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Sommario del 20/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Dio non sta fermo, esce a cercarci e ci ama senza misura

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Dio dona sempre con larghezza la sua grazia agli uomini, che invece hanno “l’abitudine di misurare le situazioni”: capire l’abbondanza dell’amore divino è sempre frutto di una grazia. È la sostanza dell’omelia che Papa Francesco ha sviluppato durante la Messa del mattino celebrata a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Abbondante. L’amore di Dio per l’uomo è così. Di una generosità che all’uomo invece sfugge, troppo abituato a centellinare quando decide di donare qualcosa che possiede. Papa Francesco legge il brano di San Paolo in questa chiave. La salvezza portata da Gesù, che supera la caduta di Adamo, è una dimostrazione di questo darsi con abbondanza. E la salvezza, spiega, “è l’amicizia tra noi e Lui”:

“Come dà Dio, in questo caso l’amicizia, la salvezza tutta nostra? Dà come dice che darà a noi quando facciamo un’opera buona: ci darà una misura buona, pigiata, colma, traboccante… Ma questo fa pensare all’abbondanza e questa parola, ‘abbondanza’,  in questo brano viene ripetuta tre volte. Dio dà nell’abbondanza fino al punto di dire, Paolo, come il riassunto finale: ‘Dove abbondò il peccato sovrabbondò la grazia’. Sovrabbonda, tutto. E questo è l’amore di Dio: senza misura. Tutto se stesso”.

Un Dio che esce
Senza misura come il padre della parabola evangelica, che tutti i giorni scruta l’orizzonte per vedere se suo figlio ha deciso di ritornare da lui. “Il cuore di Dio – afferma Francesco – non è chiuso: è sempre aperto. E quando noi arriviamo, come quel figlio, ci abbraccia, ci bacia: un Dio che fa festa”:

“Dio non è un Dio meschino: Lui non conosce la meschinità. Lui dà tutto. Dio non è un Dio fermo: Egli guarda, aspetta che noi ci convertiamo. Dio è un Dio che esce: esce a cercare, a cercare ognuno di noi. Ma questo è vero? Ogni giorno Lui ci cerca, ci sta cercando. Come ha già fatto, come già detto, nella Parola della pecora smarrita o della moneta perduta: cerca. Sempre è così”.

Abbraccio senza misura
In cielo, ribadisce ancora il Papa, si fa “più festa” per un solo peccatore che si converte che per cento che rimangono giusti. E tuttavia – riconosce – “non è facile, con i nostri criteri umani”, piccoli e limitati, “capire l’amore di Dio”. Lo si comprende per una “grazia”, come lo aveva compreso, ricorda Francesco, la suora 84.enne, conosciuta nella sua diocesi, che ancora girava costantemente per le corsie dell’ospedale a parlare con un sorriso dell’amore di Dio ai malati. Lei, conclude il Papa, ha avuto “il dono di capire questo mistero, questa sovrabbondanza” dell’amore di Dio, che ai più sfugge:

“E’ vero, noi sempre abbiamo l’abitudine di misurare le situazioni, le cose con le misure che noi abbiamo: e le nostre misure sono piccole. Per questo, ci farà bene chiedere allo Spirito Santo la grazia, pregare lo Spirito Santo, la grazia di avvicinarci almeno un po’ per capire questo amore e avere la voglia di essere abbracciati, baciati con quella misura senza limiti”.

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Sinodo, concluso il lavoro dei Circoli minori

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Al Sinodo dei vescovi sulla famiglia, si è concluso stamani il lavoro dei Circoli minori sulla terza ed ultima parte dell’"Instrumentum laboris", dedicata al tema “La missione della famiglia oggi”. Nel pomeriggio, le Relazioni dei 13 gruppi linguistici verranno presentate ai Padri sinodali e domani verranno pubblicate. Intanto, stamani il consueto briefing in Sala Stampa vaticana. Sono intervenuti tre cardinali: lo spagnolo Lluis Martinez Sistach, arcivescovo di Barcellona, il sudafricano Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, e il messicano Alberto Suárez Inda, arcivescovo di Morelia, in Messico. Il servizio di Isabella Piro: 

La famiglia non è solo una sfida, ma anche e soprattutto un’opportunità per essere felici: dice così il cardinale Martinez Sistach, ribadendo che la preparazione al matrimonio, sia remota che immediata, è fondamentale per evitare separazioni e divorzi. Quindi, il porporato si sofferma sul Motu proprio del Papa relativo alla riforma dei processi di nullità matrimoniale e ribadisce: si tratta di una riforma in armonia con la misericordia della Chiesa, ma alla luce dell’indissolubilità. In tal modo, le coppie che hanno sperimentato un fallimento possono rifarsi una vita, a testa alta, di fronte a Dio ed alla Chiesa.

Puntare alla preparazione del personale nei Tribunali ecclesiastici
Di qui, l’appello dell’arcivescovo di Barcellona affinché venga incrementata la gratuità di tali processi. Fermo restando che se non si può trovare la verità oggettiva e immediata il processo da breve diventa ordinario:

"No hay en todos los tribunales eclesiásticos de las diócesis del mundo gente suficiente y preparada…
Non in tutti i Tribunali ecclesiastici delle diocesi del mondo ci sono persone adeguatamente preparate" nel settore, conclude l’arcivescovo spagnolo, e quindi la sfida si giocherà anche su questo campo.

Card. Suárez Inda: le istituzioni tutelino la famiglia
La famiglia è alla base della società, ne è la cellula fondamentale: ribadisce, dal suo canto, il cardinale Suarez Inda, auspicando che tutte le istituzioni operino in sua difesa. Quindi, il porporato si sofferma sul dramma dei migranti che crea moltissimi disagi alle famiglie non solo a causa della distanza geografica, ma anche per l’aspetto normativo che a volte impedisce il ricongiungimento familiare. A tal proposito, il porporato ringrazia i vescovi degli Stati Uniti per il grande lavoro di accoglienza che fanno con i migranti messicani.

I vescovi testimoni di misericordia e tenerezza della Chiesa
Un’altra piaga che colpisce le famiglie, sottolinea il presule messicano, è quella della criminalità organizzata e della globalizzazione, che spesso lascia i giovani da soli nel processo educativo. Riguardo, poi, ai processi di nullità matrimoniale, il cardinale Suarez Inda afferma: “Noi vescovi abbiamo ora una maggiore responsabilità, il Papa ci riconosce come giudici misericordiosi a livello diocesano e dobbiamo quindi essere testimoni della Chiesa, madre di tenerezza”.

Gli auspici per un possibile viaggio del Papa in Messico
Rispondendo, infine, alla domanda di un giornalista, a proposito di un possibile viaggio del Papa in Messico, il cardinale Suarez Inda afferma:

"La visita del Papa, sin duda, es un motivo de inmensa alegría…
La visita del Papa, senza dubbio, è un motivo di immensa gioia”. Le date non sono ancora state fissate, ma certamente sarà un viaggio incentrato sui temi della riconciliazione e della pace. Sicuramente, continua il porporato, il Papa si recherà al Santuario di Guadalupe e forse avrà occasione di visitare le carceri e di incontrare i giovani, per dare speranza al Paese.

Card. Napier: vescovi africani portano al Sinodo un senso di ottimismo
Poi, spazio all’Africa, con la riflessione del card. Napier:

"I think what the African Bishops who have been at the Synod have come out with most has been a sense of optimism…
I vescovi africani hanno portato una ventata di ottimismo al Sinodo”, sull’esempio di Dio, ma anche di Papa Francesco, afferma il porporato, che poi volge lo sguardo ai laici, soprattutto delle famiglie felici: sono loro – sottolinea – che in un certo senso indicano al Sinodo la direzione da prendere. Importante, quindi, concentrarsi sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa oggi e accompagnare i coniugi sia prima che dopo il matrimonio, perché si riforma la Chiesa riformando la famiglia, che ne è alla base.

Si lavora in spirito di collegialità, per il bene della Chiesa
Infine, sollecitato dalla stampa sulla lettera inviata da alcuni cardinali al Papa, il card. Napier ribadisce: era una missiva riservata al Pontefice ed era nello spirito di ciò che egli ha detto, ovvero parlare con sincerità e ascoltare con umiltà. A ogni modo, conclude l’arcivescovo di Durban, lavorando insieme al Sinodo noi vescovi abbiamo ritrovato lo spirito di collegialità, sempre cercando di fare il meglio della Chiesa.

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Card. Tagle: guardare alle famiglie con occhi del Buon Samaritano

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Il Sinodo sulla famiglia, il Giubileo della Misericordia, la situazione dei profughi che cercano un futuro migliore in Europa. Sono i temi forti di un’intervista che il card. Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis e presidente delegato del Sinodo, ha rilasciato negli studi della Radio Vaticana. Al microfono di Alessandro Gisotti, l’arcivescovo di Manila parte dall’esperienza della visita, ieri, nel campo profughi di Idomeni al confine tra Grecia e Macedonia: 

R.  – Io ringrazio la Caritas Internationalis e la Caritas Hellas di Grecia per questa opportunità di andare in questo confine. Sono andato come presidente della Caritas Internationalis, non esplicitamente come un padre sinodale, però nel campo transitorio per i profughi ho visto la situazione della famiglia: che sofferenza, che miseria, in questi campi! La gente non ha nulla, solo la cosa più preziosa: la famiglia, i bimbi, i ragazzi! E nella miseria del campo, con la sofferenza, l’umiliazione, c’è l’amore. Ho visto questi ragazzi stanchi che volevano dormire e trovavano consolazione nelle spalle della mamma, del papà.

