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Sommario del 22/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: non siamo fachiri, nostro sforzo apre porte a Spirito Santo

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Lo sforzo del cristiano è teso ad aprire la porta del cuore allo Spirito Santo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha sottolineato che la conversione, per il cristiano, “è un compito, è un lavoro di tutti i giorni” che ci porta all’incontro con Gesù. Come esempio di questo, Francesco ha raccontato di una madre malata di cancro che ce l’ha messa tutta per sconfiggere la malattia. Il servizio di Alessandro Gisotti

Per il cristiano la conversione “è un compito, un lavoro di tutti i giorni”. Papa Francesco prende spunto dalla Lettera di San Paolo ai Romani per sottolineare che per passare dal servizio dell’iniquità alla santificazione, dobbiamo sforzarci quotidianamente.

Non siamo fachiri, nostro sforzo serve a santificazione
San Paolo, ha osservato il Papa, usa “l’immagine dello sportivo”, l’uomo che “si allena per prepararsi alla partita e fa uno sforzo grande”. E dice: “Ma se questo, per vincere una partita fa questo sforzo, ma noi, che dobbiamo arrivare a quella vittoria grande del Cielo, come faremo?”. San Paolo, ha dunque ripreso, ci “esorta tanto ad andare avanti in questo sforzo”:

“‘Ah, Padre, possiamo pensare che la santificazione viene per lo sforzo che io faccio, come la vittoria per quello che fa lo sport viene per l’allenamento?’. No. Lo sforzo che noi facciamo, questo lavoro quotidiano di servire il Signore con la nostra anima, con il nostro cuore, con il nostro corpo, con tutta la nostra vita soltanto apre la porta allo Spirito Santo. E’ Lui che entra in noi e ci salva! Lui è il dono in Gesù Cristo! Al contrario, noi assomiglieremmo ai fachiri: no, noi non siamo fachiri. Noi, con il nostro sforzo, apriamo la porta”.

Andare avanti, non indietreggiare di fronte alle tentazioni
Un compito difficile, ha riconosciuto, “perché la nostra debolezza, il peccato originale, il diavolo sempre ci tirano indietro”. L’autore della Lettera agli Ebrei, ha soggiunto, “ci ammonisce contro questa tentazione di indietreggiare”, di “non andare indietro, non cedere”. Bisogna “andare avanti – ha esortato – sempre: un po’ ogni giorno” anche “quando c’è una grande difficoltà”:

“Alcuni mesi fa, ho incontrato una donna. Giovane, madre di famiglia – una bella famiglia – che aveva il cancro. Un cancro brutto. Ma lei si muoveva con felicità, faceva come se fosse sana. E parlando di questo atteggiamento, mi ha detto: ‘Padre, ce la metto tutta per vincere il cancro!’. Così il cristiano. Noi che abbiamo ricevuto questo dono in Gesù Cristo e siamo passati dal peccato, dalla vita dell’iniquità alla vita del dono in Cristo, nello Spirito Santo, dobbiamo fare lo stesso. Ogni giorno un passo. Ogni giorno un passo”.

Chiediamo la grazia di essere bravi nell’allenamento della vita
Il Papa ha indicato alcune tentazioni come la “voglia di chiacchierare” contro qualcuno. E in quel caso, ha detto, che bisogna sforzarsi per tacere. Oppure, ha detto, ci “viene un po’ di sonno” e non abbiamo “voglia di pregare” ma poi preghiamo un po’. Partire dalle piccole cose, ha ribadito Francesco:

“Ci aiutano a non cedere, a non andare indietro, a non tornare all’iniquità ma ad andare avanti verso questo dono, questa promessa di Gesù Cristo che sarà propriamente l’incontro con Lui. Chiediamo al Signore questa grazia: di essere bravi, di essere bravi in questo allenamento della vita verso l’incontro, perché abbiamo ricevuto il dono della giustificazione, il dono della grazia, il dono dello Spirito in Cristo Gesù”.

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Telegramma del Papa al convegno su Matteo Ricci

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Apprezzamento per il Convegno internazionale che si è aperto a Macerata dal titolo: “Nuove prospettive negli studi su padre Matteo Ricci”, è stato espresso da Papa Francesco in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Il Pontefice ricorda il gesuita come uomo zelante, impegnato nel tessere rapporti tra cultura europea e quella cinese. Il Santo Padre - si legge nel messaggio - auspica che il ricordo di padre Matteo Ricci "riaffermi l'importanza del dialogo tra culture e religioni nel rispetto reciproco e in vista del bene comune".

Al convegno ricercatori da vari Paesi
Il convegno, che si concluderà il 23 ottobre, è stato pensato a cinque anni dalle celebrazioni del 2010 per i quattrocento anni dalla morte del missionario maceratese, con l'intento di accogliere ricercatori provenienti dalla Cina, dall’Europa e dagli Stati Uniti.

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Sinodo: si lavora alla stesura della Relazione finale

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Al Sinodo dei vescovi sulla famiglia, si lavora alla stesura della Relazione finale, preparata dall’apposita Commissione di dieci membri, nominata dal Papa. Nel pomeriggio, la bozza del documento viene presentata in Aula ai Padri Sinodali. Stamani, intanto, consueto briefing in Sala Stampa vaticana. Sono intervenuti: il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e membro della Commissione; il vescovo di Tonga, Soane Patita Mafi, il membro più giovane del Collegio cardinalizio, e l'arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gómez. Il servizio di Isabella Piro

Padre Lombardi: lavoro della Commissione è stato intensissimo
“La Commissione ha lavorato intensissimamente per completare il suo lavoro”.

Apre così il briefing padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana. Parole a cui fa eco il card. Gracias: il Sinodo è stato un’esperienza spirituale, spiega, per capire come aiutare le famiglie a diventare migliori o a trovare soluzioni alle loro difficoltà, grazie al confronto tra opinioni, punti di vista e situazioni culturali diverse. In quest’ottica, il card. Gracias si sofferma sul tema del “sano decentramento”: esso, spiega, implica che i vescovi devono essere formati a livello teologico, morale e canonico, per comprendere i diversi approcci pastorali necessari per affrontare i problemi specifici di ogni Paese.

Card. Gracias: dal Papa, il ringraziamento alla Commissione per il suo operato
“The Holy Father himself came…
“Il Papa è venuto a ringraziarci per il nostro lavoro nella Commissione – aggiunge il porporato - non è rimasto per la discussione, ma ci ha parlato dell'importanza della famiglia”. Quindi, l’arcivescovo di Bombay si sofferma sul metodo di lavoro della Commissione: degli oltre 700 emendamenti presentati per il documento finale, gli esperti fanno una valutazione, cercando di scegliere quelli più rappresentativi, e poi la Commissione decide quali di essi inserire nel testo finale, in modo che ne emerga un messaggio coerente.

Relazione finale ancora in fase di bozza. Sabato, votazione punto per punto
Attualmente, ancora in fase di bozza, afferma il card. Gracias, la Relazione consta di circa cento pagine, approvate all’unanimità dalla Commissione. In apertura, forse verrà inserito un preambolo, su richiesta di alcuni Circoli minori. La bozza di documento verrà presentata ai Padri Sinodali oggi pomeriggio e discussa domattina. Le modifiche richieste dovranno pervenire entro le 14 di domani in forma scritta. Venerdì sera la Commissione rielaborerà il testo, in base alle modifiche, quindi sabato mattina esso verrà letto in Aula nella sua forma definitiva, mentre nel pomeriggio lo si voterà, paragrafo per paragrafo. Sarà poi il Papa a stabilire se pubblicarlo o meno.

Card. Mafi: il Sinodo, un viaggio che continuerà
Dal suo canto, il card. Mafi sottolinea: oggi, il mondo globalizzato va visto in tutte le sue interdipendenze e questo aspetto va valutato attentamente. Al Sinodo abbiamo lavorato con cuore aperto, afferma, cercando sempre di far sentire il sostegno della Chiesa alla famiglia. Ad ogni modo, il Sinodo è un viaggio che continuerà. Quanto alle sfide dei nuclei familiari nel suo Paese, il porporato evidenzia la difficoltà degli Stati insulari, ancora privi di istituzioni forti, e del cambiamento che l’individualismo, di provenienza occidentale, sta portando sulla famiglia allargata. La globalizzazione, dice, è una benedizione, ma anche una sfida.

