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Sommario del 17/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: Chiesa viva la bellezza del "camminare insieme"

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“Chiesa e Sinodo sono sinonimi”, perché “la Chiesa non è altro che il camminare insieme” del Popolo di Dio. E’ uno dei passaggi forti dell’appassionato discorso di Papa Francesco in Aula Paolo VI, in occasione del 50.mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi da parte del Beato Montini. In un intervento tra i più importanti del Pontificato, Francesco ha sottolineato che “in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce” ed ha auspicato, riprendendo la Evangelii gaudium, una “salutare decentralizzazione” giacché il Papa non deve sostituire gli episcopati locali “nel discernimento di tutte le problematiche” dei loro territori. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Camminare Insieme”. Papa Francesco ha sviluppato il suo discorso concentrandosi su cosa voglia dire per il Vescovo di Roma essere una Chiesa in cammino. Dal Concilio Vaticano II all’attuale Sinodo sulla famiglia, ha rilevato, “abbiamo sperimentato in modo via via più intenso la necessità e la bellezza di camminare insieme". Ed ha rammentato che fin dall’inizio del suo Pontificato ha voluto valorizzare il Sinodo “che costituisce una delle eredità più preziose” del Concilio.

Il cammino della sinodalità è ciò che Dio chiede alla Chiesa
Francesco ha quindi ricordato che Paolo VI intendeva col Sinodo “riproporre l’immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo Spirito e il metodo”. Ancora, ha ripreso le parole di Giovanni Paolo II che pensava ad un miglioramento dello strumento sinodale così che la “collegiale responsabilità pastorale” possa “esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente”:

“Dobbiamo proseguire su questa strada. Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola 'Sinodo'. Camminare insieme - Laici, Pastori, Vescovo di Roma - è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica”.

Fidarsi del fiuto del Popolo di Dio
Francesco ha quindi messo l’accento sul “fiuto” che il Popolo di Dio ha nel “discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa”. Il Popolo di Dio, ha ripreso, è santo in ragione dell’unzione ricevuta da Dio che lo rende “infallibile in credendo”. E’ stata questa “convinzione - ha spiegato - a guidarmi quando ho auspicato che il Popolo di Dio venisse consultato nella preparazione del duplice appuntamento sinodale sulla famiglia”.

“Certamente, una consultazione del genere in nessun modo potrebbe bastare per ascoltare il sensus fidei. Ma come sarebbe stato possibile parlare della famiglia senza interpellare le famiglie, ascoltando le loro gioie e le loro speranze, i loro dolori e le loro angosce? Attraverso le risposte ai due questionari inviati alle Chiese particolari, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare almeno alcune di esse intorno a delle questioni che le toccano da vicino e su cui hanno tanto da dire”.

Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto
“Una Chiesa sinodale – ha proseguito il Papa – è una Chiesa dell'ascolto, nella consapevolezza che ascoltare ‘è più che sentire’. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l'uno in ascolto degli altri e tutti in ascolto dello Spirito Santo”, per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese”. Il Sinodo dei Vescovi, ha proseguito Francesco, “è il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa”. Il cammino sinodale inizia “ascoltando il Popolo” e “prosegue ascoltando i Pastori”.

“Attraverso i Padri sinodali, i Vescovi agiscono come autentici custodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa, che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell'opinione pubblica. Alla vigilia del Sinodo dello scorso anno affermavo: «Dallo Spirito Santo per i Padri sinodali chiediamo, innanzitutto, il dono dell'ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama»”.

Chiesa e Sinodo sono sinonimi, camminare assieme al Gregge di Dio
Infine, ha detto, “il cammino sinodale culmina nell'ascolto del Vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come ‘Pastore e Dottore di tutti i cristiani’: non a partire dalle sue personali convinzioni, ma come supremo testimone” della fede di tutta la Chiesa. Il fatto che il Sinodo “agisca sempre cum Petro et sub Petro - dunque non solo cum Petro, ma anche sub Petro – ha detto ancora – non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell'unità”:

“La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice San Giovanni Crisostomo, ‘Chiesa e Sinodo sono sinonimi’ - perché la Chiesa non è altro che il ‘camminare insieme’ del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore - capiamo pure che al suo interno nessuno può essere ‘elevato’ al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno ‘si abbassi’ per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino”.

Francesco ha quindi ribadito che Gesù ha costituito la “Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico nel quale l’Apostolo Pietro è la roccia”. Ma in questa Chiesa, ha detto, “come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano ministri: perché secondo il significato originario della parola sono i più piccoli fra tutti”. E, ha affermato, “in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altri non è” che il “servo dei Servi di Dio”. “Non dimentichiamolo mai – ha avvertito – per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della Croce”.

Necessario procedere in una salutare “decentralizzazione”
In una Chiesa sinodale, ha poi detto il Papa, il Sinodo dei Vescovi è solo “la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali”. Il primo livello di esercizio della sinodalità, ha detto, si realizza nelle Chiese particolari in quegli organismi di comunione che devono rimanere “connessi col basso e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno”, il secondo livello si manifesta in particolare nelle conferenze episcopali:

“In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, ‘non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione’”.

Primato petrino riceve maggiore luce da una Chiesa sinodale
L’ultimo livello, ha quindi sottolineato, è quello della Chiesa universale: il Sinodo dei Vescovi, “rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale”. L’impegno a “edificare una Chiesa sinodale”, “missione alla quale tutti siamo chiamati”, ha constatato, “è gravida di implicazioni ecumeniche”. Francesco ha così richiamato Giovanni Paolo II quando poneva l’urgenza di una “conversione del papato”:

“Sono persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l'esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo - come Successore dell'apostolo Pietro - a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell'amore tutte le Chiese”.

