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Sommario del 15/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: no ai controllori della salvezza, l’amore di Dio è gratuito

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Guardarsi dai dottori della legge che accorciano gli orizzonti di Dio e rendono piccolo il suo amore. E’ uno dei passaggi dell’omelia di Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, incentrata sul comandamento dell’amore e la tentazione di voler essere controllori della salvezza. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Una delle cose più difficili da capire, per tutti noi cristiani, è la gratuità della salvezza in Gesù Cristo”. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia sottolineando che già San Paolo aveva trovato grandi difficoltà nel far comprendere agli uomini del suo tempo che questa è la vera dottrina: “la gratuità della salvezza”. “Noi – ha osservato il Pontefice – siamo abituati a sentire che Gesù è il Figlio di Dio, che è venuto per amore, per salvarci e che è morto per noi. Ma lo abbiamo sentito tante volte che ci siamo abituati”. Quando entriamo nel mistero di Dio di “questo amore senza limiti”, ha soggiunto, rimaniamo “meravigliati” e, forse, “preferiamo non capirlo”.

Non accorciare gli orizzonti di Dio, il suo amore non ha limiti
Fare ciò che “Gesù ci dice di fare – ha ripreso – è buono e si deve fare”, ma questa è “la mia risposta alla salvezza che è gratuita, viene dall’amore gratuito di Dio”:

“Anche Gesù sembra un po’ accanito contro questi dottori della legge, perché gli dice cose forti. Gli dice cose forti e molto dure. ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza, voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi glielo avete impedito, perché avete portato via la chiave’, cioè la chiave della gratuità della salvezza, di quella conoscenza”.

E questi dottori della legge, ha proseguito Francesco, “soltanto pensavano che rispettando tutti i comandamenti ci si poteva salvare, e chi non faceva quello era un condannato”. Così, “accorciavano gli orizzonti di Dio e facevano l’amore di Dio piccolo, piccolo” alla “misura di ognuno di noi”. Questa, ha detto ancora, è “la lotta che sia Gesù sia Paolo fanno per difendere la dottrina”.

Non diventare controllori della salvezza
Certo, ha osservato, ci sono i comandamenti, ma la sintesi di tutto è “amare Dio e amare il prossimo”. E con questo “atteggiamento di amore”, ha affermato il Papa, “noi siamo all’altezza della gratuità della salvezza, perché l’amore è gratuito”. “Se io dico ‘ah, io ti amo’, ma ho un interesse dietro – ha ammonito – quello non è amore, quello è interesse”:

“E per questo Gesù dice: ‘L’amore più grande è questo: amare Dio con tutta la vita, con tutto il cuore, con tutta la forza, e il prossimo come te stesso’. Perché è l’unico comandamento che è all’altezza della gratuità della salvezza di Dio. E poi aggiunge Gesù: ‘In questo comandamento ci sono tutti gli altri, perché quello chiama - fa tutto il bene – tutti gli altri’. Ma la fonte è l’amore; l’orizzonte è l’amore. Se tu hai chiuso la porta e hai portato via la chiave dell’amore, non sarai all’altezza della gratuità della salvezza che hai ricevuto. Questa lotta per il controllo della salvezza – soltanto si salvano questi, questi che fanno queste cose – non è finita con Gesù e con Paolo”.

Quest’anno, ha detto Francesco, ricorrono i 500 anni della nascita di Santa Teresa d’Avila che festeggiamo oggi. Una mistica, una donna, ha affermato, cui “il Signore ha dato la grazia di capire gli orizzonti dell’amore” e “anche lei è stata giudicata dai dottori dei suoi tempi”. Quanti “santi – ha rilevato – sono stati perseguitati per difendere l’amore, la gratuità della salvezza, la dottrina. Tanti santi. Pensiamo a Giovanna d’Arco”.

Non lasciarsi ingannare da chi vuole limitare l’amore di Dio
Questa lotta, ha ripreso, “non finisce, anche è una lotta che noi portiamo dentro. E ci farà bene oggi domandarci: io credo che il Signore mi ha salvato gratuitamente?”. Ancora, “io credo che io non merito la salvezza? E se merito qualcosa è per mezzo di Gesù Cristo e di quello che Lui ha fatto per me?”:

“Facciamoci oggi queste domande, soltanto così saremo fedeli a questo amore tanto misericordioso: amore di padre e di madre, perché anche Dio dice che Lui è come una madre con noi; amore, orizzonti grandi, senza limiti, senza limitazioni. E non ci lasciamo ingannare dai dottori che limitano questo amore”.

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Papa a Paris Match: "Proteggere l'uomo dall'auto-distruzione"

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Cambiamenti climatici, crisi internazionali, povertà e minacce contro i cristiani: Papa Francesco, in un’intervista al settimanale francese Paris Match, ribadisce ancora una volta le linee guida del suo Pontificato, senza mai dimenticare però di essere stato “un prete di strada”. Francesca Sabatinelli: 

Come fare per proteggere l’uomo dalla sua distruzione? “Rinunciando all’idolatria del denaro, rimettendo al centro l’essere umano, la sua dignità, il bene comune, il futuro delle generazioni che popoleranno la Terra dopo di noi”, che altrimenti saranno destinate a vivere su un “cumulo di macerie e di sporcizia”. Francesco risponde in modo diretto a tutte le domande, anche alle più personali, quando spiega la nostalgia per una passeggiata tra le strade di Roma e una pizza con gli amici. 

