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Sommario del 26/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa al popolo gitano: mai più tragedie per i vostri bimbi

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Mai più tragedie di bambini che “muoiono di freddo o tra le fiamme”, ma anche mai più “falsità, truffe, imbrogli, liti”: è arrivato il tempo di costruire società e periferie “più umane”. Queste in sintesi le parole del Papa ai partecipanti al pellegrinaggio mondiale del popolo gitano. L’evento è stato promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, guidato dal cardinale Antonio Maria Vegliò, in collaborazione con la Fondazione “Migrantes” della Cei, la diocesi di Roma e la Comunità di Sant’Egidio. Il servizio di Giada Aquilino

Per il popolo gitano inizi “una nuova storia”: “che si volti pagina”. È l’esortazione di Papa Francesco ai circa 7 mila presenti in Aula Paolo VI con i loro ritmi, le loro danze, i loro canti, in poche parole: il loro calore. Una realtà, quella dei gitani, che il Pontefice racconta di conoscere bene: parla di “difficoltà”, toccate con mano anche nelle parrocchie visitate alla periferia di Roma, di “problemi” e “inquietudini” che - sottolinea - “interpellano non soltanto la Chiesa, ma anche le autorità locali”. Denuncia “condizioni precarie”, “trascuratezza” e “mancanza di lavoro”:

“Non vogliamo più assistere a tragedie familiari in cui i bambini muoiono di freddo o tra le fiamme, o diventano oggetti in mano a persone depravate, i giovani e le donne sono coinvolti nel traffico della droga o di esseri umani. E questo perché spesso cadiamo nell’indifferenza e nell’incapacità di accettare costumi e modi di vita diversi da noi”.

Si tratta di situazioni che contrastano “col diritto di ogni persona” ad una vita e a un lavoro dignitosi, all’istruzione e all’assistenza sanitaria, perché - rammenta - “ogni essere umano possa godere dei diritti fondamentali” e, al contempo, debba “rispondere ai propri doveri”:

“Cari amici, non date ai mezzi di comunicazione e all’opinione pubblica occasioni per parlare male di voi. Voi stessi siete i protagonisti del vostro presente e del vostro futuro. Come tutti i cittadini, potete contribuire al benessere e al progresso della società rispettandone le leggi, adempiendo ai vostri doveri e integrandovi anche attraverso l’emancipazione delle nuove generazioni”.

È sui giovani che il Papa invita a puntare. “Sono il futuro del vostro popolo” e “della società in cui vivono”, sottolinea:

“I bambini sono il vostro tesoro più prezioso. La vostra cultura oggi è in fase di mutazione, lo sviluppo tecnologico rende i vostri ragazzi sempre più consapevoli delle proprie potenzialità e della loro dignità, e loro stessi sentono la necessità di lavorare per la promozione umana personale e del vostro popolo. Questo esige che sia loro assicurata un’adeguata scolarizzazione. E questo dovete anche chiederlo: è un diritto”.

L’istruzione, evidenzia, è “sicuramente” la base per un sano sviluppo della persona ed “è noto - osserva - che lo scarso livello di scolarizzazione” di molti giovani gitani rappresenta oggi “il principale ostacolo” per l’accesso al mondo del lavoro.

“I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola, non impediteglielo! I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola! È importante che la spinta verso una maggiore istruzione parta dalla famiglia, parta dai genitori, parta dai nonni; è compito degli adulti assicurarsi che i ragazzi frequentino la scuola. L’accesso all’istruzione permette ai vostri giovani di diventare cittadini attivi, di partecipare alla vita politica, sociale ed economica nei rispettivi Paesi”.

Il Papa assicura che “è possibile costruire una convivenza pacifica”, in cui diverse culture e tradizioni custodiscono i rispettivi valori “in atteggiamento non di chiusura e contrapposizione, ma di dialogo e integrazione”. Un compito particolare è affidato alle istituzioni civili, a cui è chiesto – sottolinea il Papa – “l’impegno di garantire adeguati percorsi formativi per i giovani gitani, dando la possibilità anche alle famiglie che vivono in condizioni più disagiate di beneficiare di un adeguato inserimento scolastico e lavorativo”:

“Il processo di integrazione pone alla società la sfida di conoscere la cultura, la storia e i valori delle popolazioni gitane. La vostra cultura e i vostri valori: che siano conosciuti da tutti!”.

D’altra parte, aggiunge, è arrivato il tempo “di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze” che spesso sono alla base “della discriminazione, del razzismo e della xenofobia”: nessuno deve sentirsi “isolato” né “autorizzato a calpestare la dignità e i diritti degli altri”. Lo spirito della misericordia, afferma Francesco, ci chiama “a batterci perché siano garantiti” tali valori. Il suo auspicio è che il Vangelo della misericordia “scuota” le coscienze di tutti, aprendo “i nostri cuori e le nostre mani ai più bisognosi e ai più emarginati”, partendo da chi ci sta “più vicino”.

“Esorto voi per primi, nelle città di oggi in cui si respira tanto individualismo, ad impegnarvi a costruire periferie più umane, legami di fraternità e condivisione; avete questa responsabilità, è anche compito vostro. E potete farlo se siete anzitutto buoni cristiani, evitando tutto ciò che non è degno di questo nome: falsità, truffe, imbrogli, liti”.

Ripropone “come modello di vita e di religiosità” il beato Zeffirino Giménez Malla, figlio del popolo gitano, che – ricorda – “si distinse per le sue virtù, per umiltà e onestà” e per la “grande devozione” alla Madonna. Francesco abbraccia poi una giovane, Maria, che chiede al Papa di battezzare sé e i tre figli. Quindi constata il numero “sempre in aumento di vocazioni sacerdotali, diaconali e di vita consacrata”, segno forte di “fede e crescita spirituale” delle etnie gitane. Ne è un esempio, dice il Pontefice, il vescovo Devprasad Ganava, presente in Aula Paolo VI perché “figlio” di quella gente. Proprio ai consacrati, i gitani “guardano con fiducia e con speranza”, per il ruolo che essi ricoprono e per ciò che possono fare “nel processo di riconciliazione all’interno della società e della Chiesa”:

“Voi siete un tramite tra due culture e, per questo, vi si chiede di essere sempre testimoni di trasparenza evangelica per favorire la nascita, la crescita e la cura di nuove vocazioni. Sappiate essere accompagnatori non solo nel cammino spirituale, ma anche nell’ordinarietà della vita quotidiana con tutte le sue fatiche, gioie e preoccupazioni”.

Una missione, mette in luce il Pontefice, ben compresa dal beato Paolo VI, che cinquant’anni fa volle incontrare il popolo nomade nell’accampamento di Pomezia. Sottolineando la stima, l’apprezzamento e l’impegno di assistenza nei loro confronti, Papa Montini – ricorda Francesco, citando l’incoraggiamento venuto negli anni pure da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – “spronò la Chiesa all’impegno pastorale” con il popolo gitano, incoraggiando al contempo quella stessa gente “ad avere fiducia in essa”. E da quel giorno, conclude il Papa che all’udienza ha voluto incoronare di nuovo la Madonna degli Zingari come fece nel 1965 Paolo VI, “siamo stati testimoni di grandi cambiamenti” nell’evangelizzazione e nella promozione umana, sociale e culturale” delle comunità gitane.

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L'incontro con Papa Francesco ci ha donato forza e speranza

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E grande la gioia dei migliaia rom arrivati da tutto il mondo per poter partecipare al pellegrinaggio mondiale del popolo gitano ed incontrare da vicino papa Francesco. Ascoltiamo le loro emozioni raccolte da Marina Tomarro

R. – La cosa che mi ha colpito è che ci tratta come esseri umani. Noi Rom che viviamo in Italia o in altre parti del mondo siamo i più emarginati, senza una patria, senza una città che ci possa accogliere in maniera giusta, equa e precisa.

D. – Che cosa potete dare voi alla società?

R. – Possiamo dare, soprattutto dare, un futuro migliore prima di tutto ai nostri figli, che cambino nella società anche questo nostro sistema di vivere. Perché, per la verità, anche noi viviamo in un modo abbastanza chiuso. Aprirci un po’ di più e dare modo alla società di riaprire un dialogo migliore…

R. – Ci dà la forza di unirci tutti insieme, di pregare, ascoltare, e ci fa sentire tutti uguali: non ci fa sentire diversi! Questa è la cosa più importante. Qui sentiamo una dignità, perché ci sentiamo accanto a tutti e invece fuori non ci guardano tutti nello stesso modo.

R. – È un momento molto costruttivo, perché questa è la risposta positiva: il Papa ci ha dato la possibilità, oltre che di essere riconosciuti come siamo riconosciuti in tutto il mondo, anche di poter essere persone come siamo. Cioè esseri umani come tutti gli altri, che rispettiamo tutti gli altri.

D. – Il Papa vi ha invitato a un nuovo inizio: allora in che modo rispondere a questa sua esortazione?

R. – Il nostro nuovo inizio è il futuro dei bambini, dei nostri ragazzi, che sono il futuro del nostro popolo, che è presente in tutto il mondo. Là dove viviamo possiamo cambiare.

D. – Di cosa avreste bisogno adesso?

R. – La priorità sarebbe la scolarizzazione dei bambini: dare loro una possibilità di arrivare all’università.

R. – Ci ha fatto un grande regalo questo Papa che ci ha voluto incontrare tutti. Per noi, il Papa è il rifugio, perché noi siamo cattolici, preghiamo come tutti. Però la società deve darci fiducia: siamo tutti fratelli, siamo tutti uguali! Però qui, queste società non ci trattano così, ci trattano come degli emarginati

D. – Cosa ti ha colpito delle parole che vi ha detto oggi?

R. – Molte cose, soprattutto quando ha parlato nella nostra lingua e ha detto due o tre paroline.

D. – Tu sei giovane… Di cosa avete, o di cosa avreste, più bisogno?

R. – Di un lavoro: noi dobbiamo integrarci con voi e anche voi dovete integrarvi con noi, perché sarebbe una cosa bellissima! Io mi sono sposata con un italiano e mi sento molto bene.

