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Sommario del 29/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco a Radio Maria: comunicate la speranza che porta Gesù

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Veicolate la speranza che viene dal Signore e offrite “buona compagnia” alle persone che ne hanno bisogno. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco ai membri della “Famiglia mondiale di Radio Maria”, ricevuti in Vaticano. Il Papa ha sottolineato l’importanza della preghiera, un dono che Radio Maria offre quotidianamente ai suoi ascoltatori. Il servizio di Alessandro Gisotti

Settanta Paesi di cinque continenti, 30 milioni di ascoltatori in tutto il mondo. Papa Francesco ha riassunto con questi dati significativi quanto “Radio Maria” abbia oggi un grande ruolo nell’opera di evangelizzazione. Un “obiettivo chiaro e alto – ha detto – perseguito con determinazione e costanza” e che ha così saputo “guadagnarsi attenzione e seguito non comuni”.

Proporre buoni contenuti a partire dall’identità cristiana
Nel portare avanti il vostro intento, ha affermato il Papa, “vi siete fidati della Provvidenza, che non vi ha mai fatto mancare i mezzi per le necessità quotidiane”:

“Il diffondersi di Radio Maria in tanti ambienti tra loro diversi per cultura, lingua e tradizioni, costituisce una buona notizia per tutti, perché dimostra che, quando si ha il coraggio di proporre contenuti di alto profilo a partire da una chiara appartenenza cristiana, l’iniziativa trova buona accoglienza oltre le migliori previsioni, a volte anche presso coloro che magari per la prima volta vengono in contatto con il messaggio evangelico”.

Comunicare la speranza cristiana, offrire buona compagnia
Il Papa ha così ricordato la speciale protezione che Maria assicura alla Radio e ha incoraggiato a “perseverare” nell’impegno, che è diventato “una vera missione, con fedeltà al Vangelo e al Magistero della Chiesa e in ascolto della società e delle persone, specialmente dei più poveri ed emarginati, in modo da essere per tutti” gli ascoltatori “un punto di riferimento e un sostegno”:

“La Radio, in tal modo, diventa un mezzo che non comunica solo un insieme di notizie, di idee, di musiche senza un filo conduttore, e che potrebbe solo cercare di distrarre e forse di divertire, ma diventa un mezzo di prim’ordine per veicolare la speranza, quella vera che deriva dalla salvezza portata da Cristo Signore, e per offrire buona compagnia a tante persone che ne hanno bisogno”.

Date sempre spazio alla preghiera, seguite modello di Maria
“Tutti coloro che ascoltano i vostri programmi radiofonici – ha soggiunto – vi riconoscono come una Radio che dà ampio spazio alla preghiera, testimoniando che, quando ci si apre alla preghiera, si apre la porta, anzi la si spalanca, al Signore”. Nel fare questo, ha ribadito, “avete quale modello la Madonna”:

“È necessario perciò amare con il cuore di Maria per vivere e sentire in sintonia con la Chiesa. Per questo vi incoraggio a coltivare sempre il giardino interiore della preghiera, dell’ascolto della Parola di Dio, e di avvalervi di buone letture approfondendo la vostra fede; in altre parole, facendo voi stessi ciò che proponete agli altri con i vostri programmi”.

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Padre Livio presenta al Papa Radio Maria web araba per i cristiani perseguitati

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L’incontro di Papa Francesco con la Famiglia mondiale di Radio Maria si è svolto in un clima di grande gioia e semplicità. Oltre 200 i partecipanti. Ma com’è andata? Sergio Centofanti lo ha chiesto a padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria Italia: 

R. – Direi al di sopra di ogni nostra aspettativa perché il Papa ha fatto un discorso ampio su Radio Maria che dimostra anche una conoscenza dello spirito della radio e dei programmi della radio e del bene che fa questa radio in tutto il mondo, la sua estensione capillare, anche nei posti più difficili. Quindi per noi il discorso che ha fatto il Santo Padre è di grande soddisfazione perché è il riconoscimento supremo, il massimo riconoscimento che possa esserci sulla bontà della radio, sul bene che fa. Poi il Papa ha passato in rassegna tutte le componenti fondamentali della radio. Quello che mi ha colpito di più è il fatto che il Papa abbia sottolineato questo nostro coraggio di aver fiducia nella divina Provvidenza e di andare avanti con la massima sobrietà in tutte le cose, ottenendo grandi realizzazioni con mezzi modesti, con la generosità della gente. Questo è un aspetto del discorso che mi ha molto colpito; ci ha come incoraggiato su questa strada, ci ha detto di andare avanti e poi ci ha molto esortato a essere fedeli a questa pietà mariana, a questa ispirazione mariana, a questo  amore per la Madonna che fa sì che per la Madonna facciamo quello che stiamo facendo, cioè  anche sacrifici, investiamo in opere di bene per amore di Maria. E’ una radio che senza l’amore di Maria non si potrebbe spiegare. Poi ci ha salutati tutti, uno per uno: più di 200 che eravamo! Tutti si sono presentati, lui ha detto qualche buona parola … ci siamo commossi, giù le lacrime! Insomma, non si è stancato di salutare tutti! E’ stata una lunga processione, uno per uno… Si vedeva che ha proprio piacere di sentire l’odore delle pecore, come dice lui! Io personalmente nella mia presentazione al Papa ho detto che accogliendo il suo invito ad aiutare i nostri fratelli che sono nella persecuzione stiamo allestendo una Radio Maria web in lingua araba per i cristiani perseguitati, e ho avuto la gioia di presentare il futuro direttore, un sacerdote arabo maronita che sarà il futuro direttore di questa Radio per i cristiani perseguitati.

D. – Padre Livio, qual è il segreto di Radio Maria?

R. – Il segreto di Radio Maria è l’amore per la Madonna perché se non ci fosse l’amore per la Madonna non ci sarebbe Radio Maria, non andrebbe avanti Radio Maria e diciamo che questa è anche la vera garanzia di Radio Maria perché noi in fondo non abbiamo sponsor, non abbiamo pubblicità, non abbiamo appoggi. Questo amore per la Madonna per cui noi possiamo chiedere ai nostri ascoltatori dei sacrifici per aiutare la Madonna a salvare le anime - perché questo è il concetto: noi diciamo che dobbiamo aiutare la Madonna ad aiutarci - questo amore per la Madonna è quella molla che fa sì che Radio Maria sia una pianta sempreverde

D. – Radio Maria trasmette anche alcuni programmi della Radio Vaticana…

R. – Radio Maria intanto ha nel suo statuto un impegno particolare di sostenere il Papa quindi di diffondere la sua voce e di sostenerlo e di seguire la sua linea pastorale, questo è vero per tutte le Radio Maria del mondo. Ma noi siamo molto grati a Radio Vaticana perché grazie a Radio Vaticana tutte le Radio Maria del mondo trasmettono la voce del Papa. E questo per Radio Maria Italia non è solamente il radiogiornale vaticano ma anche l’Angelus, le catechesi del Papa, tutto… Per noi è la ciliegina sulla torta! Abbiamo bisogno ovunque nel mondo di Radio Vaticana in quanto diffonde la voce del Papa e forse anche Radio Vaticana ha bisogno di noi perché abbiamo questa grazia di essere diffusi capillarmente in Fm e quindi ci sentono dappertutto.

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Papa: Dio non condanna, può solo amare, questa è la nostra vittoria

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Dio può solo amare, non condanna, l’amore è la sua debolezza e la nostra vittoria: questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

La nostra vittoria è l'amore inspiegabile di Dio
Nella prima lettura San Paolo spiega che i cristiani sono vincitori perché “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”. Se Dio ci salva, chi ci condannerà? Sembra – dice Papa Francesco - che “la forza di questa sicurezza di vincitore”, questo dono, il cristiano “l’abbia nelle proprie mani, come una proprietà”. Quasi che i cristiani potessero dire in modo “trionfalistico”: “Adesso noi siamo i campioni!”. Ma il senso è un altro: noi siamo i vincitori “non perché abbiamo questo dono in mano, ma per un’altra cosa”. E’ un’altra cosa “che ci fa vincere o almeno se noi vogliamo rifiutare la vittoria sempre potremo vincere”: è il fatto che niente “potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore”:

“Non è che noi siamo vincitori sui nostri nemici, sul peccato. No! Noi siamo tanto legati all’amore di Dio, che nessuna persona, nessuna potenza, nessuna cosa ci potrà separare da questo amore. Paolo ha visto nel dono, ha visto di più, quello che dà il dono: è il dono della ricreazione, è il dono della rigenerazione in Cristo Gesù. Ha visto l’amore di Dio. Un amore che non si può spiegare”.

L'impotenza di Dio è la sua incapacità di non amare
“Ogni uomo, ogni donna – aggiunge Papa Francesco - può rifiutare il dono”, preferire la sua vanità, il suo orgoglio, il suo peccato. “Ma il dono c’è”:

“Il dono è l’amore di Dio, un Dio che non può staccarsi da noi. Quella è l’impotenza di Dio. Noi diciamo: ‘Dio è potente, può fare tutto!’. Meno una cosa: staccarsi da noi! Nel Vangelo quell’immagine di Gesù che piange sopra Gerusalemme, ci fa capire qualcosa di questo amore. Gesù ha pianto! Pianse su Gerusalemme e in quel pianto è tutta la impotenza di Dio: la sua incapacità di non amare, di non staccarsi da noi”.

