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Sommario del 30/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: mons. Romero martire anche dopo morte, vittima di calunnie

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La figura di mons. Óscar Arnulfo Romero, ucciso “in odio alla fede” il 24 marzo del 1980 e proclamato Beato lo scorso 23 maggio, è stata al centro del discorso rivolto stamani dal Papa a una delegazione di El Salvador. Il martirio di mons. Romero – ha detto Francesco – è stato preceduto da sofferenze e da persecuzioni. Ma anche dopo la morte, ha aggiunto, il suo martirio è continuato. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Dopo essere stato ucciso – ha detto il Papa – mons. Romero è stato diffamato, calunniato anche dai suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. Dopo aver dato la propria vita, ha affermato, ha continuato a darla lasciandosi “frustare” da  incomprensioni e da calunnie. E poi Papa Francesco ha aggiunto:

“Eso a mí da fuerza, solo Dios sabe…
Questo mi dà forza… Solo Dio sa! Solo Dio sa la storia delle persone. E quante volte alle persone che hanno già dato la propria vita, che sono morte si continua a lapidarle con la pietra più dura che esiste nel mondo: la lingua”.

L'onore del martirio
Mons. Óscar Arnulfo Romero – ha spiegato il Papa – è stato un “pastore buono, pieno di amore di Dio e vicino ai suoi fratelli”. Un testimone del Vangelo fino al martirio. Anche oggi – ha aggiunto il Pontefice – il sangue di un gran numero di cristiani martiri è sparso nel mondo con la “speranza certa che porterà frutti di un abbondante raccolto di santità, di giustizia”:

“Debemos estar dispuestos a morir por nuestra fe...
Dobbiamo essere disposti – ha detto il Santo Padre ricordando le parole pronunciate di mons. Romero – a morire per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore… Dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere”…

Il martire, un compagno di strada
Il martire non è relegato nel passato, non è una bella immagine – ha detto il Papa che adorna le nostre chiese e che ricordiamo con nostalgia:

“El mártir es un hermano, una hermana...
Il martire è un fratello, una sorella che continua ad accompagnarci nel mistero della comunione dei Santi e che, unito a Cristo, non trascura il nostro pellegrinaggio terreno, le nostre sofferenze e agonie”.

Un tesoro per El Salvador
Nella storia recente di questo Paese – ha ricordato il Pontefice – la testimonianza di mons. Romero si è unita a quella di altri fratelli e sorelle, come padre Rutilio Grande:

“Todos estos hermanos son un tesoro y una fundada esperanza...
Tutti questi fratelli sono un tesoro e una fondata speranza per la Chiesa e per la società salvadoregna”.

Pioggia di misericordia
L’impatto della loro devozione si percepisce ancora nei nostri giorni. A poche settimane dall’inizio del Giubileo straordinario della Misericordia – ha detto il Santo Padre l’esempio di mons. Romero costituisce per la sua amata nazione “uno stimolo per un rinnovato annuncio del Vangelo di Gesù Cristo”.

“Con fundada esperanza ansiaba...
Con fondata speranza – ha spiegato Papa Francesco – desiderava vedere l’arrivo del felice momento della scomparsa da El Salvador della terribile tragedia della sofferenza di tanti nostri fratelli a causa dell’odio, della violenza e dell’ingiustizia”. “Che il Signore – ha concluso – con una pioggia di misericordia e di bontà, con un torrente di grazie, converta tutti i cuori” e El Salvador “diventi un Paese in cui ognuno si senta redento e fratello senza differenze”. La delegazione salvadoregna ha ringraziato il Pontefice per la beatificazione di mons. Romero ed ha auspicato che siano prossime la Canonizzazione dell’arcivescovo e la Beatificazione di padre Rutilio Grande. La delegazione salvadoregna ha anche invitato il Papa a visitare El Salvador.

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Francesco: il perdono di Dio non è una sentenza del tribunale

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Un buon sacerdote sa “commuoversi” e “impegnarsi nella vita della gente”. E’ uno dei passaggi dell’omelia mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta, pronunciata in spagnolo. Dio, ha detto il Pontefice, “ci perdona come Padre, non come un impiegato del tribunale”. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Dio ha compassione. Ha compassione per ciascuno di noi, ha compassione dell’umanità e ha mandato suo Figlio per guarirla, per rigenerarla”, per “rinnovarla”. E’ uno dei passaggi dell’omelia di Papa Francesco a Casa Santa Marta incentrata proprio sulla compassione di Dio:

“Es interesante que en la parábola que todos conocemos del hijo pródigo…”
“E’ interessante – ha osservato – che nella parabola che noi tutti conosciamo del Figliol Prodigo, si dice che quando il padre – che è una figura di Dio che perdona – vede arrivare suo figlio ebbe compassione. La compassione di Dio non è avere pietà: non ha nulla a che vedere una cosa con l’altra”.

Io, ha soggiunto, “posso avere pietà di un cane che sta morendo”, ma la compassione di Dio è altro: è “mettersi nel problema, mettersi nella situazione dell’altro, con il cuore di Padre”. E per questo, ha sottolineato, “ha mandato suo Figlio”:

“Jesús curaba a la gente pero no era un curandero…”
“Gesù curava la gente – ha affermato – però non è un ‘guaritore’. No! Curava la gente come segno, come segno della compassione di Dio, per salvarla, per rimettere al suo posto nel recinto la pecorella smarrita, i soldi smarriti da quella signora nel portafoglio. Dio ha compassione. Dio ci mette il suo cuore di Padre, ci mette il suo cuore per ciascuno di noi. E quando Dio perdona, perdona come Padre e non come un impiegato del tribunale, che legge una sentenza e dice: ‘Assolto per insufficienza di prove’. Ci perdona da dentro. Perdona perché si è messo nel cuore di questa persona”.  

Gesù, ha soggiunto, è stato inviato per “portare la lieta novella, per liberare colui che si sente oppresso”. Gesù “è inviato dal Padre per mettersi in ciascuno di noi, liberandoci dei nostri peccati, dei nostri mali”.

“Y esto es lo que hace un cura, conmoverse, comprometerse…”
“Questo  - ha detto – è quello che fa un sacerdote: commuoversi, impegnarsi nella vita della gente, perché un prete è un sacerdote, come Gesù è sacerdote. Quante volte – e poi noi dobbiamo andare a confessarci – critichiamo quei preti, ai quali non interessa ciò che succede nella loro congregazione, che non se ne preoccupano. No, non è un buon prete! Un buon prete è quello che si coinvolge”.

Un buon prete, ha ripreso, è quello che si coinvolge in “tutti i problemi umani”. Quindi si è soffermato sul servizio offerto alla Chiesa dal card. Javier Lozano Barragán, presente alla Messa, in occasione della celebrazione dei suoi 60 anni di sacerdozio. Francesco ha ricordato con gratitudine il suo impegno al dicastero per gli Operatori Sanitari, “nel servizio della Chiesa che presta agli ammalati”. “Rendiamo grazie a Dio – ha detto – per questi 60 anni di sacerdozio”, “dalla compassione di Dio ad oggi vi è una linea e questo è un regalo che il Signore fa” al card. Barragán: “Poter vivere così per 60 anni”.

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Papa: eliminare lavoro forzato e nuove forme di schiavitù

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Debellare le nuove forme di schiavitù. Questo l’appello del Papa nel suo messaggio ai partecipanti alla Conferenza sulla tratta di essere umani, che si tiene a Madrid oggi e domani, organizzata dal “Gruppo Santa Marta”, un pool internazionale di ufficiali delle forze dell’ordine e di vescovi di tutto il mondo che operano insieme con la società civile per sradicare il traffico di esseri umani e garantire cure pastorali alle vittime. Il Gruppo trae il proprio nome dalla residenza di Papa Francesco, dove una delegazione fu ricevuta nell’aprile 2014. La sintesi del Messaggio nel servizio di Alvaro Vargas Martino: 

Esprimendo “gioia e soddisfazione pastorale” perché il gruppo Santa Marta torni a riunirsi di nuovo nel simbolico Monastero di San Lorenzo del Escorial, Francesco ha ricordato diverse iniziative che possono contribuire all’azione “benefica” del gruppo, tra le quali, l’incontro di sindaci in Vaticano dello scorso aprile nel quale essi “hanno firmato una dichiarazione in cui si impegnano loro stessi a debellare le nuove forme di schiavitù, che hanno condannato come un crimine contro l’umanità”.

In questo senso, il Papa ha anche sottolineato l’importanza della recente approvazione dell’Agenda 2030, che raccoglie i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu, i quali tra le altre cose incoraggiano ad “adottare misure immediate ed efficaci per debellare il lavoro forzato e porre fine alle nuove forme di schiavitù e alla tratta di essere umani, assicurando il divieto e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, compreso il reclutamento e l’utilizzo di bambini soldati ed entro il 2025 porre fine al lavoro infantile in tutte le sue forme”.

