoccupazione per eventuali ricadute dello sciopero sullo sviluppo del Paese
Invitando, poi, ad attendere con pazienza che il governo lavori al sistema di pagamento del corpo docente, il presule sottolinea che “uno stallo tra le parti in causa verrebbe visto, dai ragazzi che vanno a scuola, come una sofferenza ed un’ingiustizia”. Non solo: dalle parole di mons. Makumba emerge anche la preoccupazione per eventuali ricadute che tale sciopero potrà avere sull’istruzione nelle scuole pubbliche e, a lungo andare, sullo sviluppo sociale ed economico nel Paese.
L’educazione al centro dell’attività pastorale della Chiesa in Kenya
Da ricordare che la Chiesa in Kenya è una realtà molto strutturata e attiva nel campo educativo, seguito con particolare attenzione dall’episcopato, tanto che le scuole gestite dagli Istituti religiosi sono all'avanguardia e molto ricercate. Centinaia, inoltre, gli istituti educativi aperti a studenti di ogni credo ed estrazione sociale. Tra questi, ci sono centri di eccellenza come la prestigiosa Università Cattolica dell’Africa Orientale cui è affiliato dal 1993 l’Hekima College - Institute for Peace Studies and International Relations di Nairobi (fondato nel 1984 come teologato per i gesuiti), alla quale si è aggiunta, nel 2011, una nuova Università cattolica nata dalla fusione del Tangaza College e dell’Istituto di filosofia della Consolata. (I.P.)
Myanmar: emergenza alluvioni. L'aiuto della Chiesa
Continua ad aggravarsi il bilancio delle pesanti alluvioni che hanno colpito ampie porzioni del Myanmar nel mese di agosto. Secondo le stime ufficiali - riferisce l'agenzia AsiaNews - le inondazioni hanno riguardato oltre un milione di persone, più di 100 le vittime, almeno 200mila gli sfollati e circa 15mila le case andate distrutte. Il disastro ha coinvolto a vario titolo 11 dei 14 Stati che formano l’Unione del Myanmar. Gli effetti più devastanti si registrano nella zona a ovest e a nord-ovest dell’ex Birmania, in particolare nelle zone Chin e Rakhine, fra le aree meno sviluppate del Paese.
Colpito il settore agricolo e zootecnico
Secondo quanto emerge da un rapporto ufficiale pubblicato il primo settembre dalle autorità governative, oltre 1,4 milioni di acri di terre coltivate sono stati invasi dalle acque, 840mila acri sono andati distrutti e 1,1 milioni hanno subito pesanti danni. Finora solo 200mila acri di terreno sono stati reimpiantati. Il disastro ha provocato perdite ingenti nel settore agricolo e zootecnico, con ripercussioni enormi per tutta la popolazione in tema di sicurezza alimentare e riserve di cibo.
Programma di sostegno della Caritas
La Chiesa birmana e la Caritas nazionale (Kmss) si sono fin da subito attivate per prestare aiuto e soccorso nelle zone più colpite. Secondo quanto emerge dal piano di emergenza approntato ad agosto, gli uffici nazionali dell’ente caritativo cattolico hanno predisposto un programma di sostegno in sei diocesi sparse in sette diversi Stati del Myanmar, dove si sono registrati i danni più gravi. Fra gli interventi di emergenza messi in campo, Kmss si è attivata per distribuire acqua potabile, cibo, generi di prima necessità, utensili e alloggi temporanei per 120.437 vittime dell’alluvione.
Molti territori ricoperti dalle acque, in situazione di grave pericolo
L’ufficio nazionale Kmss (Caritas Myanmar) è in contatto con le agenzie delle Nazioni Unite e le varie ong presenti nell’area del disastro, coordinando con loro i soccorsi e le attività, oltre che mantenere un canale sempre aperto con i vertici di Caritas Internazionale (CI). Rispondendo alle richieste di aiuto lanciate da Kmss, Caritas Internazionale ha rivolto un appello agli enti dei vari Paesi per contribuire all’emergenza. Ancora oggi le varie agenzie Onu presenti sul territorio, assieme a 50 Ong e gruppi della società civile stanno facendo del loro meglio per portare aiuti concreti alle vittime delle alluvioni in Myanmar. Tuttavia, molti territori ricoperti dalle acque sono in situazione di grave pericolo a causa delle pesanti piogge monsoniche che continuano ad abbattersi - seppur fuori stagione - sul Paese. (L.G.)
