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Sommario del 19/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: l'attaccamento alla ricchezza divide le famiglie e causa le guerre

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Gesù non condanna la ricchezza ma l’attaccamento alla ricchezza che divide le famiglie e provoca le guerre: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del Mattino a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

La religione non diventi un'agenzia di assicurazioni
“L’attaccamento alle ricchezze è un’idolatria”: Papa Francesco ricorda che non è possibile “servire due padroni”: o si serve Dio o la ricchezza. Gesù “non è contro le ricchezze in se stesse”, ma mette in guardia dal porre la propria sicurezza nel denaro che può fare della “religione un’agenzia di assicurazioni”. Inoltre, l’attaccamento ai soldi divide, come dice il Vangelo che parla dei “due fratelli che litigano sull’eredità”:

“Ma pensiamo noi a quante famiglie conosciamo che hanno litigato, litigano, non si salutano, si odiano per un’eredità. E questo è uno dei casi. Più importante non è l’amore della famiglia, l’amore dei figli, dei fratelli, dei genitori, no, sono i soldi. E questo distrugge. Anche le guerre, le guerre che oggi noi vediamo. Ma sì, c’è un ideale, ma dietro ci sono i soldi: i soldi dei trafficanti di armi, i soldi di quelli che approfittano della guerra. E questa è una famiglia, ma tutti – sono sicuro – tutti conosciamo almeno una famiglia divisa così. E Gesù è chiaro: ‘Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia: è pericoloso’. La cupidigia. Perché ci dà questa sicurezza che non è vera e ti porta sì a pregare – tu puoi pregare, andare in Chiesa – ma anche ad avere il cuore attaccato, e alla fine finisce male”.

Un imprenditore ricco che non condivide le ricchezze con i suoi operai
Gesù racconta la parabola di un uomo ricco, “un imprenditore bravo”, la cui “campagna aveva dato un raccolto abbondante” ed “era pieno di ricchezze”…

“… e invece di pensare: ‘Ma condividerò questo con i miei operai, con i miei dipendenti, perché anche loro abbiano un po’ di più per le loro famiglie’, ragionava tra sé: ‘Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Ah, farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi’. Sempre di più. La sete dell’attaccamento alle ricchezze non finisce mai. Se tu hai il cuore attaccato alla ricchezza - quando ne hai tante - ne vuoi di più. E questo è il dio della persona che è attaccata alle ricchezze”.

Fare l'elemosina, dando anche il necessario, con amore
La strada della salvezza – afferma il Papa – è quelle delle Beatitudini: “la prima è la povertà di spirito”, cioè non essere attaccati alle ricchezze che – se si possiedono - sono “per il servizio degli altri, per condividere, per fare andare avanti tanta gente”. E il segno che non siamo “in questo peccato di idolatria” è fare l’elemosina, è dare “a quelli che hanno bisogno” e dare non il superfluo ma quello che mi costa “qualche privazione” perché forse “è necessario per me”. “Quello è un buon segno. Quello significa che è più grande l’amore verso Dio che l’attaccamento alle ricchezze”. Dunque ci sono tre domande che possiamo farci:

“Prima domanda: ‘Do?’. Seconda: ‘Quanto do?’. Terza domanda: ‘Come do? Come dà Gesù, con la carezza dell’amore o come chi paga una tassa? Come do?’. ‘Ma padre, cosa vuol dire con questo lei?’. Quando tu aiuti una persona, la guardi negli occhi? Le tocchi la mano? E’ la carne di Cristo, è tuo fratello, tua sorella. E tu in quel momento sei come il Padre che non lascia mancare il cibo agli uccellini del Cielo. Con quanto amore il Padre dà. Chiediamo al Signore la grazia di essere liberi da questa idolatria, l’attaccamento alle ricchezze; la grazia di guardare Lui, tanto ricco nel suo amore e tanto ricco nella sua generosità, nella sua misericordia; e la grazia di aiutare gli altri con l’esercizio dell’elemosina, ma come lo fa Lui. ‘Ma, padre, Lui non si è privato di niente…’. Gesù Cristo, essendo uguale a Dio, si privò di questo, si abbassò, si annientò, e anche Lui si è privato”.

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Solmi: no a Sinodo cosmetico. Coleridge: ascoltare famiglie ferite

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Nuova sessione dei Circoli minori, oggi, al Sinodo dei vescovi sulla famiglia, in corso in Vaticano. I tredici gruppi linguistici sono al lavoro sulla terza parte dell’Instrumentum laboris, dedicata al tema “La missione della famiglia oggi”. Le Relazioni dei Circoli verranno presentate in Aula domani pomeriggio. Intanto, stamani, consueto briefing in Sala Stampa vaticana: sono intervenuti il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, mons. Mark Benedict Coleridge, arcivescovo di Brisbane, e mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma. Il servizio di Isabella Piro: 

Patriarca Twal: il Sinodo vuole il bene della famiglia
Un segno bellissimo di collegialità: così il Patriarca Twal definisce il Sinodo. Veniamo tutti da contesti differenti, spiega, le sfide non sono le stesse, è normale che non siamo d'accordo su tutto, ma c’è un punto comune:

“Tutti vogliamo il bene delle famiglie: in queste due settimane di lavori sinodali, non c’è stato un aspetto della famiglia, in tutto il mondo, che non sia stato toccato, trattato, cercando il meglio per le nostre famiglie, intendendo la famiglia umana, la famiglia religiosa e la famiglia come Chiesa totale”.

Eucaristia per divorziati risposati: non generalizzare, ma studiare caso per caso
Riguardo, poi, alla questione dei divorziati risposati e del loro accesso al Sacramento dell’Eucaristia - anche in relazione all’episodio di un bambino che ha spezzato l’Ostia per donarne parte ai propri genitori - il patriarca Twal afferma: le domande su tale questione sono tante e non si è indifferenti a questa situazione. Ad ogni modo, è un campo delicato e non si può generalizzare: meglio studiare caso per caso, guardando alla misericordia senza dimenticare la dottrina. Dal patriarca, poi, anche un richiamo alla politica perché sostenga le famiglie.

Mons. Coleridge: no a visioni “manichee”
Il Sinodo non si conclude domenica prossima, sottolinea dal suo canto mons. Coleridge, ed il suo cammino continua anche dopo. La vastità dei temi trattati, aggiunge, è uno dei motivi per cui i lavori si sono dimostrati impegnativi. Quanto ai divorziati risposati, il presule evidenzia che non bisogna ragionare in termini astratti, ma è bene radicarsi nella realtà, perché questo è un Sinodo innanzitutto pastorale. L’importante è non avere visioni troppo ‘manichee’ – tutto o niente – perché la realtà dell’esperienza umana è molto più sfumata e vasta.

Occorre dialogo genuino con le coppie irregolari
Di qui, l’esigenza di un dialogo genuino con le coppie irregolari, affinché la loro storia venga ascoltata. Senza pretendere, poi, di fare previsioni in ambito dottrinale, si può dire che non ci sono le basi per un cambiamento dell'insegnamento della Chiesa. Infatti, spiega mons. Coleridge, non c’è stato un singolo intervento nel quale sia stato esplicitamente detto che i risposati debbano essere riammessi alla Comunione, anche se in alcuni Circoli minori è stato richiesto un gesto di misericordia da parte del Papa, durante il Giubileo. L’arcivescovo di Brisbane, infine ipotizza la possibilità di un Sinodo nazionale per l’Australia.

Mons. Solmi: Sinodo permette visione meno chiusa su matrimonio e famiglia
Sulla cattolicità dell’Assemblea episcopale si sofferma, invece, mons. Solmi, che nell’Aula Sinodale – dice – ha avuto modo di respirare la Chiesa universale:

“Ho avvertito realmente il senso della cattolicità della Chiesa: venire a Roma ed incontrare il mondo, avere una visione meno occidentale, meno chiusa, del matrimonio e della famiglia, perché nell’Aula del Sinodo arrivano tutte le famiglie del mondo, con le loro particolarità, le loro tematiche, i loro problemi, ed a volte anche con l’insieme di valori e di attenzioni spesso dimenticate nel nostro mondo occidentale”.

No a Sinodo “cosmetico”. La famiglia sia al centro della Chiesa e della società
Quanto ai percorsi penitenziali, proposti per i divorziati risposati, mons. Solmi ribadisce l’importanza che la Chiesa accompagni le persone in difficoltà soprattutto con il discernimento, consapevoli che il perdono di Dio va anche oltre la mediazione della Chiesa stessa.  Infine, mons. Solmi esprime i suoi auspici per l’esito del Sinodo:

“Io penso e spero ad un Sinodo non ‘cosmetico’, ma un Sinodo che sappia incidere sulla vita della Chiesa, rimettendo la famiglia al posto che le spetta nella Chiesa. E questo spero che possa diventare un segnale forte per la nostra società e per i nostri Paesi che – parlo del contesto italiano – spesso dimenticano sistematicamente la famiglia”.