A questo proposito, Francesco ha poi ricordato le sue parole sull’importanza dell’Agenda dell’Onu nel discorso che ha rivolto all’Assemblea generale dell’organismo lo scorso 25 settembre, in cui ha ribadito che “il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato”.

Infine, il Papa chiede “a Dio Onnipotente che doni al Gruppo Santa Marta di portare avanti la propria missione, così delicata, così umanitaria, e così cristiana, di guarire le piaghe aperte e dolorose dell’umanità, che sono anche le piaghe di Cristo”.

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60.mo del Celam. Papa: siate appassionati della vostra gente

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Un motore di evangelizzazione per ogni Paese dell’America meridionale, che abbia come priorità “la conversione pastorale e missionaria”. È quanto il Papa auspica per il Celam, il Consiglio episcopale Latinoamericano, del quale Francesco ha ricevuto stamattina i vertici – guidati dall’arcivescovo di Bogotá, il cardinale Rubén Salazar Gómez – e al quale ha indirizzato un messaggio in occasione dei 60 anni della sua fondazione.

Spero che il Celam, scrive il Papa, “sia sempre più partecipe, sostegno e forza irradiante di questo movimento di evangelizzazione verso tutti gli ambiti e i confini” e che “le nostre comunità – soggiunge – siano ‘casa e scuola di comunione’”, capaci di contribuire a “mantenere sempre viva nella Chiesa in America Latina la passione per i nostri popoli, l’assunzione delle loro sofferenze e la capacità di discernimento cristiano delle  vicissitudini della loro storia presente, per aprire cammini di maggiore equità, pace e giustizia”.

La prossima apertura del Giubileo della Misericordia, conclude Francesco, “sarà un evento di grazia nel quale il Celam dovrà prestare un servizio fondamentale di animazione, confronto e celebrazione”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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Nomine episcopali di Papa Francesco in Francia e Spagna

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Papa Francesco ha ricevuto, nel corso della mattinata, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli,

In Francia, il Papa ha nominato mons. Renauld de Dinechin vescovo della diocesi di Soissons, finora ausiliare di Parigi. Il presule è nato a Lille il 25 marzo 1958. Dopo aver compiuti gli studi di ragioneria ed ottenuto il Brevet de Technicien Supérieur, è entrato nel Seminario di Parigi (1983-1987), e ha poi frequentato i corsi ecclesiastici a Bruxelles (Belgio), presso l’Institut d’Etudes Théologiques, concludendo il baccellierato in teologia. È stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1988 per l’arcidiocesi di Parigi. Ha svolto molteplici incarichi pastorali dapprima come Vicario parrocchiale nella parrochia dell’Immaculée Conception (1988-1995), cappelano del liceo pubblico Paul Valéry (1988-1995) e dell’istituto scolastico cattolico Saint-Michel de Picpus (1989-1995) a Parigi. È stato Direttore aggiunto del 2° ciclo dell’Aumônerie de l’Enseignement Public (1992-1995). Nel 1995-1996 è ingresso nell’Istituto Notre-Dame de Vie e ha seguito la formazione a Vénasque. Quindi è stato Delegato diocesano per le vocazioni sacerdotali e religiose (1996-2002), Direttore del Centro Vocations Ile de France, Delegato della Mission Etudiante, Capellano dell’Università La Sorbonne, Adetto alla Parrochia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi (1996-2003). Nel quadro della Fraternité des Prêtres pour la Ville è in servizio presso la Cattedrale di Pontoise (2003-2004), poi Parroco della parrocchia Bienheureux Frédéric Ozanam a Cergy (diocesi di Pontoise) (2004-2008) e Decano di Cergy (2006-2008). Fu eletto Vescovo Titolare di Macrina minore e Ausiliare dell’arcidiocesi di Parigi il 21 maggio 2008, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 5 settembre 2008. Nell’arcidiocesi di Parigi è Vicario Generale. All’interno della conferenza Episcopale Francese è Membro della Commissione per la Missione universale della Chiesa e Responsabile della Pastorale per i migranti.

In Spagna, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi metropolitana di Burgos, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Francisco Gil Hellín. Al suo posto, Francesco ha nominato mons. Fidel Herráez Vegas, trasferendolo dall’ufficio di ausiliare di Madrid. Mons. Herráez Vegas è nato in Ávila il 28 luglio 1944. Ha compiuto gli studi ecclesiastici nel Seminario di Madrid. Fu ordinato sacerdote il 19 maggio 1968 è ricoprì gli incarichi di Formatore nel Seminario Minore e incaricato dell’insegnamento di Letteratura, Latino, Francese e Inglese nel Collegio dell’Immacolata e San Damaso. Dal 1972 al 1974 ha seguito gli studi nell’Accademia Alfonsiana di Roma, ottenendo la Licenza in Teologia Morale. Nel 1977 ottenne il Dottorato nella medesima disciplina nell’Università Lateranense. Ritornato in diocesi, è stato Cappellano delle “Madri Irlandesi” e Delegato per l’insegnamento (1977-1996); Professore di Teologia Morale nel centro di Studi Teologici “San Dámaso” (1977-1995).  È stato Vice Presidente del Consiglio diocesano e Rappresentante dei Delegati diocesani dell’Insegnamento delle diocesi spagnole nel Consiglio generale dell’Educazione Cattolica (1986-1995). Nel 1995 fu nominato Vicario Generale di Madrid. Il 14 maggio 1996 fu nominato Vescovo Ausiliare di Madrid e Titolare di Cedie e fu consacrato il 29 giugno successivo. Nella Conferenza Episcopale Spagnola è Membro della Commissione Episcopale per l’Insegnamento e la Catechesi dal 1996.

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Card. Sandri in Marocco: dialogo interreligioso più che mai necessità

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La tolleranza rinasce nell’incontro con il volto dell’altro, quando riconosciamo che è un fratello. Questo il cuore del discorso che il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha tenuto oggi a Fés, in Marocco, intervenendo al simposio “Il dialogo interreligioso, fondamento di tolleranza e incontro”. Il servizio di Roberta Barbi: 

Chi sono io? Chi è l’uomo? Perché il dolore o la morte? Sono queste le domande profonde scritte nel cuore umano alle quali le diverse religioni danno risposta; domande che superano il tempo e lo spazio, perché - come afferma la Dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra aetate" sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane, di cui ieri la Chiesa ha celebrato il 50.mo anniversario – esse hanno una sola origine, Dio, che è anche il fine ultimo cui tende tutta l’umanità, perciò “i vari popoli costituiscono una sola comunità”. Così il cardinale Sandri ha introdotto la sua riflessione sul dialogo interreligioso, oggi più che mai una necessità, data “l’interdipendenza dei popoli, delle culture e delle religioni nel mondo globalizzato”.

Le Chiese Orientali, esempio di convivenza con ebrei e musulmani
La Chiesa cattolica, in materia di dialogo interreligioso, “concentra l’attenzione sulla verità, la bellezza e il bene presenti nelle varie religioni”: solo così, ricorda il porporato, si può andare verso il mutuo rispetto e un apprezzamento reciproco che si trasforma in stima e proficua interazione delle religioni nella vita concreta. Purtroppo ci sono molte parti del mondo in cui questo rispetto non è ancora realtà, non ha trovato spazio nella vita delle persone oppure è stato pericolosamente insidiato. Come esempio virtuoso, Sandri indica le Chiese Orientali, i cui fedeli da sempre vivono pacificamente accanto ai fratelli di religione ebraica e musulmana: “Ci sono state tensioni – ammette – ma nella vita reale il dialogo accade dentro i villaggi e le città perché si vive insieme”.

“Troppo spesso la conoscenza anche della propria fede è superficiale”
Tra gli obiettivi del dialogo interreligioso, inoltre, c’è anche quello di approfondire la conoscenza della propria religione, attraverso l’incontro con credenti appartenenti alle altre, in spirito di apertura e riflessione. Fu questo alla base della felice intuizione di Giovanni Paolo II che nel 1986 promosse ad Assisi il primo Incontro delle religioni per la pace. Nel nostro mondo fortemente secolarizzato, infatti, la conoscenza della fede è spesso “povera e superficiale”, perciò urge “salvaguardare gli spazi d’incontro” ma anche “i diritti degli altri: il diritto a esistere, dell’integrità fisica e delle libertà fondamentali quali coscienza, pensieri, espressione e religione”.

