Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 28/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



"Nostra aetate", Papa: il dialogo è fatto di rispetto e fiducia

◊  

È il “rispetto reciproco” la “condizione” e il “fine” del dialogo interreligioso. Un rispetto che dà sostanza al dialogo che “non può che essere aperto e rispettoso”. Lo ha affermato Papa Francesco all’udienza generale presieduta in Piazza San Pietro, nel giorno esatto in cui – 50 anni fa – Paolo VI firmava la “Nostra aetate”, il documento conciliare sul dialogo con le religioni non cristiane. L’udienza, cui hanno preso parte esponenti di varie fedi, è stata introdotta da due saluti dei cardinali Kurt Koch e Jean-Louis Tauran, a capo rispettivamente dei dicasteri dell’Unità dei Cristiani e del Dialogo Interreligioso. Il servizio di Alessandro De Carolis

Qualche minuto di una preghiera silenziosa e comune, gli abiti di varia foggia a testimoniare la prossimità tra fedi diverse accanto al Papa. Questo silenzio finale è stato forse la parola più forte di una udienza generale dall’andamento leggermente diverso dal solito.

Siamo diventati amici
Per alcuni istanti, lo “Spirito di Assisi”, evocato da Francesco e suscitato quasi 30 anni fa da Giovanni Paolo II – ha spirato in modo tangibile tra la folla di Piazza San Pietro, alla quale il Papa ha voluto spiegare in modo semplice e diretto perché quel testo conciliare firmato da Paolo VI il 28 ottobre 1965, la “Nostra aetate”, abbia cambiato per sempre l’approccio della Chiesa con le altre fedi. In particolare ha parlato della trasformazione del rapporto tra cristiani ed ebrei:

“Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli. Il Concilio, con la Dichiarazione Nostra ætate, ha tracciato la via: ‘sì’ alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”.

Chi crede, prega
“La Chiesa – assicura Francesco – guarda con stima i credenti di tutte le religioni” e ne apprezza “l’impegno spirituale e morale”. Un impegno che il Papa intende come una collaborazione a tutto campo – dal lavoro comune per la pace alla lotta contro la miseria, la corruzione, il degrado ambientale e soprattutto contro la violenza che si fa scudo di Dio e così facendo suscita, riconosce Francesco, il “sospetto” o addirittura la “condanna delle religioni”:

“Noi credenti non abbiamo ricette per questi problemi, ma abbiamo una grande risorsa: la preghiera. E noi credenti preghiamo. Dobbiamo pregare. La preghiera è il nostro tesoro, a cui attingiamo secondo le rispettive tradizioni, per chiedere i doni ai quali anela l’umanità”.

Cura reciproca
Certo, ammette il Papa, nessuna religione “è immune dal rischio di deviazioni fondamentalistiche o estremistiche”, ma si tratta “di alzare lo sguardo e di andare avanti” verso un tipo di dialogo – afferma – che sia “aperto e rispettoso”:

"Il rispetto reciproco è condizione e, nello stesso tempo, fine del dialogo interreligioso (…) Il dialogo basato sul fiducioso rispetto può portare semi di bene che a loro volta diventano germogli di amicizia e di collaborazione in tanti campi, e soprattutto nel servizio ai poveri, ai piccoli, agli anziani, nell’accoglienza dei migranti, nell’attenzione a chi è escluso. Possiamo camminare insieme prendendoci cura gli uni degli altri e del creato. Tutti i credenti di ogni religione”.

“Armonia delle diversità”
Questa attenzione specie alle fasce più deboli, suggerisce il Papa, avrà un’“occasione propizia” per essere praticata durante l’ormai vicino Anno Santo. Ma la “misericordia alla quale siamo chiamati – chiarisce Francesco – abbraccia tutto il creato, che Dio ci ha affidato perché ne siamo custodi, e non sfruttatori o, peggio ancora, distruttori. Dovremmo sempre proporci di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato”, lavorando di comune accordo:

“Siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – possa aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità”.

Francesco, che aveva aperto l’udienza generale con il consueto saluto ai malati ospitati per via del maltempo in Aula Paolo VI, l’ha conclusa salutando e abbracciando i rappresentanti religiosi assieme a lui sul sagrato della Piazza.

inizio pagina

Leader religiosi: "Nostra aetate" fondamentale per il dialogo

◊  

Fondamentale. Così è stata definita la “Nostra aetate” al briefing in Sala Stampa della Santa Sede a cui hanno preso parte alcuni dei rappresentanti delle diverse religioni intervenuti poco prima all’udienza generale interreligiosa di Papa Francesco e riuniti in questi giorni al Convegno internazionale promosso presso la Pontificia Università Gregoriana, nel 50.mo anniversario del Decreto conciliare. Il servizio di Giada Aquilino

Cinquant’anni esatti sono trascorsi dalla promulgazione della Dichiarazione conciliare “Nostra aetate”, documento fondamentale per la promozione delle relazioni di rispetto, amicizia e dialogo con le altre religioni. Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha ricordato come l’anniversario venga celebrato “per desiderio” di Papa Francesco.

L’essenzialità del documento e l’importanza dell’udienza generale interreligiosa in Piazza San Pietro sono state sottolineate da Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia:

“Sua Santità ha riconfermato un punto molto importante per noi musulmani, che è quello della centralità dell’unicità di Dio e ha ricordato che nel culto musulmano abbiamo la preghiera, l’elemosina, il digiuno. Enumerando questi elementi, Sua Santità è stato molto vicino ai musulmani e non è stata la prima volta: egli ha sempre testimoniato la sua vicinanza ai musulmani e la sua apertura. Noi appoggiamo tutte le sue azioni e la sua saggezza, perché il mondo di oggi ha bisogno di una voce autorevole come quella di Francesco”.

Cruciale l’evento interreligioso con Papa Francesco anche per il rabbino argentino Claudio Epelman, direttore esecutivo del Latin American Jewish Congress, che ha conosciuto il cardinale Bergoglio quando era arcivescovo di Buenos Aires ed ha apprezzato che il Papa abbia fatto sì che quella finale fosse “una preghiera personale fatta da ognuno secondo la propria fede”:

“Today we have been witnesses of something historic: in Saint Peter’s Square…
Oggi siamo stati testimoni di un evento storico: in Piazza San Pietro, il Papa ha parlato al pubblico cattolico del rapporto con le altre religioni. Penso che il linguaggio del Papa consista molto nella sua gestualità, non soltanto nelle parole. Abbiamo visto come egli si rapporti con le persone e con noi, rappresentanti delle altre religioni”.

Il rabbino David Rosen, direttore internazionale per i Rapporti interreligiosi dell'American Jewish Committee, ha evidenziato che la “Nostra aetate” ha rappresentato “una rivoluzione con l’ebraismo”:

“The fact that “Nostra aetate” led to …
Il fatto che la 'Nostra aetate' abbia portato a questo tipo di rapporto con le religioni del mondo è un messaggio per noi, cristiani ed ebrei. Per quanto importante sia il nostro rapporto – ed è centrale – è comunque un rapporto che ci chiama ad aprire relazioni con tutte le altre religioni”.

Swami Chidananda, fondatore della Ong indiana Fowai Forum, ha parlato dei rapporti con gli indù:

“Reading the 'Nostra aetate'…
Leggere il documento 'Nostra Aetate' è stato fonte di ispirazione. Infatti per me ricorda lo spirito dell’induismo, in quanto l’induismo dice sempre: ‘La verità è una sola e gli studiosi la esprimono in modi diversi’. Nella 'Nostra Aetate' c’è un continuo richiamo al rispetto dei valori, delle culture e al rispetto reciproco delle dignità. Dobbiamo leggere le espressioni religiose con attenzione, senza volere prevaricare l’uno sull’altro. I nobili valori umani che sono riportati nella 'Nostra Aetate' sono davvero rilevanti”.

Samani Pratibha Pragya, della Jain Vishwa Bharati di Londra, ha messo in luce una particolare prospettiva delle fedi:

“All religions are together…
Tutte le religioni stanno insieme. E questa è la bellezza che produce una fragranza diversa per l’umanità, che la arricchisce e la rende più bella”.

inizio pagina

Papa: solidarietà a Pakistan e Afghanistan colpiti da sisma

◊  

Al termine dell'udienza generale in Piazza San Pietro, il Papa ha lanciato un appello per le popolazioni di Pakistan e Afghanistan colpite dal terremoto lunedì scorso. Ascoltiamo le sue parole: 

"Siamo vicini alle popolazioni del Pakistan e dell’Afghanistan colpite da un forte terremoto, che ha causato numerose vittime e ingenti danni. Preghiamo per i defunti e i loro familiari, per tutti i feriti e i senza tetto, implorando da Dio sollievo nella sofferenza e coraggio nell’avversità. Non manchi a questi fratelli la nostra concreta solidarietà".