Mons. Gómez: riflessione su migrazioni e parità dei diritti uomo-donna
Dal suo canto, mons. Gómez si sofferma sul tema della migrazione, molto presente al Sinodo: negli Usa ci sono 11 milioni di immigrati irregolari, spiega, e si tratta di persone che fanno parte della nostra famiglia e che vanno aiutate. Centrale anche il tema dell’unità: negli Stati Uniti è una questione molto sentita, afferma l’arcivescovo di Los Angeles, ed il Sinodo deve lanciare un messaggio su questo, per dimostrare che la famiglia è l’istituto sul quale si può sempre contare. La discussione sinodale ha toccato poi l'importanza del rispetto per la donna e della parità di diritti e responsabilità, perché – afferma il presule - “siamo stati creati tutti uguali e siamo tutti figli di Dio”. L’auspicio di mons. Gómez, comunque, è che il Sinodo possa aiutare le persone a vivere in modo più profondo la fede.

Falsa notizia su malattia del Papa non ha influito su lavori del Sinodo
Infine, rispondendo ad una domande della stampa sulla falsa notizia di una malattia del Papa, i Padri Sinodali presenti al briefing affermano: essa non ha avuto nessun effetto sul nostro operato, abbiamo continuato a lavorare in spirito di sinodalità.

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Sinodo. Mons. Frăţilă: misericordia di Dio dà forza di cambiare vita

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Per una valutazione su quanto emerso finora al Sinodo sulla famiglia il nostro inviato Paolo Ondarza ha intervistato mons. Mihai Cătălin Frăţilă, vescovo greco-cattolico di San Basilio Magno di Bucarest dei Romeni: 

R. – Stare al Sinodo è sempre un’esperienza ricca, perché pur essendo posti nelle nostre specificità delle Chiese locali, emerge che la verità è una nella Chiesa cattolica. Di fronte ad ogni situazione ciò che è importante è interrogarsi davanti al Signore su come riaffermare questo attaccamento al Signore e dare sostegno alle persone, perché sappiano che se cercano ogni giorno il bene, Cristo trova sempre le possibilità e le situazioni per farci tornare da Lui. Si parla molto, per esempio, della misericordia, ma la misericordia non è semplice compassione: la misericordia del Signore ci dà la forza di cambiare la nostra vita.

D. – Guardare solo a quanto vive l’uomo contemporaneo - è stato detto in aula - talvolta può portare al rischio di soffermarsi ad una visione puramente sociologica del fenomeno. Che cosa si può dire riguardo a questa considerazione? Lei come la pensa?

R. – La Chiesa non è schizofrenica nei confronti delle cose spirituali e delle cose della nostra umanità, ma ha la priorità di servire i cuori e tenere questi cuori attorno a Cristo, per non perdere la giusta via. E’ molto importante non cercare di mettere al posto del Signore le nostre problematiche quotidiane che non hanno senso se non sono guardate tramite il suo cuore.

D. – In una società che propone sempre più vari modelli di famiglia, come la Chiesa può proclamare la verità sulla famiglia? E’ possibile parlare di verità in un contesto culturale relativista?

R. – Solo ad una condizione, che questo criterio della verità, che è la persona di nostro Signore, ci faccia mettere in secondo piano tutte le altre priorità. La Chiesa deve proseguire con il coraggio della fede, seguire i passi di Cristo. E i passi di Cristo passeranno sicuramente intorno alla Croce, al Calvario.

D. – Lei ha portato in aula la testimonianza della vostra Chiesa greco-cattolica nel secolo scorso, vuole condividerla con noi?

R. – La Chiesa greco-cattolica tra il 1948 e il 1990 è stata completamente soppressa. Secondo lo spirito del mondo per 41 anni, la percentuale ufficiale dei cattolici era dello 0 per cento. Invece la Chiesa clandestina ha resistito, perché la verità non era una filosofia o una dittatura culturale, ma era l’incontro con il Signore. E davanti all’incontro col Signore tutte le altre cose cadono. La Chiesa va spesso contro lo spirito del mondo che cerca sempre di portarci verso le cose che assomigliano alla verità, ma sono menzogne. Per questo c’è molto bisogno di parlare chiaramente. Soprattutto in questo tempo in cui c’è una dittatura culturale che cerca di imporre dei modelli estranei alla rivelazione, al Vangelo. Dobbiamo parlare chiaramente, perché i fedeli hanno bisogno di essere confermati. L’esperienza della Chiesa greco-cattolica romena ha avuto questo enorme sostegno da parte del Signore di conservare l’attaccamento alla fede per 40 anni di persecuzione comunista, proprio perché si guardava a Roma come la culla della fede e del Vangelo, che rimane sempre attaccato al cuore e al volere del Signore.

D. – Quindi una rinnovata chiamata per la Chiesa a parlare chiaramente in un mondo in cui spesso le parole vengono decostruite e private del loro significato, se non deformate nel loro significato…

R. – Certamente, i valori del Regno di Dio o ci fanno elevare alla profondità delle loro verità oppure noi con i nostri peccati e le nostre debolezze li abbassiamo, li facciamo scendere al nostro livello. E’ importante conservare questa chiarezza del linguaggio, perché il Vangelo è semplice: Cristo ci ha detto che per seguire il bene, per seguire la verità ci porterà sicuramente anche sulle strade dove dovremo dare una testimonianza estrema. La Chiesa dei primi secoli, ma anche quella che oggi combatte spiritualmente nel mondo per rimanere attaccata al Signore, al suo volere, ci dice sempre che il sangue dei martiri conserva questa forza e questa energia della Chiesa di rimanere attaccata al volere di Dio e non ad altre realtà, anche se magari più fiorenti o più dorate, ma che non sono altro che finte verità e inganni.

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Sinodo. Don Scarabattoli: indicazioni pastorali secondo i contesti

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Offrire risposte pastorali ai molteplici bisogni delle famiglie a seconda dei contesti geografici. E’ quanto chiesto da alcuni Padri sinodali alla luce delle tante situazioni presentate in aula. Cruciale in ogni Paese del mondo è la testimonianza di famiglie cristiane credibili, radicate nel Vangelo. Al microfono di Paolo Ondarza la riflessione di don Saulo Scarabattoli, parroco di Santo Spirito in Porta Eburnea a Perugia, chiamato da Papa Francesco a prendere parte ai lavori del Sinodo: 

R. – E’ uno sguardo mondiale: ogni Paese è diverso dall’altro e le diversità sono enormi. Penso agli interventi che ci sono stati da parte dei vescovi dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina. E’ stato dato anche uno sguardo alla Cina…

D. – C’è chi è, infatti, arrivato a proporre anche di dare delle indicazioni a seconda dei contesti…

R. – Credo che questo sia necessario. Anche in  famiglia, se si hanno vari figli, la proposta la si fa a seconda delle loro età, a seconda del loro temperamento, a seconda della fase che stanno attraversando… Se ampliamo allora questo schema al mondo, vediamo che ci sono diversi contesti: parlavano, appunto, della Cina, in cui c’è un tipo di matrimonio fatto di violenze, di costrizioni; oppure la realtà delle famiglie di mista religione, in cui sono presenti anche dei musulmani, e sono state portate delle esperienze anche di questo tipo. E’ ovvio che non si possono trattare come se fossero nati ed immersi tutte e due nell’acqua del Battesimo. Quindi questa diversità nell’applicazione della Parola riguarda evidentemente le leggi ecclesiastiche, perché la Parola di Dio è una per tutti: “Come la pioggia – dice il Profeta – che dove cade produce frutti diversi a seconda dei diversi terreni”.

D. – E veniamo all’Italia, quali sono le priorità? Lo chiedo – appunto – ad un parroco…

R. – Grazie a Dio, la maggioranza delle famiglie sono delle famiglie sane. Per quanto riguarda quelle che vengono in parrocchia – ripeto – la maggioranza ha una vita serena, faticosa ma serena. Certo, le ferite e le malattie ci sono. Del resto come in un ospedale: se uno guarda l’ospedale sembra che siano tutti malati, poi se ci si guarda intorno si vede che – grazie a Dio! – c’è della gente che cammina, accanto a quelli che sono ingessati, per così dire… Però l’attenzione anche alle famiglie malate, pur essendo tutto sommato una piccola percentuale, deve essere intera: proprio perché Gesù è venuto per i malati e non per i sani. Perciò anche se come numero assoluto non saranno tante queste famiglie ferite, hanno diritto alla prima attenzione.

D. – E’ la pastorale inclusiva di cui parla Papa Francesco. Che metodologia deve avere verso chi non è familiare al linguaggio della Chiesa?

R. – La Chiesa parla, prima di tutto, per quelli che possono ascoltare. Anche il Profeta Ezechiele dice: “Ascoltino o non ascoltino, tu parla!”. Quindi parlare all’interno della Chiesa è necessario e il linguaggio è condiviso. Per quelli che sono fuori della Chiesa, che non la conoscono, il modo per poterli interessare è mostrare una testimonianza di famiglie nella serenità. Per quelli che fossero contro, ci penserà il Signore a salvarli per altra via…

D. – Quindi sta rilanciando il ruolo attivo delle famiglie cristiane come testimoni credibili, che possono far avvicinare chi è lontano o chi si è perso?

