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Sommario del 24/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Relazione finale Sinodo: unanimità Commissione. Oggi il voto conclusivo

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Ore finali del Sinodo che oggi pomeriggio vedrà la votazione della Relazione finale in 94 punti redatto dai dieci membri della Commissione che lo ha votato all’unanimità e senza riserve. E’ quanto detto da padre Federico Lombardi, nella Sala Stampa vaticana, durante il consueto briefing al quale hanno perso parte, assieme al direttore, il cardinale Damasceno Assis, vescovo di Aparecida e vicepresidente dell’Assemblea sinodale, il cardinale Schönborn, arcivescovo di Vienna, e fratel Hervé Janson, priore generale dei Piccoli Fratelli di Gesù. Servizio di Francesca Sabatinelli: 

Un testo votato dalla Commissione all’unanimità, senza riserve, e questo è un messaggio significativo. Padre Federico Lombardi, durante il consueto appuntamento con i giornalisti, cita l’intervento tenuto dal cardinale Erdő subito dopo la lettura delle tre parti del testo ai Padri sinodali che oggi pomeriggio potranno così votare il documento con conoscenza di causa, ha precisato padre Lombardi:

"Hanno fatto un lavoro e chi lo vede, stasera pubblicato, un lavoro incredibile rispetto a quello che era l'Instrumentum laboris; è venuto fuori un ampio documento di 94 punti, votati oggi pomeriggio uno per uno dall’assemblea e questa mattina è stato letto integralmente, ed era necessario perché ne esiste solo il testo definitivo in italiano e la lettura permetteva anche di avere l’interpretazione nelle diverse lingue fatto da persone affidabili, e quindi i padri hanno potuto sentire con traduzione simultanea tutto il testo e rendersene conto".

La Commissione dei dieci incaricata della redazione della Relazione finale, ha spiegato padre Lombardi, si è riunita ieri per valutare e studiare le 248 osservazioni giunte in seguito alla lettura e al dibattito sul documento. E’ stato un lavoro intenso che ha portato alla presentazione in aula del testo definitivo, integrato dalle proposte ulteriori emerse nella giornata di ieri.

Il Sinodo si è svolto in un clima molto fraterno, ha detto il cardinale brasiliano Damasceno Assis, con un’ampia partecipazione di tutti permessa da una metodologia diversa rispetto al passato: si è data importanza ai Circoli minori, al lavoro dei 13 gruppi linguistici, il che ha consentito un vero scambio tra i Padri sinodali in un clima di molta libertà in cui tutti hanno preso la parola per esprimere le proprie opinioni. Attraverso questo dialogo e questo ascolto, ha quindi detto il porporato brasiliano, abbiamo cercato di trovare un modo per arrivare a delle conclusioni dentro lo spirito di comunione che deve chiudere questo Sinodo. Il Sinodo non è un parlamento - ha ribadito citando il Santo Padre - non si tratta di essere vincitori o meno, si tratta di cercare di capire quello che Dio vuole per la famiglia nel mondo di oggi e cercare il miglior modo per assistere e accompagnare le famiglie, aiutarle ad accettare queste sfide ed è questo lavoro che noi consegneremo al Papa.

Dell’importanza della nuova metodologia ha anche parlato il cardinale austriaco Schönborn che l’ha definita “un grande guadagno di questo Sinodo” e che poi ha invitato i giornalisti a non svilire il messaggio del Sinodo, il cui nucleo il cardinale ha ribadito con forza:

“L’esito di questo Sinodo per me è un grande sì alla famiglia. Che la famiglia non è superata, non è un modello passato, è io direi la realtà più fondamentale della società umana”.

In tempi difficili non c’è rete più sicura della famiglia anche se ferita, anche se ricomposta, ha aggiunto il cardinale Schönborn che ha poi sottolineato anche un altro punto: la grande sinodalità espressa dall'assemblea che si riflette nel documento. Ha poi chiarito che il tema della omosessualità è stato espresso nel documento dal punto di vista di come i cristiani potranno affrontare tali situazioni se si dovessero verificare nelle loro famiglie. Si tratta di un tema delicato, ha aggiunto:

“Molti hanno detto - potete immaginare le aree culturali, politiche, nelle quali il tema è troppo delicato - che averlo lasciato fuori non vuol dire che nelle aree come l’Europa, America del Nord, questo tema non sia un tema per la Chiesa, ma a livello di una sinodalità universale si deve rispettare la diversità delle situazioni politiche e culturali”.

Sui divorziati risposati, ha poi detto, la parola chiave è “discernimento”, perché le situazioni sono diverse. Il documento quindi non tocca la questione in modo diretto, ma obliquo, l’attesa di una risposta “sì o no” è una falsa domanda perché le situazioni sono talmente diverse da richiedere discernimento. Il documento finale, pertanto, offre criteri per il discernimento e l’accompagnamento di situazioni che il Catechismo chiama situazioni irregolari:

“Nell’insieme il messaggio del Sinodo è la famiglia stessa, è il grande sì alla famiglia.”

Per fratel Hervé, una delle grandi notizie di questo Sinodo è stata quella di dire che la Chiesa non esclude nessuno. Inoltre si è sottolineato che le famiglie non sono solo oggetto ma anche soggetto pastorale, il che conferisce loro una grande responsabilità; anche se le famiglie non sono pienamente in linea con quelle che sono le regole, le norme della Chiesa, rappresentano comunque un bene per la Chiesa che deve accoglierle con grande comprensione. Ed è quindi la misericordia il grande messaggio nel documento finale.

Diverse le domande poste ai relatori. Sulla decentralizzazione della Chiesa sia il cardinale Schönborn che il cardinale Damasceno Assis hanno rilevato che non significa nazionalizzare o continentalizzare la Chiesa cattolica. La comunione con il Papa è costante e questo è fondamentale perché è la testa del Collegio episcopale, ma secondo il principio di sussidiarietà è anche importante che le Conferenze episcopali possano avere competenze proprie, rispettando le proprie diversità. Circa la definizione di famiglia, è stato ribadito dal cardinale Schönborn che la famiglia è fatta di un uomo e di una donna, fedeli, aperti alla vita; la definizione biblica non esclude le situazioni di ricomposizione di famiglia, ha sottolineato, ma “uomo e donna e apertura alla vita” è l’unica definizione di famiglia. Il documento hanno quindi detto i relatori rivolge la sua attenzione alle famiglie in situazioni difficili, migranti, poveri, bambini di strada, e altre situazioni che devono essere affrontate.

Si legge poi un messaggio di incoraggiamento a tutti quei giovani che oggi scelgono di non sposarsi, per paura, a causa della precarietà lavorativa, per la difficoltà di formarsi una famiglia. In ultimo, dal documento partirà un importante richiamo alla politica, affinché adempia ai suoi doveri per sostenere la famiglia sotto tutti i punti di vista. In particolare, per quanto riguarda l’Africa e i Paesi emergenti, che protestano contro questo effetto combinato di intenzioni ideologiche e di aiuti finanziari, le istituzioni internazionali non possono imporre politiche familiari condizionando la concessione di crediti, finanziamenti e aiuti finanziari alla loro accettazione. Un appello arriva anche alle associazioni familiari affinché aiutino la famiglia a non rinchiudersi su stessa ma ad aprirsi a partecipare alla vita della società perché possa avere rilevanza nel dibattito politico.

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Sinodo. Appello per Medio Oriente, Africa, Ucraina: basta atrocità

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Battute finali al 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia: la Congregazione generale di stamani ha visto la lettura, in Aula, della Relazione finale, redatta dall’apposita Commissione di dieci membri nominata dal Papa. Nel pomeriggio, il testo verrà votato paragrafo per paragrafo. Spetterà poi al Pontefice decidere se pubblicarlo o meno. Intanto, è stato diffuso il messaggio del Sinodo per le famiglie che vivono in situazioni di conflitto in Medio Oriente, Africa ed Ucraina. Il servizio di Isabella Piro

“Non più violenza, non più terrorismo, non più distruzioni, non più persecuzioni! Cessino immediatamente le ostilità e il traffico delle armi!” Così si legge nel messaggio del Sinodo indirizzato alle famiglie del Medio Oriente. Il documento ricorda i “sanguinosi conflitti in corso” che provocano “inaudite efferatezze”. E cita le armi di distruzione di massa, le uccisioni indiscriminate, le decapitazioni, i rapimenti, la tratta delle donne, l’arruolamento di bambini, le persecuzioni a motivo religioso e etnico, la devastazione dei luoghi di culto, la distruzione del patrimonio culturale.

Violati diritti alla vita ed alla libertà religiosa
Tali “innumerevoli atrocità”, dice il messaggio, hanno costretto migliaia di famiglie a fuggire dalle proprie case e a cercare rifugio altrove, spesso in condizioni di estrema precarietà e di violazioni costanti del diritto umanitario internazionale, dei “principi fondamentali della dignità umana e della convivenza pacifica e armoniosa” fra i popoli, dei diritti alla vita ed alla libertà religiosa.

Pace, non con la forza ma con la diplomazia
Esprimendo poi gratitudine ai Paesi che accolgono i rifugiati – come Giordania, Libano, Turchia e numerose nazioni europee – il Sinodo assicura solidarietà e preghiera a tutti gli abitanti del Medio Oriente e chiede la liberazione di tutte le persone sequestrate.  La pace va cercata non con scelte imposte con la forza – ribadisce il messaggio – ma attraverso “decisioni politiche rispettose delle particolarità culturali e religiose delle singole nazioni”. Anche la comunità internazionale viene chiamata in causa affinché, messi da parte gli interessi particolari, cerchi soluzioni diplomatiche.