Francesco, però, soprattutto ribadisce, così come indicato dalla Laudato sì', la sua ferma convinzione del profondo legame tra l’eliminazione della povertà e la salvaguardia del creato. “I cristiani – spiega Francesco – sono inclini al realismo non al catastrofismo”, per questo “non possiamo nasconderci un’evidenza: il sistema mondiale attuale è insostenibile”. Di qui la speranza del Papa che il summit sul clima di Parigi, a dicembre, possa contribuire a “scelte concrete, condivise” e, per il bene comune, con una visione a lungo termine. “La nostra casa comune è inquinata, non cessa di deteriorarsi – è l’avvertimento - c’è bisogno dell’impegno di tutti, occorre proteggere l’uomo dall'auto-distruzione”.

Interpellato sulla tragedia che vivono le comunità cristiane d’Oriente, minacciate dalla violenza fondamentalista islamica, Francesco risponde che “non ci si può rassegnare di fronte al fatto che queste comunità, oggi minoritarie nel Medio Oriente, siano costrette ad abbandonare le loro case, le loro terre”. Di fronte a questo, “si ha il dovere umano e cristiano di agire”, non si possono dimenticare le cause che hanno provocato tutto ciò, e neanche “l’ipocrisia dei potenti della terra, che parlano di pace ma che, subdolamente vendono le armi”. Per risolvere la tragedia dei rifugiati, ciò che occorre, quindi, è “agire a favore della pace, e lavorare concretamente sulle cause strutturali della povertà”. Inoltre, aggiunge, “capitalismo e profitto non sono diabolici se non vengono trasformati in idoli. Non lo sono se restano strumenti”. La rovina delle società si rischia se “denaro e profitto a tutti i costi divengono feticci da adorare, se l’avidità è alla base del nostro sistema sociale ed economico”.

Sulla prossima canonizzazione, il 18 ottobre, dei genitori della Santa Teresa di Lisieux, Francesco parla di “una coppia di evangelizzatori che hanno testimoniato la bellezza della fede in Gesù”.

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Sinodo, briefing: dibattito sui divorziati risposati

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Sono stati 93 gli interventi in Aula al Sinodo sulla terza parte dell’Instrumentum laboris, tra ieri e stamattina. Lo ha riferito padre Federico Lombardi nel quotidiano briefing con i media. Con oggi pomeriggio, ha detto inoltre, dovrebbe chiudersi il dibattito generale sulla terza parte. Domani sono previste le audizioni dei delegati fraterni, degli uditori e delle uditrici. Il servizio di Alessandro de Carolis

Un cammino specifico per i divorziati risposati. Quello che è uno dei punti più delicati in discussione al Sinodo sulla famiglia è stato al centro degli ultimi interventi di molti padri tanto in Aula, quanto del confronto all’interno dei Circoli minori. Diversi gli approcci sulla questione. Per alcuni la premessa si fonda sulla necessità di una riproposizione chiara degli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio, e dunque un atto di tutela della dottrina, giacché – si è sostenuto – la Chiesa non ha il potere di aumentare né di diminuire la Parola di Dio. Per altri, è stato evidenziato come la sequela di Cristo non possa tradursi in una esclusione permanente delle persone dai Sacramenti – quasi che, ha osservato qualcuno, i sacerdoti siano funzionari addetti al controllo dei fedeli – poiché la lontananza in particolare dall’Eucarestia viene considerata una “privazione grave”.

Un percorso in discussione
Centrale in questo percorso la possibilità, già evocata, di individuare per i divorziati risposati un accesso non indiscriminato ai Sacramenti ma consentendo un approccio personalizzato, come riassunto da padre Bernd Hagenkord:

“Serve un cammino di discernimento ben strutturato per i divorziati e risposati, per lasciarli prendere la loro decisione, nella loro coscienza. La via penitenziale è stata discussa: questo progetto che nasce dall’intervento del cardinale Kasper, un anno e mezzo fa, perché in ogni caso il Sacramento della Penitenza precede il Sacramente dell’Eucaristia: è chiamato la via penitenziale. E’ stata proposta una valutazione delle situazioni caso per caso e una limitazione di una tale ammissione per casi particolarmente significativi”.

Abbandonare il linguaggio scolastico
E’ stato sollevato il bisogno di una ristrutturazione della pastorale familiare nelle parrocchie, che possa valersi della presenza di associazioni e Movimenti e, se possibile, di piccole comunità di famiglie locali che diano sostegno – con quello che alcuni hanno definito il loro specifico “ministero dell’accoglienza” – ad altre famiglie ferite, con iniziative pastorali concrete e non basate su “eventi”:

“Un argomento frequentemente discusso è l’esigenza di una formazione coerente, di una nuova metodologia. Nella catechesi c’è l’esigenza di abbandonare il linguaggio scolastico che parla di un ‘corso di matrimonio’, in favore di ‘essere in cammino insieme’.