Intanto sul terreno i soccorsi non si arrestano nonostante le difficoltà. Finora i morti sono almeno 375, di cui 260 in territorio pakistano e 115 in quello afghano. Da Kabul di Barbara Schiavulli: 

Ormai è una lotta contro il tempo per trovare altri sopravvissuti dopo il terremoto che ha colpito l’Afghanistan e il Pakistan. Alcuni posti sono stati dichiarati irraggiungibili, sia per la posizione remota e le condizioni del tempo, pesanti piogge nelle zone montuose, sia per la sicurezza e la presenza dei talebani. Alcune comunità saranno tagliate fuori dagli aiuti. “Siamo molto preoccupati per i bambini, in balia degli eventi atmosferici e del freddo”, ha detto Karim Hulshof, direttore regionale dell’Unicef per il Sud Asia. “Da noi sono arrivati 31 feriti, persone quasi tutte con fratture multiple”, ci ha raccontato Najib Dullah, il direttore dell’ospedale Wazira Akbar Khan, che ci ha portato a vedere i feriti. Molti operai caduti da impalcature, ma anche un padre con il figlio estratti dalle macerie quando il loro negozio è collassato. Passa il tempo e gli echi del terremoto si fanno più flebili, con un audio diffuso ieri il mullah Mansour, capo dei talebani afgani, dice a gran voce che continueranno a combattere fino che in Afghanistan non ci sarà un sistema islamico. I talebani intanto irrompono nella prigione di Ghazni liberando 300 detenuti mentre i militari inglesi hanno deciso di restare per tutto il 2016. Continua a tremare la terra afghana e si torna alle minacce, all’insicurezza e alle violenza di sempre.

Le organizzazioni umanitarie si sono subito mosse per aiutare le popolazioni colpite. Tra queste Caritas Pakistan. Alessandro Guarasci ha intervistato Fabrizio Cavalletti, responsabile ufficio Asia e Oceania di Caritas italiana: 

R. - Caritas Pakistan si è mossa immediatamente: ha mandato subito dei team per verificare la situazione coordinandosi con le autorità locali, perché quella è una zona molto instabile per la presenza dei talebani sia nella parte afghana sia in quella pakistana. Inoltre è una zona difficilmente accessibile perché montuosa e ancora molte località colpite fortemente dal sisma non sono state raggiunte e non si hanno notizie. Si stanno approntando i primi interventi.

D. – Come Caritas italiana che cosa pensate di poter fornire?

R. – L’aiuto immediato che occorre dare sono i ripari di urgenza, anche perché lì è in atto la stagione piovosa, quindi c’è anche maltempo. E il terremoto ha provocato frane e smottamenti. L’immagine che Caritas Pakistan fornisce è quella di una situazione ancora di incertezza.

inizio pagina

Papa concede indulgenza plenaria a Legionari di Cristo e membri Regnum Christi

◊  

Papa Francesco ha concesso l’indulgenza plenaria, in forma di Giubileo, ai Legionari di Cristo e a tutti i membri del Movimento Regnum Christi, in occasione del 75.mo anniversario della fondazione. Questo Giubileo si concluderà nella Solennità del Sacro Cuore dell’anno 2016.

La Penitenzieria Apostolica della Santa Sede ha emesso un decreto, firmato dal Penitenziere maggiore, il card. Mauro Piacenza, in risposta alla richiesta del direttore generale del Regnum Christi e della Legione di Cristo, padre Eduardo Robles Gil.

 I Legionari e i membri del Regnum Christi potranno guadagnare l’indulgenza plenaria nella solennità di Cristo Re del 2015 e nella solennità del Sacro Cuore del 2016, se rinnovano, per devozioni, gli impegni che li legano al Movimento o alla Legione e se pregano per la fedeltà della loro patria alla vocazione cristiana, per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata e per la difesa della famiglia. 

In una lettera inviata a tutti i membri, padre Robles-Gil, scrive: "Vi incoraggio ad approfittare di questa grazia che il Santo Padre ci concede, e a rinnovare la nostra gratitudine al Signore, per il dono del Movimento e per incrementare il nostro desiderio di essere apostoli e testimoni credibili del Regno di Gesù Cristo".

inizio pagina

Con un Chirografo il Papa erige Fondazione Gravissimum educationis

◊  

Con un Chirografo Papa Francesco, accogliendo una richiesta della Congregazione per l’Educazione Cattolica, erige “in persona giuridica pubblica canonica e in persona giuridica civile la Fondazione Gravissimum educationis, con sede nella Città del Vaticano”. La Fondazione intende perseguire - come dice lo Statuto - “finalità scientifiche e culturali volte a promuovere l’educazione cattolica nel mondo”. La sua costituzione avviene nel 50.mo anniversario della Dichiarazione Gravissimum educationis sull’educazione cristiana, promulgata dal Concilio Vaticano II il 28 ottobre 1965.

La Chiesa - si legge nel Proemio della Dichiarazione conciliare citata dal Chirografo - riconosce che “l’estrema importanza dell’educazione nella vita dell’uomo e la sua incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo” sono profondamente unite all’adempimento “del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di instaurare tutto in Cristo”.

La Fondazione sarà retta dalle leggi canoniche vigenti nella Chiesa e da quelle civili vigenti nella Città del Vaticano nonché dal relativo Statuto.

inizio pagina

Austria, barriera anti-migranti. Tomasi: Europa sia responsabile

◊  

Oltre mille migranti, in rotta verso l’Italia a bordo di gommoni e un peschereccio, sono stati salvati oggi al largo delle coste libiche. Una nave di Medici senza frontiere ha invece sbarcato a Lampedusa oltre 200 persone recuperate ieri. Da gennaio 2015, oltre 700 mila persone sono arrivate in Europa attraverso il Mediterraneo, sono le nuove cifre fornite dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. L’Austria intanto annuncia una nuova barriera. Francesca Sabatinelli

705.200 le persone arrivate in Europa via Mediterraneo, 140 mila in Italia e 560 mila in Grecia, il 64% delle quali provenienti dalla Siria che hanno abbandonato la rotta italiana, ma percorrono quella della Turchia e della Grecia. A riferire dell’incremento di arrivi via Mediterraneo in Europa è stato ieri Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, che ha anche parlato di un precario equilibrio tra i Paesi dell’Ue messo sempre più a dura prova. La situazione è destinata ad aggravarsi, ha aggiunto Tusk, evocando la nuova ondata di rifugiati provenienti da Aleppo e dalle regioni siriane colpite dai bombardamenti russi che, ha sottolineato, hanno provocato oltre centomila sfollati. Dobbiamo fare di più e meglio perché rischiamo di non essere all’altezza, aveva dichiarato sempre ieri il presidente della Commissione europea, Juncker, davanti al parlamento europeo, aprendo alla flessibilità per le spese per la crisi dei migranti, avvertendo però che sarà applicata “Paese per Paese”, purché ci siano “sforzi straordinari”. Di oggi, poi, la precisazione di Strasburgo: le parole di Juncker “erano generali sulle norme fiscali, non su casi individuali”. Il flusso degli arrivi non si arresta in Germania dove, soltanto nella giornata di ieri, sono arrivate 5.500 persone, ottomila il giorno precedente. Berlino ha fatto sapere che gli afghani verranno rimpatriati, non potranno ottenere l’asilo, ha spiegato il ministro dell’Interno, de Maiziere, aggiungendo che, assieme al governo di Kabul, si sta lavorando per farli rientrare per partecipare alla ricostruzione del Paese. Sempre Berlino ha però condannato l’Austria, che ha annunciato la costruzione di una barriera sull’esempio dell’Ungheria, lungo la frontiera con la Slovenia, per rallentare il flusso di migranti.

A Ginevra, intanto, si è svolta una conferenza dedicata alla fenomeno dei “Migranti e le città”, un appuntamento che ha messo a fuoco una problematica estremamente attuale e alla quale ha preso parte mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: 

R. – C’è il rischio che questi nuovi arrivati vengano un po’ reclusi, non per politiche esplicite, ma per un movimento quasi naturale che si è sviluppato in questa maniera, senza programmazione, e si ritrovano in zone più difficili, quasi rioni delle città o delle zone urbane, dove l’influenza del gruppo particolare di migranti in quella zona lentamente prende il sopravvento e, invece di facilitare l’integrazione, crea una barriera a una coesione della vita sociale del Paese in cui questi nuovi immigrati arrivano.

D. – Ricordiamo tutti cosa accadde anni fa in Francia, nelle "banlieues", e gli scontri. Quest’anno, in Italia abbiamo vissuto qualcosa di simile nelle zone periferiche della capitale, ma per persone che sono classificabili tra i profughi. Anche se il tipo di immigrazione è diversa, il meccanismo che genera questi conflitto è lo stesso?

R. – I richiedenti asilo per ragioni politiche, che hanno diritto di essere accolti in base ai trattati che sono stati firmati dai Paesi europei, una volta presenti sul territorio hanno le stesse esigenze degli immigrati per ragioni economiche: cercano un lavoro, una casa, un modo di vivere decentemente. Poi, o perché la lingua unisce o per il background o addirittura per la dimensione religiosa, si arriva a queste concentrazioni di persone. Il risultato è che possono essere o una pedana di lancio per facilitare l’eventuale integrazione futura delle persone che sono arrivate adesso, oppure c’è il rischio che queste zone implodano: la povertà, la mancanza di impiego, la criminalità che rischia di svilupparsi rendono la situazione sociale pericolosa e inaccettabile. Abbiamo bisogno di una politica intelligente che riconosca da una parte l’esigenza umana dei nuovi arrivati di trovarsi insieme, perché si sentono più a loro agio ma, allo stesso tempo, dev’essere una situazione che non si chiuda in queste zone specifiche e limitate delle città, ma abbia strade che portino all’uscita. La via principale è l’educazione, fare imparare la lingua, fare crescere l’accettazione dei valori fondamentali di una democrazia, in modo che la convivenza sia possibile e soprattutto che il futuro dei giovani non sia condizionato, imprigionato, in queste zone, ma che possano avere la possibilità concreta di integrarsi nel resto della società nella quale pensano di potere essere più utili.