D.- I mass media sono spesso attenti ad alcune situazioni di “famiglie ferite”. Lei ci sta parlando di una situazione molto più ampia…

R. – Noi non dobbiamo diminuire la gravità di ogni ferita nella famiglia, per esempio il divorzio, la separazioni, certi conflitti. Però noi padri sinodali, specialmente dal Terzo Mondo e dal Medio Oriente, dall’Africa, dall’Asia e anche dall’Europa, siamo consapevoli che la famiglia in ogni società è un microcosmo della situazione sociale, culturale, economica. Da noi, dalle Filippine, dall’Asia, dall’Africa, i padri sinodali  parlano sempre di queste ferite!

D. – Papa Francesco quando si rivolge ai vescovi, ai pastori, spesso chiede loro di avere empatia verso il popolo, verso il gregge, di gioire e soffrire con il popolo. Questo come può succedere pensando alle famiglie?

R. – L’importanza dell’incontro personale. Però l’incontro personale non significa solo una presenza fisica, ma un’attenzione particolare con gli occhi della fede e gli occhi del Buon Samaritano: gli occhi di Gesù pastore. Questi sono gli occhi di un fratello che condivide le gioie, le sofferenze, i sogni e anche le frustrazioni degli altri. Come ha detto San Paolo: “Io sono diventato tutto per tutti”. Quando il gregge è nella gioia, il cuore del pastore con empatia, con gioiosa compassione sa come gioire con loro. Però un’attenzione nelle ferite per portare una presenza di Dio che ama tutto, non solo coloro che sono degni: ma chi è degno dell’amore del Signore? Questo è lo sguardo del Buon Samaritano, uno sguardo pastorale.

D. - Il Giubileo della Misericordia sta per iniziare però anche il Papa ha fatto capire che anche questo Giubileo già illumina, se vogliamo all’indietro, il Sinodo. Qualcuno percepisce, sembra almeno all’esterno, un contrasto tra misericordia e verità…

R. – La misericordia, la giustizia, la compassione in Dio sono unite! Però noi uomini mortali, creature con la mente non capace di unire tutte le cose… noi per chiarire facciamo distinzione ma dobbiamo essere attenti perché in Dio e negli occhi della fede, misericordia e giustizia non sono contrarie! Per me - per me come pastore, come fedele, come uomo che ha misericordia - ho bisogno della misericordia di Dio e non solo di Dio ma di tante persone. Per me pregare: “Dio, abbi misericordia di me” è anche un grido: “Dio fa giustizia a me”! Troviamo la vera giustizia solo in Dio misericordioso.

D. – Forse dopo “famiglia” una delle parole che si è usata di più sui mass media per questo sinodo è “clima”: clima positivo, clima di scontro, clima di franchezza. Lei che ha vissuto anche altri sinodi che clima vive?

R. – Questo è il mio sesto sinodo. E’ normale in ogni Sinodo avere contributi diversi, perché i partecipanti vengono da una diversità complessa, di cultura, di tradizione, delle lingue… Io non sono nervoso in questa diversità però tutti noi, in ogni Sinodo, anche in questo, dobbiamo guardare attentamente se la diversità è utilizzata come una ragione o se è causa di divisione invece di essere una ricchezza, un’opportunità per avere un orizzonte più ampio per capire la dottrina, la tradizione, le parole di Gesù nel contesto della esistenza umana.

D. - Quando tornerà nella sua terra, nelle sue Filippine, qual è la cosa che pensa porterà più importante di questo Sinodo sulla famiglia, guardando poi alle famiglie della sua diocesi, del suo gregge di Manila?

R. – Da noi la povertà, la mancanza di posti di lavoro è una sfida per la famiglia e per la Chiesa: come mantenere la vita familiare in un contesto dove le forze esterne causano una ferita? Questa pastorale per mantenere la fedeltà in mezzo alla povertà, la sofferenza, questa è la “pastorale della speranza”. Però nella mia esperienza le famiglie povere ci insegnano come vivere nella speranza. Loro hanno la capacità di celebrare ogni cosa buona - piccole cose! - vedono la Grazia, vedono la presenza di Dio, sono pieni di ringraziamento! Invece noi in una situazione stabile vediamo solo problemi, problemi, problemi… E manca la gioia, la gioia scappa! I poveri sono i veri missionari della gioia della famiglia.

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Ravasi: famiglia, luogo idoneo per dialogo con non credenti

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Il confronto fra Sinodo e Concilio degli Apostoli di Gerusalemme, riproposto dal cardinale Schönborn nella cerimonia del 50.mo del Sinodo, ma anche le radici bibliche riguardanti il dibattito sulla decentralizzazione della Chiesa e la ridiscussione del ministero petrino: sono temi sui quali si sofferma il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, intervistato da Fabio Colagrande: 

R. – Vorrei dire anche che tutto il percorso, l’itinerario, del Nuovo Testamento è contrassegnato da una specie di filo d’oro costante, che è quello legato al messaggio di Cristo che continua ancora a permanere. Ma, al tempo stesso, c’è una continua declinazione di questo messaggio in forme e in tipologie molto diverse. Pensiamo soltanto al confronto tra il messaggio dei quattro Vangeli che riflette sensibilità anche differenti. Proprio per quanto riguarda il problema del matrimonio, e l’indissolubilità di quest’ultimo, noi vediamo che Marco è radicale, come lo è nell’affermazione di Cristo stesso. Matteo ripete la stessa radicalità, ma introduce questa misteriosa eccezione, il che vuol dire che sente il problema pastorale in maniera complessa. Noi abbiamo un esempio proprio nell’esperienza di “conciliare”, certamente sinodale, di Gerusalemme – Atti 15 – in cui, da un lato, c’è sicuramente registrata la distinzione tra posizioni differenti, giudeo-cristiani, e le Chiese che vengono dai Gentili. E, dall’altra parte, c’è il tentativo di arrivare a una mediazione, e questa viene raggiunta nel decreto del Concilio cosiddetto di Gerusalemme. E questa è una mediazione che, si vede, non risolve però completamente il problema, che sarà risolto poi progressivamente nell’interno della storia della cristianità.

D. – Il Papa ha introdotto due temi molto forti: quello della decentralizzazione e quello della ridiscussione dell’esercizio del ministero petrino. Biblicamente questi due temi hanno delle radici in qualche modo?

R. – Certamente, hanno un fondamento molto rilevante nel Nuovo Testamento, perché in esso noi abbiamo, da una parte, il rilievo petrino certamente – immaginiamo le immagini della roccia, delle chiavi, l’immagine del legare e sciogliere, che ha un suo significato profondo anche dottrinale, e non solo pratico, pastorale. Però, dall’altra parte, abbiamo anche, per esempio, il legare e sciogliere, che nel capitolo XVI di Matteo e di Pietro, nel capitolo XVIII, viene dato a tutto il Collegio apostolico. Abbiamo una tipologia di lettura del messaggio cristiano presente nei quattro Vangeli diversificati tra di loro, e abbiamo una tipologia nelle scelte di Paolo che riflette la molteplicità delle sua comunità. Quindi, da un lato, c’è il riconoscimento dell’asse centrale, che è Cristo-Pietro, ma dall’altra ci sono anche una ricchezza e una varietà straordinarie all’interno delle singole comunità con le presenze apostoliche. Proprio in questa luce si potrebbe quasi percorrere tutto il Nuovo Testamento, tendendo conto non di questa dualità, ma di questo contrappunto armonico, che crea armonia: non è perciò una dialettica, ma è piuttosto un incrocio di posizioni, di situazioni, che sono differenti, teologicamente fondate e pastoralmente necessarie.

D. – La tematica del dialogo con i non credenti, che so le sta molto a cuore, è emersa in questo Sinodo? Si parla anche di famiglie non credenti?

R. – Nella terza parte entra in scena questo problema – pensiamo cioè ai cosiddetti matrimoni con disparità di culto – quindi, di base c’è il dialogo interreligioso. Io direi che bisognerebbe forse sottolineare che non è soltanto una questione di tipo giuridico, e alla fine anche liturgico-pastorale semplicemente, ma che è anche una delle grandi occasioni per poter affermare il dialogo interreligioso prima di tutto, e anche il dialogo con i non credenti. Perché – come noi sappiamo – la famiglia, la comunità familiare, è uno degli ambiti dove forse più si potrebbe far sbocciare anche questa realtà, che noi cerchiamo di costruire a livello di orizzonte più ampio, e che è la realtà del dialogo.

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Card. Filoni: in dottrina c'è continuità non contraddittorietà

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Ultima settimana di lavori al sinodo dei vescovi. Oggi pomeriggio in aula le relazioni dei circoli minori sulla terza parte dell’Instrumentum Laboris relativa a “La missione della famiglia oggi”. Per un bilancio su quanto svolto finora il nostro inviato, Paolo Ondarza, ha intervistato il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli: 

R. – È un bilancio ancora relativo, perché non siamo alla conclusione. Direi, con un’immagine, che è come un mosaico che ancora si sta componendo: ognuno porta la sua piccola tessera, e alla fine poi il Santo Padre sarà l’ultimo artista che metterà la pietra finale su questo disegno che sta venendo fuori.

