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Sommario del 23/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: cristiani leggano segni dei tempi e cambino fedeli a Vangelo

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“I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente”, con libertà e nella verità della fede. Lo ha affermato il Papa all’omelia della Messa del mattino, celebrata in Casa Santa Marta. Francesco ha riflettuto sul discernimento che la Chiesa deve operare guardando ai “segni dei tempi”, senza cedere alla comodità del conformismo, ma lasciandosi ispirare dalla preghiera. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

I tempi fanno quello che devono: cambiano. I cristiani devono fare quello che vuole Cristo: valutare i tempi e cambiare con loro, restando “saldi nella verità del Vangelo”. Ciò che non è ammesso è il tranquillo conformismo che, di fatto, fa restare immobili.

Saggezza cristiana
Davanti agli occhi del Papa c’è un nuovo brano della Lettera ai Romani di San Paolo, il quale, dice Francesco, predica con “tanta forza la libertà che ci ha salvato dal peccato”. E c’è la pagina del Vangelo nella quale Gesù parla dei “segni dei tempi” dando dell’ipocrita a coloro che sanno comprenderli ma non fanno altrettanto con il tempo del Figlio dell’Uomo. Dio ci ha creato liberi eper avere questa libertà – afferma il Papa – dobbiamo aprirci  alla forza dello Spirito e capire bene cosa accade dentro di noi e fuori di noi”, usando il “discernimento”:

“Abbiamo questa libertà di giudicare quello che succede fuori di noi. Ma per giudicare dobbiamo conoscere bene quello che accade fuori di noi. E come si può fare questo? Come si può fare questo, che la Chiesa chiama ‘conoscere i segni dei tempi’? I tempi cambiano. E’ proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Cosa significa una cosa e cosa un’altra. E fare questo senza paura, con la libertà”.

Silenzio, riflessione e preghiera
Francesco riconosce che non è una cosa “facile”, troppi sono i condizionamenti esterni che premono anche sui cristiani inducendo molti a un più comodo non fare:

“Questo è un lavoro che di solito noi non facciamo: ci conformiamo, ci tranquillizziamo con ‘mi hanno detto, ho sentito, la gente dice, ho letto…’. Così siamo tranquilli… Ma qual è la verità? Qual è il messaggio che il Signore vuole darmi con quel segno dei tempi? Per capire i segni dei tempi, prima di tutto è necessario il silenzio: fare silenzio e osservare. E dopo riflettere dentro di noi. Un esempio: perché ci sono tante guerre adesso? Perché è successo qualcosa? E pregare… Silenzio, riflessione e preghiera. Soltanto così potremo capire i segni dei tempi, cosa Gesù vuol dirci”.

Liberi nella verità del Vangelo
E capire i segni dei tempi non è un lavoro esclusivo di un’élite culturale. Gesù, ricorda, non dice “guardate come fanno gli universitari, guardate come fanno i dottori, guardate come fanno gli intellettuali…”. Gesù, sottolinea Francesco, parla ai contadini che “nella loro semplicità” sanno “distinguere il grano dalla zizzania”:

“I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente. Dobbiamo cambiare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma il nostro atteggiamento deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. Siamo liberi. Siamo liberi per il dono della libertà che ci ha dato Gesù Cristo. Ma il nostro lavoro è guardare cosa succede dentro di noi, discernere i nostri sentimenti, i nostri pensieri; e cosa accade fuori di noi e discernere i segni dei tempi. Col silenzio, con la riflessione e con la preghiera”.

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Il Papa annuncia nuovo Dicastero per laici, famiglia e vita

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Ieri, all’inizio della Congregazione generale pomeridiana del Sinodo, Papa Francesco ha preso la parola annunciando di aver deciso di istituire un nuovo Dicastero con competenza sui laici, la famiglia e la vita, che sostituirà i due attuali Pontifici Consigli per i Laici e la Famiglia. Al dicastero sarà connessa la Pontificia Accademia per la Vita. A tale riguardo il Papa ha costituito "un’apposita commissione che - ha detto - provvederà a redigere un testo che delinei canonicamente le competenze del nuovo Dicastero, e che sarà sottoposto alla discussione del Consiglio di Cardinali, che si terrà nel prossimo mese di dicembre”.

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Sinodo Famiglia: grande apprezzamento per bozza Relazione Finale

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Alla vigilia della conclusione dei lavori del Sinodo sulla Famiglia, si è svolto il consueto briefing in Sala Stampa, moderato da padre Federico Lombardi. Sono intervenuti oggi il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”, il cardinale canadese Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec, e mons. Lucas Van Looy, vescovo di Gand in Belgio. Il servizio di Alessandro Gisotti

Il Sinodo sulla famiglia è alle battute finali, un evento che – come sottolineato anche nel briefing odierno – ha fatto emergere la bellezza e ricchezza della Chiesa che non ha paura di confrontarsi con parresia su tutti i temi, come richiesto da Papa Francesco. All’inizio della conferenza stampa, padre Federico Lombardi ha ricordato l’annuncio del Pontefice, ieri al Sinodo, dell’istituzione di un nuovo dicastero per Laici, Famiglia e Vita.

Dichiarazione sulle famiglie in Medio Oriente
Il cardinale Peter Erdö, come relatore generale – ha poi detto il direttore della Sala Stampa – ha presentato la bozza di relazione finale. E’ stata un’introduzione di carattere generale, sullo spirito sinodale di questo documento. Il cardinale Baldisseri, da parte sua, ha spiegato la metodologia seguita e ha ricordato in particolare che i "modi" (emendamenti), utilizzati per arrivare a questa versione della relazione finale sono stati 1.355, quindi un lavoro di grande complessità. Sempre ieri pomeriggio, è stata presentata e letta la bozza di una dichiarazione del Sinodo sulla situazione delle famiglie in Medio Oriente. La riunione di questa mattina, ha soggiunto padre Lombardi, è stata dedicata agli interventi liberi dei Padri sinodali, ce ne sono stati 51, che avevano ricevuto ieri sera il progetto della relazione finale.

Soddisfazione per la bozza della Relazione Finale
Queste osservazioni, ha detto padre Lombardi, sono da considerare “proposte di emendamenti o di miglioramenti” e non votate collettivamente:

“Posso dire che la gamma degli argomenti trattati è stata naturalmente molto ampia, però, tutti hanno fatto un chiaro ringraziamento, direi ammirato, per il lavoro della Commissione, perché veramente si tratta di un testo molto più ordinato, più soddisfacente – anche a detta dei Padri – rispetto all’Instrumentum Laboris che era più frammentario, meno organizzato e coerente. Quindi, la soddisfazione dell’assemblea per il lavoro abbastanza incredibile, detta la verità: pensando a 1.355 modi… C’è stata grande gratitudine e ammirazione per il lavoro compiuto nella redazione”.

Vissuta gioia della sinodalità, nessuna paura di confrontarsi
Dal canto suo, il cardinale Lacroix ha detto che in queste tre settimane ha vissuto la gioia di gustare la sinodalità e la cattolicità della Chiesa. Il nostro dovere pastorale, ha aggiunto il porporato canadese, “è camminare con le famiglie e aprirci al piano che Dio ci presenta”:

"Moi, je repars avec encore plus d’espérance…
Io – ha detto il cardinale Lacroix – riparto con ancora più speranza di quando sono arrivato, perché vedo che quello che la Chiesa può offrire alla famiglia è meraviglioso”.