D. – Di fronte a queste nuove cifre che sono state date dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati – di oltre 700 mila persone che da gennaio a oggi sono arrivate attraverso il Mediterraneo – l’Europa come si sta comportando?

R. – L’Unione Europea fa fatica a trovare una politica comune per rispondere a questa emergenza di immigrati che vengono dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Dobbiamo prendere in considerazione, prima di tutto, l’obbligo dei Paesi europei che hanno firmato la Convenzione riguardante i rifugiati, di mettere in pratica la loro responsabilità giuridica. C’è una esigenza di comprensione e di compassione, perché queste persone che scappano dal loro Paese lo fanno perché o l’estrema povertà o la violenza li spingono verso Paesi dove sperano di poter trovare un rifugio e uno stile di vita migliore. La responsabilità dei Paesi europei e dei Paesi occidentali in genere è quella di andare alla radice anzitutto delle cause che spingono, che forzano famiglie, minorenni, donne, a cercare altrove la sopravvivenza. In qualche modo, bisogna prendersi la responsabilità delle azioni politiche che sono state fatte, perché se vengono destabilizzati i Paesi come l’Iraq, come la Siria, come la Libia, per ragioni militari e politiche e per interessi economici dei Paesi occidentali, quando poi il disastro arriva, e tocca soprattutto la popolazione civile, bisogna assumersi la responsabilità delle conseguenze delle azioni compiute. Penso che questo aspetto sia importante e credo non venga molto spesso sottolineato, però deve essere affrontato. Le cause che provocano questa crisi di spostamento massiccio di popolazione da una parte all’altra del mondo devono essere affrontate alla radice e bisogna onestamente cercare di risolverle, mettendo fine alla violenza e cercando di essere più equi e solidali nell’affrontare la situazione economica dei Paesi di origine.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Siamo fratelli: all'udienza generale con i rappresentanti di diverse religioni il Papa ricorda il cinquantesimo anniversario della "Nostra aetate".

La pace è un dovere!: anticipazione dell'intervento, alla Gregoriana, del cardinale segretario di Stato sulla dichiarazione conciliare.

Responsabilità di proteggere: l'arcivescovo segretario per i Rapporti con gli Stati su un nodo cruciale di diritto.

Bernini disegnatore in un libro della Biblioteca vaticana.

Marcello Filotei su arte e addetti alle pulizie.

Sguardi cristiani sull'islam: Maurice Borrmans per una comprensione del disegno salvifico di Dio.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Il possibile ruolo dell’Iran ai colloqui sulla Siria

◊  

Il ministro degli Esteri iraniano, Zarif, partecipera' ai colloqui internazionali sul futuro della Siria, previsti per questa settimana a Vienna: lo rende noto l'agenzia semiufficiale Isna.Il servizio di Fausta Speranza:

L’incontro nella capitale austriaca è previsto per domani e dopodomani e vedra' partecipare il Segretario di stato Usa John Kerry, il ministro degli Esteri russo Lavorv, diplomatici di vari Stati arabi ed europei e l’Egitto. Il vertice fa seguito a quello di venerdi' scorso a Vienna tra Usa, Russia, Turchia e Arabia Saudita. Ieri il dipartimento di Stato Usa aveva annunciato di aver invitato anche Teheran. Del possibile ruolo dell’Iran per la risoluzione della crisi siriana, abbiamo parlato con l’analista Pejman Abdolmohammadi, docente alla  John Cabot University: 

R.  – Sicuramente è un invito che tiene conto della realpolitik, del fatto che l’Iran ha molta influenza in Siria e già i pasdaran da diversi mesi sono sul luogo. E anche se la Russia sta attaccando, via aerea, i pasdaran operano in terra. Quindi è molto importante coinvolgere l’Iran anche perché l’Iran ha degli interessi strategici, cioè che Assad al momento non cada e che si riesca a resistere alla espansione dell’Is, che è una cosa molto importante.

D. – Dobbiamo pensare che questo invito è stato possibile anche per l’accordo sul nucleare?

R. – Sicuramente sì, la distensione che si è creata tra Teheran e Washington porta anche a questa apertura che potrebbe contribuire a qualche piccola, breve collaborazione regionale, come già è avvenuto per l’Afghanistan tra l’Iran e gli Stati Uniti. Quindi, io vedo un’apertura di breve periodo, ben definita e impacchettata, non una cosa di lungo periodo.

D.  – La reazione possibile di Israele a questo coinvolgimento?

R.  – La reazione di Israele e dell’Arabia Saudita, che sono i competitor naturali dell’Iran nella regione, di certo sarà una reazione, come alcune precedenti, a mio avviso, negativa. Infatti, questa apertura dell’Obama doctrine nei confronti di Teheran non piace all’amministrazione israeliana, ma tutto questo chiaramente è una questione di breve periodo perché dobbiamo vedere cosa succede a Washington il prossimo anno e dopo Obama tante cose potrebbero cambiare.

L’accordo sul nucleare iraniano, raggiunto a luglio scorso, resta dunque un presupposto importante per altri sviluppi. Quali prospettive si possano immaginare a breve termine, nelle parole di Nicola Pedde, direttore di Institute for Global Studies, (IGS): 

R. – L’Accordo apre, in prima battuta, alle relazioni tra Europa e Iran. Sarà più lento il processo di apertura con gli Stati Uniti, soprattutto in virtù di una serie di problemi che ancora impediscono, sia da un punto di vista legale che da un punto di vista politico, una completa ripresa dei rapporti tra i due Paesi. Soprattutto insistono come problemi i retaggi di quelli che sono ancora, dopo 36 anni, i problemi della percezione reciproca, e il problema di trasferire quest’ultima alle rispettive opinioni pubbliche. Quindi, sostanzialmente, a manifestare all’interno del proprio consesso nazionale l’idea che il grande nemico di un tempo sia in realtà diventato un amico.

D. – Queste difficoltà ci fanno capire come sia stato un successo arrivare a questo Accordo…

R. – È stato sicuramente un grande successo, in prima battuta un grande successo della diplomazia iraniana e di quella americana. Gli europei hanno giocato un ruolo, forse meno significativo di quanto piace dire a noi in Europa, ma indubbiamente la diplomazia ha giocato un enorme ruolo. Adesso questo ruolo deve passare alla politica, e quindi alla costruzione di qualcosa di più solido e soprattutto di lungo periodo.

D. – Quale può essere il ruolo dell’economia? A volte fa da grimaldello….

R. – Sicuramente sarà l’elemento trainante di questo Accordo. Dare speranza e dare vigore alla dimensione economica rinforzerà la dimensione politica dell’Accordo. Lo renderà di fatto irreversibile di fronte a qualsiasi forma di possibile, potenziale ostacolo all’interno di ognuno dei singoli Paesi coinvolti.

D. – E' pensabile aspettarsi a breve degli sviluppi, per esempio, per il commercio del petrolio iraniano?

R. – Credo che l’Accordo debba prima partire nel concreto: entrerà ufficialmente in vigore a dicembre. Poi, credo che, considerando che in Iran ci saranno le elezioni parlamentari a febbraio, dovremo aspettare anche queste ultime prima di poter vedere significativi cambiamenti, soprattutto nell’offerta contrattuale da parte dell’Iran. Si dovrà aspettare prima di vedere più appetibile il mercato iraniano in termini contrattuali, e soprattutto in una fase in cui i prezzi del petrolio sono talmente bassi da non favorire il proliferare degli investimenti. 

Gli analisti concordano sul fatto che l’economia sarà elemento trainante. Dare speranza e dare vigore alla dimensione economica rinforzerà la dimensione politica dell’Accordo. Ma è anche vero che all’orizzonte ci sono variabili da considerare: a inizio 2016 le elezioni in Iran e poi in autunno il voto presidenziale negli Stati Uniti.

inizio pagina

Referendum Congo, cambia Costituzione a favore del presidente

◊  

Il progetto di una nuova Costituzione che permette al presidente del Congo Brazzaville, Denis Sassu Nguesso, di ricandidarsi nel 2016 per la terza volta è stato adottato. E’ quanto dicono i risultati del referendum di domenica scorsa, resi noti oggi: il 92% degli aventi diritto avrebbe detto "sì" al testo. Numeri falsati, secondo alcuni osservatori e secondo l’opposizione. Si conferma comunque la volontà di potere "eterno" da parte dei presidenti africani, come già succede in Uganda, Burundi e Rwanda. Gabriella Ceraso ne ha parlato con fra Roch Ekouerembahe, missionario del Congo: 

R. – Il potere in Africa – nella vecchia Africa – era un potere che andava di padre in figlio. Quindi, è vero che questo atteggiamento è insito nell’agire di tanti presidenti africani. Per adottarne uno nuovo – quello che ci propone la democrazia – ci vuole tempo. In Congo, ciò rappresenta una nuova cultura: è un cammino da fare…

D. – L’opposizione ha chiesto la disobbedienza, quindi il timore più diffuso probabilmente è quello degli scontri come già è accaduto. Finora, si è riusciti a mantenere la calma Cosa le fa pensare questo? Come lo giudica?