La nostra sicurezza: Dio non condanna, può solo amare
Gesù piange su Gerusalemme che uccide i suoi profeti, quelli che annunciano la sua salvezza. E Dio dice a Gerusalemme e a noi a tutti: “Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali e voi non avete voluto!”. E’ “una immagine di tenerezza. ‘Quante volte ho voluto far sentire questa tenerezza, questo amore, come la chioccia con i pulcini e voi avete rifiutato”. Per questo - afferma il Papa - San Paolo capisce e “può dire che è persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra cosa potrà mai separarci da questo amore”:

“Dio non può non amare! E questa è la nostra sicurezza. Io posso rifiutare quell’amore, posso rifiutare come ha rifiutato il buon ladrone, fino alla fine della sua vita. Ma lì lo aspettava quell’amore. Il più cattivo, il più bestemmiatore è amato da Dio con una tenerezza di padre, di papà. E come dice Paolo, come dice il Vangelo, come dice Gesù: ‘Come una chioccia con i pulcini’. E Dio il Potente, il Creatore può fare tutto: Dio piange! In questo pianto di Gesù su Gerusalemme, in quelle lacrime, è tutto l’amore di Dio. Dio piange per me, quando io mi allontano; Dio piange per ognuno di noi; Dio piange per quelli malvagi, che fanno tante cose brutte, tanto male all’umanità… Aspetta, non condanna, piange. Perché? Perché ama!”.

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Papa incontra presidente lituano: accoglienza migranti in primo piano

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Papa Francesco ha ricevuto oggi in udienza la sig.ra Dalia Grybauskaitė, presidente della Repubblica della Lituania, che, successivamente, si è incontrata con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui, informa una nota della Sala Stampa vaticana, “è stato espresso apprezzamento per il positivo contributo della Chiesa cattolica alla società lituana”.

In seguito, “sono stati esaminati alcuni temi di mutuo interesse, quali l’integrazione europea, la necessità di una maggiore solidarietà tra le Nazioni per affrontare le diverse sfide del presente, l’accoglienza dei migranti in Europa, la pace e la sicurezza a livello regionale e internazionale”. Ancora, si legge nel comunicato, è stato affrontato “il conflitto in Ucraina, nonché la situazione nel Medio Oriente, con particolare riferimento alla Siria e alla Terra Santa”.

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Il card. Parolin su Sinodo, Cina e prossimi viaggi del Papa

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Sulla possibile promulgazione di una Esortazione apostolica sulla famiglia da parte del Papa sulla base delle conclusioni del Sinodo appena concluso, si è espresso il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin a margine di un convegno, ieri pomeriggio, all’Università Gregoriana sulla Nostra Aetate. Il porporato ha parlato anche della Cina e dei prossimi viaggi pastorali del Papa. Ascoltiamo il cardinale Parolin al microfono di Michele Raviart:

R. – Il Sinodo, consegnando il messaggio al Papa, gli ha anche prospettato la possibilità di tradurlo in un documento pontificio, come avvenuto normalmente per tutti i Sinodi: i Padri sinodali offrono una serie di riflessioni al Papa, di conclusioni, e poi il Papa le fa sue attraverso il documento. Penso che anche questa volta succederà così. Però, finora non si è parlato assolutamente di nulla, in questo senso. E’ il Papa che deve decidere cosa fare. Il Papa ha già preso una decisione che è stata quella di pubblicare la Relazione conclusiva del Sinodo, che era diretta a lui: ha voluto che fosse conosciuta e divulgata.

D. - I tempi saranno lunghi o brevi?

R. - Non lo so. Veramente, non oso pronunciarmi. Prima di tutto bisogna vedere cosa intenda fare il Papa: se lui intende elaborare un documento conclusivo. Immagino che non saranno lunghissimi perché di solito queste cose si devono fare in tempi relativamente brevi altrimenti perdono un po’ la loro forza, il loro impatto. Penso che se il Papa decide di farlo, lo farà in tempi relativamente brevi.

D. – Nelle scorse settimane c’è stata una delegazione vaticana che è andata a Pechino: è la prima volta? Abbiamo sentito qualcosa ma non sappiamo di più... 

R. – No, questo fa parte di un certo percorso, in vista di una normalizzazione dei rapporti. Quindi … non è la prima volta.

D. – Ma è un passo avanti significativo?

R. – Il solo fatto di poterci parlare è un passo significativo.

D. – Che potrà portare?

R. – Ma non facciamo troppi pronostici! Noi ce lo auguriamo fermamente: tutto quello che si fa, lo si fa – appunto – per trovare un’intesa e per avere relazioni normali anche con la Cina e con Pechino, come si hanno con tutti gli altri, o con la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo. Il fatto di dialogare è una cosa positiva.

D. – Dal Vaticano avete osservato quanto sta succedendo in Italia con questa sentenza del Consiglio di Stato, che ha stabilito che in Italia non possono esserci matrimoni omosessuali; e ora si preme affinché il Parlamento legiferi sulle unioni civili … Queste vicende italiane le seguite?

R. – Certo, seguiamo.

D. - In riferimento alle celebrazioni per il 50.mo della "Nostra aetate": i leader religiosi hanno delle reponsabilità nella trasmissione dei valori?

 R. – Una grande responsabilità, proprio per la ragione che diceva lei: si tratta certamente anche di creare tutte quelle condizioni di vario tipo che possono aiutare la pace; però, in fondo, la pace nasce dal cuore dell’uomo. La pace nasce da un cuore pacificato, quindi in pace con Dio, in pace con il prossimo, in pace con se stesso. E in questo senso, l’opera della religione, il contributo della religione è fondamentale. Poi, oggi credo che dato che tante volte, in molte occasioni la violenza è giustificata in nome di Dio, i leader religiosi hanno un grande dovere e una grande responsabilità nell’affermare che questo non è vero e nel chiamare gli appartenenti alle varie religioni appunto a essere costruttori di pace.

 D. – In Siria la pace è possibile?

 R. – La pace è possibile se ci sono persone disposte a costruirla. La pace non è automatica: la pace … quando ci sono persone, pur nelle difficoltà di una situazione tanto complicata che però, con buona volontà, cercano di ricomporre i fili della pace, allora si potrà arrivare alla pace. Ma finché c’è soltanto volontà di contrapposizione e di sopraffazione, io credo che sia molto difficile. Lì bisogna ritrovare proprio questo senso di responsabilità e questa volontà comune di arrivare alla pace.

 D. – Il Papa andrà in Africa tra un mese. C’è qualche preoccupazione per la presenza di al Shabaab o nella Repubblica Centrafricana per la violenza che c’è?

 R. – Credo che preoccupazione ci sia. Comunque, immagino che se il Papa va, ci siano anche le condizioni perché il Papa possa andare. Diciamo che questi fenomeni sono sotto controllo, almeno in occasione della visita del Papa. Quindi credo che il fatto che il viaggio si realizzi significa che ci sono le condizioni minime perché il Papa possa andare e possa rimanere lì il tempo necessario per compiere il programma.

 D. – Ma il Papa ha paura di andare?

 R. – Non credo. Non credo che il Papa abbia paura. Perché, evidentemente, se uno ha paura non ci va. E invece, il Papa va dappertutto.

 D. – Dove lo trova, il coraggio?

 R. – Lo trova, credo, nella sua fede. Anzi, ha voluto proprio che questo viaggio in Africa fosse caratterizzato dalla visita alla Repubblica Centrafricana per la situazione di conflitto in cui si trova, perché pensa che andare lì e dire una parola – ai cristiani, ai cattolici, ma anche a tutte le parti coinvolte – possa essere un contributo grande per la costruzione della pace. Quindi, è pronto ad affrontare anche eventuali rischi.

 D. – Lei andrà con lui?

 R. – Penso di sì, penso di sì; ma vediamo un po’ … perché ci sono altre questioni in gioco: c’è per esempio la Cop di Parigi: allora bisogna vedere come fare.

D. – Lei andrebbe senza paura?

 R. – Io, sì. Come ho detto: non andiamo in mezzo alla battaglia! Sinceramente, finora non ho provato paura.

 D. – Per il Giubileo della Misericordia, dal punto di vista interreligioso, si pensa a qualche iniziativa particolare? Lei sa se c’è qualche iniziativa tra le religioni?

 R. – No: su questo non avrei nessuna informazione, veramente. Può darsi che venga nei prossimi mesi o nel corso del Giubileo, però finora a mia conoscenza non c’è.

D. - Vuole rivolgere un saluto ai messicani che tra qualche mese accoglieranno il Papa?

 R. – A los mexicanos un saludo, de gran corazón. Siempre recordando los tiempos migratos en que estuve allì...
Ai messicani un saluto di cuore, ricordando sempre i tempi in cui sono stato lì. Che il popolo messicano possa trovare, nelle sue radici religiose e cattoliche, la forza per andare sempre avanti, con grande speranza e con grande impegno. Che Dio vi benedica tutti, in attesa di questo momento tanto importante della visita del Santo Padre: che sia davvero un momento di grande gioia per tutti, ma anche di rinnovamento dell’impegno cristiano.

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Tweet: l’Arcangelo Michele ci difenda da insidie e trappole del diavolo

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Il Papa oggi ha lanciato un nuovo tweet: “Chiediamo l’aiuto dell’Arcangelo Michele per difenderci dalle insidie e dalle trappole del diavolo”.

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Libro Omelie. Spadaro: a Santa Marta c'è cuore pulsante del Pontificato

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"La felicità si impara ogni giorno”. E’ il titolo di un volume, edito dalla Rizzoli in uscita oggi nelle librerie, che raccoglie i servizi della Radio Vaticana sulle omelie di Papa Francesco a Casa Santa Marta, nel periodo da marzo 2014 a giugno 2015. Il libro segue la pubblicazione “La Verità è un incontro” che raccoglie le omelie del primo anno di Pontificato. Sull’importanza delle omelie mattutine di Papa Francesco, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Antonio Spadaro, direttore di “Civiltà Cattolica”, e curatore del volume: 

R. – Molte persone attendono questo momento mattutino per leggere almeno il testo delle omelie di Santa Marta. Queste omelie sono un’esperienza reale da fare ovviamente in presenza. Ma leggere comunque questi testi significa venire a contatto con quella che potremmo chiamare una “dottrina orale”: il fatto che il Papa parli del Vangelo in maniera diretta, in modo da toccare le persone e incontrarle. Le sue parole non sono solo una spiegazione del Vangelo, qualcosa di legato a un mondo astratto, intellettuale, di spiegazione formale. Ma in realtà con queste sue parole Papa Francesco tocca i cuori, tocca le persone, che si sentono profondamente coinvolte.