Chiesa sinodale aiuterà anche società civile a costruire fraternità
Il nostro sguardo, ha concluso Francesco, “si allarga anche all'umanità”. Una Chiesa sinodale, ha detto, “è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr. Is 11, 12) in un mondo che - pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell'amministrazione della cosa pubblica - consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere”:

“Come Chiesa che 'cammina insieme' agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell'autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell'uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.

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I 50 anni del Sinodo: le relazioni dai 5 continenti

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Ad introdurre la commemorazione per i 50 anni del Sinodo, nell'Aula Paolo VI in Vaticano, numerose relazioni di porporati e presuli provenienti da ogni parte del mondo. Il servizio di Isabella Piro: 

Card. Baldisseri: tema famiglia, grande attualità per la Chiesa
“Un segno della presenza di Cristo tra noi, perché è destinata a tenere accesa e splendente la fede, la sua luce nelle tenebre del nostro secolo”.

Così Paolo VI, nel 1965, definiva il Sinodo, istituito con il Motu proprio “Apostolica sollicitudo”. A distanza di cinquant’anni, l’organismo non ha perso vitalità, anzi: come spiega l’attuale segretario generale, card. Lorenzo Baldisseri, ad oggi sono state 27 le Assemblee sinodali svoltesi, compresa quella in corso. 14 Assemblee Generali Ordinarie, 3 Assemblee Generali Straordinarie, 10 Assemblee Speciali. Si tratta di “un cammino unitario e coerente”, sottolinea il porporato, “strumento privilegiato per l’attuazione e la recezione del Concilio Vaticano II, in vista del rinnovamento pastorale della Chiesa e del suo dialogo con il mondo contemporaneo”:

“È rilevante che ben tre delle 27 Assemblee sinodali si siano concentrate sulla famiglia: una scelta di grande attualità per la Chiesa e per il mondo contemporaneo. Come Vostra Santità ci ha recentemente ricordato, il respiro mondiale» del Sinodo dei Vescovi ben corrisponde alla portata universale di questa comunità umana fondamentale e insostituibile che è appunto la famiglia”.

Card. Schönborn: Sinodo guardi al modello del Concilio di Gerusalemme
Poi, spazio alla relazione introduttiva del card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, che si sofferma, in primo luogo, sulla metodologia del Sinodo: “Sinodo” significa “cammino insieme” – sottolinea – e “metodo” viene da “metodo”, ovvero “via verso qualcosa”.  Per questo, il metodo è del tutto decisivo se si vuole che il Sinodo -organo consultivo e non deliberativo - abbia buon esito, ed i dibattiti su di esso non sono questioni secondarie. Il modello da seguire, allora, sarà quello del Concilio degli Apostoli a Gerusalemme, in cui si verificò quello che, secoli dopo, Papa Francesco ha definito “parlare con parresia ed ascoltare con umiltà”.

Discutere apertamente, ma ascoltare l’agire di Dio
Per questo, sottolinea l’arcivescovo di Vienna, non bisogna temere le discussioni, basta guardarle con il giusto discernimento, per riconoscere ciò che il Signore ha già deciso. D’altronde, continua il porporato, al Concilio di Gerusalemme non si scrissero “perizie e controperizie” teologiche, ma si discusse apertamente. Anche oggi, quindi, è normale che un Sinodo sul tema “matrimonio e famiglia” susciti in tutta la Chiesa “un intenso dibattito teologico” che va visto come “un vero guadagno per lo sviluppo organico della dottrina della Chiesa”. Ma di fronte a certi accanimenti ed inasprimenti del dibattito odierno, il card. Schönborn invita ancora una volta a guardare al modello del Concilio degli Apostoli: ascoltare nel cuore l’agire di Dio. Non spiegare trattati teologici, dunque, non teorizzare astrattamente, ma accogliere nel cuore la volontà del Signore.

Tre parole-chiave del Sinodo: missione, testimonianza, discernimento
Tre, allora, le parole-chiave dell’essenza sinodale: missione, testimonianza, discernimento. La prima, spiega il porporato, riguarda la capacità di promuovere la vita della Chiesa e l’entusiasmo della sua missione perché “è bello, quando il risultato di un Sinodo incoraggia i fedeli!”.  La seconda implica il parlare in modo meno astratto e distaccato per raccontare, invece, l’esperienza dell’agire di Dio. Non restare, quindi, al “si potrebbe” e “di dovrebbe”, ma parlare in modo personale delle esperienze personali di missione.

Sinodo non è compromesso politico, ma dono dello Spirito
Infine, il discernimento della volontà e della via di Dio:

“Discussioni accese, liti addirittura, e l’intenso disputare fanno naturalmente parte del cammino sinodale. Già a Gerusalemme fu così. Ma lo scopo dei dibattiti, lo scopo dei testimoni è il discernimento comune del volere di Dio. Anche quando si votano delle proposte da affidare al Santo Padre, non si tratta di lotte di potere, di formazioni di partiti (di cui poi i media con piacere riferiscono), ma di questo processo di formazione comunionale del giudizio, del discernimento, come lo abbiamo visto a Gerusalemme. L’esito, infatti, non è un compromesso politico su un minimo comune denominatore, bensì questo “valore-aggiunto”, questo plusvalore che dona lo Spirito Santo, così da poter dire, a conclusione: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi” (At 15, 28).