Non strumentare il nome di Dio per la violenza
“Siamo convinti – affermano i Padri Sinodali – che la pace è possibile e che è possibile fermare le violenze che in Siria, in Iraq, a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa”, perché  la riconciliazione è “frutto della giustizia, del rispetto e del perdono”. Di qui, il richiamo all’invito di Papa Francesco a non strumentalizzare per la violenza il nome di Dio, affinché “ebrei, cristiani e musulmani possano scorgere nell’altro credente un fratello da rispettare e da amare”.

Famiglie possano tornare a vita dignitosa e tranquilla
Infine, uguale preoccupazione, sollecitudine e amore vengono espressi a tutte le famiglie che si trovano coinvolte in situazioni analoghe in altre parti del mondo, specialmente in Africa e in Ucraina, “molto presenti” nel pensiero dell’Assemblea sinodale, affinché possano tornare a una vita dignitosa e tranquilla.

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Siria. Gregorios III: è il tempo della pace! Mai più la guerra!

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Sul messaggio ad una sola voce di tutti vescovi partecipanti al Sinodo in favore delle famiglie che vivono in situazioni di conflitto, in particolare in Medio Oriente,  Paolo Ondarza ha intervistato Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, in Siria: 

R. – Questo messaggio nel Sinodo sulla famiglia è veramente importantissimo, alla luce delle situazioni attuali di guerra in Medio Oriente, soprattutto della guerra contro e in Siria. Il Sinodo non poteva non fare cenno alla famiglia in Medio Oriente, e anche soprattutto alla pace e alla ricerca di quest’ultima. Per me due cose sono molto importanti: in primo luogo, che ci sia una voce unica della Chiesa a cominciare da quella del Santo Padre e poi delle Chiese. Spero si possa preparare un documento da proporre agli ortodossi, agli anglicani, i luterani, al World Council of Churches, e così rappresenterà veramente la voce della Chiesa. Adesso più che mai è necessario che la Chiesa si presenti al mondo come colei che fa la pace: beati coloro che fanno la pace. Partendo da questa voce unica, io credo che possiamo rivolgere un appello al mondo intero - a Stati Uniti, Russia, Unione Europea, Paesi arabi, e tra questi ultimi nessuno escluso, quindi Turchia, Arabia Saudita, Iran, Siria, Israele, Palestina, e anche tutti gli Stati musulmani – per dire: “Ecco, è il tempo della pace! Mai più la guerra!”. Credo che questi due aspetti – una voce della Chiesa e una voce unica di questi Paesi – porteranno davvero alla vittoria sul sedicente Stato Islamico. L’Is non può essere combattuto con le bombe o con le armi – no! – così si faranno solo più danni, ci saranno più vittime, e tra queste soprattutto la popolazione civile. Questa voce agirà da peso morale straordinario per vincere l’Is. Questa è la mia convinzione!

D. – Lei ha portato al Sinodo la voce delle famiglie della sua terra così sofferente… Che cosa vuol dire per le famiglie che lei qui rappresenta che dal Sinodo parta un messaggio per il Medio Oriente, per la pace nella vostra martoriata terra?

R. – Fin dall’inizio del Sinodo ho parlato con tanti Padri sinodali, con il Santo Padre e con la Segreteria di Stato, della necessità di fare un appello. Ringraziamo il Signore che questo appello è stato fatto, però io veramente vorrei anche di più. E questo è un mio desiderio molto molto speciale: intorno al Papa ci sono tanti cardinali, ce ne sono abbastanza… Ecco, ora vogliamo che ci siano anche dei patriarchi. Per questa ragione ho proposto per iscritto e ho parlato anche con tanti cardinali, con il Santo Padre, affinché si crei un Consiglio dei Patriarchi cattolici dell’Oriente attorno al Santo Padre. Questo è importante dal punto di vista ecclesiale, sinodale, ecumenico, per il dialogo tra musulmani e cristiani, per la pace: per tutti questi aspetti. Si tratta di un 'momentum' nel senso latino del termine: vuol dire che è il momento favorevole per creare questo Consiglio. Credo che, se ciò dovesse essere portato a termine, molti problemi potranno essere presentati al Santo Padre in maniera continua. Sarà un'aiuto all’interno della Segreteria di Stato, ogni giorno in relazione con le situazioni del Medio Oriente, affinché la Chiesa sia presente. La Chiesa non può oggi essere assente: non bastano le dichiarazioni o le parole bellissime del Santo Padre. Serve una task force: il mondo la esige; la forza, ma non quella delle armi, la forza morale!

D. – Un’ultima riflessione sui lavori del Sinodo sulla Famiglia che lei ha seguito per tutte e tre le settimane. Qual è la sua opinione di quanto è uscito da questa Relazione finale?

R. – Ora stiamo leggendo questa Relazione finale - anzi finalissima - perché tutti ora hanno presentato ed esposto le loro posizioni. Io credo che questo Sinodo rappresenti un successo, e il fatto che sia stato organizzato per due anni di seguito testimonia l’interesse della Chiesa per le famiglie e per la famiglia nel mondo. Non si tratta solo di una parola cristiana per i cristiani, ma di una parola cristiana per il mondo. Credo che siamo tutti in attesa della nostra parola. E della verità, ma con un grande grande amore: senza amore le verità non possono esserci. Perché Giovanni ha detto: “Dio è amore”; Gesù ha detto: “Io sono la verità, ma anche l’amore”. Quindi possiamo vedere come mette sempre la verità in mezzo a noi, ma nessuno deve escludere, fare compromessi o lasciarsi andare al lassismo. No! andare con questa verità verso ciascuno perché la verità sia per ciascuno la sua ispirazione. È difficile, illegale, incongrua, peccaminosa, ma la Chiesa è accanto a lui. La Chiesa rivolge una parola di amore per il mondo, per tutte le famiglie del mondo, dicendo: “Noi vi amiamo!”.

D. – E questa parola sta uscendo da questo Sinodo?

R. – Sì, c’è sempre la misericordia. Il Santo Padre in questo è un maestro e noi non possiamo che seguire il suo insegnamento.

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Mons. Ngalalekumtwa: Chiesa ammira bellezza della famiglia

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Mostrare la bellezza della visione cristiana del matrimonio e della sessualità umana. E’ una delle proposte partite dal sinodo dei vescovi che più volte ha precisato come la famiglia, fondata sull’unione tra un uomo e una donna, preceda la società. Al microfono di Paolo Ondarza la riflessione di mons. Tarcisio Ngalalekumtwa, presidente della Conferenza Episcopale della Tanzania: 

R. – Prima di tutto, parliamo della bellezza della famiglia, perché mi sembra proprio negativo cominciare con i problemi… Cioè, la famiglia che viene considerata secondo noi dev’essere la vera famiglia, che è composta da un uomo, una donna e dei figli che si amano, che si vogliono bene e fanno una chiesa domestica, nel senso che tramite la preghiera, la testimonianza della vita anche, cercano di far conoscere Cristo, ciò che Cristo è anche alle altre famiglie. Lui è Colui che guida l’umanità. Poi, i problemi non mancheranno mai. In famiglia, se veramente vuole essere una famiglia cristiana, i coniugi devono essere fedeli l’uno all’altro. Questa fedeltà è l’elemento che può garantire la solidità della famiglia. Due che si vogliono bene avranno anche la possibilità di discutere tra loro dei problemi, di chiedersi scusa l’un l’altro. Avranno anche la possibilità di dire “grazie” l’uno all’altro. Ma quando vengono a mancare questi elementi, allora nascono dei problemi: viene a mancare la fedeltà, il dialogo non c’è più… Poi, anche i bimbi sono quelli che soffrono di più perché non hanno di fronte ai loro occhi l’esempio dei loro genitori che si vogliono bene.

D. – Ecco, dunque lei valorizza il ruolo positivo della famiglia di cui troppo spesso si ignora l’esistenza. Effettivamente, si problematizza molto, si parla della crisi della famiglia che sì, esiste, ma se c’è una serie di problemi c’è anche una serie di risorse che aiutano la società e la Chiesa ad andare avanti…

R. – Ma certo! Una persona umana nasce in una famiglia, cresce in una famiglia, impara a vivere in quella piccola comunità che è la famiglia …

D. – Nonostante la famiglia spesso venga oggi posta in discussione nella sua struttura antropologica – quindi, una famiglia tra uomo e donna – la ragione ci dice che la famiglia precede la fondazione della società, è una realtà che viene prima anche di qualsiasi realtà politica e istituzionale…

R. – Sì, perché nascono le persone che vengono educate, formate, che poi diventano membri della società civile, anche membri della Chiesa.

D. – Quindi, la Chiesa ha bisogno della famiglia: dalla famiglia nascono le vocazioni…

R. – Ma certo. Quindi, quando le famiglie sono in crisi, difficilmente avremo anche delle vocazioni di persone che si dedicano alla evangelizzazione, al ministero della Parola e dei Sacramenti, anche di persone che si dedichino alla vita consacrata.

D. – Che cosa, secondo lei, sarebbe importante che uscisse fuori per la famiglia da questo Sinodo?

R. – Ci dev’essere un messaggio: qui parla la Chiesa. La bellezza della famiglia, la necessità di un impegno: per formare una famiglia bisogna che ci sia un impegno totale, un dono di sé che sia aperto alla vita comunitaria che a sua volta sia aperta a ricevere, ad accogliere altri membri dell’umanità, cioè la filiazione.