D. – C’è sempre una grande attenzione da parte dei fedeli, invero non solo dei fedeli per queste omelie. In un qualche modo sono sempre nuove, proprio come il Vangelo su cui si soffermano a meditare…

R. – Sì, Papa Francesco usa un linguaggio che è – direi – poetico e popolare nello stesso tempo. In fondo lui va alla ricerca di un linguaggio che non dia solo ragione della razionalità e della fede, ma che comunichi questa fede all’uomo che ascolta oggi. Quindi, si ha un senso di contemporaneità al Vangelo molto particolare. E mi ha colpito – e lo dico nell’introduzione – come questo sia stato colto da un filosofo, Giovanni Reale, che ha letto il primo volume delle omelie di Santa Marta come un testo di filosofia: nel senso che capovolge il senso tradizionale del rapporto con il pensiero. Cioè questo pensiero non è un “logos”, una razionalità astratta, ma fa diventare contemporanei del Vangelo chi lo ascolta.

D. – Anche durante il Sinodo sulla Famiglia Francesco iniziava la sua giornata celebrando la Messa a Casa Santa Marta con un gruppo di fedeli: come a dire che il Sinodo già iniziava prima di entrare nell’Aula Nuova del Sinodo…

R. – Assolutamente, ma possiamo anche vedere una cosa interessante: per il Papa queste omelie sono delle occasioni importanti. Quindi il Magistero che proviene da queste poche parole è un Magistero significativo che spesso dà luce di interpretazione a ciò che il Papa fa nella giornata: questo lo abbiamo visto più volte. E il suo messaggio quindi è molto forte e significativo: raccogliere queste parole e rileggerle significa entrare nel cuore vivo, pulsante – nella sorgente possiamo dire – della visione della Chiesa di Papa Francesco.

D. – In queste omelie di Francesco a Casa Santa Marta di quest’ultimo anno - fino a giugno scorso - ricorre spesso il tema della misericordia e del perdono, quasi come se Francesco abbia già in un qualche modo preparato il Giubileo proprio nel contatto con il Signore e con il popolo di Dio la mattina, a Santa Marta…

R. – La misericordia è la parola chiave di questo Pontificato! In fondo Francesco, con un parlare profondamente teologico, ma nella forma del discorso pastorale, ci fa capire come la nostra visione di Dio deve convertirsi. Non è il Dio della legge, non è solo il Dio della norma, non è un Dio rigido con il quale confrontarsi, ma è un Dio che accoglie e abbraccia sempre. Quindi la misericordia non è un oggetto, non è una cosa: è un coinvolgimento. La parola chiave del modo in cui Francesco interpreta la misericordia in queste omelie è “coinvolgimento”. Il perdono non è un atto legale, un atto di giurisprudenza, un condono, un’amnistia: al contrario, è una relazione, è un coinvolgimento di Dio nella vita di una persona.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il sig. Yury Fedotov, Direttore Esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) e il card. George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia.

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Mons. Arellano: Laudato si' è una preziosa miniera per tutti

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“Lotta alla fame e conversione ecologica. L’appello dell’Enciclica Laudato si' per un’agricoltura sostenibile”. Questo il tema dell’incontro organizzato nella sede della Pontificia Università della Santa Croce in collaborazione con il Programma Alimentare mondiale (Pam), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) e la Missione permanente della Santa Sede presso la Fao. La giornata di studio ha offerto momenti di riflessione e di confronto sul problema della lotta alla fame alla luce dell’enciclica di Papa Francesco. Quali suggerimenti si possono ricavare dalla Laudato si' per estirpare questa piaga? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a mons. Fernando Chica Arellano, Osservatore permanente della Santa Sede presso la Fao: 

R. – L’Enciclica Laudato si' mi pare una miniera, con tanti spunti, con tanti riferimenti. Chi la legge, può trovare sempre luce per la sua azione. Il testo è molto equilibrato. E’ veramente un testo meraviglioso perché non esclude nessuno. Naturalmente, il Papa allude alla cooperazione internazionale, che è un cammino privilegiato per la lotta contro la fame, ma senza escludere nessuno di noi che, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa. Possiamo passare da una terza persona a una prima persona e dire: “Cosa  posso fare?”. Non soltanto: “Cosa sto facendo, per la lotta contro la fame?”. E la lotta contro la fame non è una lotta teorica, perché la fame non esiste: esistono gli affamati che gridano, che hanno un volto veramente lacerato, sofferente. Queste grida noi non possiamo non ascoltarle. E qui c’è la chiamata del Santo Padre ad una conversione ecologica interiore che, lasciando in disparte il nostro egoismo, possa veramente fare in modo che il nostro cuore da pietra si converta in una casa accogliente, e soprattutto in un motore che faccia qualcosa per gli affamati.

D. – Dunque la conversione ecologica passa attraverso il fare proprie le atroci sofferenze altrui?

R. – Questo il Papa lo dice: non ci sarà cambiamento se noi non lasciamo il piano teorico e facciamo nostro questo grido. Dobbiamo condividere la sorte degli affamati, come il Buon Samaritano ha condiviso la sorte di questo che era malmesso sulla strada. Condividere la sorte, dunque lasciare il nostro ego e sapere che l’altro sono io e che la sua sorte è la mia. E lì fare proprio il problema dell’altro: se noi non ammazziamo questo egoismo, ognuno rimane nel proprio comodo. E nessuno farà nulla contro la fame …

L’Enciclica Laudato si' è una pietra miliare per promuovere una profonda conversione ecologica. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il prof. Arturo Bellocq, docente di dottrina sociale della Chiesa presso la Pontificia Università della Santa Croce: 

R. – L’Enciclica Laudato si' è e sarà una pietra miliare in questo cammino dell’umanità verso l’eradicazione della fame nel mondo. Non tanto per le soluzioni tecniche che darà. Lo farà però con questo appello ad una profonda conversione. Il termine conversione viene dal greco “μετάνοια”, cioè indica il cambiare idee: cambiare le idee che sottostanno a molti dei ragionamenti, a molte delle decisioni che si prendono oggi in economia, anche a livello del comportamento personale. Il Papa insiste tante volte, nell’Enciclica, sul fatto che dobbiamo cambiare la nostra mentalità consumistica, egoistica. Dobbiamo cambiare questa cultura dello scarto per una mentalità che prenda in considerazione la destinazione universale dei beni, il futuro condiviso di tutta l’umanità. Sono idee che, qualitativamente, danno una cornice necessaria per poter risolvere questa crisi ecologica che è soprattutto crisi morale dell’umanità.

D. – Sono pagine che interpellano soprattutto politici e leader mondiali ma anche tutti noi …

R. – Infatti, il Papa parla del comportamento personale, delle decisioni degli imprenditori, delle decisioni dei governi, delle Ong, delle associazioni multinazionali … Lui parla spesso della “cultura”: è tutta una “cultura”, una mentalità che dobbiamo rivedere su quali basi sia stata costruita, su quali idee sia stata costruita.

D. – Questo tipo di conversione ha bisogno della fede, oppure può trascendere dalla fede?

R. – Penso che anche tutte queste idee abbiano una plausibilità razionale sconvolgente. Poi quando non vengono rispettate, le conseguenze dolorose purtroppo sono sotto gli occhi di tutti. Il Papa allora insiste sul fatto che questa Enciclica contiene idee che possiamo apportare al dibattito. Invita però anche i non cristiani a prenderle come provocazioni, come spunti di riflessione, come un dialogo per cercare di costruire insieme questa casa che è una casa comune, comune a cristiani e non cristiani. Quindi tutti noi dobbiamo dare il nostro contributo per risolvere i problemi.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Radicato nel Vangelo: in prima pagina, un editoriale di Marcelo Figueroa per comprendere Papa Francesco.

Canale di speranza: a Radio Maria il Papa raccomanda stile sobrio e strumenti adeguati ai tempi.

Come una chioccia: Messa a Santa Marta.

Cinquant'anni fa la lettera dei vescovi polacchi ai vescovi tedeschi: stralci dall'omelia del cardinale Lehmann, dalle relazioni del cardinale Lajolo e dell'arcivescovo Gadecki durante l'incontro nel Campo Teutonico in Vaticano.

Nessun dogmatismo: Anna Foa ricorda lo storico John Bossy.

La scommessa è vinta: Antonio Paolucci illustra gli atti del convegno sui lavori nella Cappella Sistina.

Tra guerra e arte sognando il Kent: Gabriele Nicolò sulla mostra dedicata ai dipinti (per anni dimenticati in soffitta) della pittrice Evelyn Dunban.

Libero chi cerca il bene: monsignor Nunzio Galantino per i cinquant'anni della dichiarazione conciliare "Gravissimus educationis".

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Oggi in Primo Piano



Cina abbandona politica figlio unico, 400 milioni di aborti in 36 anni

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La Cina ha messo fine alla politica del figlio unico: d'ora in poi ogni coppia potrà mettere al mondo due figli. Lo riferisce l'agenzia Nuova Cina  che cita un documento uscito dal Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista. La contestata misura, adottata nel 1979 come metodo di controllo demografico, ha provocato in 36 anni circa 400 milioni di aborti e, in secondo luogo, ha creato una serie di squilibri sociali ed economici. Ma quale il valore di questa svolta? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Laura De Giorgi, docente di Storia della Cina all’Università Ca’ Foscari di Venezia: 

R. – È una trasformazione che era necessaria da tempo. Già da tempo si profilava l’idea di cambiare questa politica, magari in maniera graduale: ad esempio era già stato permesso alle coppie composte da due figli unici – quindi senza fratelli – di avere eventualmente due figli. Come era già concesso nelle campagne a chi aveva ad esempio una bambina di poter avere anche un figlio maschio. Per cui quello che ci si aspetta adesso è, vista la posizione del Partito, che questa diventi una regola generale, che tenga in considerazione il fatto che una politica di questo tipo non era più sostenibile. Questo sia per l’invecchiamento della popolazione sia anche per le grandi difficoltà che stava creando alle generazioni più giovani nell’ambito delle proprie relazioni sociali e delle prospettive matrimoniali.