In particolare, perché la pastorale familiare risulti efficace, alcuni interventi hanno sollecitato una cura particolare per i futuri sacerdoti. Molti, si è detto, provengono spesso da famiglie disastrate e se non li si aiuta a comprendere la bellezza del matrimonio cristiano potrebbero – è stato rilevato con lucidità – avere loro per primi problemi nei riguardi delle vocazione delle famiglie.

Matrimoni misti, bellezza non solo problemi
Molto sentito, in particolare da molti Padri sinodali africani e asiatici, il tema dei matrimoni misti, tra cattolici e musulmani. È stato chiesto che il Sinodo indichi misure che tutelino la parte cattolica, specie le donne, poiché in molte circostanze nel matrimonio con un islamico alla donna viene richiesto di abbandonare la propria religione pena il ripudio. Tuttavia, sul punto padre Lombardi ha evidenziato:

“Va presentato l’aspetto positivo di questi matrimoni, come una possibilità di vivere il dialogo in senso positivo. L’Instrumentum lo deve far vedere non solo come un luogo di problemi, ma anche  come un luogo positivo di dialogo, di annuncio dell’amore. Certamente sono state presentate situazioni non facili, sia nel contesto musulmano, sia anche in altri contesti asiatici. E quindi c’è una serie quantità di problemi che le Conferenze episcopali, in questi casi, chiedono un po’ anche di poter affrontare con delle specificità”.

Motu proprio a servizio della pastorale
Lo stesso padre Lombardi ha voluto porre in risalto, tra gli interventi in Aula, le osservazioni relative alle decisioni di Papa Francesco che riformano il processo di nullità:

“Qualcuno ha parlato del Motu proprio, della riforma recente sul processo del riconoscimento di nullità, in particolare parlando dell’importanza della formazione degli operatori nel campo giuridico e del fatto che il giudizio giuridico sulle situazioni matrimoniali è un servizio pastorale importante. Ecco, va visto non come un’altra cosa, ma come un aspetto – anche questo – del servizio pastorale”.

Formazione dei fidanzati
Una parola di sollievo è stata richiesta dal Sinodo per le coppie che non hanno figli, con una sottolineatura sull’importanza dell’adozione. Mentre sul tema della formazione dei fidanzati è stato suggerita, ad esempio, la creazione di corsi base on line sulla preparazione al matrimonio. Molti gli argomenti evocati di vario genere – dai matrimoni per gli immigrati irregolari al fenomeno della tratta delle donne, compresa l’influenza del terrorismo sulla disgregazione di molte famiglie nelle zone dove agisce il cosiddetto Stato islamico.

"Instumentum laboris", documento da perfezionare
Ospite in Sala Stampa vaticana, mons. Stanisław Gądecki, arcivescovo di Poznan e presidente dei vescovi polacchi, che ha ribadito l’importanza di accompagnare le coppie di divorziati risposati secondo quanto previsto dalla dottrina vigente e a una domanda di un giornalista che gli chiedeva di valutare l’Instrumentum Laboris ha replicato:

“Alcuni si sono espressi anche per una revisione abbastanza fondamentale del testo dell’Instrumentum Laboris; altri dicevano, invece, che bisogna cambiare le parole, qua e là approfondire i concetti, senza cambiare tutto. Il mio parere è che quell’Instrumentum Laboris potrebbe essere molto meglio organizzato rispetto a quello che è”.

Una sola volta "perdono"
E a proposito di “Instumentum laboris”, padre Lombardi ha riferito un’osservazione “spiritualmente significativa” fatta da un Padre sinodale, il quale ha notato che in tutto il documento la parola “perdono” si cita una sola volta. “Forse è un po’ poco – ha soggiunto il portavoce vaticano – perché questo oltre a essere un aspetto fondamentale delle relazioni tra esseri umani è il cardine del messaggio cristiano, la misercordia. Un aspetto confermato dall’altro ospite al briefing, mons. Carlos Aguiar, arcivescovo di Tlalnepantla, in Messico, fino a poco tempo fa presidente del Celam:  

"El Santo Padre muestra, con el Año Jubilar de la Misericordia, l’actitud de la Iglesia...
Il Santo Padre mostra, col Giubileo della Misericordia, qual è l’atteggiamento della Chiesa, con misericordia per tutti. Ebbene, questo amore che viene manifestato nel mondo deve arrivare a tutti, nel modo migliore. E questo è il disegno di Dio. Però il disegno di Dio non viene realizzato in un unico modo, ma ci sono varie situazione che cambiano: come, per esempio, situazioni di divorzio, di persone risposate, di madri abbandonate, di madri che sono in stato interessante senza essere sposate, famiglie monoparentali… Però ovviamente è importante esercitare la misericordia per tutte queste persone da parte della Chiesa, sempre alla luce dell’amore del Signore”.