R. – Questo testimonia il livello di maturità di questa popolazione, che non vuole più la guerra, non la vuole più. Per me è qualcosa di importante. Bisognerebbe cercare – sia da parte dell’opposizione che da parte della maggioranza presidenziale – di discutere insieme, perché la democrazia non è la guerra: la democrazia ci chiede di scambiare opinioni, discutere, cambiare le idee.

D. – Con questo cambiamento della Costituzione, si è aperta la possibilità al presidente di continuare ancora e ancora il suo ruolo. Però, è anche vero che lui non ha ancora accettato…

R. – È una possibilità. Però, nel testo della Costituzione si dice che per essere eletto come presidente c’è un limite di età e lui questo limite lo ha già superato. Quindi non si sa… Fino adesso, non si è ancora pronunciato.

D. – Secondo lei, che è osservatore esterno, il Paese oggi in che condizione è? Che momento vive?

R. – C’è ancora tanto da fare in ambito scolastico e della sanità. Se il popolo potesse esprimere il suo parere, si potrebbe andare avanti.

inizio pagina

Ucraina. Msf espulsa da zone filorusse: servizi sanitari compromessi

◊  

Il cosiddetto 'Quartetto di Normandia'  - Russia, Francia, Germania e Ucraina - tornerà a discutere del conflitto nel sud-est ucraino in un incontro a Berlino il 6 novembre prossimo. Intanto un soldato di Kiev è stato ucciso vicino all'aeroporto di Donetsk. E' la prima vittima nel Donbass da metà ottobre, dopo che il rinnovato impegno delle parti per il rispetto degli accordi di Minsk. Preoccupa infine espulsione di Medici Senza Frontiere (Mfs) e di altre organizzazioni internazionali, dalle aree controllate dai ribelli filo-russi. Per un commento, Marco Guerra ha sentito il presidente di Msf Italia Loris De Filippi: 

R. – Ci è stato comunicato recentemente che le autoproclamate forze della Repubblica popolare di Donetsk non intendevano continuare a lavorare con noi perché secondo loro c’era una cattiva gestione dei prodotti farmaceutici, degli psicofarmaci. C’erano delle critiche importanti al nostro programma di salute mentale e quindi con questa motivazione ci hanno chiesto da un giorno all’altro di chiudere le attività. Ricordo che questa è una popolazione particolarmente sventurata perché da 18 mesi sta vivendo una situazione drammatica. Noi appunto abbiamo lavorato in tutto questo periodo nella zona su entrambi i lati del fronte – questo va chiarito - ; tutte le attività sono state condotte in modo normale e non abbiamo mai avuto dei problemi particolari.

D. – Cercherete di fare ritorno nelle aree da dove siete stati espulsi? Cosa pensate di fare di fronte a questa situazione?

R. – Tenteremo di negoziare un ritorno e di capire prima di tutto e in modo approfondito su quali basi siamo stati allontanati. Va detto che questa è una popolazione che ha dei bisogni particolarmente importanti. Il sistema sanitario è stato sottoposto a sofferenze inaudite per moltissimi mesi; c’è stato un taglio molto importante del budget relativo ai farmaci, le banche hanno chiuso, le pensioni non sono state pagate. Non sappiamo in che modo servire la popolazione che si appresta a vivere un altro inverno che lì è già iniziato. Ricordiamo che anche alcuni degli ospedali sono stati bombardati. Noi avevamo 62 volontari internazionali e 130 staff locali operativi in Ucraina; in questo momento il fatto di non poter lavorare ci rende particolarmente inquieti.

D. – In vista dei mesi più freddi, quali sono le necessità della popolazione?

R. – Come dicevo i residenti e gli sfollati interni – a volte non ce ne rendiamo conto ma parliamo di un milione di persone  - vivono in condizioni assolutamente precarie, mentre sono  600mila le persone che se ne sono andate dall’Ucraina dirigendosi probabilmente verso la Russia. Come dicevamo prima le strutture sanitarie sono state distrutte, danneggiate, i budget dei vari ospedali ridotti all’osso, … Ci sono moltissimi bambini e molti anziani che si trovano in questa situazione spesso non hanno nemmeno del legno per scaldarsi, per fare un po’ di fuoco all’interno delle case. A questo oggi si aggiunge questa inaudita decisione di metterci fuori che sicuramente non farà bene alla popolazione soprattutto a quelle delle aree nelle quali lavoravamo, perché fino all’altro giorno servivamo circa cento strutture sanitarie dal punto divista dei farmaci, per non parlare dei pazienti affetti da tubercolosi o Hiv che curiamo dal 2012 a Donetsk. In questo momento non siamo in grado di assicurare il rifornimento adeguato.

D. – Qual è la situazione nel territorio controllato dalle milizie pro-russe? Continua la guerra a bassa intensità?

R. – Noi in questo momento non siamo sicuramente nella posizione di poter monitorare l’implementazione della tregua anche perché ovviamente non abbiamo questo tipo di mandato. Le nostre squadre vedono che c’è  stato sicuramente un significante crollo dei combattimenti. Va detto, in maniera molto sincera, che in alcune aree del Paese ci sono ancore delle esplosioni. Quindi è evidente che non è finita e che la situazione di tensione, anche se a bassa intensità, continua. L’impatto sicuramente del conflitto va al di là di questa trattativa, di questa tregua, perché - ovviamente - quelle strutture che erano già in pessime condizioni prima del conflitto, oggi lo sono ancora di più, e non sto parando solo di strutture sanitarie ma di infrastrutture in generale. Per cui malgrado ci siano degli evidenti segni di tregua, la situazione è molto, molto compromessa. Ci vorrebbe un periodo molto più lungo di stabilità per permettere appunto che le infrastrutture vengano rimesse in piedi.

inizio pagina

Consiglio di Stato annulla trascrizione nozze gay all'estero

◊  

Proseguono in Italia le polemiche dopo che il Consiglio di Stato ha stabilito che sono illegittime le trascrizioni di nozze gay celebrate all’estero. I pro-gay accusano il relatore della sentenza perché cattolico vicino ai movimenti anti-gender. C'è chi risponde che la sentenza è frutto della valutazione collegiale delle cinque persone che formano il Consiglio di Stato e che dunque l’attacco personale contro il relatore è un messaggio intimidatorio. Secondo la sentenza, la differenza di sesso tra gli sposi è la prima condizione di validità del matrimonio. La sentenza ha ribaltato la decisione del Tar annullando il registro del Comune di Roma per la trascrizione delle nozze gay celebrate all'estero. Molte e articolate le reazioni politiche. Giampiero Guadagni: 

Le trascrizioni dei matrimoni gay celebrati all'estero, effettuate in alcuni comuni italiani come Roma e Milano, sono illegittime. La sentenza del Consiglio di Stato indica “la diversità di sesso dei nubendi quale prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio, in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell'istituto, oltre che all'ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna”. Questo per quanto riguarda il merito. Sotto il profilo procedurale i prefetti hanno titolo per annullare questi atti. Diverse le reazioni, non solo politiche. Esulta il ministro dell'Interno Alfano, leader del Nuovo centrodestra, che ricorda di avere emanato un anno fa una circolare proprio nel senso indicato ora dal Consiglio di Stato. Critiche invece da sinistra. E il presidente di Gaynet Grillini punta il dito contro il giudice estensore della sentenza, Carlo Deodato, accusato di mancanza di terzietà perché sul suo profilo twitter si definisce giurista cattolico. Replica Dedato: “Ho solo applicato la legge in modo a-ideologico e rigoroso, lasciando fuori le convinzioni personali che non hanno avuto alcuna influenza”.

Dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, Renzi ritiri il ddl Cirinnà che introduce un simil matrimonio tra persone dello stesso sesso”: così il senatore Carlo Giovanardi. Immediata la replica del Pd secondo il quale "non c'è alcuna relazione con le unioni civili". Ma quale il valore della sentenza del Consiglio di Stato? Paolo Ondarza lo ha chiesto al giurista Alberto Gambino: 

R. – E’ un valore importante, perché il Consiglio di Stato – com’è noto – dà una parola definitiva a un contenzioso in sede amministrativa. E quindi - se i Tar sono su base regionale e possono avere anche opinioni diverse e diversificate - quando interviene il Consiglio di Stato è una istanza di giustizia nella quale si dà la voce definitiva della giustizia amministrativa. E in questo caso ha detto che non sono possibili queste trascrizioni, perché contrarie all’ordinamento civile dello Stato Italiano.

D. – Quindi quelle persone cui era stato riconosciuto il matrimonio omosessuale contratto all’estero, con questo pronunciamento del Consiglio di Stato, vedono ora annullata la decisione dei sindaci?