Diventare costruttori di ponti
Promuovere il dialogo interreligioso, dunque, è affare di tutti, l’impegno a diventare costruttori di ponti e di relazioni. Come ha detto Papa Francesco durante l’incontro per la libertà religiosa a Philadelphia nel settembre scorso, “i seguaci delle diverse tradizioni religiose uniscano la loro voce per invocare la pace, la tolleranza e il rispetto della dignità e dei diritti degli altri”.

Il Marocco: un Paese ospitale
Infine il cardinale Sandri si è rivolto proprio al Paese ospitante il simposio, il Marocco, e lo ha fatto con le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nel suo discorso ai giovani di Casablanca nell’agosto del 1985: “Voi siete un Paese ospitale, siete preparati a diventare cittadini del mondo di domani, siete capaci di fare questo dialogo, non volete essere condizionati da pregiudizi, siete pronti a costruire una società fondata sull’amore”. In conclusione, il porporato ha citato un’esperienza, quella dei 7 monaci trappisti prelevati nel 1996 dal loro monastero di Tibhirine, in Algeria, e successivamente uccisi. Il sequestro, avvenuto in piena guerra civile algerina e mai definitivamente chiarito, fu rivendicato dal Gruppo Islamico Armato. Sapevano di essere in pericolo, ma non fuggirono. Una delle vittime, il priore fr. Christian de Chergé, scriveva nel suo testamento: “Bisogna essere preghiera in mezzo agli altri; la pace è un dono di Dio agli uomini, ma è a loro che tocca conservarlo”.

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Card. Tauran: le religioni promuovano la cultura del rispetto

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L’Europa affronta oggi “molte sfide”: una di esse deriva dalla paura di “perdere la sua identità”, da cui i fenomeni di “xenofobia” e dell’“aumento dell’intolleranza verso le religioni diverse e le minoranze”. Lo sottolinea il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, in un messaggio inviato ai partecipanti alla Assemblea europea di “Religions for Peace” in corso a Castel Gandolfo fino a domenica prossima. “Come leader religiosi – indica il porporato – la nostra sfida più urgente oggi è trasformare sfiducia, sospetto, intolleranza in una nuova cultura fondata sul rispetto, la comprensione reciproca, la non violenza, la solidarietà e la risoluzione pacifica del conflitto”.

Parlando dei “flussi migratori forzati causati dalle guerre, dai regimi dittatoriali e dalle crisi ecologiche”, il cardinale Tauran si chiede come si possa “trasformare la paura in fiducia”, la “discriminazione in rispetto, l’inimicizia in amicizia, la polarizzazione in solidarietà”, “lo scontro in incontro e dialogo”. Un ruolo in questo processo lo assumono, ribadisce, proprio le religioni la cui vera missione “è la pace”, giacché “religione e pace camminano insieme”. “Nessun vero leader religioso – osserva il porporato – può ignorare che esiste una cultura della disumanizzazione e della violenza, può predicarla e sostenerla. Siamo tutti d’accordo nell’affermare che pace e violenza, fiducia e paura abitano nel cuore dell’uomo”. “Il nostro patrimonio spirituale è grande, lavoriamo insieme – conclude – per curare i mali sociali e culturali del nostro tempo attraverso il dialogo e la cooperazione”.

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Ravasi: da visitatori dell'Expo 150 mila euro per carità del Papa

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Il risultato del Padiglione della Santa Sede all’Expo di Milano è “molto positivo. I visitatori con le loro piccole e semplici donazioni hanno offerto 150 mila euro affinché il Papa possa sostenere le comunità di sfollati e rifugiati in Giordania. Per questa ragione riteniamo che il nostro Padiglione abbia avuto anche una funzione quasi pastorale”. Lo ha detto il presidente del Pontificio consiglio per la cultura e commissario del Padiglione della Santa Sede ad Expo, il card. Gianfranco Ravasi, ai microfoni di inBlu Radio, network delle radio cattoliche italiane. 

Dal Padiglione della S.Sede: fame nel mondo e cibo spirituale e culturale
​“La Santa Sede con questo Padiglione - ha aggiunto il card. Ravasi - ha voluto sviluppare due dimensioni da una parte il pane che è sulle mense, uno dei grandi simboli del nutrimento universale. La dimensione dell’assenza di questo pane sulle tavole, la fame del mondo, è stato il primo tema. Dall’altra parte si è voluta evocare l’altra frase ‘Non di solo pane’ ricordando la dimensione più spirituale e culturale che il cibo comporta. E’ per questo motivo che molti hanno riconosciuto che il Padiglione della Santa Sede è stato forse quello che più di tutti ha voluto centrare il tema”. (R.P.)

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Presentati atti del Convegno sui restauri alla Cappella Sistina

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“La Chiesa ha regalato al mondo la Cappella Sistina. I 2.500 metri quadrati di pittura murale fanno la più grande e la più importante antologia della grande arte del Rinascimento”. Così ieri sera nella Sala Regia dei Musei Vaticani, il cardinale Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato dello Stato Vaticano, ha aperto la presentazione degli atti del Convegno "Cappella Sistina venti anni dopo. Nuovo respiro nuova luce", che si è tenuto l’anno scorso per commemorare i 450 anni dalla morte di Michelangelo e il ventennale della fine dei restauri della Sistina. Il servizio di Marina Tomarro

 Il racconto di un restauro eccezionale durato 14 anni, eseguito dal maestro Gianluigi Colalucci, e diretto dal compianto Fabrizio Mancinelli, grazie al quale dopo secoli sono riemersi i colori e dettagli dell’opera di Michelangelo, ma anche l’importanza del  progetto di climatizzazione e ricambio dell’aria e il nuovo impianto di illuminazione a led. Spiegano questo gli atti del convegno sulla Cappella Sistina. Ascoltiamo il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci:

"Sono così importanti in particolare per la Cappella Sistina perché garantiscono le migliori condizioni di salute, quindi di sopravvivenza delle pitture più famose del mondo. Se gli affreschi di Michelangelo potessero parlare, ci ringrazierebbero perché li abbiamo messi nelle condizioni di vivere nelle condizioni migliori per il tempo più lungo possibile. Quanto ai visitatori dei Musei Vaticani, della Cappella Sistina, loro ci ringrazieranno, già ci ringraziano, perché la nuova illuminazione led permette di vedere la Cappella Sistina come prima non si poteva vedere, nella sua interezza e in ogni ancorché minimo dettaglio. Noi dobbiamo fare in modo che non ci sia più bisogno di altri restauri. Per questo abbiamo l’impianto di climatizzazione".

E attraverso le pagine degli atti sul restauro, emerge tutta la razionalità di un grande professionista che, nonostante l’emozione di fronte alla pittura di Michelangelo, non perde mai la calma operando sempre in maniera razionale. E grande è la suggestione per chi visita  la Cappella Sistina. Ascoltiamo ancora Antonio Paolucci:

R. – La Cappella Sistina è il segno identitario della nostra Chiesa: non c’è cattolico che almeno una volta nella vita non desideri di metterci piede dentro… E poi la Cappella Sistina è il manuale base della storia dell’arte italiana. Le due cose insieme fanno il successo planetario e non a caso è visitata da sei milioni di persone ogni anno.

Ma dal punto di vista dell’illuminazione e climatizzazione, quali sono state le modifiche apportate? Ascoltiamo Vittoria Cimino, curatrice degli atti:

R. – Nel caso della Cappella Sistina, con l’illuminazione noi abbiamo voluto fare un’operazione fortemente culturale, cioè non illuminare una parte rispetto a un’altra, perché nella Cappella Sistina è Michelangelo la star. All’inizio ci veniva proposto di illuminare il Giudizio e invece, siccome le pitture della Cappella Sistina sono state realizzate in tre periodi diversi da artisti diversi – ma rappresentano un unico grande messaggio, quello della salvezza dell’uomo – è stato scelto di curare un’illuminazione che fosse omogenea, il più omogenea possibile, senza toni di accento su una pittura rispetto a un’altra.

D. – Dal punto di vista dell’areazione, cosa è stato fatto?

R. – Dal punto di vista dell’impianto di climatizzazione è stato fatto un radicale ripensamento di quello che c’era prima perché quello che era stato fatto 20 anni fa aveva un dimensionamento per un numero di persone minore rispetto al numero di quelle che entrano oggi in Sistina. Per raggiungere l’obiettivo di tenere sotto controllo temperature umidità, umidità lungo le pareti, l’abbiamo dovuto ripensare. Mentre prima era un impianto che immetteva aria nell’ambiente, adesso è un impianto che in parte la immette e in parte la riprende, quindi l’aria è realmente purificata e, se si purifica l’aria, la concentrazione di anidride carbonica che emettiamo noi con il respiro diminuisce.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, Il tesoro dei martiri. A un pellegrinaggio del Salvador il Pontefice ricorda la testimonianza del beato Romero. E in un messaggio ribadisce che combattere la tratta è un imperativo morale.

