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Sommario del 03/09/2015
- Il Papa incontra il presidente israeliano Rivlin: la sfida è la pace
- Papa: sacerdoti, spalle forti per portare ultimi e dispersi
- Francesco: umiltà e stupore aprono il cuore all'incontro con Gesù
- Udienze di Papa Francesco
- Padre Ayuso: atroci e inspiegabili le persecuzioni contro i cristiani
- Agenda Onu 2030, Santa Sede: gender è identità biologica maschio-femmina
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Immigrazione: choc nel mondo per foto bimbo siriano senza vita
- Caritas Ambrosiana: più di 300 migranti accolti in un centro
- Guatemala: si dimette il presidente, indagato per corruzione
- Roma contro la mafia. Mons. Marciante: no alla tolleranza
- Festival. "Bestie senza patria", l'orrore dei bambini soldato
- Cuba. Vescovo Guantanamo: con il Papa torna la speranza
- Siria: video e lettera di padre Mourad rapito nel maggio scorso
- Medio Oriente: istruzione negata per 13 milioni di bambini
- Siria. Patriarca melchita: giovani cristiani non emigrate
- Vescovi Svizzera: aiutare i rifugiati un dovere cristiano
- Vescovi del Caribe: scandalose le espulsioni dal Venezuela
- Regno Unito: appello card. Nichols contro legge sull'eutanasia
- Karnataka: emergenza siccità. I più colpiti i dalit cristiani
- Spagna: premio Principessa delle Asturie ai Fatebenefratelli
Il Papa incontra il presidente israeliano Rivlin: la sfida è la pace
E’ necessario promuovere “un clima di fiducia tra Israeliani e Palestinesi" e “riavviare i negoziati diretti per raggiungere un accordo rispettoso delle legittime aspirazioni dei due Popoli”. Lo afferma un comunicato della Sala Stampa vaticana sui contenuti dell’udienza del Papa al presidente di Israele Reuven Rivlin, questa mattina in Vaticano. Un incontro tutto incentrato sulla necessità di ricercare la pace in Medio Oriente. Il servizio di Alessandro Guarasci:
Un incontro atteso quello tra il Papa e il presidente di Israele Reuven Rivlin. La situazione politica e sociale del Medio Oriente è stata al centro dei colloqui, una situazione segnata da diversi conflitti, con particolare attenzione ai “cristiani” e ad “altri gruppi minoritari”. Di qui “l’importanza del dialogo interreligioso e la responsabilità dei leader religiosi nella promozione della riconciliazione e della pace”.
Il comunicato afferma dunque che nell’incontro è stata messa in luce “l’urgenza di promuovere un clima di fiducia tra Israeliani e Palestinesi” e di “riavviare i negoziati diretti per raggiungere un accordo rispettoso delle legittime aspirazioni dei due Popoli, come contributo fondamentale alla pace e alla stabilità della Regione”.
Ma si è parlato anche dei rapporti tra Stato d’Israele e Santa Sede, tra le autorità statali e le comunità cattoliche locali. In quest’ottica, è stata auspicata “una pronta conclusione dell’Accordo bilaterale in corso di elaborazione e una soluzione adeguata di alcune questioni di comune interesse tra cui la situazione delle scuole cristiane nel Paese”.
Al Papa Rivlin ha donato la riproduzione in basalto di una stele conservata al Museo di Gerusalemme, dove per la prima volta è citato il nome della dinastia di Davide fuori dalla Bibbia. Sotto l’oggetto, una targa con la trascrizione in latino del Salmo 122, verso 6: “Domandate pace per Gerusalemme”. Rivolgendosi al Papa, Rivlin ha messo un luce che si tratta di un oggetto che ricorda “le radici comuni tra Cristianesimo ed Ebraismo”.
Francesco ha regalato un medaglione di bronzo, diverso da quelli donati ad altri capi di Stato e di governo, diviso a metà, che riproduce una roccia spaccata in due parti in cui dalla fessura esce un ramo d’ulivo che le tiene unite. “C’è qualche divisione e la sfida è l’unione” ha sottolineato il Pontefice”. Intorno al medaglione la scritta: “Ricerca ciò che unisce, supera ciò che divide”. “E’ un consiglio” ha aggiunto il Papa.
Il presidente Rivlin ha parlato anche con il segretario di Stato vaticano, il card. Pietro Parolin, e il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Gallagher.
Papa: sacerdoti, spalle forti per portare ultimi e dispersi
Spirito di preghiera e di servizio assieme alla grazia di avere “spalle forti” come quelle di Gesù per portarvi gli ultimi dell’umanità. È questo il profilo che deve avere un sacerdote ha affermato Papa Francesco, nel ricevere in udienza i partecipanti al quinto capitolo generale dei sacerdoti del Movimento Apostolico di Schönstatt. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Sulla torre della “contemplazione”, per essere il tramite fra Dio e il popolo, come Mosè sulla riva del Mar Rosso a proteggere i suoi dall’attacco del Faraone. E poi giù, come Cristo, mischiato alla gente e ai suoi bisogni, in cerca soprattutto di quelli “per i quali nessuno spende uno sguardo”. Un prete deve essere così, afferma ancora una volta il primo fra loro.
Liberaci dal carrierismo
Di fronte a Papa Francesco, nella Sala del Concistoro, ci sono i sacerdoti di Schönstatt, appartenenti al Movimento Apostolico fondato da padre Josef Kentenich. Un ramo, quello sacerdotale, di un albero ricco di vocazioni di ogni tipo, istituito per ultimo giusto 50 anni fa:
“Este ser los ‘últimos’ refleja…
Questo essere ‘ultimo’ riflette chiaramente il posto che occupano i sacerdoti rispetto ai loro fratelli. Il sacerdote non sta sopra né davanti o altrove, ma cammina con loro, amandoli con l'amore di Cristo (…) Chiediamo al Signore che ci dia spalle come la sue, forti, per caricarvi coloro che sono senza speranza (...) e per liberarci dal ‘carrierismo’ nella nostra vita sacerdotale”.
Il carisma non va in bottiglia chiusa
L’anniversario a cifra tonda impone uno sguardo al cammino compiuto in forza del carisma. Bene, ribadisce il Papa, il “carisma non è un pezzo da museo, che rimane intatto in una teca di vetro perché sia contemplato e nient’altro”. L’esservi fedeli, il mantenerlo “puro”, “non significa in alcun modo chiuderlo in una bottiglia sigillata, come fosse acqua distillata, perché non si contamini con l'esterno”:
“No, el carisma no se conserva…
No, il carisma non si conserva tenendolo al riparo: è necessario aprirlo e farlo uscire, perché entri in contatto con la realtà, con le persone, con le loro preoccupazioni e problemi”.
Partire dalla realtà, senza paura
Il Papa insiste come sempre davanti ai sacerdoti sul dovere, sull’urgenza quasi, di non estraniarsi dal vissuto della gente. Per questo, ricorda che per un sacerdote al primo posto deve venire “il contatto con Dio”, il “suo primo amore”, e insieme il gusto di una preghiera ricercata e non vissuta in modo “annoiato” o peggio, dice, tralasciata “con la scusa di un ministero impegnativo”. “Dio – esclama a proposito – ci liberi dallo spirito del funzionalismo”. Invece, rilancia citando il fondatore di Schönstatt, bisogna rimanere “con l'orecchio sul cuore di Dio e la mano sul polso del tempo”.
“No hay que tenerle miedo a la realidad…
Non abbiate paura alla realtà. La realtà bisogna prenderla come un bene! La realtà bisogna prenderla come un bene! Come il portiere: quando colpiscono la palla, da lì, da dove viene, cerca di prenderla… (…) Ci sono due diverse orecchie, una per Dio e una per la realtà. Quando incontriamo i nostri fratelli, specialmente quelli che agli occhi del mondo o nostri sono meno gradevoli, cosa vediamo? Ci rendiamo conto che Dio li ama, che hanno la stessa carne che Cristo ha assunto o restiamo indifferenti ai loro problemi?”.
Siate grandi “perdonatori”
Il terzo consiglio del Papa è: “Mai da soli”. Il ministero sacerdotale diventa ancor più bello quando è condiviso, “non può essere concepito – obietta – in modo individuale, o peggio, individualista”. Viceversa, la fraternità “è una grande scuola di discepolato”, osserva Francesco, che conclude con il suo consueto “per favore”: siate dei grandi “perdonatori”.