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Card. Pell: al Sinodo clima buono, verso consenso su maggioranza temi

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Posizioni diverse su alcuni temi, ma clima di fraternità e dialogo. Così i Padri sinodali descrivono l’atmosfera di questi giorni al Sinodo sulla famiglia definendo false le ricostruzioni di certa stampa che vorrebbe un dibattito segnato da conflitti e veleni. Al microfono del nostro inviato al Sinodo Paolo Ondarza sentiamo il cardinale George Pell, prefetto della segreteria per l’Economia: 

R. – Il clima è molto buono. Facciamo, secondo me, progressi sostanziali sulla grandissima maggioranza dei temi. C’è già un visibile consenso.

D. – La concentrazione, perlomeno per chi guarda da fuori, questo Sinodo è sui temi della Dottrina della misericordia, talvolta posta in antitesi, in contrasto tra chi sostiene che la dottrina non sarà toccata e chi sostiene che andrebbe potenziato un atteggiamento di pastorale misericordiosa. Che cosa può dirci al riguardo?

R. – Ovviamente ci sono accenni differenti su alcuni di questi temi. Ugualmente, è ovvio che il Santo Padre dica che la dottrina non sarà toccata. Siccome noi parliamo della dottrina morale, sacramentale, in questa ovviamente c’è un elemento essenziale della prassi, della disciplina. Qualcuno dice che ricevere la Comunione in un Paese potrebbe essere un sacrilegio e in un altro potrebbe essere un’opportunità o una causa di grazia, ma siamo una Chiesa unita: tante teologie, tanti e diversi metodi di preghiera, di devozione, ma c’è un’unità essenziale sulla dottrina e sui sacramenti. Seguiamo Cristo e San Paolo in questo e tutta la storia della Chiesa.

D. – Esclude, quindi, che possa essere trovata una soluzione che, a seconda dei contesti geografici ad esempio, preveda eccezioni per quanto riguarda l’accesso alla Comunione per i divorziati risposati, se non subito dopo un periodo di accompagnamento spirituale verso queste persone?

R. – Io vengo dalla lontana Australia. Come viviamo noi la nostra fede è ben diverso dalla Chiesa in Africa, in Sud America e in Asia. Ma sui punti essenziali della dottrina e sui sacramenti, specialmente la Comunione, ovviamente l’unità, dal punto di vista dell’insegnamento, è essenziale.

D. – Va detto che, quantomeno, c’è una pluralità di contributi qui al Sinodo, che rispecchiano anche le diverse sensibilità su certi temi, e questa pluralità viene molto spesso enfatizzata fuori dalla stampa: la fotografia è quella di un Sinodo come insieme di opinioni contrastanti, quasi un clima velenoso all’interno dell’aula…

R. – Questa interpretazione è del tutto sbagliata. Ovviamente su questi punti ci sono approcci diversi, ma i giornalisti da fuori vogliono mostrare una crisi causata dalle differenze, un po’ di caos, un clima di esasperazione. Non c’è niente di questo. Ovviamente, come ho detto, ci sono divergenze, ma soltanto, principalmente, sul capire la dottrina, sul come seguire la dottrina, su quale sia la disciplina dei sacramenti.

D. – Divergenze sulle questioni che riguardano appunto la questione della Comunione ai divorziati-risposati, ma anche sulla questione delle coppie omosessuali?

R. – Sì, ma gruppo dopo gruppo, nelle relazioni, si dice chiaramente che il matrimonio è fra uomo e donna, aperto alla vita, e seguiamo non soltanto tutta la storia della Chiesa, ma anche l’insegnamento di Gesù stesso del Nuovo Testamento.

D. – L’approccio del Sinodo, dunque, è quello di una Chiesa che continua ad illuminare, ad essere luce per l’umanità, non tanto di una Chiesa che a partire dalle richieste dell’uomo, che cambiano a seconda dei contesti storici, deve mutare la dottrina…

R. – La Chiesa è come una madre e maestra. E una madre saggia non sempre dà ai figli tutte le cose che loro vogliono. Perché la madre è molto interessata non soltanto ai deboli ma a tutti i figli e vuole lavorare per mantenere la salute della famiglia.

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Mons. Forte: Chiesa viva e libera, nessun complotto

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Sul clima che si sta vivendo ai lavori sinodali, Fabio Colagrande ha intervistato mons. Bruno Forte, segretario speciale del Sinodo: 

R. – A me sembra che ci sia un clima di grande coinvolgimento di tutti i Padri. Papa Francesco ci ha chiesto di parlare con estrema libertà di tutto. Precisò all’inizio del Sinodo straordinario: “Non c’è nulla di cui non si possa parlare”. E questo si sta realizzando e credo che sia molto costruttivo, perché mostra una Chiesa viva, corresponsabile e partecipe. Tradurre questa partecipazione e questo coinvolgimento in uno spirito di complotti o di divisioni, mi sembra che sia una forzatura di chi guarda solo dall’esterno le cose, senza viverle dal di dentro. Non dimentichiamo che siamo tutti uomini di fede, che sentono responsabilità verso Dio e verso i fratelli. E questo ci unisce ben più fortemente di tutte le possibili ed ipotetiche contrapposizioni partitiche che vorrebbe applicarci.