D. – In molti hanno sottolineato il clima di fraternità e di collegialità di questi giorni, pur nelle diversità: si riuscirà a trovare una sintesi? Soprattutto su quei punti che, chiaramente, hanno catalizzato maggiormente l’attenzione a livello esterno, ma che comunque hanno trovato un loro spazio anche qui, nell’Aula del Sinodo?

R. – Certamente, su alcuni punti ci sarà una convergenza abbastanza ampia, comune. Su altri probabilmente le idee potranno anche rimanere diverse, ma questa non è una questione del Sinodo. Se noi guardiamo un po’ alla storia della Dottrina della Chiesa vediamo che non è da oggi: già dai tempi apostolici, troviamo situazioni in cui gli Apostoli sono intervenuti per il bene della Chiesa, per la salvaguardia della fede. E poi tutta la storia della Chiesa è stata sempre – a volte con più accenti, a volte con meno accenti – ma è stata sempre attraversata da queste opinioni. Quindi, in questo senso, le opinioni rimangono, diciamo, sacrosante, positive, perché arricchiscono. Ed è un capitolo sul quale mai si può dire: “Ecco, è chiuso, è definitivo, non c’è più altro da fare”. La prassi non è una dottrina: la Dottrina riguarda l’indissolubilità del matrimonio, ma la parte pastorale è quella che vive e si relativizza anche alle situazioni, naturalmente con un principio, come diceva anche Papa Benedetto XVI quando parlava del Concilio: “C’è una continuità, non c’è una contraddittorietà all’interno della Dottrina”.

D. – Il legame che c’è tra il Sacramento nuziale con il significato della Comunione sacramentale – quindi la donazione totale di Cristo alla Chiesa – resta il fondamento alla base della indissolubilità o piuttosto è un ideale che viene proposto e quindi suscettibile di modifiche a livello dei singoli episcopati?

R. – C’è da dire che c’è una sacramentaria, una storia della sacramentaria, che noi non è che possiamo cambiare dall’oggi al domani. Poi, ci sono situazioni che – effettivamente – possono avere una valutazione diversa, perché si tratta a volte del coniuge ingiustamente penalizzato, di situazioni particolari che la Chiesa deve valutare. Ma non parliamo della normalità: parliamo di situazioni eccezionali nelle quali la Chiesa ha sempre avuto, anche da un punto di vista della dottrina morale, un’attenzione particolare. Quindi, io non focalizzerei come se tutta la questione fosse lì. Il fatto stesso che, per esempio, anche una coppia non regolarmente sposata, possa partecipare alla vita della Chiesa – e prendo per esempio la partecipazione alla Messa della Eucarestia – non è una cosa secondaria: per esempio, il partecipare a un atto di culto come l’ascolto della Parola di Dio, che ha un’efficacia e una sua dimensione, anche pedagogica, all’interno della vita di quella coppia e nella realtà. Non è secondario il fatto che una coppia non regolarmente sposata si integri nella realtà della dinamica della Chiesa: il servizio dei poveri, il servizio degli altri, la testimonianza anche della propria vita in relazione a ciò che si vive… Perché, in genere, ci sono anche delle sofferenze la cui testimonianza è di aiuto: voglio dire che c’è poi una ricchezza all’interno della partecipazione alla vita della Chiesa che non si può ridurre esclusivamente a “Comunione sì, Comunione no”.

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P. Ossorio: Chiesa sia aperta, pronta a ricevere tutti

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Per una riflessione sui lavori fin qui svolti al sinodo dei vescovi sulla famiglia. Il nostro inviato, Paolo Ondarza, ha intervistato uno dei Padri sinodali: padre Javier Álvarez Ossorio, superiore generale della Congregazione dei Sacri Cuori: 

R.  – Siamo verso la fine del Sinodo e questi giorni sono veramente impegnativi perché cerchiamo conclusioni pratiche. Le diversità di opinioni si fanno sentire, ma allo stesso tempo c’è una vera preoccupazione pastorale di tutti i vescovi che sono presenti. Io spero che possiamo non rimanere nel nostro solito linguaggio, un po’ clericale, lontano dalla realtà del nostro popolo di Dio. Speriamo di poter presentare a Papa Francesco alcune porte aperte, perché lui possa andare avanti nel cammino di avvicinamento della Chiesa a tutti in tante parti del mondo. Io spero anche che si possano mettere in funzione dinamiche nei diversi posti del mondo – nelle diverse aree, continenti, conferenze episcopali – perché tante volte le soluzioni ai problemi concreti devono essere trovate a livello locale.

D. – Dinamiche per velocizzare la risoluzione di questioni pratiche senza entrare nell’ambito della Dottrina?

R. – Io penso che non vi sia un problema di Dottrina, quando parliamo per esempio dell’accesso ai Sacramenti, nel mostrare una Chiesa aperta che riceve tutti. Dobbiamo pensare a Gesù stesso, come Lui faceva, come Lui ha offerto la sua salvezza a tutti. Io penso che abbiamo la libertà di cambiare disciplina senza cambiare per nulla la Dottrina.

D. – E’ questo che vuol dire decentralizzare il ministero petrino?

R. – E’ uno degli aspetti, sì. Sì, io penso che decentralizzare voglia dire che i vescovi possano trovare per i loro fedeli soluzioni pratiche, concrete per facilitare il vissuto del Vangelo dove loro stanno. Non dobbiamo aspettare soltanto soluzioni universali per la disciplina, che vengano dal Papa e dalla Santa Sede: anche i vescovi hanno il “potere pastorale”, se possiamo dire così, per trovare soluzioni regionali particolari.

D. – Lei faceva riferimento alla questione dei Sacramenti: questo legame tra il Sacramento nuziale e il significato della Comunione sacramentale –  di cui molti hanno parlato in aula e di cui parla il magistero come esemplificazione della donazione totale di Cristo alla Chiesa – non rischia di essere alterato dal momento in cui viene concessa la comunione ai divorziati risposati?

R. – Io penso di no. Tutti i Sacramenti camminano, puntano, mirano a un compimento escatologico: l’amore di Dio, il compimento nel Regno di Dio…  Siamo in cammino. Che ci sia una diversità di pratiche mentre siamo in cammino vuol dire che la Chiesa è un popolo di Dio che cammina nella storia… Allora, chiedere al Sacramento del matrimonio che sia una realizzazione perfetta e storica, adesso, di questo ideale escatologico dell’amore di Cristo per la Chiesa è troppo. Perché noi partecipiamo all’Eucaristia, abbiamo il Battesimo, io ho l’ordine sacerdotale… Ma chi di noi vive questo in pienezza? Nessuno, siamo tutti peccatori. Allora, io non vedo nessun problema che ci siano diverse pratiche nella Chiesa, sapendo che tutti abbiamo lo stesso sguardo su Gesù e sull’amore di Dio che è sempre molto più grande di noi e delle nostre realizzazioni storiche.

D. – E’ stato ribadito il clima di grande fraternità, di collegialità in questo Sinodo. Non si può negare, come è stato anche affermato da molti, che vi sia una divergenza su alcuni punti tra cui proprio questo di cui stiamo parlando. Si riuscirà a trovare una sintesi?

R. – E’ vero che la comunione esiste… Io capisco la preoccupazione pastorale di tanti che vogliono cambiare e tanti altri che non vogliono cambiare. Penso che forse arrivare a una sintesi qui non sia necessario. Quello che sarebbe buono è che questo Sinodo permetta un cammino un po’ più approfondito del popolo di Dio. Noi non pensiamo che il Sinodo sia un punto di arrivo, ma può essere la tappa di un cammino che deve continuare sempre.

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Papa, tweet: la corruzione è cancro che distrugge la società

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “La corruzione è un cancro che distrugge la società”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il nome della suora: Messa a Santa Marta.

Nel ricordo di Paolo VI: a Roma il pellegrinaggio mondiale del popolo gitano.

Gli interventi di Pierangelo Sequeri e di Carlos Maria Galli al convegno, a Vienna, su “Papa Francesco e la rivoluzione della tenerezza”.

Un’impronta nel Novecento: l’arcivescovo Bruno Forte sul Dizionario biografico dei canonici della cattedrale di Napoli che si aggiunge al Dizionario storico delle diocesi campane diretto da Sergio Tanzarella.

Per una coesistenza pacifica in Medio Oriente: l’intervento, ad Atene, dell’arcivescovo segretario per i Rapporti con gli Stati.

L’insostenibile leggerezza dei database: Carlo Petrini sull’accessibilità in Rete dei risultati delle sperimentazioni farmaceutiche.

Gabriele Nicolò sull’ammiraglio Nelson e la botte di rum.

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Oggi in Primo Piano



Ban Ki-moon in Israele, mentre continuano violenze

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Ancora un morto in Israele: si tratta di un palestinese di 24 anni colpito dal fuoco israeliano a Beit Awa (Hebron, Cisgiordania) dopo che, secondo l'esercito, aveva pugnalato un militare israeliano. Per ridurre la tensione, sempre più alta negli ultimi giorni, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon,  è arrivato in Israele. Ieri aveva inviato un video messaggio. Il servizio di Fausta Speranza

Non-violence requires more courage and strength than violence. At this difficult time…
"La non violenza richiede più coraggio e forza della violenza”. Ban Ki-moon parla di momento difficile e nel video messaggio si appella direttamente alle due popolazioni: chiede che “si smetta di ipotecare il futuro dei due popoli e della regione”.