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Card. Souraphiel: dottrina uguale per tutti, ma approcci pastorali diversi

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Per un bilancio sui lavori del Sinodo all’inizio della terza ed ultima settimana di lavori il nostro inviato Paolo Ondarza ha intervistato il cardinale etiopico Berhaneyesus Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba: 

R. – Finora, ringraziamo il Signore, sta andando tutto bene. Chi guida la Chiesa è lo Spirito Santo. Tutti i giorni preghiamo al Sinodo e anche tanta gente prega per noi, specialmente le famiglie, da tutte le parti del mondo, non solo cattoliche, anche quelle che non sono cristiane. La famiglia, infatti, è veramente il nucleo della società.

D. – Sta sottolineando un aspetto significativo, chi è fuori da quest’aula, le famiglie che affrontando le crisi cui è sottoposta la famiglia oggi, guardano a questo Sinodo e pregano per il Sinodo. Questo è importante per voi?

R. – Sì, è molto, molto importante. Ci sono crisi ideologiche, che riguardano l’uomo e la donna, l'ideologia gender ad esempio… Ma noi diciamo, come cattolici, che ciò che il Signore ci ha insegnato non cambierà: non siamo qui per cambiare la Dottrina della Chiesa. Il matrimonio è fra una donna e un uomo, e dobbiamo rispettare la vita ovunque: dal concepimento alla morte naturale. Tutto questo è la dottrina della Chiesa. Ma ci sono anche nuovi problemi che necessitano di una guida pastorale. Come si può parlare con i divorziati che si sono sposati per la seconda, la terza volta? Noi stiamo cercando di avere un approccio pastorale più umano ed anche cristiano. La Chiesa cattolica è universale. Io vengo dall’Africa e in Africa le famiglie hanno problemi, non gli stessi problemi dell’Europa o dell’America: lì c’è la povertà, l’immigrazione, il traffico degli esseri umani, la guerra, il commercio di  armi, lo sfruttamento delle risorse naturali africane. L’Africa è ricca, ma è povera, perché manca lo sviluppo umano e tecnologico. Allora, per la Chiesa universale avere una soluzione universale può essere difficile. Le dottrine rimangono le stesse per tutti, ma gli approcci pastorali possono essere diversi.

D. – Questo nell’ottica di quanto detto da Papa Francesco, celebrando il 50.mo del Sinodo, quando ha parlato dell’importanza di camminare insieme cum Petro e sub Petro, auspicando anche un percorso di decentralizzazione della Chiesa…

R. – Sì, è così, perché anche il Concilio Vaticano II lo aveva già previsto: le Chiese, in tutte le parti del mondo, sono cum Petro e sub Petro. Allora c’è l’universalità, ma dopo bisogna lavorare sul posto, guardando alle varie sfide che si affrontano.

D. – Questo può significare anche che in un singolo contesto geografico ci possa essere un’ammissibilità, ad esempio, ai Sacramenti per quelle situazioni cosiddette ferite? I divorziati, risposati in alcuni contesti potranno eventualmente accedere all’Eucaristia e in altri posti no?

R. – No, questo no. A livello dottrinale tutto sarà universale e uguale. Ma per l’approccio pastorale, per esempio, il Santo Padre ha chiesto che i processi di nullità siano studiati localmente con esperti locali. Non deve passare tutto per Roma e non occorre aspettare le risposte da Roma. In questo modo l’iter burocratico può accorciarsi.

D. – Quindi criteri dottrinali universali, potremmo dire, ma applicazione pastorale nei singoli contesti?

R. – Secondo le norme che il Santo Padre ci ha dato.

D. – Il suo auspicio per questa ultima settimana di lavoro…

R. – Questa settimana, la terza, è importante. Speriamo che i lavori dei gruppi siano fatti in modo che l’universalità della Chiesa cattolica venga preservata e che si dia una guida pastorale alle tante famiglie che la aspettano. Ci sono famiglie in difficoltà, ma ci sono anche famiglie fedeli che continuano la loro vita familiare, passando i valori dei nonni ai bambini. Anche queste vogliamo incoraggiare.

D. – E’ bene parlare anche di loro…

R. – Sì, non devono essere dimenticate.

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Card. Piacenza: misericordia, pastori sfidati a dare risposte costruttive

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Volto di Dio, buono e giusto; la carezza sulle ferite dell’uomo. Cos’è la misericordia? Tema centrale nel dibattito sinodale e cuore dell’ormai imminente Anno Santo, essa da sempre è un pilastro del magistero della Chiesa sulla riconciliazione, mai contrapposto a verità e giustizia. Lo conferma al microfono di Paolo Ondarza il penitenziere maggiore, cardinale Mauro Piacenza

R. – Vedo che sul tema della misericordia c’è un grande interesse: è sentito in modo pastorale, viscerale; essa è diventata protagonista. Perché ci sono nel mondo contemporaneo – non si possono chiudere gli occhi – tante situazioni delicate, faticose e drammatiche per molti. E allora si cerca di dare una parola che possa soccorrere, possa fasciare le ferite: questa penso che sia la ragione di questo particolare interesse sulla misericordia. Poi naturalmente anche i mezzi di comunicazione sono particolarmente stimolati in questi tempi, perché la chiave di lettura che molti di essi hanno nei confronti del tema della misericordia è una chiave di sfida alla Chiesa. E quindi anche questo “sfida” i pastori a dare delle risposte adeguate e costruttive.

D. – Misericordia come grande protagonista di questo periodo, visto che ci accingiamo a vivere un Giubileo ad essa dedicato… Ci si chiede in che rapporto porre il tema della misericordia rispetto alla verità e alla libertà della persona…

R. – Questi termini qualche volta nella facile retorica vengono confusi. Dunque, è chiaro che la realtà che sta sotto alla parola “misericordia” è una realtà immensa, perché entra nella realtà stessa di Dio, che “Caritas est”: è carità. Ma non dobbiamo mai opporre una qualità all’altra; quindi è chiaro che quando io dico: “Dio infinitamente misericordioso”, contemporaneamente dico: “Dio infinitamente giusto”, dico “Dio che è la Verità”. Diciamo che ci deve essere la sinfonia: non esiste una qualità di Dio che sia in opposizione con un’altra. Il Magistero è chiaro che deve affrontare il problema della verità – e quindi deve dare rilevanza alla verità – ma la deve dare in modo misericordioso, si deve far capire che si sta evangelizzando perché si ama, perché si vuol bene, perché si vuole il bene della persona. Per esempio un grande educatore come San Giovanni Bosco diceva ai primi suoi collaboratori, educatori salesiani: “Non basta che voi vogliate bene ai ragazzi che educate, ma i ragazzi che educate devono vedere che voi volete loro bene”. E questo è molto importante, perché altrimenti si danneggia la stessa verità educativa.

D. – La Chiesa dalle porte aperte, attenta alle situazioni ferite, come può proporre quella che da sempre è una pedagogia della misericordia, che quindi prevede un riconoscimento del peccato, un proponimento di non peccare più e quindi un ritorno nella verità indicata dalla Chiesa?

R. – Dio è misericordioso in modo infinito: è chiaro che la sua misericordia la spande su tutti senza misura. Cioè Dio mi perseguita – potremmo dire – ma santamente, con la sua misericordia e con la sua grazia. Ma mi lascia libero, perché altrimenti io sarei un burattino; Dio mi vuole a sua immagine e somiglianza: mi vuole libero. Quindi, per esempio, quando mi vado a confessare, io rispondo all’invito di Dio di ricevere la sua misericordia.

D. – Perché di fronte a queste situazioni ferite è importante – e se è importante – riproporre il deposito della fede: quindi la Scrittura, la tradizione apostolica, il Magistero?

R. – Perché – vede – il Santo Padre dice tante volte: “Non siamo una Onlus”. Io non devo partire dai dati sociologici; posso partirci in un certo senso per poter riflettere su quello di cui ha più bisogno l’uomo con un puro rilevamento di dato, statistico, ecc. Però poi io la soluzione la devo dare con la fede. C’è un errore nel quale si scivola molto spesso, e molto spesso accade agli stessi pastori. Come dire che c’è norma morale nella famiglia, nella vita di castità che è “troppo faticosa”: ma è chiaro che è fatica! In questo mondo ci sono cose che non sono faticose? Non esiste il Mistero della Croce? Nostro Signore non ha faticato umanamente per poterci riscattare? Ha faticato fino a sudare sangue! E allora perché noi non dobbiamo riflettere su queste cose? E poi c’è il fatto però della grazia: il Signore mi viene incontro. I Santi sono fatti della nostra stessa pasta: hanno faticato. C’è stata un’ascesi: questa salita, questa fatica, questa ascesi fanno parte del cammino cristiano. Anche questo è bello, perché fa parte dell’imitazione di Cristo.