Il cardinale Turkson ha innanzitutto osservato che la bozza della Relazione finale è un tentativo di riunire i tanti punti di vista dei Padri sinodali. Quindi, rispondendo ai giornalisti ha affermato che non ci sono blocchi contrapposti al Sinodo, ma punti di visita differenti, di pastori che vengono da cinque continenti diversi:

“Queste novità non indicano la formazione di blocchi opposti l’uno all’altro nel Sinodo, ma un invito a un’apertura larghissima per tutte le situazioni in cui questa istituzione viene celebrata e vissuta”.

Famiglie hanno ruolo importante nell’evangelizzazione
Da parte sua, il vescovo belga Van Looy ha parlato in particolare delle famiglie dei profughi. E’ stato un Sinodo pastorale, ha aggiunto, ed è bello sentire parlare del ruolo evangelizzatore delle famiglie:

“La Chiesa non sta solamente a interessarsi alle famiglie 'buone' o 'cattive', in varie situazioni, ma anche sta dando alle famiglie un compito di evangelizzazione: le famiglie con noi, con i vescovi, con la Chiesa, camminando sul cammino dell’evangelizzazione”.

Ancora, il vescovo Van Looy ha affermato che da questo Sinodo esce una Chiesa che accoglie e non giudica, che guarda con tenerezza alle famiglie ferite. Interpellati dai giornalisti, i cardinali Turkson e Lacroix hanno poi evidenziato che si è parlato con chiarezza anche dell’omosessualità, in particolare dell’esperienza delle famiglie che hanno persone omosessuali. “Non criminalizziamo questo fenomeno – ha commentato il porporato africano – ma non vittimizziamo persone che hanno un ‘problema’ con questo".

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Card. Gracias: matrimoni misti, questione cruciale per l’Asia

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Al Sinodo, la questione dei divorziati risposati è ancora aperta, ma ci sono anche molti altri temi importanti da affrontare: lo afferma il cardinale indiano Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay. Le sue parole al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Stiamo tutti andando insieme, questo vuol dire Sinodo: andare insieme. Penso che questi ultimi giorni saranno molto importanti per il Sinodo e forse darà la direzione per il lavoro pastorale dei vescovi in tutto il mondo.

D. – Ci sono questioni che dal suo punto di vista sono particolarmente importanti?

R. – Naturalmente, stiamo pensando che tipo di pastorale avere con i divorziati risposati, questa è una cosa importante che dobbiamo affrontare. Non è chiara la strada. Naturalmente dobbiamo approfondire di più. Non è possibile prendere una decisione in tre settimane… Non sappiamo se il Papa vorrà fare una Commissione o affidare questo compito ad altre persone … Lasciamo che decida il Santo Padre, ma la questione deve essere approfondita, poi tutto dipende dal Santo Padre. Noi dobbiamo donare la misericordia di Cristo alla gente! Ma ci sono anche altre questioni, come la pastorale per le famiglie in difficoltà. Nelle nostre zone ci sono tanti matrimoni misti: come aiutare queste persone? Come accompagnare queste persone? Questa è una cosa importantissima per noi in Asia. Il 25% dei nostri matrimoni sono con non cristiani, a Nuova Delhi il 50 per cento dei matrimoni sono misti e in altre zone anche di più, il 75, l’80 per cento. Per questo ci vuole una pastorale speciale: c’è la questione del Battesimo, la formazione dei bambini … I genitori sono di due diverse religioni, come fare? Come conservare l’unità della famiglia quando ci sono due diverse culture, lingue, religioni?

D. – C’è un auspicio particolare che lei vuole esprimere in vista della chiusura di questi lavori?

R. – Io penso al Vaticano II, per esempio alla questione dell’inculturazione. Questa è una cosa importante per la Chiesa, per la liturgia, la dottrina, la teologia … Ma c’è anche la teologia dei principi generali che prevalgono dappertutto. Dobbiamo studiare, approfondire lo studio della Chiesa, della Sacra Scrittura, della storia della Chiesa,  e il magistero dei primi secoli ci aiuterà molto. La strada è lunga ma dobbiamo approfondire.

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Sinodo. Menichelli: dobbiamo parlare a mondo reale, non teorico

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Un cammino che darà risultati, che non bisogna però ritenere immediati. L'arcivescovo di Ancona-Osimo, il cardinale Edoardo Menichelli, invita a non nutrire un “eccesso di aspettativa” sugli esiti del Sinodo sulla famiglia, in particolare per ciò che concerne i tempi, perché le linee pastorali che ne scaturiranno avranno bisogno di tempo, dice, per essere attuate. Il porporato ne parla al microfono di Fabio Colagrande

R. – Diciamoci serenamente che il Sinodo, come anche già il Santo Padre ha detto, non è – tra virgolette – un parlamento che decide, che fa delle leggi. Il Sinodo a me piace chiamarlo come un convenire per un laboratorio. Abbiamo vissuto queste giornate impegnati, i Padri sinodali, nell’ascolto, nella lettura, nello scambio di idee, sia in Aula che nei Circoli minori. Sono venute fuori delle proposte, consegnate ad una Commissione che farà la cosiddetta “Relazione finale”, la quale – come sempre succede – sarà consegnata al Santo Padre. E lì poi si vedranno, certo non il 26 ottobre, quali sono le indicazioni pastorali da offrire a tutto il popolo santo di Dio. Quindi, io vorrei che il Sinodo fosse liberato da un eccesso di aspettativa, ma fosse piuttosto capito come un tempo di discernimento pastorale su tematiche che riguardano la vita della famiglia.

D. – Che senso ha fare una connessione tra questo percorso sinodale e il Giubileo della Misericordia, che inizierà poco dopo?

R. – A me pare – per circostanze secondo me non studiate, ma che io vedo come grazia di Dio – che ci sia una correlazione forte, perché al centro del Sinodo questa parola, che poi non è solo una parola, “misericordia” è molto circolata. Si tratta sia per l’anno giubilare, sia per il Sinodo di rendere questa parola attiva, feconda di bene. Personalmente – lo ho detto a me stesso e anche nelle discussioni con il Circolo – io so perfettamente che la misericordia non svende la verità e so perfettamente che la misericordia cambia la vita, la mia e quella delle persone. La correlazione mi pare che sia più che evidente… Certo, poi bisognerà trovare le modalità perché questa misericordia, che nasce dal cuore di Dio e dalla testimonianza di Gesù Cristo, possa ben essere applicata e vissuta.

D. – La famiglia che diventa soggetto di evangelizzazione e non più solo oggetto: se ne è parlato al Sinodo e cosa significa?

R. – Significa che c’è la rivalutazione o la giusta valutazione del Sacramento sponsale, che è un Sacramento come quello dell’Ordine ministeriale, posto da Dio come servizio alla comunità. Quindi sono due Sacramenti, diciamo, alla “pari”, con ministeri diversi, a vantaggio del popolo di Dio e come attori assieme a Dio della storia della salvezza. Dall’altra parte, questa nuova parola “soggetto” è come questa sacramentalità sponsale possa poi essere esercitata nella comunità. Per farmi capire: generalmente, siamo abituati a dire “pastorale per la famiglia”, bisognerebbe invece cominciare a dire “pastorale con la famiglia”. E questo modifica tanti atteggiamenti. Per esempio: chi fa la catechesi? Dovrebbe farla la famiglia. Chi presenta i figli ai Sacramenti? La famiglia. Chi educa alla fede? La famiglia. Questo non vuol dire che la comunità e il sacerdote poi sono fuori, ma questa principalità della famiglia va riconosciuta e vissuta. Certamente ci vorrà tempo, perché si tratta di cambiare non solo la mentalità, ma anche la prassi operativa. Però questo è un grande passo, è un grande vantaggio.