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Papa: pace per Iraq e Siria, i cristiani non siano costretti a fuggire

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“Prego affinché i cristiani non siano costretti ad abbandonare l’Iraq e il Medio Oriente”. È uno dei passaggi più importanti del discorso che il Papa ha rivolto ai partecipanti al Sinodo caldeo, ricevuti in udienza in Vaticano. Francesco ha chiesto ancora una volta alla comunità internazionale di attuare tutte le “strategia valide” per riportare la pace nell’area. Il servizio di Alessandro De Carolis

Pietre ultramillenarie sbriciolate dai bulldozer, che macinano sotto i cingoli la storia cristiana e prima ancora quella ebraica. O colpi di mortaio che sventrano chiese e cuori, preda di paure e di voglia di fuga.

Vitale presenza cristiana
Iraq e Siria hanno conosciuto tutto questo da troppi anni e nel momento in cui Papa Francesco si trova seduto accanto ai vescovi della Chiesa Caldea diventa per lui impellente manifestare solidarietà verso gli abitanti di terre in cui, riconosce, la situazione “è gravemente compromessa dall’odio fanatico del terrorismo che continua a provocare una forte emorragia di fedeli”:

“Questo stato di cose sta certamente minando alle fondamenta la vitale presenza cristiana in quella terra che ha visto iniziare il cammino del patriarca Abramo, risuonare la voce dei Profeti che richiamavano alla speranza Israele durante l’esilio, fondare le prime Chiese sul sangue di tanti martiri, testimoniare la pienezza del Vangelo, far crescere le società con il proprio contributo, durante secoli di pacifica convivenza con i nostri fratelli seguaci dell’Islam”.

La Santa Sede vi è vicina
I nostri tempi sono invece segnati purtroppo, osserva il Papa, “da innumerevoli esempi di persecuzione, anche fino al martirio”, uno stato di cose che fa soffrire la Chiesa Caldea alla quale sono ben presenti anche “i bisogni dei fedeli nella diaspora”, che “sentono – dice Francesco – il desiderio di restare saldi nelle proprie radici e di inserirsi nei nuovi contesti”:

“Pertanto confermo, oggi più che mai, tutto il sostegno e la solidarietà della Sede Apostolica a favore del bene comune dell’intera Chiesa Caldea. Prego affinché i cristiani non siano costretti ad abbandonare l’Iraq e il Medio Oriente – penso in particolare ai figli e alle figlie della vostra Chiesa, con la loro ricca tradizione”.

“Stategie valide” per la pace
Il Papa chiede al clero caldeo di condividere un cammino di unità durante il Sinodo – spostato a Roma proprio per problemi a celebrarlo ad Ankawa, nel Kurdistan iracheno, oggi ricovero di migliaia di profughi cristiani. Favorite “il dialogo e la collaborazione tra tutti gli attori della vita pubblica”, è la raccomandazione di Francesco, e contribuite “a risanare le divisioni", impedendo che ne insorgano altre”:

“La vostra visita mi permette di rinnovare un accorato appello alla comunità internazionale, affinché sappia adottare tutte le strategie valide al fine di promuovere il raggiungimento della pace in Paesi terribilmente devastati dall’odio (…), affinché i luttuosi drammi inferti dalla violenza lascino il posto ad un clima di reciproca convivenza”.

Paterni con i sacerdoti
Vi incoraggio, soggiunge il Papa, “a essere paterni con i sacerdoti e con tutti i consacrati, che sono i vostri primi collaboratori, e, nel rispetto della tradizione e delle norme, ad essere accoglienti verso di loro, benevoli e comprensivi verso le loro necessità, avviando percorsi perché siano sempre più consapevoli delle esigenze del loro ministero al servizio dei fedeli". Così facendo – conclude – "riuscirete a colmare le distanze che separano e a discernere le risposte alle urgenze attuali della Chiesa Caldea sia nella madrepatria sia nella diaspora”.

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Francesco: abolire la guerra, sfigura legami tra fratelli

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Come cristiani dobbiamo impegnarci per “l’abolizione della guerra”, per la costruzione di ponti e non di muri. E’ l’esortazione levata da Papa Francesco nell’udienza ai Cappellani Militari, riuniti a Roma per un Corso di Diritto Internazionale Umanitario, promosso dal Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”. Dal Pontefice l’incoraggiamento a prendersi cura dei militari che tornano dalla terribile esperienza della guerra, dove hanno assistito a crimini atroci. Il servizio di Alessandro Gisotti

La guerra “sfigura i legami tra fratelli, tra nazioni” e “sfigura anche coloro che sono testimoni di tali atrocità”. Papa Francesco ha innanzitutto denunciato la brutalità della guerra ed ha confidato che spesso ha potuto ascoltare, nei racconti di tanti vescovi, delle ferite indelebili con cui tornano i soldati partiti per fare la guerra.

Curare le ferite spirituali dei soldati in guerra
Quindi ha esortato i cappellani militari ad essere vicini ai soldati e alle loro famiglie:

“È dunque necessario interrogarsi sulle modalità adeguate per curare le ferite spirituali dei militari che, avendo vissuto l’esperienza della guerra, hanno assistito a crimini atroci. Queste persone e le loro famiglie richiedono un’attenzione pastorale specifica, una sollecitudine che faccia sentire loro la vicinanza materna della Chiesa”.

Il ruolo del cappellano militare, ha soggiunto, “è quello di accompagnarli e sostenerli nel loro cammino, essendo per tutti presenza consolante e fraterna”. Il diritto umanitario, ha poi sottolineato, “si propone di salvaguardare i principi essenziali di umanità in un contesto, quello della guerra, che è in sé stesso disumanizzante”:

“Al tempo stesso, tale diritto tende a bandire le armi che infliggono sofferenze atroci quanto inutili ai combattenti, nonché danni particolarmente gravi all’ambiente naturale e culturale.”

Abolire la guerra, costruire ponti e non muri
Il diritto umanitario, ha proseguito, “merita di essere diffuso e promosso tra tutti i militari e le forze armate, incluse quelle non statali, come pure tra il personale di sicurezza e di polizia”. Ma, ha avvertito, non bisogna abituarsi all’idea che la guerra sia inevitabile:

“… come cristiani, restiamo profondamente convinti che lo scopo ultimo, il più degno della persona e della comunità umana, è l’abolizione della guerra. Perciò dobbiamo sempre impegnarci a costruire ponti che uniscono e non muri che separano; dobbiamo sempre aiutare a cercare uno spiraglio per la mediazione e la riconciliazione; non dobbiamo mai cedere alla tentazione di considerare l’altro solamente come un nemico da distruggere, ma piuttosto come una persona, dotata di intrinseca dignità, creata da Dio a sua immagine”.

L’uomo è sempre sacro, anche nel mezzo della guerra
Anche nel mezzo della “lacerazione della guerra – ha affermato – non dobbiamo mai stancarci di ricordare che ‘ciascuno è immensamente sacro’”. In questo periodo, nel quale, ha ribadito, stiamo vivendo una “terza guerra mondiale a pezzi”, i cappellani militari sono “chiamati ad alimentare” nei soldati e “nelle loro famiglie la dimensione spirituale ed etica, che li aiuti ad affrontare le difficoltà e gli interrogativi spesso laceranti insiti in questo peculiare servizio alla Patria e all’umanità”. Infine l’esortazione ai cappellani militari a pregare. “Senza preghiera – ha detto a braccio – non si può fare tutto quello che l’umanità, la Chiesa e Dio ci chiede in questo momento”.

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Sinodo: una Chiesa con le porte aperte e sempre più vicina alla gente

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Il Sinodo è stato un cammino faticoso, ma anche un vero dono di Dio, che porterà sicuramente molto frutto. Così il Papa, ieri all’Angelus, ha definito i lavori sinodali sulla famiglia appena conclusi. Un’esperienza di Chiesa in cammino che adesso continua in tutto il mondo. Il servizio di Sergio Centofanti

Chiesa con le porte aperte
Si è parlato tanto di lotte tra cosiddetti progressisti e tradizionalisti, ma il vero protagonista del Sinodo – ha detto il Papa – è stato lo Spirito Santo. Almeno per chi crede. Il vento è lo stesso e soffia dove vuole. Oggi spinge con forza verso una direzione: la misericordia, l’accoglienza. Spinge la Chiesa ad essere sempre più una casa con le porte aperte, vicina alla gente. Non una dogana, dove i suoi membri sono rigidi controllori della grazia, ma la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.  

Annunciare la misericordia di Dio, non anatemi
Il primo dovere della Chiesa – ha ricordato Papa Francesco - non è distribuire anatemi ma annunciare il Vangelo della gioia: l’infinita misericordia di Dio che si manifesta in Gesù, morto e risorto per noi. Senza cadere nel relativismo o nel buonismo distruttivo, che in nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle.

La vera dottrina difende l'uomo non le formule
In questo senso il Papa afferma che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono le idee ma l’uomo, non le formule ma l’amore gratuito di Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e le nostre opere ma secondo la sua “illimitata generosità”. Il Vangelo, invece di essere fonte sempre viva che disseta, rischia di trasformarsi in pietra morta da scagliare contro gli altri. Rischia di escludere invece che curare i malati e reintegrare tutti nella famiglia di Dio. Uno dei significati del Sinodo – ha detto il Papa – è aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili. L’impietrimento dei cuori allontana le persone da Dio.

Parlare con la libertà dei figli di Dio
E’ stato un evento – ha ricordato ancora il Papa - che ha mostrato al mondo la bellezza della famiglia formata da un uomo e una donna, fedele, indissolubile. Ne ha parlato con parresìa, con la libertà dei figli di Dio, senza nascondere la testa sotto la sabbia, senza paura di sporcarsi le mani. Con il desiderio di un linguaggio nuovo che sia compreso da tutti, recuperando la freschezza originale del Vangelo.

Laici sempre più protagonisti
La Chiesa ha mostrato di essere viva con la ricchezza della sua diversità che cerca sempre l’unità. Vuole che i laici siano sempre più protagonisti, perché tutto il Popolo di Dio è chiamato a “camminare insieme” verso Cristo che dona la vita in abbondanza. Laici protagonisti nella Chiesa e nella società, dove le famiglie sono chiamate a far sentire sempre di più la loro voce perché la politica le sostenga e perché sia respinto tutto ciò che le minaccia. Compresa l’ideologia gender.