D. – Si può immaginare un futuro della società con una famiglia diversa da quella che da sempre ha costituito la storia dell’umanità, così come vuol essere proposta in quest’ultimo periodo?

R. – Secondo me, ciò che si propone è una cosa che è ingiustificata perché poi finiamo per dire che vogliamo mettere fine all’umanità. Quindi, questo non è giustificato. E’ egoismo ed è proprio un male da condannare.

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Mons. Simard: nel cuore del Sinodo ogni situazione delle famiglie

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Non solo divorziati risposati. La Chiesa vuole camminare insieme a tutte le famiglie del mondo. E’ quanto spiega al microfono di Paolo Ondarza il vescovo di Valleyfield in Canada, mons. Noël Simard

R. – La Chiesa vuole aiutare, camminare con tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle che sono quelle davanti a grossi problemi, come quelle dei rifugiati, quelle che vivono in strada… Alcuni dicono che noi siamo troppo concentrati sulla comunione ai divorziati risposati, però ci sono tanti altri problemi. Ci si deve occupare dei bambini, dei ragazzi, dei genitori, degli anziani… Non è quindi soltanto una questione di dare o no la comunione ai divorziati risposati. Si deve essere attenti e manifestare misericordia. Però, dobbiamo preoccuparci di tutti i problemi di tante, di tutte le famiglie del mondo. Il messaggio di Gesù è per tutti!

D. – Rileviamo come, nelle varie società, ma specie quelle occidentali, oggi il concetto stesso di famiglia è soggetto a interpretazioni varie. Ovvero, non si parla più necessariamente di famiglia come di quella composta da un uomo e da una donna, ma si apre a varie tipologia di famiglie. La Chiesa cosa dice, rispetto a questo?

R. – La Chiesa dice ancora che la famiglia, il modello della famiglia, è la Sacra Famiglia e propone come ideale il modello della famiglia che comporta un padre e una madre e i figli. Questo è il modello. Però, sappiamo che oggi ci sono altri modelli, come le donne che vivono da sole con i figli o anche padri che vivono da soli con i figli. Allora, non si può dimenticare queste famiglie. E’ sicuro che c’è un modello, un ideale, però c’è la realtà. Come fare per tenere conto della famiglia?

D. – E’ importante continuare a parlare di una verità, di un disegno di Dio sulla famiglia?

R. – Sì, Dio ha un piano sulla famiglia, perché la famiglia è l’avvenire dell’umanità. Se le famiglie vanno bene, la società va bene. La famiglia è dove i ragazzi, la persona umana può trovare la sua identità. E la famiglia è anche il centro, il cuore della società. Allora, se il cuore non batte bene, la società va male.

D. – Dunque, non solo divorziati risposati al centro di questo Sinodo, ma tutte le problematiche della famiglia, tutte le potenzialità della famiglia, che la Chiesa vuole valorizzare. Ce n’è una in particolare, di queste questioni, che secondo lei meriterebbe di essere maggiormente evidenziata e che forse ha avuto poco risalto finora?

R. – Credo sia la questione delle famiglie che vivono in strada, le famiglie che devono fuggire dal loro Paese… Credo che non ne abbiamo parlato abbastanza… Della violenza nelle famiglie, causata dalla droga, dall’alcol ma anche dalla guerra… I giornalisti a volte sembrano essere concentrati sul problema della comunione ai divorziati risposati, invece in questo Sinodo sono state toccate tutte le problematiche.

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Mons. Peña Rodriguez: Sinodo si basa sul Magistero dei Papi

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Il magistero della Chiesa sulla famiglia e sul matrimonio è un tesoro da valorizzare e riproporre nella sua attualità di fronte alle sfide per l’uomo e la donna di oggi. Più volte questa necessità è risuonata all’aula del Sinodo, come conferma mons. Gregorio Peña Rodriguez, presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Dominicana, che al microfono di Paolo Ondarza delinea un ritratto della famiglia nel suo Paese: 

R. – Uno dei problemi principali nella famiglia è quello della separazione dei coniugi, quando lasciano i figli alla cura di uno soltanto dei genitori. Dobbiamo andare in loro aiuto e vedere cosa possiamo fare per loro.

D. – Qual è il carattere della famiglia della Repubblica Dominicana?

R. – La maggioranza delle famiglie della Repubblica Dominicana sono cristiane e cattoliche. Loro sono obbedienti a quello che dice la Chiesa, alla Dottrina della Chiesa, in relazione alla famiglia.

D. – Non si avverte la distanza tra ciò che dice la Chiesa e ciò che è la vita concreta…

R. – No, no, possiamo dire il contrario: quello che dice la Chiesa è un grande contributo per la famiglia.

D. – Come, secondo lei, il magistero della Chiesa, in particolare le passate encicliche riguardanti la famiglia, i temi della vita – l’Enciclica “Humanae vitae” o la “Familiaris consortio” – possono contribuire ed illuminare il lavoro di questo Sinodo?

R. – Quelle Encicliche dei Santi Padri sono veramente illuminanti in questa circostanza per cui stiamo lavorando adesso. Possiamo dire che siano il fondamento sul quale noi dobbiamo lavorare.

D. – Hanno una loro validità per i tempi di oggi?

R. – Sì, sì, e tanto.

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Shevchuk: coscienza e legge morale non sono contrapposte

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Per una valutazione sulla relazione finale del Sinodo letta integralmente in aula questa mattina e che sarà votata nel pomeriggio, Paolo Ondarza ha intervistato l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatolslav Shevchuk, Capo del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina: 

R. – Io personalmente sono soddisfatto, anzitutto perché siamo riusciti a condividere tante esperienze che vive la Chiesa cattolica e soprattutto la famiglia cristiana nei vari Paesi del mondo. Abbiamo avuto questa sensazione della cattolicità, di comunione nella fede cattolica così come nell’insegnamento morale. Perciò quello sulla relazione non sarà un voto spaccato, perché realmente i vescovi – anche condividendo inquietudini diverse – sono dello stesso spirito: la dottrina santa della Chiesa cattolica non soltanto non si mette in dubbio, ma – secondo me – di fronte a queste nuove sfide avrà un ulteriore sviluppo.

D. – Che cosa dire in merito al discernimento che il singolo vescovo sarà chiamato ad assumere nei confronti delle situazioni più delicate e più difficili?

R. – Il discernimento di ogni singolo vescovo, ma anche di un confessore, rimane lo stesso che in precedenza. Talvolta, però, le situazioni che emergono oggi sono più difficili da discernere: quindi, secondo me, dopo questo Sinodo forse alcuni dicasteri specializzati della Curia Romana dovrebbero emettere alcuni orientamenti per i confessori, affinché abbiano un orientamento su come procedere, perché è emerso chiaramente che quello che oggettivamente sembra lo stato di un peccato grave, soggettivamente talvolta non è imputabile pienamente. Come dice il Catechismo della Chiesa cattolica ci sono circostanze che diminuiscono la responsabilità soggettiva in queste situazioni. Perciò per discernere questo livello della imputabilità bisogna avere sì un senso spirituale, ma anche una buona preparazione teologica e pastorale dei confessori e anche dei padri spirituali.

D. – Coscienza e legge morale: in quale rapporto devono essere poste queste due importanti dimensioni, alla luce di quanto dibattuto qui al Sinodo?

R. – Coscienza e legge morale non sono contrapposte. Come dice la Gaudium et Spes, la coscienza scopre in sé la legge morale: la coscienza è questo spazio sacro del cuore umano in cui si ascolta la voce di Dio. Certamente una coscienza ben formata mai contraddice le norme morali oggettive e mai contraddice la verità rilevata. Questa coscienza deve essere, però, guidata! E’ per questo che nei miei interventi ho insistito tanto sulla direzione spirituale. Questa è una assistenza che la Chiesa deve dare: un discernimento, anche spirituale, che sempre viene effettuato per opera dello Spirito Santo.

D. – Per quanto riguarda le persone con tendenza omosessuale il Sinodo ha confermato quanto presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica o c’è un nuovo atteggiamento verso queste persone?

R. – Non c’è alcun nuovo atteggiamento. Anzi molti padri hanno insistito sul fatto che di questo tema non si dovrebbe parlare adesso, perché – diciamo – non ha niente a che fare con il tema della famiglia. Le convivenze delle persone dello stesso sesso non possono essere chiamate famiglia. E’ una situazione che deve essere interpreta alla luce della morale sessuale cattolica. Non è il tema centrale di questo Sinodo. Perciò non c’è stata una riflessione su questa problematica. Semplicemente viene citato esplicitamente il Catechismo della Chiesa Cattolica al riguardo.

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Cordoglio del Papa per le vittime dell'incidente in Francia

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Cordoglio del Papa per le vittime del grave incidente stradale avvenuto ieri nel sud della Francia, nei pressi di Bordeaux. Papa Francesco - si legge nel telegramma a firma del segretario di Stato, card. Pietro Parolin, all’arcivescovo di Bordeaux, Jean-Pierre Ricard - si unisce alla preghiera e al dolore delle famiglie e consegna le vittime alla misericordia di Dio, affinché le accolga nella sua luce. Il Pontefice esprime poi la sua vicinanza spirituale a tutti i feriti e ai loro familiari, ma anche ai soccorritori. Il Santo Padre invia infine una particolare benedizione apostolica a tutti coloro che sono stati colpiti da questo dramma

Lo scontro fra un pullman e un camion ha causato la morte di almeno 42 persone, per lo più anziani, in gita. Tre persone sono uscite indenni e altre 5 sono rimaste ferite. “Il governo francese è totalmente mobilitato per questa immane tragedia”, ha dichiarato il presidente Hollande. Il premier Valls: "La Francia è in lutto".