Europa. Card. Nichols: Sinodo aiuta ad uscire da “eurocentrismo”
Quindi, la commemorazione lascia la parola alle cinque Relazioni continentali, con cui cinque presidenti di Conferenze episcopali spiegano l’importa e l’influenza del Sinodo su Europa, Asia, Africa, America ed Oceania. Per l’Europa, parla il card. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, nel Regno Unito, che sottolinea:

“Le Assemblee ed il lavoro del Sinodo dei vescovi hanno contribuito a superare la nostra visione eurocentrica nel mondo ed anche nella Chiesa”.

La sfida della migrazione
È proprio grazie al Sinodo, infatti, che si può apprezzare la missionarietà della Chiesa in Giappone, l’eroismo di quella in Chiesa in Cina, i cui vescovi sono forzatamente assenti all’Assemblea, i conflitti che affliggono la Chiesa in alcuni Paesi dell’Africa e la vitalità delle tradizioni teologiche in Sud America. Poi, il card. Nichols ricorda le due Assemblee sinodali speciali dedicate all’Europa, nel 1991 e nel 1999 e la visione di Giovanni Paolo II di un continente che respirasse “con due polmoni”, est ed ovest. Quell’impegno all’evangelizzazione continua ancora oggi, ribadisce il porporato, dall’Atlantico fino agli Urali, anche a causa di nuove sfide, come quella della migrazione, che vede arrivare in Europa popoli in fuga da guerre, violenze e povertà:

“L’Unione Europea sta affrontando questioni e tensioni critiche, soprattutto la tentazione di diventare una città fortificata, mirata a proteggere se stessa ed i propri beni e confort materiali, ottenuti, naturalmente, da ogni parte del mondo”.

Ma il card. Nichols ricorda anche “lo tsunmani” culturale della teoria del gender e ribadisce l’importanza della famiglia, prima testimone della fede nella società, primo laboratorio della fede, prima maestra di umanità per ogni persona, esortando l’Europa ad affrontare queste nuove sfide.

Africa. Mons. Madega: prima di intraprendere nuove vie, guardare al passato
Quindi, spazio all’Africa, rappresentata da mons. Mathieu Madega Lebouakehan, vescovo di Mouila, in Gabon, il quale si sofferma sulla “esperienza di cattolicità” offerta dal Sinodo:

“Il punto culmine dei Sinodi è sempre la manifestazione reale della collegialità tra i membri del collegio episcopale col Sommo Pontefice e tra di loro, dopo uno scambio fraterno e fruttuoso di notizie ed esperienza, nell’ascolto reciproco”.

L’auspicio odierno, spiega il presule, è che prima di intraprendere una nuova via, si possa ripercorrere il cammino già fatto, per fare memoria di quanto accaduto. Non è un caso, infatti, che la prima Assemblea generale ordinaria del 1967, aveva per tema ‘‘La preservazione e il rafforzamento della fede cattolica, la sua integrità, il suo vigore, il suo sviluppo, la sua coerenza dottrinale e storica”.

Amrerica. Card. Ezzati: Chiesa in uscita verso periferie esistenziali
Poi, è la volta dell’America, in particolare dell’America Latina, raccontata dal card. Ricardo Ezzati Andrello, arcivescovo di Santiago del Cile. Il porporato ricorda il primo Sinodo speciale dei vescovi per l’America, svoltosi nel 1997, che rilanciò il cammino per l’evangelizzazione e la solidarietà nel continente. Quindi, nel 2007, la quinta Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano, alla presenza di Benedetto XVI e con l’allora card. Bergoglio presidente della Commissione per la redazione del documento finale, che rilanciò la dimensione missionaria e pastorale della Chiesa del continente.

Gli echi di quella Conferenza si ritrovano, anni dopo, nell’Esortazione apostolica “Evangelii Guadium” di Papa Francesco che – spiega il card. Ezzati – “ha suscitato una nuova forza evangelizzatrice in America Latina, concentrandola sugli invisibili della società e nelle periferie geografiche ed esistenziali, verso le quali bisogna uscire”.

Asia. Patriarca Sako: dare nuovo impulso a pastorale familiare
A portare la voce dell’Asia in Aula Paolo VI è, poi, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael Sako: i Sinodi, dice, devono dare un senso alla vita dei fedeli, che hanno tanto bisogno di speranza, soprattutto nel contesto asiatico, dove la società musulmana non facilita il cambiamento. Di qui, l’appello di queste “piccole Chiese” ad essere “aiutate e non isolate o emarginate” e la sottolineatura a lavorare sulla formazione dei sacerdoti, religiosi e fedeli per realizzare “una casa comune” in cui tutti possano integrarsi ed amarsi da veri cristiani. Per questo, dice il Patriarca Sako, è necessario uno spirito di aggiornamento:

“È necessario formulare nuove leggi adatte ai nostri tempi e fedeli. Spero che oggi il Sinodo sulle famiglie ci darà un impulso per una nuova pastorale familiare. Il concetto della sinodalità sia integrato nella vita e spiritualità della Chiesa, insieme al principio della sussidiarietà per un continuo aggiornamento e rinnovamento nella Chiesa”.

Oceania. Card. Mafi: Sinodo incoraggia ed arricchisce
Infine, è la volta del card. Soane Patita Mafi, vescovo di Tonga, “il cardinale bambino”, come lo definisce Papa Francesco, data la sua giovane età. Nelle sue parole, la sottolineatura della connessione della Chiesa dell’Oceania con la Chiesa universale e l’impatto che il Sinodo, negli ultimi cinquant’anni, ha avuto su di essa, incoraggiandola ed arricchendola. Il card. Mafi si sofferma, poi, su alcune sfide particolari dall’esito positivo, come la stesura di linee-guida per i casi di abusi su minori, perpetrati da alcuni membri della Chiesa, o la questione dei richiedenti asilo. Lo spirito della Chiesa in Oceania rimane, così – conclude il porporato – quello della comunione, in risposta alla chiamata ad una nuova evangelizzazione.