Let me be clear: violence will only undermine the legitimate Palestinian aspirations for statehood and the longing of Israelis for security…
"Sia chiaro – afferma  Ban Ki-moon – che la violenza potrà solo indebolire le aspirazioni dei palestinesi ad uno Stato riconosciuto e il desiderio di sicurezza degli israeliani".  

La riflessione di Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:

R. – La disperazione è tanta tra i palestinesi, soprattutto tra i palestinesi più giovani che sono nati dopo il Trattato di Oslo, che sono la maggioranza ormai della popolazione palestinese. Quindi c’è il fallimento del processo diplomatico portato avanti in tutti questi anni e c’è da reinventarsi delle formule. Si parla di un’iniziativa internazionale. Da soli, israeliani e palestinesi, non ce la fanno a costruire la pace e in questa disperazione cresce la rabbia dei giovani.

D. – Agli israeliani Ban Ki-moon dice: “La sicurezza è lecita, ma ci sono altre soluzioni rispetto a check point e muri…"

R. – Sì, fa impressione vedere costruire una barriera di separazione dentro a quella Gerusalemme, che gli israeliani stessi dicono capitale unica e indivisibile d’Israele. C’è una contraddizione in termini, direi. Il problema reale è che il governo Netanyahu non ha un orizzonte di proposte di pace: si limita a gestire, a fare il management del conflitto e non ricerca la sua soluzione. Questo alla lunga non riesce ad assicurare la sicurezza. Se non si dà uno sbocco politico, non c’è sicurezza.

D. – Ban Ki-moon in queste ore incontra i leader da una parte e dall’altra. Che cosa aspettarsi in modo operativo da questi colloqui?

R. – Temo non molto, perché il problema reale è che se il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non avanza delle “guidelines” di soluzione del conflitto, se non viene rimosso il veto agli Stati Uniti d’America, si potranno calmare le acque per qualche tempo, ma poi sarà necessario affrontare il problema alle sue radici. E questo, in questo momento, israeliani e palestinesi non riescono a farlo. Abu Mazen, il presidente palestinese Mahmoud Abbas, è di fatto fortemente indebolito da tutto ciò che sta succedendo. Gli israeliani non paiono andare in direzione di uno slancio diplomatico e, d’altra parte, l’esplodere dei problemi di sicurezza li fa rinserrare. E’ una situazione, quindi, che senza un intervento dall’esterno, pare difficilmente risolvibile.

D. – Tradizionalmente gli Stati Uniti hanno un ruolo, ma qui l’amministrazione Obama sta per chiudere il mandato, e aprendosi il periodo delle pre-elezioni è difficile immaginare interventi…

R. – Ma la situazione è anche peggiore. La questione reale è che Obama non crede più nella soluzione del conflitto. Il fatto che nel suo ultimo intervento all’Onu non abbia citato, neanche con una parola, il conflitto israelo-palestinese, ci dice fino a che punto gli Stati Uniti si sentano scottati dal fallimento dell’iniziativa Kerry. Quindi, loro certo cercheranno di trovare delle soluzioni per quietare un po’ le acque – e non è detto che ci riescano – ma si sono ritirati dalla gestione del conflitto. Spetterebbe, quindi, un ruolo maggiore all’Europa. Federica Mogherini, l’Alto rappresentante per la politica estera, dice di voler rilanciare l’iniziativa europea, ma questa stenta ad andare avanti per le divisioni interne all’Europa, e le iniziative francesi, a volte un po’ estemporanee, non sono in grado di colmare questo vuoto.

Ban Ki-moon, arrivato a sorpresa in Israele per colloqui con le massime autorità, incontrerà anche alcune vittime delle ultime violenze.

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Parroco Aleppo: "Emorragia continua di siriani, gente stremata"

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L'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) è riunita oggi in Giordania per discutere delle crisi in Libia, Iraq e soprattutto Siria. Ribadita l’urgenza di una transizione che allontani Assad ma senza favorire il terrorismo. Intanto continua la fuga di migliaia di siriani stretti tra la controffensiva del regime, sostenuta dai raid russi, la resistenza dei ribelli e l’avanzata del cosiddetto Stato Islamico. Il Cremlino rivendica il suo intervento contro l’Is che pianifica la destabilizzazione dell’area ma le Ong siriane denunciano che su 370 vittime dei raid, in un mese circa, sono solo 52 i jihadisti morti e invece 127 i civili. Aleppo è una delle città più devastate dal conflitto. Da qui arriva la testimonianza di fra Ibrahim Alsabagh parroco della città, al microfono di padre Vito Magno: 

R. – La vita è difficile, per non dire assurda. E’ vero che l’ultimo intervento  con i bombardamenti dei russi ha migliorato la situazione, nel senso che arriva più acqua, più elettricità e non ci sono i bombardamenti dei jihadisti sulle abitazioni, però si continua a vedere sofferenza ovunque. La gente vive sotto la soglia della povertà, non ce la fa più e lentamente fugge dal Paese in una emorragia continua …

D. – Quale il peso di questa situazione sulla Chiesa?

R. – Tutti i nostri uffici si sono trasformati in una Caritas parrocchiale, anche a livello delle segreterie. La nostra preoccupazione primaria è come incontrare la gente, ascoltare e anche come soccorrere loro. Arrivano con certi casi di disperazione, di sofferenza … con gli ultimi bombardamenti bussavano alla porta e dicevano: “Guarda, adesso sono senza casa”. Un altro padre di famiglia mi diceva: “Abbiamo riparato per due volte la casa che è stata bombardata, ma adesso non ce la faccio più!”. E’ una cosa molto, molto al di là delle nostre forze personali.

D. – E gli aiuti dalle altre Caritas, dalla Conferenza episcopale italiana?

R. – Noi sentiamo questa presenza in diversi modi. C’è una bellissima collaborazione anche con gli ortodossi, anche con alcune comunità protestanti, ci mettiamo tutti insieme per aiutare. Dall’altra parte, c’è la sensibilità bellissima di tante parrocchie, di tanti cristiani, di associazioni che spinti dallo Spirito Santo ci aiutano un po’ per soccorrere questa gente. Sicuramente c’è tanto da fare, qui …

D. - Ci sono delle chiese distrutte …

R. – Sicuramente oggi abbiamo oltre un centinaio di chiese distrutte: ma non è quello che ci colpisce. Quello che ci fa paura è vedere il tempio di Dio, che è l’uomo e la famiglia che vengono distrutti a causa di questo male, il "peggior male che l’umanità ha conosciuto", come diceva il Santo Papa Giovanni Paolo II, che è la guerra. Gli edifici si possono sempre ricostruire; abbiamo paura soltanto quando sentiamo quanto il male, a causa di questa guerra, influisca sull’uomo. Quindi, noi non vogliamo salvare le pietre: vogliamo salvare l’uomo e vogliamo salvare la famiglia.

D. – Quanti suoi parrocchiani sono emigrati?

R. – Negli ultimi tre mesi è emigrato il 9% della mia parrocchia.

D. – Pensano, però, di ritornare? Oppure no?

R. – Nel vedere un po’ di miglioramento, con questo intervento-bombardamento dei russi, quelli che stanno fuori – diversi di loro, penso – sono pronti a ritornare. Però, diversi si sono ormai stabiliti all’estero e penso che non torneranno mai più.

D. – E i giovani?

R. – Questa è la nostra piaga: ormai, a causa della paura del servizio militare, quasi tutti i nostri giovani maschi sono fuggiti o stanno per fuggire. Il problema è questo squilibrio umano che si è creato nella società. Anche quando ci sono i matrimoni, l’uomo lascia la famiglia e va per aprire una via: questo implica una “separazione di fatto” che dura però anche diversi anni, e in diversi casi influisce sulla continuità del matrimonio.

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Migranti bloccati a migliaia tra Croazia e Slovenia

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Prosegue come un fiume in piena, valicando i confini europei, il flusso migratorio da Paesi dell’Asia e dell’Africa, colpiti da guerre, persecuzioni, calamità e povertà. Un’emergenza che non trova risposte politiche efficaci mentre la macchina degli aiuti non tiene il passo con i bisogni di migliaia di persone, che ogni giorno fuggono dalle loro case per un avvenire migliore. Da qui l'appello di Amnesty International per i profughi bloccati ieri al confine tra Slovenia e Croazia, che ha richiuso e poi riaperto la frontiera con la Serbia, da dove anche oggi stanno arrivando migliaia di nuovi profughi, diretti in Austria e Slovenia.  Roberta Gisotti ha intervistato Riccardo Noury, portavoce in Italia dell'organismo umanitario: 

R. – Quello che abbiamo verificato è una situazione oltre che beffarda, persino crudele. Un gruppo numeroso di rifugiati, comprese donne, bambini e anche neonati, è stato intrappolato per molto tempo in una terra di nessuno, al confine tra Croazia e Slovenia, con un meccanismo grottesco: la polizia slovena su un lato che erige filo spinato e l’altra croata alle spalle dei rifugiati che fa lo stesso, con il risultato di 1.800 persone che si sono trovate la notte scorsa all’addiaccio, senza assistenza, senza il minimo riparo e che, piano piano, hanno cominciato ad affluire all’interno della Slovenia, dando priorità a donne e bambini. Ma non sono questi i provvedimenti – piccole gocce di umanità – che possono risolvere un problema di dimensioni molto ampie.