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I coniugi Rojas (Focolari): è lo Spirito Santo che guida il Sinodo

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Camminare insieme ad altre famiglie è un sostegno, un’occasione di crescita reciproca e un aiuto alla costruzione di una società fraterna. Questa la testimonianza di due uditori laici al Sinodo: Maria Angelica e Luis Haydn Rojas Martinez, una coppia del Movimento dei Focolari, impegnata nella pastorale famigliare in Colombia. Paolo Ondarza li ha intervistati: 

R. – (Luis) Noi accompagniamo tante famiglie, facendo incontri di formazione, e quando c’è una difficoltà, facciamo un lavoro di mediazione familiare, avendo studiato e essendoci specializzati in questo.

R. – (Maria Angelica) Andiamo avanti insieme, ci aiutiamo a vicenda, per capire che veramente l’amore si può rinnovare ogni giorno.

D. – Formazione, quindi, durante il matrimonio, e anche prematrimoniale?

R. – (Maria Angelica) Anche prematrimoniale, perché ci rendiamo conto che quando cresciamo come comunità, si può andare avanti veramente in tutte le tappe della vita.

R. – (Luis) Nel nostro Movimento dei Focolari, i giovani si cominciano a formare da piccoli, perché capiscano e imparino come deve essere la famiglia.

D. – Ma concetti come quelli dell’amore “per sempre” che la Chiesa propone, quindi l’indissolubilità del matrimonio, davvero sono così difficili da trasmettere alle coppie, alle famiglie…

R. – (Maria Angelica) E’ un concetto che si deve far vita, perché l’indissolubilità non è un peso: è veramente un amore che si trasforma giorno dopo giorno, che è creativo, che si assume la responsabilità delle difficoltà, della malattia, del rimanere senza lavoro, di fronte a qualche crisi reciproca. E così l’amore si rinnova. L’amore non è soltanto un sentimento, l’amore è anche una decisione: “Io voglio amare”. Sicuramente non è sempre facile: devo dare la mia vita. Allora amare nel quotidiano vuol dire forse chiedere perdono, guardare insieme la partita di calcio, accompagnare il figlio che è ammalato…

D. – Perché si fatica tanto oggi a pensare in una prospettiva del “per sempre”?

R. – (Luis) La cultura di oggi fa pensare che le nuove generazioni non si vogliano assumere responsabilità a lungo termine; anche di fronte alle difficoltà, non si parla più di sacrificio per l’altro perché è troppo difficile e si crede che il matrimonio non sia possibile. E’ una mentalità, infatti, una cultura, la nostra, che ci parla tanto del benessere, del non assumersi responsabilità. Per questo noi vogliamo dire con la nostra testimonianza: la proposta del Vangelo di Gesù, ancora oggi dopo duemila anni, continua ad essere viva e possibile!

D. – Secondo la vostra esperienza, è possibile un’inclusione nella vita della Chiesa di persone divorziate risposate, a prescindere dall’accesso ai Sacramenti?

R. – (Maria Angelica) Certo, loro si devono sentire inseriti nella Chiesa, perché anche questa comunione con Gesù, non solo la ricevono sacramentalmente, ma possono riceverla anche attraverso l’altro. Gesù ha detto: “Quello che avete fatto all’altro, lo avete fatto a me”.  Vuol dire che nell’altro c’è Gesù e che la Chiesa accoglie tutti. Allora accoglie anche le famiglie in difficoltà certamente, perché tutti siamo figli della Chiesa. E queste famiglie si sentono inserite proprio nella Chiesa e possono vivere il Vangelo, possono vivere la Parola, possono amare, possono essere generosi dedicandosi ai servizi di carità. Se noi ci amiamo, proclamiamo Gesù allora siamo inseriti nella Chiesa. Anche i divorziati risposati possono avere questa comunione con Gesù nell’altro.

D. – E’ difficile spiegare loro questo, quando chiedono, se chiedono, di voler fare la Comunione?

R. – (Maria Angelica) No. Se loro sentono l’amore e non sentono questa differenza con una famiglia cosiddetta “regolare” che non li giudica: loro sono inseriti, perché anche loro possono vivere l’amore.

D. – Indipendentemente dall’accesso al Sacramento?

R. – (Maria Angelica) Certo, ognuno si santifica con la propria croce. Certo, è un dolore non accedere al Sacramento, a Gesù Eucaristia. Ma quello non vuol dire che siano fuori dalla Chiesa, sono inseriti anche in questo amore.

R. – (Luis) Anche perché non è l’unica presenza di Gesù: Gesù è presente nella Parola, non soltanto nell’Eucaristia.

D. – Che cosa vuol dire per voi partecipare a questa esperienza di Chiesa universale?

R. – (Maria Angelica) E’ una meraviglia, veramente, ringraziamo Dio. Sentiamo che la Chiesa va avanti. Questo ascolto profondo di ogni Padre sinodale, di ognuna delle famiglie, delle testimonianze, dimostra che lo Spirito Santo guida. E questo cammino che il Papa ci affida, della misericordia nella verità, è veramente una meraviglia!

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Papa: cardinale Martini, maestro del dialogo senza confini

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Un uomo e un vescovo che con il suo “stile sinodale”, aperto al dialogo e fondato sull’amore per la ­Sacra Scrittura, può “ispirare una vita più ricca di senso e una convivenza più fraterna” anche alla civiltà odierna. Scrive così Papa Francesco del cardinale Carlo Maria Martini nella prefazione del Libro “La Cattedra dei non credenti”. Il volume, curato dalla Bompiani, inaugura l’Opera omnia dell’allora arcivescovo di Milano. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Ogni credente porta in sé la minaccia della non credenza e ogni non credente porta in sé il germe della fede: il punto d’incontro è la disponibilità a riflettere sulle domande che tutti ci accomunano”. Questa convinzione che guidò il pensiero e l’azione pastorale del cardinale Carlo Maria Martini fu anche l’architrave religioso e culturale che lo spinse a creare, nel 1987, la “Cattedra dei non credenti”, uno spazio che mettesse a confronto, attorno a un tema specifico, le ragioni di crede e di chi no.

Stile sinodale
Papa Francesco sottolinea, nella sua prefazione al volume del cardinale Martini, l’intuizione che aveva portato alla nascita di quella iniziativa. Il porporato, scrive, “aveva intuito la fecondità del contributo che le comunità cristiane possono dare alla società civile oggi se compiono questo sforzo di mediazione sul piano etico e antropologico”, ovvero che “i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di conflitto e di contrapposizione all’interno della convivenza civile, possono e devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili e motivare in profondità l’impegno per la giustizia e per la solidarietà”.

L’intuizione alla base della “Cattedra” è figlia, spiega il Papa, di un uomo che aveva fatto proprie le linee scaturite dal Vaticano II. Anzitutto, annota “lo stile di sinodalità”, fondato su “un atteggiamento di ascolto e di discernimento di quanto lo Spirito muove nella coscienza del popolo di Dio, nella varietà delle sue componenti” e, insieme, sulla “cura perché le differenze non degenerino in conflitto distruttivo”. Martini, ricorda Francesco, “non voleva fare concessioni a mode o a indagini sociologiche, ma era portato da un’unica domanda di fondo: ‘In che modo Gesù Cristo, vivente nella Chiesa, è oggi sorgente di speranza?’”.

Dialogo oltre i confini
E un secondo “stile” che la cifra del ministero martiniano fu quello del dialogo a livello pastorale e spirituale. In particolare, osserva il Papa, cercò “attivamente di incontrare chi nella comunità dei credenti immediatamente non si riconosceva”, spinto da uno “sguardo” che teneva proteso “oltre i confini consolidati, favorendo una Chiesa missionaria ‘in uscita’ e non chiusa su se stessa, facendo emergere il messaggio universale del Vangelo, portatore di luce e di ispirazione per tutte le persone”.

Maestro della Sacra Scrittura
Questo  continuo “invito a ‘farsi prossimo’ nei confronti di coloro che sono messi da parte”, proprio della missione dell’allora arcivescovo di Milano, “ha risuonato con forza ed efficacia – riconosce Francesco – all’interno della società civile e nel mondo della politica”. E questo fu possibile grazie al terzo aspetto che sostanziò la sua azione: la “familiarità del cardinale con la Parola di Dio”, della quale fu annunciatore e dispensatore magistrale. “Proprio la sua costante attenzione al tesoro della Scrittura fa sì – sostiene il Papa – che le parole del cardinale Martini non possono essere viste come considerazioni dettate dal buon senso o da teorie politiche; nella loro simultanea semplicità e profondità, esse esprimono tutta la ricchezza della tradizione giungendo a interpellare ogni persona e ogni popolo”. Fra l’altro, rimarca Francesco, “in questo suo approccio all’ascolto e alla predicazione della Parola”, l’allora capo della Chiesa ambrosiana valorizzò “in modo originale la spiritualità della Compagnia di Gesù”, mettendo a frutto la “pedagogia ignaziana”.