Sotto, Flessibilità diplomatica per una soluzione in Siria. Appello di Ban Ki-moon ai partecipanti al vertice internazionale a Vienna.

A pagina 4, Dervisci e francescani, dialoghi interreligiosi in Turchia, di Alberto Fabio Ambrosio.

Teatro filmato di Emilio ranzato su «Kreuzweg. Le stazioni della fede» l'ultimo film del regista tedesco Dietrich Brüggemann,Catene che non si vedono, di Silvia Guidi.

Nell'altra pagina della cultura, Il rischio di abituarsi a non capire, François Boespflug su cristianesimo e immagini, e La ricetta di san Francesco e la sindrome di Peter Pan di Gabriele Nicolò.

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Oggi in Primo Piano



Aspetti economici e culturali della nuova legge sui figli

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In Cina, nel 2030 ci saranno 360 milioni di cittadini sopra i 60 anni, pari a un quinto della popolazione in età pensionistica: è un dato che fa capire come dietro alla decisione, annunciata due giorni fa, di superare la legge del 1979, che imponeva un figlio unico, ci siano motivazioni economiche e squilibri sociali. Tra le distorsioni sociali, c’è la mancanza di donne. Del "commercio" di donne e anche delle difficoltà a superare quella che è diventata un’abitudine culturale al figlio unico, Fausta Speranza ha parlato con padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews: 

R. – I demografi calcolano che ci siano almeno 20-40 milioni di donne che mancano alla Cina e allora questo sta portando a un commercio dai Paesi vicini: dal Vietnam, dalla Cambogia, dalle Filippine e soprattutto dalla Corea del Nord. Dalla Corea del Nord, si prendono ragazze e si portano in Cina per essere vendute, soprattutto nelle campagne, a persone che vivono in campagna. Qualche volta, queste donne sono trattate bene, a volte sono trattate da schiave…

D. – La legge in teoria non permetteva l’aborto selettivo sulle femmine, ma di fatto è stato evidente nei fatti. Perché questo squilibrio di genere?  

R. – Il figlio maschio è visto come il continuatore della tradizione, della famiglia. E poi anche perché il figlio maschio “appartiene” alla famiglia originaria, mentre la figlia femmina “appartiene” poi alla famiglia nella quale va a sposarsi. Inoltre, la società cinese – non si sa bene perché – le donne le paga il 30% in meno nei salari.

D. – Superata la politica del figlio unico, comunque la limitazione resta: solo due figli a coppia. Che valutazione dare?

R. – Il motivo dell’apertura è molto economico, cioè per diminuire l’invecchiamento della popolazione e per aumentare la possibilità di forza lavoro, perché si vede che manca sempre più manodopera. I demografi cinesi, però, dicono che con l’impatto che ha avuto la legge del figlio unico ci vorranno ancora 20-30 anni per riuscire a vedere qualche risultato in tutto questo. Sono molto pessimisti: forse la Cina ha “allentato” un po’ questa legge del figlio unico, ma troppo tardi.

D. – C’erano già eccezioni: qualcuno poteva permettersi una sorta di “multa” per il secondo figlio…

R. – Le famiglie ricche potevano permettersi diversi figli proprio perchè potevano pagare le multe. Invece, le famiglie povere erano costrette ad abortire o ad abbandonare la figlia femmina, oppure a vedersi requisiti tutti i loro beni: l’animale che veniva allevato oppure le terre oppure i mobili… Oppure, anche ad andare in prigione.

D. – Che dire della discussione all’interno al Paese? Come viene vissuta questa nuova normativa?

R. – Guardi, io ho l’impressione che non è che questa indicazione dei due figli avrà un grande applauso. Per esempio, mi pare un anno fa, hanno dato l’indicazione che quando in una coppia uno dei due partner è figlio unico, cioè viene da una famiglia con un figlio unico, si possono avere due figli. Questa indicazione, questo “allargamento” della legge non ha avuto quasi nessun effetto. Loro speravano che ci fossero 20 milioni di nuovi bambini, invece ne hanno avuto soltanto 1,4 milioni. Il che vuol dire che nella popolazione ormai c’è l’idea che in fondo avere figli sia soltanto un peso economico. Occorrerà educare la gente al valore della vita, al valore di avere una famiglia grande, così com’era nella tradizione cinese antica. Adesso, invece, la gente fa molta fatica: lavora tantissimo, ci si vede soltanto la sera tardi, magari tra marito e moglie uno va a lavorare da una parte, in una città, e l’altro va a lavorare in un’altra città… E’ molto, molto difficile che adesso abbiano figli. E in alcune interviste che avevo fatto ultimamente, dicevano: “Ma, chi me lo fa fare a fare un figlio? Io non ho soldi a sufficienza per mantenerlo, per mandarlo a scuola e quindi, per concludere, per garantirgli un buon futuro”.

D. – Quindi, non basta una legge: ci vuole, come dire, una sorta di “nuovo umanesimo” …

R. – Eh sì: occorre un nuovo umanesimo, che la Cina sta cercando disperatamente. Finché non darà libertà di religione, penso che non ci sarà.

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Siria, Andrea Riccardi: l'assedio di Aleppo, vergogna mondiale

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In corso, a Vienna, i colloqui sulla crisi siriana con la partecipazione per la prima volta dell’Iran. Unità e flessibilità: questo l’auspicio del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, rivolto ai partecipanti. Obiettivo dei lavori: porre fine a un conflitto che dal 2011 ha causato 250 mila morti, ma anche trovare un difficile accordo sul ruolo del presidente Assad. Intanto, sul piano umanitario la Comunità di S. Egidio rilancia l’appello “Save Aleppo”, “salvare Aleppo”, la città siriana, ormai agonizzante. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Andrea Riccardi, fondatore della Comunità: 

R. – Aleppo sta morendo e nessuno ha fatto niente! Non hanno fatto niente le politiche nazionali, non hanno fatto niente le organizzazioni internazionali… E se muore Aleppo, Aleppo on rinascerà. E’ una città della convivenza tra musulmani e cristiani, patrimonio dell’Unesco. E' un mondo che significava molto, perché Aleppo era un messaggio e sta finendo assediata: non ha acqua, non ha luce elettrica e non ho sentito una sola parola su questo.

D. - Le diplomazie internazionali sono riunite a Vienna. Può esistere una soluzione politica alla crisi siriana, senza una soluzione umanitaria?

R. – Lasci cadere "politica", "umanitaria": ci vuole una soluzione, perché questa guerra è una vergogna dell’umanità! E’ una vergona di una comunità internazionale indifferente. E’ una guerra che ha prodotto un mostro come l’Is. Io credo che tutto questo sia sulla bilancia dell’irresponsabilità, dell’impotenza e anche – naturalmente – della follia di un governo, di gruppi armati che si sono sempre radicalizzati. La colpa non è solo all’estero, ma è colpa anche di questa realtà siriana. Però, credo che noi dovremmo fare qualche cosa, perché non si può lasciare morire un Paese così.

D. – Innanzitutto corridoi umanitari, suggerisce la Comunità di S. Egidio. Come è realizzabile un’eventualità del genere con forze sul campo con le quali non è possibile dialogare?

R. – Non è detto che non sia possibile dialogare. Con molte forze sul campo, con parecchie è possibile dialogare, solo che non si è dialogato...

D. – Nel dramma siriano spicca la situazione – certo non la sola, chiaramente – della comunità cristiana. La fuga è l’unica soluzione?

R. – La comunità cristiana soffre molto, ma soffrono anche molto i musulmani. La Siria non è solo un dramma cristiano, ma è anche un dramma cristiano. Ci sono 200 assiri rapiti, dei quali non si sa che fine abbiano fatto nelle mani dell’Is. I cristiani fuggono e anche questa è una perdita irreparabile. Io nella vergogna dell’umanità, che è il dramma di Aleppo, vedo questa situazione incredibile: vedo il dramma dei cristiani e della convivenza islamo-cristiana. La perdita dei cristiani è un danno irreparabile per lo stesso islam e lo si vedrà nei prossimi decenni.

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Turchia verso il voto: nuova linea editoriale ai giornali chiusi ieri

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Sono tornati in edicola Bugun e Millet, i due quotidiani turchi di opposizione al presidente Recep Tayyip Erdogan, la cui pubblicazione era stata bloccata ieri: hanno una linea editoriale diversa, considerata più attenta al Primo ministro e meno ai partiti di opposizione. Il cambio di prospettiva giunge dopo che i vertici dei giornali sono stati rimossi dal tribunale, a seguito del 'commissariamento' del gruppo editoriale Ipek, per presunti legami con il magnate e imam Fethullah Gulen, ex alleato e ora deciso oppositore di Erdogan. Anche i due canali tv del medesimo gruppo sono tornati in onda, a nuove condizioni.