“A mí me hace bien recordar…
A me fa bene ricordare un frate di Buenos Aires, che è un ‘perdonatore’. Ha quasi la mia età... A volte viene preso dagli scrupoli di aver perdonato troppo. Un giorno gli chiesi: “Tu che fai quando ti prendono questi scrupoli?”. “Vado alla cappella, guardo il Tabernacolo e dico: ‘Signore perdonami, ho perdonato troppo! Però, sia chiaro che il cattivo esempio me lo hai dato Tu!”.
Francesco: umiltà e stupore aprono il cuore all'incontro con Gesù
La capacità di riconoscerci peccatori ci apre allo stupore dell’incontro con Gesù: è quanto ha detto il Papa durante la Messa del mattino a Casa Santa Marta nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa. Ce ne parla Sergio Centofanti:
Ci sono due modi per incontrare Gesù
Commentando il Vangelo del giorno sulla pesca miracolosa, con Pietro che getta le reti fidandosi di Gesù anche dopo una notte trascorsa senza aver preso nulla, il Papa parla della fede come incontro con il Signore. Innanzitutto – ha affermato – “a me piace pensare che la maggior parte del suo tempo” Gesù “lo passava sulle strade, con la gente; poi in tarda serata se ne andava da solo a pregare”, ma “incontrava la gente, cercava la gente”. Da parte nostra, abbiamo due modi di incontrare il Signore. Il primo è quello di Pietro, degli apostoli, del popolo:
“Il Vangelo usa la stessa parola per questa gente, per il popolo, per gli apostoli, per Pietro, sono rimasti ‘stupiti’: ‘Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli’. Quando viene questo sentimento di stupore… E il popolo sentiva Gesù e sentiva questo stupore, e cosa diceva: ‘Ma questo parla con autorità. Mai un uomo ha parlato con questo’. Un altro gruppo che incontrava Gesù non lasciava che entrasse nel loro cuore lo stupore, sentiva Gesù, faceva i suoi calcoli, i dottori della legge: ‘Ma è intelligente, è un uomo che dice le cose vere, ma a noi non convengono queste cose, no, eh!’. Facevano i calcoli, prendevano distanza”.
Anche i demoni sanno che Gesù è il Figlio di Dio
Gli stessi demoni – osserva il Papa – confessavano, cioè proclamavano che Gesù era il “Figlio di Dio”, ma come i dottori della legge e i cattivi farisei “non avevano la capacità dello stupore, erano chiusi nella loro sufficienza, nella loro superbia. Pietro riconosce che Gesù è il Messia ma confessa anche di essere un peccatore:
“I demoni arrivano a dire la verità su di Lui, ma su di loro non dicono nulla. Non possono: la superbia è tanto grande che gli impedisce di dirlo. I dottori della legge dicono: ‘Ma questo è intelligente, è un rabbino capace, fa dei miracoli, eh!’. Ma non dicono: ‘Noi siamo superbi, noi siamo sufficienti, noi siamo peccatori’. L’incapacità di riconoscerci peccatori ci allontana dalla vera confessione di Gesù Cristo. E questa è la differenza”.
Facile dire che Gesù è il Signore, difficile riconoscersi peccatori
E’ la differenza che c’è tra l’umiltà del pubblicano che si riconosce peccatore e la superbia del fariseo che parla bene di se stesso:
“Questa capacità di dire che siamo peccatori ci apre allo stupore dell’incontro di Gesù Cristo, il vero incontro. Anche nelle nostre parrocchie, nelle nostre società, anche tra le persone consacrate: quante persone sono capaci di dire che Gesù è il Signore? Tante! Ma che difficile è dire sinceramente: ‘Sono un peccatore, sono una peccatrice’. E’ più facile dirlo degli altri, eh? Quando si chiacchiera, eh? ‘Questo, quello, questo sì…’. Tutti siamo dottori in questo, vero? Per arrivare a un vero incontro con Gesù è necessaria la doppia confessione: ‘Tu sei il Figlio di Dio e io sono un peccatore’, ma non in teoria: per questo, per questo, per questo e per questo…”.
La grazia di incontrare Gesù e lasciarsi incontrare da Lui
Pietro – sottolinea il Papa - poi dimentica lo stupore dell’incontro e rinnega il Signore: ma poiché “è umile, si lascia incontrare dal Signore e quando i loro sguardi si incontrano, lui piange, torna alla confessione: ‘Sono peccatore’”. E il Papa conclude: “Il Signore ci dia la grazia di incontrarlo ma anche di lasciarci incontrare da Lui. Ci dia la grazia, tanto bella, di questo stupore dell’incontro. E ci dia la grazia di avere la doppia confessione nella nostra vita: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo, credo. E io sono un peccatore, credo’”.
Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, l’arcivescovo Anselmo Guido Pecorari, nunzio apostolico in Bulgaria e in Macedonia, e il Gran Rabbino di Gran Bretagna e del Commonwealth, Ephraim Mirvis.
Padre Ayuso: atroci e inspiegabili le persecuzioni contro i cristiani
Promuovere i diritti di cittadinanza dei cristiani in Medio Oriente e porre fine alle persecuzioni: questo l’appello lanciato oggi da padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, intervenuto ad Atene al meeting interreligioso sul tema “Sostenere i diritti alla cittadinanza e la coesistenza pacifica”. L’incontro è promosso dal patriarcato ecumenico di Costantinopoli e dal Kaiciid, il Centro per il dialogo interreligioso e interculturale Re Abdullah bin Abdulaziz, con il sostegno del ministero degli Affari esteri ellenico. Il servizio di Isabella Piro:
“Siamo qui per sostenere tutti coloro che soffrono a causa dell’attuale situazione in Medio Oriente e per cercare di facilitare la pace e la riconciliazione attraverso il dialogo”: così ha detto padre Ayuso nel suo intervento ad Atene. “Le condizioni critiche dei cristiani in Iraq, Siria ed in altre parti della regione in cui si riscontrano violenze e conflitti politici – ha aggiunto – stanno mettendo in pericolo le comunità cristiane da tempo stabilitesi nella zona” ed ora costrette a spostarsi.
Persecuzione dei cristiani è atroce, disumana e inspiegabile
Di qui, il richiamo del segretario del dicastero vaticano alle numerose occasioni in cui “Papa Francesco ha voluto dare voce alle atroci, disumane ed inspiegabili persecuzioni di coloro che, soprattutto fra i cristiani, in tante parti del mondo, sono vittime di fanatismo ed intolleranza, spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutto il mondo”.
Tutelare le minoranze religiose ed impegnarsi nel dialogo
Sette, dunque, gli obiettivi del meeting ricordati da padre Ayuso: “lo status quo sulla sicurezza, la cittadinanza, la tutela delle minoranze religiose, la fine di odii e violenze, il rispetto per tutti, a prescindere dall’identità religiosa, l’impegno al dialogo ed al supporto dei diritti di cittadinanza dei cristiani in Medio Oriente”. Per questo, l’esponente vaticano ha esortato tutte le parti in causa “ad agire ed a contribuire alla promozione della cittadinanza e della vera convivenza per tutti”.
Comunità internazionale non resti muta davanti a tali crimini inaccettabili
Citando, quindi, la lettera inviata il 6 agosto da Papa Francesco a mons. Maroun Lahham, vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini e vicario patriarcale per la Giordania, padre Ayuso ha auspicato che “l’opinione pubblica mondiale possa essere sempre più attenta, sensibile e partecipe davanti alle persecuzioni condotte nei confronti dei cristiani e delle minoranze religiose”, ed ha chiesto che “la comunità internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che costituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più essenziali e impedisce la ricchezza della convivenza tra i popoli, le culture e le fedi”.
Convivenza pacifica, bene inestimabile per la pace e lo sviluppo
Di qui, l’esortazione conclusiva di padre Ayuso alla “convivenza pacifica tra le differenti comunità religiose” perché essa, come ha detto Papa Bergoglio a Tirana nel settembre 2014, “è un bene inestimabile per la pace e per lo sviluppo armonioso di un popolo, un valore che va custodito e incrementato ogni giorno, con l’educazione al rispetto delle differenze e delle specifiche identità aperte al dialogo ed alla collaborazione per il bene di tutti”. Inaugurato ufficialmente il 26 novembre 2012, il Kaiciid è stato fondato da Arabia Saudita, Spagna ed Austria con la Santa Sede nel ruolo di organismo osservatore e fondatore. Il Centro si pone l’obiettivo di facilitare, rafforzare ed incoraggiare il dialogo tra i seguaci delle diverse religioni e culture del mondo, così da migliore la cooperazione, il rispetto delle diversità, la giustizia e la pace.