Magistero umanizzante
Per Papa Francesco, la pubblicazione dell’Opera omnia del cardinale Martini è dunque preziosa e doverosa, “un invito continuo a riflettere insieme sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del nostro pianeta e a cercare cammini condivisi di liberazione e di speranza. Essa – termina – potrà essere di grande aiuto nel nostro mondo così segnato da forze disgregatrici e disumanizzanti per ispirare una vita più ricca di senso e una convivenza più fraterna”.

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Dal Papa mons. Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio a Mosca

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata mons. Paolo Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, in Russia.

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Nunzio in Centrafrica: grande attesa per la visita di Francesco

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Grande attesa per il Papa da parte di tutta la popolazione della Repubblica del Centrafrica: nelle parole del nunzio apostolico, mons. Franco Coppola, che - alla Radio Vaticana - parla della situazione ancora tesa, dopo gli scontri drammatici iniziati nel 2012 e alcuni episodi di violenza avvenuti nelle settimane scorse, dell’impegno della Chiesa e della doverosa attenzione della comunità internazionale. Il Centrafrica, dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960, viene retto da governi militari fino al 1993. Poi, dieci anni di governo civile, interrotti dal colpo di Stato e dal governo di transizione del generale Bozizè, eletto presidente nelle contestate elezioni del 2005. Il Nord resta fuori del controllo e si rafforzano gruppi ribelli che portano agli scontri scoppiati nel 2012. Bozizè è messo da parte e diventa presidente di transizione Catherine Samba-Panza. L’instabilità dei Paesi confinanti, tra cui Sudan, Sud Sudan e Congo, non aiuta. La Repubblica Centrafricana, dove Papa Francesco sarà dal 29 al 30 novembre, resta uno dei Paesi più poveri della Terra. Sull'attesa del popolo centrafricano per la visita del Papa, ascoltiamo il nunzio nel Paese, mons. Franco Coppola, intervistato da Fausta Speranza: 

R. – La situazione è ancora piuttosto tesa, nel senso che gli incidenti che ci sono stati alla fine di settembre e ai primi di ottobre hanno segnato profondamente il clima, soprattutto nella capitale. Certamente gli scontri armati sono cessati e la presidente sta cercando di trovare una via d’uscita, per il momento, incontrando tutte le parti e ascoltando quello che ciascuno ha da dire. Ma sarà un processo che, necessariamente, prenderà del tempo, e al momento ancora non si vede la soluzione. Però, intanto si è smesso di sparare, e questa già è una cosa molto positiva.

D. – Dunque c’è attesa per l’arrivo del Papa?

R. – Certo! C’era stato un primo momento di delusione perché alcuni media avevano interpretato il fatto che la visita della commissione vaticana incaricata della preparazione della visita fosse stata rinviata perché l’aeroporto era chiuso come una sospensione della visita, mentre era soltanto un rinvio tecnico dovuto al fatto che l’aeroporto era chiuso. Il fatto che ieri sia stato dato l’annuncio del programma, anche abbastanza dettagliato, ha ridato fiducia e speranza. Certamente tutta la popolazione – ma si può dire veramente ogni parte della popolazione –  è molto interessata. È molto interessata la popolazione in se stessa, è molto interessata la Chiesa, attendono la venuta del Papa la comunità internazionale: i tanti sforzi messi in campo non sempre hanno dato l’effetto sperato e quindi si spera che la venuta del Papa dia uno slancio ulteriore al processo di pace … Attendono questa venuta anche le altre comunità, le altre confessioni religiose: i protestanti, i musulmani … ciascuno per la sua parte sta cercando di prepararsi all’incontro con il Santo Padre.

D. – Ci dice qualcosa di più dell’impegno della Chiesa in Centrafrica?

R. – L’impegno della Chiesa in Centrafrica credo che in modo particolare sia vicino a quell’immagine che il Papa ha usato tante volte, cioè quella della Chiesa come ospedale da campo, accanto a un campo di battaglia. Purtroppo, proprio realisticamente, cioè realmente il Centrafrica è da alcuni anni a questa parte un campo di battaglia. Per cui, la Chiesa prima di tutto offre rifugio, e la cosa bella è che si rifugiano nelle mura delle chiese, delle parrocchie, dei conventi uomini di tutte le condizioni, di tutte le confessioni religiose: gli ultimi sono stati alcuni detenuti musulmani che hanno cercato rifugio nell’arcivescovado, temendo per la loro sopravvivenza. Quindi, prima di tutto accogliere le persone e offrire un minimo di rifugio. E poi, ovviamente, cercare di assisterle, perché nell’ultima crisi ben 40 mila persone hanno dovuto abbandonare le loro case e si sono trovate senza nulla di quello che è necessario per la vita di tutti i giorni. E in questo, bisogna dire che l’arcivescovo è stato esemplare nel visitare tutti questi campi di sfollati, nel portare a tutti una parola di conforto e nel distribuire, anche, l’aiuto molto concreto che il Santo Padre ha fatto pervenire alla Chiesa del Centrafrica: un aiuto molto concreto proprio per venire incontro ai primi bisogni, ai bisogni più urgenti.

D. – Credo che ci sia anche un appello della Chiesa alla comunità internazionale, a non dimenticare il Centrafrica e l’Africa in generale …

R. – Certamente! Diciamo che il Santo Padre viene qui e i centrafricani attendono la sua parola, ma sperano anche che la sua parola sia ascoltata dal resto del mondo. Il Centrafrica, in quest’ultimo anno e mezzo, grazie a Dio non è stato nelle prime pagine dei giornali a causa di stragi o di conflitti, perché il conflitto si è molto attenuato – se non altro almeno nella parte più cruenta. E questo ha fatto abbassare l’attenzione sulle necessità di questa popolazione da parte della comunità internazionale. Basti contare che per tornare alla normalità si devono tenere delle elezioni; è stato stimato, il budget necessario per la realizzazione delle elezioni, in 10 milioni di dollari. Non si è riusciti, a livello di Nazioni Unite, a trovare questi 10 milioni di dollari, per cui le cose stanno andando molto a rilento, non ci sono i mezzi, e così via. Sfortunatamente, anche mezzi molto ridotti non vengono più forniti – forse perché l’attenzione è rivolta altrove e attratta da tante altre tragedie che purtroppo ci sono, in questi mesi, un po’ ovunque nel mondo. Però, ecco, sicuramente al Centrafrica servirebbe una piccola attenzione, in questo momento, per riprendere a camminare, e a camminare con le sue gambe. Però c’è bisogno di questa piccola attenzione!

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Roma. Vicariato presenta la Guida per il Giubileo

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“Misericordiosi come il Padre” è il tema della Guida agli eventi della diocesi di Roma per il Giubileo della Misericordia, presentata questa mattina alla stampa al Palazzo Lateranense. Il libretto, oltre a illustrare tutte le iniziative promosse in occasione di questo Anno Santo speciale, contiene anche indicazioni pratiche su come muoversi nella città e tutti quei servizi di accoglienza pensati per i pellegrini, a cura dell’Opera Romana Pellegrinaggi. Il servizio di Marina Tomarro

Le aperture delle Porte Sante dalle quattro Basiliche papali e una nuova al Santuario del Divino Amore, caro ai romani, il prossimo 6 gennaio. E poi gli itinerari spirituali, due cammini speciali uno papale e l’altro del pellegrino e tante iniziative nella diocesi, come le catechesi della misericordia per preparare le parrocchie al pellegrinaggio verso la Porta Santa. Sono tante le proposte presentate nella Guida agli eventi della diocesi di Roma “Misericordiosi come il padre”.

“L’itinerario giubilare – ha spiegato il cardinal vicario Agostino Vallini – si suddivide in quattro tappe: la catechesi, la penitenza, la testimonianza e il pellegrinaggio. Vogliamo che questo sia il Giubileo di tutti e per aiutare i pellegrini ad arrivare alla Porta Santa con una preparazione spirituale. Distribuiremo in diversi punti della diocesi delle tracce di catechesi su queste tematiche”.

E per la prima volta, il 18 dicembre ci sarà anche la Porta Santa della carità, che sarà aperta proprio da Papa Francesco all’Ostello Caritas don Luigi Di Liegro. “Per noi – ha sottolineato mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana – è una grande gioia, però i pellegrini che varcheranno quella porta non dovranno solo pregare, ma servire i poveri: questo Giubileo è soprattutto per loro”.

E tra le iniziative della Caritas in occasione di questo Anno speciale, anche un fondo per aiutare quelle famiglie disagiate che non riescono ad arrivare alla fine del mese.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il coraggio della pace: preoccupato per la situazione in Terra Santa il Papa chiede a governanti e cittadini di opporsi alla violenza.