50 anni dopo, il cammino continua
Il Sinodo, dunque, compie cinquant’anni, ma il suo cammino prosegue. Non a caso, ad accompagnare la sua commemorazione in Aula Paolo VI, sono le voci dei bambini del Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna. Perché il Sinodo cammina anche insieme a loro.

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Sinodo. Mons. Zvolensky: la fedeltà non è un ideale astratto

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Sarebbe un errore parlare solo delle crisi della famiglia: occorre evidenziare il coraggio della coppie che restano fedeli, dimostrando che l’indissolubilità non è un ideale astratto, ma una realtà possibile con l’aiuto della grazia. Lo ricorda al microfono del nostro inviato al Sinodo Paolo Ondarza, mons. Stanislav Zvolensky, presidente della Conferenza Episcopale della Slovacchia: 

R. - La famiglia è una cellula fondamentale della società voluta da Dio; la famiglia è la Chiesa domestica. Il Sinodo parla molto delle difficoltà in cui oggi si trova la famiglia. Forse in un certo senso non è del tutto corretto parlare solo dei lati negativi. E' d’obbligo vedere anche quello che la grazia di Dio fa nei coniugi, nei giovani che si preparano secondo la legge morale al matrimonio - perché ce ne sono - sebbene molti non vogliono che se ne parli.

D. - Qualcuno effettivamente ha detto: “Dal Sinodo molte famiglie che vivono con gioia, consapevolezza quello che la Chiesa propone loro – perché vedono in questi insegnamenti una realizzazione piena – aspettano una parola di incoraggiamento” …

R. - Io sono convinto di questo, perché, secondo la mia esperienza, in tutte le nazioni, in tutte le diocesi, in tutte le parrocchie si trovano molte famiglie che vivono secondo la legge morale. Siamo uomini deboli, ma con l’aiuto della grazia possiamo perseverare nella chiamata al matrimonio. Gli sposi stessi realizzano quello che si chiama “il primato della grazia nella vita di un uomo”. Mi sembra che sia molto importante incoraggiare queste persone. Queste famiglie, questi coniugi, che vivono consapevolmente la vicinanza di Dio sono, in questo senso, di grande esempio per gli altri, e in questo modo educano anche i propri figli. Ci sono anche i giovani che si preparano al matrimonio e cercano di capire cosa sia l’amore vero, la purezza. Vivere secondo la legge morale rappresenta la preparazione giusta, la preparazione vera al matrimonio.

D. – Ritiene che si possa arrivare ad una soluzione per la questione dell’accesso all’Eucarestia per i divorziati e risposati civilmente discernendo tra i differenti casi?

R. – Questa questione è abbastanza complessa. La Chiesa ha già una sua posizione. C’è una posizione che è scaturita da decenni di riflessione da parte dei vertici della Chiesa. Secondo me non si può cambiare questa posizione; dobbiamo rinnovare il nostro amore pastorale, lavorare e dedicarci alle persone che sono in difficoltà.

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Vescovo Pakistan: famiglie cristiane forti nella fede nonostante prove

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Al Sinodo la testimonianza delle famiglie pakistane raccontata dal vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Arshad, che, al microfono di Paolo Ondarza, parla anche dei tanti cristiani perseguitati e di Asia Bibi, la donna nel braccio della morte dal 2010 per l’ingiusta accusa di blasfemia: 

R. – Prima di tutto voglio ringraziare il Santo Padre e la Chiesa perché l’indizione di questo Sinodo significa amore per la famiglia e nella famiglia siamo tutti.

D. – Come vivono le famiglie in Pakistan?

R. - In Pakistan ogni giorno è una sfida per la fede, per le famiglie cristiane perché la maggioranza è musulmana, ma ringraziamo il Signore che le nostre famiglie sono ancora unite e sono forti nella fede.

D. - Che testimonianza offrono al resto delle famiglie del mondo?

R. – Quella di una famiglia che vive insieme, una famiglia che ha amore tra i suoi membri, una famiglia che dà testimonianza di amore a tutta le gente in Pakistan. L’ambiente in cui viviamo è a maggioranza musulmana.

D. – Questo richiede anche una testimonianza coraggiosa, un andare contro corrente che può essere d’esempio per le nostre culture occidentali…

R. – Sì, perché noi viviamo in famiglie estese: nonni, nonne, fratelli, sorelle, una famiglia che vive insieme… Non c’è solo la coppia che vive con i propri bambini, ma abbiamo la cultura dell’essere insieme. Quindi il legame famigliare è molto forte.

D. – E’ arrivata la notizia del peggioramento delle condizioni di salute di Asia Bibi…

R. – Possiamo pregare per Asia Bibi che sta lottando per la fede, sta lottando per la condizione umana: una donna che è falsamente accusata e speriamo che verrà il giorno in cui sarà rilasciata.

D. - Lei ha notizie di Asia Bibi…

R. – No, personalmente no.

D. – La sua testimonianza rispecchia la condizione di altri cristiani?

R . – Sì, questo caso è noto al mondo, ma ci sono tanti casi che non sono conosciuti e la Chiesa sta lottando per questo e per aiutare gli altri che sono più nascosti.

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Pubblicato programma viaggio Papa in Kenya, Uganda e Centrafrica

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La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato il programma del viaggio di Papa Francesco in Africa dal 25 al 30 novembre: tre i Paesi che accoglieranno il Pontefice, Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana.