D. – La “politica del figlio unico”, adottata nel 1979 ha provocato 400 milioni di aborti:  che tipo di squilibri ha comportato? Lei citava l’invecchiamento, ma anche il rapporto tra la popolazione maschile e femminile: ci sono stati degli squilibri significativi?

R. – Le organizzazioni internazionali hanno più volte denunciato il fatto che per le generazioni più giovani – quelle nate dal 1980 in poi – e soprattutto in certe aree, il numero dei maschi è in maniera innaturale superiore a quello delle ragazze. È un dato che si riferisce soprattutto alle aree rurali, perché in quelle urbane invece la società non ha avuto questa propensione ad optare per un figlio maschio. Non è permesso in Cina – non era permesso assolutamente nessun tipo di aborto selettivo – però è stato abbastanza chiaro che, in alcune regioni, il numero delle bambine scomparse o mai nate, rivela un’azione cosciente da parte delle coppie per non avere figlie femmine. Questo dato è stato denunciato in più di un’occasione. E questo squilibrio è abbastanza evidente, soprattutto nella generazione dei ventenni e trentenni; e si vede anche in ambito matrimoniale: è molto più difficile il matrimonio, perché il numero delle ragazze è sicuramente inferiore a quello dei maschi. Anni fa, addirittura, si erano fatte delle valutazioni su che tipo di implicazione questa politica potesse avere sull’orientamento generale della società cinese, anche dal punto di vista ideologico-culturale, con una generazione a predominanza di ragazzi – maschi – scapoli, e con difficoltà a mettere su famiglia. Un altro grande problema è ovviamente quello dell’invecchiamento della popolazione che è evidente, perché la fertilità cinese sta scendendo ormai ai livelli di una società moderna davanti a un sistema pensionistico che ancora non è in grado di sostenere la maggior parte della popolazione che esce dall’età lavorativa. Quindi anche grandi conseguenze per il futuro economico della Cina.

D. – Dunque una decisione - quella riportata da “Nuova Cina” - che, se confermata, dimostrerebbe anche una svolta nella politica economica a lungo termine di Pechino?

R. – Sì, tiene in considerazione le conseguenze di questa politica demografica sulla numerosità della popolazione produttiva nei prossimi anni. Secondo me tiene anche in considerazione la necessità di promuovere i consumi interni. I bambini, i figli, alimentano un’importante domanda di spesa e di consumi interni, e questo elemento è fondamentale per il futuro economico della Cina, dato che l’economia del Paese è dipesa per troppo tempo dagli investimenti esteri e dall’esportazione.

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Siria: attesa per partecipazione dell'Iran al vertice di Vienna

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Passano per Vienna gli sforzi diplomatici sul futuro della Siria. Nella capitale austriaca sono attesi i capi delle principali diplomazie internazionali, tra cui Russia, Usa, Arabia Saudita, Turchia, Egitto e - per la prima volta, su invito di Washington – Iran. Si tratta di una partecipazione inedita per Teheran, che non fu presente alle conferenze di Ginevra del 2012 e 2014. Al centro dei colloqui, una crisi che ha già provocato oltre 250.000 morti dal 2011. Le trattative giungono quando gli Stati Uniti valutano l’ipotesi di condurre in Siria “azioni dirette sul terreno”, con l'invio in Siria di truppe per missioni integrate con i ribelli moderati o con i combattenti curdi. La Russia ha già criticato la linea dell’amministrazione Obama. In questo quadro, prendono il via gli incontri di Vienna con la partecipazione iraniana. Giada Aquilino ne ha parlato con Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e studioso di dinamiche mediorientali: 

R. - L’Iran chiaramente è uno degli attori in causa, uno degli attori più coinvolti nel conflitto in Siria e quindi sembra abbastanza evidente che il coinvolgimento di Teheran sia indispensabile per cercare di risolvere il conflitto. Ciò da un punto di vista operativo. Da un punto di vista formale, è il primo incontro di questo tipo che si tiene dopo l’accordo nucleare raggiunto l’estate scorsa, in luglio, tra l’Iran e le cosiddette potenze del 5+1, cioè i 5 membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania. Questo fatto ha aperto diplomaticamente la strada all’Iran per una partecipazione a un consesso internazionale.

D. – Come si potranno conciliare la linea dell’Iran sciita con quella dell’Arabia Saudita sunnita, le due grandi potenze dell’area?

R. – Questo è il grande interrogativo. Tutti ormai sono convinti del fatto che in realtà piuttosto che risolvere il conflitto a breve termine la vera sfida sia sul medio-lungo periodo, ‘aggiustando’ questa rivalità tra Arabia Saudita e Iran e facendo sì che gli interessi di queste due potenze non dico convergano, perché questo sembra abbastanza improbabile, ma arrivino a un punto comune, per cui si possa trovare un accordo. Ciò che sappiamo per certo è che l’Arabia Saudita vorrebbe una Siria, un domani, senza un’influenza dell’Iran nell’area, com’è adesso e come è stato fino ad oggi; dall’altro lato invece l’Iran ambisce ancora a mantenere un suo ruolo in Siria. Quindi una probabile soluzione potrebbe essere quella di trovare un terreno di dialogo per cui gli interessi delle due parti possano essere in parte chiaramente garantiti e, per far questo, occorre che sia l’Arabia Saudita, sia l’Iran cedano parte delle proprie ambizioni in nome di una possibile pacificazione dell’area.

D. – Una delle questioni è la leadership di Bashar al Assad a Damasco: quali sono le posizioni?

R.  – Erano abbastanza nette fino a qualche settimana fa. Da un lato, il fonte pro Assad, rappresentato soprattutto dalla Russia e dall’Iran; dall’altro lato il fronte arabo sunnita, quindi Arabia Saudita ma anche Turchia, e pure l’Occidente con Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Italia, che vedeva come precondizione l’allontanamento di Assad. In questi ultimi giorni, sembra che l’Iran e la Russia abbiano fatto un po’ un passo indietro. Sarebbero pronti a trattare, a ritrattare questa posizione ma sempre purché ciò che rappresenta Assad, il suo entourage, il suo regime del momento, non venga del tutto allontanato. Quindi una possibile soluzione, che magari non piacerà a tutti, è quella di una transizione, in cui - se non Assad stesso - qualcuno vicino a lui possa garantire una sorta di passaggio verso un nuovo ordine.

D. – Gli Stati Uniti pensano all’invio di truppe sulla linea del fronte in Siria, per combattere il sedicente Stato Islamico. La Russia parla di violazione del diritto internazionale. Questo punto può essere di ostacolo a uno sforzo diplomatico unitario?

R. – Se gli Stati Uniti decidessero veramente di attuare una nuova strategia del genere, innanzitutto sarebbe un punto di rottura importante, una grande novità rispetto ad adesso. Le accuse della Russia suonano un po’ ‘propagandistiche’, nel senso che Mosca stessa sta intervenendo nel conflitto. Chiaramente la Russia si appella comunque al fatto che il proprio intervento sia stato richiesto esplicitamente dal governo siriano, mentre gli Stati Uniti interverrebbero contro la volontà di Damasco. La possibilità che l’intervento statunitense, qualora fosse poi veramente attuato, possa creare tensioni ulteriori tra Russia e Stati Uniti getta un’ombra su quello che potrà essere il conflitto. Non pensiamo neanche cosa potrebbe succedere se eventualmente si dovesse arrivare a uno scontro diretto tra forze statunitensi e russe.

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Medio Oriente. Abbas all’Onu: regime di protezione per i palestinesi

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Non si arresta la cosiddetta "Intifada dei coltelli" in Medio Oriente: l’ultimo attacco poco fa ad Hebron contro un soldato israeliano e la polizia ha ucciso l’aggressore, un giovane palestinese. Intanto sul fronte diplomatico da più parti vengono avanzate proposte per risolvere questa escalation di violenza, condannata anche da Amnesty International: una risoluzione in sede Onu è stata presentata anche dalla Nuova Zelanda che ha chiesto il congelamento delle nuove costruzioni ebraiche in Cisgiordania e lo stop alle demolizioni delle case dei palestinesi in cambio del fermo da parte dell’Anp del ricorso alla Corte dell’Aja contro Israele. Da Ginevra però il Presidente dell’Anp Mahmoud Abbas ha invocato con urgenza un regime di protezione internazionale per i palestinesi. Ma qual è il clima tra la gente? Cecilia Seppia ha raggiunto telefonicamente in Terra Santa Bernard Selwan Koury, direttore di Cosmonitor ed esperto dell’area. 

R. – In tutto il Medio Oriente si respira la stessa atmosfera di tensione e paura e chi ne paga le conseguenze come al solito sono i più deboli che però rischiano di cadere anche nelle mani di quest'estremismo come sta succedendo in questa escalation di violenza.

D. – Ovviamente gli interessi in gioco sono gli stessi, ma sono interessi diversi che stanno riesplodendo in questa che è stata chiamata “la nuova Intifada dei coltelli”?

R. - Io non parlerei di “nuova Intifada”: è una ribellione che ha avuto inizio decenni e decenni fa: quindi sono scontri – rivolte – a intermittenza. È ovvio che, in questo momento storico, considerata l’instabilità presente nella Regione, ciò assume dei contorni, e ha dei risvolti, più pericolosi per entrambe le parti, ma direi soprattutto per lo Stato israeliano. Quest’ultimo sta rispondendo in una maniera militare molto forte e pesante. Da parte della Palestina, l’obiettivo strategico è quello di puntare i fari sulla questione palestinese, fari che si sono affievoliti quasi spenti negli ultimi anni, soprattutto dopo quello che accaduto con le rivolte arabe, e principalmente alla luce di quello che sta accadendo in Siria.

D. – All’Onu il Presidente dell’Anp, Mahmūd ʿAbbās, ha chiesto che venga istituito un regime di protezione internazionale per i palestinesi: secondo lei è fattibile una cosa del genere?

R. – Personalmente sono molto scettico al riguardo, perché si tratta di dichiarazioni politiche – e ne sono state fatte decine e decine di dichiarazioni del genere – ma praticamente, sul campo, un intervento adesso anche politico da parte della comunità internazionale, relativo alla questione palestinese, è molto più complesso; proprio perché sullo scacchiere mediorientale ci sono delle carte che sono ritenute dalla comunità occidentale molto più minacciose per l’intera sicurezza regionale.