D.  – La dottrina cattolica sul matrimonio, sulla famiglia non è in discussione, ha dovuto ribadire il Papa nei primi giorni di lavoro. Dunque, quali proposte possono arrivare dal Sinodo?

R. – Oltre che proporre il valore e la bellezza della famiglia, articolandone il significato in modo speciale in risposta alle esigenze e alle sfide del nostro tempo, io credo che una via pastorale molto concreta sia quella che si articola anzitutto nello stile dell’accompagnamento, che significa accoglienza di tutti, compagnia della vita e della fede, dunque vicinanza, ascolto, condivisione; poi  un impegno di integrazione per tutti, perché i carismi e i ministeri di ciascuno siano valorizzati. Ed è nell’ottica di questo cammino di accompagnamento e di integrazione che va valutata anche la diversa forma e intensità di partecipazione di tutti i battezzati, specialmente di quelli che vengono da famiglie ferite, anche nella vita sacramentale della Chiesa.

D. – Una Chiesa che deve essere maestra – si è detto nei Circoli minori – ma anche madre. E’ qui che si vede anche il collegamento con il prossimo Giubileo della Misericordia…

R. – La misericordia è il cuore del Vangelo: una Chiesa che non fosse esperta di misericordia, che non la vivesse e l’annunciasse a tutti, senza distinzioni, non sarebbe fedele neanche al Vangelo. Chi vuole contrapporre verità e misericordia dimentica che la verità del Dio cristiano è l’amore del Dio Trino: dunque la misericordia come centro, cuore, punto di inizio e di orientamento di tutto ciò che noi viviamo. Papa Francesco ce lo ha ricordato in "Misericordiae Vultus". Questo Sinodo sta cercando di capire come questo primato della misericordia possa essere applicato in tutte le forme di vita pastorale nei confronti della famiglia e in particolare delle famiglie ferite.

D. – Un Sinodo che è anche per i pastori presenti un’occasione di ascolto delle famiglie?

R. – Le famiglie sono anche presenti al Sinodo: mi sembra che siano 18, quelle che sono state invitate… Ma, al di là di questo, non dimentichiamo che ognuno di noi, pastore nella propria diocesi, è a contatto con migliaia e migliaia di famiglie. Dunque portiamo nella nostra carne e nel nostre cuore le realtà familiari. Non siamo persone disinteressate o lontane. Questo va ricordato sempre: i membri del Sinodo sono vescovi, i vescovi sono pastori e i pastori sono quelli che sono al servizio di un popolo che amano e che vogliono portare a Dio. Se si tiene presente questo, allora la chiave di lettura di molte delle cose, che i media a volte forzano, viene posta nella giusta luce e le cose si capiscono meglio.

D. – Infine, qual è la strada per trovare una sintesi di fronte a delle divergenze, che pur ci sono come sul tema che lei citava relativo all’Eucaristia per i divorziati e i risposati…

R. – La via è quella di camminare in profonda comunione con Papa Francesco, con il primato del Vangelo  e della grazia, con la gradualità dell’accompagnamento e dell’integrazione. Credo che su questo si potrà trovare un consenso ampio e sarà poi il Santo Padre a definirne le forme in materia concreta, perché è lui il presidente del Sinodo,  cui consegneremo il frutto del nostro lavoro.

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Mons. Auza: fede è forza anti-terrorismo, basta barbarie

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La Santa Sede è molto preoccupata per la “manipolazione della religione per promuovere attività terroristiche”. E’ quanto affermato da mons. Bernardito Auza alle Nazioni Unite di New York. L’osservatore della Santa Sede presso il Palazzo di Vetro ha ribadito, richiamando Papa Francesco, che mai la religione va presa a pretesto per commettere atti di violenza. Ancora, ha evidenziato che una fede genuina è una “fonte di unità e forza contro il terrorismo fondamentalista e incoraggia gli individui e le società a optare per modi non violenti” di denuncia e per ottenere giustizia. Mons. Auza non manca di ricordare che, nell’ultimo anno, siamo stati testimoni di una “drammatica evoluzione” delle azioni terroristiche che sono arrivare a forme di barbarie “mai viste prima”.

La Santa Sede, ha proseguito il presule, ritiene che non bastino “armi sofisticate” per sconfiggere il terrorismo né “un’applicazione arbitraria di azioni unilaterali”. E’ invece necessario rafforzare il dialogo ad ogni livello, promuovere l’educazione dei giovani, impegnare le comunità locali contro i rischi della radicalizzazione. E ancora, rafforzare la “diplomazia preventiva” e gli sforzi di peacekeeping. L’arcivescovo Auza ha avvertito che “la libertà di parola, la libertà religiosa, la libertà dalla miseria e la libertà dalla paura” sono libertà fondamentali che i terroristi “aborrono”. “Queste libertà fondamentali – ha concluso – sono proprio quelle che dobbiamo custodire”. (A.G.)