Agenda Onu 2030, Santa Sede: gender è identità biologica maschio-femmina
Rapporto coniugale tra uomo e donna; metodi di maternità e paternità responsabili di fronte a servizi di pianificazione familiare che “non rispettano” la libertà e la dignità umana; “gender” inteso come termine fondato sull’“identità sessuale biologica” maschio e femmina; priorità dei genitori nell'educazione dei figli. Sono alcuni dei concetti ribaditi dalla missione della Santa Sede al vertice Onu per l'adozione dell’agenda di sviluppo post 2015, dal titolo “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, svoltosi nei giorni scorsi a New York. Il servizio di Giada Aquilino:
Lotta alla povertà: nessuno sia lasciato indietro
Un testo che prova come la comunità internazionale si sia riunita ed abbia affermato il proprio impegno “per sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni” e per garantire che tutti i bambini, le donne e gli uomini del mondo abbiano le condizioni necessarie “per vivere in libertà e dignità”. È il documento finale del vertice Onu per l'adozione dell’agenda di sviluppo post 2015, dal titolo “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, nelle parole della missione della Santa Sede al summit. Sottolineati nel testo delle Nazioni Unite, nota la delegazione vaticana, la “centralità della persona umana” come soggetto responsabile per lo sviluppo e l’impegno affinché nessuno venga “lasciato indietro”.
Identità sessuale biologica: maschio e femmina
La missione della Santa Sede, “pur concordando” con molti degli obiettivi e dei punti del documento dell’Onu, esprime però riserve su alcuni concetti in esso contenuti. Considera i termini “salute sessuale e riproduttiva” e “diritti riproduttivi” come riferibili a un “concetto olistico”, globale, di salute, che abbraccia l’essere umano “nella totalità della sua personalità, mente e corpo,” e che favorisce “il raggiungimento della maturità personale nella sessualità e nell’amore reciproco” e il processo decisionale “che caratterizza il rapporto coniugale tra un uomo e una donna in conformità con le norme morali”. La Santa Sede, si precisa, “non considera l'aborto o l'accesso all'aborto o gli abortivi” come dimensione di questi termini. Con riferimento a “contraccezione”, “pianificazione familiare”, “salute sessuale e riproduttiva”, “diritti sessuali e riproduttivi” e altri termini riguardanti nel documento i servizi di pianificazione familiare e la regolazione della fertilità, la Santa Sede ribadisce la propria posizione “ben nota” sia per quanto riguarda i metodi relativi a maternità e paternità responsabili che la Chiesa cattolica considera moralmente accettabili, sia per quei servizi di pianificazione familiare “che non rispettano la libertà dei coniugi, la dignità umana e i diritti umani degli interessati”. Con riferimento al “gender”, la Santa Sede comprende il termine come fondato sull’“identità sessuale biologica che sia maschio o femmina”. Ribadendo le riserve pure su alcuni punti dei documenti finali della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo svoltasi al Cairo e sulla IV Conferenza mondiale sulle donne tenutasi a Pechino, la missione vaticana puntualizza che la Santa Sede, per quanto riguarda l’educazione, l’informazione e la sessualità, sottolinea la “responsabilità primaria” e i “diritti prioritari” dei genitori per i figli, compreso il “diritto alla libertà religiosa”. In tal senso si sottolinea l’importanza della “centralità della famiglia”, come “nucleo naturale e fondamentale della società”.
Partenariato globale, famiglia, ecologia integrale e umana
La missione della Santa Sede ritiene comunque che un “rinnovato partenariato globale” sia cruciale per il successo dell’Agenda, assieme all’“enorme potenziale” dei giovani, ragazzi e ragazze, riconoscendo dunque il ruolo della famiglia nello sviluppo integrale. Di qui il riferimento all’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”, in cui – ricorda la delegazione – il Pontefice sottolinea come non siamo di fronte a “due crisi”, una ambientale e l’altra sociale, piuttosto ad una crisi complessa che richiede, per essere affrontata, “un approccio integrato” per la lotta contro la povertà, restituendo “dignità” ai deboli e proteggendo la natura. Gli sforzi internazionali, sulla base dell’Agenda che viene definita “una grande sfida culturale, spirituale ed educativa”, vanno puntati dunque su una ecologia integrale ed umana. Si precisa infine che va rispettata la distinzione “tra i trattati, che sono stati formalmente negoziati e adottati dagli Stati con l'intento di creare obblighi di legge”, e i documenti di altre organizzazioni internazionali “che non hanno la stessa autorità”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
In prima pagina, l’emergenza immigrazione: accordo tra Italia, Francia e Germania per avviare il progetto di un diritto di asilo europeo.
Nell’informazione internazionale, in primo piano la Siria: senza tregua i combattimenti a Damasco.
Ritratti di donne normali: in cultura, Elena Buia Rutt su The Honest Body Project della fotografa statunitense Natalie McCain.
Gaetano Vallini sul docufilm “L’esercito più piccolo del mondo” del regista Gianfranco Pannone.
Stagione del creato: iniziative ambientali della Chiesa nelle Filippine.
Immigrazione: choc nel mondo per foto bimbo siriano senza vita
Sanzioni per i Paesi che non accettano la quota stabilita di profughi da ricollocare sono allo studio della Commissione Europea, insieme con l'intera proposta di un meccanismo di ricollocamenti intra-Ue permanente, da attivare in situazioni di crisi. La Commissione - fanno sapere i portavoce - è anche impegnata a valutare le scelte della Repubblica Ceca dove la polizia scrive numeri identificativi sul braccio dei migranti. Da Bruxelles interviene anche il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, per chiedere che siano redistribuiti in Europa al più presto 100.000 profughi. In Ungheria nelle ultime 24 ore sono entrate oltre 2mila persone, sempre in marcia lungo la 'rotta balcanica' e diretti in Germania e altri Paesi del Nord Europa, ma i treni della stazione di Budapest Est restano fermi. Intanto, continua a fare il giro del mondo la foto del corpo senza vita del bimbo profugo sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. Aveva tre anni e proveniva dalla martoriata città siriana di Kobane, con la madre e il fratello di 5 anni, anche loro annegati. Ma la sua foto è solo emblematica di tutto il dramma che investe i bambini nelle zone di guerra e nelle fughe verso l'Europa. Fausta Speranza ne ha parlato con Michele Prosperi, portavoce di Save The Children Italia:
R. – I migranti che stanno arrivando in Europa attraverso la Grecia sono soprattutto profughi che provengono dalla Siria, l’Afghanistan, l’Iraq; ma ci sono anche migranti eritrei e somali. Tra loro, tantissimi bambini, soprattutto bambini piccoli che viaggiano con i gruppi famigliari, come spesso accade per i profughi siriani che affrontano ora il viaggio su questa nuova rotta. Sappiamo che il 25 per cento circa dei migranti, che stanno attraversando in questo momento la Serbia per raggiungere la frontiera con l’Ungheria, sono bambini - naturalmente i più vulnerabili… – e sono anche molto piccoli. Chi in qualche maniera è sopravvissuto, è riuscito ad arrivare fino a lì e sta proseguendo nel viaggio, è in condizioni fisiche molto precarie: si cammina tantissime ore in condizioni difficili; ci sono problemi anche solo legati alle scottature del sole e che rendono queste persone esauste; problemi muscolari e di disidratazione. E quindi è un’emergenza continua, e possiamo immaginare che siano veramente tantissimi i bambini a rischio in questo momento.
D. – C’è una cifra anche per identificare il dramma dei bambini morti nel Mediterraneo?
R. – Noi sappiamo – purtroppo – che la cifra delle morti nel Mediterraneo cresce ogni giorno: nelle scorse settimane abbiamo accolto - qui in Sicilia nei porti - gruppi di sopravvissuti, aggiornando ogni giorno il conto delle vittime. Vorrei ricordare che in Italia, di tutti i migranti arrivati dall’inizio dell’anno, per il 10 per cento circa si tratta di bambini. Stiamo parlando di più di 11.300 bambini: di questi, 8.000 ormai sono minori non accompagnati, quindi adolescenti che hanno 15-16-17 anni ma anche piccolissimi di 11-12-13, e qualche volta anche di 9…
D. – È immaginabile che, quando i barconi affondano, la proporzione dei bambini presenti, quindi delle vittime, sia simile…
R. – Sì, esatto, la proporzione è sempre questa. Dobbiamo immaginare che è una costante attraverso tutti gli arrivi nel corso dei mesi: per cui rappresenta un’indicazione molto precisa. Naturalmente i bambini e i ragazzini non vengono risparmiati dalla crudeltà dei trafficanti: proprio nei giorni scorsi, qui in Sicilia, abbiamo accolto le persone arrivate su un’imbarcazione in cui la metà erano bambini: c’erano circa 50 minori non accompagnati egiziani. Questi ragazzini ci hanno raccontato di aver viaggiato cambiando tre imbarcazioni; di essere partiti dall’Egitto e di aver viaggiato chiusi dentro la stiva, costretti a pagare per poter uscire e respirare l’aria per qualche minuto… Ci hanno detto che insieme a loro, in quella stiva, c’erano anche madri con bambini piccoli.