D. – Persino dalla Nuova Zelanda è arrivata la proposta di una risoluzione in sede Onu per la ripresa dei negoziati, risoluzione che comporterebbe lo stop delle colonie israeliane in cambio del fermo da parte palestinese del ricorso alla Corte Penale Internazionale. Fondamentalmente però prioritaria resta la soluzione dei “due Stati”?

R. – Questa è la soluzione che resta prioritaria. Alla Nuova Zelanda si è unita anche la Francia per sostenere questa opzione, vedremo.

D. – Che ruolo ha, invece, la Giordania in questo conflitto israelo-palestinese?

R. – La Giordania, è un Paese in prima linea, e lo è da anni, soprattutto con questa nuova dinastia. Io ritengo che, se proprio dobbiamo individuare un attore in grado di far dialogare le due entità – israeliani e palestinesi – questo possa essere un Paese arabo, in quanto conosce meglio le realtà locali, piuttosto che Paesi che si trovano più lontano e che possono dare soltanto un supporto politico. Un Paese come la Giordania potrebbe dare, come ha già fatto, un supporto pratico.

D. – All’Udienza generale Papa Francesco ha messo in guardia dal rischio del fondamentalismo religioso, dal quale – ha detto – “nessuna religione è immune”. E il riferimento, ovviamente, è anche a quanto sta accadendo sulla Spianata delle Moschee…

R. – Assolutamente. Io mi trovo in Medio Oriente, e chi è ora o è stato in Medio Oriente, conosce perfettamente quanto valore, e che ruolo centrale gioca la religione, al di là che si parli dell’islam, del cristianesimo o dell’ebraismo. Quindi il monito di Papa Francesco viene in un momento molto importante, perché il rischio è quello, invece la religione va preservata nei suoi principi e nei suoi valori.

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Il presidente colombiano Santos: "Sì a tregua con le Farc"

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Ulteriori progressi in Colombia tra il governo e le Farc, Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane. Il presidente Juan  Manuel Santos ha detto di volere avviare una tregua bilaterale con il movimento a partire dal 1° gennaio 2016. Sinora, pur avendo aderito ai colloqui di pace con il  gruppo ribelle per quasi tre anni, il governo di Bogotà aveva sempre rifiutato di dichiarare un 'cessate il fuoco'. Ma si tratta di un concreto passo avanti verso la pacificazione nel Paese? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Maurizio Chierici, esperto di America Latina: 

R. – Credo di sì, e non solo per il lungo lavoro diplomatico fatto, sia da Santos, che nella mediazione cubana. L’intervento del Papa poi è stato ancora una volta importantissimo. Il mondo è cambiato da quello di 50 anni fa, quando nascevano le Farc, che sono la guerriglia marxista e poi l’Eln, l’Esercito di Liberazione Nazionale. Il mondo è cambiato, perché la società è oggi diversa. Il continente latino non è più quello dei dittatori e, soprattutto, la Colombia è il solo Paese in questo momento nel continente che sta prosperando. Il Pil quest’anno sarà tra il 6,7%, il triplo di quello del Brasile. Poi c’è il problema di Panama, un problema commerciale: hanno raddoppiato il canale, ci sono investimenti enormi, ci sono 110 banche straniere. In pratica le guerriglie sono fuori dalla realtà, la rincorsa all’ideale marxista è ormai superata. Tutto questo è destinato a finire, anche perché parte delle risorse di un Paese come la Colombia, quasi il 16-18% del prodotto nazionale lordo, vengono investite nei territori occupati dalle guerriglie. Quindi credo che uno Stato moderno, che si sta aprendo al futuro, non abbia interesse a continuare questo stato di cose e voglia sfuggire al cliché del Paese della coca e delle guerriglie.

D. – E’ pensabile a un progressivo inserimento degli attuali ribelli nel tessuto istituzionale colombiano?

R. – Credo che questo sia già successo altrove, pensiamo al Venezuela: molti “tupamaros” erano finiti nei governi di centro e di centro-sinistra. Quindi quello che è già avvenuto in Venezuela è il modello che verrà praticato per pacificare la regione.

D. – C’è il rischio che rimangano frange estremiste che proseguiranno nella guerriglia?

R. – Sì, questo è il rischio, perché esistono piccoli poteri circoscritti a piccole zone la cui esistenza è basata sulla violenza, sui traffici illeciti e indubbiamente questo rischio c’è. Ma se il Paese è compatto, quando le grandi strutture delle guerriglie si accorderanno col governo, credo che tutto questo sparirà. I colloqui sono cominciati nella difesa dei diritti umani e in fondo è proprio così: l’equilibrio si conquista con la difesa dei diritti umani.

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A Roma un incontro per il disarmo nucleare

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Si sta per concludere la Settimana Onu per il disarmo, celebrata ogni anno dalle Nazioni Unite, dal 24 al 30 ottobre. A 70 anni dalle bombe che, nell’agosto del 1945, distrussero Hiroshima e Nagasaki, la Rete italiana per il disarmo e altri enti hanno organizzato a Roma un convegno intitolato: "La strada verso il disarmo nucleare. Confronto tra parlamento, governo, società civile". Il servizio di Eugenio Murrali

La Federation American Scientist stima che nel mondo siano ancora presenti 15 mila 695 armi nucleari. L’accesso ai dati reali però è difficile, a causa del segreto militare. Il 93 per cento delle testate sarebbe in mano a Russia e Stati Uniti, le altre sono divise tra Francia, Cina, Gran Bretagna, Israele, Pakistan, India e Corea del Nord. Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo, spiega che anche in Italia sono presenti ordigni atomici:

"La maggior parte degli italiani non sa che ci sono delle armi nucleari. Sappiamo da fonte straniera, pubblicamente, che ci sono circa 70 ordigni nucleari nel Nordest del Paese, a Ghedi e ad Aviano, in due basi militari: 50 a disposizione degli squadroni aerei statunitensi e 20 a disposizione degli squadroni aerei italiani."

A Vienna, lo scorso anno, a conclusione della Conferenza dell’iniziativa umanitaria, il governo austriaco ha reso pubblica una solenne promessa contro le armi nucleari e ha invitato molti Paesi a sottoscriverla, come ci spiega Lisa Clark, vicepresidente dell’associazione Beati i costruttori di pace:

"Un documento che veramente ci ha molto colpito. Un governo di uno Stato dice: 'Abbiamo capito che veramente per noi non è più sopportabile stare a guardare, quindi noi ci impegneremo per arrivare a uno strumento giuridico internazionale che ci porti verso una messa al bando delle bombe atomiche'. Hanno raccolto ormai l'adesione di altri 120 Stati. E noi chiediamo all'Italia di essere uno di questi Stati."

Un’importante iniziativa è stata portata avanti inoltre dalla Repubblica delle Isole Marshall, dove negli anni Quaranta e Cinquanta gli Stati Uniti hanno compiuto imponenti test nucleari. Spiega ancora la Clark:

"La Repubblica delle Isole Marshall è stata il poligono di tiro degli Stati Uniti, per 12 anni, per le loro sperimentazioni nucleari. Adesso ha fatto ricorso alla Corte internazionale di giustizia chiedendo di giudicare se le potenze nucleari, che col Trattato di non proliferazione si sono impegnate a negoziare, in buona fede, un trattato internazionale per il disarmo nucleare totale, siano adempienti o inadempienti. Era duplice l'accordo di non proliferazione: da un lato tutti gli Stati del mondo si impegnavano a non dotarsi mai di armi nucleari, ma i cinque che le avevano si impegnavano a smantellarle. Allora: gli altri non le hanno costruite – tranne alcune eccezioni: l'India, il Pakistan, Israele, forse la Corea del Nord – ma le cinque che dovevano smantellare le proprie? Che fine ha fatto quell'impegno?"

Le numerosi iniziative che si sono susseguite in questi giorni mirano alla nascita di un trattato internazionale che metta definitivamente al bando le armi nucleari.

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Rallenta crescita immigrati in Italia: più della metà sono cristiani

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Cresce, ma più lentamente, la popolazione immigrata in Italia, aumentano i processi di inserimento e la maggioranza degli stranieri residenti è di religione cristiana. Questi i principali dati emersi dal “Dossier statistico immigrazione 2015” redatto dall’Idos, in collaborazione con la rivista “Confronti”, e presentato a Roma e in contemporanea in altre 20 città italiane. Elvira Ragosta

Su 240 milioni di migranti stimati nel mondo, 5 milioni e 14mila sono gli stranieri residenti in Italia; poco meno sono, invece, gli italiani che hanno scelto di andare a vivere all’estero. Il dossier Idos sull’immigrazione sottolinea come l’immigrazione nel nostro Paese abbia rallentato la crescita registrata lo scorso anno. Tra gli stranieri residenti, oltre la metà ha la cittadinanza di un Paese europeo, un milione e mezzo proviene da uno Stato membro dell’Unione Europea, mentre un quinto proviene dall’Asia, Cina in testa. Per quanto riguarda invece l’afflusso eccezionale di migranti forzati, nel 2014 sono sbarcate in Italia oltre 170mila persone tra richiedenti asilo e migranti economici, Franco Pittau, coordinatore redazionale del Dossier:

R. - Nel 2014 è molto aumentato il flusso dei profughi. Questa è una grande novità: quasi quattro volte di più rispetto al 2013. Sono però continuati, seppure in diminuzione, i ricongiungimenti familiari: 78.000; 25.000 sono le persone venute per motivi di lavoro; e abbiamo già cinque milioni di stranieri. Quindi noi dobbiamo riuscire a saper accogliere i nuovi venuti e a saper integrare i cinque milioni che sono già in Italia.