R. – Sì. Quelle trascrizioni che erano state volute da alcuni sindaci, i quali facevano un po’ le veci del Ministero degli Interni, si erano ritenute da più parti illegittime. Da questo punto di vista il Consiglio di Stato lo ha confermato. Direi che non c’è neanche troppo da sorprendersi: sarebbe bastata un po’ di serenità, anche nella fase di commento a queste vicende.

D. – E’ una sentenza impugnabile?

R. – A questo punto non più nel merito, perché – come dicevo – il Consiglio di Stato mette la parola fine. Dovrebbero esserci, viceversa, dei profili di giurisdizione che riguardano la legittimità, ma non mi pare proprio sia questo il caso…

D. – Nessun sindaco può trascrivere nozze tra persone dello stesso sesso celebrate all’estero, perché – dice il Consiglio di Stato – "la differenza di sesso tra i nubendi è una connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio". Ecco questa definizione, in qualche modo, va a pesare anche sul dibattito in merito al tema delle unioni civili?

R. – Va a pesare, se si tenta far passare che già nel nostro ordinamento ci sono delle situazioni che possono essere parificate tra matrimonio e convivenze tra persone dello stesso sesso; poiché, invece, il nostro ordinamento non lo consente, occorre vedere se ci sono altre strade legittime legate ai diritti e ai doveri delle persone che convivono assieme: è molto diverso dal cercare di utilizzare lo strumento matrimoniale per ratificare queste condizioni.

D. – In particolare pensando al ddl Cirinnà, per come è impostato?

R. – Il ddl Cirinnà ha un vulnus importante all’inizio, perché richiama espressamente i contenuti delle norme del Codice Civile sul matrimonio, che – come ha detto, appunto, il Consiglio di Stato – ontologicamente è rivolto soltanto a persone di sesso diverso. E quindi se il ddl Cirinnà fa questo richiamo a questo punto si rivoluziona la concezione del matrimonio, che diventerebbe anche tra persone dello stesso sesso.

inizio pagina

Mons. Zuppi e mons. Lorefice: pastori in ascolto degli ultimi

◊  

Mons. Matteo Zuppi e mons. Corrado Lorefice, sono rispettivamente i nuovi arcivescovi di Bologna e di Palermo. Molte le reazioni di gratitudine alla scelta di Papa Francesco di affidare due diocesi importanti a personalità sensibili agli ambienti più disagiati della società. Il servizio di Adriana Masotti

"Quanto odore di pecore nelle nuove nomine episcopali di Papa Francesco per Palermo e Bologna!”. E' quanto scrive sul suo profilo Facebook padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, riferendosi a mons. Zuppi e a mons. Lorefice. E’ noto l’impegno di mons. Zuppi, finora vescovo ausiliare di Roma, per poveri, immigrati ed emarginati, e quello di mons. Lorefice, parroco di San Pietro Apostolo a Modica, nella diocesi di Noto, in Sicilia, spiritualmente vicino a don Puglisi. Ma sentiamo come ha accolto lo stesso mons. Zuppi la sua nomina ad arcivescovo di Bologna: 

R. – Secondo le vie normali – quindi quella del nunzio – e poi una conversazione con Papa Francesco. Mi ha molto sorpreso ovviamente, e devo dire che l’ho ricevuta parecchio tempo dopo averla letta sui giornali…! Per cui quando l’ho letta, ho pensato ovviamente che fosse qualcosa che non aveva niente a che vedere con la realtà. E poi ho avuto tempo – diciamo così – in queste settimane di maturarla, di comprenderla, di viverla in maniera ancora più interiore e spirituale, spero.

D. – Posso chiederle di dirci qualche cosa di quello che le ha detto Papa Francesco?

R. – Parole sempre di grande incoraggiamento. Mi ha detto della sua volontà che questo cinquantesimo anniversario del Concilio possa rappresentare per tutta la Chiesa un’apertura verso il mondo e in particolare verso quelle periferie che giustamente il Papa indica come la nostra frontiera, il nostro orizzonte.

D. – Dalla Comunità di Sant’Egidio ad arcivescovo di Bologna; “il vescovo degli ultimi”: questo il titolo di un articolo letto su internet. La si definisce spesso anche come un “prete di strada”: sarà stato questo a motivare il Papa a scegliere lei?

R. – Non lo so. Credo che questa definizione – “prete di strada” – sia una definizione anche curiosa per certi versi, perché penso che tutti i preti sono per la strada: vogliono e devono stare per la strada. Forse la mia storia pastorale può essere stato uno dei motivi per questa scelta di Papa Francesco. Per me è stata una grazia ovviamente, per cui avverto tantissimo il limite personale e anche tanto la responsabilità.

D. – La sua attività accanto ai poveri, agli immigrati è anche un impegno per il futuro: sappiamo che la diocesi di Bologna ha accolto la sua nomina con entusiasmo…

R. – Questo non lo so. Ho parlato con il cardinal Caffarra, che è stato di una grande sensibilità ed accoglienza. Certamente comincerò nelle prossime settimane anche ad incontrare qualcuno – incontrerò anche lo stesso cardinale – insomma sono contento comunque che la reazione della Chiesa e della città di Bologna siano positive. Certamente sono gioioso di servire una città, una Chiesa, che hanno una storia, un umanesimo, una spiritualità così profonda. E quindi è davvero un onore e una gioia per me amarla e servirla!

D. – Lei però ha già inviato una lettera alla sua nuova diocesi dove ha scritto, tra l’altro: “Il vostro amore mi cambierà”. Che cosa vuol dire?

R. – Penso che ogni situazione ci rende diversi. Certamente quindi l’incontro, il camminare assieme con questi fratelli e sorelle di Bologna mi aiuterà a essere diverso, a crescere, maturare, comprendere in profondità le domande: questo è il dono della comunione. Siccome credo che la Chiesa sia essenzialmente comunione – il dono del Concilio Vaticano II è proprio quello della comunione – questa realizza ciascuno e lo cambia anche: ci trasforma insieme, come qualunque legame di amore. Per questo sono certo che la vita che inizierò a Bologna mi cambierà.

D. - Una parola chiave mi sembra, dell’atteggiamento che lei vuole avere è quello di guardare il mondo e l’uomo “con simpatia”: questo scrive anche nella lettera…

R. – È la parola chiave, per certi versi, del discorso conclusivo di Paolo VI al Concilio Vaticano II. Credo che sia la scelta di non guardare, non cercare dovunque le rovine e le difficoltà, ma guardare con attenzione, profondità – appunto con simpatia – l’umanità con tutte le domande, a volte anche contraddittorie. Insomma, credo che questa sia un’indicazione ancora oggi tanto importante: la sento tanto per me all’inizio di questo mio servizio e all’inizio dell’Anno della Misericordia.

“La prima cosa che farò è ascoltare e volere bene alla gente". Queste le parole dette da mons. Lorefice alla notizia della scelta di Papa Francesco di nominarlo nuovo arcivescovo del capoluogo siciliano. Sentiamolo al microfono di Antonella Palermo: 

R. – Io penso che sia questo il primo compito di un pastore, sia in una parrocchia sia in una diocesi: la prima cosa che c’è da fare è stare in mezzo alla gente, conoscere, intanto porre il segno della prossimità, della vicinanza e dell’ascolto. E poi, lì, insieme, costruire questa attenzione alla realtà, ai bisogni, alle domande che nascono dalla storia e alla luce del Vangelo trovare quelle che possono essere le risposte che il mondo oggi pone anche alla nostra gente.

D.  – Vorrei chiederle come ha accolto il contenuto della Relazione finale dei vescovi al Sinodo, come lo ha accolto intanto da parroco, da semplice sacerdote… Quali sfide e quali difficoltà in particolare ora la attendono sul fronte della pastorale famigliare in qualità di vescovo?

R.  – Penso che la prima cosa da sottolineare sia proprio il metodo sinodale, il far sì che insieme si converga; questa convocazione, questo essere convocati corrispondono all’identità della Chiesa. Per cui i problemi e i nodi della vita si sciolgono insieme: si è attenti alla vita, alla storia, a quello che gli uomini vivono, sperano... E in questo  senso mi pare che il messaggio che è arrivato intanto sia questo: c’è una Chiesa che si riappropria del cuore del Vangelo, una Chiesa che sa capire che la prima parola non deve essere la norma, la legge, ma non deve smettere di dire un Vangelo che si fa cura, si prende cura anche delle ferite degli uomini e delle donne del nostro tempo. Per cui le sfide sono quelle della storia, della vita. Nelle trame della storia della vita noi riusciamo tra l’altro a cogliere meglio le pagine del Vangelo, il significato del Vangelo. Anzi è la storia come luogo teologico che ci permette di poter comprendere meglio il Vangelo. In questo grande tema della famiglia, e soprattutto così come è stato affrontato nella sinodalità, c’è una Chiesa che coglie realmente i segni dei tempi ed è il popolo di Dio che sente che comunque la misericordia, l’accoglienza, devono essere le parole che devono arrivare oggi attraverso la Chiesa.

D. – Questa sua nomina a vescovo di Palermo subito dopo il Sinodo e, possiamo dirlo, ormai alla vigilia del Giubileo della misericordia: come prepararci a questo evento?