In Kenya il Papa arriverà mercoledì 25 novembre alle 17.00: a Nairobi si svolgeranno la visita di cortesia al presidente della Repubblica e l’incontro con le autorità e il Corpo diplomatico. La giornata del giovedì 26 novembre sarà aperta dall’incontro interreligioso ed ecumenico, seguito dalla Messa nel Campus universitario della capitale. Nel pomeriggio l’incontro con il clero e i religiosi e la visita all’Ufficio Onu di Nairobi. Venerdì 27 novembre il Papa si recherà nel quartiere povero di Kangemi. Alle 10.00 l’incontro con i giovani nello Stadio Kasarani, seguito subito dopo dall’incontro con i vescovi del Paese.

Nel pomeriggio il Papa parte per Entebbe, in Uganda: anche qui sono subito in programma la visita di cortesia al presidente della Repubblica e l’incontro con le autorità e il Corpo diplomatico. In serata si reca a Munyonyo per un saluto ai catechisti e agli insegnanti. Sabato 28 novembre il Papa visita i due Santuari dedicati ai martiri ugandesi da cattolici e anglicani. Alle 9.30 la Messa per i Martiri dell’Uganda nell’area del Santuario cattolico. Seguono l’incontro con i giovani a Kololo Air Strip a Kampala, la visita alla Casa di Carità di Nalukolongo e gli incontri con i vescovi dell’Uganda e con il clero e i religiosi.

Domenica 29 novembre la partenza per Bangui nella Repubblica Centrafricana, dove l’arrivo è previsto alle 10.00.  Subito la visita di cortesia al presidente dello Stato di transizione e l’incontro con la classe dirigente e con il corpo diplomatico. Alle 12.15 la visita in un campo profughi, seguito dagli incontri con i vescovi centrafricani e con gli evangelici. Alle 17.00 la Messa con il clero, i religiosi e i giovani nella Cattedrale di Bangui. La giornata terminerà alle 19.00 con la confessione di alcuni giovani e la veglia di preghiera sulla spianata davanti alla Cattedrale. Lunedì 30 novembre il Papa incontra la comunità musulmana nella Moschea centrale di Koudoukou a Bangui. Alle 9.30 la Messa nello Stadio del Complesso sportivo Barthélémy Boganda. Alle 12.30 la partenza dall’Aeroporto Internazionale “M’Poko” di Bangui. L’arrivo a Roma-Ciampino è previsto per le 18.45.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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In Italia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Senigallia, presentata da mons. Giuseppe Orlandoni, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Senigallia mons. Francesco Manenti, del clero della diocesi di Crema, finora Vicario Generale della medesima diocesi, Parroco e Insegnante di Teologia.

In Argentina, Francesco ha nominato vescovo di Añatuya mons. José Melitón Chávez, del clero dell’arcidiocesi di Tucumán.

In Colombia, il Papa ha nominato vescovo di Libano-Honda il rev.do José Luis Henao Cadavid, del clero della diocesi di Jericó, finora Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora de las Mercedes” ad Andes.

Francesco ha nominato il card. Nicolás de Jesús López Rodríguez, Arcivescovo di Santo Domingo, Suo Inviato Speciale alla celebrazione del V centenario della città di Cumanà (Venezuela), ove cominciò l’evangelizzazione dei Sudamerica, in programma il 27 novembre 2015.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Chiesa sinodale: nel cinquantesimo dell'assemblea che rappresenta l'episcopato mondiale il Papa ne ricorda lo stretto legame con il Concilio. Le relazioni dei cardinali Lorenzo Baldisseri e Christoph Schoenborn.

Migrazioni e sviluppo sostenibile: intervento della Santa Sede al Forum di Istanbul.

Ancora violenze in Israele e nei Territori palestinesi.

Diritto al cibo, diritto alla dignità: nella giornata mondiale del rifiuto della miseria la Caritas italiana pubblica il rapporto sulla povertà alimentare.

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Oggi in Primo Piano



Uccisi 3 palestinesi. Twal: attacco a Tomba Giuseppe "intollerabile"

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Forti le reazioni in Israele e nel mondo alla violenza che sta investendo la Terra Santa, arrivando fino all'attacco a Nablus, della Tomba di Giuseppe. Il luogo sacro a ebrei, cristiani e musulmani è stato in parte dato alle fiamme da giovani palestinesi. La condanna arriva da Washington, come dal patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, che parla di "profanazione intollerabile". Anche oggi, tra Gerusalemme e Hebron, si sono registrati episodi di violenza: tre palestinesi armati di coltello sono stati uccisi dagli israeliani. A Gaza intanto si vive nel terrore di una nuova guerra e trasmettere i valori del dialogo e della pace è difficile. Lo fa da anni, con i bambini delle scuole elementari, suor Nadila della Congregazione del Rosario. Gabriella Ceraso l’ha raggiunta telefonicamente a Gaza City, nella prima giornata senza scontri a fuoco: 

R. – Noi oggi abbiamo trovato il coraggio di uscire perché ce lo hanno chiesto i bambini. Il clima è calmo, la situazione è tranquilla e i bambini oggi sono gioiosi, giocano…

D. – Sono sereni perché intorno non ci sono i bombardamenti …

R. – Sì, specialmente da quando sono cominciati gli scontri a Gerusalemme e a Betlemme, la gente ha paura che arrivi un’altra guerra. Oggi, in Medio Oriente la relazione tra musulmani e cristiani è difficile. Ci sono tante voci, tanti fanatici, soprattutto a Gaza, ma noi facciamo il possibile per educare i bambini ad accettare l’altro, che è diverso per religione, per cultura, in tutto. Noi facciamo il possibile per seminare la pace, l’amore, per insegnare ad amare il nemico. Loro ci chiedono: “Come amare il nemico?”. E’ difficile, ma noi facciamo il possibile, è nella nostra missione.