D. – Il bilancio è positivo, tra spesa pubblica ed entrate statali assicurate dagli stranieri…

R. – Questa è una stima che si fa sulla base dei dati disponibili, che non sempre sono tali e allora ci vogliono delle stime. Però questa stima che abbiamo cercato di fare nella maniera più appropriata dice che gli immigranti ogni anno ci lasciano un buono – un surplus – di tre miliardi. Quindi non è vero quello che diciamo quando ci lamentiamo di “quanto ci costano”. Ci costano poco perché rendono di più. E poi l’accoglienza di una persona non deve mai essere impostata solo su questo criterio.

D. – In base ai dati relativi all’acquisizione dei diritti di cittadinanza, quanto la legge in discussione in Senato in questo momento sullo “ius soli” e lo “ius culturae” può aiutare questa naturalizzazione?

R. – E la storia del “bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno”. Molti sono contenti perché si fa un grosso passo in avanti, però non perfetto. Probabilmente nella storia del mondo non c’è mai stata una legge perfetta, quindi si tratta di un passo in avanti e dopo di quello anche un altro passo.

Un approfondimento del dossier statistico sull’immigrazione è stato curato dalla rivista Confronti e riguarda i dati sull’appartenenza religiosa degli immigrati. Claudio Paravati, direttore di Confronti:

“Più di un immigrato su due residenti, in Italia, è cristiano. Quindi questo dato immediatamente palesa come la teoria della immigrazione – che porta a una nuova religione ed è una colonizzazione religiosa – sia falsa. La discontinuità è che, addirittura, il dato relativo ad alcune religioni – tra cui l’islam ad esempio – in confronto all’anno prima, è diminuito di qualche punto percentuale. Quindi non c’è assolutamente una crescita esponenziale. L’ennesimo dato è anche che la comunità cristiana residente è plurale al suo interno: i cristiani ortodossi sono la maggioranza dei cristiani immigrati in Italia, ossia più di 1.200.000. Ci sono religioni nuove rispetto alla storia dell’Italia; e quindi le comunità sono ancora un po’ più chiuse al loro interno. E poi c’è un bellissimo rapporto tra le comunità preesistenti – cioè le comunità cristiane – che si vedono immigrati cristiani arrivare. Le comunità religiose possono – e spesso lo fanno – essere vettori di integrazione”

Aumenta in Europa il numero dei richiedenti asilo, ai primi posti Germania e Svezia, al terzo l’Italia, dove persiste, seppur diminuita, la difficoltà a garantire un sistema di accoglienza adeguato a chi fuggendo da guerre e persecuzioni giunge via Mediterraneo sulle coste italiane.

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A Roma, serie di incontri per vivere da cristiani oggi

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“Nel mondo ma non del mondo, chiavi di lettura per vivere da cristiani oggi”. E’ la sfida e traccia di una serie di incontri che si terranno a Roma, ogni mese di mercoledì, sulle orme del Convegno Ecclesiale di Firenze. Tanti gli ospiti che si alterneranno nella Chiesa delle SS. Stimmate di San Francesco tra cui: Franco Nembrini, Davide Rondoni, suor Alessandra Smerilli, Paolo Ruffini e Paolo Rodari. Le conclusioni saranno affidate a don Fabio Rosini, rettore della Chiesa Rettoria SS. Stimmate e responsabile dell’ufficio della pastorale vocazionale della diocesi di Roma. Ieri si è tenuto il primo incontro con Andrea Monda e Alessandro Sortino. Ai nostri microfoni Gigi de Palo, ideatore del progetto: 

R.  – Questa iniziativa vuole offrire delle chiavi di lettura a tutte quelle persone che magari non sono dentro ai vari organismi ecclesiali e che quindi potrebbero sentire il Convegno Ecclesiale di Firenze, che inizierà a breve, come qualcosa di lontano. Abbiamo preso i 5 ambiti del convegno, abbiamo cercato di approfondirli cercando di renderli già concreti, calibrandoli sulle esigenze delle singole persone che tante volte non hanno l’opportunità di formarsi adeguatamente.

D.  – In concreto come è strutturato questo percorso che avete pensato?

R. – Gli incontri sono suddivisi in questo modo. I primi 5 sono sui temi del Convegno ecclesiale: uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare. Gli altri 4, che inizieranno dal 30 marzo fino a giugno, saranno invece sugli ultimi 4 documenti di Papa Francesco e Papa Benedetto, quindi sulla Caritas in veritate sull’Evangelii gaudium sulla Lumen fidei e infine sulla Laudato si’.

D. – In sostanza è un’attesa, un camminare insieme e un dopo il Convegno di Firenze perché questi incontri si sviluppano in un arco di tempo molto ampio…

R. – Questi 5 ambiti collegati a Firenze possono e devono essere declinati nel tempo perché non devono solo toccare il periodo di novembre in cui ci sarà il Convegno, ma devono essere incarnati quotidianamente nella realtà delle parrocchie e delle associazioni.

D. – Un esempio su un tema: concretamente come verrà presentato?

R.  – Per quanto riguarda il primo tema, “uscire”, che è la prima via proposta dal Convegno Ecclesiale di Firenze, noi cercheremo di riflettere su come mettersi all’ascolto dell’altro e ci domanderemo provocatoriamente se i cristiani “le sanno già tutte”, cioè già sono in possesso della verità, oppure gli altri possono ancora insegnare loro qualcosa. Abbiamo chiamato ad approfondire questo tema due persone: un giornalista e autore tv, Alessandro Sortino, la ex “Iena” che attualmente svolge il suo servizio a TV2000, e Andrea Monda che è uno scrittore e un docente di religione appassionato di Tolkien. Loro ci offriranno delle chiavi di lettura. Oppure sul tema “educare”: abbiamo chiamato a riflettere con noi Pierluigi Bartolomei, preside di una scuola professionale del Centro Elis in una borgata di Roma e il poeta Davide Rondoni. Con loro cercheremo di riflettere sul da dove ripartire per far avvicinare i giovani alla vera bellezza. Nella declinazione degli incontri cerchiamo di offrire scenari molto concreti, proprio perché vogliamo che tutte le cose di cui si parla non rimangano lettera morta. Siamo convinti che la concretezza salverà il mondo e non c’è niente di più concreto che la fede in Gesù Cristo.

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Rebibbia, flash-mob delle detenute per dire al Papa: "Ti vogliamo bene!"

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“Pope is pop” è il balletto improvvisato in onore di Papa Francesco svoltosi stamane nella sezione femminile del Carcere di Rebibbia. Una esibizione che ha coinvolto tante ospiti del penitenziario romano. Ce ne parla Davide Dionisi

Un flash-mob per dire al Papa “Ti vogliamo bene”, “Francesco sei pop”. Questa mattina cinquanta ragazze, ospiti e non, della sezione femminile della Casa circondariale di Rebibbia hanno ballato e cantato insieme il loro inno di gioia dedicato al Pontefice. Detenute di fedi e culture diverse, ma unite da un’unica passione: quella per Papa Francesco e per il suo messaggio di speranza che arriva anche a chi è in carcere. E soprattutto alla vigilia del Giubileo della Misericordia, hanno fatto sentire forte la loro voce dal luogo di restrizione per eccellenza: il carcere, appunto. Ma come nasce questa iniziativa? Ce lo ha spiegato il suo ideatore, Igor Nogarotto:

R. – “Pope is pop” nasce semplicemente dal fatto che mi abbia affascinato Francesco. Io non sono credente, ma mi sono avvicinato alla Chiesa grazie a lui: grazie al suo carisma, grazie al suo essere un po’ al di fuori degli schemi ma soprattutto per essere proprio … “pop”, popolare. Cioè, la voglia di stare in mezzo alla gente, di stare vicino alle persone che ne hanno bisogno. Quindi è nato questo gioco di parole – “pope is pop” – e da lì, poi, tutto un movimento di persone che ha voluto partecipare a questo messaggio. E tutto questo poteva avvenire, secondo me, solo grazie a questo Papa.

D. – Ma perché la scelta di una figura come quella di Papa Francesco?

R. – Al di là del credo, quando hai un personaggio che ha questa forza ti senti meno solo: hai la speranza che le cose possano migliorare. E questo flash-mob di oggi, secondo me, ne è la testimonianza. Intanto, è il primo flash-mob in un carcere italiano: quindi, già abbiamo scritto una pagina di storia. E’ una cosa incredibile. Ma la cosa che credo sia ancora più storica è che si è realizzata un’utopia. Sono detenute che vengono da Stati diversissimi: Tanzania, Nigeria, Liberia, Sudamerica, Canada, italiane anche, ma anche bosniache, armene, filippine che vivono in questo microcosmo. E’ un microcosmo chiuso. Qui ci sono persone che hanno sbagliato, ma esiste il perdono, esiste la misericordia: una misericordia e un perdono costruttivi, riabilitativi. Sono persone che hanno sbagliato, ma possiamo dare loro la possibilità di essere riinserite nella società, attraverso il sacrificio, attraverso il lavoro, attraverso lo studio, anche attraverso attività artistiche … E questa è un’altra cosa che mi sembra che Francesco dica, essendo vicino alle persone. E in più, questa cosa incredibile che ragazze cattoliche, musulmane e ortodosse ballino insieme in maniera univoca per Papa Francesco, per esportare un modello comportamentale.

Secondo la Direttrice della sezione femminile dell’Istituto di pena romano, Ida Del Grosso, queste iniziative hanno una particolare rilevanza e devono essere sempre accolte con favore:

R. – Qualche volta, in carcere, anche attraverso iniziative come queste si riesce a far passare un messaggio di unità, per esempio. Loro hanno superato le loro differenze di lingue, di culture, hanno lavorato insieme per il ballo: per il ballo, ma per un ballo che aveva un significato grande, il significato di dire: “Papa, stai con noi; ti ringraziamo perché pensi sempre a noi: non siamo le ultime della società”.

Qui è ancora vivo il ricordo della visita del Pontefice al Nuovo Complesso. Nell’occasione furono invitate anche le ospiti che vivono a poca distanza dalla sezione maschile. L’emozione di quella giornata speciale ce le ha raccontate la stessa direttrice.