D. – La preparazione al matrimonio: è lecito aspettarsi delle proposte concrete nuove su questo?

R. – Questa preparazione già si fa, come è ben riconosciuto e saputo. Si tratta di verificare se è adeguata. Personalmente posso dire che non è del tutto adeguata, anche se molto utile… Noi dobbiamo renderci conto chi abbiamo davanti, quali sono gli “utenti” di questa preparazione? E’ gente che rispetto a 20-30 anni fa è cambiata. Allora, questa preparazione perché sia utile non deve essere considerata come una sorta di “imbottigliamento”, ma quanto un accompagnamento che aiuti le persone a scoprire il senso del matrimonio, il suo significato, la sua responsabilità e via di seguito… Mi torna utile un riferimento alla “Familiaris Consortio”: San Giovanni Paolo II parlava di operazione remota, prossima e immeditata. La nostra preparazione adesso è semplicemente immediata. Allora, si tratterà di ristudiare una metodologia e sono certo che questo avverrà. Ma anche qui non pensiamo che tutto sia così celermente attuabile.

D. – L’ascolto il Papa lo ha ribadito nel 50.mo del Sinodo: “Una Chiesa che cammina insieme, una Chiesa in ascolto”. C’è da fare qualcosa ancora per migliorare questa capacità di ascolto?

R. – Sì, sì, c’è da fare molto. Noi dobbiamo parlare al mondo concreto e non al mondo che ci piace. Questo dialogo è importante che sia capito, vissuto non come tutto va bene o come tutto uguale, ma come un dialogo che fa conoscere la realtà e che ti fa trovare i passi giusti perché questa realtà sia destinataria di misericordia e di salvezza di Dio.

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Mons. Miranda: la Chiesa accoglie tutti, non esclude nessuno

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La Chiesa non esclude nessuno, è accogliente verso tutti: è quanto ha detto al Sinodo mons. Alfonso Gerardo Miranda Guardiola, vescovo di Idicra in Messico. Paolo Ondarza gli ha chiesto innanzitutto di descriverci il clima dei lavori sinodali: 

R. – L’atmosfera è molto buona; c’è una partecipazione coraggiosa da parte di tutti i Padri sinodali e una straordinaria partecipazione dei laici. Ho sentito la fraternità e un’atmosfera fraterna e cordiale.

D. – Quali sono le sfide più impegnative a questo punto?

R. – L’accoglienza di tutti i tipi di famiglie e specialmente delle persone e delle famiglie ferite. La Chiesa dovrà avere un’attitudine, come la chiama il Papa, molto aperta verso tutte le persone, senza nessuna esclusione.

D. – Il termine “famiglie” oggi, nel dibattito politico-sociale, tende a considerare anche quelle non composte da un uomo e una donna…

R. – Quando parliamo di famiglie stiamo parlando di famiglie composte da un uomo e una donna. Ma quando parliamo di accoglienza nella nostra Chiesa, allora parliamo di tutte le persone, senza nessuna esclusione. Insisto: nessuna esclusione! Perché in una famiglia ci può essere ogni genere di ferita: tendenze omosessuali, ferite psicologiche… Tutti i tipi di ferite.

D. – E la Chiesa vuole accompagnare tutte le persone…

R. – Tutte le persone. La Chiesa deve accogliere e accompagnare tutte le persone, nessuno escluso. Dobbiamo difendere la nostra dottrina, ma sempre con un cuore aperto, misericordioso, che accoglie tutte le persone.

D. – Che cosa vuole dire accoglienza? Dei divorziati risposati? Accoglienza ai sacramenti?

R. – Accoglienza, prima di tutto, con l’attenzione, con l’ascolto, con quello che abbiamo: la comunione spirituale, tutta la pastorale, la direzione spirituale. L’accesso alla Comunione è una cosa che non è stata risolta, è ancora aperta in questo  momento. Ma insisto: tutti devono avere accesso al nostro cuore, alla nostra pastorale nel pieno senso del termine.

D. – Quindi comunione spirituale…

R. – Per esempio, che queste persone – i divorziati risposati – possano stare con gli altri per la Comunione, per ricevere la benedizione: non la Comunione sacramentale, ma la benedizione ad esempio. Però prima dobbiamo ricevere queste persone nella nostra pastorale ecclesiale.

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Mons. Škvorćević: mobilitazione laici cattolici decisiva per famiglie

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Al Sinodo è stata ribadita la necessità di un protagonismo dei laici nella Chiesa. In particolare è stato sottolineato l’importante ruolo dei cattolici nella difesa della famiglia all’interno del dibattito politico. Un esempio positivo è quello del popolo croato che in un referendum del 2013 ha detto no alle nozze gay riaffermando l’unicità del matrimonio tra uomo e donna. Paolo Ondarza ne ha parlato con il vescovo croato di Pozega, mons. Antun Škvorćević: 

R. – Il Sinodo è un avvenimento ecclesiale. Sono convenuti vescovi da tutte le parti del mondo: credono che il Signore Gesù è vivo, è risorto. Naturalmente, il tema della famiglia e del matrimonio è molto complesso, però è anche un tema di fede. Noi crediamo che il matrimonio non sia un’invenzione dell’uomo, ma un fatto che ha voluto Dio. E io spero che si trovino conclusioni che abbiano un valore per tutta la Chiesa cattolica, non soltanto per certe situazioni. Così hanno fatto anche gli Apostoli al primo Concilio di Gerusalemme. I problemi venivano dal paganesimo ma la conclusione era vincolante per tutti.

D. – Lei ha portato all’attenzione dell’Aula l’esempio del popolo croato che nel 2013, chiamato a un referendum, ha detto “no” al matrimonio omosessuale, indicando come unico matrimonio quello tra un uomo e una donna. Che cosa viene a dire l’esperienza del popolo croato a questo Sinodo?

R. – Il referendum non l’ha organizzato, non l’ha promosso la Chiesa cattolica, e neanche le organizzazioni o i movimenti ecclesiali. Un gruppo di laici, ispirandosi ad altre iniziative della società civile, hanno creato un’organizzazione nel nome della famiglia. Naturalmente, la Chiesa ha dato il suo appoggio però non ha organizzato nulla. Perciò si è riusciti a creare un’atmosfera molto positiva. Poi, il referendum è riuscito con circa il 65% dei voti favorevoli: la definizione di matrimonio approvata dal voto popolare è poi entrata anche nella Costituzione croata.

D. – Quindi, quanto è importante la mobilitazione di laici a difesa del matrimonio? Sono importanti queste manifestazioni di partecipazione del laicato cattolico?

R. – Non importanti, ma decisive, direi! Perché quando parlano i vescovi e la Chiesa si dice in pubblico: “Parlano secondo il loro mestiere, perché questo è il loro dovere”. Ma quando parlano i laici cattolici, allora questo loro parlare viene visto come una testimonianza forte, viva e si accetta in modo più serio e più responsabile rispetto a quando intervengono i vescovi. Questo è importante perché in particolare da noi, in Croazia – che è uscita dal comunismo 25 anni fa - durante il comunismo il laicato era “morto”, perché quei laici nella Chiesa o nella società che hanno fatto sentire la loro voce sono stati perseguitati fortemente. Oggi si assiste ad un risveglio del laicato: i laici sono una speranza della Chiesa, possono portare i valori del Vangelo nella vita, anzitutto nelle famiglie e poi anche nella vita pubblica.