D. – Frontiere parzialmente chiuse, poi riaperte, poi richiuse, poi riaperte. Possibile che l’Europa non si sia ancora dotata di un protocollo per fare fronte, almeno sul piano umanitario, a questa emergenza?

R. – Questo è impressionante. Tra l’altro la crisi globale dei rifugiati, in corso nel mondo, tocca i Paesi dell’Unione Europea solo in piccola parte. Pensiamo che in Libano, dalla sola Siria, sono entrati 1 milione e 200 mila rifugiati, mentre qui in Europa ci sono scene di panico per alcune centinaia di migliaia di persone, che dovrebbero essere distribuite in maniera armoniosa e coordinata tra 28 Paesi, che hanno sicuramente più possibilità del Libano. Invece, assistiamo ad un gioco al ribasso, quello che ci hanno detto le stesse guardie di frontiera in Croazia. Si prende, ad esempio il Paese che si sta comportando peggio – in questo caso l’Ungheria – e si dice: “Facciamolo anche noi”. E’ un gioco al massacro sulla pelle di persone inermi, che hanno sfidato la guerra, sono sopravvissute alla tortura, per ritrovarsi di fronte filo spinato, gas lacrimogeni, cani, soldati armati e, in un caso, come abbiamo visto in Bulgaria, c’è stata anche una vittima.

D. – Come media non dobbiamo certamente stancarci di rilanciare le immagini e le testimonianze di queste situazioni…

R. – E’ utile farlo, perché mostrano un’umanità - sebbene estremamente sofferente, dolente e abbandonata - che da tanti viene vista come un fatto di numeri o, peggio, come un problema, come una minaccia. L’Europa non può cedere al panico, l’Europa ha il dovere di fare di più. E’ un continente di Paesi che stanno ancora dignitosamente bene, con alcune eccezioni ovviamente, ma è un continente di 500 milioni di persone, che può accogliere tante persone in più rispetto a quelle che sono state accolte. E per farlo deve darsi un programma, deve darsi un metodo, deve darsi priorità, e la prima di queste è che ci sia un sistema di percorsi legali e sicuri per entrare in Europa; in secondo luogo, che le persone che arrivano in Europa siano trattate dignitosamente e abbiano accesso a procedure di asilo; possano muoversi all’interno dei Paesi, superando i confini senza filo spinato, senza cani, senza fucili, senza questo atteggiamento militaresco, senza questo gioco di erigere filo spinato davanti e dietro, quando devono attraversare una frontiera. Se l’Europa non farà questo, l’atteggiamento di cinismo mostrato in questi mesi sarà purtroppo ricordato per anni e anni a venire.

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Siria e Iraq, le terre del "genocidio dei cristiani"

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Della difficile condizione in cui vivono i cristiani di Siria e Iraq si è discusso ieri pomeriggio, presso l’aula dei Gruppi parlamentari di Montecitorio, nel corso del convegno dal titolo “Genocidio dei cristiani”, organizzato dall’Associazione "Cristiani pakistani in Italia" e dall’Associazione umanitaria "Padana onlus". Il servizio di Elvira Ragosta

Sono 450 mila i cristiani sfollati siriani a causa delle violenze della guerra civile e di quelle causate dal sedicente Stato islamico, 120 mila i cristiani iracheni costretti dai jihadisti dell’Is a lasciare le loro case in Iraq, scappando da Mosul e dalla Piana di Ninive verso il Kurdistan iracheno. Pochi sono i cristiani che resistono nella capitale Baghdad. Sulla loro condizione è intervenuto il Patriarca della Chiesa di Antiochia dei Siri, Ignacio Joseph III Younan:

“Quando non c’è stabilità, non c’è sicurezza, i più deboli ne pagano il prezzo… E così noi cristiani abbiamo pagato – e stiamo pagando – il prezzo, perché non c’è una forza di sicurezza che possa proteggere coloro che sono senza difese. Se la situazione resta tale, ossia se continua a esserci il conflitto, e se non si riescono a fermare quelle bande terroristiche, il cosiddetto Sato islamico, non c’è speranza che i cristiani rimangano! Questo è un rischio che minaccia la nostra sopravvivenza”.

Un pericolo reale, che nei prossimi cinque anni – secondo il recente Rapporto sulla persecuzione dei cristiani nel mondo redatto da “Aiuto alla Chiesa che soffre” – potrebbe portare all’estinzione della comunità cristiana nell’area. Il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako:

“Il pericolo è che si arrivino a svuotare questi Paesi del Medio Oriente, sia l’Iraq che la Siria. Il pericolo a cui sono esposti i cristiani: sono perseguitati, bisogna dirlo, sono perseguitati a causa della loro religione e vanno via anche... Perciò, ci vuole una passione forte di fronte a questa tragedia: è il nostro Paese, è la nostra terra, è la nostra storia! Perché allora io, come iracheno, sono perseguitato? Io sono un cittadino iracheno, la religione non c’entra. Per questo ho detto che è necessario separare la religione dallo Stato.”

L’onda migratoria che interessa le popolazioni di queste zone, sia i cristiani che i musulmani, non ha limite – sottolinea il Patriarca della Chiesa greco-cattolica melchita, Gregorios Laham – ricordando che il 50% dei medici siriani è fuggito e che il clima di paura ha investito anche i cristiani, che in Siria hanno visto oltre 140 chiese distrutte. Ma la Siria non vuole la guerra, aggiunge il patriarca Gregorios Laham, che sulla pace auspica:

“È una voce cristiana – del mondo intero – per la pace, non per i cristiani o i siriani, ma per il mondo. Il Santo Padre quando era in Giordania ha detto: “Ci sono due chiavi per la pace nel mondo: la prima è un consenso per una soluzione condivisa, di tutto il mondo, per la Siria. La seconda è la pace e la giustizia per i palestinesi”.

Samaan Daouad ora è in Italia. E’ fuggito dalla Siria per salvare la sua famiglia e ha portato la sua testimonianza sulla condizione dei cristiani in Siria:

R. – I cristiani in Siria vivono male, soprattutto quelli che sono ad Aleppo: sono due anni che non hanno corrente elettrica né acqua… La strada è rimasta chiusa per quasi un anno. Si lanciano molte bombole del gas e non più il colpo di mortaio che causa la caduta di un palazzo o di due o tre piani. È stata proprio una minaccia diretta contro i cristiani siriani di Aleppo e attualmente di Damasco – purtroppo anche noi a Damasco abbiamo subito molte minacce – sulle scuole, le case e le chiese cristiane.

D. – Lei vuole ritornare in Siria?

R. – Il giorno in cui ci sarà la pace sicuramente sì, perché la casa non l’ho venduta e tutte le mie memorie le ho lasciate lì. Non ho voluto portare neanche una foto della mia famiglia, perché mi sono detto: “Bisogna che lasci tutto lì, così tornerò e riprenderò in mano la mia vita di nuovo”.

Non solo di Iraq e Siria si è parlato al convegno. Don Gilbert Shahazad, assistente ecclesiastico dell’Associazione “Pakistani cristiani in Italia”, ha ricordato le difficoltà che vivono i cristiani in Pakistan, ai quali non è concesso aprire attività commerciali o ricoprire incarichi pubblici. E ha parlato dei tanti cristiani in carcere, ingiustamente accusati di blasfemia. Tra questi c’è anche Asia Bibi, la donna cristiana pakistana in carcere dal 2009 per false accuse. La legge sulla blasfemia in Pakistan condanna a morte chi insulta Maometto e all’ergastolo chi insulta il Corano.

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Maltempo flagella la Campania, situazione critica a Benevento

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Il maltempo continua a flagellare Molise e Campania. Sono almeno 40 i comuni gravemente colpiti, tra cui Napoli, Salerno e Capri dove si registrano frane e allagamenti. Situazione drammatica, in particolare, a Benevento e nell'intera zona del Sannio dove sono ingenti i danni causati da esondazioni di fiumi e dalle alluvioni. La Chiesa locale si è subito attivata, come sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco, il direttore della Caritas diocesana di Benevento, don Nicola De Blasio: 

R. – Ci troviamo a lavorare su due fronti di emergenza. La prima zona è quella che va verso Telese. Adesso invece è la città di Benevento dove tutta la zona Asi (Area di Sviluppo Industriale) ha subito un’inondazione, con la distruzione dell’intero comparto produttivo beneventano.

D. – Una grave ferita per un territorio già colpito dalla disoccupazione…

R. – Proprio in questo momento le aziende hanno messo in cassa integrazione più di 2 mila operai: se entro un mese l’emergenza non rientra, queste persone diventeranno disoccupate. Questo significa “emergenza nell’emergenza”: 2 mila famiglie che non avranno più un sostegno economico, perché le aziende sono totalmente distrutte.