All'ultimo posto: nella Messa per le canonizzazioni il Pontefice ricorda che arrivismo e sequela di Cristo sono incompatibili.

Quanto e come: Messa a Santa Marta.

Dawn Eden su una donna in seminario: dagli Stati Uniti la testimonianza di un percorso educativo.

Un articolo di Gaetano Vallini dal titolo "L'obiettivo della bambinaia": Vivian Maier, grande fotografa ritrovata casualmente.

Il regalo di Medea: Silvia Guidi su Dario D'Ambrosi e il suo Teatro Patologico.

Qualcosa di speciale nella semplicità quotidiana: Caterina Ciriello su storie di religiose dei nostri giorni.

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Oggi in Primo Piano



Kerry: porre fine a violenza "senza senso" in Medio Oriente

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Porre fine alla spirale di violenza “senza senso” che sta insanguinando Israele, la Cisgiordania e Gaza da almeno due settimane. Questa la richiesta a israeliani e palestinesi del segretario di Stato Usa John Kerry, giunto a Madrid. Il capo della diplomazia statunitense ha in programma nei prossimi giorni incontri con il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il premier israeliano Benyamin Netanyahu. L’obiettivo è compiere passi che possano aiutare a ridurre le tensioni, facendo chiarezza - ha aggiunto Kerry - “sullo status dell'area intorno alla moschea di al-Aqsa”. Esclusa da Kerry, inoltre, una presenza internazionale sulla Spianata delle Moschee, così come proposto dalla Francia: al riguardo, stamani il Ministero degli esteri israeliano ha convocato l'ambasciatore francese. Sul terreno, intanto, Netanyahu ha ordinato lo stop ad altre barriere rimuovibili a Gerusalemme, come quella eretta tra il rione palestinese di Jabal Mukkaber e quello ebraico di Armon Hanatziv per impedire il lancio di sassi e bombe incendiarie. È salito inoltre a tre il numero delle vittime dell’ultimo attentato alla stazione degli autobus di Beersheva, con la morte anche di un eritreo che, scambiato per assalitore, era stato prima colpito dalla polizia e poi linciato dalla folla presente. Sulle ultime dichiarazioni di Kerry e sull’aggravarsi della situazione nella regione, Giada Aquilino ha intervistato Ugo Tramballi, editorialista ed analista di questioni mediorientali: 

R. – Eventualmente, gli americani possono tentare di esprimere una tattica, ma non certo una strategia a lungo termine, non solo perché tra un anno ci saranno nuove elezioni – è già cominciata la campagna elettorale – ma anche perché tutta l’iniziativa di pace fatta da John Kerry è stata appunto una iniziativa soltanto sua, cioè del segretario di Stato. La conseguenza è quello che stiamo vedendo appunto in Cisgiordania e a Gerusalemme.

D. – I contatti di Kerry con israeliani e palestinesi, per un vertice che si era detto a tre, a che punto sono? Netanyahu ha anticipato una possibile cancellazione dell’incontro…

R. – Comunque, non sarebbe stato un incontro a tre, anche se era logico pensare che questo fosse non certo la soluzione, ma quanto meno un tentativo per fermare l’escalation di ciò che sta accadendo. Sarebbe comunque stato un incontro separato. E adesso – si sa, ma non è certo – che Kerry giovedì o venerdì incontrerà Netanyahu in Germania. Dopodiché, volerà in Giordania, ad Amman, dove incontrerà Abu Mazen e il re Abdallah, che comunque è storicamente una parte in causa della questione. Però, sembra che Netanyahu non voglia neanche incontrare Kerry in Germania, quando invece sarebbe proprio solo il dialogo il primo tentativo serio per cercare di fermare la violenza. Ed è possibile fermarla, perché non è una Intifada – e per “Intifada” intendo una vera rivolta nazionale, popolare, come ad un certo punto furono sia la prima sia la seconda – ma è ancora qualcosa di incomprensibile: è una rivolta giovanile che non è seguita non solo dall’Autorità nazionale palestinese, ma persino da Hamas. Quindi, c’è ancora il tempo per una soluzione ma attraverso quel dialogo politico che Netanyahu e il suo governo di destra, destra-centro, non intende aprire.

D. – Le ultime notizie, però, parlano di una cellula del movimento islamico palestinese di Hamas ad Hebron che avrebbe detto ai suoi miliziani di sferrare attentati kamikaze nella zona di Hebron e di Nablus, in Cisgiordania…

R. – Questo è sempre possibile, anche perché, diversamente ad esempio da Hezbollah in Libano, il movimento sciita libanese – che è un’organizzazione monolitica, ben strutturata, a struttura piramidale con un vertice, Hamas – ha innanzitutto un’ala politica da una parte e un’ala militare, molto più interventista, dall’altra. E inoltre stanno crescendo dentro casa elementi di fondamentalismo religioso - un islam militarista - che si richiama sempre di più, oltre ad Al Qaeda, anche all’Is.

D. – Le polemiche riguardo alle barriere rimovibili a Gerusalemme, come quella appena eretta tra un quartiere arabo e uno ebraico: Netanyahu ha ordinato lo stop ad altri muri simili. Che decisione è questa?

R. – Con questi muri temporanei, la gente cerca in qualche modo di difendersi nell’attesa che il governo prenda la decisione di riavviare il dialogo con i palestinesi: ma non solo un dialogo per fermare questa rivolta, bensì un dialogo di pace, definitivo, che quanto meno offra una prospettiva ai giovani. Il fatto che Netanyahu sia scettico sul voler moltiplicare queste barriere è una questione politica: nel momento in cui si eleva un muro, si riconosce che dall’altra parte non c’è la “tua” gente e sarebbe come implicitamente riconoscere ciò che tutti noi sappiamo – che chiunque sia mai stato a Gerusalemme sa – e cioè che questa è una città divisa da sempre e che esiste una Gerusalemme est araba e una ovest ebraica.

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Card. Tagle tra i profughi in Grecia: dare voce a chi soffre

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Il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis, è oggi al confine tra Grecia e Macedonia per visitare i campi di accoglienza dei profughi diretti verso il Nord Europa. La Caritas ellenica fornisce cibo, indumenti, cure alle migliaia di persone che fuggono dalla guerra e dalla miseria in cerca di un futuro migliore per le proprie famiglie. Per una testimonianza sulle condizioni dei rifugiati, Linda Bordoni ha intervistato il cardinale Luis Antonio Tagle, raggiunto telefonicamente a Idomeni, piccolo villaggio greco al confine con la Macedonia: 

R. – They look weary, they look tired, they look confused, they’re uncertain …
Hanno l’aspetto stanco, esausto, confuso, sono nell’incertezza, si mettono in fila per ricevere cibo … l’unico loro possedimento è quella piccola sacca sulle spalle con un cambio, e se stessi, le loro famiglie, i loro piccoli …

D. – Queste persone sapevano di mettere a rischio la vita loro e quella dei loro figli, affrontando questo viaggio?

R. – I think they are all aware. The few people that we were able to talk to …
Credo che ne fossero tutti consapevoli. Le poche persone con le quali abbiamo potuto parlare, con l’aiuto di un interprete, ne erano ben consapevoli. Ma tutti sembravano essere d’accordo su una cosa – e questo è assurdo, no? – che rimanere nel loro Paese d’origine fosse molto peggio, molto più pericoloso per le loro famiglie.

D. – E poi, arrivano ai confini e trovano steccati, polizia che non li fa entrare …

R. – I think the appeal of the Holy Father to the United Nations, not only for a determined international …
Credo che l’appello del Santo Padre alle Nazioni Unite, per una volontà di politica internazionale determinata ad affrontare la questione dei cambiamenti climatici, si applichi anche a questa situazione: il senso della comune umanità è molto necessaria in politica, nelle politiche locali regionali.