Vescovi Malta: non depenalizzare vilipendio alla religione e pornografia
No alla depenalizzazione dei reati di vilipendio pubblico alla religione e di pornografa: è quanto chiedono, in una dichiarazione, i vescovi di Malta e Gozo, mons. Charles Scicluna e mons. Mario Grech. I due presuli, infatti, hanno presentato recentemente al primo ministro maltese, Joseph Muscat, un memorandum elaborato da un gruppo di esperti, creato appositamente dalla Chiesa locale, per valutare alcuni emendamenti inseriti recentemente nel Codice di diritto penale.
Vilipendere non è semplicemente criticare
Riguardo al reato di vilipendio pubblico della religione, gli emendamenti prevedono l’annullamento delle sanzioni per le gravi offese contro la religione cattolica (art. 163) ed ogni altro culto permesso dalla legge (art. 164). Tali sanzioni, secondo il legislatore, si possono cancellare perché sono una ripetizione di quanto già previsto dal Codice penale (art. 82) per i reati a sfondo religioso ed altre forme di odio. Ma la Chiesa maltese non è affatto d’accordo: “Vilipendere la religione è un qualcosa di totalmente diverso dal criticare, ridicolizzare, censurare, denigrare o odiare: vilipendere significa ‘rendere vile’ e ciò che la legge vieta è il disprezzo dannoso ed abusivo delle religione, dei suoi rappresentanti e dei suoi seguaci”.
Tutelare la religione, valore fondamentale sancito dalla Costituzione
Non solo: i vescovi di Malta e Gozo invitano a riflettere sul primo capitolo della Costituzione nazionale che stabilisce “sei valori civili fondamentali e paritari” per il Paese: “la repubblica come forma di governo, la religione, la bandiera, l’inno, la lingua e la costituzione stessa”. Se, dunque – sottolineano i presuli – “la religione è alla pari degli altri cinque valori fondamentali, non si può fare una scelta tra loro stabilendo che cinque vanno trattati con rispetto e permettendo, invece, che il sesto possa essere vilipeso”. Di qui, l’appello a non cancellare gli articoli 163 e 164 del Codice penale, invitando anche ad imporre le medesime sanzioni agli atti di vilipendio ogni religione, non solo cattolica, perché “il vilipendio religioso è incompatibile con una società dignitosa”.
Depenalizzare pornografia non significa tutelare libertà di espressione
Riguardo, invece, alla depenalizzazione della pornografia – che permetterà, fatti salvi i minori ed i regolamenti statali, l’esposizione di materiale pornografico nei luoghi pubblici con accesso a pagamento, nelle gallerie d’arte, nei programmi televisivi, nei film ed ogni volta che tale materiale risulti avere un interesse scientifico e letterario – i presuli sottolineano che non si può motivare tale decisione con “una migliore attuazione della libertà di espressione”: i sexy shop, ad esempio, “non hanno nulla a che vedere con la libertà di espressione o con il diritto di ricevere e distribuire informazioni”, perché fanno “semplicemente parte dell’industria e del mercato del sesso”. E tutto questo, incalzano mons. Scicluna e mons. Grech, non è compatibile con quanto stabilito dalla Costituzione “sulla morale ed la pubblica decenza”, “fondamentali” per il Paese.
No alla mercificazione del corpo umano
Al contrario, “la mercificazione del corpo umano è sempre un danno alla dignità della persona, anche quando essa si verifica con il consenso dell’altro – si legge nel documento – Il sesso e la sessualità sono molto di più di una gratificazione e di un piacere: sono il dono di sé all’altro, l’invito ad un rapporto interpersonale”. La depenalizzazione della pornografia, quindi – concludono i presuli - finisce per promuovere non la libertà di espressione, bensì “l’industria dello sfruttamento, veicolando il messaggio che i soldi ed il profitto contano più della persona umana”. (A cura di Isabella Piro)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 247