R. – Sì, questa non è una invenzione di nessuno! Una luce nel buio la vedono tutti: Gesù ha proprio usato questa immagine della città posta sul monte, per dire che è per attrazione – come appunto dice Papa Francesco – e non per costrizione, nemmeno per convinzione intellettuale. Perché se non scatta l’innamoramento è difficile che una persona, ragionando, possa vivere. Quindi ci vuole l’innamoramento, l’attrazione.

D. – Dal suo punto di vista, le famiglie cristiane hanno oggi una forza attrattiva o, forse, talvolta non attirano?

R. – Se la luce è forte, attira; se la luce è debole purtroppo non attira… La luce elettrica la vediamo subito, la luce della fede si vede non tanto da quelli che ce l’hanno, ma da quelli che guardano verso. Se io vedo che ci sono delle persone che guardano in una direzione, allora intuisco che lì ci deve essere una luce forte; se, invece, guardano di qua e di là, allora è segno che quella luce – pur essendoci e pur essendo sufficiente per la tranquillità della famiglia – non è così forte da poter parlare anche a chi fosse lontano.

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Padre Aldegani: il Sinodo, un atto di amore per la famiglia

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Traccia un bilancio dei lavori sinodali fin qui svolti anche padre Mario Aldegani, superiore generale della Congregazione di S. Giuseppe. L’intervista è del nostro inviato al Sinodo Paolo Ondarza

R. – Mi pare che possiamo dire che ci sia stato un grande dialogo aperto, sia nell’aula sinodale sia nei Circoli Minori. Io penso che si potrebbe dire che questo Sinodo sia un atto d’amore verso la famiglia, con una grande fiducia nel Santo Padre.

D. – Fiducia nel Santo Padre che, in aula sinodale, si è esplicitata nel chiedere a lui un ultima parola su determinati temi che il Sinodo, avendo una funzione consultiva e non deliberativa, non può pronunciare…

R. – Proprio così. Io penso che questo pensiero, questo chiarimento sia molto utile, anche forse in rapporto ad alcune interpretazioni distorte che si percepiscono fuori di qui. Il Sinodo non decide niente, è una riflessione, è un cammino di comunione e di interpretazione della realtà, alla luce della Parola del Signore, della tradizione della Chiesa, per dare al Santo Padre il maggior numero di elementi possibili, affinché lui prenda le decisioni che gli appartengono.

D. – Intravede dei temi che il Sinodo in particolare ha illuminato maggiormente?

R. – E’ sicuramente un allargamento delle prospettive e delle riflessioni, rispetto a quelli che erano i punti sempre sottolineati in modo insistente, quasi oppressivo da chi da fuori guardava a questo Sinodo. Noi non abbiamo parlato solo della famiglia in astratto, ma abbiamo – credo – cercato di parlare delle famiglie, di entrare nelle situazioni. Uno degli elementi che mi sembra una traccia abbastanza sicura del cammino e della prospettiva, è la necessità di un’attenzione alle situazioni, ognuna nella sua particolarità, con un grande impegno all’ascolto della verità e del bene che c’è in ogni situazione familiare. Io sono rimasto impressionato e colpito da una delle frasi che ha detto il Papa, alla veglia della vigilia dell’inizio del Sinodo, il sabato. Ha detto così: “Ogni famiglia è sempre una luce, anche fioca, nel buio del mondo”.

D. – L’attenzione del Papa alla famiglia la si è vista anche ieri all’udienza generale, con la sua catechesi sulla fedeltà che non toglie la libertà. Perché è importante proporla ai giorni di oggi?

R. – Nel mondo in cui viviamo, nella cultura che respiriamo almeno noi qui in Occidente, la famiglia direi che è proprio un luogo di resistenza di valori importanti, di valori buoni. Perché nella cultura che noi respiriamo tutto si vende, si compra, si mercifica e invece nella famiglia uno vale perché c’è, perché ne fa parte. Non è una questione di forza o di debolezza, è che tu ci sei. Insomma, la  famiglia è contro la cultura dello scarto. Qualsiasi situazione in cui ti trovi, il ritmo della famiglia si adegua alle situazioni di ciascuno: un malato, un portatore di handicap, un anziano… Questi sono valori grandi e noi ci siamo – credo – chinati e vogliamo chinarci su questi valori e imparare da questa grammatica dell’amore, della famiglia, della fedeltà cose buone per tutti.

D. – Sono stati diversi i temi di cui si è parlato, ma le chiedo se, secondo lei, in aula ne sono stati affrontati alcuni a cui invece è stata prestata poca attenzione dagli osservatori esterni?

R. – Uno dei temi che è emerso, soprattutto nelle ultime settimane, è il tema della custodia della fragilità, delle persone più fragili nella famiglia: i bambini, gli anziani, a volte le donne. Anche la denuncia di tante, troppe violenze che vengono patite dalle donne e anche l’ammirazione per quelle donne che fanno atti eroici in rapporto alla famiglia, come quelle che portano avanti gravidanze e poi allevano figli che poi sono frutto di violenza. Sono cose grandi, sono grandi esempi che noi dobbiamo guardare, additare come segni di bene, di positività per tutti.

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Al Sinodo la testimonianza delle famiglie dell'India

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Al Sinodo tra gli uditori anche una testimonianza proveniente dall’India. E’ quella di Jacob Mundaplakal Abraham, consulente per l'apostolato della famiglia e gli organismi laicali nelle diocesi di Kerala. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – I came because this is a Synod that discusses about families…
Sono venuto perché in questo Sinodo si parla di famiglia. Io sono sposato da 26 anni e abbiamo tre figli: con mia moglie abbiamo appena celebrato con la grazia di Dio le nozze d’argento. Faccio parte dell’apostolato della famiglia nella mia diocesi. Seguo gruppi di fidanzati che si preparano al matrimonio, ma anche coppie sposate. Abbiamo programmi regolari per queste coppie perché è importante poterle preparare bene al matrimonio.

D. – Quale testimonianza dà la famiglia cristiana nel suo Paese?

R. – Actually, I should say we are very fortunate, because in spite of all these changes …
In realtà, devo dire che siamo molto fortunati perché, nonostante tutti i cambiamenti sociali in atto, la maggior parte delle nostre famiglie vivono una vita cristiana. Questo avviene perché non hanno mai tralasciato la preghiera in famiglia. E’ un’abitudine: ogni giorno, in particolare ogni sera, prima di cena, ogni famiglia si incontra per pregare. Questo è quello che unisce le famiglie e io penso che questo sia l’aspetto caratteristico nelle famiglie cristiane cattoliche in India.

D. – Questo può essere d’esempio per i cristiani in altri Paesi?

R. – Sure! I told this in many of our group discussions. And they were wondering at this …
Sicuramente! Ho raccontato questo nei Circoli minori, nei nostri gruppi di lavoro. In molti si sono meravigliati, perché non riescono nemmeno a immaginarlo in altre parti del mondo. Erano veramente meravigliati!

D. – Cosa le famiglie indiane chiedono a questo Sinodo?

R. – See, you know, the modern information technology has affected our families, too …
Vede, le minacce della contemporaneità colpiscono anche le nostre famiglie in India. Credo che sia necessaria un’attività coordinata per aiutare le famiglie su base globale: non sono problemi di un singolo.

D. – Quale importanza riveste nella famiglia cristiana l’aiuto di Dio, l’aiuto della grazia?

R. – We cannot live, we can do very little things and ultimately …
Non possiamo vivere senza l’aiuto di Dio, in definitiva tutto dipende dalla sua grazia. Tanti matrimoni non riescono perché escludono Dio. Senza la grazia di Dio non può esserci un buon matrimonio, non esiste una buona famiglia.

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Tweet: nei poveri vediamo il volto di Cristo che si è fatto povero per noi

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Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Nei poveri vediamo il volto di Cristo che si è fatto povero per noi”.