D. – Il Sinodo dei vescovi sta affrontando anche il tema delle famiglie profughe?

R. – Yes, yes, it is. And it is tour opinion – because some people are trying to make it appear to …
Sì, certamente. Alcuni stanno cercando di far credere all'opinione pubblica che il Sinodo sia incentrato unicamente su una o due questioni, come quella relativa ai divorziati … Io spero che la condivisione tra i vescovi di tutti gli altri argomenti importanti che devono essere affrontati – i vescovi del Medio Oriente, quelli provenienti da molte aree dell’Africa e dell’Asia, e anche i vescovi di Paesi europei che sono testimoni delle conseguenze che porta con sé l’immigrazione dei profughi – faccia sì che a tutti questi sia data voce …

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Cina, il calo del Pil non mette in affanno le Borse

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La Cina in primo piano sulla scena internazionale: in calo la crescita del Prodotto interno lordo, ferma al 6,9% nel terzo trimestre del 2015, la più bassa dal 2009, quale conseguenza, allora, della crisi finanziaria globale. A rischio – secondo gli analisti più severi –l’obiettivo prefissato di una crescita quest’anno del 7%. Il dato diffuso dall’Ufficio centrale di statistica cinese si offre però a valutazioni diverse, tanto che le Borse europee hanno aperto al rialzo e quella di Tokyo ha contenuto la perdita a -0,8%. Roberta Gisotti ha intervistato Romeo Orlandi, docente di Economia dell’Asia orientale all’Università di Bologna: 

D. – Prof. Orlandi, si allontana o no lo scoppio della bolla economica cinese, paventato nei mesi scorsi?

R. – Questi dati sembrerebbero dire che si allontana, perché sono dati complessivamente positivi. Esiste poi un aspetto comunicazionale che gioca sul fatto che dal 7% dell’obiettivo prefissato si passi al 6,9%: quindi, si retrocede. Ma in realtà, quanto il Pil aveva mostrato nei primi trimestri dell’anno, lascia presagire che l’obiettivo del 7% di crescita sarà ufficialmente raggiunto. In più, sembrano aumentare i consumi, le Borse – come è stato detto – reagiscono in maniera composta. Sembrerebbero buone notizie per la Cina. Rimane da stabilire se siano buone notizie per il resto del mondo e rimane anche da capire se questi dati siano veri, perché molti economisti, molti studiosi li mettono anche in dubbio.

D. – Ma ufficialmente, a cosa si deve questa correzione in positivo dell’economia cinese?

R. – Si deve alla composizione della crescita del Pil che, per una volta, sembra privilegiare i consumi rispetto agli investimenti e dunque anche alla produzione industriale. La Cina sta cercando di trasformarsi in un mercato di consumo interno più sviluppato di quanto abbia fatto finora e sembra che questo stia riuscendo. In realtà, il fatto che la Cina cresca soltanto – e ci vogliono le virgolette all’avverbio “soltanto” – del 6,9%, può essere un fattore di stabilità e anche di crescita più lungimirante, per la Cina. Insomma, la Cina ha deciso da tempo che vuole smentire un modello di sviluppo con la “ossessione della crescita”. Questa espressione è utilizzata anche dal segretario generale del Partito comunista, Xi Jinping, l’“ossessione della crescita”, che aveva alimentato gli anni precedenti. Quindi, si cerca una crescita più qualificata, basata sui consumi e non su questo interminabile record di produzione di vetro, cemento, acciaio, calzature, abbigliamento che ha caratterizzato la Cina come “fabbrica del mondo”. Se la Cina smentisce questa connotazione e aggiunge qualità e consumo al proprio Pil, sicuramente ha fatto un passo avanti. Un Paese non può crescere sempre del 10-11%, come ha fatto negli ultimi 35 anni; rimane da capire se rimarrà, questa percentuale e se i dati non siano – come si teme – artificialmente gonfiati.

D. – Quali riforme economiche sono più urgenti per il governo di Pechino per stabilizzare positivamente la sua economia in uno scenario di capitalismo?

R. – Dovrebbe essere – sempre come dice Xi Jinping – un Paese in cui il ruolo del mercato sia decisivo e non semplicemente rappresentativo. Bisognerebbe procedere ad alcune riforme, non necessariamente di stampo politico e che comunque non sono all’ordine del giorno. Bisognerebbe, ad esempio, rendere più aperto e trasparente il mercato dei capitali, la canalizzazione del risparmio attraverso le banche, il ruolo delle società dello Stato, che sembrano intoccabili. Il contributo delle società pubbliche alla formazione del Pil sta decrescendo a vantaggio, ovviamente, dell’imprenditoria privata che si dimostra più abile. Però, il loro peso politico è sempre gigantesco, per cui sembrano essere intoccabili. Il segretario generale, Xi Jinping, sta cercando di fare delle riforme ma questo, ovviamente, lo porta in rotta di collisione con gli ambienti più conservatori che si annidano naturalmente anche dentro il Partito comunista, anzi soprattutto dentro il Partito comunista. E si tratta di riforme soprattutto economiche, ma che non hanno facilità di essere implementate senza attriti.

D. – Ecco, riforme economiche, ma forse anche riforme sociali attendono?

R. – Sì, queste attendono, perché sono probabilmente non nell’agenda della Cina, sono più speranze che l’Occidente coltiva: che la crescita economica possa trainare la democrazia politica in Cina. Questa è stata un’illusione a lungo coltivata negli ambienti occidentali, che finora si è dimostrata per quello che è, cioè un’illusione.

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Belletti: nuove regole per le unioni civili, no all'adozione

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Prosegue in Italia il dibattito sul disegno di legge sulle unioni civili: "La famiglia e' un'altra cosa": ha commentato in merito il cardinal vicario Agostino Vallini, ribadendo la sua contrarietà. Tra i punti piu' delicati, l'adozione dei figli. "Il governo fara' le sue scelte, ma bastava il codice civile", ha sottolineato il porporato. Ieri mons. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, in un’intervista ha auspicato che il parlamento faccia attenzione alla famiglia fatta di padre, madre e figli, pilastro della società. D’altra parte, il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha riconosciuto la libertà di coscienza all’interno del Pd su alcuni punti centrali della proposta, prima fra tutti l’adozione alle coppie gay, la cosiddetta "stepchild adoption". Molti criticano il fatto che l’Italia non abbia ancora regolarizzato le unioni civili, a differenza di altri Paesi europei, si tratterebbe dunque di un ritardo da colmare. Adriana Masotti ne ha parlato con Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni Familiari: 

R. – Io credo che intanto ci sia una particolare originalità dell’Italia che andrà custodita. Il nostro popolo ha modelli economici, modelli culturali che sono particolari, legati proprio alla sua storia. Per esempio, abbiamo un sistema di microimprese che è molto importante. Sembrava che l’Europa ci volesse far diventare tutti delle grandi aziende come in Francia. Quindi, anche su questo tema che è molto vicino alla vita quotidiana delle persone, bisogna rispettare maggiormente il nostro sentire. E da questo punto di vista, il fatto che manchi una legge che riconosca il matrimonio tra persone dello stesso sesso lo considero un fatto positivo. Non tutto il cosiddetto progresso va davvero a tutela dei valori giusti. Secondo me, ci vuole una regolazione delle relazioni affettive tra persone dello stesso sesso, ma non certo un matrimonio.

D. – Nodo cruciale della legge in discussione è l’adozione alle coppie gay. Intanto perché l’uso di termini inglesi “stepchild adoption” per dire l’adozione del figlio preesistente di un componente della coppia: le sembra giusto utilizzare parole poco comprensibili agli italiani, pensando poi che ci potrebbe essere un referendum?

R. – Questo è un difetto di tanta nostra letteratura, dobbiamo un po’ rassegnarci a questo. Vedo invece il nodo reale su quest’idea di rappresentazione dei diritti del bambino. Qual è il diritto del bambino? Quello dell’avere un papà e una mamma e quindi su questo l’ipotesi di un’adozione diretta da parte di coppie dello stesso sesso la vedo molto problematica. Insomma, il punto sulla “stepchild adoption” è assolutamente non condivisibile.

D. – Però, sarebbe importante che fosse chiaro quello che la legge prevede e quello che invece continua a vietare. Forse questa chiarezza non c’è…

R. – La legge interviene esclusivamente su una fattispecie molto circoscritta, che è un figlio naturale di uno dei due di cui queste persone legate da unione civile diventano genitori. Il tema della continuità educativa nelle relazioni di cura di cui un bambino è fatto oggetto è un tema serio, quindi non si tratta di dire “no” in assoluto. Rimane una domanda grande. La differenza sessuale è un valore irrinunciabile per il benessere di un bambino. Quindi, storie particolari possono essere trattate in un certo modo, ma questo non può portare ad affermare che non serve la differenza sessuale. Un’ipotesi che non mi sembra da buttare via è quella del non dare l’adozione ma dare un affidamento prolungato. E’ una proposta che distinguerebbe in qualche modo la responsabilità di cura rispetto alla possibilità di usare questa adozione come un cavallo di Troia perché di fatto, in quasi tutti i Paesi europei, introdurre questo primo livello ha generato poi l’adozione tout court e quindi anche l’utero in affitto…

D.  – Mons. Galantino ieri in un’intervista ha denunciato tanto impegno della politica per le unioni gay, poco o nessuno per le famiglie tradizionali in Italia, è d’accordo?