D. – Si parla di “giornate della rabbia palestinese”…

R. – Sì, ieri sono usciti tanti giovani da Gaza fino a Eretz, e tre di loro sono morti. I genitori non vogliono che escano a manifestare nelle strade, perché non vogliono un’altra guerra.

D. – Ma questo sentimento c’è?

R.  – Sì, sempre, sempre. La gente non può uscire, non si può muovere, nè entrare nè uscire. Gaza è come una grande prigione

D. – Cosa si può fare perché questa rabbia non diventi di nuovo guerra?

R. – Noi possiamo solo pregare. La decisione è nelle mani dei governanti. La violenza porta solo violenza. I genitori inculcano nella testa dei bambini che il nemico è Israele e questo non è giusto. E' difficile per noi sentire i bambini dire :“Noi odiamo tutti gli israeliani”. Per questo tutto l'anno lavoriamo con i bambini insieme a specialisti e psicologi.

D.  – Lei si è fatta un’idea riguardo la situazione attuale, è qualcosa che già si è visto, che si può superare?

R. – Non c’è progresso, il problema è che non c’è unità tra palestinesi. C'è chi segue Hamas, chi segue Fatah, l' unità è molto importante. Quando Abu Mazen dice una cosa, qui fanno il contrario.

D. – Qual è il suo auspicio per il presente e per il futuro?

R. – Noi sempre, anche con i bambini, preghiamo per la pace. Ogni giorno preghiamo la preghiera di San Francesco: “Signore, fa di me uno strumento della tua pace”. Speriamo che i governanti non guardino solo agli interessi della politica. Noi speriamo che vinca la pace, perché quando c’è pace c’è progresso. Sopratutto qui a Gaza, i bambini hanno vissuto tre guerre e questa è una cosa pesante, preghiamo il Signore perché metta nel cuore dei governanti la pace, perché quando nel loro cuore c’è  la pace, loro possono seminare la pace.

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Libia: decine di morti, in crisi accordo governo unità nazionale

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Torna a salire la tensione in Libia, dove nelle ultime 24 ore si contano una trentina di morti a Bengasi, seconda città del Paese, contesa tra le forze del governo riconosciuto internazionalmente di Tobruk, e quelle islamiste di Tripoli. Sul tavolo delle trattative, in corso in Marocco, una bozza di accordo elaborata dalle Nazioni Unite, che però non soddisfa tutti. Ieri, scontri si sono verificati a una manifestazione indetta proprio a Bengasi contro gli islamisti e la proposta dell’Onu, ma a sostegno delle forze armate nella lotta ai terroristi. Sul deteriorarsi della situazione nel Paese, Roberta Barbi ha intervistato Luciano Ardesi, esperto dell’area nordafricana: 

R. – Con l’avvicinarsi di un’ipotesi di accordo di un governo nazionale, le milizie che sono sul terreno cercano di posizionarsi da un punto di vista di forza. Questo non facilita gli ultimi passi di questo lungo e travagliato cammino verso l’unità nazionale, ma c’è da aspettarsi che le rivalità continueranno anche dopo un eventuale accordo, che lascerà sicuramente alcune delle milizie delle fazioni in campo del tutto scontente.

D. – Cosa prevede questo accordo definito dall’inviato dell’Onu, Bernardino Leon, 'l’unico possibile'?

R.  – Dal primo accordo raggiunto in Marocco è stata stilata una lista del governo di unità nazionale, è stato scelto il futuro presidente del Consiglio, espressione del Parlamento di Tobruk. L’accordo prevede anche un Parlamento provvisorio, di fatto formato dal Parlamento di Tobruk, quello appoggiato e riconosciuto dalla comunità internazionale, mentre i membri del Parlamento di Tripoli avrebbero solo una funzione consultiva.

D. – In Marocco però, dove si svolgono le trattative, la delegazione del Parlamento di Tripoli, non riconosciuto dalla comunità internazionale, ha respinto l’accordo al mittente. Cosa chiede Tripoli?

R. – Tripoli chiede di ritornare indietro a quella sentenza della Corte Suprema libica che invalidò le elezioni del Parlamento di Tobruk, dimenticando, però, che anche le modalità con cui le elezioni si svolsero, invece, a Tripoli erano quanto mai dubbiose. I due parlamenti non hanno forse una piena legittimità, ma a questo dovrebbe servire un accordo: a trovare una base comune per poi restituire alla Libia delle istituzioni transitorie che portino il Paese verso una pacificazione e verso l’unità nazionale.

D. – L’intesa dovrebbe essere ratificata prima che scada il mandato del Parlamento di Tobruk. Si può fare una previsione?

R. – Queste ultime ore non lasciano ben sperare, perché le tensioni tra i due campi sono ancora molto forti e gli scontri di Bengasi dimostrano che alcune milizie sono irriducibili. Quello che manca alla Libia è, ad esempio, quello che è accaduto in Tunisia dove c’è una società civile più forte e più strutturata. Anche qualche giorno fa a Misurata si è riunito un consiglio degli anziani della Libia che ha lanciato un appello alle due parti per la pace, ma queste sono voci troppo deboli sopra il rumore delle armi che, purtroppo, in questi anni ha prevalso nel Paese.

D. – Nei giorni scorsi si è parlato anche della possibilità di una missione di pace in Libia. Il peggioramento della situazione nel Paese che conseguenze potrebbe avere?