In questo clima, circa 53 milioni di elettori domenica prossima sono chiamati alle urne per il rinnovo del Parlamento. Quattro i principali partiti in lizza: il Partito islamico Giustizia e Sviluppo (Akp) del Presidente Erdogan; il Partito repubblicano popolare (Chp), primo schieramento di opposizione; il Partito del movimento nazionalista (Mhp), formazione di destra e ultranazionalista; il Partito popolare democratico (Hdp), curdo, che ha partecipato alle elezioni per la prima volta lo scorso 7 giugno.

Partendo dalla vicenda dei quotidiani, Giada Aquilino ha chiesto un’analisi dell’attuale momento politico per la Turchia a Marco Di Liddo, analista del Centro Studi Internazionali: 

R. – C’è un clima abbastanza teso, perché la vicenda dei giornali è soltanto l’ultimo episodio di una situazione politica turca che è sempre più conflittuale tra le varie anime politiche e sociali del Paese. Il fatto che i quotidiani in questione abbiano deciso di modificare la loro linea editoriale è sinonimo probabilmente di due fattori: il primo è che vogliono continuare ad andare in edicola – ad essere diffusi – e quindi vogliono evitare il rischio di nuove sanzioni o nuove azioni a loro danno. E il secondo è che inevitabilmente ci sia un po’ di timore.

D. – Human Rights Watch, di fronte al blocco della stampa di opposizione, ha parlato di “misure drammatiche” che non si vedevano dai giorni del colpo di stato militare, quindi dal 1980: qual è la situazione?

R. – Questo è un punto molto delicato. Non è la prima volta che, purtroppo, il governo turco e il suo Presidente utilizzano in maniera piuttosto ‘muscolare’ i propri poteri per mettere nell’angolo le opposizioni o tutte quelle manifestazioni sociali e politiche particolarmente critiche verso l’attuale classe dirigente.

D. – Come va letta la decisione di inserire il magnate e imam Gulen, ex alleato e ora oppositore di Erdogan, nella lista dei terroristi più ricercati? È alla stessa stregua dei leader del Pkk curdo?

R. – Assolutamente no. I leader del Pkk, come la stessa organizzazione del Pkk, hanno sempre abbracciato una politica che, deliberatamente e in modo manifesto, faceva uso della violenza. Per quanto riguarda invece Gulen e la sua rete – il suo network è chiamato Hizmet - parliamo di una struttura che ha un’enorme copertura sociale e di interessi transnazionali, non solo in Turchia, in diversi settori dell’economia. In più Gulen, all’inizio della carriera politica di Erdogan e dell’ascesa del suo partito, era uno dei suoi maggiori finanziatori ed alleati. Quindi questa è una mossa che probabilmente lascia capire che c’è una guerra interna al blocco alleato dell’Akp.

D. – Come si presentano le elezioni parlamentari?

R. – C’è il rischio di ripetere quello che è successo a giugno: quindi con l’Akp che non ha la maggioranza assoluta, non può per questo governare da solo e non può avere i numeri per cambiare la Costituzione o fare un esecutivo monocolore. Questo potrebbe essere un grave problema perché – purtroppo – l’Akp, dopo 10 anni di governo in solitaria, non è abituato a degli esecutivi di coalizione con altri movimenti. E inoltre le forze di opposizione sono forze ideologicamente molto distanti dall’Akp e hanno in questo momento poca intenzione di sedere a un tavolo.

D. – L’impegno della Turchia nelle vicende per la crisi siriana, il sedicente Stato Islamico, i flussi migratori, il Pkk: quanto incidono su questo voto?

R. – Molto, perché quello che sta succedendo alla frontiera turca, e all’interno dello stesso territorio nazionale, ha innanzitutto determinato il risultato delle scorse elezioni. L’atteggiamento di Ankara nei confronti delle milizie curde che stanno combattendo l’Is è stato molto ambiguo. E la stessa politica nei confronti di quei movimenti della società civile e di quei partiti pro-curdi al proprio interno è stata molto dura e ha contribuito all’exploit del Partito per la democrazia, il partito curdo di sinistra. C’è il rischio di una polarizzazione e di una radicalizzazione delle posizioni. Politica estera e interna in questo momento sono estremamente collegate in Turchia.

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Congo, un documentario per raccontare le miniere degli "schiavi minerali digitali"

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"Un grammo di sfruttamento nelle nostre tasche”, questo è il titolo dell’incontro di ieri pomeriggio nella Sala Marconi della Radio Vaticana, durante il quale è stato presentato il documentario sulle condizioni di vita nelle inaccessibili miniere del Katanga, in Congo, dei cosiddetti “schiavi dei minerali digitali”. Secondo l’indagine della Fondazione Internazionale Buon Pastore, il 70% della popolazione lavora non occasionalmente nelle miniere e riferisce di aver subito almeno una volta gravi violenze fisiche o psicologiche in casa e in miniera. Il servizio di Alessandro Filippelli

Lavorano scalzi e scavano a mani nude, a decine di metri di profondità . Ogni giorno rischiano di morire sotto una frana, il tutto per guadagnare 2 o 3 dollari. Sono storie di vita degli artigiani minerari di Kolwezi, città situata in una delle regioni minerarie più ambite del pianeta, il Katanga, nella Repubblica Democratica del Congo.

Sono condizioni di vita disumane quelle dei cosiddetti “schiavi dei minerali digitali”, perché tra loro ci sono anche giovani madri, sfruttate per alimentare il sistema di estrazione di quelle materie prime indispensabili per la tecnologia digitale.

Ma da questo tragico scenario, tutto raccontato in un documentario, emerge una storia di riscatto e speranza, un progetto che rappresenta un primo passo per uscire fuori dalla miniera e costruire un futuro diverso. Cristina Duranti, direttore della Fondazione Buon Pastore onlus:

“Con il documentario, con il lavoro che stiamo facendo di presentazione del progetto, ci teniamo a sottolineare il fatto di portare una buona notizia. La buona notizia è che dopo tre anni questa comunità ha trovato la sua voce per affermare i suoi diritti nei confronti del governo locale, delle compagnie minerarie ma anche per proteggere i suoi membri più vulnerabili, le donne e i bambini. Quando le suore sono arrivate tre anni fa li hanno trovati in condizioni di vita misere: più del 60% dei bambini orfani o con un genitore soltanto, più della metà dei bambini che abbiamo intervistato non si ricordava l’ultima volta che aveva mangiato, si portavano la terra nelle tasche per riempirsi lo stomaco, a causa dei morsi della fame. La maggior parte di loro viveva esclusivamente di quello che riuscivano a raccogliere in queste cave minerarie come scarti di lavorazione. 980 di questi bambini adesso vanno tutti i giorni nel nostro Centro di recupero scolastico, mangiano una volta al giorno un pasto completo e sentono di avere un futuro diverso”.

A differenza di altre regioni del Congo, il Katanga è considerata una zona stabile, che non fa notizia, perché non ci sono 'signori della guerra', né “minerali dei conflitti” o "diamanti insanguinati". Bernhard Warner, giornalista e autore del documentario:

“In questa parte di Congo si trova purtroppo un alto livello di sfruttamento. La gente guadagna veramente poco, e anche il livello di sofferenza è alto. Siamo entrati in queste miniere per vedere la gente che estrae tutti i minerali “digitali”, per i nostri cellulari, labtop… Di solito ci sono donne, donne incinta, bambini, in un grande pozzo di acqua tossica; tossica vuol dire che c’è l’uranio e altri metalli pesanti. Loro guadagnano un dollaro al giorno, forse e un altro giorno niente. Il terzo giorno forse due dollari. La situazione è molto precaria. In questo senso abbiamo osservato e poi registrato le loro storie”.

La realizzazione del documentario è stata resa possibile grazie ad un finanziamento dell’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede e gli autori hanno condotto decine di interviste per testimoniare storie di ordinario sfruttamento in un luogo dove regna la legge del più forte che schiaccia i più vulnerabili. Ancora Bernhard Warner:

“Eppure c’è un momento di speranza perché ci sono tante persone in quella zona che sono scappate dalla miniera e hanno trovato e hanno creato una vita nuova, una vita che è molto più sostenibile della miniera”.

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Il card. Bagnasco: Roma vada a testa alta e con efficienza

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Tutela della vita, unioni civili, lavoro, situazione politica a Roma. Sono i temi di un’intervista al presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, che stamane nella Capitale è intervenuto a un convegno a 20 anni dall’Evangelium Vitae. Al microfono di Alessandro Guarasci, il cardinale parla prima di tutto del difficile momento che sta passando il Campidoglio: 

R. – Roma ha bisogno di un’amministrazione, di guide, che Roma merita moltissimo, tanto più in questo momento in cui il Giubileo è ormai alle porte. Ci auguriamo che Roma possa procedere a testa alta e con grande efficienza.