D. – Il tutto per fuggire da guerre e anche lì i bambini sono in prima fila tra le vittime…
R. – Assolutamente... Dobbiamo ricordare che, di tutti i migranti arrivati dall’inizio dell’anno in Italia, la maggior parte proviene dalla Siria, l’Eritrea, la Somalia, il Sudan e la Nigeria. Sappiamo, infatti, che anche in Paesi come la Nigeria, dove ci sono aree in cui non esiste un’emergenza immediata di sopravvivenza, ci sono anche delle zone dove sono presenti formazioni ribelli e fondamentalisti; e lo stesso accade anche nel Nord del Mali: si tratta di una minaccia continua per le famiglie e per i bambini. E quindi è questa la realtà dalla quale fuggono. C’è un fatto che mi ha colpito moltissimo: proprio ieri incontravo un ragazzo di 15 anni, originario del Gambia ma cresciuti in Mali, perché suo padre era maliano. “Nel nord del Mali” – diceva – “siamo minacciati tutti i giorni! Mio zio è stato ucciso... E io ho deciso di partire, di scappare e di raggiungere l’Italia”. Il ragazzo ha iniziato il viaggio con il fratello più grande che però è partito prima di lui dalla Libia, perché lui era stato arrestato e chiuso in un centro di detenzione e per essere liberato doveva ottenere i soldi e pagare il riscatto. Mentre era in questo centro ha saputo che suo fratello, nella traversata, aveva perso la vita. Nonostante ciò, dopo essere stato liberato, ha immediatamente cercato anche lui dei trafficanti per poter attraversare il mare. Questo ci dà un’idea di quale sia il livello di disperazione e di quanto la fuga rappresenti l’unica alternativa possibile per un futuro.
Caritas Ambrosiana: più di 300 migranti accolti in un centro
Anche quest’anno, la Caritas ambrosiana torna a portare le sue iniziative a favore dei più disagiati e, in particolar modo, dei migranti. Dal 24 luglio fino al termine di agosto, la Fondazione ha trovato disponibilità nella parrocchia della Beata Vergine Assunta in Bruzzano con cui ha lanciato un progetto di ospitalità per i profughi. Sulla questione è intervenuto con parole forti l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, parlando della necessità di “mettere a disposizione temporaneamente spazi, anche piccoli, per accogliere i migranti che sono giunti o stanno arrivando in Italia e in particolare a Milano”. Al microfono di Maria Caterina Bombarda, il presidente della Casa della carità, don Virginio Colmegna, ha spiegato le attività che stanno alla base di questo progetto d’accoglienza:
R. – Noi abbiamo fatto questa esperienza estiva a Bruzzano per due mesi. Nella periferia di Milano, hanno chiuso l’oratorio feriale e a luglio e agosto si è aperta l’ospitalità… Sono passate più di 300 persone in questi due mesi, ma lo straordinario – accanto al fatto che la Casa della carità ha dato il mediatore culturale e siamo stati presenti alle operazioni – sono stati i volontari della parrocchia: sono venuti più di 110, che poi danno una proposta... Perché l’idea fondamentale che nasce e che nasce proprio dal Vangelo è che non siamo operatori sociali che danno semplicemente risposte sull’emergenza immigrazione.
D. – Quante e chi sono le persone che cercano accoglienza e come vengono aiutate?
R. – Vengono certamente da luoghi di guerra, soprattutto dalla Siria: bimbi che non hanno mai visto un giorno di pace. Quando li abbiamo accolti qui e sentivano gli aerei, abbracciavano i loro genitori: per loro ogni aereo è una bomba, è un rischio di morte che c’è. Poi, ci sono quelli che hanno fatto cammini lasciando l’Etiopia, l’Eritrea, il Mali. Alcuni arrivano perché non vogliono l’impegno militare della propria vita, giovanissimi, altri per una situazione economica difficile… In questa situazione, in questo esodo biblico, nel mondo intero sono ormai più di 50 milioni e chiedono di arrivare e rischiano addirittura la vita.
D. – Nonostante purtroppo l’immigrazione oggi sia un’emergenza importante, la Caritas ambrosiana è sempre stata molto attenta su questo fronte. Che cosa si è già fatto anche in passato?
R. – Tantissimo si è fatto, perché la Caritas nasce dall’intuizione di Paolo VI, non dimentichiamolo. La Casa della carità è voluta dal cardinale Martini: la sapienza della carità, la pazienza, l’illuminazione. Il cardinale Scola proprio ieri ha dato un cambiamento culturale molto grosso, perché ha consegnato ai decani una responsabilità che è quella di mobilitare anche nelle parrocchie delle risposte.
R. – Abbiamo citato il cardinale Martini, il 31 agosto si ricordavano i tre anni dalla sua scomparsa. Lui è stato il fondatore della casa della carità…
R. – Io mi sono permesso assieme a tutti i miei ospiti, pregando insieme, di mandare un libretto, che è il suo discorso che ha fatto nel 2002 prima di lasciare Milano, in Consiglio comunale, di fronte a tutti e alla città, dove annunciò che lasciava anche la Casa della carità. Lo abbiamo rinviato, “Paure e speranze alla città”. L’ho letto e riletto questo testo, sembrerebbe scritto oggi.
D. – Siamo in dirittura di arrivo del Sinodo ordinario sulla famiglia e del Giubileo della misericordia, quindi due grandi messaggi: quali sono le aspettative per quest’anno particolare?
R. – Le aspettative forti sono certamente quelle che riguardano il tema fondamentale della famiglia, delle lacerazioni, della sofferenza: cioè, il segnale di rendersi conto della fragilità e della debolezza della famiglia dentro questo livello e quindi la necessità di una riflessione – lo dico da prete anche alla periferia della normalità pastorale. Abbiamo bisogno di pastorale ordinaria.
Guatemala: si dimette il presidente, indagato per corruzione
Si è dimesso nella mattinata di oggi il presidente del Guatemala Otto Pérez Molina, in carica dal 2012. Nei giorni scorsi il Parlamento, facendo seguito a proteste popolari durate quasi cinque mesi, aveva revocato l'immunità per la più alta carica del Paese centramericano. Un tribunale guatemalteco ha dunque emesso ieri un mandato di arresto nei confronti del presidente, accusato di far parte di un'estesa organizzazione criminale che traeva profitti da frodi sulle tasse doganali. Le mobilitazioni, alle quali ha partecipato anche la Chiesa del Paese, avevano già portato, nelle ultime settimane, all’arresto della vicepresidente e alle dimissioni di ben sei ministri del governo. La notizia arriva a pochissimi giorni dalle elezioni generali che, domenica 6 settembre, porteranno i cittadini alle urne per rinnovare il Parlamento e scegliere un nuovo presidente. Una situazione sempre più delicata, come spiega Alfredo Luis Somoza, direttore dell’Istituto di Cooperazione Economica Internazionale, al microfono di Giacomo Zandonini:
R. – Le proteste in Guatemala riflettono una grande delusione: la delusione che hanno avuto i cittadini quando nel 2011 hanno eletto un ex militare, Otto Pérez Molina, dimenticando il ruolo che quest’ultimo aveva avuto durante il conflitto che aveva insanguinato il Paese negli anni ‘80-‘90. Questo militare è stato eletto con la promessa di fare un “repulisti” della corruzione, uno dei mali endemici di questo Paese, aggravatosi negli ultimi anni, da quando il Guatemala è diventato un Paese di passaggio delle rotte del narcotraffico e anche molto più violento, a causa delle bande giovanili che ormai si scontrano direttamente con lo Stato. Le promesse del presidente non sono state mantenute e, al contempo, sono venute fuori accuse molto pesanti nei suoi confronti su casi circostanziati di corruzione: un sistema di corruzione, che non solo non era stato eliminato, ma del quale aveva usufruito lo stesso presidente.
D. – È recentissima la revoca dell’immunità al presidente da parte del parlamento: che conseguenze potrebbe avere sul futuro del Paese?