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Il card. Bo inviato del Papa al Congresso eucaristico di Cebu

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Papa Francesco ha nominato il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon in Myanmar, come suo inviato speciale per il 51.mo Congresso eucaristico internazionale, che sarà celebrato a Cebu, nelle Filippine, dal 24 al 31 gennaio 2016.

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Francesco nomina mons. Gualtieri nunzio in Maurizio

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Papa Francesco ha nominato nunzio apostolico in Maurizio l’arcivescovo Paolo Rocco Gualtieri, nunzio apostolico in Madagascar e nelle Seychelles.

In Benin, il Papa ha nominato vescovo della Diocesi di Porto Novo il sacerdote Aristide Gonsallo, finora parroco di S. Martino di Panapé. Il Rev.do Aristide Gonsallo, è nato a Cotonou il 4 settembre 1966. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per l’Arcidiocesi di Parakou, il 27 dicembre  1992. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricevuto le seguenti destinazioni: dal 1992 al 1997 Docente al Seminario Minore di Parakou, dal 1997 al 2001: Studi di specializzazione in Teologia e Lettere Moderne l’Università Cattolica di Angers; dal 2001al 2003: Docente al Seminario Minore di Parakou; dal 2003 al 2004: Dottorato in Teologia all’Università Cattolica di Angers; dal 2004 al 2008: Docente al Seminario Minore di Parakou; dal 2008 al 2012: Master e Dottorato in Lettere Moderne all’Università statale di Angers; dal 2013 al 2015: Parroco di S. Martino di Panapé, Cappellano dell’Ospedale diocesano ed incaricato della riorganizzazione del servizio sanitario diocesano.

La Diocesi di Porto Novo (1955), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Cotonou. Ha una superficie di 4.545 kmq e una popolazione di  1.720.996  di abitanti, di cui 650.000 sono cattolici. Ci sono 74 parrocchie. Vi sono 215 sacerdoti diocesani e 12 sacerdoti Religiosi, 124 Suore e 83 Seminaristi. La Diocesi di Porto Novo, è vacante per morte dell’Ordinario, mons. René-Marie Ehuzu, deceduto il 12 ottobre 2012. E’ attualmente governata da un amministratore apostolico, nella persona del padre Jean-Benoît Gnambode, Sulpiziano.

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Papa, tweet: sviluppo economico sia umano e non faccia esclusi

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Lo sviluppo economico deve avere un volto umano, così che nessuno rimanga escluso”.

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Pellegrinaggio gitani. Vegliò: sono al centro della Chiesa

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Ha preso il via il Pellegrinaggio mondiale del popolo gitano organizzato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in occasione del 50.mo anniversario della storica visita di Paolo VI al campo nomadi di Pomezia, avvenuta il 26 settembre 1965.  Oltre 5000 i gitani arrivati a Roma da tutti i Paesi d’Europa, dall’America e dall’Asia. Lunedì prossimo, a conclusione del Pellegrinaggio, Papa Francesco riceverà i partecipanti in udienza nell’Aula Paolo VI. Sull’importanza dell’incontro tra la Chiesa e gli zingari nel ’65, Fabio Colagrande ha chiesto al cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del dicastero che ha promosso l’evento di questi giorni: 

R. – Fu un fatto importantissimo perché era la prima volta che il Papa incontrava persone di questa etnia. Quindi, celebrare il 50.mo anniversario io credo sia bene per incoraggiare anche l’impegno pastorale della Chiesa in favore delle popolazioni zingare e non sempre la gente ha atteggiamenti molto positivi verso queste persone. Non dobbiamo dimenticare che si tratta di un popolo numeroso, in tutto il mondo sono circa 35, 36 milioni. In Europa, sono 12-13 milioni, quindi è una cosa seria.

D.  – Quale fu l’importanza storica della visita alla quale faceva riferimento poco fa? Fu davvero una visita che poi ha lasciato un’impronta molto importante?

R. – Certamente, perché era la prima volta che questo popolo si incontrava con il Papa e c’è stato certamente un avvicinamento tra Chiesa e popolo zingaro perché Papa Paolo VI ebbe quelle bellissime parole: “Voi nella Chiesa non siete nella periferia, nei margini, voi siete proprio il centro, il cuore della Chiesa”. Questa è una bellissima frase che ha colpito questi zingari. In verità, erano nel cuore di Paolo VI, il Papa di una Chiesa che cominciava allora a rivolgere una particolare attenzione a questo popolo, perché prima non c’era mai stato un contatto significativo. E poi sempre è un’opportunità  l’anniversario. Si guarda indietro vedendo quello che uno ha fatto per esaminare quello che uno sta facendo, ma soprattutto penso per il futuro, cercando di fare meglio di quello che è stato fatto e si sta facendo. In una realtà sociale che cambia, la pastorale degli zingari ha bisogno di cambiare, di rinnovare strategie pastorali, nuovi metodi. Quindi, è stato molto importante allora ed è ancora importante, perché da allora si raccolgono i frutti e noi cerchiamo di sensibilizzare il popolo.

D. – Un’altra pagina importante di questa storia della pastorale specifica per i gitani è stata l’udienza di Benedetto XVI del giugno 2011 a circa 2000 rappresentanti di varie etnie di nomadi. Lei era presente, che ricordi ha di quel momento?

R.  – Ricordi bellissimi, intanto per come è nata l’udienza – perché parlando con il Papa, lui ha detto: “Sì, faccio un’udienza privata per loro qui in Vaticano”. Ed era la prima volta che un Papa ha invitato qui a casa sua, cioè nel Vaticano, il popolo gitano. Quindi, anche loro sono stati colpiti ed erano contentissimi, dicevano: “Ah finalmente siamo arrivati in Vaticano, a noi piace molto questo!”. Penso che loro abbiano avuto un’apertura verso la Chiesa e anche la Chiesa abbia avuto un impulso, perché è un popolo con il quale in un modo o nell’altro ci deve essere qualche collaborazione. Nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle Congregazioni religiose dopo questo bellissimo incontro del giugno 2011 si sono fatti passi in avanti. Certo, non è che siamo al top. Bisogna fare tante cose ancora, sia noi avvicinarsi a loro che loro si comportino meglio nella società, si facciano amare di più, perché quei pochi o molti casi poco belli che avvengono con questo popolo nelle società, nelle nostre città, sono una vergogna per loro e in più mettono anche un certo imbarazzo nella popolazione gitana che si è ben inserita nella società.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Basta violenza, terrorismo e persecuzioni: mentre il sinodo si prepara a votare la relazione finale i padri lanciano un appello per il Medio oriente, l'Africa e l'Ucraina.

Incognita polacca: Francesco Citterich sulle legslative di domani.

Ogni cosa al suo posto: Timothy Verdon illustra il nuovo Museo dell'Opera del duomo di Firenze.

Il ritorno di Jeeg Robot: Emilio Ranzato recensisce la decima edizione del Festival internazionale del film di Roma.

La cella di Verlaine: Gabriele Nicolò su una mostra, a Mons, dedicata ai versi scritti in carcere.

Il furbo, il traditore e l'ingenuo: Paolo Vian sulla fortuna della "Vita di san Francesco d'Assisi" di Paul Sabatier, del 1893 (ora presentata nella versione di Giuseppe Zanichelli) e sull'ultratrentennale amicizia fra lo storico francese e Giulio Salvadori.

Un paese chiamato don Bosco: Grazia Loparco sull'immagine sociale del fondatore dei salesiani.

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Oggi in Primo Piano



Haiti al voto presidenziale nel pieno della crisi umanitaria

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Gli haitiani si preparano a scegliere il nuovo Presidente tra 54 candidati in lizza. Tra i favoriti Jude Celestin, ingegnere educato in Svizzera, Jovenel Moise, proprietario di un’azienda per l’export di banane e l’ex senatore Moise Jean Charles. Al nuovo Capo di Stato il compito di risollevare uno dei Paesi più poveri al mondo, messo in ginocchio dal sisma di magnitudo 7.0 del 2010 che uccise oltre 220 mila persone, ne lasciò senza casa un milione e mezzo e provocò un danno economico stimato al 120% del Pil. La comunità internazionale, che vuole evitare una replica delle violenze elettorali di agosto, ha dato al Paese oltre 30 milioni di dollari per organizzare il voto, mentre l’Organizzazione degli Stati Americani ha inviato 125 osservatori. In quale clima si svolge questo voto?Cecilia Seppia ha sentito Maria Chiara Roti, vicepresidente della Fondazione Francesca Rava che si occupa in prima linea degli aiuti ad Haiti, dove gestisce scuole, ospedali e programmi di formazione: 

R. – Sicuramente la situazione di Haiti rimane tutt’oggi una situazione molto fragile, sia dal punto di vista sociale che politico, che geografico. Haiti è uno dei Paesi più poveri al mondo e  vanta i peggiori ranking nel mondo di speranza di vita alla nascita, mortalità infantile, aspettative di vita, disoccupazione… Immaginate che il 70% della popolazione è disoccupata e vive con meno di un dollaro al giorno, 85 mila persone vivono ancora nei campi profughi. E' una situazione disperata.