D. – La macchina della solidarietà si è subito messa in moto…

R. – La Caritas ha attivato subito il protocollo: ci stiamo coordinando con la Protezione Civile, con la Croce Rossa, con le Misericordie. E questo è diventato il centro operativo del mondo del volontariato: prepariamo i pasti per le famiglie; abbiamo coordinato i tifosi della curva che sono veramente fantastici, i giocatori di rugby, i ragazzi universitari. C’è un mondo giovanile che sta mostrando tutta la forza e la volontà, e c’è una solidarietà veramente grande. Una solidarietà che sta arrivando anche da tante parrocchie del Nord – è arrivato un camion di carne da Treviso – e quindi è una grande opera che si sta muovendo.

D. – Per far fronte all’emergenza, in questi giorni critici, è stata anche anticipata l’apertura della “Cittadella della Carità”, una struttura rivolta alle fasce più deboli della popolazione…

R. – Abbiamo attrezzato una cucina con una mensa che in questi giorni ha preparato 7 mila pasti, tra pranzo e cena. Abbiamo costruito un dormitorio e ci sono uffici che operano come centro di ascolto e di micro credito. La Cittadella della Carità è proprio diventata il cuore della carità della diocesi di Benevento. Da qui parte poi ogni azione di carità e di testimonianza per arrivare - come dice Papa Francesco - alle periferie dell’umanità, alle periferie della nostra diocesi.

D. – Per la zona di Benevento è una situazione nuova o le alluvioni sono purtroppo una piaga che si ripete?

R. – È una piaga grandissima. Già il cardinale Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, disse ai cittadini della città: “Benevento non deve avere più paura dei terremoti, ma dovrà aver paura dell’acqua”. E nel 1949 ci fu una grande alluvione. Furono rifatti gli argini del fiume in città. Poi però il dissesto idro-geologico portò purtroppo a quelli che sono i problemi di oggi.

D. – Come è possibile sostenere la popolazione di Benevento e della zona del Sannio?

R. – Se qualcuno vuole contribuire, può andare sul sito web della diocesi di Benevento oppure della Caritas di Benevento dove potrà troverà l’IBAN e tutte le informazioni necessarie. Oppure si può la pagina Facebook “Gabriella Giorgione per Caritas” per essere aggiornati in tempo reale su tutto quello che succede nella città di Benevento e su come sta operando la Caritas.

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Mons. Toso: invece che su azzardo puntare su politiche lavoro

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In Italia, ogni anno vengono giocati circa 90 miliardi di euro alle slot o ad altri giochi d'azzardo. Secondo la bozza della Legge di Stabilità, il governo intende varare una nuova sanatoria dei punti gioco ora illegali. Alessandro Guarasci ha sentito il parere del vescovo di Faenza-Modigliana, mons. Mario Toso, membro della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro: 

R.  – In Italia, lo sappiamo, le slot machine sono una ogni 150 abitanti, il numero più alto del mondo. Se questo fosse vero, e cioè che si aumenterebbero le sale slot, dovremmo chiederci allora su quale figura di comunità politica e di società civile noi vogliamo giocare il nostro futuro e cioè se sia più vantaggioso per la gente e anche per il reddito nazionale seguire questa via, quella del guadagno facile, sapendo che però non tutti guadagnano e anzi cadono in vizi che non consentono loro di vivere secondo responsabilità, finendo per essere vittime di malattie che poi sono difficili da guarire, con spese sempre da parte della comunità. Credo che una cosa importante sia che lo Stato abbia una chiarezza di idee e abbia una priorità delle scelte da fare e certamente la via delle politiche attive del lavoro sarebbe più educativa, che non quella dell’aumento delle slot machine.

D. – Ci sono tante famiglie che si indebitano pur di giocare. Non è assurdo curare chi è malato di ludopatia e poi incentivare il gioco anche con una pubblicità a volte oggettivamente martellante?

R.  – Bisognerebbe che nel rinnovo dell’eventuale delega fiscale a riguardo di questo settore, dovrebbe essere vietata totalmente la pubblicità su giornali e tv. Proprio perché questa via della pubblicità è uno specchietto per le allodole che colpisce soprattutto le persone più deboli e più esposte e più bisognose di sostegno.

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Nella Chiesa e nel mondo



Coree: dopo 21 mesi ripartono le riunificazioni familiari

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Una delle ultime barriere della guerra fredda, costruita dopo il conflitto del 1953, cadrà anche se per una sola settimana. Il confine tra il Nord e il Sud della Corea, segnato 62 anni fa, verrà cancellato grazie all’accordo fissato all’inizio di settembre a Panmunjom tra le delegazioni della Croce Rossa di entrambe le Coree. Oggi, infatti, 389 persone, per lo più anziani sudcoreani, hanno potuto riabbracciare a Sokcho, nella Provincia di Gangwon, i loro familiari che vivono al di là del 38esimo parallelo. Un’attesa lunga, caratterizzata anche da un incontro di preparazione preventivo su come avrebbero dovuto comportarsi una volta varcato il confine. 

Vestiti e generi di prima necessità per le famiglie meno abbienti del Nord
Per i disabili, la Croce Rossa ha predisposto 34 sedie a rotelle ed è stato fissato un calendario rigido per gli incontri che si tengono a Hanwha Resort, sul Monte Kumgang, lungo la costa orientale. Il primo turno, fino a giovedì, vedrà la partecipazione di sei gruppi rigorosamente controllati. Sono consentiti anche incontri individuali, là dove richiesti. Un’associazione di imprese del complesso industriale di Kaesong ha donato 31.2 milioni di Won (poco più di 24 mila euro) oltre a vestiti e generi di prima necessità alle famiglie meno abbienti del Nord. Lo staff che accompagna i sud coreani è composto da 114 persone. Con loro anche 29 giornalisti. 

L'evento ha rischiato di essere sospeso
​Erano tanti i timori espressi nei giorni scorsi dalle stesse famiglie dopo che il Nord stava valutando la possibilità di sospendere gli incontri a seguito del discorso della Presidente della Corea del Sud, Park Geun-hye, pronunciato di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. La Park aveva esortato Pyongyang a scegliere la via della “apertura” al posto del “provocazione”.

Sono 130.000 i sudcoreani che hanno familiari oltreconfine
Attualmente sono circa 130.000 i sudcoreani registrati nella banca dati governativa che hanno familiari oltreconfine. La metà di loro sono scomparsi; 66.000 attendono di rivedere i loro cari. Dal primo vertice inter-coreano del 2000, le famiglie hanno avuto la possibilità di incontrarsi 19 volte, mentre in sette occasioni hanno potuto parlare attraverso il video. (A cura di Davide Dionisi)

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Terra Santa: Veglia per la pace dei giovani cristiani palestinesi

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L'appuntamento è fissato per le ore 18.00 di sabato 24 ottobre, vigilia della festa di Nostra Signora di Palestina: in tutte le parrocchie cattoliche di Palestina, Israele e Giordania, si terrà una Veglia di preghiera con cui i giovani di Terra Santa chiederanno al Signore il dono della pace, davanti all'escalation di violenza che sta di nuovo martoriando la terra di Gesù. L'iniziativa è stata presa dalla Gioventù cristiana di Palestina.

Iniziativa aperta anche a musulmani ed ebrei
“I giovani vogliono pregare per la pace in tutto il Medio Oriente” spiega all'agenzia Fides padre Bashar Fawadleh, cappellano della Gioventù cristiana di Palestina, “ma specialmente per la pace a Gerusalemme, che è la nostra città, la nostra capitale, la Città Santa della pace e che in questi giorni è di nuovo diventata teatro di sangue, violenza, sopraffazione e morte”. La Veglia è aperta a tutti i giovani della Terra Santa, non solo cristiani: “Potranno venire anche giovani musulmani e ebrei, chiederemo insieme a Dio, Onnipotente e Misericordioso, di toccare i cuori degli uomini e di liberarli dall'odio, dalla paura e dalla sete di vendetta”. (G.V.)

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Indonesia. Aceh cede agli estremisti: demolite tre chiese

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Dopo le tensioni cresciute dalla scorsa settimana a seguito del rogo di un luogo di culto cristiano e dell'assedio a un altro in cui un individuo era morto e altri quattro erano rimasti feriti, le forze di sicurezza indonesiane sono intervenute ieri nel distretto di Singkil, provincia di Aceh, per demolire tre chiese come chiesto dagli estremisti musulmani che lamentano la mancanza di permessi appropriati.

Amarezza tra i cristiani: accolte le richieste degli integralisti islamici
La distruzione degli edifici, tre modesti luoghi di culto tra cui uno cattolico - riferisce l'agenzia Misna - non ha provocato altri incidenti o arresti in quanto era stata concordata tra autorità locali e leader religiosi, tuttavia ha provocato amarezza tra i cristiani che nel provvedimento hanno visto una concessione alle richieste del Fronte dei difensori dell'islam che nella provincia di Aceh, unica nell'immenso arcipelago indonesiano in cui vive la legge coranica, chiede da tempo con decisione la demolizione di una decina di luoghi di culto cristiano che non hanno un regolare permesso edilizio o per ospitare attività religiose. 