R. – E’ stato un evento di grandissima commozione: tutte loro, sia prima sia durante, hanno pianto, hanno pregato per i loro figli – per esempio – perché si tratta di donne e quasi tutte sono madri. Alcune hanno i bambini con sé nella Sezione Nido, ma altre sono madri di bambini che hanno all’esterno, con un dolore immenso per la lontananza da loro. Quindi, hanno vissuto quell’esperienza della Messa che il Papa ha celebrato con loro come se fossero persone libere, come se fossero persone che non hanno commesso un reato! In qualche modo hanno potuto anche far vedere ai loro famigliari quanto il carcere possa dare loro delle possibilità: anche quella di incontrare il Papa. Perché no?

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Filoni presenta il suo libro sulla Chiesa in Iraq

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In Iraq e in Siria, “senza la pace, non c'è speranza per nessuno”, e solo la fine dei conflitti settari potrà garantire la sopravvivenza delle comunità cristiane autoctone fiorite fin dai tempi apostolici nello spazio geografico della Mesopotamia. Così il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha richiamato le insidie che minacciano il presente e il futuro dei cristiani in ampie aree del Medio Oriente. Lo ha fatto nel corso della presentazione del suo libro «La Chiesa in Iraq. Storia, sviluppo e missione, dagli inizi fino ai nostri giorni», svoltasi ieri pomeriggio presso l'Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana.

Un libro d'attualità dal consistente valore documentario
L'attualità e il consistente valore documentario del volume scritto dal porporato e pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, sono stati esposti dai relatori intervenuti nel corso della presentazione: Il rettore della Pontificia Università Urbaniana padre Alberto Trevisiol, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael Sako, e il prof. Joseph Yakoub, titolare della cattedra Unesco “Mémoire, cultures et interculturalitè” dell'Università cattolica di Lione. Alla presentazione, moderata dalla professoressa Lorella Congiunti, vice-rettore dell'Ateneo pontificio, insieme ai cardinali Tarcisio Bertone e Giovanni Battista Re hanno presenziato numerosi vescovi caldei, che in questi giorni sono convenuti a Roma per partecipare all'Assemblea sinodale della loro Chiesa.

Un volume per conoscere la storia millenaria dei cristiani d’Oriente
Il volume del card. Filoni – che durante l'incontro ha più volte fatto riferimento alla sua esperienza di nunzio apostolico in Iraq e Giordania dal 2001 al 2006, proprio negli anni segnati dall'intervento militare a guida Usa e dal crollo del regime di Saddam Hussein - ripercorre la storia, lo sviluppo e la missione delle comunità cristiane nello spazio geografico corrispondente all'attuale Iraq, dagli inizi ai nostri giorni. L'opera – come è emerso anche dagli interventi dei relatori – rappresenta un antidoto prezioso al pressappochismo che maltratta anche le storie millenarie dei cristiani d’Oriente: «conoscere la storia delle cristianità del Vicino Oriente e in particolare della Mesopotamia» - così scrive l'autore - è l’unico modo di «comprendere le ragioni e le vicende drammatiche di quella regione e apprezzare la vita, la cultura, la testimonianza di fede e i motivi di attaccamento dei cristiani alla propria terra, ma anche l’odio dei loro nemici».

Il racconto di una chiesa martire
Negli interventi dei relatori, è emersa più volte la connotazione martiriale che continua a segnare anche oggi tutta la vicenda delle comunità cristiane di quelle terre. Il rettore Trevisiol ha sottolineato il valore dell'opera anche come testimonianza di prossimità verso le Chiese che ora soffrono persecuzione da parte del “Califfato” jihadista. 

Il libro verrà tradotto anche in arabo
Il patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha annunciato l'imminente pubblicazione della versione araba del volume, e ha ricordato con gratitudine le due visite compiute dal card. Filoni tra i profughi iracheni come Inviato speciale di Papa Francesco, nell'agosto 2014 e nei giorni di Pasqua di quest'anno. Il prof. Yacoub, dal canto suo, ha messo in risalto la consistenza del volume dal punto di vista storiografico, facendo riferimento ai molti documenti inediti citati, “che il card. Filoni ha esplorato in nunziatura, negli anni della sua presenza in Iraq”. (G.V.)

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Premio Sakharov al blogger saudita Badawi

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Il blogger saudita Raif Badawi è stato insignito dal Parlamento Europeo del premio Sakharov per la libertà di coscienza. Lo hanno reso noto fonti del Parlamento sottolineando come il riconoscimento sia un “segnale forte” al governo saudita che detiene il 31enne, condannato a mille frustate per il suo sito ‘Free Saudi liberals’ un forum ideato per discutere del ruolo della religione in Arabia Saudita.

Per la sua scarcerazione si sono mobilitati 18 premi Nobel
​Badawi - riporta l'agenzia Misna - era stato candidato al premio da partito socialista, conservatori e verdi che hanno anticipato su Twitter l'annuncio ufficiale del presidente Martin Schulz. Dopo aver ricevuto le prime 50 frustrate il 9 gennaio, in pubblico, di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda, Badawi – condannato per “insulti all’Islam’ - si era visto slittare per due volte la sessione seguente per motivi di salute. In favore della sua scarcerazione si sono mobilitati 18 premi Nobel. (A.d.L.)

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Rep. Dominicana: Chiesa contraria a muro a confine con Haiti

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L'arcivescovo della diocesi di Santiago de los Caballeros, mons. Freddy Antonio de Jesús Bretón Martínez, è contrario alla costruzione di un muro alla frontiera per impedire l'ingresso illegale degli haitiani nella Repubblica Dominicana. "L'ideale sarebbe togliere la vergogna e ripristinare il buon funzionamento delle istituzioni di questo paese" ha sottolineato nella comunicazione ripresa dall'agenzia Fides.

In aumento l'insediamento degli haitiani illegali
Mons. Bretón Martínez, parlando ieri ad una emittente televisiva locale "Comunicacion y Vida", promossa dall'arcidiocesi, ha anche riferito che nelle ultime settimane è aumentato l'insediamento di haitiani illegali nel comune di San José de las Matas, provincia di Santiago. Ed ha aggiunto: "se viene fatto un muro, questo sarà inutile, perché gli stessi militari faranno dei fori per chiedere pedaggi".

Le autorità dominicane devono rispettare la dignità degli haitiani illegali
Mons. Bretón ha ribadito che le autorità dominicane devono essere custodi del territorio, e se in qualche caso devono espellere haitiani illegali, lo devono fare rispettando la loro dignità e senza rubargli i beni che portano con sé: "Non si può permettere di vedere che sono derubati di tutto e poi lasciati per strada senza niente". (C.E.)

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Colombia: condanna dei vescovi per attentato contro militari

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Resta alta la tensione in Colombia, dopo l’episodio di guerriglia che ha portato alla morte di undici militari ed un poliziotto. Le vittime sono stati uccise a Güicán, nel dipartimento di Boyacá, in un attentato da parte dell’Eln (Esercito di liberazione nazionale), la seconda milizia guerrigliera del Paese dopo le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia). L’episodio è avvenuto mentre il gruppo sta per iniziare le trattative di pace con il governo. Immediate le reazioni dell’episcopato: il presidente, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, ha condannato l’avvenimento definendolo “deplorevole” ed esprimendo “sostegno e preghiera” alle famiglie dei caduti.

Mons. Quiroga: continuare a sperare che la pace è possibile
Auspicando, poi, che la giustizia operi in tempi rapidi, mons. Quiroga ha affermato: “Ci auguriamo che, nonostante questi fatti deplorevoli, possiamo continuare a sperare che la pace è possibile, non solo con le Farc, ma anche con l'Eln, raggiungendo accordi di vera riconciliazione, non macchiati da episodi indegni”.

Mons. Ramírez: episodio illogico ed ingiustificabile
Sulla stessa linea anche mons. Misael Vacca Ramírez, vescovo di Duitama e amministratore apostolico di Málaga-Soatá, il quale ha ribadito che tale gesto “non ha alcuna logica né giustificazione”. Il presule ha poi notato come  atti di questo tipo siano inusuali nella regione del Boyacá, conosciuta da tutti come “territorio di pace”. (I.P.)

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Brasile: Consiglio dei vescovi sulla salvaguardia del Creato

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È la salvaguardia del creato, declinata nelle sue tante forme, uno dei temi principali al centro della riunione del Consiglio episcopale permanente della vescovi del Brasile (Cnbb). L’evento, in corso fino a domani, guarda in particolare all’enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, siglata da Papa Francesco, per implementarne l’attuazione nel Paese e seguire le sue linee-guida nella lotta al degrado ambientale ed ai cambiamenti climatici.

Accesso all’acqua, bene comune fondamentale
Tra le riflessioni dei vescovi brasiliani – informa il sito web della Cnbb - la questione dell’accesso all’acqua, bene comune fondamentale da promuovere attraverso la costruzione di apposite cisterne nelle regioni più aride del Paese, così come la tutela delle falde acquifere dalla contaminazione e dallo spreco. I presuli suggeriscono anche la promozione di impianti ad energia solare e piccoli, ma significativi, gesti ecologici, come l’uso di tazze personalizzate al posto dei bicchieri di plastica negli uffici e negli ambienti comuni. Ogni parrocchia del Paese, inoltre, viene esortata a compiere due azioni in favore della “casa comune”.

Campagna ecumenica di fraternità: casa comune, responsabilità comune
Sempre in ambito ecologico, il Consiglio episcopale permanente riflette sul tema della prossima Campagna di fraternità ecumenica (Cfe), ovvero “Casa comune, nostra responsabilità”. Programmata per il 2016, la Cfe è giunta alla quarta edizione ed è organizzata dal Consiglio nazionale delle Chiese cristiane del Brasile. “L’obiettivo dell’iniziativa – spiega padre Marcus Barbosa, membro della Commissione episcopale per l’ecumenismo – è quello di promuovere il dialogo tra i cristiani su questioni relative ai servizi sanitari di base, al fine di garantire la salute, il giusto sviluppo e la vita dignitosa a tutti i cittadini”.