D. – Quanto è attuale oggi l’Evangelium vitae e soprattutto in tempi in cui si parla addirittura di utero in affitto?

R. – E’ ancora più attuale di 20 anni fa perché la situazione culturale e quindi sociale non mi sembra migliorata dal punto di vista di una visione della società che sia veramente rispettosa della vita delle persone, soprattutto delle persone più deboli, come i bambini che devono ancora nascere e poi i bambini in generale e poi gli anziani. La categoria di una società, di una cultura efficientista per cui contano soltanto coloro che sono forti, sono giovani, producono e sono efficienti, questo mi pare sia crescente. C’è bisogno di riaffermare il valore sacro e inviolabile della vita e la dignità di ognuno.

D. – Il governo italiano vuole puntare sulle unioni civili con relativa adozione, qual è la sua opinione?

R. – La posizione della Chiesa è stata ancora una volta ribadita in modo molto autorevole nel Sinodo, nel documento conclusivo che è stato consegnato al Santo Padre per le sue decisioni. Quindi per noi la famiglia è il valore universale come anche la nostra costituzione prevede: il papà, la mamma e i figli, ecco. Questo è il fondamento in tutto il mondo, ed è risuonato nell’aula sinodale: in tutto il mondo la famiglia è veramente il centro, la base, il perno fondamentale della società e anche della Chiesa, l’esperienza, non soltanto il grembo della vita, ma anche la prima palestra di umanità e di socialità e, se credenti, di fede. Quindi questo bene è un patrimonio veramente dell’umanità, non può essere assolutamente indebolito in nessun modo.

D.  – Lei è ottimista per il futuro sociale ed economico dell’Italia?

R. – Io spero che ci sia un salto proprio visibile, molto visibile e diffuso per quanto riguarda l’occupazione. Speriamo tutti questo, specialmente per i più giovani.

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Vent'anni fa Giovanni Paolo II pubblicava l'Evangelium Vitae

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20 anni fa Giovanni Paolo II pubblicava l’Evangelium Vitae, l’enciclica dedicata all’inviolabilità della vita umana, tuttora uno dei punti di riferimento per la Chiesa su temi quali l’aborto e l’eutanasia. La Pontificia Accademia per la Vita, nata proprio in seguito all’enciclica, ha ricordato l’evento con un convegno all'Università Lumsa. Il servizio di Michele Raviart

Pubblicata nel 1995, dopo un percorso durato quattro anni, l’enciclica Evangelium Vitae, ha raccolto, ribadendoli con l’autorità papale, la condanna della Chiesa ad ogni forma di soppressione della vita, sia essa la pena di morte, l’aborto e l’eutanasia. In uno scenario in cui le biotecnologie sono avanzate in maniera impensabile 20 anni fa, le affermazioni dell’enciclica rimangono ancora un punto fermo nella dottrina della Chiesa. Mons. Ignacio Carrasco de Paula, presidente della Pontificia accademia per la Vita.

"L’Evangelium Vitae ha un profilo soprattutto dottrinale: è un tipo di argomentazione che non risponde alle circostanze del momento, ma a quella che è la visione cristiana dell’essere umano - dell’uomo - e della sua dignità: fondamentalmente quella che l’uomo non può mai essere strumentalizzato e usato per altri scopi”. L’aborto oggi è ancora peggio di vent’anni fa. La questione dell’eutanasia, che allora era un fenomeno molto raro, adesso si sta diffondendo sotto diverse forme. Questi problemi non sono spariti, ma continuano. Sono questioni che oggi sono molto più complesse ed estese rispetto a vent’anni fa".

Un atto che riguarda la vita umana non è mai un fattore personale, ma ha sempre ricadute sociali, perché, si legge nell’enciclica, “rivendicare il diritto all’aborto, all’infanticidio, all’eutanasia e riconoscerlo legalmente equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo, quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri”. Un eccesso di razionalità da parte dell’ uomo, come spiega la teologa Teodora Rossi, della Pontificia Università Tommaso D’Aquino, che traccia un percorso complementare tra l’Evangelium Vitae e la “Laudato si” di Papa Francesco.

“Per quanto strano possa apparire, in realtà la minaccia alla vita viene da un certo modo di intendere la razionalità umana, perché è proprio lì che si trova il cuore del problema attuale. L’essere umano ha un’attività ipertrofica, in cui vuole dominare sulle logiche del creato e della natura, senza più conoscere il limite. Nell’Evangelium Vitae è come se San Giovanni Paolo II volesse mettere sotto la lente di ingrandimento della razionalità umana il mistero della vita. Nella “Laudato sì” Papa Francesco fa un po’ il contrario: pone la razionalità umana nel quadro più grande della sapienza del Creato. E quindi in un certo senso ne resta rimpicciolita, ridimensionata, riproporzionata”.

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Gemelli, 31 ottobre visite gratuite per labiopalatoschisi

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Open Day al Policlinico Gemelli. Due giornate dedicate alla labio-palatoschisi, una malformazione congenita del palato, organizzate dai medici del Reparto Maxillo-Facciale del Policlinico romano in collaborazione con “Emergenza Sorrisi – Doctors for Smiling Children Ong”. La prima giornata ha avuto luogo sabato scorso, la seconda, domani sabato 31 ottobre. Dalle 8.30 alle 13, gli esperti nel campo offriranno visite specialistiche e consulenze gratuite. Di che patologia si tratta e con quale frequenza si presenta, lo spiega il prof. Sandro Pelo, Direttore dell’Unità Operativa di Chirurgia Maxillo facciale del Complesso Integrato Columbus/Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma. L’intervista è di Eliana Astorri

R. – La labio-palatoschisi è una patologia congenita del massiccio facciale. Intanto, che cosa vuol dire “congenita”? Vuol dire che si manifesta durante la vita embrionale e quindi il bambino nasce già affetto da questa patologia malformativa, che coinvolge ovviamente il labbro, nelle forme più semplici, ma che può coinvolgere anche il mascellare superiore, provocare la deformità del naso, provocare anche una schisi del palato duro e del palato molle, e quindi sono coinvolte altre situazioni del massiccio facciale e può presentarsi in maniera più o meno complessa. Tra l’altro, può essere monolaterale o bilaterale. L’incidenza, purtroppo, è abbastanza alta perché ogni 600 bambini nati uno è affetto da una delle varie forme di labio-palatoschisi o di labioschisi semplice.

D. – Ci sono dei motivi per i quali un bambino nasce in questo modo?

R. – Sicuramente, è stato accertato che c’è un’alterazione cromosomica alla base di tutto questo, e nel 25% dei casi c’è senz’altro un fattore ereditario o familiare. Poi, però, incidono anche fattori ambientali, cioè dei fattori esterni su cui si può intervenire e questi fattori esterni hanno modo di poter agire creando mutazioni genetiche soltanto se c’è una predisposizione genetica. Quindi, anche per queste situazioni in cui sono responsabili fattori ambientali, c’è sempre comunque una predisposizione genetica. Quali sono, questi fattori ambientali? Dunque, una carenza di acido folico nella dieta, per esempio, ha la sua importanza. Il fumo pure sembra correlato all’insorgenza della labio-palatoschisi, così come ambienti in cui è possibile essere a contatto con delle radiazioni… E ancora, un’altra corrispondenza, un’alta incidenza di labio-palatoschisi è stata trovata in genitori cosiddetti “anziani”.

D. – Si tratta di una malformazione che coinvolge non solo labbra e palato, ma anche gengive e naso. Si tratta quindi di un intervento complesso al quale il bambino si può sottoporre, a quale età?

R. – L’intervento non è particolarmente complesso e, tra l’altro, con le nuove tecniche si risolve quasi tutto con un solo intervento. L’età per il primo intervento, per l’inizio del percorso è intorno ai sei mesi: però, a questa età il bambino dovrebbe pesare già intorno agli 8 kg, quindi, l’intervento può essere rinviato finché il bimbo raggiunge quel peso. Quindi, 6 mesi e 8 kg sono i due parametri di riferimento.