D. – Lei era ad Haiti a luglio quando si sono svolte le elezioni legislative. Ha potuto vedere con i suoi occhi il fermento che c’è nella popolazione e il desiderio anche di democrazia, di ricostruzione, ma anche purtroppo la violenza che ha segnato quella tornata e che si teme possa segnare anche questo voto presidenziale…

R. – Lì il dibattito politico si fa per strada. Immaginate queste strade polverosissime, piene di motorette e di giovani, che indossano T-shirt con la foto del candidato. Le elezioni sono spesso momenti di scontro, di nuova violenza che viene generata dallo scontento, ma soprattutto dalla disperazione per la gravissima povertà, per la mancanza di infrastrutture in cui tuttora versa il Paese. Sia lo spirito elettorale, il clima per le strade, il dibattito elettorale, il dibattito tra la gente è diverso dai nostri, anche lo scenario politico è molto diverso dal nostro: non esiste destra o sinistra, ma esistono numerosissimi candidati che concorrono tutti per le idee del popolo e di fatto per i propri interessi, ma non sono all'altezza.

D. – Quali sono le sfide che si apriranno per il nuovo Presidente?

R. – Sicuramente la più grande sfida di questo Paese è avere infrastrutture: è un Paese che si trova ad un’ora e mezzo da Miami, è un Paese che condivide un’isola con la Repubblica Dominicana, in cui oggi però si muore di fame e di sete! Io quando vado - vado a Cité  Soleil, negli slam più poveri, dove la nostra organizzazione opera - vedo bambini e intere famiglie che vivono ancora in baracche di lamiera e che non hanno accesso all’acqua. Quindi la grande sfida di questo Paese è la ricostruzione e la creazione di infrastrutture. E questo vuol dire acqua, vuol dire strade, vuol dire elettricità.

D. – Il Papa in un suo appello ha chiesto di non dimenticare Haiti. Sappiamo che la Comunità internazionale si è data molto da fare per questa tornata, ha anche stanziato oltre 30 milioni di dollari per organizzare il voto… Ma cos’altro può fare? Su cos’altro deve spingere?

R. – Sicuramente la presenza, l’interesse per questo Paese e un reale impiego di forze, ma non solo di controllo e verifica come già da anni accade, perché sappiamo che le Nazioni Unite, con Minustah, hanno una presenza da molti anni nel Paese di monitoraggio ed osservazione.  Maggiori interventi strutturali nel Paese potranno aiutare il Paese stesso, servono fondi.

D. – Altro problema che si troverà ad affrontare il nuovo Presidente è sicuramente quello dell’emigrazione, perché – negli ultimi anni in particolare – molti haitiani tentano di fuggire da Haiti per raggiungere la Repubblica Dominicana…

R. – In questo momento la Repubblica Dominicana, quindi il Paese confinante con Haiti, ha ulteriormente chiuso i rubinetti dei passaggi di frontiera. Quello che sta succedendo, in questo momento, è un ulteriore restrizione degli haitiani che già vivevano nella Repubblica Dominicana senza documenti. Questi haitiani vengono chiamati “palomas blancas” – “uccelli bianchi”: sono persone senza identità, che vivono nei “Bateyes”, che sono villaggi molto poveri, costruiti in legno, che si trovano nelle zone limitrofe alle coltivazioni di canna da zucchero, dove questi haitiani migranti vengono impiegati. Ecco, il governo della Repubblica Dominicana sta stringendo anche sulla migrazione e quindi su haitiani che sono già presenti nel loro Paese e che non hanno né identità né diritti. Serviranno accordi e leggi per impedire questo.

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Presidenziali Costa d’Avorio: rinascita dopo violenze del 2010

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Si è ritirato dalla corsa presidenziale in Costa d’Avorio anche l’ex premier, Charles Konan Banny, che con diversi membri dell’opposizione aveva dato vita alla coalizione nazionale per il cambiamento. Nei giorni scorsi, altri due candidati avevano fatto un passo indietro. Per le elezioni di questa domenica nel Paese africano appare dunque sempre più favorito il capo di Stato uscente, Alassane Ouattara, a sua volta vincitore delle elezioni del novembre 2010, quando il rifiuto del predecessore, Laurent Gbagbo, di riconoscere il risultato delle consultazioni provocò 5 mesi di violenze, costati la vita ad almeno tremila persone. Per un quadro dell’attuale situazione, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Bouaké don Michele Stevanato, da 32 anni in Costa d’Avorio: 

R. – Da quello che posso constatare, la campagna elettorale si è svolta abbastanza bene, senza manifestazioni di tensione. Ieri sera è terminata. La popolazione – anche se ancora colpita dai momenti tragici vissuti nel 2010-2011 – ricerca comunque tranquillità e pace. E da quello che posso percepire dalla maggior parte degli elettori, credo che il presidente uscente sarà riconfermato al primo turno.

D. – L’opposizione critica la candidatura di Ouattara – addirittura ci sono state delle proteste quando è stata convalidata – e solleva dubbi sulla sua nazionalità. Perché?

R. – Questo è un problema, se vogliamo, di tipo politico. Ma bisogna sapere che la Costa d’Avorio, la sua parte nord, era chiamata il “Basso Volta”. L’“Alto Volta” è l’attuale Burkina Faso.

D. – Ouattara di che zona è?

R. – La famiglia sembra che si sia installata in prossimità di Dimbokro, nella zona centro orientale del Paese. Si può dire quindi che Ouattara per una parte è del Burkina Faso, però è vissuto praticamente qui.

D. – Da quello che ha potuto sentire, Ouattara è dunque dato come favorito. Ha dalla sua parte i dati economici. Secondo il Fondo monetario internazionale, il Pil, ad esempio, è in crescita… Ma i frutti di questo miglioramento economico si vedono poi tra la popolazione?

R. – Si vede che il Paese si è risollevato. C’è stata una forte crisi: dal 2002 fino agli avvenimenti tragici del 2010-2011, il Paese era in uno stato deplorevole e si è visto che è stato ricostruito. Sembra anche che la manodopera sia aumentata, che il lavoro sia aumentato, però nel concreto i soldi si vedono poco…

D. – Come vive la popolazione?

R. – Una parte della popolazione si è arricchita, però se vogliamo guardare bene intorno c’è ancora parecchia gente che vive in povertà.

D. – Eppure, la Costa d’Avorio è un Paese dallo straordinario potenziale agricolo…

R. – Attualmente, molti si dedicano alle piantagioni di hevea o altri alberi che possono essere trasformati per produrre la gomma.

D. – Il Paese è tra i primi produttori di cacao al mondo…

R. – Sì, più di un terzo della produzione mondiale avviene in Costa d’Avorio. Attualmente, ci sono stati miglioramenti anche per quanto riguarda la qualità del cacao, che è sorprendente.

D. – Una delle emergenze del Paese rimane quella delle armi da fuoco, che ancora circolano in Costa d’Avorio dopo l’ultimo conflitto. Cosa si sta facendo?

R. – Si sta lottando a livello politico e a livello locale per poter bloccare tutto questo commercio, perché purtroppo molti sono ancora in possesso di armi.

D. – Qual è oggi l’impegno della Chiesa locale per il Paese?

R. – La Chiesa locale lavora affinché ci sia più coesione nella popolazione per la pace, la fraternità e anche, secondo l’appello dei vescovi, per la riconciliazione e il perdono, perché i fatti e la tragedia del 2010-2011 hanno colpito moltissimo la gente. Quindi, il cuore di molti ivoriani non è stato ancora sanato. Allora, la Chiesa si impegna ad aiutare queste persone e tutti i cristiani a riconciliarsi.

D. – Questo potrebbe essere anche il primo impegno del prossimo presidente…

R. – Sì, poter riconciliare gli ivoriani anche con quelli che sono ospiti nel Paese, che non sono ivoriani. Dal momento che questi ultimi lavorano nel Paese, apportano il loro contributo allo sviluppo del Paese: bisogna quindi trattarli come fratelli.

D. – Qual è il suo auspicio per il futuro?

R. – Che veramente la Costa d’Avorio torni ad essere quella che è stata nel passato: un Paese dell’ospitalità e della fraternità.

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Caos Somalia, mentre migliaia di sfollati arrivano dallo Yemen

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Spaccatura in Somalia per gli al-Shabab. Il leader spirituale, Abdul Qadir Mumin, avrebbe giurato fedeltà al cosiddetto Stato slamico. Dal 2012, questa e altre fazioni sono legate ad al-Qaeda. E mentre il Paese rimane frantumato dalla guerriglia dei gruppi tribali, in migliaia arrivano dal vicino Yemen dove continua il conflitto tra ribelli sciiti Houthi e la coalizione araba a guida saudita. Da Mogadiscio, Daniele Bellocchio: 

Le vecchie vestigia del periodo coloniale italiano si alternano ai muri delle abitazioni sforacchiate dai colpi di kalashnikov e rpg. Gli oltre vent'anni di guerra sono visibili ovunque a Mogadiscio. Ogni casa porta i segni dei combattimenti, uomini armati viaggiano a bordo di pick-up su cui sono installate le mitragliatrici e gli sfollati interni sono oltre un milione. La Somalia è il luogo simbolo della dannazione in terra, ma oggi c'è chi vede nel Paese del Corno d'Africa una via di salvezza da un ulteriore conflitto. Sulle spiagge somale, infatti, sono sbarcati circa 30 mila yemeniti. Fuggono dagli scontri che sono in corso nello Yemen: a bordo di barconi attraversano il golfo di Aden e poi, una volta giunti sulle coste somale, vengono collocati nei campi profughi. Nella capitale Mogadiscio, oltre 500 famiglie yemenite vivono nella tendopoli che costeggia il lungo mare: neonati adulti e anziani condividono la miseria assoluta, la fame e le malattie. Mancano cibo e assistenza medica, ma abbonda la paura. C'è chi mostra le ferite riportate durante i bombardamenti, chi racconta di avere dei parenti in Germania che non sa come rintracciare e chi invece ha perso ogni familiare.