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S. Giovanni Paolo II. Oder: Wojtyla e Bergoglio, la misericordia nel cuore

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Ricorre oggi, 22 ottobre, la memoria di San Giovanni Paolo II, canonizzato da Papa Francesco il 27 aprile dell'anno scorso assieme a San Giovanni XXIII. Fin dalla prima mattinata, tantissimi fedeli si stanno raccogliendo in preghiera alla tomba del Santo, nella Basilica Vaticana. Tra i Pontefici più amati della storia, Karol Wojtyla è stato, in particolare, il "Papa della famiglia" - come ha ricordato ieri Francesco all'udienza generale - e dei giovani che lo celebreranno il prossimo anno nella Gmg di Cracovia, sua terra natale. Grande inoltre la sua devozione per la Divina Misericordia, aspetto che lo lega strettamente a Jorge Mario Bergoglio. Sull’attualità della figura e del Magistero di Giovanni Paolo II e il legame con Francesco, Alessandro Gisotti ha intervistato il postulatore della Causa di Canonizzazione, mons. Slawomir Oder

R. – Possiamo celebrare già in una memoria liturgica una persona che ricordiamo presente e accanto a noi per tanti anni come un incoraggiamento per poter camminare sulla via della santità, fedeltà, la nostra vocazione sostenuti da questo grande amico.

D. – “Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo” è un po’ la sintesi di tutta la vita di Karol Wojtyla. Cosa dice agli uomini del nostro tempo la figura di Giovanni Paolo II?

R. – In effetti “Non abbiate paura” è una parola quasi di consegna e di testamento che lui ci ha lasciato. Nel corso del processo di Canonizzazione e poi successivamente in vari incontri che avevano come finalità la memoria, il ricordo di Giovanni Paolo II. Nei miei incontri con le persone, questa frase ritorna come una cosa che è rimasta nei loro cuori. È una parola che, ancora una volta, ci permette di vivere il momento presente proprio come un momento in cui uscire a largo, vivere con generosità la nostra vita, non accontentarci della mediocrità, ma avere il coraggio di fare scelte impegnative, consapevoli che il Signore è con noi e che ci sostiene nel nostro cammino.

D. - Tra poche settimane inizierà il Giubileo della Misericordia. Questa è una delle cose che più lega Papa Francesco e San Giovanni Paolo II?

R. - Sicuramente c’è un filo di continuità in questa realtà. Senz’altro l’esperienza che hanno portato entrambi alla considerazione della realtà della Misericordia, passa per la loro personale esperienza, unica ed irripetibile, però il cuore del messaggio è proprio questo: l’uomo ha bisogno del Signore, ha bisogno della sua Misericordia.

D. - Un altro aspetto che colpisce nel vedere queste due figure come molto vicine è il loro amore per il popolo …

R. - Assolutamente sì. Io sono convinto che questa consapevolezza della necessità della Misericordia di Dio, nata attraverso le vie diverse in ognuno di loro, proviene dal contatto con il Popolo di Dio, con la gente. Sono i "Papi del popolo", Papi amati, non solo popolari nel senso dell’amore che li circonda, ma proprio della presenza fisica e morale accanto al popolo che ha bisogno di sentire la vicinanza piena di affetto, di amore del pastore che non solo con le parole, ma proprio come una presenza paterna è accanto al Popolo di Dio.

D. – Il prossimo anno si celebrerà la Gmg di Cracovia, molto attesa: Francesco che visita la terra di Giovanni Paolo II e incontra i giovani …

R. - La cosa meravigliosa in questa consegna tra i Pontefici che è avvenuta da Giovanni Paolo a Benedetto, da Benedetto a Francesco, è il fatto che noi ci sentiamo sicuramente legati alle figure di Giovanni Paolo II, di Benedetto e di Francesco. Ma la cosa più importante - e questo io l’ho sperimentato sia personalmente sia attraverso i miei contatti con la gente, con le persone - è che attraverso questi Pontefici è Pietro che rappresenta Cristo che ci parla e che ci guida. È un’esperienza straordinaria, fantastica, vivere questa continuità della fede, dell’amore dell’esperienza nella consapevolezza di essere Chiesa!

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, un editoriale di Manuel Nin su “Gerusalemme madre di tutte le Chiese”, nella celebrazione della liturgia di San Giacomo.

Ogni giorno un passo: Messa a Santa Marta.

Nicla Bettazzi sulla lezione del femminismo: una madre, il figlio con disabilità e la suocera.

Omaggio ai Beatles: Gaetano Vallini sul film di David Trebua che narra il sogno di un professore d'incontrare John Lennon nella Spagna in pieno regime franchista, Giuseppe Fiorentino su chi era il tricheco (da una canzone di Lennon) e un ricordo del direttore dal titolo “Muy bien”, ovvero quando i film, al tempo di Franco, venivano proiettati in lingua originale e sottotitolati, con effetti anche comici, nel segno della censura.

Il Signore delle nostre storie: Antonella Lumini sulla santità dei coniugi Martin.

Un articolo del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson dal titolo “Cittadinanza ecologica”: dall’enciclica “Laudato si’” un solido contributo per la conferenza di Parigi sul clima.

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Oggi in Primo Piano



Terra Santa: padre Pizzaballa, leader religiosi esortino alla calma

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“Mettere fine all'incitamento e alla violenza” in Medio Oriente. Questa la richiesta del Segretario di Stato Usa John Kerry, a Berlino, dove ha incontrato il premier israeliano Netanyahu. Il capo della diplomazia statunitense ha aggiunto di aver parlato con il Presidente palestinese Mahmoud Abbas e con il re Abdullah di Giordania, che vedrà sabato prossimo: entrambi, ha riferito, hanno assicurato il loro impegno alla calma. Netanyahu ha però accusato Hamas per gli attacchi contro Israele e il Presidente Abbas di “menzogne”. La crisi in Medio Oriente è al centro degli incontri, sempre nella capitale tedesca, dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea, Federica Mogherini, e in Giordania del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Sul terreno però non si fermano le violenze: è morto uno dei due palestinesi che a Beit Shemesh, presso Gerusalemme, hanno ferito a pugnalate un ebreo religioso all'ingresso di una sinagoga prima di essere colpiti dalla polizia. Un altro palestinese ha tentato di pugnalare un soldato israeliano ad Hebron, in Cisgiordania. Il leader di Hamas, Khaled Mashaal, ha intanto minacciato: “l'Intifada di Gerusalemme” non si fermerà. Sulla situazione, ascoltiamo padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, intervistato da Giada Aquilino

R. – Ultimamente c’è stato un deterioramento soprattutto legato alla questione della Moschea di Gerusalemme, Al-Aqsa, e ha dato a questa ondata di violenza un aspetto religioso prevalente rispetto a quello politico.

D. - Nelle ultime ore c’è stata una risoluzione dell’Unesco che critica la gestione israeliana della Spianata delle Moschee. Israele ha parlato di decisione “vergognosa”. Perché?

R. – C’è sulla Spianata delle Moschee, o luogo dell’Antico Tempio, una disputa antica da parte di ebrei e musulmani. E’ un luogo santo per entrambi, importantissimo e irrinunciabile. Tutti sappiamo che quando si tocca un luogo così sensibile, profondamente radicato nelle due fedi, ogni forma di prudenza, ogni forma di ragionevolezza viene un po’ meno.

D. - Cosa è auspicabile allora al riguardo?

R. - Che le autorità religiose richiamino i propri fedeli a una calma e che lo 'status quo' del luogo venga preservato, con dichiarazioni in tal senso da parte di tutti, ebrei e musulmani. Altrimenti diventerà sempre più difficile gestire questa materia.

D. – Per quanto riguarda le iniziative diplomatiche sulla crisi israelo-palestinese, il Segretario di Stato americano Kerry ha incontrato il premier israeliano Netanyahu, a Berlino. Ha chiesto la fine di tutte le violenze tra israeliani e palestinesi. Quanto possono servire secondo lei tali sforzi?

R. – Possono certamente aiutare anche se, appunto, la tensione in questo momento ha un’accentuazione religiosa più che politica. E i politici possono certamente influire, hanno un ruolo, ma sono soprattutto i religiosi che in questo momento dovrebbero parlare. Gli animi qui sono troppo accesi, bisogna semplicemente calmare la situazione.

D. – Quali sono gli sforzi della comunità cristiana locale?

R.  – La comunità cristiana è piccola, come si sa: oltre che a pregare, invita tutte le persone, attraverso tutti i canali possibili, a una maggior calma e al rispetto dei luoghi santi di tutte le fedi a Gerusalemme.

D. – Padre, nonostante le tensioni in atto, ci sono poi notizie di ebrei e arabi che lavorano da decenni insieme, di coabitazione in alcune zone delle colonie in Cisgiordania. Si può ripartire anche da questi esempi per una pacificazione dell’area?

R. – Certamente, questi esempi ci sono sempre stati e la maggioranza della popolazione si rispetta. Le persone semplici, coloro che vivono la vita ordinaria nella strada, nel territorio, hanno sempre avuto una collaborazione che molto spesso è sconosciuta ai più. E da lì si dovrà ripartire perché tutti resteremo qui e tutti dovremo ricominciare a riannodare le relazioni, che si sono rotte, là dove le abbiamo lasciate.