D. – Nonostante l’esito del referendum, poi però il Parlamento croato ha introdotto la legge sulle unioni civili che di fatto equipara tali unioni al matrimonio, fuorché per l’adozione. Dunque azione politica e volontà popolare non sono andati proprio nella stessa direzione …

R. – Ma queste decisioni forzate non credo che abbiano vita lunga. Perciò, se si rafforza la consapevolezza o se si rafforzano i valori cristiani, che sono i valori della dignità e della vera libertà dell’uomo, non credo che i governi possano a lungo fare il contrario di quello che pensa la gente.

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Sinodo, laica romena: no ideologie che ridefiniscono uomo e famiglia

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Noi laici chiediamo ai pastori di proclamare con rinnovato vigore l’annuncio del Vangelo senza cedere a compromessi con lo spirito del mondo. E’ il forte appello lanciato al Sinodo da un’uditrice: la dottoressa Anca Maria Cernea, invitata come rappresentante dell’Associazione Medici Cattolici di Bucarest in Romania, ha condiviso con i Padri sinodali la sua toccante testimonianza. Paolo Ondarza l’ha intervistata: 

R. – Mio padre era un leader politico cristiano che è stato imprigionato dai comunisti per 17 anni. I miei genitori erano fidanzati, stavano per sposarsi … Il matrimonio c’è stato 17 anni dopo. Mia madre ha aspettato tutti quegli anni mio padre, anche se non sapeva neppure se fosse ancora vivo. Sono stati eroicamente fedeli al loro impegno. Il loro esempio mostra che con la grazia di Dio si possono superare terribili difficoltà e povertà materiali. Il loro esempio è fonte di ispirazione e di conversione per molti in Romania. Penso che se mia madre avesse seguito il mondo - e non Gesù e gli insegnamenti della Chiesa - avrebbe sposato un altro uomo; se mio padre avesse seguito il mondo, avrebbe forse aderito al Partito comunista.

D. – Quindi lei racconta l’oppressione sotto il comunismo e dice che se il marxismo classico oggi appartiene alla storia, c’è però ancora un pericolo che è determinato da una ideologia, che a livello culturale pone delle minacce. Lei invita a stare in guardia da questo marxismo culturale …

R. – Si, come medici cattolici difendiamo la vita e la famiglia. Possiamo vedere che questa è, prima di tutto, una battaglia spirituale e che la povertà materiale e il consumismo non sono le principali cause della crisi della famiglia: la causa principale della rivoluzione sessuale e culturale è ideologica. Nostra Signora di Fatima ha detto che la Russia avrebbe diffuso i suoi errori in tutto il mondo: questo è avvenuto prima con la violenza, il marxismo classico, che ha ucciso decine di milioni di persone, e adesso avviene soprattutto attraverso il marxismo culturale: c’è una continuità dalla rivoluzione sessuale di Lenin, attraverso Gramsci e la scuola di Francoforte agli odierni diritti dei gay e all’ideologia del genere. Il marxismo classico pretendeva di segnare la società attraverso la violenta appropriazione dei beni; ma adesso la rivoluzione va ancora più in profondità: pretende di ridefinire la famiglia, l’identità sessuale, la natura umana. Si autodefinisce come progressista, ma non è altro che gnosticismo: è una ribellione contro Dio, con la pretesa non solo di creare una società perfetta qui sulla terra, ma di correggere anche la natura e la creazione di Dio.

D. – Lei ha lanciato un forte appello ai Padri Sinodali: ha chiesto di parlare di fedeltà, senza cedere allo spirito del mondo, quindi senza cedere ai compromessi…

R. – La Chiesa ha combattuto diverse forme di errori gnostici lungo tutta la sua storia: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia – ha detto Gesù - e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta”. La missione della Chiesa è di salvare le anime. Il male viene dal peccato in questo mondo. E la soluzione è la conversione, l’evangelizzazione. La vera libertà è la libertà dal peccato, la liberazione dal peccato. Ciò di cui il mondo ha oggi bisogno più che mai non è la limitazione della libertà, ma la vera libertà, la liberazione dal peccato, la salvezza. Questo non si fa con un governo mondiale. Questo Sinodo deve chiamare il peccato con il suo vero nome. Vivere il Vangelo non dovrebbe essere facile: il Vangelo è esigente. Non c’è misericordia senza verità. La Chiesa deve difendere la verità, senza alcun compromesso con lo spirito di questo mondo. Se noi diluiamo la verità, tradiamo Colui che ha detto “Io sono la verità”.

D. – Lei, in proposito, ha citato – sempre tornando al comunismo che ha tanto oppresso il suo Paese – l’esempio di 12 vescovi romeni, fedeli nella persecuzione. E’ per questo che la loro testimonianza è importante per i nostri giorni?

R. – Nessuno dei nostri 12 vescovi ha tradito la comunione con il Santo Padre. La nostra Chiesa è sopravvissuta grazia alla determinazione e all’esempio dei nostri vescovi, che hanno resistito al carcere e al terrore. I nostri vescovi chiesero alla comunità di non seguire il mondo, di non collaborare con i comunisti…

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Onu, Auza: troppe armi in Medio Oriente, insistere su negoziati

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Le violenze e persecuzioni in Medio Oriente rinnegano i più elementari principi delle leggi umanitarie internazionali e soprattutto di umanità: così l’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico e osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo intervento al dibattito pubblico del Consiglio di sicurezza a New York. E’ intervenuto poi anche al dibattito pubblico al Consiglio di Sicurezza dell’Onu in tema di disarmo nucleare. Il servizio di Fausta Speranza: 

Mons. Auza la definisce “orribile imagine”: è quella - che suscita sdegno e inquietudine tutti i giorni sui media - di uomini, donne, bambini, anziani, mutilati, portatori di handicap che scappano dalle violenze, dalle persecuzioni contro le minoranze e in particolare i cristiani, dalle distruzioni anche di inestimabili patrimoni in Medio Oriente. Da una terra che – ricorda mons. Auza – è stata culla di grandi civiltà, luogo di nascita delle tre religioni monoteistiche: giudaismo, cristianesimo, islam. Terra che però oggi – sottolinea – “è immersa in una situazione in cui si intrecciano ogni forma di conflitto e ogni soggetto possibile”. “Stati e non Stati, gruppi etnici e gruppi culturali, fondamentalismo religioso e criminalità organizzata, odio etnico e religioso, rivalità regionali e internazionali”.

“I gravi conflitti in Medio Oriente, compreso la questione palestinese – ricorda l’Osservatore permanente della Santa Sede – proseguono dal momento della nascita delle Nazioni Unite”. La violenza di oggi prova quanto sia stato grave non risolvere i problemi e come, invece di migliorare, la situazione si stia complicando sempre di più. La denuncia è ancora forte e chiara quando mons. Auza parla di “inondazione di armi nella regione che non faranno terminare i conflitti”. “Invece di rifornimenti di armi – afferma mons. Auza – la comunità internazionale deve permeare la regione di coraggiose, imparziali, decise negoziazioni e mediazioni”. Con parole di “profonda gratitudine” per quei paesi che si sono fatti carico dei milioni di rifugiati, mons. Auza ricorda l’impegno della Chiesa cattolica sul fronte umanitario e chiede assistenza per questi paesi che non riescono a far fronte a tutte le necessità, a partire dal Libano.