R.  – Io vedo da questo punto di vista provvidenziale il fatto che il Papa si sia riappropriato della parola “gioia” legandola al Vangelo. E nell’Evangelii gaudium risuona anche quell’altra parola di Giovanni XXIII, in quel grande manifesto programmatico del Concilio Vaticano II, che è stata l’allocuzione iniziale “Gaudet mater ecclesia”. E poi riprendo anche la Gaudium et spes. Anche lì penso che risuoni questo tema: cioè, il Vangelo deve arrivare come forza di consolazione, come forza che raggiunge senza schiacciare e proprio questo è ciò che cambia le vite, le esistenze, gli stili di vita. Io penso che la cosa più importante di una presenza oggi della comunità cristiana nel territorio, fra la gente, sia proprio far arrivare questa gioia del Vangelo che è appello, che è chiamata, che è forza di cambiamento negli stili di vita. Per cui è lì che possiamo vincere l’individualismo, che possiamo vincere la cultura dell’illegalità. Penso che il Giubileo, da questo punto di vista e con la chiave di lettura che ci dà il Papa, sia realmente provvidenziale per le nostre Chiese.

inizio pagina

Religions for Peace: “Accogliersi l’un l’altro, senza paura"

◊  

“Accogliersi l’un l’altro, dalla paura alla fiducia” è l’invito attorno al quale si sviluppano i valori affrontati da "Religions for peace" nel Convegno europeo che l’organizzazione internazionale tiene fino al primo novembre nei locali di Castel Gandolfo. Il raduno è l’occasione per fare il punto sulla globalizzazione, l’islamofobia, la xenofobia, l’estremizzazione dell’individualismo vissuto nel timore di perdere la propria identità a favore dell’”altro” giudicato “diverso”. Luigi De Salvia, segretario generale di "Religions for peace", spiega al microfono di Francesca Di Folco come queste tematiche, e in particolare quella relativa all’immigrazione, possano essere occasioni di apertura e dialogo tra religioni diverse e influire sulla vita d’ognuno: 

R. – Tutte queste sono la manifestazione della fragilità che stiamo vivendo come modernità occidentale in particolare. Non dimenticherei che stiamo affrontando la delusione rispetto a tutte le grandi promesse di positivismi, della tecnoscenza, e altre che hanno dato molto ma che hanno tolto un orizzonte importante. Quindi, questo chiudersi, questa paura verso ogni nuova sfida, piccola o grande che sia, accomuna quei vari fenomeni di difficoltà alla disponibilità all’incontro con gli altri, soprattutto rispetto alle situazioni più drammatiche che premono alle nostre porte, come quello dell’immigrazione forzata dovuta a situazioni insostenibili provocate da guerre o da situazioni fortemente ostacolanti per una vita che possa avere quel minimo di vivibilità.

D. – Il Convegno sarà l’occasione per interrogarsi su quale approccio spirituale si possa adottare nelle famiglie presso le comunità, le società, per favorire il confronto fra credenti e non credenti…

R. – Certo, lo scopo è proprio questo, interrogarci a fondo. Quindi, anziché puntarsi il dito verso queste chiusure, su questa difficoltà ad accogliere, invece capire quali sono le fragilità più profonde che vengono da lontano e che sono anche il segno di una mancanza di vita spirituale. Quindi, le comunità religiose insieme possono dare questo contributo, dare un senso alla necessità del recupero dell’umano per sapersi trovare, riconoscere come famiglia umana.

D. – Che ruolo possono e devono avere le religioni a sostegno delle vittime della povertà, delle violenze, dei conflitti, alla luce dei recenti flussi migratori?

R. – Per tutte le religioni, la vita non è banale: è qualcosa di sacro, di misterioso e di importante. Questo riguarda ogni vita, ogni esistenza. Da qui si muove questo impegno, questa disponibilità, questo senso di responsabilità ad accogliere. Questo lo condividono e questo le può spingere a operare insieme, concretamente su tutti questi piani.

D. – Uno dei momenti focali ruoterà intorno ai temi della liberà di espressione, vero asso portante per poter instaurare dialoghi costruttivi ispirati a valori autentici…

R. – Certo, il tema della liberà di coscienza, di pensiero, religiosa è proprio il test di quanto sia rispettata la dignità umana. Quindi, è proprio intorno a questo che ruota la possibilità di incontrarsi, di parlarsi con sincerità, con verità, senza demonizzarci a vicenda e senza il bisogno di dover idealizzare l’altro.

inizio pagina

Card. Arinze: Gesù vuole da tutti noi scelte radicali

◊  

Gesù vuole scelte radicali sia da chi vive una vita laica, sia da chi sceglie quella religiosa e si consacra totalmente a Lui. È questo il centro del libro “Il discepolato radicale” del card. Francis Arinze, prefetto emerito della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti, edito dalla Libreria Editrice Vaticana e presentato ieri presso la nostra emittente. Ce ne parla Roberta Barbi: 

Non c’era modo migliore di celebrare l’Anno della Vita consacrata indetto da Papa Francesco che con un libro che si pone l’obiettivo di riportare l’attenzione sulla bellezza di questa forma particolare di sequela Cristi, quella, cioè, di chi risponde alla chiamata del Signore abbracciando la vita religiosa. Ognuno, però, ha la sua vocazione e a tutti Gesù chiede scelte radicali, come sottolinea il card. Arinze, autore di “Il discepolato radicale”:  

“Anche dalla mia esperienza, ma soprattutto dal Vangelo, è Gesù che chiama e dice: “Seguitemi”. E ci sono molti modi di seguire Gesù: il modo dei vescovi, dei sacerdoti e poi il modo della maggioranza della Chiesa che sono i fedeli laici. La Chiesa siamo tutti noi, i battezzati che formano un corpo in Cristo. Conviene che riflettiamo su questo modo di seguire Gesù, un modo abbastanza radicale, perché Gesù consiglia di vendere tutto quello che uno ha, darlo ai poveri e seguirlo”.

Ai consacrati è riservata la professione dei tre voti di castità, povertà e obbedienza, che sradicano le concupiscenze per rendere l’anima più libera di cercare Dio. Sacrifici volontari come la rinuncia al matrimonio, ai beni e al proprio volere per seguire Gesù in modo totale, come ricorda ancora il porporato:  

“Ascoltare il Vangelo, riflettere, meditare, pregare, elevare il cuore e la mente a Dio, ringraziare, adorare: questo è necessario per tutti noi, ma per chi vuole seguire Gesù più da vicino, con più slancio, ci sono poi i tre voti della vita religiosa”.

Eppure a volte la vocazione iniziale non basta. Anche per i religiosi molte sono le sfide da affrontare e le difficoltà cui far fronte: una scarsa motivazione, l’offuscamento della visione di fede, la perdita della centralità dell’unione con Dio e un eccessivo sbilanciamento verso attività di ministero, a discapito della preghiera e dell’attenzione per la vita fraterna in comunità. Le ricorda mons. José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di Vita consacrata e le Società di vita apostolica:

“Sono queste le cause di fondo, che conducono prima o poi a vivere la propria consacrazione come un peso, fino ad annacquare progressivamente la fedeltà ai voti e a decidere infine di lasciare. Questo elenco di cause potrà aiutare molto ad affrontarle con molto realismo e serietà nella formazione”.

Se il calo delle vocazioni e gli abbandoni sono una realtà, in Occidente, ci sono però luoghi dove le chiamate aumentano e ci sono molti religiosi giovani. É il caso dell’Africa, una delle periferie di cui spesso parla Papa Francesco, tanto cara al card. Arinze che ci spiega anche cosa possiamo fare per far fiorire le vocazioni:

“Pregare certamente, cominciare dalla famiglia: i genitori educhino i figli ad apprezzare cosa è la religione. La religione è soprattutto attenzione a Dio, questo è necessario per tutti noi, poi, se uno vuole continuare su quella strada in modo più impegnativo, può arrivare a farsi consacrato”.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Centrafrica. Mons. Nzapalainga: non sono stato sequestrato

◊  

“Si è trattato di un incidente verbale. Siamo stati solo minacciati verbalmente, ma non è vero, come riportato da alcuni organi di informazione, che siamo stati sequestrati” dice all’Agenzia Fides mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana. Lunedì scorso mons. Nzapalainga, insieme ad una delegazione vaticana, si era recato alla Moschea centrale nei pressi del Km5, per un sopralluogo in preparazione alla visita che Papa Francesco effettuerà nel Paese il 29 e 30 novembre. Durante la visita alcune persone hanno minacciato la delegazione guidata dall’arcivescovo.

L'episodio condannato da imam e musulmani presenti
“Solo un gruppo di giovani ha proferito alcune minacce nei nostri confronti - riferisce a Fides mons. Nzapalainga - l’Imam e il resto dei presenti hanno condannato l’episodio, scusandosi per quanto accaduto. Ho fatto una dichiarazione nella quale ho affermato che coloro che ci hanno minacciato sono miei figli e che come padre li devo perdonare”.