D. – L’open day sulla labio-palatoschisi al Gemelli: la prima giornata ha avuto luogo sabato scorso, la prossima domani, 31 ottobre…

R. – Sono visite gratuite e noi abbiamo degli obiettivi da raggiungere. Il primo obiettivo è quello un po’ anche sentimentale-nostalgico: è quello di ricollegare la tradizione del Gemelli al prof. Rosselli riguardo alle labio-palatoschisi in genere e alla chirurgia malformativa in genere, quindi sulla chirurgia malformativa e il complesso cranio-facciale. E poi, è quello di informare le famiglie su questo tipo di organizzazione, che offre consulenza a 360 gradi ai bambini affetti da queste patologie. E quindi, in questa occasione le famiglie possono avere le consulenze gratuite – ovviamente – di tutti gli specialisti che sono coinvolti. Poi, c’è un’azione concreta di informazione su quello che riguarda la prevenzione e quindi per quello che riguarda, ovviamente, i fattori ambientali che possono – come abbiamo ricordato prima – implementare il numero delle labio-palatoschisi. Quindi, appunto, la dieta con acido folico, l’astinenza dal fumo… raccomandazioni di questo genere. Poi, c’è un altro aspetto che abbiamo organizzato insieme a “Emergenza Sorrisi” e che riguarda le famiglie in attesa di adozione: ci sono molte famiglie che adottano bambini che provengono dal Vietnam, dall’Asia e che sono affetti da labio-palatoschisi e quindi, mentre vanno avanti le modalità, le procedure burocratiche riguardo all’adesione, noi vogliamo informarli sui percorsi che saranno poi i percorsi terapeutici ottimali per questi bambini e quindi prepararli all’aiuto che devono dare ai bambini che andranno ad adottare.

D. – E bisogna prenotarsi?

R. – Sì, C’è un numero da fare: 06 3503874; mentre l’indirizzo di posta elettronica è maxillofacciale@h-columbus.it.

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Nuova biografia su Totò, il ricavato per progetti sociali

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Il titolo di per sé è eloquente: “Totò, il grande Artista dalla Straordinaria Umanità”. Si tratta dell’ultima fatica letteraria di Alberto De Marco, presidente dell’Associazione  “Amici di Totò… a prescindere”, ona onlus che da molti anni promuove e sostiene progetti di solidarietà in Italia e all’estero nel nome di un attore, tanto divertente e istrionico sulla ribalta, quanto generoso e discreto fuori. Al microfono di Alessandro De Carolis, Alberto De Marco parla del volume – una corposa biografia di 368 pagine, con una nutrita sezione di fotografie – il cui oltre la metà del prezzo di copertina, 10 euro, sarà impiegato per finanziare i progetti sociali dell’Associazione: 

R.  – Questa fatica letteraria – durata alcuni anni – potremmo definirla una sorta di antologia, perché è il risultato del contributo di diverse persone amiche, di grandi e autorevoli personaggi che hanno conosciuto Totò: da Mario Monicelli a Francesco Rosi, a Antonio Ghirelli, a Irio Fantini, che ha curato una rubrica proprio in Radio Vaticana… Sono tantissimi autorevoli interventi. L’importanza di questo lavoro non è solo quella di aver analizzato a 360° e sotto tutte le sfaccettature la vita di Totò – probabilmente è forse la biografia più completa che sia mai uscita - ma anche quella di  mettere in evidenza la grande umanità e l’impegno di Totò, per anni, negli orfanotrofi e con i bambini e non solo: chi doveva fare un intervento o chi aveva bisogno di una casa, sapeva che avrebbe trovato in Totò – anche non conoscendolo – un amico che avrebbe dato loro la massima disponibilità. Insieme a don Aniello Manganiello, un membro del direttivo, stiamo realizzando il progetto sociale “Arcobaleno: terapia dell’amore e del sorriso”, perché anche col sorriso ci si cura negli ospedali. E vorrei leggere proprio un passo che abbiamo inserito nel libro e ci teniamo moltissimo che questa lettera di don Aniello Manganiello possa pervenire a Papa Francesco...

D. – Ma ricordiamo, Alberto, chi è don Aniello Manganiello?

R. – Don Aniello Manganiello è il parroco di Scampia – ha avuto minacce dalla camorra e ha anche rifiutato la scorta – che si preoccupa dei ragazzi che non vogliono delinquere: da qui parte anche un altro progetto che vuole cercare di dare loro un’opportunità di un lavoro. Don Aniello sottolinea che la camorra si combatte proprio attraverso le opere. “Santo Padre, le esprimo con grande stima e affetto filiale – dice don Aniello Manganiello, nella lettera – la profonda gratitudine per tutto il bene e l’amore che lei sta donando non solo alla Chiesa, ma a tutta l’umanità. E’ una testimonianza, la sua, che come il piccolo seme che dà  vita ad un grande albero, alla cui ombra l’uomo si riposa e gli uccelli fanno il loro nido”…

D. – In sintesi, quali sono le iniziative di solidarietà che avete in cantiere?

R.  – Insieme al sindaco di Valmontone, abbiamo avviato la richiesta per un progetto: destinare i circa 5 mila metri di terreno che appartenevano alla mafia –e già mi sono attivato per acquistare subito due prefabbricati – a due famiglie di profughi siriani. E’ importante dare dignità a queste famiglie, perché dare loro solo ospitalità non è sufficiente. Desideriamo dare un’opportunità di coltivare un terreno, anche con culture biologiche, facendo sì che non si sentano di peso, ma protagonisti di queste attività. Prestiamo anche molta attenzione al campo scientifico e siamo collegati con il Cnr di Napoli: vorremmo riuscire a finanziare alcune borse di studio, già alcuni volontari sono impegnati con un importante ricerca nel campo della leucemia. Noi vogliamo che le persone, pure quelle persone che non hanno una grande opportunità economica, possano beneficiare di adeguate cure. Quindi la nostra attenzione è a 360°: impegno culturale e impegno sociale.

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Nella Chiesa e nel mondo



Centrafrica: scontri a Bangui. Destituiti ministri sicurezza

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“Nel quartiere di Fatima, vicino al Pk5, ci sono stati combattimenti; sono state bruciate delle case e anche una chiesa protestante”: lo riferiscono fonti dell'agenzia Misna a Bangui, secondo le quali le violenze nella capitale della Repubblica Centrafricana hanno provocato morti e “svuotato” un intero quartiere. “I missionari comboniani e le suore di San Paul de Chartres sono rimasti – aggiungono le fonti - ma noi siamo stati bloccati da un fiume di gente che si spostava in direzione opposta”. Tra le otto del mattino e le cinque del pomeriggio di ieri, un migliaio di persone hanno raggiunto i campi allestiti presso il convento di Notre Dame du Mont Carmel, in un’altra area di Bangui.

Incendiate case e feriti tre operatori della Croce Rossa
Secondo le informazioni disponibili, le violenze sarebbero state innescate dall’uccisione di alcuni giovani. Gruppi di uomini armati si sarebbero poi spostati dal Pk5, un’area della città a maggioranza musulmana, in direzione dei quartieri di Fatima e Kina. Prima di essere respinti dai peacekeeper dell’Onu gli assalitori avrebbero bruciato case e commesso violenze su civili. A essere presi di mira sono stati anche operatori della Croce Rossa, tre dei quali sono stati feriti in modo grave, come ha denunciato il presidente dell’organizzazione Antoine Mbao Bogo.

Rimpasto di governo
​Mentre gli scontri erano in corso, è stato annunciato un rimpasto nel governo di transizione della Presidente Catherine Samba-Panza: alla Difesa Marie-Noëlle Koyara è stata sostituita dall’attivista per i diritti umani Joseph Bidoumi; il generale Chrysostome Sambi ha preso invece il posto di Dominique Saïd Panguindji, ora responsabile della Giustizia. L’aggravarsi dell’instabilità e delle violenze nella Repubblica Centrafricana è coincisa all'inizio della settimana con l’assassinio a Bangui di due membri di una delegazione di miliziani dell’ex coalizione ribelle Seleka. (V.G.)

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Terra Santa: nonostante la violenza continuano i pellegrinaggi

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I pellegrinaggi continuano a percorrere la Terra Santa, nonostante la violenza che nelle ultime settimane attraversa il territorio. Lo rende noto il patriarcato latino di Gerusalemme. Come riferisce l'agenzia Fides, molti gruppi visitano il patriarcato e mons. William Shomali li riceve e li ringrazia per il loro coraggio: “Un pellegrinaggio in tempi difficili è un vero pellegrinaggio, è questo che fa la differenza con un viaggio turistico”, afferma in una nota, invitando i gruppi a pregare per la pace in Terra Santa.

Sono stati annullati pochi pellegrinaggi
​Le notizie di queste ultime settimane facevano temere un crollo del numero dei turisti a Gerusalemme, ma ben pochi viaggi sono stati annullati. I pellegrini provengono da Francia, Spagna e altri Paesi europei, da Stati Uniti e dall’Asia, malgrado le notizie non proprio rassicuranti. Per la maggior parte dei pellegrini si tratta di un viaggio organizzato da tempo, che i partecipanti non hanno voluto annullare.