Tutti però sognano l'Europa, anche se l'unica certezza che hanno davanti a sé, ora, è il nuovo incubo dell'eterna guerra africana. Una realtà di morte e violenza che ben conoscono gli sfollati somali che vivono da anni nei campi disseminati nella capitale. Nel distretto di Abdaziz, c'è infatti chi abita tra lamiere e teli sdruciti da decenni, come Hassan Omar. E' un maestro coranico che non ha le risorse per fuggire dalla Somalia e quindi ha deciso di insegnare il vero islam alle nuove generazioni. Siede con le gambe incrociate in una baracca, che funziona da scuola, all'interno dell'area rifugiati. Centinaia di bambini lo ascoltano mentre spiega i pilastri della religione, perchè, come ha confidato lui stesso, ''in un Paese che ha conosciuto anni dittatura dell'eresia, tutto va ricostruito dalle fondamenta, anche la fede''.

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Sinodo Chiesa caldea. Patriarca Sako: Iraq ha bisogno di aiuto

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Fuga di massa dall’Iraq, violenze nel Medio Oriente, una Chiesa che vuole essere madre e sorella di chi chiede speranza. Sono molti e delicati i temi che da oggi al 29 ottobre prossimo si accinge ad affrontare la Chiesa caldea. Un segno delle gravi difficoltà che la riguardano viene dalla sede dell’assemblea sinodale, in precedenza convocata per lo scorso 22 settembre ad Ankawa, il sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani, dove sono ospitati anche buona parte dei profughi della Piana di Ninive fuggiti davanti all’avanzata dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Il Sinodo è stato rinviato e spostato a Roma, dove sono giunti i vescovi della diaspora, provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada e dall'Australia. Paolo Ondarza ha intervistato il Patriarca Louis Raphael I Sako, di Babilonia dei Caldei, presente al Sinodo sulla famiglia: 

R. – Abbiamo tanti soggetti da studiare, la nostra situazione in Iraq, in Siria, è una situazione precaria: come affrontare le sfide delle famiglie sfollate nel Kurdistan o anche nei Paesi vicini, l’esodo di massa – la gente va via, perché non vede una soluzione all’orizzonte – poi come riorganizzare la nostra Chiesa. In genere, infatti, durante le crisi, la Chiesa deve essere dinamica, forte, per dare speranza alla gente, soprattutto lì. La Chiesa, dunque, deve essere un segno di speranza per i cristiani, ma anche per i musulmani. I preti devono seguire una formazione permanente, sia quelli all’interno dell’Iraq sia quelli che servono fuori. Noi, purtroppo, abbiamo vissuto il dramma della fuga dei preti e dei monaci. Abbiamo anche bisogno di un aggiornamento della liturgia.

D. – Nello specifico, per quanto riguarda l’Iraq chiaramente grande attenzione sarà data ai tanti cristiani, come diceva, che sono fuggiti. Pensiamo ai profughi della Piana di Ninive, che sono appunto in fuga di fronte all’avanzata del Daesh, del sedicente Stato Islamico. Come la Chiesa si pone di fronte a questa minaccia? Quali suggerimenti, quali possibili soluzioni, lei si augura possano uscire da questo Sinodo?

R. – Prima di tutto, noi, come vescovi e preti sul posto, dobbiamo essere molto presenti tra loro, in mezzo a loro, così che non sentano di essere stati lasciati soli. Abbiamo anche chiesto la solidarietà della Chiesa universale. Io ho fatto un appello alle Conferenze episcopali occidentali, soprattutto americane, perché facciano pressione sul loro governo per cercare una vera e duratura soluzione pacifica per questi Paesi. Questo è molto importante. Invece di accogliere questi rifugiati, sarebbe meglio aiutarli a rimanere nel loro Paese, vivendo in pace e nella dignità. Ma c’è anche l’emergenza, il bisogno di aiutare queste famiglie. Noi ora non siamo capaci di rispondere ai loro bisogni. Abbiamo molto aiutato, ma adesso abbiamo bisogno dell’aiuto delle nostre Chiese nel mondo. Anche le agenzie di carità – Aiuto alla Chiesa che soffre, la Caritas, l’Oeuvre d'Orient, Misereor, Missio, la Conferenza episcopale italiana – ci hanno aiutato molto. Noi dunque siamo grati, ma aspettiamo anche un aiuto morale e spirituale, politico e anche economico.

D. – La questione del Medio Oriente, dei cristiani in Iraq, è stata anche presente qui al Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che si chiude mentre si apre il vostro della Chiesa caldea…

R. – Sì, certo. I problemi, infatti, non sono gli stessi per noi. Non c’è matrimonio civile, divorzio… Pochi i casi di annullamento. La famiglia è molto unita e vive in comunità. Le sfide di queste famiglie sono la persecuzione, le migrazioni, il fondamentalismo, l’essere emarginati da questa mentalità musulmana che non accetta l’altro. E noi dobbiamo fare qualcosa per loro.

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S. Luigi Guanella: un carisma vivo che si è diffuso nel mondo

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100.mo anniversario della morte di San Luigi Guanella, avvenuta il 24 ottobre a Como, il sacerdote fondatore delle Congregazioni cattoliche dei Servi della Carità e delle Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza. Per l’occasione, nei mesi scorsi è stato compiuto in diverse città d’Italia un pellegrinaggio dell’urna contenente le spoglie del Santo, di solito custodite nel Santuario del Sacro Cuore di Como. Don Guanella fu dichiarato Beato da Paolo VI il 25 ottobre 1964. A proclamarlo Santo in piazza San Pietro, il 23 ottobre 2011, fu Benedetto XVI. Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, dichiarò che "don Guanella è da annoverare tra i 'santi sociali'" per le sue attività caritative.

Oggi, giorno della sua festa liturgica e centenario della sua morte, a Como è stata celebrata una Messa solenne con la consacrazione di 4 nuovi confratelli, altre celebrazioni si stanno svolgendo in tutti i Paesi in cui le due Congregazioni si sono diffuse. Ma chi è stato San Luigi Guanella? Risponde, al microfono di Adriana Masotti, l’attuale superiore generale dei Servi della Carità, padre Alfonso Crippa

R. – Innanzitutto, è riconosciuto nella Chiesa come Santo, ma con delle particolarità. Il suo impegno particolare di apostolato è stato verso i poveri, le persone più abbandonate: a loro ha dedicato praticamente tutta la sua vita. Era sacerdote diocesano e ha voluto staccarsi dalla diocesi per iniziare un progetto di vita religiosa, sia con le sue suore e poi con i suoi Servi della Carità – i sacerdoti – per poter assicurare a tante persone, a quei tempi molto abbandonate anche dal servizio sociale, una famiglia, un servizio, specialmente agli anziani, i disabili e i ragazzi abbandonati.

D. – Come ha detto lei, don Guanella ha voluto rivolgersi con le sue opere al sostegno dei più abbandonati, a coloro che, diceva, sono “poveri nell’ingegno, nella salute o nelle sostanze”. Le due Congregazioni fondate da lui continuano questo impegno: c’è qualcosa di nuovo, di diverso, che è maturato nel tempo?

R. – Normalmente, si è seguito il pensiero del fondatore, però adattandolo poi alle diverse circostanze e ai cambiamenti anche storici ecc. In questi ultimi 20-30 anni, le Congregazioni si sono lanciate verso l’espansione nel mondo. Ci sono state espansioni in altre nazioni dove è stato portato il suo carisma e quest’ultimo sta muovendo anche le società di questi Paesi, facendo capire loro il valore e la dignità di tutti gli uomini, anche di quelli più semplici, dei più limitati.

D. – Si tratta di case di cura, di riabilitazione…

R. – Qui, in Italia, si tratta in particolare di case di cura – assistenziali – per gli anziani e i disabili, ma nelle varie periferie del mondo ci sono diverse forme per arrivare ai poveri, come portare un senso di solidarietà anche in famiglie che tengono nascoste queste debolezze umane. Però, normalmente, abbiamo delle strutture nelle quali cerchiamo di organizzare il nostro servizio nelle forme più moderne possibili, per poter sollevare queste realtà che hanno bisogno anche di tecnica, di conoscenza e di professionalità.

D. – Proprio oggi i Servi della Carità hanno accolto quattro nuovi confratelli: un gesto anche simbolico…

R. – Sì, abbiamo voluto realizzare la professione perpetua di questi quattro confratelli che sono in Italia – e a cui se ne aggiungono altri sette che sono a Kinshasa in Congo – proprio nel giorno in cui il fondatore ci lasciava, ma lasciava in eredità il suo spirito che è stato raccolto, specialmente adesso con le vocazioni nuove che abbiamo dall’Africa e dall’India. E questa sembra quasi la forma più bella per dire che il carisma è ancora vivo.

D. – Per concludere, ci ricorda una frase – un’espressione – usata da San Luigi Guanella che dica in sintesi un po’ il suo cuore, la sua anima e il suo stile di vita?

R. – Ci sono due o tre slogan importanti. Come missione siamo chiamati a dare “pane e paradiso” – sollievo materiale ma anche spirituale per queste persone che ne hanno bisogno. Allo stesso tempo, lui era convinto che tutto viene fatto bene “se parte dal cuore e arriva al cuore”. La nostra missione è quella di suscitare e di accompagnare anche nei più deboli questo senso di Dio, che è poi quello che salva il mondo. Dobbiamo solamente avere questa fiducia nella Provvidenza: lui vedeva la Provvidenza che guida la storia dell’umanità.