Eucaristia non è premio per i perfetti
Il Sinodo chiede di integrare sempre di più le famiglie ferite. Chiede un discernimento per le varie situazioni. Anche le porte dei Sacramenti – afferma Papa Francesco nella Evangelii Gaudium – non si dovrebbero chiudere “per una ragione qualsiasi”. Così, “l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.

Gesù include
“Oggi è tempo di misericordia!” – sottolinea il Papa  - Un tempo in cui occorre vincere due tentazioni: la “spiritualità del miraggio” che ci fa camminare attraverso i deserti dell’umanità vedendo quello che vogliamo vedere noi e non quello che Dio ci mette davanti agli occhi. Una fede arida, dunque, che non sa radicarsi nella vita della gente. E la tentazione della “fede da tabella” che esclude chi non corre secondo i propri ritmi e programmi, chi dà fastidio o non è all’altezza. Invece “Gesù – ricorda Papa Francesco - vuole includere, soprattutto chi è ai margini e grida a Lui”.

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Palmer-Buckle: Sinodo chiede di cambiare linguaggi e atteggiamento

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Il Sinodo è stato davvero un camminare insieme, un’esperienza di collegialità e fraternità: è quanto afferma l’arcivescovo ghanese di Accra, mons. Gabriel Charles Palmer-Buckle. Sergio Centofanti lo ha intervistato: 

R. – E’ stata un’esperienza favolosa: devo dire la verità. Perché diciamo che siamo venuti tutti, magari con certe impressioni che i media avevano creato, un po’ in tensione. Ma confrontandomi con i vari vescovi, i diversi rappresentanti da tutti i continenti, devo dire che è stato veramente un “Sinodo”, cioè un camminare insieme, pregare insieme, ascoltarci a vicenda e anche condividere sia le nostre gioie e le nostre ansie e i nostri successi e anche i fallimenti. Lo Spirito a me ha aperto l’occhio, e anche a tutti, su che cosa vuol dire “collegialità”, che cosa vuol dire “sinodalità”, che cosa vuol dire stare insieme nella nostra diversità, ma allo stesso tempo avere – come è detto negli Atti degli Apostoli – un cuore solo e un’anima sola. E’ questo che ho veramente sperimentato.

D. – Qui in Occidente, i media hanno trattato alcuni temi. Ma che cosa ci può dire un vescovo dell’Africa?

R. – Hanno preso solo certi punti, in tutto il mosaico bello di che cosa vuol dire “famiglia”. Io sono veramente grato al Signore di avere avuto questa occasione di ascoltare che cosa voglia dire veramente “famiglia”. Non solo famiglia nucleare – papà e mamma – ma famiglia estesa, cioè i nonni, le nonne, gli zii, i cugini, i nipotini. E anche famiglie ancora più allargate, cioè: la società, la Chiesa stessa è famiglia. Nel 1994, i vescovi africani scelsero come ecclesiologia di fare tutto affinché la Chiesa in Africa diventasse “famiglia di Dio”. Allora, per noi la parola “famiglia” ha uno spessore religioso, teologico, un fondamento sociologico, antropologico e stiamo cercando quello che vuol dire “famiglia”. Certo, all’interno della famiglia ci sono le gioie, ci sono anche dei fallimenti, ci sono delle debolezze, delle difficoltà. Ma quello che è bello è che nella famiglia, là dove duole di più è lì che bisogna poi dare più amore. Certo, all’interno della Chiesa ci sono famiglie che soffrono. Per esempio, quelli che hanno alle spalle dei matrimoni falliti e si sono risposati civilmente e vogliono sentirsi parte della Chiesa. Sono parte della Chiesa: per il loro Battesimo, sono parte integrante della Chiesa. Allora, come possono partecipare alla comunione? E la comunione è più ampia che il ricevere l’Eucaristia …

D. – Benedetto XVI ha parlato di rinnovamento nella continuità. Cosa si può cambiare, restando fedeli?

R. – Per esempio, quando si parla dell’indissolubilità del matrimonio, si incomincia a puntare sulla punizione di chi è fuori da quell’ambito, a fargli percepire una certa discriminazione, una certa esclusione. Credo che la novità, ormai, sia che dobbiamo tornare al fatto che ciò che ci rende Corpo di Cristo è il Battesimo; e allora, il Battesimo è un sacramento indelebile: non si può perdere, mai!, il Battesimo, l’appartenenza alla Chiesa. Non si può perdere. E allora? Dobbiamo cambiare il nostro linguaggio. Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento. E Cristo dà vita anche al di fuori dei confini stretti istituzionali della Chiesa.

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Sinodo. P. Fares: Francesco vuole pastori capaci di discernimento

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“Il profumo del pastore”. E’ il titolo del libro scritto dal gesuita argentino Diego Fares, per Ancora Editrice, che Papa Francesco ha regalato ai Padri sinodali alla fine del Sinodo sulla Famiglia. Nel testo, il teologo di “Civiltà Cattolica” che conosce Jorge Mario Bergoglio da quarant’anni, offre una panoramica del pensiero di Papa Francesco sulla figura del vescovo. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Diego Fares di soffermarsi sul contenuto del suo libro con uno sguardo particolare al Sinodo: 

R. – “Il profumo del pastore” come  libro e come titolo è nato su un suggerimento del nostro direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, che l’anno scorso, appena arrivato a Roma, mi diceva: “Tu devi scrivere qualcosa sull’immagine del vescovo inserito nel suo popolo, del vescovo che – come dice Francesco – ha l’odore delle pecore”. Pensavamo che far vedere questa gioia del pastore in mezzo al suo popolo fosse necessaria, visto che il ministero è diventato un po’ astratto, forse lontano dalla gente. “Il profumo del pastore” è l’immagine complementare a quella del pastore con l’odore delle pecore, perché non si tratta soltanto di un odore popolare nel senso dispregiativo con il quale alle volte viene utilizzato. Le pecore del Popolo di Dio, tutti gli uomini e le donne del mondo di buona volontà, hanno l’odore di Cristo; questo è il profumo del sangue prezioso che li ha riscattati. Il pastore e le pecore sanno discernere il profumo dell’unico pastore. Allora l’idea, o meglio la mia missione, attraverso questi piccoli libri è rendere una testimonianza particolare del Buon Pastore che è Papa Francesco, non nel senso ovvio: tutti sappiamo che è un Buon Pastore; noi siamo un bel gruppo di amici nel Signore che conosce Papa Bergoglio da molti anni. Possiamo dire alla gente di oggi: “Guardate, Dio vi ha preparato questo pastore lungo tutta la sua vita, e questa memoria viva è un servizio alla Chiesa”. Questo fa vedere la fedeltà del Signore nella coerenza dei suoi figli e dà speranza per andare avanti. Dio non lascia che manchino i buoni pastori.

D. – Quali sono secondo lei gli elementi che più caratterizzano la visione del vescovo in Papa Francesco?

R. - Non solo del vescovo direi, ma di tutti i pastori perché anche il papà e la mamma sono pastori del loro piccolo gregge, della loro famiglia! Noi preti, vescovi, dobbiamo imparare da questi pastori reali del mondo di oggi. Le caratteristiche del libro sono quelle che "si può annusare”, perché il profumo non può essere astratto: i pastori camminano e pregano con il popolo; pastori che sono uomini di comunione con i loro preti, i loro vescovi, il Papa, le famiglie, tutti insieme. I pastori sono testimoni - dice Francesco - del Signore crocifisso e resuscitato. Di notte un pastore - la notte che a volte dura decenni - mette il gregge nel cortile di una teologia o di un’abitudine, di una tradizione che sembra più sicura, ma la mattina fa uscire il uso gregge per trovare acque vive e pasti teneri. Questa è l’immagine del pastore!

D. - Il Sinodo dei vescovi sulla famiglia si è appena concluso. Cosa l’ha colpita pensando proprio al contenuto del suo libro?

R. - Leggendo un po’ velocemente il documento sinodale, nei suoi testi più significativi sui pastori si parla fondamentalmente di due cose: vicinanza - il pastore deve essere vicino, accompagnare la famiglia dando loro coraggio, speranza - e discernimento. Il controverso punto 85 che cita San Giovanni Paolo II: “Sappiano i pastori che per amore della verità sono obbligati a ben discernere le situazioni complesse delle famiglie”. A questo punto mi sembra importante dire questo: il Sinodo dice: “Le coppie e le famiglie, non sono realtà astratte; rimangono imperfette, vulnerabili, devono crescere”; questa è la frase che si trova all’inizio del punto 4 della Relazione. Sono famiglie reali accompagnate da pastori reali che vivono nella vicinanza e nell’amore cristiano. Mi sembra che questo sia un passo avanti nel Sinodo: fidarsi dei pastori, dei preti, del papà e della mamma perché questo è reale. Le discussioni alle volte diventano astratte. Come dice san Tommaso: “La prudenza il discernimento non finiscono in un altro discernimento, ma nell’azione: bisogna prendere decisioni, correggerle e andare avanti”. Il Sinodo si fida di questo discernimento che fanno le famiglie, il pastore e tutta la comunità.

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Papa: card. Korec, testimone del Vangelo nonostante carcere

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Papa Francesco ha espresso il suo cordoglio per la morte del cardinale Ján Chryzostom Korec, gesuita e vescovo emerito di Nitra, in Slovacchia, avvenuta il 24 ottobre scorso all’età di 91 anni. In un telegramma inviato a mons. Stanislav Zvolenský, arcivescovo di Bratislava e presidente della Conferenza episcopale slovacca, il Pontefice ricorda con “profonda commozione” il porporato slovacco, un “generoso pastore – ha detto - che nel suo lungo ministero ecclesiale si è dimostrato impavido testimone del Vangelo e strenuo difensore della fede cristiana e dei diritti della persona umana”.  

Papa Francesco ricorda che il cardinale Korec subì il carcere sotto il regime comunista cecoslovacco: “impedito per anni di esercitare liberamente la sua missione episcopale, egli non si è mai lasciato intimidire, dando sempre luminoso esempio di fortezza e di fiducia nella provvidenza divina, come pure di fedeltà alla Sede di Pietro”.