D. – Ci può fare qualche esempio, anche grazie all’esperienza ‘sul campo’ della comunità cristiana?

R. – Un esempio classico è quello delle scuole dove cristiani e musulmani studiano insieme. Poi ci sono tante associazioni, tanti movimenti e circoli, dove israeliani e palestinesi lavorano insieme a Jaffa, a Tel Aviv o al Jerusalem intercultural center di Gerusalemme; ci sono tantissime altre associazioni di carattere laico, non solo religioso, dove si fanno le cose apparentemente le più semplici e banali: andare a giocare insieme, creare progetti comuni di lavoro o semplicemente stare insieme o anche discutere, ma parlandosi.

D. – Vuole fare un appello ai religiosi del Medio Oriente affinché si trovi la via della riconciliazione?

R. – Sempre diciamo che ogni religione è una religione di pace. Noi religiosi dovremmo, con i nostri discorsi, con la nostra formazione, non soltanto dire queste cose ma anche trasformarle in realtà concreta. Purtroppo vediamo che non è così. Il mio appello, la mia preghiera è che tutti noi testimoni religiosi possiamo diventare veramente costruttori di un modo diverso di vivere la propria fede in Dio, che è Padre di tutti e ci ama tutti allo stesso modo. Finora le immagini che vediamo sono le immagini di macerie, ma abbiamo bisogno anche di vedere leader religiosi locali e autorevoli, che hanno influenza sul territorio, che si incontrano, si parlano e mostrano a tutti che - pur rimanendo diversi, magari anche senza avere le stesse opinioni su questioni specifiche, senza essere d’accordo su tutto - è possibile rispettarsi.

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Siria: polemiche per l’incontro Putin–Assad

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In Siria gli oppositori al regime hanno attaccato con razzi un quartiere residenziale della città di Aleppo, uccidendo quattro civili e ferendone altri quattro. Intanto sul fronte internazionale oggi il Presidente russo, Putin, dopo l’incontro di Mosca con l’omologo Assad è atteso a Sochi, dove parlerà anche della crisi siriana; mentre una delegazione di parlamentari russi incontra in Siria le autorità di Damasco. Il servizio di Marco Guerra: 

Continua a far discutere l’incontro privato al Cremlino, durato più di tre ore, tra Putin e Assad avvenuto martedì e reso pubblico solo ieri. Fonti diplomatiche russe hanno espresso rammarico per la reazione della Casa Bianca che ha parlato di “tappeto rosso” steso al presidente siriano e di “un’accoglienza in contrasto con gli obiettivi di una transizione politica”. “I colloqui a Mosca hanno un'importanza fondamentale” per trovare una soluzione politica, ha risposto la diplomazia russa. Indiscrezioni di stampa riferiscono, invece, di distanza e diffidenza del presidente russo nei confronti di Assad, con Putin irritato dalla resistenza del secondo su temi come l'avvio di colloqui di pace e il rilascio di alcuni oppositori.  Riflettori puntati ora su Vienna, dove domani si tiene il vertice sulla crisi siriana a cui parteciperanno Turchia, Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti. Intanto, sul terreno prosegue l’offensiva dell’esercito governativo nelle province settentrionali della Siria, sostenuta dai raid dell’aviazione russa. Sulla situazione ad Aleppo sentiamo il vescovo della città e presidente della Caritas siriana, mons. Antoine Audo:

R. – Vicino ad Aleppo, sembra che ci siano stati attacchi contro gruppi armati. Ho sentito dire soprattutto a sud di Aleppo… Questo ha causato la fuga di qualcosa come 30-35 mila profughi, a seguito di questo bombardamento. Questo è veramente grave e triste! Ma per quanto riguarda proprio la città di Aleppo si vedono meno attacchi dei gruppi armati contro la città, meno bombe cadono sulla città; ce ne sono, ma rispetto al passato sembra che siano meno gli attacchi…

D. – Quindi vedete le ripercussioni dei bombardamenti dell’aviazione russa e americana sulle dinamiche della guerra civile? La popolazione come vive questa nuova situazione? Lei aveva detto anche che alcune zone della città prima erano controllate dai ribelli, adesso invece c’è una avanza dell’esercito governativo…

R. – E’ una questione veramente molto delicata. Non posso dare dettagli… La reazione della gente, a questi bombardamenti, dipende molto in quale parte si trovano.

D. – Quindi anche la popolazione è divisa: ci sono persone che appoggiano una fazione piuttosto che un’altra. Ma i cristiani come affrontano questa nuova situazione ad Aleppo? Continuano a vivere nella città?

R. – Come al solito ci sono due situazioni: quelli che vogliono partire a causa dell’insicurezza e a causa della crisi economica, che vogliono vivere e salvare la propria vita; e i giovani che vogliono partire, soprattutto per tutta la questione relativa al servizio militare, perché si entra, ma non si sa se si uscirà… Questo è un problema grave! Stiamo perdendo tanti giovani a causa di questa situazione relativa al servizio militare... La terza cosa: alcuni sperano che questa entrata di nuovi attori, questo cambiamento,  porti ad una soluzione politica e che ci possa essere un accordo tra tutte queste forze regionali e internazionali per riuscire a uscire da questa crisi. Molti  sperano in una situazione politica della crisi.

D. – Quindi il coinvolgimento della Russia e degli Stati Uniti nel conflitto, per certi versi, fa sperare le persone che ci sia una soluzione vicina?

R. – Sì, sembra. Molti dicono che c’è già un accordo implicito per uscire dalla crisi. 

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Onu: in Sud Sudan 3 mila persone rischiano di morire di fame

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Oltre trentamila persone in Sud Sudan rischiano di morire di fame e altre ''decine di migliaia'' sono ''a rischio carestia''. La denuncia arriva da Fao, Unicef e World Food Program in un comunicato congiunto. Le persone maggiormente colpite sono quelle che vivono nello stato dell'Unità, nel Nord del Paese, un tempo regione principe per la produzione di petrolio ora è teatro di atrocità che vanno dagli stupri di donne e bambini ai sequestri di massa. Il Paese africano è funestato dal 2013 da una guerra civile tra governo e ribelli. ''A meno che non venga garantito urgentemente l'accesso umanitario illimitato - si legge nel comunicato congiunto delle tre agenzie delle Nazioni Unite - l'insicurezza alimentare potrebbe deteriorare fino a produrre carestia in zone dello Stato dell'Unità''. Difficile la situazione umanitaria anche nella zona compresa tra Sudan e Sud Sudan, in particolare nelle ricche regioni del Sud Kordofan e del Nilo Blu, dove i ribelli del Movimento di liberazione del Sudan combattono contro il governo di Khartoum. Uno spiraglio per la pace del Sudan si è aperto oggi: Khartoum, infatti, ha accettato di prendere parte ai negoziati di pace con i ribelli, previsti per il mese prossimo ad Addis Abeba. Sulla difficile situazione umanitaria che vive l'area Elvira Ragosta ne ha parlato con Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

R. – Da quanto risulta dalle testimonianze dei missionari che ancora operano sul territorio, la situazione è particolarmente problematica perché nonostante sia stato raggiunto un accordo di pace fra il presidente Salva Kiir e il capo ribelle Riek Machar, gli scontri sul territorio continuano e di fronte a questi scontri la popolazione fugge, scappa e spesso si rifugia in zone in cui non esiste nulla per potersi approvvigionare, per poter trovare cibo e acqua, soprattutto acqua pulita.

D. – Su questo accordo di pace che previsioni ci sono per il futuro?

R. – L’accordo di pace è molto delicato. Fa ben sperare il fatto che recentemente l’Uganda ha accettato di ritirare le proprie truppe che avevano sostenuto il presidente Salva Kiir. Quindi il presidente si trova senza un sostegno molto forte.

D. – C’è un’altra emergenza umanitaria che riguarda gli Stati del Sudan confinanti con il Sud Sudan: stiamo parlando del Sud Kordofan e del Nilo Blu, dove è in atto un altro scontro tra i ribelli del Movimento di liberazione del Sudan contro il governo del Sudan, di Khartum. Com’è la situazione al momento?

R. – Si profila un probabile accordo, si spera. Anche perché da un lato il governo del Sudan ha accettato di deporre le armi e dall’altro il movimento dei ribelli ha accettato in questi giorni di mettere in pratica una tregua. Queste sono regioni molto ricche e di conseguenza gli appetiti su questi due Stati sono molto forti. Il Sud Sudan ha sempre cercato fin dagli accordi di pace, e anche dopo l’indipendenza, di fomentare queste regioni e sostenere i movimenti ribelli affinché queste regioni si staccassero dal Sudan e entrassero nell’orbita del Sud Sudan. Quindi c’è un interesse diretto da parte di Juba a mettere le mani su queste ricchezze che sono veramente ingenti.