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Cattolici e politica, in un libro storia e personaggi

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“La politica dei cattolici”, questo è il titolo del libro presentato ieri a Roma a Montecitorio, secondo l’iniziativa promossa dalla Presidenza della Camera dei deputati. Chi sono i cattolici politici, quale la loro identità, quale il loro ruolo nella storia d'Italia: a queste e altre domande risponde l’autore Paolo Pombeni, nell’intervista di Alessandro Filippelli

R. – Il ruolo dei cattolici in politica è stato vario, a seconda dei tempi in cui questo si è verificato. In una prima fase, è stato il ruolo di chi ha voluto affermare, in uno Stato che tendeva a essere omogeneizzante dall’alto – com’era lo Stato liberale – il fatto che esistevano delle componenti di tipo culturale diverso. Poi, naturalmente – fra parentesi, il problema complicato del rapporto col Fascismo – dal secondo Dopoguerra in avanti è stato un ruolo fondamentale nella costruzione della democrazia italiana. Oggi non c’è più, secondo me, giustamente, un partito cattolico. Oggi c’è una presenza dei cattolici che, sulla base di questa tradizione, servono il Paese a seconda delle loro diverse posizioni.

D. – Lei traccia un profilo dal Risorgimento a oggi. A proposito degli uomini cattolici in politica, qual è la loro identità, la loro storia?

R. – E’ una storia molto plurale da questo punto di vista, perché c’è una componente molto forte di cattolicesimo sociale, anche qui con figure abbastanza diverse: da persone che hanno avuto posizioni un po’ più radicali, a volte anche "artistiche" – se posso esprimermi così – a persone che hanno avuto una presenza più costante. Poi, la grande stagione del cattolicesimo politico italiano è stata indubbiamente, da un lato, quella della Costituente – i Dossetti, i Moro, i De Gasperi, su un altro versante i La Pira – e quella del grande momento della modernizzazione italiana, negli anni Sessanta, quella che ha avuto il suo nucleo nel centrosinistra e nella necessità di adeguare questo Paese a una grande trasformazione sociale.

D. – E’ possibile parlare di un movimento cattolico nella politica italiana?

R. – E’ stato possibile in maniera molto forte. E’ ancora possibile oggi, se lo usiamo al plurale. Di movimenti cattolici infatti ce ne sono molti. Oggi, naturalmente, c’è un maggiore pluralismo perché, ripeto, non c’è più il problema di affermare una identità contro altre identità che vogliono schiacciarti.

D. – Tra le figure della storia politica italiana c’è Aldo Moro, con il forte vincolo di amicizia con Paolo VI. Lei nel libro sostiene che la morte di Moro segna la fine di quel cattolicesimo politico, perché?

R. – Era quell’idea che i cattolici, come struttura coagulante della nazione, potessero aiutare la nazione a superare un momento estremamente difficile, che era il momento del cambiamento generale del contesto mondiale. Moro lì dà tutto se stesso fino al punto di dare la vita. Viene ucciso per quella ragione e quel cattolicesimo politico lì finisce. Dopo non c’è più lo spazio per credere che ci possa essere un demiurgo cattolico, che possa aiutare il Paese a uscire da queste difficoltà.

D. – E anche Papa Francesco, in uno dei suoi discorsi, ha affermato: “La politica è un obbligo per un cristiano per lavorare per il bene comune”…

R. – Non c’è dubbio. Questa idea che la società si governa da sé, che non occorra che qualcuno faccia nulla, è un’utopia ed è anche un’utopia negativa. Le società per vivere hanno bisogno di politica, cioè hanno bisogno di governo, nel senso buono del termine, e questo governo ha bisogno di moralità, cioè ha bisogno di qualcuno che abbia questa capacità doppia di mettersi al servizio del bene comune, da un lato, e dall’altro di pensare che il bene comincia dai più indifesi, dai più piccoli.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 30.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui un cieco, sentendo che Gesù si avvicinava, inizia a gridare verso di lui, nonostante la gente gli dica di fare silenzio. Gesù si ferma e gli chiede cosa desideri: “Che io riabbia la vista” dice il cieco. E Il Signore risponde:

«Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Oggi il Vangelo, pur nella sua semplicità (racconta la guarigione di un cieco che siede a mendicare lungo la strada nei pressi di Gerico), ha una vicinanza commovente con la mia e la tua vita. Quest’uomo seduto a mendicare, perché ha perso la vista, è un’immagine di ogni uomo, che, perduta la direzione della propria vita, siede lungo i sentieri della vita a chiedere un po’ di senso a coloro che passano di lì, a mendicare un po’ di affetto. Non si è rassegnato alla cecità: è un male che lo interroga ed egli interroga Dio: è in attesa che il Signore risponda alla sua sofferenza. Sentendo che passa Gesù, incomincia a lanciare il suo grido di dolore: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". Anche davanti a chi lo rimprovera perché taccia, egli continua a gridare, non vuole perdere quell’occasione, forse unica, di porre termine alla sua sofferenza. E succede. Gesù lo fa chiamare. E’ tale la sua gioia che, balzato in piedi, butta via il suo mantello, tutto ciò che ha per difendersi dal freddo, la sua casa, e si fa condurre da Gesù. “Cosa vuoi che io faccia per te?”, chiede Gesù. “Rabbunì, che io veda di nuovo!”, risponde. Oggi Gesù passa nell’Eucaristia per me per te che siamo ciechi, senza una direzione, senza un significato nella vita, e per di più senza nessuna voglia di gridare, perché forse rassegnati alla nostra cecità, intristiti dalla sofferenza e profondamente delusi. Non perdere questa occasione, grida a Lui che può davvero curare la tua cecità.

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Nella Chiesa e nel mondo



Argentina. Vescovi invitano al voto: tutti siamo responsabili

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"L'atto elettorale deve essere una vera festa civica, nel quadro della Costituzione, e deve essere garantito dallo Stato, dai partiti politici e dai cittadini. A ciascuno compete un ruolo e una responsabilità, che insieme costituiscono il bene della Repubblica. Siamo tutti responsabili, nessuno può sentirsi estraneo" ha pubblicato l'ufficio stampa della Conferenza episcopale argentina (Cea) in vista delle elezioni presidenziali di domani.

La Chiesa chiede trasparenza delle elezioni
La Cea già a marzo scorso aveva chiesto che il cambio di governo non significasse una crisi ma una "alternativa normale" della vita democratica. In questo mese di ottobre ha lanciato un appello a compiere ogni sforzo per garantire la trasparenza delle elezioni e per evitare qualsiasi azione che possa causare "diffidenza e divisione tra gli argentini".

Popolazione deve essere attenta alla realtà sociale e politica del Paese
I vescovi hanno seguito da vicino la situazione politica del Paese e hanno sempre consigliato alla popolazione di essere attenti alla realtà sociale e politica, per poter agire con il voto come cittadini consapevoli del futuro del Paese. Per questo motivo l'ultima Assemblea dei vescovi aveva dedicato particolare attenzione allo studio della realtà politica, In Argentina il voto è universale, segreto e obbligatorio per i cittadini di età compresa tra 18 e 70 anni. Gli elettori sono più di 30 milioni, di cui molti giovani sotto i 20 anni. Un altro dato significativo riguarda la quantità di elettori nelle periferie di Buenos Aires, che hanno superato di gran lunga alcuni capoluoghi di provincia. (C.E.)

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Il mondo illuminato di blu per il 70.mo dell'Onu

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Oggi 24 ottobre, oltre 300 tra monumenti, chiese, templi, musei e altri siti rappresentativi, in più di 75 Paesi del mondo si illumineranno di blu – il colore ufficiale dell’Onu, prendendo parte alla campagna globale per celebrare il 70° anniversario delle Nazioni Unite.

Illuminati di blu i siti più significativi nel mondo
Alcuni tra i siti più famosi del mondo, dal Teatro dell’Opera di Sydney in Australia alle grandi piramidi di Giza in Egitto, dalla Statua del Cristo Redentore di Rio de Janeiro all’Empire State Building di New York, si illumineranno di blu. Altri siti rappresentativi che partecipano alla campagna sono la Grande Muraglia cinese, la Torre Pendente di Pisa in Italia, il Museo dell’Ermitage in Russia, l’antica città di Petra in Giordania, il Castello di Edinburgo e Central Hall Westminster nel Regno Unito, la Tokyo Sky Tree in Giappone, l’Alhambra in Spagna, e molti altri ancora. In Italia, oltre al Campanile di Piazza dei Miracoli a Pisa, partecipano all’iniziativa la Basilica di San Francesco (Assisi), Palazzo Granafei Nervegna e la Colonna Romana (Brindisi), Palazzo Marino (Milano), Palazzo Gambacorti (Pisa), la Campana dei Caduti (Rovereto), la Fontana del Nettuno (Trento), la Mole Antonelliana (Torino), l’Albero della Vita di Expo Milano 2015.

Un mondo di blu per illuminare il cammino verso un mondo migliore
“Ringrazio tutti i nostri stati membri per l’entusiasmo che hanno mostrato nel celebrare i 70 anni delle Nazioni Unite a sostegno di pace, sviluppo e diritti umani”, ha affermato il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon. “Illuminando il mondo di blu Onu per un giorno, possiamo illuminare il cammino verso un domani migliore”.

Un’onda di colore blu Onu attraverserà Paesi e continenti 
​Seguendo la linea del fuso orario, la celebrazione globale inizierà in Nuova Zelanda per poi spostarsi in Australia con l’illuminazione del Teatro dell’Opera di Sydney al tramonto; da lì un’onda di colore blu Onu attraverserà Paesi e continenti con l’illuminazione progressiva dei vari siti che in tutto il mondo prendono parte a questo evento internazionale. Il Palazzo di Vetro a New York viene illuminato per due notti, Ieri, per l’annuale Concerto delle Nazioni Unite, e questa sera. (R.P.)