E il Medio Oriente è stato citato da mons. Auza anche nell’altro intervento nella stessa giornata, sempre a New York, alla 70.ma sessione dell’Assemblea generale Onu. Ha sottolineato l’urgenza di perseguire l’obiettivo di una zona libera da armi nucleari e altre di distruzione di massa in particolare nel Medio Oriente. Per poi ribadire l’importanza di vedere firmato da tutti gli Stati il Trattato sulla non proliferazione di armamenti nucleari e il Trattato per la messa al bando dei test nucleari. Ricordando ritardi e fallimenti, mons. Auza ha voluto anche sottolineare però un passo positivo: l’applicazione dell’accordo "New Start" tra Russia e Stati Uniti, grazie al quale continua la riduzione del numero di armi nucleari. Guardando a tutto il mondo, senza mezzi termini, mons. Auza ribadisce che “spetta alla comunità internazionale raddoppiare gli sforzi per far avanzare il processo di disarmo nucleare, che ha avuto uno slancio per decenni e che ora langue”.

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P. Indunil: religione sia "ponte" di bene, non "muro" di odio

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“Trasformare la cultura della violenza” che segna oggi tante regioni del mondo afflitte da tensioni e conflitti alimentati dal fondamentalismo religioso “in una cultura di pace e incontro”: è questa “la missione specifica delle religioni”,  anche se non sempre nella storia esse sono state all’altezza di questo difficile compito. E’ il concetto di fondo espresso da padre Indunil Janakaratne Kodithuwakku Kankanamalage, sottosegretario del Pontificio Consiglio Dialogo Interreligoso, nell’intervento di apertura al Convegno “La Via della Seta e le Religioni”, ospitato il 20 ottobre dal padiglione KIP di Milano Expo.

Imparare dalla storia della Via della Seta per affrontare gli attuali conflitti
Organizzato dal "Confucius Institute-Università Cattolica del Sacro Cuore" (Uscc), in collaborazione con il Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’arte dello stesso ateneo e dall’"Institute of World Religions" dell’Accademia cinese di Scienze Sociali, il Convegno ha visto riuniti studiosi ed esperti per un’analisi storica del ruolo delle religioni negli antichi imperi della Via della Seta. Alcuni di questi Paesi, oggi come in passato, sono diventati il teatro di guerre e terrorismo a sfondo religioso che minacciano la stabilità e la sicurezza regionale e internazionale. La storia della Via della Seta è piena di profeti di pace e non violenza, come di guerrafondai e di autocrati feroci ed è dunque da questa storia – ha affermato padre Kodithuwakku  nel suo intervento – che si possono trarre insegnamenti per il presente. 

La polarizzazione della diversità alimentata da chi strumentalizza la religione
L’attuale sfida del rapporto tra religione e violenza, ha evidenziato padre Kodithuwakku, è legata a concezioni polarizzate della “diversità” – sia essa culturale, etnica, politica, sessuale, economica – alimentate da alcuni gruppi che usano la religione per giustificare la loro violenza contro il “diverso”, disumanizzandolo. In questo contesto, emergono due possibili ruoli per la religione: quello di “costruttrice di ponti”  e quello di “costruttrice di muri” nelle relazioni umane. Come “forza impegnata per il bene e l’amore nel mondo”, ha sottolineato il sottosegretario del dicastero vaticano, essa può quindi essere la chiave per affermare una nuova cultura di pace, basata sulla non violenza, la tolleranza, la comprensione reciproca, la solidarietà e la soluzione pacifica dei conflitti. Incoraggiando vittime e carnefici ad affrontare le ferite passate e promuovendo il perdono, la riconciliazione e la giustizia riparativa, la religione può contribuire a risanare i rapporti umani.

L’esempio di imperatori illuminati del passato
Padre Kodithuwakku ha quindi ricordato gli esempi di alcuni imperatori asiatici illuminati dei secoli passati, che hanno saputo evitare guerre sanguinose con il dialogo e la diplomazia, promuovere la non violenza, la tolleranza religiosa, la convivenza pacifica delle religioni e l’incontro delle culture. Di qui, in conclusione, la sottolineatura che le religioni hanno un ruolo chiave da svolgere nella promozione della cultura della pace e dell’incontro: “La cultura della violenza che affligge oggi tante parti del mondo, ha concluso, “è il risultato del fallimento delle religioni” e del tradimento dei loro valori e principi. (L.Z.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, Tensione e prove di dialogo. Stati Uniti ed Europa premono per  una soluzione, mentre a Vienna si riunisce il Quartetto rischio di violenze tra israeliani e palestinesi

Sotto, L’arma della fame; appello dell’Onu per decine di migliaia di persone  in pericolo di vita in Sud Sudan

Di spalla, Nuovo dicastero per laici, famiglia e vita annunciato da Papa Francesco durante il sinodo

A pagina 4, Callisto e l’arca di Noè nella Chiesa del III secolo, di Manlio Simonetti

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Oggi in Primo Piano



Immigrazione: emergenza umanitaria sulla rotta balcanica

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Si aggrava l’emergenza immigrazione sulla rotta balcanica. Sono migliaia le persone che, nonostante il freddo incombente, tentano di raggiungere il nord Europa via terra. La situazione sta creando tensioni tra Slovenia e Croazia, mentre la cancelliera tedesca Merkel, da Madrid, annuncia che i migranti economici saranno rimpatriati, a differenza di coloro che fuggono da guerra e terrorismo. A tutti – ha detto ancora – sarà comunque assicurata l’accoglienza. Giancarlo La Vella ha intervistato Andrea Rossini, dell’Osservatorio Balcani Caucaso, appena rientrato da alcune aree di crisi: 

R. – La mia impressione è che stiamo andando verso una crisi umanitaria di grandi dimensioni, perché la situazione, invece di migliorare, sta peggiorando e inoltre anche le condizioni metereologiche sono in netto peggioramento. Far aspettare per ore e ore fino all’apertura dei valichi di frontiera si rivela una crudeltà inutile, soprattutto perché non ci sono accessi prioritari per le categorie vulnerabili. Tra queste persone, ci sono moltissimi bambini in tendoni allestiti alla svelta. E i bambini aspettano, in mezzo al fango, nel freddo, che la polizia apra i valichi di frontiera.

D. – Quali sono le difficoltà più drammatiche?

R. – Soprattutto i rifugiati afghani, che hanno attraversato la Bulgaria, mi hanno riferito di una situazione di generale violenza e sopraffazione da parte della polizia bulgara nei loro confronti. Mentre, per quanto riguarda i siriani, nei racconti di tutti il vero e proprio incubo – il tratto più pericoloso – è il passaggio in mare tra la Turchia e la Grecia. Tutti riferiscono di aver pagato tra i 1.000 e i 1.500 euro a testa alla mafia turca. Questo per loro è il punto più difficile.

D. – Che tipo di decisioni occorrerebbero a livello di comunità europea, comunità internazionale?

R. – Questa adesso non è semplicemente una questione politica, che va risolta tra la cancelliera Merkel, le istituzioni europee e i governi della regione. È una crisi umanitaria che necessita interventi che siano però veloci, rapidi. Non si può rimandare l’intervento alla settimana prossima o tra due settimane, quando si saranno messi d’accordo i governi della regione.