R. – Come è stato detto più volte, una missione militare in Libia sarebbe quanto mai problematica. Una missione ci fu già anni fa, nel 2011, e ha portato alle conseguenze che conosciamo: la caduta di Gheddafi sì, ma anche la distruzione del sistema istituzionale del Paese che poi ha lasciato il Paese stesso nel caos. Pensare a un intervento straniero vuol dire rimettere la mani in quel fuoco che purtroppo si è acceso nel Paese. Non sarà facile, è meglio pensare ad alternative anche se finora si sono rivelate difficili, ma la diplomazia deve mettere in campo tutte le sue “armi pacifiche”.

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A Roma, evento trasversale per la famiglia e contro il gender

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Creare una “ri-costituente antropologica della famiglia” e un “piano europeo anti-gender”. Questo l’obiettivo che si propone l’associazione Manif pour tous, riunita oggi al Teatro Adriano di Roma nell’evento “Generazione Famiglia”. Una mattinata di dibattiti su gender, famiglia naturale e filiazione, che arriva dopo il successo della manifestazione del 20 giugno scorso a Roma, quando scesero in piazza centinaia di migliaia di persone. Il servizio di Michele Raviart

Insieme contro l’ideologia gender, l’equiparazione di unioni civili tra persone dello stesso sesso al matrimonio e l’introduzione di pratiche procreative come l’utero in affitto. Tre attacchi alla famiglia naturale, come spiega Filippo Savarese, portavoce di “Manif pour tous” e “Generazione Famiglia”:

"Tutti i bambini hanno diritto ad avere un papà ed una mamma perché tutti nasciamo da un uomo ed una donna. Questa verità elementare oggi è messa in discussione, se non negata, da progetti di legge che minano l’istituto del matrimonio che riconosce la famiglia e riconoscendo la famiglia favorisce il diritto dei bambini ad avere un papà ed una mamma".

Riunendo i contributi di personalità del mondo della cultura, della scienza e dell’economia l’obiettivo è quello di creare un movimento laico il più ampio possibile contro le politiche che minano il ruolo sociale della famiglia. In particolare, contro la teoria gender dell’indifferenziazione tra maschio e femmina e la sua introduzione nelle scuole, il consenso è trasversale. Ne è un esempio la testimonianza del filosofo e scrittore Diego Fusaro, studioso di Marx e Gramsci e professore all’università San Raffaele di Milano:

"Le teorie gender sono le ideologie, nel senso marxiano, con cui si presenta come naturale ciò che invece naturale non è per nulla. In particolare, l’ideologia gender serve a negare l’identità di uomo e donna, presentandole come una scelta puramente culturale, rimuovendo l’elemento biologico a favore di quello puramente sociale. In questo modo l’ideologia gender neutralizza l’idea di natura umana e quindi una possibile resistenza al mondo del tecnocapitalismo, perché se non c’è la natura umana non è nemmeno più possibile dire che la natura umana è offesa e mortificata. Camus ne 'L’uomo in rivolta', lo aveva scritto già in maniera molto chiara: ogni forma di dominio oggi, tende a rimuovere l’idea di natura umana, perché essa costituisce la fonte di una possibile rivolta".

Manif pour tous nasce nel luglio 2013 per promuovere la libertà della famiglia in opposizione al progetto di legge sulle unione civili. Un movimento che conta ormai 80 circoli in tutta Italia, sulla scia di altre esperienze simili in tutta Europa. Ludovine De La Rochére, presidente di Manif pour tous Francia:

"Petit à petit les associations partout dans les pays d’Europe …
Piano piano nei Paesi europei e nel mondo vengono create o si sviluppano associazioni per agire contro l’ideologia del gender in quanto rappresenta il fondamento di tutti gli interrogativi che oggi vengono posti sull’identità dell’uomo e della donna, sulla coppia uomo - donna, il matrimonio, sulla filiazione. Questa ideologia ha delle conseguenze molto gravi. Piano piano le associazioni si sviluppano e cominciano a lavorare insieme e - come dite voi -  si sta preparando il fronte”.

Una chiamata alla mobilitazione, che prevede l’organizzazione di quello che è definito come un “D-day del popolo delle famigle” nato in piazza S.Giovanni a Roma il 20 giugno scorso. Ancora Filippo Savarese:

"Lanceremo tre grandi operazioni: il coordinamento nazionale anti-gender, cioè una rete sparsa su tutto il territorio italiano che metta in contatto le famiglie che vogliono proteggere i loro figli da questa ideologia antiscientifica; dopo di che lanceremo l’operazione 'Caro ministro', ovvero manderemo decine di migliaia di raccomandate al Ministero dell’istruzione per chiedere che l’ideologia gender esca definitivamente, una volta per tutte, dalle scuole dei nostri figli e dei nostri nipoti. Infine, lanceremo la Giornata nazionale per il diritto di priorità educativa della famiglia, inviteremo tutte le famiglie che si sono iscritte o accreditate al coordinamento nazionale anti-gender a non mandare i loro figli a scuola il prossimo 4 dicembre, non certo in polemica con la scuola, che è nostra alleata, ma come un simbolo per significare che sulla materia dell’affettività, della sessualità e su quello che riguarda l’ambito morale viene prima la famiglia".