D. - Che influenza ha l’Unione africana in questo contesto regionale?

R. – Si sta creando e si sta addestrando in Sud Africa una forza dell’Unione africana che potrebbe essere impiegata in questo tipo di crisi come forza di interposizione per le parti. Ecco l’Unione africana dovrebbe riuscire a prendere in carico queste crisi e risolverle senza un ricorso esterno. E sarebbe opportuno che intervenisse in modo deciso anche l’Onu, le Nazioni Unite, con una propria forza di intervento.

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Cei: oltre 88% degli studenti sceglie l'ora di religione

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E’ in aumento, in Italia, il numero degli studenti delle scuole superiori che scelgono di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Le punte massime di defezione si registrano in Toscana e in Emilia Romagna, tuttavia al Nord sono ancora il 72,8% gli iscritti, mentre al Sud toccano il 97%. In un articolo pubblicato martedì su “La Repubblica”, si parla di aule semivuote e del rifiuto da parte della Conferenza episcopale italiana, di un accorpamento delle classi, utile secondo il quotidiano, in tempi di “spending review”. Adriana Masotti ha sentito don Daniele Saottini, responsabile dell’Irc, Servizio nazionale per l’insegnamento della religione cattolica, a cominciare dai dati sulle iscrizioni: 

R. – Questa è una polemica molto strumentale che di solito all’inizio degli anni scolastici viene riproposta. I dati realmente rivelano un calo costante, anche se molto leggero. Però l’88,5% su scala nazionale di studenti delle scuole statali che scelgono l’ora di religione, secondo me, è un dato molto positivo. 20 anni fa i dati sugli avvalentesi erano ancora del 93,5%; in 20 anni sono calati di 5 punti in percentuale. Negli ultimi anni, sì, c’è stato un calo più significativo però dall’altra parte la nostra società è cambiata… Comunque, quasi il 30% di studenti non si avvale nelle scuole del nord Italia e questo vuol dire che allora 7 studenti su 10 se ne avvalgono. Quindi normalmente nelle nostre classi ci sono tanti studenti.

D. – Quindi non c’è preoccupazione da questo punto di vista?

R. – C’è preoccupazione per riuscire prima di tutto a valorizzare sempre meglio l’insegnamento della religione cattolica e inoltre valorizzarlo nella società di oggi. Quindi c’è un’attenzione da parte del Servizio nazionale per aiutare gli insegnanti riguardo i contenuti; c’è un cammino per comprendere sempre meglio l’Irc e per rendere l’Irc sempre più attuale perché non è certamente un’ora di catechismo riservata soltanto ai cattolici o a coloro che… altrimenti le percentuali non sarebbero queste.

D. – Però questo equivoco tra l’ora di religione fatta a scuola e il catechismo è ancora molto presente…

R. – E’ presente soprattutto nelle persone che non hanno avuto la possibilità o l’occasione di informarsi. Le normative dello Stato sono molto rigorose in questo senso. Se un insegnante facesse catechismo durante l’ora di religione deve essere richiamato anche dal proprio vescovo perché le indicazioni didattiche lo dicono esplicitamente: “l’insegnamento della religione risponde all’esigenza di riconoscere nei percorsi scolastici il valore della cultura religiosa e il contributo che i principi del cattolicesimo offrono alla formazione globale della persona e al patrimonio storico, culturale, civile del popolo italiano”. Qui non si parla di catechismo, di cammino di fede.

D. – Molto del successo dell’ora di religione dipende proprio dagli insegnanti. La responsabilità dunque è anche della diocesi che li sceglie… ma poi c’è un’attività anche di verifica della loro preparazione?

R. – Certamente, la diocesi attraverso la scelta e la responsabilità del vescovo propone alla singola scuola oppure agli uffici scolastici regionali i nomi degli insegnanti e su questi nomi si raggiunge un’intesa. Non è il vescovo che impone gli insegnanti, non è il vescovo che li nomina, sono dipendenti dello Stato, chiaramente scelti dal vescovo in base ad alcuni criteri di formazione ma anche di coerenza, di testimonianza, di abilità pedagogica… Quindi c’è sempre attenzione verso gli insegnanti, c’è una cura particolare per la loro formazione e, dando uno sguardo generale, posso dire che la gran parte degli insegnanti è molto ben motivata.

D. – Venendo al caso concreto sollevato da “La Repubblica”, quando ci sono numeri esigui di alunni che fanno religione si potrebbero accorpare le classi per un risparmio di personale e di soldi: perché il no della Cei a questa idea?

R. – Ci sono due argomentazioni molto diverse. La prima è che la questione economica andrebbe affrontata in un discorso molto più ampio perché io credo che sia strumentale pensare che per la scuola e per la cultura si debba soltanto tagliare. La seconda è legata alla disciplina in sé: cioè, il percorso che i nostri ragazzi stanno facendo in tutte le discipline è un percorso legato alla propria classe. Certo, lo sforzo non solo degli insegnanti di religione ma anche dei colleghi, ma anche di un dirigente, deve essere quello di aiutare i propri alunni a capire l’importanza di un’ora in più di scuola. La scelta è legata alla scuola italiana e all’investimento per la crescita culturale dei nostri ragazzi. Quindi l’Irc non può essere accorpato. Poi, se lei mi chiede, nella singola situazione, in quella scuola dove ci sono situazioni particolari, allora le vediamo quelle situazioni, ma devono essere ben particolari… L’insegnante è a servizio della scuola e quindi in accordo con il dirigente scolastico e con i colleghi per il bene degli alunni si fanno le scelte migliori.

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Africa e migranti in un convegno alla Radio Vaticana

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L’immigrazione come fenomeno culturale che riguarda non solo l’Africa, ma l’intera umanità a prescindere dalle cause economiche e politiche. Questa una delle chiavi dell’incontro promosso ieri dal “Centro di Riflessione Africa 2000”, formato da alcuni giornalisti africani della Radio Vaticana con l’obiettivo di raccontare il continente dal punto di vista di chi ci è nato. Per l’occasione presentato il volume del collega del programmo portoghese Filomeno Lopes: “Dalla mediocrità all’eccellenza. Riflessioni filosofiche di un immigrante africano” e il documentario “Anch’io ho un nome e un cognome”. Il servizio di Michele Raviart

Da un lato il “chiasso” dei Paesi che accolgono, con un incessante elenco del numero dei morti, dall’altro il “silenzio” dei Paesi di partenza, quasi rassegnati all’ineluttabilità delle morti in mare. Il rischio, quando si parla di immigrazione dall’Africa, è quello di dimenticare che dietro i numeri ci sono persone, con le loro storie e le loro aspirazioni. Professor Roberto Mancini dell’Università di Macerata:

Le migrazioni non sono solo un fenomeno transitorio o legato a particolari cause economiche, politiche e culturali. Quello che è veramente contingente e che andrebbe eliminato è il lato di necessità. Sono cioè migrazioni coattive, non sono scelte! L’essere umano è migrante come tale, ma questo fa di ogni persona un viaggio vivente. Sapete, nel Vangelo non c’è propriamente l’‘altro’, perché l’altro vuol dire uno che conta meno di me; e dove c’è l’altro vuol dire che c’è l’Io al primo posto. Nel Vangelo l’altro si chiama  il fratello e la sorella.

A contribuire alla spersonalizzazione non sono solo le cronache, ma anche il fatto ,ad esempio, che ad ogni migrante viene assegnato un numero nel Centri di accoglienza. In una cultura come quella africana, in cui il nome è legato all’essenza stessa della persona, tanto che alcuni emigranti, prima della traversata che potrebbe costare loro la vita, cercano in tutti i modi di non essere dimenticati spiega l’antropologa Cinzia D’Auria:

Molto spesso gli emigranti, quando partono, mettono il loro nome e cognome in una bottiglia. Un messaggio che è stato trovato in una bottiglia, lasciata da un eritreo, racconta che lui fa parte di una famiglia e che lascia questo biglietto nella bottiglia perché non ha tanto paura di morire, ma ha paura di cadere nell’oblio: ha paura di non essere più ricordato e che il suo nome venga completamente annullato.

Le necessità contingenti dell’emigrazione possono essere superate attraverso un nuovo modello culturale, in cui i giovani assumano piena consapevolezza delle potenzialità dei loro Paesi. Mons. Gabriel Charles Palmer Buckle, arcivescovo di Accra:

Stiamo cercando di fare tutto a livello di educazione, di formazione e della pubblica istruzione. Stiamo cercando anche di creare un corpo politico composto da giovani politici che abbiano un’altra prospettiva su cosa voglia dire la politica in Africa. Si dice ‘necessity is the mother of invention’, cioè la necessità deve portare alla creatività.