D. – Le dichiarazioni di Angela Merkel sul rinvio in patria dei rifugiati economici non rischiano di creare ulteriori tensioni tra i profughi stessi?

R. – C’è molta paura che le frontiere vengano chiuse. C’è molto nervosismo, perché tanti hanno timore di restare intrappolati nei Balcani. Nessuno, ovviamente, vuole restare nei Balcani, ma vuole proseguire: qualcuno in Germania, qualcuno verso i Paesi nordici. Per quanto riguarda le dichiarazioni su una differenziazione tra migranti economici e profughi di guerra, vedo molto difficile concepire una distinzione del genere.

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Polonia: nazionalisti dati in vantaggio alle parlamentari

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Domenica prossima, la Polonia sarà chiamata a rinnovare il parlamento. Tutti i sondaggi danno in vantaggio il Partito Diritto e giustizia (Pis), conservatore, guidato dalla candidata premier Beata Szydlo con il 32,5% dei consensi. Staccata di almeno sei punti "Piattaforma civica del centro" (Po) al governo da otto anni. Sulla campagna elettorale ha pesato la crisi migratoria e l’affermazione della destra nazionalista potrebbe avere ripercussioni in tutta Europa, rafforzando l’asse dei Paesi dell’est in polemica con Bruxelles. Marco Guerra ne ha parlato con Luigi Geninazzi, giornalista di Avvenire ed esperto di Europa dell’est: 

R. – Dopo l’elezione a sorpresa del presidente Duda, dello schieramento del Partito conservatore “Diritto e Giustizia” – quello per intenderci di Kaczyński: dei due gemelli, di cui uno, il presidente Lech Kaczyński, è morto tragicamente nell’incidente aereo del 2010 – è ormai praticamente sicuro che questa formazione nazionalista vincerà le elezioni. Poi, ci sarà il problema di formare il governo, ma comunque sarà il primo partito. Ci sono alcune osservazioni da fare: la prima è che si tratta di un dato un po’ fisiologico, nel senso che il Partito di “Piattaforma civica” – il partito di destra moderata – ha governato per otto anni, anche con buoni risultati – infatti non dobbiamo dimenticare che la Polonia è l’unico Paese dell’Unione Europea, assieme alla Germania, a essere sfuggita alla pesante crisi, con una crescita dell’economia in otto anni del 30%. Però, oltre al solito logorio del potere, gli scandali, la stanchezza, il fatto che i giovani ancora non trovano lavoro e sono costretti ad emigrare in centinaia di migliaia: tutto ciò ha portato a una stanchezza e quindi c’è un ricambio.

D. – Come la crisi migratoria si è inserita in queste elezioni?

R. – Si inserisce in un modo molto ideologico, perché in Polonia non ci sono emigrati. Non è la Grecia, non è l’Italia né la Germania. Non è sulla rotta di attraversamento e non è neppure il punto di destinazione sognato dai migranti. Però, essendo un problema epocale – che è al cuore dell’Europa e la Polonia si trova al centro del continente – se ne parla e purtroppo, secondo me, soprattutto in termini ideologici. Il partito che si prepara a vincere le elezioni domenica ha fatto una campagna demagogica, anche basata sulla lotta al terrorismo. Dicevo che è tanto più inspiegabile, quanto più non c’è questo problema: la polemica tecnicamente è sul fatto che il governo di Varsavia ha accettato il ricollocamento di profughi per un numero di ben 10 mila persone, cioè nulla per un Paese che ha quasi 40 milioni di abitanti. Questo è un secondo elemento che dà una coloritura polemica e, secondo me, anche un po’ troppo ideologica al voto di domenica prossima.

D. – Quali sono le sfide che dovrà affrontare il nuovo governo?

R. – I problemi sono prima di tutto di carattere interno, perché uno dei problemi che tocca di più i cuori e soprattutto le tasche della gente, sono state certe riforme fatte da Tusk, dal governo, dal partito di Piattaforma Civica. Sono riforme che riguardano la sanità, le pensioni – l’età pensionabile è stata alzata a 67 anni. Su queste questioni c’è una forte polemica. E poi c’è un elemento di dibattito generale, ossia un’impostazione un po’ nazionalista e anti-Bruxelles, la quale viene vista come il nemico prima di tutto per certi temi di etica sociale – contro le ideologie gender, l’eutanasia, i matrimoni omosessuali e cose del genere. Quindi, anche qui vediamo aspetti concreti e altri di grande dibattito etico. E c’è la lotta “tra due donne”: tra l’attuale primo ministro del partito di centro – Ewa Kopacz – e quella che sarà la nuova premier – Beata Szydlo – una donna molto cattolica, pia. Però, al di là di questo c’è un dibattito dai toni troppo nazionalistici.

D. – Parliamo di una forza che si metterà in contrapposizione con Bruxelles, l’ennesima in Europa…

R. – Sì, infatti. Questa alla fine è la conclusione. Si è parlato molto, anche non del tutto a ragione, di un “blocco dell’Est”, soprattutto sul problema dei migranti. In realtà, la Polonia è sempre stata molto moderata rispetto a Budapest – al governo Orban – o rispetto al governo della Repubblica Ceca e della Slovacchia. Adesso, invece, Varsavia afferma che vuole seguire il cammino di Budapest. Bisognerà però vedere se questo succederà, perché la Polonia è il Paese più grande del blocco dell’Est: è la sesta economia dei 28 Paesi dell’Unione Europea, è ancorata dal punto di vista economico alla Germania. Per queste ragioni, quindi, bisogna vedere questo a cosa porterà questo voto.

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Osservatorio legalità: corruzione, istituzioni siano più limpide

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La corruzione e l’illegalità in Italia sembrano dilagare stando ai clamorosi casi giunti alla ribalta della cronaca negli ultimi giorni: gli arresti all’Anas, l’assenteismo divenuto prassi al Comune di Sanremo, le truffe all’Inps con finti rapporti di lavoro. Pratiche disinvolte di gruppi di persone che, spesso, violano la legge per anni indisturbati. Mancanza di fiducia nelle istituzioni e scarsa trasparenza di queste ultime, due dei mali del sistema Italia, secondo l’analisi dell’avvocato Daniela Bauduin, dell’Osservatorio della legalità e dei diritti, sentita da Paola Simonetti

R. – Innanzitutto, la corruzione trova le sue radici in un problema che è chiaramente culturale nel senso che si è indebolito fortemente il rapporto di fiducia tra il cittadino e le istituzioni. E questo vacillare della fiducia ha indubbiamente inciso sul diffondersi di questi comportamenti che alterano la funzione che il pubblico ufficiale è chiamato ad esercitare che è quella di perseguire l’interesse pubblico. Però c’è anche un problema più tecnico. Uno dei punti deboli del sistema è sicuramente la trasparenza nelle istituzioni pubbliche pur essendo essa riconosciuta a livello legislativo. Tra l’altro, a livello legislativo e in testi che non sono neanche recentissimi – perché io mi riferisco alla famosa legge sul diritto di accesso che è del 1990 – ancora oggi si fa difficoltà ad accedere alla pubblica amministrazione, alla sua attività. In tutti i programmi elettorali delle più diverse forze politiche si legge sempre l’espressione “trasformeremo la pubblica amministrazione in un palazzo di vetro”: ancora non siamo arrivati a questo ed è un obiettivo purtroppo non vicino.