R. – Questa era la principale richiesta dei cittadini che hanno manifestato in questi mesi: la revoca dell’immunità parlamentare - come è successo appunto stanotte (la scorsa notte, ndr) - tra l’altro con 135 voti favorevoli: quindi con 20 voti al di sopra della maggioranza richiesta. I cittadini chiedevano anche che venissero posticipate le elezioni presidenziali previste per domenica 6. Questi ultimi, infatti, ritengono che non ci sia stata una vera e propria campagna elettorale, dato che la piazza in questi mesi si era mobilitata sulla vicenda della corruzione del presidente. Le conseguenze sicuramente non riguardano tanto il presente - essendo lo stesso a fine mandato - ma di sicuro il tema che con forza è stato posto: cioè il fatto che in Guatemala non ci sia più spazio per la corruzione. La prima dichiarazione a caldo l’ha fatta un simbolo del Guatemala, Rigoberta Menchú, indigena vincitrice del Premio Nobel per la Pace: “È stata una vittoria storica, perché per la prima volta il parlamento deve ascoltare ciò che succede al di fuori delle proprie mura”. Il dato politico è che, per la prima volta, grazie ai cittadini, una causa legata alla corruzione viene in qualche modo vinta.
D. – Accanto alla corruzione, va detto che una grande fetta del Paese vive in una situazione di estrema povertà… Queste persone hanno una voce secondo lei?
R. – Queste persone in Guatemala sono gli indigeni. Il Guatemala è uno dei Paesi con la più alta percentuale di popolazione indigena – circa il 50 per cento dei guatemaltechi sono discendenti dei Maya – storicamente sfruttati e anche massacrati: durante gli anni della guerra civile ci furono più di 30-40.000 morti, soprattutto indigeni. Questa parte della popolazione certamente ha più voce rispetto al passato, ma è ancora totalmente estranea alla politica. La povertà in Guatemala è un male endemico, soprattutto nel mondo rurale, e questo governo non aveva fatto nulla per farla diminuire.
D. – Tornando alle elezioni: non c’è il rischio che oggi prevalga una soluzione populista rispetto a favorire chi rappresenta veramente le battaglie contro la corruzione e la povertà?
R. – Questo è un rischio che, purtroppo, non corre soltanto il Guatemala. Certamente la concomitanza, a distanza di pochi giorni, tra un’elezione e una decisione così importante, di un parlamento che decide di far processare il presidente della Repubblica ancora in carica, sicuramente ha un’influenza: nel senso che la campagna elettorale di questi ultimi giorni si sposterà sulle grandi promesse che faranno tutti i candidati riguardo alla lotta alla corruzione. E quindi si mescoleranno un po’ le acque: tra quelli che onestamente ci hanno sempre pensato, e quelli che invece lo diranno all’ultimo momento. Questi rischi sono insiti in un Paese che è in una situazione di povertà; perché il voto dei cittadini - quanto questo sia consapevole - è anche legato a quanto la persona abbia potuto studiare o abbia accesso all’informazione.
Roma contro la mafia. Mons. Marciante: no alla tolleranza
In piazza contro le cosche e per dire che Roma si ribella contro l’arroganza e la prepotenza. C’è questa idea in "Antimafia Capitale", la grande manifestazione di oggi pomeriggio nella capitale, organizzata dal Pd romano in piazza Don Bosco, laddove il 20 agosto scorso si svolsero i controversi funerali di Vittorio Casamonica. Numerose le adesioni, di esponenti politici, tra i quali il sindaco capitolino, Ignazio Marino, di associazioni, sindacati e organizzazioni di settore. Francesca Sabatinelli ha intervistato mons. Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare di Roma Est:
R. – Innanzitutto, bisogna prendere una chiara presa di distanza e togliere ogni possibile rapporto, ogni tolleranza, con le strutture di peccato: la corruzione, la mafia, sono strutture di peccato. Questo significa limpidezza, chiarezza, verità su ciò che opera l’amministrazione, soprattutto, di una città. Il problema è che queste strutture di peccato, chiamiamole mafia, corruzione, tutto quello che vogliamo, non muoiono se non cambiano le strutture consolidate di potere che oggi reggono le nostre società, che reggono il Paese, che a volte reggono delle regioni o reggono le città. Tant’è vero che cambia il potere politico dell’amministrazione della città, ma la corruzione resta. Questo significa che ci sono strutture di potere ben consolidate. Allora, ci vuole un cambiamento culturale, radicale, soprattutto per chi pensa di governare la città.
D. – La Chiesa che apporto darà?
R. – Innanzitutto, io penso che la Chiesa possa dare un apporto educativo molto forte, perché ha una presenza capillare, attraverso le parrocchie, le associazioni, i movimenti, che è straordinaria. Quindi, l’azione educativa, secondo me, deve partire da lì. Bisogna partire da quando si è bambini ed educare alla verità, alla sincerità, perché spesso l’illegalità si annida nella menzogna. Anzi, possiamo dire che la menzogna sia l’anima dell’illegalità e della corruzione. Educare alla verità significa educare alla legalità e alla giustizia nello stesso tempo.
D. – A suo giudizio, la città ha gli anticorpi per reagire alle mafie?
R. – Gli anticorpi ce li ha, perché ha tante risorse, Roma. A cominciare dalla bellezza: è un elemento importantissimo. A partire da quello, Roma veramente può risalire. Ma, soprattutto, oggi nella città ci vuole una lotta alla povertà, perché spesso la povertà è l’ambiente dove viene coltivata, possiamo dire, una certa manovalanza, la vita corrotta, insomma: le strutture di peccato. Quindi, occorre una grossa lotta alla povertà. E poi, c’è il tema forte dell’integrazione. L’immigrazione può essere una grande risorsa per la città.
D. – L’8 dicembre prenderà il via il Giubileo straordinario, voluto da Papa Francesco. Roma sarà un importantissimo crocevia. Questo potrebbe presentare occasioni di rischio per un eventuale prolificare del malaffare. Però, il Giubileo potrebbe anche essere un’occasione di riscatto e di riflessione…
R. – Già la stessa parola "Giubileo", nella tradizione sia ebraica sia cristiana, significa un ri-iniziare, in qualche modo, e quindi “azzerare” tutto ciò che può essere il passato negativo per chiedere perdono, anzitutto, e poi ricominciare con nuove prospettive, soprattutto a partire dalla forza della grazia. Ecco, noi vogliamo invocare, attraverso il Giubileo, veramente anche una rinascita della città di Roma. Se il Giubileo verrà gestito con intelligenza, io penso che potrà dare risorse anche a quanti operano nel campo dell’accoglienza, nel campo turistico, a diverse nuove categorie di persone. Il problema è che bisogna stare attenti ai cosiddetti “appalti”, perché spesso si dice che siano “appalti liberi”, ma non è vero perché sono appalti orientati. Allora, la vigilanza è su come si danno gli appalti dei servizi. E su questo penso che Roma debba vigilare molto. A conclusione, dico che innanzitutto a livello di Chiesa bisogna avere sempre chiara la presa di distanza tra Chiesa, appunto, e strutture di corruzione – cosa che la Chiesa ha già fatto anche attraverso gli interventi alti di Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto, Papa Francesco. A livello di base, chiaramente, la coscienza dev’essere ancora più forte ma, soprattutto a livello di Chiesa, deve essere forte la presa d’atto di possedere una forza educativa straordinaria. Secondo punto: bisogna cambiare le strutture consolidate di potere che oggi reggono la città stessa. Questo mi sembra: che sia necessario un cambiamento.
Festival. "Bestie senza patria", l'orrore dei bambini soldato
In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il film dell'americano Cary Fukunaga "Bestie senza patria": l'orrore dei bambini soldato in Africa diventa un grido al cospetto di Dio e un monito per tutta l'umanità. Dal nostro inviato a Venezia Luca Pellegrini:
Sono grida che arrivano al cospetto di Dio, quelle che si levano dai piccoli quando subiscono le violenze degli adulti. Per il Vangelo, nel monito del Signore, non c'è crimine peggiore di questo. In un Paese africano come tanti, senza che ne sia specificato il nome, durante una delle tante guerre civili che lo dilania, mietendo vittime e creando mostri, il simpatico Agu, intorno ai dieci anni, cade nelle mani di un odioso, spaventoso comandante - sullo schermo interpretato da Idris Elba - che ha il potere assoluto su un manipolo di bambini soldato da lui ferocemente allevati.
Cary Fukunaga deve essere rimasto sconvolto non soltanto dalla lettura del romanzo di Uzodinma Iweala, scritto nel 2005 - americano ma con ampi trascorsi in Nigeria - da cui ha tratto il suo film, ma dai racconti che talvolta penetrano la cortina dei media occidentali, mai abbastanza attenti a fatti così esecrabili anche se mai abbastanza sazi di notizie inutili e distratte. Il percorso di Agu, che ha il volto del tredicenne ghanese, Abraham Attah, dei suoi compagni - si calcola che nel mondo i bambini soldato raggiungano la cifra di mezzo milione - e dello spettatore, è verso l'orrore, raccontato dal regista con una linearità che rasenta il pudore autoriale, proprio per la forza incontenibile dei fatti e delle immagini. Agu, che alle spalle ha la famiglia sterminata come tanti, trasforma la sua emotività ancora vulnerabile in un odio in cui sono assenti vincoli morali, diventando una spietata macchina di morte. Un ragazzino che all'inizio del film si vede invece scherzare e sorridere, come la sua età impone.