R. – E’ stato un grande conforto questa posizione di mons. Galantino. E’ un tema che noi come Forum abbiamo rivendicato dal 2010. Purtroppo, questa centralità del dibattito sui cosiddetti diritti civili ha cancellato la responsabilità del fare davvero politiche di equità per le famiglie. Nel 2012, è stato approvato un piano nazionale delle politiche famigliari dal governo italiano che è rimasto lettera morta. Qui non si tratta di contrapporre le due cose, ma è sorprendente che chi chiede il diritto di sposarsi per le persone omosessuali non abbia fatto assolutamente niente per proteggere la stragrande maggioranza delle famiglie italiane. Quindi, c’è qualcosa che non va.

D. – Mons. Galantino sicuramente sa che con le sue parole rischia di essere accusato di ingerenza. Come fare perché non ci sia un’alzata di scudi e il dialogo possa rimanere aperto e sul piano laico, civile…

R. – Io ho visto l’intervista di mons. Galantino ed è stato molto prudente, in punta di piedi, nel dire quello che pensava davanti a una domanda esplicita. Questo non è un tema in cui la Chiesa difende la propria posizione: questo è un tema dei cittadini italiani, è un tema dell’articolo 29 della nostra Costituzione, ci interessa tutti., e io sono convinto che questa idea del matrimonio, della famiglia fondata sulla differenza sessuale, sia un bene comune per tutti, credenti e non credenti nel nostro Paese. Ci mancherebbe che qualunque persona in Italia non possa dire il suo punto di vista sulla realtà. Quindi, nessuna ingerenza, ma un contributo a un dibattito che interessa tutti i nostri cittadini.

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Alla Festa del Cinema di Roma "Il viaggio di Arlo" della Pixar

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Dopo il capolavoro “Inside Out”, la Pixar presenta un nuovo cartone animato sull’amicizia e l’adolescenza, “Il viaggio di Arlo”. Il pubblico della decima edizione della Festa del cinema di Roma ha potuto visionarne circa 30 minuti, in anteprima mondiale, alla presenza di uno degli autori. Per noi c’era Corinna Spirito: 

“Il viaggio di Arlo” è un’originale storia di formazione, un’avventura verso la scoperta di se stessi e il racconto di un’amicizia stravagante e profonda. Quella tra Arlo, un dinosauro adolescente, e il suo cucciolo Spott, un bambino, che si comporta proprio come un cagnolino. Ne ha parlato alla Festa del cinema di Roma Kelsey Mann, story supervisor del film

R. –  It’s not really a dinosaur movie. We tought Arlo is a boy…
Non è veramente una storia sui dinosauri: è la storia di un ragazzo e del suo cane. Soltanto per caso il ragazzo, Arlo, è un dinosauro. Quello che facciamo è guardare alla nostra vita. Parliamo del modo in cui ci siamo sentiti quando avevamo quell’età, o delle paure che abbiamo per i nostri figli. Abbiamo scoperto questa verità e abbiamo cercato di portarla sullo schermo, in modo che ognuno possa rapportarsi a essa.

Ci sono voluti cinque anni di lavorazione per realizzare “Il viaggio di Arlo”, un cartoon che  catapulta in un mondo inedito in cui dinosauri e uomini convivono e possono essere amici.

R. – We  always try to do something a little different…
Cerchiamo sempre di fare qualcosa di diverso alla Pixar. Tutto è iniziato con la voglia di raccontare l’amicizia tra un bambino e il suo cane e abbiamo pensato che capovolgerla sarebbe stato divertente. Volevamo fare qualcosa che non fosse mai stato fatto prima, ma allo stesso tempo citare una situazione familiare. Per l’ambientazione ci siamo chiesti: e se l’asteroide che ha portato all’estinzione dei dinosauri non avesse mai toccato la Terra? A quel punto abbiamo fatto tantissime proposte. Penso che la versione scelta per il film sia la più divertente. Avevamo pensato a tante situazioni: dinosauri che guidano le macchine, per esempio... Ma non volevamo spingerci a tanto, non volevamo avere tanta tecnologia e preferivamo fare invece qualcosa sul far west, dare l’atmosfera di quell’epoca, in cui c’erano gli allevatori e i contadini. La storia di Arlo e del suo cane racconta il viaggio di un ragazzo in quell’età di transizione tra l’adolescenza e l’età adulta. Molte culture mandano i giovani nella foresta e dicono: “Torna tra una settimana e diventa un uomo”. Il film tratta proprio di questo. Ed è proprio una delle ragioni per cui lo mandiamo in mezzo alla natura.

La natura, d’altronde, è un elemento chiave di “Il viaggio di Arlo”. Già dai 30 minuti mostrati in anteprima a Roma è possibile notare che la Pixar ha raggiunto un livello di accuratezza e verosimiglianza nella realizzazione dei paesaggi mai visto prima. Ma non è certo l’unica sfida affrontata: “Il viaggio di Arlo” punta tutto sulle immagini, sulla mimica e sulla gestualità cercando di fare il minor uso possibile dei dialoghi. Il risultato ottenuto dallo story supervisor Kelsey Mann sono scene di forte impatto capaci di arrivare direttamente al cuore di adulti e bambini.

R. – We knew early on that we wanted to do a film with very little dialogues…
Sapevamo già dall’inizio che avremmo voluto fare un film con pochi dialoghi dal momento che Spott non parla. E questo è stata veramente una sfida perché quando si fa un film per bambini si pensa sempre di doverlo riempire di qualunque cosa: personaggi, battute, eccetera.  Noi invece abbiamo deciso di fare un film che fosse tranquillo e che portasse di più a riflettere. Eravamo veramente emozionati ma poi ci siamo resi conto di quanto fosse difficile perché a quel punto non c’è nulla dietro cui è possibile nascondersi: è come essere nudi su un palcoscenico, ci si mette in una posizione di vulnerabilità, ma è comunque una sfida molto stimolante.

Dal 25 novembre, nei cinema, la Disney Pixar regalerà una nuova coinvolgente storia di amicizia tra due personaggi lontanissimi l’uno dall’altro. Per ricordare che quando c’è di mezzo l’amore, non contano le differenze.

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Nella Chiesa e nel mondo



Mons. Twal: muro di Gerusalemme sfigura volto della Città Santa

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La costruzione di un muro di divisione tra i quartieri arabi e quelli ebraici di Gerusalemme “ci rattrista e sfigura il volto della Città Santa. Se continua questa politica di separazione, ogni persona dovrà muoversi a Gerusalemme portando con sé il suo proprio muro, la sua barriera che lo divide dagli altri”. Così il Patriarca di Gerusalemme dei latini, Fouad Twal, giudica il muro di cemento eretto dalla polizia israeliana tra il quartiere arabo di Jabal Mukkaber e la colonia ebraica di Armon Hanatziv.

Israele ripeteva lo slogan di una Gerusalemme: "Città Santa, unita e indivisibile"
Le autorità d'Israele - riporta l'agenzia Fides - hanno giustificato la costruzione della nuova barriera con l'intento di impedire il lancio di sassi e bombe molotov da parte dei palestinesi. “E' davvero una cosa dell'altro mondo, e rientra nella politica di spezzettare la Città Santa e rendere difficile anche l'accesso ai Luoghi Santi. Una volta le autorità israeliane ripetevano lo slogan per cui Gerusalemme è la Città Santa unita e indivisibile. Adesso si mettono addirittura a costruire nuovi muri... Evidentemente tutto può essere sacrificato e contraddetto, quando fa comodo alle proprie strategie politiche” ha detto il patriarca di Gerusalemme dei latini.

Difendere insieme il profilo di Gerusalemme come città della pace
​Dall'inizio di ottobre, la nuova spirale di violenza esplosa in Terra Santa ha provocato l'uccisione di almeno 43 palestinesi e di almeno 7 israeliani. “In un Paese democratico - sottolinea il patriarca Twal - qualsiasi atto criminale viene punito dalla giustizia, e quando il giudice emette la condanna tutti la accettano. Adesso tutti i civili in Israele hanno luce verde per sparare. Ci sono linciaggi e esecuzioni extragiudiziali. E l'uso sproporzionato della forza è sempre un segno di debolezza. Mentre servirebbero nervi saldi e mente lucida per riconoscere e rimuovere le cause di questa nuova ondata di violenza, e difendere insieme il profilo di Gerusalemme come città della pace, per il bene di tutti”. (G.V.)

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Iraq: dal 24 ottobre a Roma, il Sinodo della Chiesa caldea

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Dal 24 al 29 ottobre, a Roma, si terrà il Sinodo della chiesa caldea. In agenda diverse ed importanti questioni tra le quali la situazione dei cristiani in Iraq e Siria e il conseguente fenomeno migratorio verso l‘Occidente, la delicata situazione venutasi a creare tra il patriarcato e una delle due diocesi degli Stati Uniti che in passato ha accolto sacerdoti e monaci che avevano, questa l‘accusa del patriarcato, lasciato le proprie diocesi e monasteri senza permesso. 