Prete clandestino, si guadagnò da vivere come spazzino a Bratislava, poi come operaio in un'industria chimica. Conobbe la disoccupazione e la povertà. Durante il regime comunista ordinò clandestinamente circa 120 sacerdoti.

“Rendo grazie al Signore – conclude il Papa - per aver donato alla sua Chiesa questa eminente figura di sacerdote e di vescovo ed elevo fervide preghiere a Dio perché accolga nel suo gaudio eterno, dopo tante sofferenze, questo suo servo buono e fedele”.

Il funerale del cardinale Korec si terrà sabato 31 ottobre nella Cattedrale di Sant‘Emeram a Nitra. Presiederà il rito il cardinale Stanisław Dziwisz, arcivescovo di Cracovia. Le spoglie saranno sepolte nella cattedrale. 

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Il Papa fa visita al card. Etchegaray ricoverato al Gemelli

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Il Papa si è recato ieri sera verso le 19.30 in forma privata al Policlinico Gemelli per una breve visita al card. Roger Etchegaray che vi si trova ricoverato.  Questa mattina infatti, al termine della celebrazione nella Basilica di San Pietro, mentre il Papa salutava passando i cardinali presenti, il card. Etchegaray ha perso l’equilibrio ed è caduto, riportando la frattura del femore sinistro. Le sue condizioni generali sono buone, ma dovrà essere operato per la riduzione della frattura.

Il Papa si è intrattenuto con il Cardinale con grande cordialità per circa un quarto d’ora e gli ha dato la sua benedizione. Il cardinale Etchegaray ha voluto ringraziare il Santo Padre in particolare per il Sinodo appena concluso.

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Appello di cardinali e patriarchi per conferenza clima Parigi

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Un accordo sul clima che sia equo, giuridicamente vincolante e generatore di un vero cambiamento. E’ quanto chiedono in rappresentanza della Chiesa dei cinque continenti cardinali, patriarchi e vescovi di varie Conferenze episcopali delle diverse parti del mondo in un appello al COP 21, la «Conferenza delle parti» sul cambiamento climatico che avrà luogo dal 30 novembre a Parigi. Il documento, ispirato all’Enciclica Laudato si' e promosso dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, è stato presentato nella Sala Stampa vaticana. Paolo Ondarza

La terra è un ‘eredità comune, il  danno all’ambiente e i cambiamenti climatici – scrivono cardinali, patriarchi e vescovi da ogni parte del mondo al summit di Parigi - hanno ripercussioni enormi e impongono un nuovo stile di vita e nuove nozioni di crescita e progresso. La dichiarazione, suddivisa in 10 punti, invoca una leadership coraggiosa e creativa che sappia anteporre agli interessi nazionali il bene comune, con speciale attenzione ai poveri. Si chiede un accordo vincolante che tenga a mente oltre alle dimensioni tecniche anche quelle etiche e morali dei cambiamenti climatici; che riconosca il clima e l’atmosfera come beni comuni globali: un’intesa generatrice di un vero cambiamento che indichi come bene la necessità di vivere in armonia con la natura nel rispetto dei diritti umani; il documento chiede di garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile, di limitare l’aumento della temperatura globale, di fissare un obiettivo per la completa decarbonizzazione entro metà secolo, di porre fine all’era dei combustibili fossili fornendo a tutti l’accesso alle energie rinnovabili a prezzi accessibili in un approccio di adattamento che risponda ai bisogni delle popolazioni più vulnerabili e con una roadmap che indichi come fronteggiare gli impegni  finanziari prevedibili. La dichiarazione si conclude con una preghiera per la terra.

“It’s a very historical occasion…
“Un momento storico – ha definito questa firma il card. Oswald Gracias, presidente delle Conferenze episcopali asiatiche – “Dobbiamo fare di tutto per evitare il disastro per le future generazioni”.

“Nosotros vivimos en una zona en donde se están sintiendo muy fuertemente todos los efectos…
Da parte sua il card. Salazar Gomez, presidente del Consiglio episcopale latino americano, ha evidenziato gli effetti dirompenti del cambiamento climatico in America Latina con periodi di siccità e inondazioni devastanti per l’agricoltura soprattutto per i più poveri.

Empezar a defender la arduamente la Amazonía…
Speciale attenzione ha suggerito il porporato per la tutela dell’Amazzonia, la cui biodiversità contribuisce al mantenimento dell’equilibrio del pianeta. Per l’Oceania ha preso la parola mons. John Ribat, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell'Oceania, che ha lanciato un forte appello: “l’esistenza della nostra biodiversità, della nostra stessa vita nelle isole del Pacifico è a rischio per l’innalzamento dei mari. Non cambiare niente non è fattibile, non rispetta la dignità umana. Le culture evolutesi per migliaia di anni – ha detto - sono destinate ad estinguersi a causa del cambiamento climatico in pochi decenni e i primi a essere colpiti saranno i poveri. Se fallirà Parigi non potremo cambiare nulla”.

“J’ajouterais que c’est un bel exemple de travail de collégialité épiscopale… 
Infine la parola a mons. Jean Kockerols, primo vice-presidente della Commissione degli episcopati della Comunità europea, che ha parlato dell’appello come esempio di collegialità episcopale. La sfida del vertice Cop21 di Parigi non deve essere sottovalutata ha detto il presule esortando l’Europa alla responsabilità nel cambiare gli stili di vita, alla coerenza e all’apertura nei confronti dei Paesi poveri.

“Climate change is one of the most global problems…
Il punto di vista scientifico del prof. Jean-Pascal van Ypersele de Strihou, dell’Università cattolica di Lovanio, ha concluso gli interventi definendo il cambiamento climatico “uno dei problemi più grandi posti di fronte all’umanità”.

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Vaticano. Terza Lotteria di beneficenza, il ricavato ai poveri

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Nell’imminenza dell’Anno Santo della Misericordia indetto da Papa Francesco, si rinnova una iniziativa  di solidarietà verso chi è nel bisogno: la terza edizione della Lotteria di beneficenza per le opere di carità del Santo Padre. Come è ormai consuetudine, i biglietti avranno  un costo di 10  €.  Anche questa volta, il Papa ha messo a disposizione alcuni premi per l’iniziativa, che inizierà nel periodo prenatalizio e si concluderà il 2  febbraio 2016 con l’estrazione dei biglietti vincenti alla presenza di una apposita Commissione che ne garantirà la correttezza.

Papa Francesco ha espresso il desiderio che il ricavato dalla generosità dei  partecipanti  vada  in  favore  dei  profughi  e  dei  senzatetto.  Tutti  conoscono  l’attenzione che il Papa riserva a queste persone in difficoltà; il contesto dell’Anno giubilare e della festa del Santo Natale - che sempre  raccoglie ed avvicina le famiglie per vivere in comunione i giorni di festa - possono essere occasione propizia per scambiarsi un dono simbolico che porta con sé un gesto fattivo di solidarietà e condivisione.

I biglietti saranno posti in vendita in Vaticano presso la Farmacia, le Poste, gli  Spacci Annonari, il Magazzino “Stazione”, i punti vendita dell’Ufficio Filatelico e Numismatico ed i "Bookshop"’ dei Musei Vaticani.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Come al Concilio: in prima pagina, un editoriale del direttore sulle conclusioni del Sinodo sulla famiglia, con la relazione finale, approvata quasi all’unanimità, e l’omelia della messa conclusiva.

I pregiudizi vanno sradicati: Francesco ai gitani nel cinquantenario dell’incontro con Paolo VI a Pomezia.

La morte del cardinale Jan Chryzostom Korec: era stato vescovo clandestino durante il regime comunista in Cecoslovacchia. 

La Polonia cambia volto: Francesco Citterich sulla netta vittoria del partito anti-immigrati alle politiche. 

Sorpresa argentina: Silvina Pérez sui risultati delle presidenziali.

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Oggi in Primo Piano



Polonia elezioni: vincono i nazionalisti. Governo senza alleanze

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In Polonia, il partito nazionalista conservatore 'Diritto e giustizia' (Pis) del Presidente Duda ha vinto le elezioni politiche con circa 38% dei consensi, distaccando di almeno 14 punti percentuali il partito moderato ‘Piattaforma civica’. Ora la candidata premier Beata Szydlo potrà formare un governo senza cercare alleanze e, per la prima volta dalla cauduta del comunismo, la sinistra non è riuscita ad entrare in Parlamento. Intanto a Bruxelles si teme che il nuovo esecutivo polacco possa rafforzare l’asse dei governi euroscettici. Per un’analisi, Marco Guerra ha intervistato Giacomo Manca giornalista esperto di Europa orientale per l’East-Journal: 

R. – Io credo che il risultato del partito “Diritto e Giustizia” (Pis) sia legato soprattutto a una grave sconfitta del partito che aveva governato negli ultimi otto anni: il partito di “Piattaforma Civica”. Quest’ultimo si trova in qualche modo in una crisi d’identità, e non è riuscito a dare quelle risposte che gran parte della popolazione chiede in materia di politiche sociali. La Polonia è un Paese che è cresciuto molto, anche durante la crisi, ma i ceti più popolari non sono mai stati interessati da questa crescita economica e da questo momento del benessere. Per questa ragione, delle istanze populiste, come quelle di Pis e del partito di Kaczynski, sicuramente hanno fatto breccia in chi è stanco soprattutto di avere una relativa disoccupazione giovanile e uno scarso riscontro a livello interno della crescita economica. Anche perché il grande elettorato, che una decina di anni fa votava per il partito di sinistra, ha voltato le spalle tanto alla sinistra quanto a “Piattaforma Civica”, andando verso “Diritto e Giustizia”, che ha politiche sociali molto marcate – relativamente populiste – ma molto presenti.

D. – La premier designata è Beata Szydlo. Perché è stata preferita lei piuttosto che l’uomo forte del partito, Kaczynski?