Per Natale si prevede un calo di pellegrini
Tuttavia, se le tensioni non hanno scoraggiato i pellegrini del momento, potranno avere influenza sul futuro: molti meno pellegrini e turisti sono previsti per Natale e per l’inizio della prossima stagione. Un rallentamento normale per il momento, con la fine della stagione turistica, ma preoccupante per l’anno prossimo. Mons. Shomali desidera tranquillizzare tutti: “Non abbiate paura, la violenza non vi colpirà”. (P.A.)

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Myanmar. Card. Bo: base della democrazia, rispetto e convivenza

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"Il dialogo, il rispetto dell'altro, la tolleranza sono valori fondanti per il popolo birmano che vuole iniziare una nuova stagione democratica", ha detto all'agenzia Fides il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, mentre il Paese si prepara alle elezioni dell'8 novembre.

Il dramma dei rohingya
​Negli ultimi giorni i rapporti delle organizzazioni della società civile hanno nuovamente portato all’attenzione nazionale e internazionale la condizione dei rohingya, minoranza musulmana tuttora vittima di traffico di esseri e violenze nel Mar delle Andamane. Secondo le Nazioni Unite, tra gennaio e giugno 2015 ne sono morti almeno 370, mente tentavano di fuggire dal Myanmar per approdare in altri Paesi dell'area. In Myanmar, i rohingya sono per legge privi di cittadinanza. Le ripetute ondate di violenza nei loro confronti hanno costretto decine di migliaia di persone alla fuga, finendo alla mercé dei trafficanti di esseri umani.

Card. Bo invoca la convivenza pacifica tra culture, etnie e fedi
Nel bel mezzo delle violenze che i rohingya hanno subito ad opera di gruppi buddisti estremisti, “la Chiesa birmana ha sempre promosso la riconciliazione, seguendo valori come giustizia, pace, sviluppo equo per tutti, dialogo interreligioso” nota il cardinale. Mentre la situazione resta tesa, anche in vista della imminente tornata elettorale, la comunità cattolica birmana ricorda uno dei principi basilari della nazione: il rispetto dell'altro, senza discriminazione, e la convivenza pacifica tra culture, etnie e fedi diverse . (P.A.)

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Vescovi Brasile: dinanzi alla crisi dialogo e democrazia

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"La realtà socio-politica brasiliana: difficoltà e opportunità" è il titolo della dichiarazione della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (Cnbb), pubblicata il 27 ottobre con l’approvazione del Consiglio Permanente della Cnbb, che si è concluso ieri a Brasilia.

L'aggravarsi della crisi sembra indicare il fallimento delle istituzioni repubblicane
Nella dichiarazione, ripresa dall'agenzia Fides, la Cnbb si esprime riguardo al momento di crisi di questo periodo: "Il peggioramento della crisi politica ed economica, che coinvolge tutto il Brasile, sembra indicare il fallimento delle istituzioni repubblicane, che non trovano un modo per superare il conflitto di interessi che soffoca la vita nazionale e paralizza tutte le attività del Paese, senza via di uscita".

Appello a favore dell'impegno politico e sociale
​I vescovi non solo denunciano il sistema attuale, ma lanciano un appello a favore dell'impegno politico e sociale: "La costruzione di ponti che favoriscono il dialogo tra tutti i segmenti che rappresentano legittimamente la società è un prerequisito per superare il discorso di odio, di vendetta,di punizione selettiva, che genera un clima di ostilità e di conflitto permanente tra i cittadini e i gruppi sociali. Questo stato d'animo bellicoso, a volte alimentato dai media e dai social network, può contaminare ulteriormente i cuori e le menti delle persone, con divisioni che storicamente danneggiano la nostra organizzazione sociale. Mentre si avvicina il periodo elettorale del 2016, è responsabilità di tutti gli attori politici e sociali, impegnati per l'etica, la giustizia e la pace, perfezionare il clima democratico, perché le elezioni non siano infettate da discorsi segregazionisti che confermano pregiudizi e limitano l'attività della cittadinanza nel nostro Paese".(C.E.)

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Brasile. Consiglio missionario: attacchi a diritti degli indigeni

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Si chiama Pec, Proposta di emendamento alla Costituzione 2015, il nuovo nemico dei popoli indigeni del Brasile. A Palmas, capitale di Tocantins - riferisce l'agenzia Misna - la prima edizione dei Giochi mondiali dei popoli indigeni è l’occasione per rilanciare una battaglia storica, quella per il diritto al possesso e all’utilizzo esclusivo dei territori ancestrali dei popoli nativi che sopravvivono agli interessi politici ed economici in un contesto da sempre ostile.

La proposta nega agli indigeni l’usufrutto esclusivo delle risorse naturali
“La nuova stesura della Pec 2015 minaccia di essere ancora peggio della precedente” scrive Egon Heck, del segretariato nazionale del Consiglio indigenista Missionario (Cimi). “Originariamente l’emendamento mirava ad assegnare al Congresso la facoltà di decisione sulla demarcazione delle terre indigene che spetta oggi al governo. In realtà – sottolinea Heck – le terre indigene, in base all’articolo 231 della Costituzione appartengono originariamente a questi popoli e al governo spetta stabilirne i limiti e tutelarle”. Ma l’ultima bozza della Pec 2015 si spinge anche oltre: ritira agli abitanti ancestrali l’usufrutto esclusivo delle risorse naturali presenti nei territori indigeni – su cui ricadono gli appetiti della grande industria estrattiva e dell’agrobusiness – e dà al Congresso il potere di imporre i nuovi criteri a tutte le terre indigene, anche quelle già demarcate, ‘regolarizzate’ o in processo di ‘regolarizzazione’.

I popoli indigeni brasiliani pronti a difendere le proprie terre
“Le terre indigene del presente, del passato, del futuro saranno sotto il giogo dei parlamentari, in larga maggioranza anti-indigeni, così come la definizione di qualsiasi diritto degli indios sui loro stessi territori” evidenzia l’esponente del Cimi. Ma i popoli indigeni brasiliani non si arrendono e sono pronti a intraprendere una nuova lotta per la delimitazione e la protezione delle loro terre tradizionali “che sono sacre per i nostri popoli – ripete il dirigente nativo Antonio Apinajé - e necessarie per l'equilibrio e la sostenibilità del clima sul pianeta Terra". (F.B.)

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Internet e carità: un sito web per il Dispensario Santa Marta

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Servire il prossimo bisognoso, anche utilizzando le tecnologie della comunicazione. Con questa finalità, viene lanciato il sito Internet del Dispensario Pediatrico Santa Marta (www.dispensariosantamarta.va), realizzato grazie all’Ufficio Internet Vaticano.

Alla presentazione interverrà mons. Lucio Ruiz
Il sito web verrà presentato in Vaticano nella sede del Dispensario Pediatrico Santa Marta il 4 novembre prossimo alle ore 16 (via della Stazione Vaticana – ingresso del Perugino). All’evento, interverrà mons. Lucio Adrian Ruiz, capo ufficio del servizio Internet Vaticano e segretario della Segreteria per la Comunicazione. Dopo il saluto della responsabile del Dispensario, suor Antonietta Collacchi delle Figlie della Carità (FdC), il sito verrà illustrato da Valentina Giacometti, volontaria del Dispensario e coordinatrice del sito web. I giornalisti presenti avranno inoltre l’opportunità di visitare la struttura per conoscere i diversi servizi offerti ai bambini e alle loro famiglie.

Da 90 anni al servizio dei bambini bisognosi
Il Dispensario Santa Marta nato per volontà di Pio XI opera da oltre 90 anni sotto la guida delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli assiste ogni anno circa 500 bambini, senza distinzione di razza o religione. Per volere di Benedetto XVI, nel 2008 il Dispensario è diventato Fondazione pontificia il cui presidente è, per statuto, l’Elemosiniere Apostolico. Oltre 50 i volontari (medici e non) che ogni giorno si alternano nell’aiutare le suore vincenziane che, ispirate dal loro fondatore, “non passano accanto a nessuno con il volto indifferente, il cuore chiuso o il passo affrettato”.

Il Dispensario nel cuore di Papa Francesco
Recentemente è stata inaugurata una serie di nuovi servizi a sostegno della maternità, dalle vaccinazioni ai corsi sull’alimentazione. L’iniziativa che, significativamente, è stata denominata “C’è una culla per te” trova spazio in dei nuovi locali, messi a disposizione del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e inaugurati lo scorso maggio. Il 14 dicembre 2013, Papa Francesco ha visitato il Dispensario che si trova a pochi passi da Casa Santa Marta e, successivamente, ha ricevuto in Aula Paolo VI le famiglie dei bambini assistiti assieme a quelle dei volontari. Anche il Papa emerito Benedetto XVI aveva visitato il Dispensario nel dicembre del 2005. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 303

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.