D. – Però, il cittadino si chiede: c’è qualcuno che dovrebbe essere preposto al controllo e probabilmente non lo fa?

R. – C’è una sorta di identificazione culturale spesso tra chi dovrebbe controllare e chi dovrebbe essere controllato. Voglio dire che se il controllore ritiene che taluni comportamenti - io mi riferisco alle piccole cose - per com’è l’evoluzione della società, siano consentiti, allora si indebolisce il controllo pubblico, così come si indebolisce il controllo sociale che nella nostra realtà - penso all’evasione fiscale - purtroppo non è diffuso e radicato come in altri Paesi.

D. – E’ cambiato qualcosa nei meccanismi corruttivi italiani negli ultimi anni, c’è qualcosa che caratterizza il nostro momento storico, secondo lei?

R. – Sicuramente, c’è una maggior banalità nel male, arrivo a dire. Nel senso che proprio l’avere sdoganato questi concetti, l’aver ritenuto che violare le norme è da furbi, che chi lo fa è più intelligente quasi di altri, ha provocato una immoralità più diffusa che si ravvede anche in forme di corruzione che poi tanto sofisticate non sono. Basterebbe che fossero applicate le norme che già esistono, non sarebbe neanche necessario emanarne di ulteriori. Di recente, nel 2013 il governo ha emanato un importante decreto sulla trasparenza. Ha introdotto anche l’istituto dell’accesso civico, in base al quale le pubbliche amministrazioni devono rendere accessibili tutti gli atti, i documenti che riguardano la loro attività: Se un processo viene svolto in modo rigoroso questo dovrebbe esser scontato nel suo esercizio.

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A Roma il "Today Family!", un convegno sui temi sinodali

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Quattro giorni per riflettere sulla famiglia e sul suo futuro nella società, in coincidenza con la chiusura del Sinodo dei vescovi. E’ questo l’obiettivo dell’ evento "Today Family!", iniziato ieri a Roma nella Basilica di San Crisogono e in programma fino a domenica. Durante l’iniziativa si alterneranno dibattiti, momenti di preghiera e di incontro. L’apertura ieri con il Convegno sul tema “Famiglia 2015, uno sguardo”. Il servizio di Marina Tomarro

Uno sguardo sulla famiglia e il suo posto nella società, passando attraverso le dinamiche di quelle politiche che spesso non riescono ad aiutarla fino in fondo e su come la Chiesa possa concretamente essere vicina ad essa. Sono stati questi i temi principali del convegno al "Today family!". Ascoltiamo Filippo Savarese, portavoce de "La manif por Tous Italia":

R. – Oggi, viviamo un momento di frattura, ma una frattura che può essere ricomposta. Quello di cui ci stiamo rendendo conto è che la prima necessità della famiglia è riscoprire il suo perché nella società, il suo perché antropologico. Questa nave della famiglia sta chiaramente in mezzo a una burrasca, ma anche grazie al Sinodo e anche grazie alle parole e all’attenzione pastorale che Papa Francesco sta mettendo intorno a questa urgenza io credo che noi potremo dare una risposta, di nuovo, a questa domanda: far capire alle nuove generazioni il perché sia fondamentale capire la propria identità di essere uomo e di essere donna e capire che questa identità porta la miracolo della generazione della vita.

D. – In che modo la famiglia, oggi, può aiutare la Chiesa per l’evangelizzazione?

R. – La famiglia è il nucleo che trasmette la fede di generazione in generazione: padri e madri che testimoniano che cosa è significato per loro vivere la fede e lo testimoniano ai loro figli. Noi vediamo che la crisi della famiglia sta comportando anche, in una certa misura, la crisi della Chiesa, la crisi cioè della fede, perché si è perso il nesso di testimonianza. Allora, in tal senso, anche tornare a far parlare genitori e figli di questioni essenziali per la vita, esistenziali come la fede in Dio e in Gesù Cristo, può dare una svolta veramente alla vita della Chiesa.

E questo Convegno si svolge alla vigilia delle conclusioni del Sinodo sulla famiglia. Ma cosa si ci aspetta? Ascoltiamo Linda Borzi presidente Acli provinciali di Roma.

R. – Io credo che i Padri sinodali non daranno delle soluzioni alle famiglie di oggi, ma daranno un cammino. Noi siamo una organizzazione – quella delle Acli – che a Roma incontra in un anno circa 100 mila persone: sono poche o molte, dipende, ma ci rappresentano una realtà e il loro bisogno di concretezza, fatta di piccole cose, fatta di servizi, fatta di una conciliazione fra la famiglia e il lavoro, che in una città come Roma ha un significato… Quindi, noi dai Padri zinodali ci aspettiamo un orizzonte di speranza e siamo certi che questo arriverà per la famiglia.

D. – In che modo oggi si può aiutare la famiglia a superare le difficoltà e, allo stesso tempo, incoraggiare i giovani a formare famiglia?

R. – Bisogna incoraggiare i giovani a formare una famiglia facendo capire loro che la famiglia è un pilastro della società. San Giovanni Paolo II diceva: “Se sta bene la famiglia, sta bene la società”. Quindi, ai giovani bisogna far capire che fare famiglia significa anche un atto di responsabilità sociale nei confronti della comunità.

D. – In che modo anche le istituzioni possono dare una mano alla famiglia?

R. – La possono dare in tante maniere, perché le istituzioni possono e devono fare una politica a misura di famiglia. Mi riferisco a una politica fiscale che aiuti le famiglie, perché i figli non sono un bene privato, ma sono un bene della comunità: quindi la famiglia è anche la culla del futuro. E lì bisogna investire con politiche familiari, che non siano politiche residuali, che non siano solo politiche di welfare, ma che siano politiche di sviluppo.

L’incontro  si è svolto nella festività di San Giovanni Paolo II e in suo onore è stato messo in scena il testo teatrale scritto da un giovane Karol Woityla, “La bottega dell’ Orefice”, storia di una coppia, Andrea e Teresa, che superano le crisi ripercorrendo quei momenti che li hanno fatti innamorare. Il regista Antonio Tarallo.

 R. – Vuole raccontare il desiderio dei giovani e la volontà di formare una famiglia e penso che sia importante, in questo momento in cui regna l’individualismo. Nella bottega c’è una bellissima battuta, in cui si dice: “Uscire fuori dal mio Io”. Lo dice Andrea… Ecco, forse siamo partiti proprio da quello, dall’uscire cioè fuori dal proprio "io" e nasce dall’idea di dire: cerchiamo di poter creare un ponte verso l’altro. In fondo, è l’amore eterno…

Lo spettacolo sarà replicato, questa sera e domenica alle 20.45, mentre sabato ci sarà un rappresentazione speciale alle 17, dedicata ai senza fissa dimora, che vivono nella zona.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Cristiani denunciano la confisca beni degli emigrati

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Il diritto a confiscare e gestire beni di proprietà di persone che hanno lasciato le proprie case – costrette a emigrare a causa del conflitto in corso – diritto autoproclamato dalle autorità locali di Hassaké, in Siria, è stato definito “contrario ai diritti umani” da parte dell’arcivescovo Jacques Behnan Hondo, a capo dell’arcidiocesi siro-cattolica di Hassaké-Nisibi, tra i firmatari di un comunicato sottoscritto dalle comunità cristiane locali. Secondo questo documento, nell'area sarebbero stati creati organismi incaricati di gestire e controllare – di fatto, disporre – di tali proprietà.