R. – Kaczynski, in questo modo, ha giocato la carta vincente che lo aveva premiato, anche facendo eleggere Andrzej Duda in maggio nelle elezioni presidenziali. Perché la sua è una figura molto divisiva, poco amata dalla Polonia, e che non sarebbe riuscita a fare breccia nella classe media, che invece ha attratto il Pis. Beata Szydlo sicuramente è una presenza più rassicurante: è una politica di lungo corso, ma non lunghissimo. Dal 2011 ha fatto parte del Pis, ritagliandosi un suo ruolo sicuramente importante. Allo stesso tempo, è un’ottima comunicatrice, non tanto dal punto di vista dei discorsi, quanto per il fatto di essere riuscita a rinnovare il partito, ad attrarre molti giovani e anche a portare il partito sui nuovi media, che sono stati una forte caratteristica della campagna elettorale del Pis.

D. – La vittoria della Destra euroscettica rafforza l’asse del cosiddetto “Gruppo Visegrad” – Repubblica Ceca; Slovacchia; Polonia; Ungheria – in polemica con Bruxelles su diverse tematiche. Cosa c’è da aspettarsi da questo punto di vista?

R. – La campagna elettorale del Pis, e anche le stesse esternazioni del Presidente Andrzej Duda, sono sempre state in favore a un ruolo più integrato nella Regione e meno filo-europeo “tout court”. Dal punto di vista della politica estera, in linea di massima le posizioni della Polonia cambieranno, anche se non in maniera radicale. Quello che cambierà sarà la politica interna: un rischio – o comunque una possibilità – è che si formi una maggioranza costituzionale capace di cambiare la Costituzione. E questa potrebbe essere una svolta eventualmente più autoritaria, che però non è comprovata al momento. 

D. – L’immigrazione sarà un altro di quei punti di frizione – molto caldi – con l’Europa, con il resto delle cancellerie europee...

R. – Sì, il governo Kopacz, che sarà tra poche ore demissionario, ha accettato la quota di rifugiati proposta dalla Commissione europea, a differenza di tutti gli altri Peasi del “Gruppo Visegrad”. Sicuramente l’accoglienza degli immigrati sarà un grosso problema, perché ci troviamo adesso davanti ad un governo che non ha più delle posizioni filo-europee...

D. – Però Varsavia resta comunque ancorata alla Nato...

R. – Questo assolutamente, anzi, il partito “Diritto e Giustizia” è tradizionalmente un partito molto più filo-atlanticista che filo-europeo. Tra gli obiettivi di lungo corso di politica estera del Pis c’è sempre stata ad esempio una base Nato in Polonia. La Polonia non cambierà assolutamente la sua posizione sull’Ucraina né si avvicinerà alla Russia. Anzi questa è una delle forti distanze che ci sono tra un futuro governo di “Diritto e Giustizia” e l’Ungheria di Orbán, che ha una propensione filo-russa tradizionalmente inaccettabile per qualunque governo polacco.

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Argentina al ballottaggio: solo due punti tra Scioli e Macri

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Ballottaggio in Argentina: Daniel Scioli, il candidato peronista, erede di Cristina Kirchner, alle presidenziali di ieri ha vinto ma con un vantaggio inferiore a quello previsto, di circa solo due punti, e deve andare al ballottaggio il 22 novembre, con il suo principale avversario, Mauricio Macri. Il terzo candidato, il giovane peronista dissidente, Sergio Massa, ha ottenuto il 21 per cento e il modo in cui si distribuiranno ora i suoi voti sarà determinate per la vittoria finale. Fausta Speranza ha parlato delle prospettive con Giuseppe Dentice, esperto di America Latina, dell’Ispi, Istituto Studi Politica Internazionale: 

R. – Chiaramente, a pesare sull’incertezza del voto di Scioli ha influito non solo la performance di Macri, che è stata estremamente ottima perché in fin dei conti è arrivato a soli due punti di percentuale di distanza, ma, soprattutto, il forte risultato ottenuto da Sergio Massa, un peronista che è entrato in conflitto con l’entourage della Kirchner e che, in questi anni, è riuscito a creare attorno a sé un gruppo tendenzialmente folto di oppositori alla stessa presidente. Quindi, si può dire che questo risultato sia, in un certo senso, un voto di protesta nei confronti del precedente esecutivo. Un voto, quindi, antikirchnerista e non verso una tradizione politica. Comunque, il peronismo rimane forte in quasi tutti i candidati, eccetto forse Macri.

D. – Quali sono i punti più critici?

R. – I punti più critici riguardano semplicemente e soprattutto l’economia, un’economia che è sempre tra il default e la crisi economica; un’economia che negli anni precedenti è cresciuta, soprattutto grazie anche al prezzo delle commodities molto buone, soprattutto grazie agli investimenti che arrivavano dall’estero. Oggi invece si scopre una economia estremamente debole, molto fragile, come ho detto, in perenne stato di shock tra rischio default e una situazione sotto controllo. In più, la sentenza "famosa" che c’è stata nel luglio 2014 - i cosiddetti “fondi avvoltoi” - ha incrinato particolarmente lo stato di salute dell’economia. All’economia si associa anche l’inflazione. I dati ufficiali danno un’inflazione attorno al 25 per cento. In realtà, dati non ufficiali, ma presumibilmente della Banca Mondiale, o meglio del Fondo Monetario, fanno pensare che sia almeno il doppio. Quindi, ci sono indicatori economici che danno dati estremamente alti, estremamente preoccupanti, per la situazione di salute dell’economia argentina. La partita, quindi, come sempre, si giocherà su quanto sarà importante il ruolo dell’economia e soprattutto su cosa sapranno indicare i cambi dati o il ballottaggio come ricette risananti per lo stato di salute dell’Argentina stessa.

D. – A questo proposito, cosa distingue le ricette dei due candidati in tema sociale e quale presumibilmente sarà il cavallo di battaglia di ognuno per la campagna in vista del ballottaggio?

R. – Tendenzialmente, entrambi i candidati, ma soprattutto Scioli, dalle prime dichiarazioni sembrerebbero essere interessati principalmente a convogliare intorno a sé i voti degli indecisi o comunque dei dissidenti, come è stato il voto di protesta nei confronti di Scioli, che in parte ha contribuito a garantire l’affermazione di Massa. La differenza tra i due candidati, dal punto di vista del programma, si sostanzia principalmente in un indirizzo: l’indirizzo peronista kirchnerista, se vogliamo dire così, di Scioli, in continuità, in un certo senso, con l’attività della presidente uscente, tuttavia si differenzia dalla stessa per un atteggiamento, quantomeno a livello macroeconomico, un po’ più accorto e più attento soprattutto a risanare le particolari faglie dell’economia argentina. Mentre Macri proviene da un’idea più liberista, che comunque nella storia argentina, ha lasciato dei traumi. Da un lato, quindi, si potrebbero scontrare la voglia di cambiamento della popolazione e, dall’altra, la paura che questo cambiamento in realtà sia peggiorativo della situazione attuale.

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Migranti: raggiunto l’accordo per gestire la crisi in Europa

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Nuove tragedie dell’immigrazione: in Libia sono stati recuperati dalla Mezzaluna Rossa 40 corpi: 27 nei pressi del porto di Zliten, gli altri sulla spiaggia di Khom. In Grecia, davanti all’isola di Lesbo, una donna e due bambini sono morti inoltre in seguito ad un ennesimo naufragio. Altre 7 persone risultano disperse. Situazione sempre più critica in Siria, dove circa 130 mila civili sono in fuga dall'offensiva aerea e di terra in corso da parte della Russia, dell'Iran e delle forze governative nelle regioni centro-settentrionali di Hama, Idlib ed Aleppo. A Bruxelles, intanto, il vertice sull’emergenza immigrazione si è chiuso con un accordo per la gestione della crisi dei migranti in Europa. L’intesa prevede, in particolare, che saranno accolte 100.000 persone nei Centri di accoglienza, di cui la metà in Grecia. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Sono 17 i punti dell’accordo, raggiunto in extremis, per gestire il flusso di migranti verso l’Europa lungo la rotta balcanica. I nodi cruciali sono la creazione di nuovi Centri di accoglienza e la registrazione dei migranti. La Grecia assicurerà 30.000 nuovi posti entro la fine dell’anno e con il sostegno dell’Acnur, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, ospiterà altri 20.000 profughi. Chi non  si registrerà - ha annunciato il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker- non potrà pretendere alcun diritto. L’accordo prevede anche misure per scoraggiare il movimento dei migranti da un confine all’altro senza informare i Paesi vicini. Per rendere efficace il ricollocamento dei rifugiati in tutti gli Stati membri  – ha spiegato l’Alto commissario Onu ai rifugiati Antonio Guterres – le infrastrutture di accoglienza "devono essere messe in piedi dove ci sono gli hotspot". Nessun Paese - ha osservato - "potrà quindi più scaricare in massa i migranti alle frontiere dei vicini senza prima il loro assenso".  L’intesa - ha affermato la Cancelliera tedesca Angela Merkel - è un primo passo: "è solo un contributo e non la soluzione del problema migratorio - ha dichiarato - ma almeno garantisce che i rifugiati abbiano condizioni umane". La situazione – ha dichiarato infine il premier sloveno Miro Cesar – resta molto grave: se l’Europa - ha spiegato il primo ministro della Slovenia - non adotterà subito soluzioni comuni e concrete, l’Unione europea è destinata a sgretolarsi.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) esprime inoltre forte preoccupazione per notizie di abusi e violenze sessuali in Europa ai danni di donne e minori migranti. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco la portavoce dell’Acnur per il Sud Europa, Carlotta Sami: 

R. – In questi mesi è mancata un’adeguata accoglienza dei rifugiati che, per il 30% sono donne e bambini, minori anche molto piccoli. Quindi l’esposizione ad abusi è molto concreta. Abbiamo anche ricevuto alcune testimonianze molto preoccupanti. Sono persone che sono scappate da guerre, o da contesti comunque molto violenti e che, non avendo un modo legale per arrivare in Europa, hanno dovuto pagare dei trafficanti, esponendosi in alcuni casi anche a gravissimi abusi.