Campagna per contenere il ruolo delle minoranze religiose
Previste altre demolizioni nei prossimi giorni, mentre migliaia di cristiani si sono allontanati dalle aree più potenzialmente pericolose. In parte una problematica concreta per la difficoltà di ottenere permessi e autorizzazioni in una burocrazia dai tempi lunghi e sovente dalle modalità incerte, in parte per quella che molti ritengono sia una campagna orchestrata per contenere dimensioni e ruolo delle minoranze religiose.

Forti restrizioni a causa della sharia 
​L'imposizione della Sharia deriva dall'accordo di pace del 2005 tra movimento indipendentista Gam e governo di Jakarta che ha dato alla provincia un'ampia autonomia e successive elezioni che hanno portato al potere gruppi politici fautori dell'islamizzazione anche del sistema giuridico. Non senza crescenti resistenze negli ultimi anni per l'imposizione di usi e restrizioni non abituali anche nella musulmana Indonesia. (C.O.)

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Vescovi di Cuba: servire il prossimo senza esclusioni

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Ad una mese della sua visita a Cuba, i vescovi invitano a mantenere viva l’allegria e la speranza che ha lasciato Papa Francesco. In un messaggio indirizzato a tutti i cubani, i presuli affermano che nel suo percorso per le città dell’Avana, Holguin, El Cobre e Santiago, il Santo Padre “con gesti e parole ha coltivato in tutti noi semi di speranza, ha aperto la nostra mente, ci ha insegnato a dirigere lo sguardo verso nuovi orizzonti e ci ha lasciato con buoni aneliti nel cuore”.

Il rispetto delle differenze diventa reciprocità e ricchezza
Nel messaggio i vescovi ricordano le parole del Papa in ogni tappa del suo viaggio apostolico partendo dall’Avana dove “ha parlato del servizio alla fragilità umana senza ideologizzazioni ne esclusioni”. La nota sottolinea l’invito del Pontefice a sognare una Patria migliore, a costruire una amicizia fraterna in favore del bene comune e a promuovere il rispetto delle differenze che diventa reciprocità e ricchezza per tutti. Il forte invito a imitare lo sguardo d’amore e di misericordia di Gesù verso Matteo fatto dal Papa ad Holguín è ricordato nel messaggio come via per restituire dignità, diventare discepoli fiduciosi e dare un nuovo senso alla vita.

Senza il calore della famiglia la vita diventa vuota
Per i presuli cubani la visita del Santo Padre al santuario della Madonna della Carità di “El Cobre” è stato un invito a imitare la Madre di Gesù e andare incontro ai bisogni del prossimo con amore cristiano e con l’annuncio del Vangelo della tenerezza e della gioia. “Nella cattedrale di Santiago - si legge - il Papa ha parlato al cuore delle famiglie ricordando che senza il calore della famiglia la vita diventa vuota e mancano le redini che ci sostengono nelle avversità, le redini che ci alimentano nella quotidianità e che incoraggiano la lotta per la prosperità”

Uscire a comunicare l’allegria e l’ardore lasciato dall’incontro con Papa Francesco
I vescovi cubani ringraziano il Papa per la fede, la speranza e l’amore cristiano che ha donato al popolo cubano. “Come i discepoli che hanno incontrato Gesù - si legge - esortiamo tutti ad uscire a comunicare l’allegria e l’ardore che ha lasciato nei nostri cuori l’incontro con il Pastore della Chiesa, il Papa Francesco”. Infine, il messaggio invita i fedeli a vivere il Giubileo della Misericordia, come proposto dal Pontefice, dedicando il primo venerdì di ogni mese a pregare e praticare opere di misericordia corporali e spirituali. Anche l’Anno Giubilare Mariano inaugurato dal Santo Padre nel santuario della Madonna della Carità di “El Cobre” sarà una occasione privilegiata per onorare la Madre e patrona di Cuba. (A cura di Alina Tufani)

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Colombia: Chiesa soddisfatta per inizio dialogo governo-Eln

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Il recente annuncio di un inizio di dialogo tra il governo colombiano e il gruppo di guerriglieri dell’Eln (Esercito di Liberazione Nazionale), è stato giudicato un segno positivo dal presidente della Conferenza episcopale della Colombia (Cec), mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja, il quale ha detto di sperare che questo processo venga consolidato presto, "per il bene del Paese".

La Chiesa attende ora l'annuncio di un serio negoziato di pace
"L'apertura del dialogo con l'Eln è una notizia positiva, poiché costoro amano parlare, ma la difficoltà consiste nell’arrivare a prendere la decisione seria di entrare in un processo di pace possibile. Spero di poter sentire pubblicamente l'annuncio dell'avvio dei negoziati con lo Stato colombiano e quindi di continuare a costruire la pace nel Paese" ha detto ieri mons. Castro Quiroga parlando a Radio Caracol.

La Chiesa è disposta a collaborare 
La nota inviata all'agenzia Fides informa che il presidente della Cec ha espresso la disponibilità della Chiesa colombiana a collaborare affinché questo processo di pace si sviluppi con tutte le garanzie, per contribuire a costruire la pace. Le sue dichiarazioni sono giunte quasi in simultanea con la notizia dell’accordo fra il governo colombiano e le Farc riguardo alle famiglie delle vittime: entrambe le parti si sono impegnate a consegnare tutte le informazioni disponibili che permettano di trovare i corpi delle persone scomparse durante questo conflitto interno che dura da più di 50 anni. (C.E.)

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Uruguay: Chiesa raccoglie notizie su scomparsi durante la dittatura

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La Chiesa cattolica ha messo a disposizione dei familiari dei detenuti scomparsi tutte le parrocchie del Paese, allo scopo di raccogliere informazioni utili ad individuare i loro resti. La notizia, contenuta nella nota inviata a Fides da una fonte locale, è stata confermata dallo stesso arcivescovo di Montevideo, il card. Daniel Fernando Sturla Berhouet, che si trova a Roma per il Sinodo dei vescovi sulla famiglia.

La Chiesa chiede un gesto di umanità
La richiesta di collaborazione è stata presentata un mese fa dall’Associazione delle Madri e dei Parenti degli Scomparsi, nome ufficiale di questo gruppo, che ha elaborato un piano di sensibilizzazione per ottenere informazioni su queste persone. Hanno quindi chiesto di "consegnare una lettera, un messaggio in ogni parrocchia, chiesa o sinagoga di tutto il territorio nazionale", rivolgendosi a coloro che sanno qualcosa o conoscono qualche dettaglio che possa contribuire a trovare i resti dei loro cari. "Chiediamo un gesto di umanità. Non importa in quali circostanze avete saputo queste notizie" è scritto nel comunicato preparato dall'Associazione. Il cardinale ha insistito sul fatto che non interessa conoscere il nome di chi fornisce queste informazioni, ma interessa il dato. "Nella misura in cui avremo queste informazioni, vedremo crescere il contributo alla pace fra la nostra popolazione dell’Uruguay" ha detto il card. Sturla.

Molti degli scomparsi vittime della repressione della dittatura
​Secondo diverse fonti, in Uruguay, dopo la dittatura (1972-1985) sono state registrate diverse persone scomparse. Una lista di 140 persone, con nome e cognome, è stata presentata dalla Commissione "Servizio della Pace e della Giustizia", mentre la Commissione per i diritti umani ne ha segnalati 192. Molti di loro furono uccisi nella repressione chiamata "Plan Condor". Dallo scorso mese di luglio, quando sono stati ritrovati diversi corpi, l'Associazione dei familiari degli scomparsi ha iniziato con più decisione la campagna per il ritrovamento dei resti dei loro cari. (C.E.)

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Cile-Perù-Bolivia: incontro di pastorale della mobilità umana

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Analizzare la situazione di migranti, rifugiati e vittime della tratta di persone: con questo obiettivo si tiene, da oggi al 22 ottobre, ad Antofagasta, in Cile, il V Incontro dei vescovi e degli operatori di Pastorale della mobilità umana di Bolivia, Cile e Perù. Dal Perù parteciperanno i delegati delle diocesi situate lungo i confini con la Bolivia e il Cile, nonché i responsabili della Pastorale della mobilità umana della Conferenza episcopale peruviana (Cep).

Cresce il numero di colombiani ed haitiani in transito nelle zone di frontiera
Ai diversi problemi legati alla situazione migratoria che contrassegna la frontiera comune di questi tre Paesi – riferisce l’agenzia Fides - negli ultimi anni si sono venuti a sommare altri fattori: il fenomeno di decine di colombiani che cercano rifugio o asilo politico e un gruppo numeroso e costante di haitiani che sono in transito verso Cile e Brasile. Inoltre, in misura minore, sono segnalati gruppi provenienti dall'Ecuador che per vari motivi sono arrivati fino a questa zona.

Avviare una Pastorale concreta destinata ai migranti di ciascuno Paese
L’incontro dei vescovi e degli operatori di Pastorale della mobilità umana dei tre Paesi si tiene ogni due anni, con lo scopo di farlo diventare un luogo per riflettere, raccogliere esperienze e proporre progetti per la Pastorale dei migranti delle diverse Conferenze episcopali. Si mira infatti ad una pastorale nelle situazioni concrete di ogni Paese, considerando l'origine, la zona di transito e la destinazione finale dei migranti, con l’obiettivo di rafforzare le azioni di accompagnamento umano e spirituale. (I.P.)