Necessaria collaborazione tra le diverse confessioni cristiane
Da ricordare che la principale novità dell’edizione 2016 della Cfe sarà la sua caratteristica “transfrontaliera”, poiché vedrà la collaborazione di “Misereor”, l’organismo della Chiesa cattolica tedesca che lavora per lo sviluppo in Asia, Africa e America Latina. Svoltasi per la prima volta nel 2000 sul tema “Dignità umana e pace”, la Cfe si tiene ogni cinque anni e vede la collaborazione di diverse confessioni cristiane, valorizzandone le singole specificità.

Focus sulla mobilità urbana
​Ulteriori spunti di riflessione del Consiglio episcopale permanente giungono dalla preparazione di un documento dedicato al territorio urbano: “Impostato sul metodo del vedere, giudicare, agire – spiega la Cnbb – esso vuole affrontare il disagio delle persone di fronte all’attuale situazione della mobilità urbana”. Un secondo documento verrà invece dedicato al tema “Missione e cooperazione missionaria”, per capire come affrontare le sfide contemporanee della missione, i suoi fondamenti trinitari e la conversione ecclesiale. Le riflessioni del Consiglio episcopale permanente faranno da base alla 54.ma Assemblea generale della Cnbb che si terrà ad Aparecida dal 6 al 15 aprile 2016. (I.P.)

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Cile: perplessità dei vescovi su riforma scuole superiori

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Perplessità: è questo la risposta della Conferenza episcopale del Cile di fronte alla riforma scolastica che il governo sta portando avanti nel Paese. A gennaio, infatti, è stata approvata la normativa che renderà gratuita la scuola dall’asilo agli studi superiori. Un secondo pacchetto di riforme si concentrerà sull’università, per permettere a circa 264mila studenti di frequentare gratuitamente centri di formazione tecnica, istituti professionali accreditati e università del Consejo de rectores, organismo collegiale che riunisce i rettori di venticinque università cilene, pubbliche e private.

La riforma dell’istruzione non è solo una riforma economica
Ma la Chiesa cilena si dice perplessa: in una lettera aperta, mons. Héctor Vargas, presidente del Dipartimento educazione dei vescovi locali, sottolinea che implementare la gratuità della scuola superiore richiede “un cambiamento paradigmatico che situi al centro della discussione sull’educazione gli interessi collettivi, la crescita integrale della società e lo sviluppo della persona, soprattutto di coloro che, pur avendo le capacità necessarie, non hanno le risorse per intraprendere e proseguire gli studi superiori”. Per questo, spiega mons. Vargas, impostare la riforma sulla gratuità e quindi solo sul bilancio economico “distoglie il dibattito pubblico e parlamentare dalla dimensione sociale, etica e politica della normativa, riducendola a meri criteri finanziari”.

Preoccupazione per la perdita di autonomia delle università
Inoltre, il presidente del Dipartimento episcopale per l’educazione manifesta le sue preoccupazioni riguardo alla perdita di autonomia che subiranno le università che aderiranno al processo di attuazione della gratuità, considerati i requisiti stabiliti dallo Stato per rientrare nella normativa. In particolare, mons. Vargas si dice preoccupato della possibilità di un determinato regime di partecipazione statale e di gestione interna negli atenei, così come della definizione di tariffe e quote prefissate per le iscrizioni delle matricole.

Non illudere le famiglie degli studenti
Non solo: il pensiero del presule va anche alle famiglie degli studenti, affinché non vengano illuse dalla riforma: la gratuità, infatti, riguarderà solo gli iscritti in corso, e non quelli fuori corso. Il che è “irreale – commenta mons. Vargas – se si considera che oltre i due terzi degli studenti non rispettano i tempi del piano di studi”.

Attuare gratuità degli studi in base all’indice di povertà
Quindi, il vescovo cileno suggerisce che lo Stato attui la gratuità degli studi in base alle reali necessità di ogni regione del Paese, secondo l’indice di povertà, garantendo che nessuna istituzione formativa riceverà meno di quanto avviene attualmente, in termini di finanziamento. (A cura di Isabella Piro)

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Vescovi del Bangladesh per la salvaguardia del Creato

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Risvegliare una maggiore consapevolezza sull’importanza dei temi ambientali e della salvaguardia del Creato: con questo obiettivo si è tenuto martedì scorso a Dhaka, in Bangladesh, un seminario organizzato dalla Chiesa locale rivolto a sacerdoti, religiosi, docenti ed attivisti sociali provenienti da sette diocesi del Paese. Focalizzato, in particolare, sull’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune” siglata da Papa Francesco, l’evento ha visto la presenza di mons. Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente della Commissione Giustizia e pace della Conferenza episcopale del Bangladesh.
 
Il mondo rischia il disastro. Occorre dialogo ed azione ecologica
“Da soli non possiamo fare niente per i cambiamenti climatici – ha detto il presule, aprendo i lavori – perché le nostre risorse sono limitate”. Per questo, ha ribadito, è necessario “promuovere una maggiore consapevolezza tra i fedeli, incoraggiandoli a raggiungere e coinvolgere ogni persona, a vari livelli, nelle loro rispettive comunità, per dialogare ed agire sul tema dell’ecologia”. Inoltre, in quanto presidente della Caritas nazionale, mons. Rozario ha sottolineato: “Il mondo si trova davanti al disastro. Possiamo salvarlo solo se ci prenderemo cura della Terra, in quanto madre e sorella”.
 
Enciclica Laudato si’, punto di riferimento fondamentale
Dal suo canto, il presidente della Conferenza episcopale del Paese, l’arcivescovo Patrick D’Rozario, ha diffuso una Lettera pastorale in cui ha fornito una breve sintesi dei punti principali della “Laudato si’”. Non solo: l’arcivescovo ha anche esortato i cattolici a seguire le linee-guida indicate dal Papa ed ha invitato i sacerdoti a diffondere, tra i fedeli, gli insegnamenti del magistero pontificio sull’ecologia. La lettera pastorale è stato distribuita in tutte le parrocchie del Paese.
 
L’operato della Caritas per tutelare l’uomo e l’ambiente
Infine, da ricordare che Caritas Bangladesh ha già lanciato numerosi progetti sulla salvaguardia del Creato, come ad esempio: la vendita di semenze di alta qualità agli agricoltori più indigenti, in modo da migliorare le loro condizioni di vita, oppure l’assistenza ai gruppi sociali più vulnerabili, come i bambini ed i senza-tetto, ai quali vengono donati abiti caldi per l’inverno. Centrale anche l’avvio di programmi di riabilitazione per combattere l’alcolismo tra le minoranze etniche. (I.P.)

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Congo: no dei vescovi a voto per la Commissione elettorale

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La Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo (Cenco) ha deciso di non partecipare alle votazioni della piattaforma delle Confessioni religiose del Paese, per designare un suo rappresentante all’interno della Commissione elettorale nazionale indipendente (Ceni). In una nota a firma del segretario generale della Cenco, padre Léonard Santedi, si legge: “Nel corso di un confronto fraterno tra i rappresentanti delle diverse Confessioni religiose impegnate in questo compito, sono emerse differenze notevoli sui principi da rispettare per assumersi tale responsabilità”.

La preghiera della Chiesa per la riuscita delle elezioni
Di qui, la decisione della Chiesa cattolica di “non partecipare ad un voto che sembrava essere stato già deciso”. Ne consegue che “il candidato presentato dalle Confessioni religiose è il rappresentante di sette confessioni, ma non della Chiesa cattolica che non ha partecipato alla sua elezione e che si assume tutta la sua responsabilità davanti al Paese ed alla storia”. Infine, la Cenco “prega per la riuscita del processo elettorale ed affida alla Vergine Maria l’avvenire della nazione”.

Clima teso dopo le proteste popolari di gennaio
Nella Repubblica Democratica del Congo il contesto elettorale non è facile: a gennaio, si sono registrate 42 vittime negli scontri tra polizia e manifestanti. Al centro delle proteste, la proposta di legge di subordinare le prossime elezioni presidenziali, previste al momento per il 2016, alla realizzazione di un censimento completo della popolazione. Tale censimento avrebbe richiesto molto tempo, prolungando così il mandato dell’attuale Capo dello Stato,  Joseph Kabila, al potere dal 2001. In seguito, il Senato ha approvato la legge sulla riforma elettorale senza l’articolo contestato dalla popolazione. Ma il clima delle votazioni resta comunque teso. (I.P.)

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Norvegia: prima pietra di una nuova cattedrale a Tondheim

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E' dedicata a sant’Olav la nuova cattedrale cattolica che sorgerà a Trondheim, in Norvegia. La posa della prima pietra – riferisce l’agenzia Sir - è avvenuta solennemente oggi, con una celebrazione durante la quale il vescovo Bernt Eidsvig si è recato sul sito dove sorgerà la chiesa ed ha posto una scatola (come simbolo per la pietra d’angolo) contenente i progetti della Chiesa, il modello della moneta dedicata a sant’Olav e il decreto firmato dal vescovo stesso. Dopo la benedizione del terreno con l’acqua santa, la celebrazione della Santa Messa a cui è seguito un ricevimento.

Conclusione dei lavori prevista ad autunno 2016
Il nuovo edificio sostituirà la vecchia chiesa, terminata nel 1973 e che è stata distrutta perché presentava, oltre a considerevoli problemi strutturali, crescenti problemi di capienza. Trondheim fin dal Medioevo è meta di pellegrinaggi perché sant’Olav è sepolto nella cattedrale luterana, sede del primate della Chiesa di Norvegia. La nuova cattedrale cattolica avrà la tipica forma di una basilica. Si prevede che la costruzione sarà terminata entro l’autunno 2016.

Tra i benefattori, anche i fedeli tedeschi
I costi della costruzione sono stimati intorno agli 80 milioni di nok (circa 8,5 milioni di euro). Tra i benefattori ci sono le istituzioni tedesche Bonifatiuswerk e Diasporakommisariat, l’arcidiocesi di Colonia, Paderborn e la diocesi di Münster. Infine, qualche dato: su 113mila cattolici registrati in tutta la Norvegia, la regione di Trondheim ne conta 10mila, appartenenti a più di 70 nazionalità diverse. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 302

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.