"Era importante per me mostrare la vita familiare di Agu - ha precisato Fukunaga - una vita felice nonostante la crisi del suo Paese. Mettendoci quel senso di affetto per le persone e le cose, importante per capire cosa poi quel bambino va a perdere e che cosa tenta di riconquistare alla fine del film". Rivelandoci le dinamiche psicologiche che innervano il rapporto tra carnefice e vittima, violentatore e violentato e le connessioni ipocrite tra potere politico e militare, fagocitando le azioni e decisioni di chi dovrebbe, invece, servire la pace e il progresso. Soprattutto non vuole giudicare i personaggi, ma giustamente non evita di descrivere la confusione e il collasso morale che li circonda, quelli che ogni guerra, in ogni Paese e in ogni tempo, porta spietatamente con sé.
Cuba. Vescovo Guantanamo: con il Papa torna la speranza
Grazie a Papa Francesco, a Cuba “si respira aria di speranza per le nuove possibilità di dialogo con gli Stati Uniti”: lo afferma mons. Wilfredo Pino Estévez, vescovo di Guantanamo-Baracoa. In un messaggio diffuso in vista dell’imminente viaggio apostolico di Papa Bergoglio sull’isola, dal 19 al 22 settembre, il presule ricorda “la mediazione” della Santa Sede nel processo di instaurazione dei rapporti diplomatici tra Washington e L’Avana e definisce come “molto importante” l’operato del Papa “nella ricerca della riconciliazione e della pace tra i due popoli”.
Cuba e Brasile, unici Paesi al mondo ad accogliere tre Pontefici
“Francesco sarà il terzo Pontefice a visitare Cuba”, sottolinea poi mons. Estévez, evidenziando che, in tal modo, “l’isola ed il Brasile saranno gli unici due Paesi al mondo ad avere il privilegio di essere visitati da tre Papi”, ovvero Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ed, appunto, Papa Bergoglio.
Essere misericordiosi non è una scelta, ma un imperativo
Soffermandosi, quindi, sul motto del viaggio apostolico, “Missionario della misericordia”, il vescovo di Guantanamo ribadisce l’importanza di donare il proprio cuore gli altri per contrastare le tante miserie del mondo di oggi: si tratta di “miserie morali, spirituali, sociali, intellettuali, materiali”, evidenti nella “insensibilità delle persone davanti al dolore umano” e nella “violenza a fior di pelle in famiglia, sul lavoro, nelle comunità”. Di qui, il richiamo ad essere misericordiosi perché “non si tratta di una scelta, ma di un imperativo” dato da Gesù agli uomini: “Siate misericordiosi come il Padre”.
Rivolgere lo sguardo alla Vergine della carità del Cobre, Patrona di Cuba
Guardando poi alla Vergine della carità del Cobre, patrona dell’isola e la cui festa ricorre l’8 settembre, il presule invita i fedeli a vedere in Lei “una Madre” alla quale affidare tutti i problemi: “lo stipendio che manca, le difficoltà matrimoniali, la casa in cattive condizioni, un figlio che non arriva, problemi di salute, i giovani disoccupati, i litigi con chi ci è accanto”. Chiedendo l’intercessione di Maria, mons. Estévez esorta i cubani a sforzarsi di “essere migliori”, a “non lasciarsi vincere dal male, bensì a vincere il male con la forza del bene”, ad “avere la coscienza pulita”, curando “l’educazione religiosa dei figli e lottando contro l’invidia che cresce e si diffonde” all’interno della società.
Crescere nella fede e nella speranza
Infine, insieme a tutta la Conferenza episcopale cubana, il vescovo di Guantanamo auspica che “gli insegnamenti che Papa Francesco lascerà sull’isola spingano tutti a crescere nella fede e nella speranza”, imparando ad “avere un cuore pieno di misericordia”. L’augurio conclusivo è che la benedizione pontificia possa raggiungere anche i malati, i detenuti e tutti coloro che non potranno essere presenti agli incontri con Papa Francesco. (I.P.)
Siria: video e lettera di padre Mourad rapito nel maggio scorso
Le voci diffuse riguardo all'avvenuta liberazione del sacerdote Jacques Mourad, priore del monastero di Mar Elian e parroco della comunità di Qaryatayn, rapito lo scorso 21 maggio da ignoti sequestratori, non vengono per ora confermate da fonti locali consultate dall'agenzia Fides. Le indiscrezioni sono cominciate a circolare dopo che sulla rete televisiva cristiana libanese Noursat Tv è stato trasmesso un breve video in cui padre Mourad esprime parole rassicuranti riguardo alle sue condizioni fisiche e al suo stato di salute. Ma il video non contiene alcun indizio riguardo alla data della sua registrazione.
Lettera e video pilotati dai jihadisti dell'Is?
Fonti vicine all'arcidiocesi siro-cattolica di Homs riferiscono all'agenzia Fides che oltre al video circola anche una lettera, attribuita a padre Jacques, in cui il priore di Sant'Elian invita i sacerdoti e i membri della sua comunità monastica a lasciare il monastero di Mar Musa, perché nella regione la situazione è divenuta pericolosa per tutti i cristiani. Nessuno è in grado di confermare l'autenticità della lettera e il fatto che essa non sia stata scritta dal sacerdote sotto pressione. E non viene escluso che anche la diffusione del video sia stata pilotata da chi tiene sequestrato padre Jacques per condizionare eventuali trattative in vista della sua liberazione.
Il monastero di Mar Elian distrutto dai miliziani dell'Is
Alcuni sequestratori armati hanno rapito e portato via dal monastero di Mar Elian padre Jacques il 21 maggio. Insieme a lui era stato prelevato dai rapitori anche il diacono Boutros Hanna. Poi, il 21 agosto, è stato diffuso il video che documentava la distruzione del monastero di Mar Elian da parte dei jihadisti del sedicente Stato Islamico. L'antico santuario del V secolo, collocato alla periferia di Quaryatayn e affidato negli ultimi secoli alla Chiesa siro-cattolica, negli ultimi anni aveva ritrovato nuova vita trasformandosi in una filiazione di Deir Mar Musa al Habashi, il monastero rifondato dal gesuita italiano padre Paolo Dall'Oglio, rapito anche lui il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, capoluogo siriano da anni sotto il controllo dei jihadisti dello Stato Islamico.
Prima del rapimento padre Mourad aveva ospitato migliaia di rifugiati
Durante le varie fasi del conflitto, la città di Qaryatayn era stata più volte conquistata da miliziani anti-Assad e bombardata dall'esercito siriano. Prima di essere rapito, padre Jacques Mourad aveva ospitato nel monastero migliaia di rifugiati, provenienti in gran parte dalla vicina città di Qaryatayn, e aveva garantito la loro sopravvivenza anche grazie all'aiuto di donatori musulmani. Padre Jacques e un avvocato sunnita della zona avevano anche esercitato la funzione di mediatori per garantire che il centro urbano di 35mila abitanti fosse risparmiato per lunghi periodi dagli scontri armati. (G.V.)
Medio Oriente: istruzione negata per 13 milioni di bambini
Sono oltre 13 milioni i bambini che nel Medio Oriente, vengono privati dell’educazione, a causa dei conflitti che agitano la regione. Lo ha reso noto l’Unicef in un rapporto sottolineando che “le speranze di un’intera generazione vengono schiacciate”. In Siria, in Iraq, Yemen e Libia, circa 9000 istituti scolastici sono inutilizzabili, o perché sono stati danneggiati o distrutti o perché vengono usati come basi dalle parti in conflitto o come Centri di accoglienza per i rifugiati. “Ma non si tratta solo dei danni materiali inferti alle strutture” ha sottolineato Peter Salama, direttore regionale di Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, “quanto della disperazione di un’intera generazione di bambini in età scolare che vedono le loro speranze disattese e il loro futuro cancellato”.
Le cifre in aumento dal 40 al 50%
I 13,7 milioni di bambini privati del diritto allo studio - riporta l'agenzia Misna - rappresentano circa il 40% dell’intera popolazione scolastica di Siria, Iraq, Yemen, Libia, Giordania, Turchia, Territori Palestinesi e Sudan e l’Unicef teme che la cifra possa raggiungere il 50% entro pochi mesi. In Siria, in modo particolare, una scuola su quattro ha chiuso le porte da marzo 2011 ad oggi, con effetti immediati su oltre due milioni di studenti.