Diversi musulmani hanno espresso vicinanza all'arcivescovo
“Purtroppo questo episodio è stato ingigantito e sono state scritte diverse cose non corrette” rimarca l’arcivescovo. “Comunque diverse persone di fede musulmana mi hanno telefonato per esprimermi vicinanza, sottolineando che tutti attendono la visita del Santo Padre” conclude mons. Nzapalainga. (L.M.)

inizio pagina

Iraq, parlamento: no a legge su affiliazione religiosa dei minori

◊  

Il parlamento iracheno ha respinto la proposta – avanzata dai rappresentanti cristiani, ma sostenuta da parlamentari appartenenti a schieramenti diversi – di modificare la legge secondo la quale un minore viene automaticamente registrato come musulmano, nel caso in cui anche solo uno dei due genitori, si converta all’islam. La proposta, messa ai voti ieri - riferisce l'agenzia Fides - chiedeva di aggiungere al paragrafo della legge riguardante i minori una frase, per stabilire che i minori rimangono nella religione originaria di appartenenza fino ai diciotto anni, per poi scegliere la religione a cui appartenere in piena libertà di coscienza, e non per un automatismo innescato dalla conversione all'islam di un proprio genitore. La richiesta ha trovato l'appoggio di 51 deputati, ma a votare in senso contrario sono stati 137 parlamentari.

Il patriarca Sako aveva chiesto al Parlamento di cambiare la legge
​A settembre, il patriarca della Chiesa caldea, Louis Raphael Sako, aveva inviato una lettera al Parlamento iracheno con la richiesta di cambiare la legge, sottolineando la sua incompatibilità con l’articolo 37/2 della Costituzione irachena, che garantisce “la protezione dell’individuo da ogni forma di coercizione intellettuale, politica e religiosa”. “I cristiani - aveva scritto il patriarca caldeo in quella lettera, ripresa dalla Fides - rispettano la libertà di cambiare la propria religione a patto che ciò non sia il risultato di una forzatura”. (G.V.)

inizio pagina

Costa d'Avorio: presidente Ouattara rieletto al primo turno

◊  


Il Presidente uscente Alassane Ouattara è stato rieletto al primo turno per un nuovo mandato di cinque anni alla guida del Paese: ad annunciarlo è la commissione elettorale indipendente (Cei) secondo cui il Capo di stato ha raccolto l’83,66% delle preferenze, pari a più di due milioni di voti.

Percentuali basse di voti per gli avversari politici
L’affluenza ai seggi – ha dichiarato inoltre il presidente della Cei, Youssuf Bakayoko - si è attestata al 54,63%. Secondo, in ordine di preferenze raccolte, lo sfidante di opposizione Pascal Affi Nguessan, candidato del Fronte popolare ivoriano (Fpi) , fondato dall’ex Presidente Laurent Gbagbo, che ha ottenuto il 9,29% dei suffragi. Una parte del Fpi e tre candidati ritiratisi dalla competizione avevano definito il processo elettorale una “carnevalata” e  invitato gli elettori al boicottaggio in nome della fedeltà all’ex Presidente, in attesa di giudizio alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità.

La vittoria di Ouattara grazie al positivo bilancio economico del Paese
L’appuntamento con le urne - riferisce l'agenzia Misna - era considerato un passo cruciale per il Paese africano che all’indomani delle ultime elezioni, nel 2010, era divenuto teatro di un conflitto civile tra i sostenitori di Ouattara, dichiarato vincitore, e quelli di Gbagbo. Le violenze, epilogo sanguinoso di un decennio di crisi politico-militare, avevano causato circa 3.000 morti. L’attuale Presidente era dato per favorito alle consultazioni di domenica: dalla sua ha potuto esibire un bilancio economico positivo e una ripresa delle esportazioni, fondamentali per il primo produttore di cacao al mondo. I suoi critici tuttavia lo accusano di non aver saputo riconciliare il Paese e di non aver ridotto la povertà. (A.d.L.)

inizio pagina

Cile-Bolivia-Perù: concluso incontro di pastorale della mobilità

◊  

"Le persone in mobilità, migranti e rifugiati, che circolano nelle zone di confine, spesso devono affrontare situazioni che possono costituire una minaccia per i loro diritti. L'arbitrarietà, la discrezione e l'abuso possono esporre i migranti e rifugiati ai rischi dell'immigrazione irregolare, delle reti di tratta e della violenza sessuale e di lavoro. Nel caso dei rifugiati, queste situazioni possono anche limitare la possibilità di esercitare il diritto umano di asilo e di accesso alle procedure per la determinazione dello status di rifugiato". Così si legge nel documento conclusivo, ripreso dall'agenzia Fides, del V Incontro dei vescovi e degli Operatori di pastorale della mobilità umana di Bolivia, Cile e Perù svoltosi ad Antofagasta, in Cile pochi giorni fa.

Scambio di esperienze per la difesa di migranti e rifugiati
Hanno partecipato i rappresentanti delle seguenti diocesi: per la Bolivia: Oruro, Coro Coro, Potosí e El Alto; per il Cile: Arica, Iquique, Calama, Copiapó e Antofagasta; per il Perú: Tacna e Moquegua. Questo V Incontro ha proseguito l'iniziativa nata dieci anni fa (2005 - 2015), come realizzazione del progetto "Solidarietà e confini sicuri", allo scopo di rafforzare lo scambio di esperienze tra le diocesi di accoglienza, la promozione e la difesa dei diritti dei migranti, dei rifugiati e delle vittime della tratta.

Migranti partono per le violenze subite nei propri Paesi
Una informazione nuova scaturita da questo V Incontro segnala l'aumento delle persone che attraversano le frontiere di Bolivia, Cile e Perù come “movimento migratorio misto”, vale a dire con persone al di fuori di questi 3 Paesi, soprattutto originarie della Colombia. Si osserva anche la presenza di persone della Repubblica Dominicana, di Venezuela, Haiti e di altri paesi del Medio Oriente, come la Siria, e di altri paesi dell’Africa. Molte di queste persone assistite dalla Pastorale per i migranti alla frontiera, riferiscono di aver abbandonato i loro Paesi per i rischi legati a situazioni di violenza subita.

L'impegno a costruire una cultura della fiducia
​Il Messaggio finale di questo V Incontro ribadisce "l'impegno a costruire una cultura della fiducia, dove una volta demoliti i confini geografici, culturali e politici, la legittima presenza dei fratelli migranti permetterà di valorizzare e riconoscere i contributi al Paese di destinazione e ciò che arricchisce". (C.E.)

inizio pagina

Indonesia. Violenze e demolizione chiese: cresce l’intolleranza ad Aceh

◊  

La demolizione di tre piccoli edifici di culto cristiani (due protestati, uno cattolico) nella provincia indonesiana di Aceh, sull’isola di Sumatra, e la fuga di circa 8.000 fedeli, in seguito alla violenze dei radicali islamici, causano "profonda preoccupazione per la sicurezza di migliaia di cristiani che rimangono in pericolo": lo scrive il rev. Olav Fykse Tveit, leader del Consiglio Mondiale delle Chiese, esprimendo solidarietà e vicinanza ai credenti indonesiani e invocando pace e libertà religiosa. I cristiani sono stati messi in fuga nel distretto di Aceh Singkil, in seguito alla distruzione di piccole chiese, sulla scia di proteste violente contro le pratiche cristiane e contro la presenza cristiana nei villaggi del distretto. La demolizione era autorizzata dai funzionari locali perchè gli edifici sono stati costruiti "senza regolare licenza".

Consiglio delle Chiese chiede al governo di agire rapidamente
Come riferisce l'agenzia Fides, il rev. Olav Fykse Tveit condanna "i recenti attacchi alle chiese e ai cristiani nella provincia di Aceh, mentre si sforzano di essere fedeli testimoni del Vangelo di Gesù Cristo. Il Consiglio Mondiale delle Chiese, deplorando la violenza contro persone e comunità sulla base della loro identità religiosa, invita il governo indonesiano ad agire rapidamente per portare i responsabili davanti alla giustizia".

Consiglio degli Ulema denuncia l'attacco ed invita alla pacificazione
Il Presidente indonesiano Joko Widodo ha ordinato alla polizia nazionale di prendere provvedimenti immediati per fermare la violenza e promuovere la pace. Il Consiglio indonesiano degli Ulema (Mui) ha denunciato l'attacco e invitato i musulmani di Aceh a non partecipare a qualsiasi attività che potrebbe fomentare un conflitto di maggiore entità tra la comunità islamica e cristiana nella regione.

Preoccupazione dei cristiani per clima di intolleranza
​Ad Aceh vige la sharia (legge islamica) e, per fare attività di culto, le chiese devono essere autorizzate e registrate. Per ottenere una licenza di costruzione occorrono almeno 90 firme di fedeli residenti sul posto. Secondo fonti di Fides, le autorità faranno demolire circa dieci aule di culto, aperte senza permesso. Proprio nei giorni scorsi, il 23 ottobre, nella provincia è entrato in vigore il nuovo Codice penale, basato sulla sharia, che prevede punizioni severe come la fustigazione, per una serie di pratiche considerate “reati”, come relazioni omosessuali, consumo di alcol, gioco d'azzardo, adulterio, molestie sessuali e stupro. I provvedimenti si applicano solo ai musulmani e non alle minoranze religiose, ma i cristiani locali sono comunque preoccupati per il crescente clima di intolleranza. (P.A.)

inizio pagina

Filippine. Card. Tagle: l'impegno della Chiesa per i poveri

◊  

L’impegno della Chiesa filippina per i poveri non finisce con la chiusura dell’Anno dei Poveri. Lo ricorda il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente della Caritas Internationalis, in una lettera ai sacerdoti e ai fedeli in cui li invita a partecipare, il 7 novembre, alle celebrazioni conclusive promosse dall’arcidiocesi per questo anno speciale indetto per il 2015 dalla Conferenza episcopale filippina (Cbcp). 