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Il programma del Convegno ecclesiale di Firenze

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“In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”. E’ il tema del Convegno Ecclesiale nazionale della Chiesa italiana, che si terrà a Firenze dal 9 al 13 novembre e che avrà come momento culminante la visita di Papa Francesco, martedì 10 novembre. Oggi è stato pubblicato il programma dell’evento che si aprirà lunedì 9 alle 15.30 con l’avvio delle processioni nelle quattro basiliche fiorentine (Santa Croce, Santa Maria Novella, Santo Spirito, Santissima Annunziata) per l’ingresso in cattedrale. Alle 17, dunque, il saluto del cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, seguito da quello del sindaco fiorentino, Dario Nardella. Alle 17.30, la celebrazione dei Vespri e alle 19 la prolusione di mons. Cesare Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio del Convegno.

Martedì 10 novembre la visita di Papa Francesco
Il secondo giorno, martedì 10 novembre, sarà tutto incentrato sulla visita del Papa che prima di recarsi a Firenze, visiterà Prato nella prima mattinata. Al suo arrivo in cattedrale, Francesco sarà accolto dal saluto del card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Il Papa nel pomeriggio si trasferirà nello stadio comunale per presiedere la Messa, dalle ore 15,30.

“Le 5 vie” del Convegno ecclesiale
I lavori dei convegnisti alla Fortezza da Basso cominceranno lo stesso 10 novembre alle 18.45 con le testimonianze sulle “5 vie” del Convegno: uscire, abitare, annunciare, educare, trasfigurare. L’11 novembre, dopo la preghiera presieduta da mons. Franco Giulio Brambilla, vicepresidente della Cei, proseguiranno i lavori con le relazioni, mente in serata ci sarà spazio per alcuni eventi spirituali e culturali.

Momenti ecumenici e interreligiosi
Giovedì 12 novembre, la giornata del Convegno inizierà con una preghiera ecumenica presieduta da mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, seguita da due riflessioni spirituali affidate a Gheorghi Blatinski, arciprete della Chiesa Ortodossa russa di Firenze e a Letizia Tomassone, pastora della Chiesa Valdese di Firenze. Successivamente, i saluti di Joseph Levi, rabbino capo della Comunità Ebraica di Firenze, e di Izzedin Elzir, Imam di Firenze e presidente dell’Ucoii.

Conclude il cardinale Bagnasco, prospettive per la Chiesa italiana
Venerdì 13 settembre, sempre alla Fortezza da Basso, l’ultima giornata del Convegno sarà contrassegnata dalla sintesi dei lavori sulle “cinque vie”. Alle 12, infine, il card. Bagnasco, concluderà i lavori delineando le prospettive per il futuro della Chiesa italiana (A.G.)

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Brasile: la Chiesa in difesa dei bambini di strada

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È allarme in Brasile per la sorte di tanti bambini di strada che perdono la vita in maniera violenta. Le stime sono approssimative, ma c’è chi parla di decine di minori uccisi ogni giorno, soprattutto nelle periferie delle grandi città. Solo da poco il fenomeno, purtroppo non nuovo, si è riproposto con forza al centro dell’attenzione della stampa locale e anche delle televisioni. Il quotidiano di Salvador da Bahia «A Tarde» - riferisce L’Osservatore Romano - ha recentemente denunciato questa tragedia spesso colpevolmente lasciata sotto silenzio, dandone un quadro complesso.

Vittime di sfruttatori senza scrupoli
Il dramma dei bambini brasiliani infatti ha contorni indefiniti, a tratti inquietanti. I piccoli mendicanti molto spesso finiscono nelle mani di sfruttatori senza scrupoli, in alcuni casi la loro morte è il danno collaterale di regolamenti di conti. In altri casi rimangono vittime di operazioni contro la criminalità, compiute, se non altro, con scarsa attenzione all’incolumità dei minori. Episodi che hanno alimentato il sospetto di quanti affermano che approfittando delle operazioni di polizia qualcuno possa essere tentato dalla possibilità di sperimentare una giustizia sommaria, a carico dei piccoli senza tetto che spesso si rendono colpevoli di atti di microcriminalità.

Vittime della giustizia sommaria
Su questo punto è intervenuto, sullo stesso «A Tarde», mons. Murilio Sebastião Ramos Krieger, arcivescovo di São Salvador da Bahia. Di fronte alla possibilità di comportamenti ispirati dalla volontà di una giustizia fai da te, il presule esorta a ripensare che «è violenza anche la corruzione, la distruzione dell’ambiente (vedi la foresta amazzonica) e degli indios, lo spaccio della droga, la schiavitù bianca praticata nelle innumerevoli tenute agricole del Paese», realtà da cui i meninos sono lontani. «Perché non allargare lo sguardo — ha detto l’arcivescovo — e denunciare anche queste forme di violenza, anziché prendersela solo con i bambini poveri, neri, facilmente identificabili?».

L’attività della Chiesa a favore dei meninos
L’arcivescovo ha proseguito ricordando l’attività della Chiesa a favore dei meninos da rua, che tenta di educarli attraverso la Pastoral da criança, ispirata dalla dottoressa Zilda Arns, morta durante il terremoto che nel 2010 ha colpito Haiti, dove si era recata per avviare anche lì analoghe iniziative per l’infanzia. «Grazie a lei — ha aggiunto il presule — la Chiesa in Brasile è impegnata nell’assistenza ai bambini in 3.821 municipi, interessandosi di un milione e centomila piccoli fra i 3 e i 6 anni. Per essi lavorano a tempo pieno 198.000 volontari (88,2% donne e 11,8% uomini), evitando discriminazioni di carattere religioso, sociale ed economico, nonché schivando ogni forma di proselitismo, indegna in un cristiano che lavora per il bene dei fratelli più bisognosi». L’arcivescovo di São Salvador da Bahia ha sottolineato che la Pastoral da criança «mira a obiettivi ben definiti, canalizzando le attività in tre direzioni: lotta contro la mortalità infantile, la denutrizione e l’emarginazione sociale. L’esperienza ci ha insegnato — ha aggiunto — che la soluzione dei problemi dipende dal cambiamento del tessuto sociale e dal mettere al primo posto, e quindi ben visibili, le necessità dei poveri e degli indifesi, più vittime che responsabili delle violenze che scuotono l’opinione pubblica».

23mila i minori detenuti in Brasile
Secondo cifre che peccano per difetto, negli ultimi cinque anni il numero dei minori detenuti è cresciuto dell’8%, raggiungendo le 23.000 unità; dato che indicherebbe un considerevole aumento di ragazzi implicati in delitti di vario genere, compresi furti, assalti, omicidi, stupri. Si tratta di minori costretti a essere dalla parte degli aggressori o delle vittime, dei vincitori o degli sconfitti, della causa buona o cattiva, irretiti nelle oneste come nelle losche partite. Realtà che hanno spinto politici e magistrati a chiedere di abbassare la soglia della punibilità, appoggiati dalla Chiesa cattolica. La quale, ha sottolineato l’arcivescovo Ramos Krieger, «chiede più scuole, maggior lotta alla corruzione, maggiore giustizia sociale». (A cura di padre Egidio Picucci)

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Africa: il contributo delle Chiese nella lotta all'Aids

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Le strutture e i dispensari delle Chiese e di altre confessioni religiose in Africa sono i Centri migliori per lo screening e il trattamento dell’Aids per le donne in gravidanza che vivono in aree isolate dell’Africa sub-sahariana. E’ quanto emerge da uno studio condotto in Nigeria dal Lancet Global Health, un’organizzazione non governativa americana con sede a Boston.

La collaborazione delle Chiese contribuisce  a ridurre il contagio
L’indagine, pubblicata dal quotidiano nigeriano Daily Trust, rivela che in Nigeria le donne delle aree rurali hanno una probabilità di essere sottoposte a test prenatali contro la malaria, l’Aids e la sifilide undici volte superiore che in una struttura pubblica. Secondo i professori Benjamin Chi e Elizabeth Stringer della Facoltà di Medicina dell’Università del Nord Carolina, questi risultati rappresentano un “modello” concreto del modo in cui le Chiese e i presidi sanitari possono collaborare per produrre risultati efficaci. Tale collaborazione potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre, o addirittura eliminare il virus dall’Hiv tra i bambini dell’Africa sub-sahariana. I due medici - citati dall’agenzia Apic – hanno infatti osservato che nella regione, anche dove non ci sono Centri sanitari accessibili, la maggior parte delle comunità locali hanno una struttura religiosa a cui rivolgersi per i trattamenti contro l’Aids: “I risultati dello studio mostrano che programmi di prevenzione e cura semplici come l’Healthy Beginning Initiative promosso in Nigeria, contribuiscono ad abbassare tra le donne in gravidanza il rischio di trasmissione del virus”. 

Il 90% dei bambini contagiati dall’Aids vive nell’Africa sub-sahariana
Anche se la disponibilità di farmaci poco costosi ed efficaci per prevenire la trasmissione madre-bambino continua a crescere, un terzo delle donne contagiate dall’Aids non inizia il trattamento durante la gravidanza, con la conseguenza che ogni anno si registrano 210mila nuovi casi di contagi tra i bambini nel mondo. L’87% delle donne in gravidanza infettate dall’Aids e il 90% dei bambini vivono nell’Africa sub-sahariana. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 293

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.