Migliaia di insegnanti in fuga dalla regione
Nel rapporto ‘Education under fire’ (Istruzione sotto attacco) si denuncia inoltre che “l’uccisione, il sequestro e gli arresti arbitrari” di educatori e personale scolastico sono divenuti episodi comuni nella regione. Per questo motivo migliaia di insegnanti sono fuggiti dai Paesi d’origine. (A.d.L.)
Siria. Patriarca melchita: giovani cristiani non emigrate
“Rimanete! Nonostante tutte le difficoltà, siate pazienti! Non emigrate!”. È l’accorato appello del patriarca melchita di Damasco, Gregorios III Laham, ai giovani cristiani di Siria. In una lettera inviata ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), il patriarca denuncia la forte emorragia di giovani cristiani dalla Siria e dall’intero Medio Oriente. Un fenomeno - riferisce l'agenzia Sir - che il presule paragona ad uno tsunami e che pone in pericolo l’esistenza stessa delle comunità cristiane mediorientali. “Quale futuro resta per la Chiesa? Quale sarà ora la nostra patria? E cosa ne sarà delle nostre parrocchie e istituzioni?”, si domanda. Come confermato dal patriarcato e da diverse fonti locali, il perdurare della crisi siriana spinge molti cristiani a cercare un futuro migliore all’estero.
L'emigrazione mette a rischio il futuro della Chiesa in Siria
Almeno tre volte a settimana da due quartieri cristiani di Damasco partono dei pullman con a bordo venti o trenta ragazzi e adolescenti appartenenti alla minoranza religiosa. Una volta arrivati a Beirut, metteranno a rischio la propria vita su navi dirette in Turchia, per poi ripartire alla volta di un Paese europeo. Altri in questi anni hanno invece raggiunto la Libia e si sono imbarcati alla volta di Lampedusa. “Questa enorme ondata di emigrazione mette a rischio il futuro della Chiesa in Siria”, la denuncia del patriarca. Dall’inizio della crisi in Siria nel 2011, Acs ha donato oltre 7 milioni di euro a sostegno dei cristiani siriani. (R.P.)
Vescovi Svizzera: aiutare i rifugiati un dovere cristiano
“L’aiuto ai rifugiati è un dovere per i cristiani”: si apre così il comunicato della Conferenza episcopale svizzera (Ces), diffuso al termine della 309.ma Plenaria, conclusasi ieri a Givisiez. “I flussi di centinaia di migliaia di rifugiati in Europa ed alle sue frontiere – si legge nel documento – provocano avvenimenti drammatici”. I campi dei rifugiati, “le condizioni igieniche indegne” in cui migliaia di persone vivono, mentre moltissime altre muoiono mentre tentano di raggiungere il continente, continuano i presuli, “sono diventati una realtà quotidiana in molte regioni europee”.
Intensificare gli aiuti per migranti e rifugiati
Di qui, l’appello dei vescovi elvetici affinché, “nello spirito del Vangelo, si vada in aiuto delle persone povere e sofferenti”. “L’aumento dell’indigenza esige, di conseguenza, maggiori aiuti a tutti i livelli”, scrive la Ces, ribadendo che “la Chiesa cattolica continua ad intensificare il suo operato in favore di migranti e rifugiati” e manifestando apprezzamento per l’iniziativa della Caritas locale che ha chiesto al governo federale di raddoppiare gli aiuti allo sviluppo.
Solidarietà deve oltrepassare frontiere europee
Ma non solo: “La solidarietà deve oltrepassare le frontiere nazionali ed europee – sottolineano i vescovi svizzeri – perché non è l’Europa a portare il fardello più pesante della tragedia dei rifugiati”. Citando, infatti, i dati dell’Onu, i presuli ricordano che “solo una piccola parte dei 60 milioni di persone in fuga dal loro Paese raggiunge l’Europa” e lo stesso vale per gli sfollati a causa del conflitto siriano: “Sui 4 milioni che hanno lasciato il Paese, 3,5 milioni vivono negli Stati confinanti (Libano, Giordania, Iraq e Turchia)”.
Chiesa accoglie ogni persona, incondizionatamente
Nell’agenda della Plenaria, poi, c’è stata anche la riflessione su “la situazione difficile che si è creata in Svizzera in seguito alla conferenza tenuta da mons. Vitus Huonder”, vescovo di Coira, il 31 luglio a Fulda, sul tema “Il matrimonio: dono, sacramento e missione”. Nel suo intervento, infatti, il presule ha fatto due citazioni dal Levitico che hanno suscitato polemiche nell’opinione pubblica. Tuttavia, mons. Huonder “ha ribadito ai membri della Ces di non aver mai avuto l’intenzione né la convinzione di difendere la pena di morte per gli atti omosessuali”, esprimendo rammarico per le incomprensioni verificatesi. “In questo contesto – sottolineano i presuli elvetici – i vescovi e gli abati territoriali tengono a ribadire, tutti insieme, che la Chiesa è aperta a tutti gli uomini, allo stesso modo: essa accoglie incondizionatamente ogni persona nella sua dignità intangibile agli occhi di Dio, indipendentemente dal suo orientamento sessuale”.
Mons. Morerod, nuovo presidente per il biennio 2016-2018
I lavori della 309.ma Assemblea hanno visto anche l’elezione dei nuovi presidente e vice-presidente della Conferenza episcopale: per il primo incarico, è stato scelto mons. Charles Morerod, vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo, che guiderà la Ces dal 2016 al 2018. Il suo insediamento è previsto il prossimo anno, una volta concluso il mandato dell’attuale presidente dei vescovi, mons. Markus Büchel, il 31 dicembre 2015. Il nuovo vice-presidente, invece, è mons. Felix Gmür, vescovo di Basilea e già segretario generale della Ces.
Adesione alla Giornata di preghiera per salvaguardia del Creato
Infine, i presuli elvetici hanno stabilito di inserire nel calendario liturgico, al 1° settembre, la Giornata mondiale di preghiera per la salvaguardia del Creato, accogliendo così l’iniziativa lanciata da Papa Francesco. (I.P.)
Vescovi del Caribe: scandalose le espulsioni dal Venezuela
“Scandalosa ed infame”: così i vescovi della regione del Caribe, in Colombia, definiscono l’espulsione, avvenuta in questi giorni, di cittadini colombiani dal Venezuela. All’origine della decisione di Caracas, una sparatoria al confine tra i due Paesi, in cui sono rimasti feriti tre soldati e un civile venezuelani. Caracas ha attribuito l’episodio a "forze paramilitari colombiane", decidendo poi di dichiarare lo stato di emergenza e di chiudere le frontiere, fino a quando non sarà stroncata, nel Paese confinante, la vendita di prodotti venezuelani di contrabbando. Di qui, il dramma di oltre mille colombiani espulsi. A loro, i vescovi del Caribe esprimono “preghiera e solidarietà”.
Valore della vita disprezzato in molte forme
La dichiarazione dei presuli arriva al termine di una riunione svoltasi a Barranquilla dal 26 al 28 agosto ed alla quale hanno preso parte, oltre ai presuli stessi, anche i rappresentanti delle reti sociali per lo sviluppo e la pace nella regione. Il documento finale dei lavori scatta, infatti, una fotografia amara della situazione attuale nella zona: “Viviamo tempi difficili e caotici – si legge nel testo – evidenti nel disprezzo per il valore fondamentale della vita espresso in molte forme”.
Conflitto armato, povertà e corruzione oscurano orizzonte sociale
E qui vengono citati “il prolungato conflitto armato, il rafforzamento delle possibilità militari delle organizzazioni criminali; il flagello del narcotraffico; la polarizzazione della società in amici e nemici; il crescente deterioramento ambientale e l’aumento della corruzione; la siccità e la malnutrizione che affliggono le famiglie più povere”: tutti fattori, sottolineano i vescovi, che “hanno oscurato l’orizzonte della costruzione di una nuova società riconciliata e pacifica, desiderio comune di tutta la regione”.
L’amore misericordioso spalanca orizzonti del perdono
Per questo, i presuli ribadiscono il loro impegno a “lavorare per la riconciliazione e la pace ispirate dai valori evangelici” ed a “rafforzare le organizzazioni cattoliche ed i processi educativi che contribuiscono ad una cultura della pace”, ampliando la partecipazione dei cittadini alla vita della società e contribuendo al “miglioramento delle condizioni di vita delle comunità”. Centrale, poi, il richiamo a “rafforzare la riconciliazione sociale basata sulla verità che non può essere nascosta né deformata, sulla giustizia, che rende possibile recuperare pienamente tutti i diritti, e sull’amore misericordioso, che spalanca gli orizzonti del perdono”.