D. – E c’è anche grande preoccupazione in vista del prossimo inverno per decine di migliaia di migranti in Europa e per milioni di sfollati in Siria. Dovranno affrontare questo inverno al freddo…

R. – L’inverno dell’anno scorso è stato particolarmente freddo per oltre quindici milioni di rifugiati tra Siria, Libano, Giordania e Iraq. Questo – purtroppo – ci ha posto di fronte a tragedie immani, in cui anche bambini di pochi giorni non ce l’hanno fatta. Siamo molto preoccupati per il freddo e, già da alcune settimane, abbiamo cominciato i preparativi per mettere al riparo le famiglie che vivono in condizioni già molto precarie in questi Paesi. Siamo anche molto preoccupati per ciò che il freddo potrà fare a quei rifugiati che stanno arrivando in Europa. La situazione sarebbe gestibilissima: stiamo parlando di alcune centinaia di migliaia di persone, circa 600.000. Siamo contenti che il Vertice abbia deciso alcuni piani, come la messa a disposizione di circa 100.000 posti in accoglienza, a cominciare dalla Grecia. Ma siamo stati molto chiari nel dire che noi siamo già lì da mesi a supportare qualsiasi azione, a supportare l’accoglienza – abbiamo oltre 400 colleghi che sono in Europa dell’Est, a cominciare dalle isole greche – ma bisogna fare tutto questo immediatamente. L’anno scorso, anche su quella rotta purtroppo abbiamo avuto dei morti.

D. – E un’altra emergenza è stata innescata da devastanti inondazioni che hanno colpito 25.000 rifugiati saharawi nel campo di Tindoulf in Algeria…

R. – Purtroppo gli effetti climatici si accaniscono su persone che già vivono in condizioni molto difficili… Siamo riusciti ad intervenire immediatamente, anche grazie all’intervento della Cooperazione italiana, che proprio per l'Acnur ha stanziato 200.000 euro. Questo ci ha dato la possibilità di intervenire subito e portare gli aiuti alle persone.

D. – Come giudicare questo accordo raggiunto “in extremis” durante il Vertice sull’immigrazione?

R. – Sono dei passi importanti. Si deve uscire dalla logica della soluzione messa a disposizione da parte dei singoli Paesi, in modo scoordinato dagli altri. Se si vuole che il piano funzioni, deve essere un piano messo in atto da tutti. Deve essere un progetto europeo. La chiusura da parte di alcuni non provoca altro che danni enormi sia ai rifugiati sia ai Paesi vicini. Servono decine di migliaia di posti in accoglienza innanzitutto in Grecia, perché, se si vuol far funzionario il piano europeo, anche quello che prevede la redistribuzione dei rifugiati attraverso l’Europa, servono due aspetti. In primo luogo, l’accoglienza, l’assistenza immediata - credibile - che dia ai rifugiati ciò di cui hanno bisogno, perché arrivano in condizioni disastrose. In secondo luogo, l’identificazione: le persone devono essere identificate per poter essere redistribuite all’interno dell’Unione Europea. Ogni Paese dell’Unione può e deve essere in grado di fornire assistenza e accoglienza ai rifugiati.

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Amnesty contro matrimoni precoci: "Mai più spose bambine"

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Lo sposalizio, simbolico, tra una bimba di 10 anni ed un uomo di 47, celebrato a Roma nei giorni sorsi è stato uno dei momenti della campagna informativa promossa da Amnesty International dal titolo “Mai più spose bambine”. L’iniziativa, che durerà fino al primo novembre prossimo, vuole contrastare le condizioni in cui 13 milioni e mezzo di ragazze ogni anno nel mondo sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni con uomini molto più vecchi di loro, e quelle delle circa 37 mila bambine che hanno un’infanzia negata. Le stime delle Nazioni Unite, attorno alle quali prende forma la campagna, parlano di “giovani isolate, poiché tagliate fuori da famiglia, amicizie e da qualsiasi altra forma di sostegno, perdono la libertà e sono sottoposte a violenze e abusi”. Al microfono di Francesca Di Folco, il presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, spiega l’importanza della campagna per arginare i matrimoni precoci e forzati: 

R. – Sono dati drammatici, tanto che il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per la prima volta ha sentito la necessità di adottare una Risoluzione sulla prevenzione e l’eliminazione di questo fenomeno dei matrimoni precoci e forzati. Si pensi che queste bambine sono non soltanto isolate e tagliate fuori dalla famiglia: sono private della loro infanzia ma poi, spesso, sono sottoposte a ogni forma di violenza e di abuso. A volte rimangono incinta subito dopo il matrimonio e gli effetti di una gravidanza sulla salute di una bambina di 9, 10, 11 anni possono essere estremamente problematici.

D. – “Mai più spose-bambine”: Amnesty ha lanciato questa campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica e incrementare l’attenzione dei governi sui matrimoni precoci. Quali gli obiettivi specifici che intendete raggiungere?

R. – Con questa campagna noi vorremmo intervenire su quei Paesi – dallo Yemen all’Iran, all’Africa subsahariana, come nel Burkina Faso, ai Paesi dell’Asia meridionale in cui il fenomeno è più presente – per ottenere anche dagli stessi governi di questi Paesi modifiche normative che consentano di condurre con successo una battaglia. Questo è un fenomeno che dev’essere contrastato nel modo più efficace possibile: basti pensare che in Iran l’età legale per il matrimonio delle ragazze è di 13 anni e può essere anche abbassata con il permesso di un tribunale. In Yemen, ci sono bambine che sono date in sposa a un marito quando hanno ancora 8 o 9 anni. C’è poi il problema, anche, delle bambine rifugiate siriane, in questo periodo, in campi come quello di Zaatari in Giordania, dove anche qui vengono date in sposa molto, molto presto.

D. – E’ del 2 luglio 2015 l’adozione, da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, della prima risoluzione sulla prevenzione e l’eliminazione dei matrimoni precoci. Perché questa pratica è e resta così tanto radicata?

R. – Resta radicata in alcuni Paesi del mondo. Si inserisce spesso in una cultura che affonda le sue radici nel passato, ma che nel nome dei diritti umani dovrebbe essere superata: una cultura fondata sulla discriminazione, spesso sull’arretratezza culturale… Non è solo, come avviene per altre violazioni dei diritti umani di cui si occupa Amnesty International, un problema di violazioni da parte dei governi: è un fenomeno sociale in molti Paesi che gli stessi governi devono essere incoraggiati ad affrontare.

D. – Volendo tracciare una mappa delle zone interessate dal fenomeno, quali sono i Paesi nei quali i matrimoni precoci avvengono con maggior frequenza?

R. – Secondo l’Unicef, il Bangladesh è il Paese del mondo con il tasso più alto di matrimoni di bambine al di sotto dei 15 anni. Il problema, però, riguarda ad esempio anche l’Afghanistan, dove il 57% delle donne intervistate qualche anno fa era stata data in sposa prima dei 16 anni. In Maghreb, in Nord Africa, il problema si inserisce in un contesto di violenza contro le donne che comprende anche altri fenomeni, come ad esempio quello dei matrimoni riparatori che, dal punto di vista legislativo, è stato superato in Marocco ma non ancora in Algeria; anche in Medio Oriente, in Yemen, in Iran, in Siria, in tutti questi Paesi, soprattutto nelle zone rurali.

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Loppiano: Bartolomeo I dottore honoris causa in cultura dell'unità

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Verrà assegnato questo pomeriggio a Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, il primo dottorato honoris causa in Cultura dell'Unità da parte dell'Istituto Universitario Sophia di Loppiano, cittadella del Movimento dei Focolari in provincia di Firenze. La motivazione riconosce nel Patriarca un pioniere nel cammino ecumenico e nel dialogo tra le religioni, nonché un attivo promotore di pace e di giustizia. Al microfono di Adriana Masotti, la riflessione del preside dell'Istituto Sophia, don Piero Coda: 

R. – È proprio così. Il Patriarca Bartolomeo si è fatto – oramai da 25 anni, da quando è Patriarca – pioniere del dialogo tra le chiese in vista della piena unità; un dialogo che oggi trova con la fraternità così stretta con Papa Francesco una frontiera nuova e sulla frontiera del rapporto tra le religioni, per disinnescare i meccanismi di violenza nell’incontro tra i popoli, tra le culture e le convinzioni diverse. Si è inoltre reso protagonista nel rilanciare l’impegno alla custodia comune del Creato. Non per nulla Papa Francesco lo cita ampiamente nella Laudato Si'. Per tutti questi aspetti del suo ministero a raggio universale certamente il Patriarca Bartolomeo può e deve essere riconosciuto come un pioniere della cultura dell’unità.

D. – Di importanza storica alcune tappe recenti che hanno visto proprio Bartolomeo I insieme a Papa Francesco: la dichiarazione congiunta con il Papa a conclusione del pellegrinaggio a Gerusalemme nel 2014 e la presenza di Bartolomeo in Vaticano insieme al presidente Abu Mazen a Shimon Peres per pregare per la pace in Terra Santa …

R. – Esatto. Proprio oggi il Patriarca è giunto a Firenze. In un colloquio mi diceva come fin dall’inizio del Pontificato di Papa Francesco - e come era già stato con Papa Benedetto - questi anniversari così importanti dei 50 anni della conclusione del Concilio, l’abrogazione delle scomuniche, l’incontro tra Paolo VI ed Atenagora a Gerusalemme, dovevano essere riproposti per sottolineare che le nostre chiese continuano su questa via inderogabile per raggiungere la piena unità. Quindi le Chiese sono invitate dallo Spirito a farsi segno profetico di un incontro tra tradizioni diverse che però nascono dalla stessa radice e si proiettano in un’unica direzione che è quella di servire l’unità della famiglia umana.

D. – Parlare di unità in un mondo particolarmente diviso come quello di oggi sembra a volte un’utopia. Voi offrite un dottorato honoris causa proprio in cultura dell’unità. Perché?

R. – La cultura dell’unità è una profezia che Chiara Lubich, sospinta dal carisma dell’unità, cioè di realizzazione della preghiera di Gesù al Padre - che tutti siano uno - ha lanciato, non solamente come un messaggio di carattere spirituale, ma anche come un messaggio di carattere culturale: occorre trasformare i modi di pensare, di vedere di agire, informandoli all’incontro con l’altro, alla misericordia, come direbbe Papa Francesco. Nella Laudato Si', Papa Francesco dice addirittura che occorre una rivoluzione culturale che ci impegni a vivere la cultura dell’incontro. Quello in cui noi e i giovani che partecipano al nostro istituto crediamo è costruire ponti. Non è un’utopia, è una realtà, anzi è l’unica chance realistica per costruire un mondo più giusto dove tutti possiamo ritrovare noi stessi nel rapporto e nel dialogo con gli altri.