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Rinunce e nomine episcopali

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In Malawi, Papa Francesco ha nominato vescovo della Diocesi di Zomba padre George Desmond Tambala, carmelitano, definitore generale del suo Ordine. Il neo presule è nato l’11 novembre 1968 nella Diocesi di Zomba. Dopo aver frequentato le scuole primarie a Ulongwe, è stato ammesso nel Seminario Minore Nankhunda Child Jesus di Zomba. Entrato nella Comunità dei PP. Carmelitani nel 1990, ha svolto il Noviziato a Enugu, in Nigeria, e nel 1991 ha emesso la Prima Professione religiosa. Ha seguito il biennio filosofico nel Seminario Inter-Congregazionale di Balaka, e completato gli studi teologici al Tangaza College di Nairobi, in Kenya. Ha emesso la Professione Solenne il 15 agosto 1995, nel Carmelo del Malawi, ed è stato ordinato sacerdote il 13 aprile 1996. Dopo l’ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1996-1998: Vicario parrocchiale a Kapiri, nell’Arcidiocesi di Lilongwe, in Malawi; 1998-2000:  Studi in Spagna (Avila e Vitoria) per la Licenza in Teologia: 2000-2002: Maestro dei Postulanti e docente di Spiritualità presso il Seminario Inter-Congregazionale di Balaka; 2002-2008: Superiore e Delegato Provinciale dai Carmelitani in Malawi e Vice-direttore del Centro di Spiritualità St. John of the Cross in Nyungwe-Blantyre; 2009-2015: Definitore dei PP. Carmelitani, incaricato dell’Africa e del Madagascar. Dal 2015: Definitore dei PP. Carmelitani, incaricato per Navarra-Malawi. È stato presidente dell’Associazione dei Superiori Maggiori del Malawi (A.M.R.I.M.).

La Diocesi di Zomba (1959), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Blantyre. Ha una superficie di 3.232 kmq e una popolazione di 822.450 di abitanti, di cui 232.976 sono cattolici. Ci sono 15 parrocchie. Vi sono 42 sacerdoti, di cui 39 Diocesani e 3 Religiosi, oltre a 12 Fratelli Religiosi, 69 Suore e 24 Seminaristi.

La Diocesi di Zomba, è vacante dal 21 novembre 2013, a seguito del trasferimento di S.E. Mons. Thomas Msusa, S.M.M., alla Sede Metropolitana di Blantyre.

A Panama, il Pontefice ha nominato vescovo di Penonomé padre Edgardo Cedeño Muñoz, dei Padri Verbiti, finora parroco della Parrocchia “Virgen de la Medalla Milagrosa” a Panama. è nato a Panama il 18 gennaio 1960. Ha fatto gli studi di Filosofia a Bogotá (Colombia), presso il  “Centro de Estudios de Pastoral y Filosofia” CEPAF e quelli di Teologia all'Università Javeriana di Bogotá. Ha frequentato corsi di Orientamento e "Counseling" spirituale a Rio de Janeiro (Brasile). Mons. Cedeño Muñoz ha emesso i voti perpetui nella Congregazione dei Verbiti (SVD) il 19 marzo 1988 ed è stato ordinato sacerdote il 28 ottobre 1989. Destinato in Uruguay, tra il 1990 e il 1994, ha lavorato in parrocchia a Montevideo, è stato Vicario per la pastorale giovanile del vicariato nord e Superiore del distretto di Uruguay (1992 e 1993). Eletto nel 1995 Consigliere provinciale della Provincia Colombia - Panama, ha lavorato come Formatore degli aspiranti (1995-1997), Superiore Provinciale (1998-2001), Formatore dei filosofi e prenovizi (2002-2004), Economo provinciale , Cappellano del Collegio delle Suore di Maria Regina della Pace a Bogotá (2005-2007) e Parroco di San Girolamo a Panama (2007-2008). Dal 2009 al 2011 è stato Parroco a Palacaguina in Nicaragua ed Economo regionale della regione Centroamericana (Panama, Nicaragua e Costa Rica). Dal 2011 è Parroco della Parrocchia “Virgen de la Medalla Milagrosa” a Panama.

In Colombia, il Papa ha nominato vescovo di Mocoa - Sibundoy il sacerdote Luis Albeiro Maldonado Monsalve, del clero dell’arcidiocesi di Medellín, finora Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora del Rosario” a Bello e Vicario Episcopale della Zona Nord dell’arcidiocesi. Mons. Maldonado Monsalve è nato a Fredonia, diocesi di Caldas, il 20 gennaio 1958. Ha compiuto la formazione sacerdotale presso il Seminario Maggiore di Medellín, frequentando gli studi di Filosofia e di Teologia nell’Università Pontificia Bolivariana. Ottenne la Licenza in Teologia Spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale da San Giovanni Paolo II a Medellín il 5 luglio 1986, incardinandosi nell’arcidiocesi di Medellín. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi: Formatore nel Seminario Maggiore, Amministratore Parrocchiale della Parrocchia “San Simón, Apóstol” a Medellín, Parroco della Parrocchia “San Rafael” a Envigado, Direttore Spirituale nel Seminario Maggiore, Professore e Cappellano nell’Università Pontificia Bolivariana, Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora de las Nieves” a Medellín, Parroco della Parrocchia “Sagrada Familia” a Medellín e Parroco della Parrocchia “Santa Ana” a Sabaneta. Dal 2005 è membro dell’équipe arcidiocesano per la pastorale sacerdotale, dal 2007, Amministratore della Fondazione autonoma sacerdotale “Padre Arcila” e, dal 2011, Parroco della Parrocchia “Nuestra Señora del Rosario” a Bello e Vicario Episcopale della Zona Nord dell’arcidiocesi.