L'accusa dei cristiani: "Misura intimidatoria"
Secondo quanto riportato dall’agenzia Fides, infatti, i capi delle chiese e delle organizzazioni cristiane presenti in questa provincia nordorientale del martoriato Paese, si oppongono con forza al cosiddetto progetto di “tutela e gestione” delle proprietà delle persone emigrate: “Una misura intimidatoria sia per chi è stato costretto ad allontanarsi, e che dopo aver subito l’esproprio forzato dei propri beni vedrebbe di fatto compromesso il proprio diritto al ritorno – scrivono – sia per chi rimane e viene in questo modo indotto a pensare che sia meglio vendere i propri beni prima di vederseli espropriati in caso di temporanea assenza”. Stando ai dati, nella zona più del 30% delle terre e dei beni immobiliari presenti sarebbero di proprietà dei cristiani. (R.B.)

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Nigeria. Attentato in moschea a Maiduguri, almeno 28 morti

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È di almeno 28 morti e una ventina di feriti il bilancio – ancora provvisorio, fornito dall’Agenzia nigeriana per la gestione delle emergenze – dell’ennesimo venerdì di preghiera sfociato nel sangue a Maiduguri, capitale dello Stato nigeriano del Borno. Questa mattina, intorno alle 5 ora locale, si sarebbero verificate due esplosioni nei pressi di una moschea del quartiere Jidari Polo dove i fedeli stavano partecipando alla prima preghiera del mattino.

La città nella morsa di Boko Haram
Secondo le prime ipotesi degli inquirenti, l’attentatore sarebbe uno solo, ma sono molte le testimonianze che riferiscono due esplosioni, pur in rapida successione. Quello di oggi è il sesto attacco suicida dall’inizio di ottobre a Maiduguri, considerata la culla del movimento estremista islamico Boko Haram che qui si è formato nel 2002. La città, inoltre, si trova all’estremo nordest della Nigeria, non lontano da Niger, Ciad e Camerun, tutti Paesi dove spesso Boko Haram sconfina con le sue azioni terroristiche. (R.B.)

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Migranti. Mons. Seitz: c'è crisi umanitaria ai confini Usa

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“È fondamentale ricordare che abbiamo ancora una crisi umanitaria tra le mani e si deve fare di più. Dobbiamo rispondere alle esigenze di questi bambini e di queste famiglie, non per allontanarli o ostracizzarli, perché gli americani sono un popolo che prova compassione”. Lo ha affermato mons. Mark Joseph Seitz, vescovo di El Paso, Stati Uniti, che nel suo intervento di due giorni fa davanti alla Commissione del Senato per la Sicurezza interna e gli affari governativi ha riportato l’attenzione su un fenomeno migratorio mai interrotto: quello che porta decine di persone, minori e famiglie dall’America centrale verso gli Usa. Il presule, titolare della diocesi texana non lontana dal confine con il Messico, nella sua relazione ha sottolineato la necessità di “migliorare la risposta alle popolazioni vulnerabili dell’America centrale e al confine con gli Stati Uniti”.

La proposta: introdurre un sistema di controllo regionale
“Ricordiamo che è la Sacra Famiglia l’archetipo delle famiglie di profughi che vediamo oggi”, sono state le sue parole riportate dall’agenzia Fides. Il presule, che è anche consulente della Commissione sulle immigrazioni dell’episcopato locale e del Consiglio di amministrazione del "Catholic Legal Immigration Network", ha raccomandato anche l’introduzione di un sistema di controllo regionale che consenta ai minori e alle loro famiglie la possibilità di chiedere asilo in Messico e in altre nazioni della regione, cosa che attualmente non è possibile perché “non tutti i governi centroamericani sono in grado di proteggere del tutto i loro cittadini” e perciò spesso “il rischioso viaggio verso nord è visto come una strategia familiare per proteggere un bambino”.

Il dato: nel 2015 già 40 mila i minori arrivati negli Usa
Secondo i dati pervenuti all’agenzia Fides, dall’inizio del 2015 sono arrivati negli Stati Uniti ben 40 mila minori non accompagnati e più o meno è lo stesso il numero delle madri con bambini al seguito, in fuga dalle violenze della criminalità organizzata che imperversa soprattutto in Guatemala, El Salvador e Honduras. (R.B.)

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Centrafrica, violenze. Chiesa e Acs accanto alla popolazione

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Nella Repubblica Centrafricana, oltr alla povertà, continuano a causare morte e dolore i conflitti causati dai ribelli del gruppo Seleka. È questa la toccante testimonianza che il vescovo di Alindao, mons. Cyr-Nestor Yapaupa, offre ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), la Fondazione di diritto pontificio impegnata anche in questo Paese africano, dove la situazione è molto difficile.

“Seleka prende di mira le strutture della Chiesa”
“Il 2013 è stato un anno terribile”, racconta il presule ricordando come nel mirino della coalizione ribelle ci fossero proprio le chiese e le strutture a esse connesse, come i centri sanitari della Caritas. “La comunità cristiana ha sofferto moltissimo – ha aggiunto – molti parroci sono stati costretti a lasciare le loro parrocchie perché i ribelli li avevano derubati di tutto e non avevano più di che vivere”. La diocesi si è poi rimessa un po’ in piedi grazie ai 40 mila euro donati da Acs per le emergenze, finché nel 2014 la situazione è leggermente migliorata grazie all’arrivo delle forze internazionali che hanno spinto Seleka a lasciare la capitale, Bangui.

“I cristiani hanno paura a tornare nelle loro case”
Oggi, però, la situazione è ancora a rischio perché Seleka “possiede molte armi” e la loro presenza scoraggia i cristiani a fare ritorno nelle loro case. “Per 273 mila abitanti abbiamo solo tre medici – dice ancora mons. Yapaupa – e anche gli insegnanti hanno paura a tornare”. La Chiesa continua a sostenere la popolazione, tanto che sono solo le scuole cattoliche a essere rimaste aperte ad Alindao e ci si sta adoperando per ripristinare l’unità mobile per fornire assistenza medica nei villaggi. (R.B.)

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L’eredità del Vaticano II in un convegno in Bulgaria

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“L’umanesimo contemporaneo alla luce del Concilio Vaticano II”. È il titolo del convegno internazionale che si terrà domani a Veliko Tarnovo, in Bulgaria, organizzato in vista del prossimo Anno Santo della Misericordia e nel 50.mo dalla chiusura del Vaticano II. L’evento è promosso dalla diocesi di Nicopoli, con il patrocinio dell’Accademia bulgara delle scienze.

Attuare l'eredità del Concilio
“Bisogna sempre attuare - afferma don Strahil Kavalenov, tra gli organizzatori del convegno - l’eredità del Concilio, strumento speciale per il dialogo della Chiesa con il mondo. E particolarmente qui in Bulgaria, dove - prosegue - gli anni del comunismo hanno impedito l’applicazione del Concilio”. Alla comprensione e alla ricezione del Vaticano II è dedicato l’intervento di padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. I lavori saranno aperti con il saluto di mons. Petko Hristov, vescovo di Nicopoli, e di Stefan Vodenicharov, presidente dell’Accademia bulgara delle Scienze. Tra i relatori: Kiril Kartaloff, della medesima Accademia, Massimo De Leonardis, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e due scienziati ortodossi, Tony Nikolov e Momchil Metodiev. Domenica 25 ottobre, la Santa Messa celebrata nella parrocchia della Madonna del Rosario. (G.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 296

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.