D. - Il Movimento dei Focolari e il Patriarcato di Costantinopoli: è una storia di amicizia di rapporti che inizia da lontano …

R. - Inizia da molto lontano, da quando Chiara Lubich, per una serie di circostanze, venne in contatto con quella straordinaria figura che è il Patriarca Antenagora. Da allora si stabilì una reciproca confidenza, una sintonia spirituale profondissima che entrò proprio in gioco in quel momento storico in cui, a conclusione del Concilio, si riallacciavano i rapporti tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. Da sempre Chiara ha portato nel suo cuore la Chiesa ortodossa e viceversa. Si pensi che il Patriarca Bartolomeo quando Chiara Lubich viveva gli ultimi momenti della sua vita - era ricoverata all’Ospedale Gemelli di Roma - con un gesto di grande fraternità, di squisita delicatezza, volle visitarla personalmente. Ecco, questo dice la profondità del rapporto spirituale e che questo dottorato honoris causa in qualche modo rinsalda e rilancia in una prospettiva nuova, tanto che si pensa appunto, a partire da questo momento, di instaurare anche a livello di dialogo, non solo della vita, ma anche culturale, dei nuovi momenti delle nuove forme di collaborazione tra il Movimento dei Focolari e la Chiesa ortodossa di Costantinopoli.

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E' morto mons. Lavagna: autore di teatro, radio, tv e opere liriche

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Si è spento ieri a Roma mons. Raffaello Lavagna, per anni collaboratore della Radio Vaticana. Nato a Savona il 22 ottobre del 1918, era autore di teatro, radio e televisione, nonché di canzoni e opere liriche. I funerali si sono tenuti questa mattina nella Cappella del Coro della basilica vaticana. Il servizio di Laura De Luca con l'intervista a mons. Lavagna di Elena Biggioggero: 

Il fisico tonico di un trentenne, la capigliatura fantasiosa di un direttore d’orchestra, i lineamenti scavati come in un tronco di quercia: così ricordiamo mons. Raffaello Lavagna, infaticabile autore teatrale e radioteatrale, oltre che regista radiofonico e televisivo e per lungo tempo critico teatrale per la Radio Vaticana. E’ morto ieri a Roma. Fra meno di tre anni ne avrebbe compiuti 100. Originario di Savona, da sempre appassionato di teatro, aveva fatto suo un motto di Pirandello:

“Questa frase diceva: ‘Il teatro è propaganda: ognuno fa la sua, però basta saperla fare’”.

Per la verve risoluta ricordava il don Camillo di Guareschi, per il variegato e qualificato repertorio messo su in 60 anni di carriera poteva competere con Strehler o Ronconi. Dal 1950 al 2011 ha firmato e allestito decine di spettacoli, dimostrando quanto produttiva può essere l’alleanza fra il palcoscenico e l’apostolato. Grandi classici, vite di santi, leggende e favole per bambini, e non solo spettacoli teatrali, ma anche radioscene che impreziosiscono gli archivi Radio Vaticana, allestimento di concerti e libretti di opere liriche, perfino spettacoli di burattini. Da Il gran teatro del mondo di Calderon de la Barca a Marcellino Pane e Vino con le musiche del maestro Alberico Vitalini, da Cuore di Edmondo De Amicis a Assassinio nella Cattedrale di Thomas S. Eliot, da Pinocchio ai Fioretti di san Francesco, fino al Trittico Colombiano e a Il Mistero del Corporale, su musica di Vitalini, portato in scena nl 2004 in occasione del Congresso Eucaristico Diocesano, spettacolo molto apprezzato da Papa Giovanni Paolo II. E anche un testo di grande lungimiranza, "Mio fratello negro", dedicato all’integrazione razziale e alla donazione di sangue:

“Mi aveva impressionato… Fare qualcosa per l’integrazione razziale. Allora inventai – diciamo così – uno spettacolo che poteva essere ambientato sia in America, ma anche in Africa, e in cui c’era una famiglia con un padre razzista, il quale non voleva che suo figlio, Jimmy, fosse amico del figlio della ‘serva’, badante di allora, negra. Quindi, a un certo momento, con il frustino il papà picchia il piccolo negretto e lo caccia via. Naturalmente, con il tema dell’integrazione razziale mi era venuto in mente di fare anche le gare e di abbinare a questo tema anche quello della donazione del sangue. Allora, siccome il bambino negro salva il bambino bianco, ma viene ferito mortalmente – dal momento che si trovano in Africa, in America, in una zona dove non c’è un ospedale – bisogna fare la donazione del sangue per salvare il piccolo. Ci provano la madre bianca, la madre negra, lo stesso dottore ecc.  però – come voi sapete benissimo – se il sangue non è compatibile, la donazione non si può fare. L’unico che non aveva provato con il suo sangue era il padre razzista. Allora mi ricordo sempre che dissi al ragazzo: ‘Tu, vai vicino al papà, lo tiri per la giacca e gli dici’: ‘Papà… perché non provi tu a donare il tuo sangue per salvare il piccolo?’. Il padre naturalmente risponde con un “Uffa!” – non vuol far vedere… – dice ‘Uffa! Avete sempre ragione voi ragazzi…!’. Però alla fine dona il suo sangue. Il dottore dice che il sangue è compatibile. Allora il piccolo bambino bianco, suo figlio, si rivolge al papà e gli dice: ‘Papà, adesso tu non puoi più picchiare il piccolo Tommy’. ‘Perché?’ risponde il papà. ‘Perché adesso, se gli hai dato il tuo sangue, Tommy è un po’ come se fosse mio fratello!’”

Molte le collaborazioni eccellenti di mons. Lavagna, da Andrea Camilleri a Gian Carlo Menotti, da Roldano Lupi a Renato Rascel, da Ernesto Calindri al giovanissimo Claudio Capone, da lui scoperto, da Roman Ukleja a Irene Papas.

“C’era una volta un convento, che un gruppo di frati si erano costruiti, pietra su pietra, sulle rovine di un vecchio castello…”

Mons. Raffaello Lavagna, infaticabile prete con la irrinunciabile missione del teatro e dello spettacolo, cosciente dell’importanza di veicolare il messaggio cristiano in forma gradevole e accattivante: una battaglia che, in anni molto lontani dagli attuali, lo vide spesso alle prese con le comprensibili resistenze di chi vedeva nel palcoscenico una specie di anticamera dell’inferno.

Tra le centinaia di aneddoti della sua lunga carriera amava ricordare l’osservazione che, dopo aver assistito a uno dei suoi spettacoli, un politico locale fece al vescovo: “Eccellenza, io, pur buon cristiano, qualche volta mi dà fastidio, mi scusi, il puzzo delle candele. Però oggi col teatro la predica me l’avete fatta, e anche bene!”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Aleppo: granata durante la Messa. Rischiata la strage

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Nella serata di ieri, un colpo di mortaio ha raggiunto la chiesa latina di Aleppo dedicata a san Francesco, nel quartiere di Aziziyeh, mentre nell'edificio sacro era in corso la liturgia domenicale. La granata, proveniente dalle aree in mano ai ribelli anti-Assad, ha raggiunto il tetto, creando uno squarcio nella cupola, ma non è penetrata nella chiesa, esplodendo all'esterno. 

Rischiata la strage per 400 fedeli. Solo 7 feriti lievi e danni al tetto della chiesa
​“Erano circa le sei meno dieci di sera, in chiesa c'erano circa quattrocento persone, e la liturgia era arrivata al momento della comunione” riferisce all'agenzia Fides il vescovo Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo per i cattolici di rito latino. “Se la granata fosse esplosa all'interno - aggiunge il vescovo francescano - sarebbe stata una strage. Invece ci sono stati solo sette fedeli feriti in maniera non grave dalla caduta dei calcinacci, e danni materiali sul tetto. Ringraziamo il Signore e la Vergine Maria. E anche i nostri fedeli, che anche dalle loro case sono accorsi subito a verificare i danni subiti dalla parrocchia e a ripulire l'interno della chiesa, così che già oggi vi è stata celebrata la Messa mattutina”. (G.V.)

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Pakistan. Rawalpindi: chiese gremite nonostante il rischio attentati

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Le speciali misure di sicurezza predisposte da polizia e autorità civili pakistane hanno scongiurato il verificarsi di incidenti durante le funzioni cristiane del fine settimane. Tutto questo, a dispetto delle minacce e degli allerta lanciati nei giorni precedenti, in cui si parlava di un pericolo concreto di attentati e attacchi mirati alle chiese, in particolare a Rawalpindi, nella provincia del Punjab. Nel mirino la comunità cattolica locale - riferisce l'agenzia AsiaNews - la Chiesa del Pakistan (protestante) e le Chiese presbiteriane. La minaccia alle chiese segue gli attentati avvenuti nei giorni scorsi contro la comunità sciita pakistana, una piccola minoranza in una nazione a larga maggioranza sunnita, che celebrava la festa dell’Ashura, in cui si commemora il martirio dell’imam Ali da parte del califfo omayyade Yazid I. 

Violenze per un attacco anti-sciita
Un attentatore suicida ha causato decine di vittime facendosi saltare in aria durante una processione a Jacobabad, nella provincia meridionale del Sindh, scatenando le ire della comunità sciita. Nelle ore successive all’attacco, un gruppo di cittadini esasperati per le violenze è sceso in piazza lanciando pietre ai poliziotti e incendiando auto e mezzi, lamentando la mancanza di sicurezza. 

La comunità cristiana ha celebrato senza farsi intimidire
In questo clima di violenze e tensione, anche la comunità cristiana - cattolica e protestante - ha celebrato le funzioni domenicali senza farsi intimorire dalle minacce di morte ricevute da gruppi estremisti. Gli estremisti vogliono colpire obiettivi appartenenti alle minoranze religiose, in risposta alla campagna militare “Operazione Zarb-e-Azb” lanciata dall’esercito nelle aree tribali e nelle roccaforti talebane. 