In Tanzania, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Mtwara, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Gabriel Mmole. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Titus Joseph Mdoe, finora ausiliare dell’Arcidiocesi di Dar-es-Salaam.

In Slovacchia, il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Spiš, presentata da monsignor Andrej Imrich, in conformità ai canoni 411 e 401 – par. 2 del Codice di Diritto Canonico.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Relazioni dei Circoli minori durante il sinodo sulla famiglia.

L'intervista di Papa Francesco a Paris Match.

Chi ha portato via la chiave: Messa a Santa Marta.

Massima tensione: il leader palestinese Abbas accusa Israele mentre sale l'allerta per possibili nuovi attentati.

Oltre le promesse: il Consiglio europeo e la sfida dell'immigrazione.

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Oggi in Primo Piano



Asia Bibi in isolamento, nuove minacce di morte

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Asia Bibi, la donna cristiana pakistana nel braccio della morte dal 2010 per blasfemia, è stata messa in isolamento per garantirne la sicurezza e una maggiore tutela, viste le sue precarie condizioni di salute. Purtroppo il suo non è un caso isolato in Pakistan: nel 2014 nel Paese sono stati ben 1400 i casi di accusa per blasfemia e negli ultimi giorni, nella provincia del Punjab, si sono verificate nuove violenze e nuovi arresti di cristiani accusati falsamente. Proprio qui, con un’ordinanza parlamentare, è stato tolto il diritto di voto alle minoranze per le prossime elezioni previste tra due anni. Al microfono di Roberta Barbi, fa il punto sulla situazione il prof. Mobeen Shahid, docente di Storia e del pensiero islamico presso la Pontificia Università Lateranense e segretario dell’Associazione Pakistani cristiani in Italia: 

R. - Asia Bibi è stata minacciata dopo la conferma della sentenza di morte da parte della Corte Suprema per Mumtaz Qadri, che ha ucciso il governatore Salman Taseer, e questo solo perché ha commentato che la legge sulla blasfemia è una legge nera, che sta facendo vittime innocenti nella società pakistana.

D. – Di recente sono emerse preoccupazioni sulle condizioni di salute e psicologiche della donna…

R. – Il problema della salute di Asia Bibi è legato al suo isolamento, è legato al fatto che tutti questi anni è sempre sola e continua a vivere in uno stato di stress, non ha neanche potuto partecipare ai matrimoni di suo figlio e di sua figlia… è sempre in prigione. L’ultima volta è potuto andare solo suo padre a visitarla. Ma questa distanza ha avuto anche una forte influenza sulla salute psicologica! A livello di sicurezza ha tutto, l’unica cosa è che ormai è debole anche a livello psicologico e non sa come andrà a finire la sua vicenda. Ho la certezza, da parte del marito e del tutore Mushtaq, che è stato provveduto, nel momento necessario, anche a un medico dell’ospedale militare, che in Pakistan rappresenta la migliore cura possibile, perché i medici militari hanno studiato anche nei Paesi europei e sono molto ben preparati.

D. – La famiglia di Asia Bibi ha chiesto il trasferimento in una prigione di Lahore. Questo è fattibile secondo lei?

R. – Certo, sarebbe meglio se venisse spostata nella prigione di Lahore, perché così almeno la famiglia potrebbe anche visitarla più spesso e darle anche un sostegno psicologico in questo periodo di attesa per l’udienza. È strano che ancora non sia stata fissata un’udienza da parte della Corte Suprema.

D. – Nel luglio scorso un tribunale pakistano aveva sospeso la sentenza di condanna a morte in attesa di un riesame da parte della Corte Suprema: a che punto è questo provvedimento?

R. – La sua condanna ha questa storia: la prima condanna fu della prima corte, quella di primo livello; poi l’appello fu fatto presso l’Alta Corte di Lahore - perché in Pakistan ci sono quattro regioni e ogni regione ha un’Alta Corte regionale, e questo sarebbe il secondo grado - il terzo grado, che è il livello più alto, è la Corte Suprema. Per cui non è che ha sospeso la condanna a morte, anzi, l’Alta Corte di Lahore ha confermato la condanna a morte di Asia Bibi, ora l’appello è presso la Corte Suprema, ma ovviamente la Corte Suprema del Pakistan ha le sessioni in ogni regione e quindi a livello regionale, nei capoluoghi, c’è anche la sessione della Corte Suprema. Ora, l’appello dal luglio scorso è presso la Corte Suprema, in attesa dell’udienza. Purtroppo ancora non c’è una data per l’udienza.

D. – Per paura di ritorsioni la famiglia di Asia Bibi vive da anni in clandestinità…

R. – Sì, in realtà vive in semi-clandestinità, anche perché due dei figli di Asia Bibi si sono sposati e tutto è successo in mezzo ai parenti e ai vicini…  Ovviamente ai figli manca la madre e loro vorrebbero averla fra loro, ma purtroppo finora non è stato possibile a causa proprio delle due conferme di condanna, sia da parte del tribunale di primo livello che da parte dell’Alta Corte di Lahore.