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 29.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di sedere nel regno dei cieli uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Di fronte all’indignazione degli altri apostoli, il Signore risponde: 

“Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti"

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti

La Chiesa celebra questa domenica la sua 89.ma Giornata Missionaria, invitando tutti i cristiani alla preghiera e al coinvolgimento fattivo nell’evangelizzazione, frutto maturo del Battesimo. Il Vangelo ci rivela qualche cosa di Dio e di Gesù Cristo molto importante. Questo è ciò che la Parola di Dio fa primariamente: mostrarci qualche cosa del volto di Dio, parlarci di Dio, e non venirci a dire cosa fare o non fare, questo viene soltanto dopo. Giacomo e Giovanni – e non si sa bene a quale titolo – si avvicinano a Gesù per chiedere i primi posti accanto a lui, nel suo regno. Gesù rivela loro la logica di Dio, cioè la via della croce, la via del “dono di sé”. Alla gloria di Dio, a Dio, si giunge passando per l’ultimo posto, non per il primo, secondo la logica delle conquiste umane, che sono sempre oppressive: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”. E Gesù, per evitare ogni equivoco, usa la parola “schiavo”, una parola proprio non politically correct, e a quel tempo la parola suonava in tutta la crudezza della verità delle cose, era una parola che faceva paura. Ma questo “farsi ultimo”, “farsi schiavo”, “farsi dono” è tipico dell’amore di Dio verso l’uomo: “Anche il Figlio dell'uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. L’Eucaristia, a cui oggi partecipiamo, è il dono di Dio all’uomo, ci invita ad accoglierlo per fare anche di noi un dono agli altri, per farci “missione”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Naufragi nelle acque turche e Mare Egeo: morti donne e bambini

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Almeno 12 migranti siriani sono morti al largo delle coste turche mentre a bordo di un barcone di legno tentavano di raggiungere l'isola greca di Lesbo. La guardia costiera turca intervenuta dopo essere stata allertata con un cellulare, ha recuperato i corpi e ha tratto in salvo 25 migranti. Una quindicina sarebbero i dispersi. Il barcone era partito dalla cittadina costiera di Ayvalik, nel nord-ovest della Turchia, ha riferito l'agenzia di stampa turca Anadolu, e si è rovesciato nel tratto di mare che divide Canakkale dall'isola di Lesbo.

Sempre stamattina fonti della Guardia Costiera greca hanno comunicato che tre bambini e una donna, di cui non si conoscono le nazionalità, sono morti in un altro naufragio nel mar Egeo, vicino all'isola di Kalymnos. Altri 11 migranti sono stati salvati mentre un quarto bambino risulta ancora disperso.Secondo l'Organizzazione internazionale delle Migrazioni, Oim, dall'inizio dell'anno, sono oltre 300 imigranti annegati nel Mar Egeo in fuga da conflitti e povertà dei loro Paesi di origine.

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Portogallo: 50 istituzioni cattoliche accolgono i rifugiati

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Sono 115 le istituzioni, di cui circa 50 cattoliche, che in Portogallo hanno dato disponibilità ad accogliere i rifugiati. E’ quanto è emerso a Lisbona dalla prima Assemblea generale della Piattaforma di sostegno ai rifugiati (Par), un’associazione fondata lo scorso settembre per promuovere alternative ai centri di accoglienza, coinvolgendo la società civile nell’aiuto ai rifugiati. Nella lista di queste 115 istituzioni – riferisce l’agenzia Ecclesia - si segnala la presenza di diverse Caritas diocesane, congregazioni religiose, centri sociali parrocchiali, associazioni e scuole legate alla Chiesa cattolica. In questa prima fase, sarà possibile accogliere 85 famiglie, per un totale di 420 persone. Tuttavia, in seguito, il numero potrebbe aumentare. L'Alto commissario per le Migrazioni del governo portoghese, Pedro Calado, presente all’evento ospitato dall’Università di Lisbona, ha osservato che l'adesione e il lavoro della Piattaforma è un motivo di ispirazione per la pubblica amministrazione, in un momento in cui "è necessario dare vita ad una strategia comune, ad un piano nazionale" per l'integrazione dei rifugiati. In questo senso, ha aggiunto che è “fondamentale” avere un interlocutore come la Par per “elaborare una strategia coerente allargata di fronte alle sfide che il Portogallo deve affrontare nelle prossime settimane”. Da parte sua, il coordinatore e promotore della Piattaforma, Rui Marques, ha espresso soddisfazione per il fatto che "in meno di un mese e mezzo" possa essere già operativa una "soluzione che converge con lo sforzo che lo Stato portoghese dovrebbe fare". Rui Marques ha anche sottolineato che l'accoglienza e l'integrazione dei rifugiati "non è solo un problema logistico, è molto di più: è una questione di civiltà”. (L.Z.)

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Svizzera: i vescovi incontrano delegazione iraniana

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Una delegazione di alti rappresentanti istituzionali e delle università dell’Iran sarà in visita in Svizzera per quattro giorni – dal 19 al 22 ottobre – per incontrare la Conferenza episcopale locale (Ces). Al centro degli incontri, l’importanza della religione nella società. A guidare la rappresentanza, che sarà accolta dal Gruppo di lavoro “Islam” dell’episcopato svizzero (Gti), sarà Abouzar Ebrahimi, presidente dell’Organizzazione per la cultura islamica e le relazioni (Icro). Per Erwin Tanner, segretario del Gti, il dialogo con la delegazione iraniana offrirà un contributo alla coabitazione pacifica tra comunità religiose e sarà all’insegna della solidarietà con le minoranze cristiane in Iran. Durante i colloqui, si parlerà di relazioni tra Stato e religione, secolarità e libertà religiosa nel contesto degli avvenimenti attuali, importanza della religione per lo Stato. Il Gruppo di lavoro “Islam” è nato nel 2001 ed ha come obiettivo la promozione del dialogo islamo-cristiano; si propone in particolare di aiutare gli operatori pastorali in Svizzera ad affrontare questioni che riguardano la convivenza fra cristiani e musulmani. Presidente ne è mons. Alain de Raemy, vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 290

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.