Una preghiera di intercessione
​Un Sinodo importante - riferisce l'agenzia Sir - per la buona riuscita del quale a partire dalla scorsa settimana una preghiera speciale dedicata alla Vergine Maria è stata aggiunta a quelle del Rosario nel mese ad esso dedicato. La preghiera, pubblicata dal sito del patriarcato e tradotta e rilanciata dal sito Baghdadhope, affida il Sinodo all’intercessione di Maria e sui vescovi che vi prenderanno parte affinché “lavorino per il bene della Chiesa e la salvezza dei fedeli”.

Da Ankawa in Iraq, a Roma
Il Sinodo della Chiesa caldea era stato in precedenza convocato per lo scorso 22 settembre ad Ankawa, sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani, dove sono ospitati anche buona parte dei profughi della Piana di Ninive fuggiti davanti all’avanzata dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh). Poi l'Assemblea sinodale è stata rinviata, e adesso la nuova convocazione a Roma renderà più agevole il viaggio per i vescovi provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada e dall'Australia. Tra l'altro il patriarca Louis Raphael I si trova già a Roma, dove prende parte al Sinodo della Chiesa cattolica sulla famiglia. (R.P.)

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Egitto: alle elezioni politiche, alta affluenza dei cristiani

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I rappresentanti di istituzioni e comunità religiose hanno diffuso diversi appelli per sollecitare la popolazione a non disertare le urne e partecipare alle elezioni parlamentari che ieri hanno visto andare al voto le prime circoscrizioni elettorali. Tra gli altri appelli figura anche quello di Usama al-Abd, presidente dell'Università islamica di al Azhar, massima istituzione accademica e teologica mondiale dell'islam sunnita. Numerosi richiami a partecipare al voto sono venuti anche da Vescovi e rappresentanti della Chiesa copta ortodossa. Tra i primi a recarsi al voto, nella mattina di domenica 18 ottobre, ci sono stati anche numerosi membri anziani del Sinodo della Chiesa copta ortodossa, a partire dall'anziano vescovo Pacomio, che ha espresso il suo voto nel governatorato di Behira,

Alto il numero dei votanti della comunità copta ortodossa
L'intenzione dei vescovi – spiegano fonti copte consultate dall'agenzia Fides – era anche quella di offrire ai fedeli copti e a tutti i cittadini un esempio di attenzione e di sollecitudine per i problemi che assillano la società civile egiziana in questo delicato passaggio storico. Secondo i monitoraggi compiuti dall'Unione giovanile Maspero - gruppo di giovani attivisti espressione della comunità copta ortodossa - finora la percentuale di copti che hanno votato è superiore a quelle registrate presso altri gruppi sociali e religiosi: nel primo giorno di votazioni, tanti cristiani egiziani si sono recati alle urne dopo aver partecipato alle messe domenicali.

Il secondo turno il 22-23 novembre
​Il primo turno elettorale, che si conclude oggi, ha coinvolto 14 province per un totale di 27 milioni di elettori. Il secondo turno – che coinvolgerà altre 14 province – si svolgerà il 22 e 23 novembre. (G.V.)

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India: annullato bando sulle attività missionarie non indù

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L’Alta Corte dello Stato indiano del Chhattisgarh ha annullato il bando delle attività religiose missionarie non indù, imposto lo scorso anno nel distretto di Bastar, perché “viola il diritto fondamentale a esercitare e diffondere la propria religione”. Il giudice Manindra Mohan Shrivastava ha ordinato la rimozione del bando dopo aver valutato le petizioni del Chhattisgarh Christian Forum e di altre associazioni cristiane. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), commenta all'agenzia AsiaNews: “Il Gcic accoglie con favore la decisione dell’Alta corte. Il diritto alla libertà religiosa è garantito dalla Costituzione a tutti i cittadini dell’India. Ma tale diritto viene negato in modo sistematico alla vulnerabile comunità cristiana”.

Il decreto vietava ogni attività religiosa non induista
Nel luglio 2014 il consiglio locale (gram sabha) del villaggio di Sirisguda ha approvato una risoluzione con cui metteva al bando riti, culti e pratiche diverse da quelle indù. Un provvedimento, si legge nel comunicato, adottato per “fermare le conversioni forzate perpetrate da alcuni attivisti stranieri”, i quali userebbero un “linguaggio diffamatorio nei confronti delle divinità e delle tradizioni indù”. Per questo motivo, il consiglio proibiva, in base alla Sezione 129 (G) del Chhattisgarh Panchayat Raj Act, “ogni attività religiosa come la preghiera, le assemblee e la propaganda”.

Il provvedimento contrastava con la Costituzione indiana
Attivisti e associazioni cristiane hanno però contestato il principio secondo cui la legge statale non può prevalere sulle norme contenute nella Costituzione indiana. Essi hanno inoltre condotto un’azione legale per negligenza contro i funzionari che hanno adottato la risoluzione, in quanto incompatibile con le leggi in vigore. Lo Stato tra l’altro presenta già da tempo nel suo ordinamento una cosiddetta “legge anticonversione” (Chhattisgarh Religion Freedom Act 2006); il provvedimento richiede a chi vuole cambiare religione di informare con un mese di anticipo il magistrato distrettuale, a cui spetta la facoltà di conferire o meno il permesso di convertirsi.

In Chhattisgarh, cristiani soggetti a boicottaggio economico e sociale
A tal riguardo, Sajan K George commenta: “Il Gcic è molto preoccupato per questa ondata di aggressioni nella comunità tribale del Chhattisgarh da parte dei fondamentalisti che sostengono l’ideologia Hindutva. I cristiani sono soggetti a boicottaggio economico e sociale, vengono discriminati e persino aggrediti nelle loro case durante le preghiere private. Spesso gli viene negato l’accesso al cibo e alle fonti idriche”. L’attivista racconta infine che nei giorni scorsi Dinesh Kashyap, un membro del Bjp (Bharatiya Janata Party, partito nazionalista indù), ha visitato il villaggio di Madota (nel distretto di Bastar) e ha guidato una cerimonia di riconversione all’induismo di 35 cristiani da poco convertiti. “I 35 neo-cristiani hanno annunciato il loro ritorno all’induismo. Questi episodi di Ghar wapsi (ritorno a casa, ndr) vengono condotti con impunità”. (N.C.)

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Nicaragua: bloccata attività mineraria come chiede la Chiesa

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Il governo del Nicaragua, presieduto da Daniel Ortega, ha dichiarato "non attuabile" l'inizio dell’attività mineraria nel comune di Rancho Grande, Matagalpa, attraverso una dichiarazione ufficiale. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, il 3 ottobre i residenti della zona avevano espresso la loro opposizione al progetto con una marcia molto numerosa, promossa dal vescovo della diocesi di Matagalpa, mons. Rolando José Álvarez Lagos, chiedendo un referendum per decidere sull’attività delle miniere nel Comune. Il governo ha anticipato la sua decisione a mons. Alvarez, raggiunto telefonicamente da un alto rappresentante governativo.

Le miniere danneggerebbero agricoltura e allevamento
​“Voglio sottolineare l'azione del governo di dichiarare il progetto irrealizzabile, perché ha ascoltato la voce dell’affollata marcia che abbiamo svolto" ha detto mons. Alvarez. Alla marcia si stima abbiano partecipato più di 15.000 persone. La settimana scorsa mons. Alvarez aveva informato i media che la comunità civile aveva assunto la difesa dell'ambiente a Rancho Grande perché si tratta di una terra fertile per l'agricoltura e l'allevamento. Malgrado rimangano insoluti alcuni dubbi sulla “contro marcia” svoltasi a favore dell’attività mineraria nella regione, e la partecipazione dell’impresa B2Gold ad uno studio fatto nella zona, sembra che l'atteggiamento delle autorità sia volto a cercare di evitare il ripetersi di situazioni come quella della località mineraria di El Limon.

Negli scontri con i minatori la polizia ha fatto irruzione in una chiesa
​Sabato scorso un gruppo di agenti di Polizia sabato scorso era entrato di forza nella chiesa e nella canonica di Santa Barbara, nella località di Mina el Limón (Nicaragua) e avrebbe provocato danni all’interno dell’edificio sacro. Lo ha denunciato la diocesi di León. Numerosi agenti in assetto antisommossa hanno lanciato bombe lacrimogene e sparato proiettili di gomma. Secondo la popolazione locale - riferisce l'agenzia Sir - numerosi sono stati gli episodi d’incursioni nelle case, dalle quali sono stati catturati uomini e donne. In questo contesto c’è stata anche l’incursione nella chiesa, come ha denunciato padre Víctor Morales, incaricato per le comunicazioni della diocesi di León. Secondo il sacerdote, “la Polizia pensava di trovare nella chiesa persone rifugiate all’interno e intendeva catturarle. Se le cose si sono svolte in tal modo, la Chiesa denuncia questi atti come un sacrilegio”. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 292

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