L’impegno per i poveri una missione a vita
“L’evento sarà un’occasione per rinnovare questo impegno ad essere una Chiesa per i poveri, che è una missione a vita”, sottolinea il card. Tagle nella missiva, ricordando, con le parole di Papa Francesco, che “la povertà è la carne di Gesù povero, in quel bambino che ha fame, in quello che è ammalato, in quelle strutture sociali che sono ingiuste”.

I poveri hanno bisogno innanzitutto di rispetto
L’Anno dei Poveri - ha spiegato all’agenzia dei vescovi Cbcpnews padre Luke Moortgart, Cicm, responsabile del Comitato organizzativo per l’arcidiocesi di Manila - è un’occasione per sfidare alcuni luoghi comuni sugli emarginati della società, che, come ci insegna Gesù, prima ancora che di cibo e di un tetto, hanno bisogno di rispetto. Esso vuole quindi essere uno stimolo a focalizzare l’attenzione su quel 25% della popolazione filippina che è in fondo alla scala sociale, offrendo nuove opportunità di educazione, lavoro e di impresa.  Questo impegno – ha reiterato, da parte sua, padre Enrico F. Adoviso, responsabile della Commissione diocesana per i servizi sociali e lo sviluppo  - interpella in modo particolare i cattolici, chiamati a mettersi dalla parte dei poveri e degli oppressi, siano essi contadini, pescatori, operai, disabili, prigionieri, indigeni o vittime di calamità naturali, soprattutto quando c’è ingiustizia e vengono negati i diritti umani fondamentali.

L’Anno dei poveri  nell’ambito dei “9 anni per la Nuova Evangelizzazione”
L’Anno dei poveri è stato indetto dai vescovi filippini alla fine del 2014 con lo slogan “Bumangon at Manindigan” (“Alzati e stai in piedi)” nell’ambito dei “Nove anni per la Nuova Evangelizzazione”, l’iniziativa lanciata nel 2013 in vista del quinto centenario dell’evangelizzazione del Paese nel 2021. Dopo avere affrontato il tema della formazione integrale alla fede e del ruolo dei laici e quello della povertà, nel 2016, in coincidenza del 51.mo Congresso eucaristico internazionale, che avrà luogo a Cebu dal 25 al 31 gennaio,  la Conferenza episcopale rifletterà sul legame tra Eucaristia e famiglia. (A cura di Lisa Zengarini)

inizio pagina

Camerun: progetto interreligioso per aiutare i giovani

◊  

Con l’obiettivo di combattere il reclutamento dei giovani nei gruppi armati nell’estremo nord del Camerun, la diocesi di Maroua-Mokolo, in collaborazione con l’Associazione camerunese per il dialogo interreligioso (Acadir), ha dato vita ad un progetto di formazione in agricoltura e allevamento. Giovani cristiani e musulmani – circa un centinaio – hanno seguito insieme un corso dal 18 settembre al 4 ottobre.

Un’iniziativa interreligiosa per incoraggiare il lavoro autonomo e la coesione sociale
Per il segretario generale dell’Acadir, Abdourahman Saidou, l’iniziativa interreligiosa, riferisce Cameroun Tribune, si iscrive in una logica di accompagnamento alle azioni del governo volte alla lotta contro la povertà nel nord del Paese. “Oltre alla formazione – ha detto Abdourahman Saidou – abbiamo offerto a questi giovani doni della natura perché possano applicare le tecniche acquisite e per lanciarli nel mondo del lavoro. Siamo sicuri che da qui a qualche mese ci saranno dei frutti”. Pensato fondamentalmente per scoraggiare i giovani attratti dalle armi, il progetto vuole incoraggiare il lavoro autonomo e far accrescere l’interazione sociale e la coesione tra i giovani credenti attraverso la collaborazione e la condivisione di attività socio-economiche comuni. (A cura di Tiziana Campisi)

inizio pagina

Vescovi Canada: Lettera sull’accoglienza dei rifugiati

◊  

“Ero uno straniero e mi avete accolto”: si intitola così, con un versetto del Vangelo di Matteo, la Lettera pastorale che la Conferenza episcopale del Canada ha diffuso in relazione alla questione dei migranti. Una missiva che richiama i fedeli all’accoglienza ed all’azione concreta, per portare aiuto ai tanti rifugiati che arrivano nel Paese. “Non si tratta di discutere, ma di passare urgentemente all’azione – scrivono i presuli canadesi – I rifugiati vengono trattati spesso come un semplice problema, mentre in realtà sono nostri fratelli e sorelle che hanno bisogno del nostro aiuto”.

Allarme per numero crescente di rifugiati cristiani
Ribadendo, quindi, “il carattere involontario ed obbligatorio” della fuga dei migranti dai loro Paesi, “in cerca di sopravvivenza e di condizioni di vita migliori che rispettino la loro dignità e la loro libertà”, la Chiesa di Ottawa invita a dare risposte “di carità fondate sulla giustizia”. Non solo: negli ultimi tempi, è cresciuto tragicamente “il numero di rifugiati cristiani”, provenienti soprattutto da Siria ed Iraq. Si tratta di una situazione di fronte alla quale “non ci si può semplicemente rassegnare – scrivono i vescovi canadesi – ma alla quale bisogna opporsi”, perché “minaccia la vita e la dignità della persona umana”. “Non accettiamo né l’intolleranza, né le barbarie – ribadiscono i presuli – ed affermiamo con forza che siamo tutti fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre”, membri della “stessa famiglia”, ed è per questo che “bisogna essere solidali con i rifugiati ed offrire loro aiuto”.

Lo straniero è il nostro prossimo
Guardando, poi, alle Sacre Scritture, i vescovi di Ottawa ricordano che “Dio non esclude nessuno, abbatte le frontiere etniche, sociali e culturali che dividono”; insegna che “lo straniero è il nostro prossimo” e che “ci invita ad accogliere i deboli, i diseredati, i più piccoli, i più vulnerabili”. Inoltre, in riferimento all’aspetto legislativo, i presuli affermano che “le leggi che proteggono i rifugiati sono quelle che fanno appello ai principi di carità, giustizia e solidarietà”, in base alle quali “i Paesi ospiti si assumono la responsabilità di andare in aiuto dei migranti senza pensare al loro tornaconto”.

Appello alle istituzioni per una migliore accoglienza dei profughi
Nello specifico del Canada, i presuli esortano le autorità statali a “dare maggiore priorità alla riunificazione familiare; rendere il diritto di asilo più accessibile; migliorare le procedure d’appello in caso di primo rifiuto; trovare formule alternative alla detenzione, soprattutto per donne e bambini; facilitare l’accesso ad una vasta gamma di cure sanitarie”. Il tutto pur con la consapevolezza che “nessun servizio statale può offrire l’incoraggiamento e l’amore di una comunità accogliente”. La Chiesa di Ottawa esorta anche ad eliminare “le ingiustizie” contro i rifugiati, chiedendo la loro “piena integrazione in seno alla società”. Allo stesso tempo, si esprime solidarietà per coloro che vivono ne campi profughi, auspicando “soluzioni pacifiche per i conflitti” nei loro Paesi d’origine, affinché “coloro che lo desiderano possano tornare” a casa.

Ogni cattolico faccia la sua parte
Quanto all’impegno della Chiesa, i vescovi si appellano a “l’esercizio di una compassione attiva fondata sulla giustizia”, perché “accogliere chi è segnato da precarietà, povertà ed insicurezza non è solo un dovere morale, ma è anche un gesto essenziale alla vita ecclesiale”. “Come vescovi – prosegue la lettera pastorale – speriamo che la voce dei cattolici si faccia sentire sempre più chiaramente perché bisogna supportare i più vulnerabili”, “assumendosi le proprie responsabilità e facendo la propria parte”.

Occorrono gesti concreti nei confronti dei più deboli
Di qui, l’indicazione che i presuli fanno di alcuni “gesti concreti” suggeriti ai fedeli per aiutare i rifugiati: fare una petizione affinché il governo federale accolga i migranti nel Paese, modificando la normativa attuale; offrire sostegno morale e spirituale a chi vive nei campi profughi; aiutare gli organismi cattolici che operano nel settore; far conoscere, attraverso un’apposita Pastorale dei migranti e dei rifugiati, le reali condizioni in cui vivono tali persone; formare in modo permanente pastori ed agenti pastorali che si occupano di migrazione.

Attualmente, oltre 59 milioni di sfollati nel mondo
L’ultimo suggerimento offerto dai presuli canadesi è quello di “chiedere, con la preghiera, la grazia di potere fare gesti di accoglienza nei confronti dei rifugiati all’insegna dell’amore”. Infine, qualche dato: secondo il Rapporto 2014 dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, attualmente sono 59,5 i milioni di persone sfollate, nel mondo, a causa di guerre, conflitti e persecuzioni. Un dato drammatico, superiore a quello relativo alla seconda Guerra mondiale.  (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 301

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.