Le chiese gremite nonostante il rischio attentati
Interpellato da AsiaNews padre Arif Mani, sacerdote a Rawalpindi, racconta di essere “felice nel vedere la chiesa gremita di fedeli, nonostante il rischio di attentati. È tempo di restare saldi e uniti contro le violenze, di rinnovare ogni giorno la nostra fede”. Inoltre, aggiunge, i leader cattolici vogliono ringraziare i responsabili della sicurezza “che hanno vegliato sulle celebrazioni, svolgendo al meglio il loro compito”. Al termine delle celebrazioni domenicali una delegazione di cattolici e protestanti della città ha incontrato i responsabili della sicurezza e i capi della polizia, ringraziandoli per aver vigilato sulle messe e assicurato l’incolumità dei fedeli. 

Le componenti religiose del Pakistan
​Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). (J.K.)

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Vescovi Kenya: visita del Papa rafforzerà coesione nazionale

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La visita di Papa Francesco aiuterà a rafforzare la coesione nazionale minacciata da attacchi terroristici, corruzione, politiche che puntano alla divisione sfruttando l’elemento etnico. Ne sono convinti i vescovi del Kenya, che stanno moltiplicando appelli e indicazioni ai fedeli in preparazione della visita di Papa Francesco nel Paese, dal 25 al 27 novembre prossimi.

Accogliere il Papa come un dono di Dio
Mons. Philip Anyolo, vescovo di Homa Bay e presidente della Conferenza episcopale del Kenya, ha invitato i keniani ad accogliere la visita del Papa come un dono di Dio, per ricevere la Grazia portata dal Vicario di Cristo. Il coordinatore del comitato incaricato di preparare la visita di Papa Francesco, Stephen Okello, ha annunciato che il Santo Padre terrà incontri interreligiosi con musulmani, hindu, appartenenti alle religioni tradizionali, oltre ad incontrarsi con i leader delle principali confessioni cristiane, per ridurre la radicalizzazione e accrescere invece lo spirito di tolleranza e di mutuo rispetto. In particolare, ha sottolineato Okello, il Papa incontrerà le vittime del reclutamento forzato in gruppi armati, come gli Shabaab “incoraggiandoli a incanalare le loro energie ed i loro entusiasmo nelle giusta direzione”.

Negli slum di Nairobi il Papa rinnoverà l'appello per i poveri
​Altro punto importante della visita di Papa Francesco è l’incontro con gli abitanti degli slum di Nairobi, dove rinnoverà l’appello che “i poveri non possono essere abbandonati o ignorati”, e che “non si possono mettere in pratica politiche che vadano a loro detrimento”. (L.M.)

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Guatemala: Jimmy Morales eletto Presidente

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Il Guatemala ha vissuto ieri, il secondo turno delle elezioni presidenziali. La vittoria è andata a Jimmy Morales. Rappresentante del Frente de Convergencia Nacional (Fcn-Nación), Morales si è imposto con un ampio margine su Sandra Torres, dell'Unità Nazionale della Speranza: ha ottenuto infatti oltre il 95% dei voti.

Morales promette di combattere la corruzione
​Con una carriera di artista di comico e un diploma di ragioniere, Morales, 46 anni - riferisce l'agenzia Fides - ha anche fatto studi di teologia. Insieme alla sua contendente, Sandra Torres, ha promesso di lottare contro la corruzione di cui soffre il Paese. Male che la popolazione ha denunciato pubblicamente negli ultimi mesi, in modo particolare dopo le dimissioni dell’ex-presidente Otto Pérez Molina, ancora indagato. (C.E.)

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Haiti: voto nella calma e affluenza alle urne

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Si svolgono in un clima di caos e disagi, sotto tendoni affollati e un caldo torrido, le operazioni di spoglio dopo le elezioni generali di ieri ad Haiti, contrassegnate da un’atmosfera di relativa calma e una discreta affluenza alle urne. Questa la situazione nella zona metropolitana di Port-au-Prince come descritta dall’agenzia online “Alterpresse” che riferisce di irregolarità e ritardi riscontrati in numerosi centri di votazione in diversi dipartimenti del Paese.

Bilancio positivo del voto
Ciononostante, sulla giornata elettorale il capo della Missione di osservazione dell’Organizzazione degli Stati Americani (Moe-Oea), il brasiliano Celso Amorim, ha redatto un bilancio positivo: “Abbiamo osservato una partecipazione maggiore. Ciò è collegato alle misure adottate” ha detto in una conferenza stampa, riferendosi al rafforzamento della sicurezza per impedire nuove violenze come quelle verificatesi a pochi giorni dal voto.

Elogiata la popolazione haitiana per l'interesse al voto
Amorim ha elogiato la popolazione haitiana che, ha aggiunto, “ha mostrato un ampio interesse”, esortandola ad attendere la fine delle procedure di spoglio e la pubblicazione dei risultati. Anche il Consiglio elettorale provvisorio (Cep) si è “felicitato” con gli haitiani e i suoi operatori sparsi sul territorio nazionale. Il presidente dell’organismo, Pierre-Louis Opont, ha invitato gli elettori ad attendere la pubblicazione dei risultati evitando manifestazioni di piazza, promettendo che non dovranno aspettare a lungo, ma senza offrire una data certa.

Il Paese paga le conseguenze del devastante terremoto del 2010
​Per il momento non ci sono indicazioni sul possibile esito del voto anche a fronte dell’alto numero di candidati iscritti per succedere al Presidente Michel Martelly - 54 - due dei quali indipendenti. Nel Paese più povero delle Americhe, che ancora paga le conseguenze del devastante terremoto del gennaio 2010, si è votato anche per il secondo delle legislative e le amministrative: era dall’arrivo al potere di Martelly, nel maggio 2011, che ad Haiti non si organizzavano elezioni. (F.B.)

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Presidenziali Costa d'Avorio: affluenza ridotta ma nella calma

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Un voto avvenuto nella calma, anche se con un’affluenza più limitata che in passato e con difficoltà logistiche che hanno portato numerosi seggi ad aprire in ritardo anche di ore. Così fonti dell'agenzia Misna raggiunte in varie parti del Paese descrivono le elezioni presidenziali che si sono svolte ieri in Costa d’Avorio.

Voto nella calma ma con la paura di nuove violenze
Più che il risultato (favorito è il Presidente uscente Alassane Ouattara) l’incertezza riguardava la possibilità di nuove violenze, dopo quelle che nel 2010 avevano fatto oltre 3.000 morti. Un rischio che sembra, per ora, scongiurato anche in aree più favorevoli all’allora rivale di Ouattara, Laurent Gbagbo, attualmente in attesa di processo davanti alla Corte Penale Internazionale. “Qui 5 anni fa c’erano stati forti scontri e vittime, non è una zona favorevole a Ouattara" spiega da Anyama, nel circondario di Abidjan, padre Eugenio Basso, della Società delle Missioni Africane (Sma). "Ieri invece la popolazione ha seguito l’appello delle autorità alla calma, anche se l’affluenza è stata diversa da seggio a seggio e molti cittadini, dopo aver votato, si sono chiusi in casa per paura”.

Al di là dei risultati la gente vuole la pace
Affluenza più limitata e calma anche a Korhogo, non lontano dal confine con il Burkina Faso, area tradizionalmente favorevole a Ouattara dove comunque nel 2010 si erano verificati disordini.  “Hanno avuto il loro peso anche le divisioni tra gli oppositori: - spiega padre Marco Prada, missionario Sma - il partito di Gbagbo si è diviso in varie correnti e non è arrivata un’indicazione chiara su come comportarsi e anche i dissidenti dello schieramento di Ouattara erano orientati su almeno tre candidati, di cui due si sono ritirati prima dell’inizio dello scrutinio”. Quel che la gente vuole, ribadisce il religioso “è soprattutto la pace”.

Dati ufficiali non prima di venerdì prossimo
​I primi dati sull’esito del voto, riferisce la stampa, sono già attesi nelle prossime ore, ma per il risultato definitivo, spiegano le fonti della Misna, ci sarà da attendere, presumibilmente, almeno fino a venerdì. (D.M.)

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Malaysia: giovani asiatici "agenti di Vangelo"

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I giovani asiatici sono “agenti di Vangelo” di fronte a problemi come relativismo morale, discriminazione religiosa, povertà ed emarginazione: è quanto affermano i delegati della Pastorale giovanile dei Paesi asiatici in un recente incontro organizzato in Malaysia dal Desk dedicato ai giovani, nell’ambito dell’Ufficio per il laicato e la famiglia, in seno alla Federazione delle Conferenze episcopali dell'Asia.

I giovani asiatici hanno sete di Dio
Come riferisce l'agenzia Fides, l’incontro, a cui hanno preso parte 95 delegati dai diversi Paesi, è servito a confermare che nei Paesi asiatici la pastorale giovanile è fruttuosa: “I giovani sono una benedizione per la nostra Chiesa, per la quale rendiamo grazie” afferma il documento finale dell’incontro. "I giovani cercano la propria identità, la verità e il significato della vita. Come la Samaritana, hanno sete di Dio e cercano relazioni significative”, prosegue il documento, osservando: “Con la rapida evoluzione delle società asiatiche e l'impatto della tecnologia, hanno bisogno di una guida per trovare uno scopo e crescere in autostima”.

Le problematiche dei giovani migranti in Asia
Una questione emersa riguarda “i giovani divenuti migranti per cause economiche. In alcune parti dell'Asia, le vittime della tratta di esseri umani, clandestinità e lavoro forzato sono in gran parte giovani”. E se la risposta delle organizzazioni internazionale punta su “istruzione, occupazione e impegno”, la Chiesa in Asia ricorda “la necessità di una crescita più profonda nella relazione con Dio”.

Avere compassione per gli emarginati, ascoltare ed accogliere i giovani
​Fare Pastorale giovanile, hanno concluso i delegati asiatici, significa “avere una preoccupazione e compassione per tutti, soprattutto per coloro che sono disprezzati e ai margini della società; essere accoglienti e sinceramente interessati ai giovani, mostrando pazienza, presenza e disponibilità a instaurare relazioni autentiche; ascoltare i giovani con apertura, senza pregiudizio e in modo rispettoso, in modo da avviare un dialogo significativo, portandoli a scoprire il tesoro degli insegnamenti e l'esperienza di Cristo”. (P.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 299

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.