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Bangladesh. Espropri di terre: nuove minacce per i cristiani

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Dopo l’occupazione forzata di una casa cristiana da parte di un gruppo di musulmani, avvenuta la settimana scorsa nella capitale del Bangladesh, la comunità cristiana ha ricevuto ulteriori minacce di espropri. I vicini di casa di Tapon Cruze, l’uomo che ha dovuto abbandonare la propria abitazione di tre stanze sotto la minaccia di morte, sono diventati i nuovi bersagli degli espropriatori, che da anni colpiscono le terre dei cristiani nel Paese. Padre Albert Rozario, parroco della chiesa cattolica del Santo Rosario, riferisce all'agenzia AsiaNews: “Ho chiamato al telefono gli occupanti e ho tentato di stabilire un dialogo con loro. Ma non sono disposti a trovare una soluzione condivisa. Hanno occupato con la forza un terreno dei cattolici e ora mirano ad impossessarsi anche delle proprietà vicine”.

I cristiani chiedono inutilmente giustizia
La settimana scorsa circa 100 musulmani hanno fatto irruzione nella casa di Tapon Cruze, poco distante dalla chiesa del Santo Rosario, e hanno costretto la sua famiglia a scappare. “Ora – racconta l’uomo ad AsiaNews – siamo sfollati. Dopo aver perso quella che era semplicemente la nostra casa, viviamo da alcuni parenti. Abbiamo iniziato un’azione legale contro gli espropriatori del nostro terreno. Per favore, pregate per noi”. Anche i leader cattolici locali e la comunità nel suo insieme stanno provando ad ottenere giustizia, ma i musulmani hanno un forte potere nel Paese.

I musulmani respingono le accuse
Padre Rozario, che è anche segretario della Commissione episcopale Giustizia e pace, commenta che “i malviventi stanno agendo in maniera illegale e ingiusta. Questo è molto doloroso”. Egli informa inoltre che i vicini di casa di Cruze stanno ricevendo le stesse minacce che ha ricevuto l’uomo cristiano, prima di essere costretto con la forza a cedere l’abitazione. Cruze aggiunge: “Vivo nella paura. Gli espropriatori possono impossessarsi in ogni momento delle nostre proprietà, dove viviamo da più di 300 anni. Vogliamo vivere senza tensioni nei luoghi in cui siamo nati”. Il musulmano Azijulla, capo del gruppo che ha assaltato la casa, ha replicato: “Tutte le accuse contro di noi sono false. Possiedo tutti i documenti legali per la terra che ho occupato”.

Cristiani e indù soggetti ad attacchi ed espropri di terreni
Il Bangladesh ha una popolazione di 152 milioni di abitanti ed è a maggioranza musulmana (89,8%). Le comunità cristiana (0,2% della popolazione) e indù (9,1%) sono soggette a numerosi attacchi ed ad espropri di terreni. Esperti sottolineano che il motivo non è tanto religioso quanto economico. (S.C.)

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Pakistan: donna cristiana vittima di stupro di gruppo

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Una donna cristiana sordomuta è stata violentata da tre uomini musulmani giunti a casa sua, in un villaggio nel distretto di Kasur, mentre tutti gli uomini della famiglia erano al lavoro. La donna ha invocato pietà, restando inascoltata. Come appreso dall'agenzia Fides, i familiari hanno denunciato il fatto chiedendo aiuto all’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, che offre assistenza legale gratuita ai cristiani vittime di abusi. L’avvocato sta cercando di ricostruire i fatti e identificare gli aggressori. 

Pressioni alle famiglie cristiane o testimoni per ritirare le denunce
​“E’ molto difficile arrivare a una punizione per i responsabili. Spesso in questi casi, la polizia non agisce o, peggio, si schiera con gli stupratori”, osserva l’avvocato a Fides. “Le famiglie cristiane o i testimoni subiscono pressioni per ritirare le denunce”, prosegue. “La violenza su donne e bambini delle minoranze religiose, i più deboli e vulnerabili, è molto diffusa in Pakistan e spesso avviene in silenzio: i casi e le storie non emergono e quando gli attivisti ne parlano vengono intimiditi”, conclude. (P.A.)

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Vescovi Sudafrica: garantire a tutti l’accesso agli studi

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Offrire opportunità di studio a tutti, indipendentemente dalla situazione economica di chi vuole studiare. È l’appello lanciato dai vescovi del Sudafrica, dove da giorni gli studenti protestano per l’aumento delle tasse scolastiche. In un comunicato del Department of Social Action (Dsa) della Southern Africa Catholic Bishops Conference (Sacbc), la Conferenza che riunisce oltre ai vescovi del Sudafrica quelli di Botswana e Swaziland, si afferma che “a nessun giovane degno di ricevere un’educazione accademica debba essere negata questa opportunità a causa della sua situazione finanziaria o di quella della sua famiglia”.

Borse di studio dei vescovi a centinaia di giovani appartenenti a famiglie povere
“Si tratta - prosegue la dichiarazione pervenuta a Fides - non solo di una questione di giustizia per risarcire le conseguenze dell’apartheid, ma anche di un modo di costruire capacità nazionali che siano competitive a livello globale per consentire lo sviluppo economico e umano del Sudafrica”. I vescovi ricordano che la Sacbc offre da tempo borse di studio a “centinaia di giovani appartenenti a famiglia a basso reddito che vivono in ambito rurale”, nell’ambito del Rural Education Access Programme (Reap).

I presuli favorevoli a mantenere lo schema attuale dell'educazione
​“Il Dsa riconosce che, viste le condizioni economiche del Sudafrica, è impossibile rendere l’educazione completamente gratuita” ma allo stesso tempo sottolinea che sul lungo termine una persona con un alto livello di istruzione può aumentare di molto il proprio reddito ed è quindi ragionevole aspettarsi che questa ripaghi lo Stato per l’istruzione ricevuta, permettendo ad altri di beneficiarvi. Per questo motivo, il Dsa è favorevole a mantenere lo schema attuale, che prevede la concessione di borse di studio sotto forma di prestiti che lo studente rimborserà in parte, una volta completati gli studi. (L.M.)

 

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Uruguay: Cortile dei Gentili a Montevideo sul tema della libertà

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“Dialogo sulla libertà e la costruzione della società” è il tema proposto dal Cortile dei Gentili che si svolgerà a Montevideo, il 6 e 7 di novembre, alla guida del card. Gianfranco Ravasi, inviato speciale di Papa Francesco. Organizzato dalla arcidiocesi di Montevideo, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la Cultura, il ministero degli Esteri uruguaiano e il Comune di Montevideo, le due giornate coinvolgeranno diverse personalità del mondo della cultura, della religione, del giornalismo, dell’università e della politica. Tra i temi a confronto ci saranno: la “laicità come emblema d’identità della cultura uruguaiana e la sua diversità nel contesto dell’America Latina”; “la libertà di educazione e la costruzione di una società plurale”; “la libertà di espressione e la cultura del rispetto” e, infine, “la responsabilità sociale degli imprenditori verso la società sia da una prospettiva laica sia da una prospettiva del credente”.

La Chiesa vuole ascoltare il nostro tempo per servire al meglio la società
Mons. Milton Troccoli, vescovo ausiliare di Montevideo, in conferenza stampa, ha affermato che l’obbiettivo del incontro è promuovere il dialogo tra le diverse confessioni, le istituzioni, le organizzazioni non governative, le università e i rappresentanti della cultura laica. “Credo che la Chiesa- ha sottolineato il presule- è sul punto di voler ascoltare tutte le attese, i desideri e le intuizioni del nostro tempo per poter - dalla propria identità e specificità - servire al meglio la società”. Mons. Troccoli, ha spiegato che Papa Francesco ha voluto espressamente che il confronto tra credenti e non credenti nel contesto del Cortile dei Gentili fosse fatto in Uruguay.  Il Santo Padre - ha affermato mons Troccoli - al momento di propiziare questo tipo di dialogo, riesce a interpellare tutti con il suo linguaggio semplice, chiaro e conciso. “L’ultima carta enciclica sul cambiamento climatico - ha aggiunto - ha impegnato tanti governanti e ha suscitato un dialogo sul tema del clima che a mio avviso dimostra come il Papa è un interlocutore, non solo per i credenti ma per i credenti di altre religioni e  per i non credenti”.

Un dialogo aperto nel Paese con meno cattolici dell’America Latina
Dopo l’incontro a Citta del Messico, nel 2013 e a Buenos Aires, nel 2014, il Cortile dei Gentili a Montevideo si colloca in un contesto storico singolare rispetto il resto del continente.  In Uruguay, costituzionalmente un Paese laico, la separazione tra la Chiesa e lo Stato è avvenuta dal 1918. Oggi, è la nazione con il minor numero di credenti cattolici in tutta l'America Latina e una forte impronta laicista. Dunque, il dialogo tra credenti e non credenti che si svolgerà nel Salone “Azul” della sede di governo della capitale, insieme alla partecipazione, di prestigiose figure del ambito politico e accademico, come l’ex presidente Julio Maria Sanguineti e il rettore dell’Università Nazionale del Uruguay, Roberto Markarian, offriranno - secondo mons. Troccoli - un dibattito molto fecondo per la costruzione di una società più aperta e rispettosa della pluralità. (A cura di A. Tufani)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 297

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.