Promuovere diritti umani, verità e giustizia
Nelle parole dei vescovi colombiani è racchiuso “il sogno” di una regione del Caribe caratterizzata da “ricchezze naturali, pluralità etnica, cultura della riconciliazione e della pace in comunione con Dio, con gli altri e con la natura; la pratica di valori come armonia, dialogo, perdono, fiducia, misericordia; la promozione di diritti umani, della verità, della giustizia; la ricostruzione del tessuto sociale in modo partecipativo ed inclusivo”.
Beati gli operatori di pace!
“Beati gli operatori di pace!”, scrivono infine i presuli del Caribe, richiamando un passo dell’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco in cui si ricorda che il modo più adeguato di porsi di fronte al conflitto è “accettare di sopportarlo, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo”.
Incontro dei vescovi di Colombia e Venezuela
Oggi intanto, presso la sede della Conferenza episcopale colombiana, a Bogotà, si tiene l’incontro del Consiglio permanente dei vescovi colombiani, presieduto dall'arcivescovo di Tunja, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, con il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, arcivescovo di Cumanà. (A cura di Isabella Piro)
Regno Unito: appello card. Nichols contro legge sull'eutanasia
In vista del voto alla Camera dei Comuni della legge sul suicidio assistito, prevista l’11 settembre, il card. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles (Cbcew), ha rivolto un nuovo pressante appello ai cattolici del Regno Unito a contattare i parlamentari per far sentire la propria voce. Se approvato, l’Assisted Dying Bill permetterà ai medici di iniettare farmaci letali ai malati terminali adulti per portarli al suicidio.
Cure palliative, non assistenza al suicidio, che è un omicidio assistito
In una dichiarazione pubblicata sul sito dell’arcidiocesi di Westminster, il card. Nichols ribadisce che “aiutare qualcuno a suicidarsi compromette la dignità umana” del medico e del paziente e che un simile atto “equivale a un omicidio assistito”. Dare il permesso ai medici di fare questo, evidenzia, “si basa sulla premessa che alcune vite valgono meno di altre ed “è in contrasto con il principio di ‘non nuocere’ alla base di tutta la pratica medica”. Quindi, il presidente dei vescovi inglesi e gallesi ricorda che “le persone gravemente malate o colpite da una malattia terminale meritano tutte le migliori cure” che la società può mettere a loro disposizione e che “esse non devono sentirsi un peso”. In questo senso è necessario puntare piuttosto sulle “cure palliative che hanno fatto grandi progressi negli ultimi decenni”.
Impossibile garantire che la scelta delle persone sia veramente libera
L’ultima considerazione del card. Nichols è che “se il suicidio assistito diventa legale, sarà impossibile garantire che le decisioni delle persone non saranno condizionate da pressioni o da costrizioni, non solo esterne, ma anche interiori”. Di qui l’invito ai fedeli a contattare i propri parlamentari su questo importantissimo problema prima del voto.
Contro il progetto di legge la maggioranza dei medici inglesi
Contro l’Assisted Dying Bill si sono pronunciate, tra gli altri, la British Medical Association e i Medical Royal Colleges, in quanto violerebbe i principi fondamentali della deontologia medica. (L.Z.)
Karnataka: emergenza siccità. I più colpiti i dalit cristiani
La siccità che ha “colpito lo Stato indiano del Karnataka (India centro-occidentale) è la peggiore degli ultimi 40 anni”. A riferirlo è Siddaramamiah, primo ministro dello Stato, che ieri ha presieduto la conferenza dei commissari regionali, dei vice commissari e dei funzionari esecutivi del Consiglio distrettuale per gestire la mancanza di acqua nel territorio. Mons. Henry D’Souza, vescovo della diocesi di Bellary, commenta all'agenzia AsiaNews: “La comunità cristiana, formata in larga parte da dalit, è la più colpita. Aiutiamo i cattolici a beneficiare degli aiuti dello Stato”.
Gravi danni alle coltivazioni
Quella che ha colpito la nazione indiana è la più grave mancanza d’acqua degli ultimi tempi. I dati riportano che gli Stati più interessati sono il Karnataka e il Maharashtra, con diversi distretti che hanno esaurito del tutto le proprie riserve idriche. L’assenza di piogge monsoniche sta causando gravi danni alle coltivazioni, con ripercussioni sulle vite dei lavoratori e delle loro famiglie. Per questo il primo ministro del Karnataka ha disposto un blocco dei congedi per tutti i funzionari amministrativi, tranne nei casi di emergenza. Egli ha anche richiesto di cessare l’invio del personale nei corsi di formazione.
I più colpiti: contadini che non possiedono terreni e piccoli proprietari terrieri
Mons. D’Souza riferisce che “i più colpiti sono i contadini che non possiedono terreni e i piccoli proprietari di terre. Su 176 talukas, almeno 135 sono in gravi condizioni di siccità”. In questa situazione solo i grandi proprietari terrieri che prendono l’acqua dalle dighe hanno ottenuto il raccolto. Ma anche loro “hanno basse probabilità di ottenere il secondo, perché quest’anno le dighe avevano riserve idriche ridotte della metà”. Secondo i dati ufficiali del censimento del 2011, nello Stato del Karnataka vivono poco più di 61 milioni di abitanti, di cui circa 35 milioni nelle aree rurali. Il Karnataka State Department of Agriculture riporta poi che nel territorio lavorano 2,1 milioni di piccoli contadini e 67mila grandi proprietari terrieri.
Molti contadini emigrano in città per trovare lavoro
Il prelato aggiunge che “alcuni piccoli agricoltori che hanno seminato durante il periodo di lievi piogge a giugno, adesso hanno perso il raccolto e non possono più piantare semi. Perciò insieme ad altri contadini stanno emigrando in città in cerca di lavoro nei cantieri”. I cattolici poi, conclude il vescovo, “sono in maggioranza dalit (fuori casta) e quindi soffrono in modo particolare la mancanza dei monsoni. La Bellary Diocesan Development Society (Bdds), attraverso i suoi gruppi di auto-aiuto, sta sostenendo i dalit affinchè essi possano beneficiare della protezione sanitaria garantita dalla legge governativa”. (N.C.)
Spagna: premio Principessa delle Asturie ai Fatebenefratelli
È l’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio (Ohsjd), noto in Italia anche come “Fatebenefratelli”, il vincitore dell’edizione 2015 del Premio Principessa delle Asturie. Assegnato ogni anno ad Oviedo, in Spagna, il riconoscimento è suddiviso in diverse sezioni: all’Ordine ospedaliero è andato quello per “la concordia”, grazie al suo operato in favore dei malati di Ebola in Africa. Due missionari spagnoli dell’Ordine, tra l’altro, sono deceduti nel corso dell’anno, contagiati dal virus emorragico contratto mentre curavano alcuni ammalati.
Premiata l’opera assistenziale ai malati di Ebola in Africa
Nella motivazione del Premio, viene sottolineato “l’esemplare lavoro assistenziale” di questa organizzazione religiosa, la cui campagna intitolata “Stop all’Ebola nell’Africa Occidentale” ha permesso, grazie a numerose donazioni, di contrastare il virus in Sierra Leone e Liberia, tra i Paesi maggiormente colpiti. Durante l’epidemia, infatti, gli ospedali di Lunsar e di Monrovia sono stati chiusi e messi in quarantena, poiché molti membri del loro personale medico risultavano affetti dal virus. Di qui, l’impegno dell’Ordine di San Giovanni di Dio per una pronta riapertura dei due nosocomi, anche grazie ad un’adeguata formazione del personale sui protocolli anti-contagio e ad una costante assistenza alle famiglie poste in quarantena, che sono state rifornite di cibo, medicine e sostegno psicologico.
Aiuti anche per i migranti e gli esclusi dalla società
Fondato a Granada nel XVI secolo da un laico spagnolo, diventato poi San Giovanni di Dio, l’Ordine ospedaliero deve il suo nome più popolare “Fatebenefratelli” all'abitudine del suo fondatore che esortava i benefattori a collaborare alle opere di carità dicendo: “Fate del bene, fratelli, per amore di Dio”. Oggi, l’Ordine gestisce 350 Centri assistenziali suddivisi i 53 Paesi di tutti e cinque i continenti. Oltre 55mila i professionisti del settore sanitario che vi operano, in favore di 27 milioni di persone l’anno. Ed il campo medico non è l’unico in cui l’Ordine agisce: la sua missione, infatti, è di assistere anche i migranti, gli svantaggiati e gli esclusi dalla società. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 246