Il punto che si prefiggono alcuni vescovi locali, è quello di creare un “uomo nuovo africano”, che sia antropologicamente in grado di superare la cultura dominante, spiega mons. Barthelemey Adoukonou, segretario del Pontifico consiglio della Cultura:

La cultura senza Dio, contro Dio è una cultura che cerca di distruggere l’uomo in quanto immagine e somiglianza di Dio. Noi che crediamo diciamo no! Proponiamo un’altra cultura, un altro progetto di educazione, che verrà promesso da tutte le Chiese, dai musulmani e da tutti in Africa. Questo farà sì che gli africani faranno crescere il continente e potranno così rimanere nella loro casa, rimanendo in apertura con tutti gli altri.

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Fondazione Moressa: immigrati pagano pensione a 620 mila italiani

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In Italia, nonostante la crisi, il peso degli immigrati continua ad essere importante. Nel 2014 la ricchezza prodotta dai 2,3 milioni occupati stranieri ha raggiunto i 125 miliardi di Euro, pari all'8,6% del Pil nazionale. Fondamentale anche il loro apporto per il sistema pensionistico. Lo afferma il rapporto 2015 della Fondazione Moressa. Alessandro Guarasci

Gli stranieri in  Italia sono ormai più di cinque milioni. Una vera forza produttiva, soprattutto se si pensa che solo uno su cento ha più di 75 anni contro uno su dieci degli italiani. Ne consegue che non solo il loro lavoro rappresenta l’8,6 per cento della ricchezza prodotta dal Paese, ma soprattutto hanno versato quasi sette miliardi di Irpef, l’imposta che pagano le persone fisiche. E per quanto riguarda i contributi: sono più di 10 miliardi. Ne consegue che 620 mila italiani hanno la pensione pagata dagli stranieri, ma molto difficilmente avranno un assegno pensionistico, come dice il direttore scientifico della Fondazione Leone Moressa, Stefano Solari:

"Quasi il 10 per cento dei lavoratori immigrati dà un contributo notevole, come flussi di cassa, all'Inps ma - dall'altra parte - non riceve molto, perchè il 98 per cento di queste persone non ha maturato alcun diritto. Tante persone lavorano in Italia per 5-10 anni, poi si spostano e perdono i diritti alla pensione".

Ora si tratta di dare più diritti a questi immigrati e alle loro famiglie. Alla Camera è passato il provvedimento sullo ius soli temperato, che adesso deve andare al Senato. Il sottosegretario al Lavoro Franca Biondelli:

"Continuare a fare demogogia e popolusmo su quello che è l'immigrazione nel nostro Paese io credo sia veramente sbagliato. Ci vuole veramente più integrazione e più inclusione. Integrazione e inclusione vengono anche dal lavoro. Abbiamo visto che non è vero che ci rubano il lavoro e quindi - anche come ministero del lavoro e delle politiche sociali - stiamo andando in quella direzione".

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Filarmonica Romana: al via la stagione con la Carmen di Bizet

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La Carmen di Bizet rivisitata dall’Orchestra di Piazza Vittorio inaugura giovedì sera la nuova stagione della Filarmonica Romana. E’ una versione fantasiosa di una delle più celebri opere di tutti i tempi, con più di venti artisti sul palco e un finale sorprendente. La regia è di Mario Tronco, la direzione musicale di Leandro Piccioni: il risultato è un affresco di atmosfere e sonorità che arrivano da Brasile, India, Spagna, Tunisia, marchio di un’Orchestra che nel mondo porta un messaggio potente di fratellanza e integrazione. Il servizio di Gabriella Ceraso

E’ in una strana carovana di gitani, provenienti da varie parti del mondo, che dal Rajasthan indiano vanno verso la Spagna, che si sviluppa la storia della Carmen multietnica dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Una storia di amore passionale e tragico come era in Bizet, anche se qui è vissuto da due coppie. Diversa la caratterizzazione e la psicologia dei personaggi, immutate le preziose melodie, come spiega Pino Pecorelli arrangiatore e bassista dell’Orchestra:

“Il lavoro che viene fatto è proprio quello di partire dalle melodie e portarle in una dimensione nuova, verso una strumentazione e un modo di suonare per niente classici”.

La gitana Carmen è un’artista pugliese talento del reggae, il suo innamorato don Josè è un giovane brasiliano che ha suonato con Jovannotti, il suo rivale il torero Escamillo è tunisino. E poi ci sono gli strumenti che vengono da ogni parte del mondo:

“La cosa bella è vedere che il pubblico, quando ascolta cose classiche risuonate dall’orchestra, non le scopre immediatamente appena parte il pezzo, ma le scopre poco dopo, e sorride perchè resta sorpreso da questo incanto sonoro nuovo. Chiaramente, infatti, ci sono strumenti che non vengono dalla tradizione alta - il cimbalon, l’ud, il basso elettrico, la chitarra elettrica, la batteria – che però si mischiano a strumenti classici e a cantanti lirici. Insomma è come se Bizet l’avesse scritta ieri pomeriggio quest’Opera e l’avesse pensata per un organico di questo tipo. E’ una sfida complicata”.

Il risultato è uno spettacolo affascinante e fantasioso che il regista Mario Tronco collega ad una lunga tradizione italiana:

“Nell’Ottocento, a Napoli, le opere venivano rifatte per strada da cantanti ambulanti, per cui già allora c’era questa tradizione di portare l’Opera dai teatri alla strada. E’ un modo per farla conoscere a chi non ha avuto modo di conoscerla”.

Dunque un nuovo lavoro questa Carmen per un’orchestra che non ha frontiere, come è il mondo in cui viviamo, e che non si stanca di raccontare in musica la bellezza della diversità. Ancora Mario Tronco:

“Noi cerchiamo da sempre di dimostrare che la cultura meticcia è ricchezza. E’ una cosa che la gente ha dimenticato. Adesso questo tipo di cose fa paura. Siamo tanti e abbiamo paura di perdere la nostra identità e invece non stiamo capendo che stiamo solo trasformandoci in una cosa nuova, ed è compito dell’umanità quello di andare avanti e non fermarsi”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi italiani: custodire la vita e contagiare la misericordia

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“L'Italia continua a soffrire un preoccupante calo demografico, che in buona parte scaturisce da una carenza di autentiche politiche familiari”. Parte da questa constatazione il Messaggio del Consiglio permanente della Cei per la 38ª Giornata nazionale per la vita, che si celebrerà il 7 febbraio 2016. “Il nostro Paese - l’analisi dei vescovi - continua a soffrire un preoccupante calo demografico, che in buona parte scaturisce da una carenza di autentiche politiche familiari”. “Mentre si continuano a investire notevoli energie a favore di piccoli gruppi di persone, non sembra che ci sia lo stesso impegno per milioni di famiglie che, a volte sopravvivendo alla precarietà lavorativa, continuano ad offrire una straordinaria cura dei piccoli e degli anziani”, la denuncia della Cei.

Una società cresce sana se si edifica sulla famiglia
“Una società cresce forte, cresce buona, cresce bella e cresce sana se si edifica sulla base della famiglia”, ci ricorda il Papa: “È la cura dell’altro - nella famiglia come nella scuola - che offre un orizzonte di senso alla vita e fa crescere una società pienamente umana”, commentano in vescovi nel Messaggio diffuso oggi e ripreso dall'agenzia Sir. 

Aiutare la società a guarire da tutti gli attentati alla vita
“Contagiare di misericordia significa aiutare la nostra società a guarire da tutti gli attentati alla vita”. In particolare i vescovi italiani stilano l’“elenco impressionante” di questi attentati, citando le parole del Papa rivolte ai partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione Scienza e Vita: “È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia”.

La misericordia il nuovo nome della pace
“Contagiare di misericordia”, per la Cei, “significa affermare - con Papa Francesco - che è la misericordia il nuovo nome della pace”. “La misericordia farà fiorire la vita”, si legge nel messaggio: “Quella dei migranti respinti sui barconi o ai confini dell’Europa, la vita dei bimbi costretti a fare i soldati, la vita delle persone anziane escluse dal focolare domestico e abbandonate negli ospizi, la vita di chi viene sfruttato da padroni senza scrupoli, la vita di chi non vede riconosciuto il suo diritto a nascere”. 

 Nell'Anno Santo della misericordia i vescovi sollecitano a un profondo cambiamento
​“Il sogno di Dio - fare del mondo una famiglia - diventa metodo quando in essa si impara a custodire la vita dal concepimento al suo naturale termine e quando la fraternità si irradia dalla famiglia al condominio, ai luoghi di lavoro, alla scuola, agli ospedali, ai centri di accoglienza, alle istituzioni civili”. Nell'Anno Santo della misericordia i vescovi sollecitano a un profondo cambiamento. “Una vera crescita in umanità avviene innanzitutto grazie all’amore materno e paterno”, si legge nel messaggio, in cui sulla scorta del Papa si ricorda che “la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo”.

La misericordia si manifesta attraverso opere concrete
“Contagiare di misericordia - concludono i vescovi riferendosi ancora una volta all’Anno Santo imminente - significa osare un cambiamento interiore, che si manifesta contro corrente attraverso opere di misericordia”. “Opere - osservano i vescovi utilizzando i cinque verbi che costituiscono le cinque ‘vie’ del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, che si svolgerà dal 9 al 13 novembre - di chi esce da se stesso, annuncia l’esistenza ricca in umanità, abita fiducioso i legami sociali, educa alla vita buona del Vangelo e trasfigura il mondo con il sogno di Dio”. (R.P.)

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Cuba: riconoscere il posto della Chiesa nella società

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"Dopo la visita di Papa Francesco" si intitola così l'editoriale di Palabra Nueva, il settimanale cattolico dell'arcidiocesi di L'Avana, ripreso dall'agenzia Fides, che invita a riflettere sulla situazione dell’isola a due livelli, internazionale e nazionale.

Rapporti Usa-Cuba hanno normalizzazione le relazioni tra Cuba e il resto del mondo
Riguardo all'ambito internazionale si legge: "Dopo decenni di confronto freddo e caldo, Cuba e gli Stati Uniti hanno ristabilito le relazioni, e Papa Francesco è intervenuto in un momento cruciale nel processo e ha lasciato il segno di Pastore. L'evento è molto importante per noi, ma le sue conseguenze vanno oltre le possibilità bilaterali, perché il processo di normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi rafforza anche la normalizzazione delle relazioni tra Cuba e il resto del mondo..."

Riconoscere la triplice missione della Chiesa: culto, carità e profezia
Il settimanale dell'arcidiocesi riflette poi sulle attese a livello locale: "Un passo coerente sarebbe riconoscere, una volta per tutte, il posto della Chiesa nella società e la sua triplice missione: culto, carità e profezia. Non solo riconoscere la Chiesa come istituzione, ma in tutte le sue componenti, dai laici ai vescovi, dal clero e dalla vita consacrata a tutti noi, perché tutti abbiamo un posto e un ruolo nella società. Il desiderio di impegno è alto, ma non è accompagnato da leggi e strutture sociali...”.

E' ora di eliminare le restrizioni su tutte le istituzioni religiose
​Il testo dell'editoriale si conclude con questa richiesta: “Non è giusto pretendere che la Chiesa pensi solo alle cose di Dio nel tempio e tenerla isolata dalla sfera sociale, accettare la sua partecipazione sociale quando fa comodo ai politici. La prospettiva non deve essere quella di vedere ciò che conviene alla Chiesa o che cosa conviene ai politici, ma ciò che è più conveniente, vantaggioso e utile per la società ed i cittadini… un passo necessario sarebbe sicuramente eliminare le restrizioni su tutte le istituzioni religiose e consentire loro di sviluppare la propria opera liberamente. E' ora. Se la religione non è più l'oppio dei popoli, chi sono coloro che hanno interesse a mantenere in vita un accordo virtuale o a diffondere una tale droga artificiale?”. (C.E.)

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India. Mons. Barwa: aiuti e giustizia per i cristiani dell’Orissa

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Terra per seppellire in maniera dignitosa i defunti, nomine e aiuti statali per le numerose scuole rette dalle minoranze, giustizia per i pogrom del 2008, che hanno causato vittime e devastazioni ancora senza colpevoli. È quanto chiede l’arcivescovo di Cuttack- Bhubaneswar, mons. John Barwa, al primo ministro dello Stato indiano dell’Orissa in una lettera aperta in sette punti.

Il governo non concede lo spazio necessario per il cimitero cristiano
Nel testo - ripreso dall'agenzia AsiaNews - il presule pone alcuni problemi urgenti per la comunità cristiana e le altre minoranze religiose. E parte da un dato di fatto: “I cristiani sono la seconda comunità religiosa di Bhubaneswar: qui vivono 20mila seguaci di Gesù. Eppure abbiamo soltanto un cimitero cristiano. Negli ospedali dell’area vengono molti cristiani dagli Stati del Jharkhand, Chhatisgarh, West Bengal and Andhra Pradesh: se muoiono e non hanno famiglia, dobbiamo seppellirli qui”. Nonostante ciò, il governo non concede lo spazio necessario: “In alcuni casi siamo costretti a interrare persino quattro persone nello stesso lotto, e questo è contrario all’etica religiosa. Le chiediamo con rispetto la terra che ci serve per i nostri morti”.

Al secondo punto viene la questione degli insegnanti 
“Le minoranze gestiscono molte scuole nell’Orissa - afferma - ma il governo non nomina nuovi maestri quando gli anziani vanno in pensione. Abbiamo anche bisogno di aiuti economici per il mantenimento e il rinnovamento delle strutture”. Servono inoltre delle vere Commissioni che sostengano le comunità meno rappresentate e i loro membri: “Sono la necessità del momento per aiutare i più bisognosi”.

Gli ultimi punti sono dedicati ai pogrom anti-cristiani del 2008
Nel distretto di Kandhamal, sulla base di false accuse, gli estremisti indù hanno scatenato la persecuzione più violenta contro la minoranza cristiana mai avvenuta in India. I pogrom, scrive il presule, “hanno costretto alla fuga 56mila fedeli e causato la razzia e il rogo di 5.600 case in 415 villaggi. Secondo i dati del governo i morti accertati sono 38, mentre in realtà sono circa 90”. Inoltre, sottolinea mons. Barwa, “la maggior parte dei colpevoli di questa tragedia sono ancora in libertà. Su 3.232 denunce presentate alla polizia sono stati aperti soltanto 825 casi, di cui 302 chiusi in maniera arbitraria per ‘mancanza di prove’. Su 35 casi di omicidio, 33 sono stati archiviati. Lo stupro di una religiosa ha portato alla condanna di un solo uomo”.

Il vescovo chiede un'inchiesta giusta per i colpevoli dei pogrom anti-cristiani
​Questo clima di impunità, scrive ancora, “nasce da fondamentalisti e gruppi sostenuti da partiti politici che orchestrano, dirigono, istigano e portano avanti azioni contro la minoranza cristiana. Per questo i colpevoli godono di un patronato politico il cui vero ruolo non è stato ancora capito. Chiediamo un’inchiesta giusta: ancora oggi l’amministrazione è influenzata ai danni delle povere vittime cristiane”. (N.C.)

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India: la Chiesa chiede protezione per i dalit

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“L’uccisione di due bambini dalit è stata un atto esecrabile. Come rappresentante dell’Ufficio della Conferenza episcopale per lo sviluppo dei dalit, ho partecipato, a fianco di altre associazioni cattoliche, alle manifestazioni della società civile per condannare la violenza ed esprimere solidarietà e sostegno ai dalit”: lo dice all’agenzia Fides padre Devasagaya Raj, segretario dell’Ufficio dei vescovi indiani dedicato alle questioni dei dalit e dei fuori casta.

I dalit vengono colpiti e uccisi proprio perché indifesi 
Come riferisce l'agenzia Fides, i due bambini dalit sono stati arsi vivi nel villaggio di Sunped, alla periferia di New Delhi, da alcuni appartenenti a una casta superiore alla loro. Le vittime avevano due anni e nove mesi. Il sacerdote riferisce a Fides: “Purtroppo non si tratta di un fatto isolato. Aggressioni come questa avvengono in tutto il territorio indiano, a danno dei dalit più poveri, vulnerabili, deboli. Avvengono per controversie private o in seguito a piccoli conflitti. I dalit vengono colpiti e uccisi proprio perché indifesi e spesso questi omicidi restano impuniti”.

La Chiesa cattolica indiana è dalla parte dei poveri
“Abbiamo condannato il gesto: in futuro serve protezione e prevenzione per queste comunità” osserva padre Devasagaya Raj. “La Chiesa cattolica in India è dalla parte dei deboli, ha alzato la voce con il governo e nella società per la difesa e per la dignità degli ultimi e degli emarginati”, conclude. Nell’omicidio dei piccoli, dopo le proteste della gente locale, la polizia ha arrestato tre sospetti. Secondo le autorità si tratta di un omicidio compiuto per vendetta, a causa di una vecchia faida. (P.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 295

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