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P. Neuhaus: israeliani e palestinesi tornino a parlarsi

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Sempre più preoccupante la situazione a Gerusalemme. Una 'Giornata di collera' è stata indetta da Hamas in Cisgiordania e a Gerusalemme Est per domani al termine della preghiera islamica. Intanto ieri il Presidente palestinese Abu Mazen ha chiesto la protezione internazionale per la Spianata delle Moschee mentre il Segretario di Stato americano John Kerry ha annunciato che sarà presto in Medio Oriente per aiutare a riportare la calma tra israeliani e palestinesi. Sul clima di tensione nella regione, ascoltiamo il padre gesuita David Neuhaus, vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di espressione ebraica, al microfono di Antonella Palermo

R. – La situazione è molto triste… La tristezza si mescola a tanta paura. Gli ebrei vivono nella paura, i palestinesi vivono nella paura… Ieri ho parlato con un uomo che mi ha detto che sono tre giorni che non manda i bambini a scuola, perché ha paura di non vederli tornare vivi. Speriamo che il Santo Spirito ispiri i nostri capi affinché facciano passi in avanti e non indietro, perché per il momento non si vede niente in modo chiaro. Come sempre, dobbiamo andare un po’ più in fondo per vedere perché i nostri giovani - da entrambe le parti - sono presi da questa violenza, questo odio, questo rifiuto totale dell’altro. E andare in fondo per trovare le radici di questa situazione vuol dire anche capire un po’ la storia, ascoltare la voce dell’altro che parla delle sue ferite. È un lavoro duro…

D. – Ieri Mahmud Abbas ha detto che si rischia, a brevissimo, “un conflitto di religione”: è fondata questa preoccupazione?

R.  – Mah, la povera religione... La religione è usata, manipolata: è sempre stato così purtroppo in Terra Santa. Ma questa non è una guerra religiosa: qui c’è il problema del rifiuto dell’altro che, in fondo, non è tanto basato sulla religione, ma sull’appartenenza etnica e nazionale. Qui è una guerra tra israeliani e palestinesi, e qui la religione è stata sempre usata per giustificarsi. Fare entrare Dio in ogni formula politica è molto, molto pericoloso!

D. – L’imposizione di posti di blocco israeliani nelle zone palestinesi di Gerusalemme rappresenta, secondo lei, una reale misura di sicurezza?

R. – È difficile dirlo. Quello che è chiaro è che gli israeliani hanno paura e chiedono ai loro capi di prendere delle misure che sono basate su questa paura. Ma la reazione provocata dalla paura non può essere una soluzione: noi dobbiamo capire che qui c’è una situazione di decine di anni di occupazione militare; un popolo che non ha diritti. E aggiungere la pressione all’oppressione di questo popolo non sarà la soluzione! Sono stato molto, molto toccato quando il figlio di un uomo che è stato ammazzato sull’autobus l’altro giorno – un ebreo religioso – dopo il funerale del papà ha detto: “Noi non cerchiamo la violenza o la vendetta, per la morte del mio papà. Il mio papà è stato un uomo di dialogo, un uomo semplice… Perché noi non investiamo in questo dialogo, per cercare insieme la soluzione?”

D. – Come commenta il fatto che è stato deciso di demolire, entro poche decine di ore, le case degli arabi coinvolti nei recenti attacchi a Gerusalemme, e che sia stato anche deciso di revocare la residenza delle famiglie dei terroristi e di spedirle nei Territori occupati?

R. – Non soltanto ci sono anche altre reazioni: non dare i cadaveri di quelli che sono morti alle loro famiglie, impedendo loro di fare la sepoltura. Io sono israeliano, quindi dico “noi”, noi abbiamo da decine di anni queste reazioni basate sulla paura. Abbiamo provato tutto questo per decine, decine e decine di anni tantissime volte, e dobbiamo capire! Non siamo stupidi! Questo aggiunge odio, rifiuto. Dio ha messo questi due popoli qui: né l’uno né l’altro sparirà. Questo – credo – è il nemico più grande: quando i nostri capi dicono sempre che la vittoria è prossima e che dobbiamo resistere fino alla vittoria! Ma non ci sarà la vittoria! La vittoria ci sarà soltanto quando entrambi i popoli potranno sedersi insieme e parlare l’uno con l’altro: questa sarà la vittoria!

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Myanmar: cessate il fuoco tra governo e gruppi ribelli minori

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Nuovo accordo per un cessate il fuoco immediato in Myanmar. A firmarlo otto gruppi ribelli minori e il governo di Naypyitaw. Dall’intesa restano però fuori le principali formazioni ribelli dell’ex Birmania, tra cui i Kachin. “Lavoreremo ancora più duramente per farlo firmare a più formazioni possibili”, ha detto il presidente Thein Sein. Il Paese asiatico vive un momento cruciale, dopo l'apertura politica ed economica del 2011. C’è attesa per le elezioni del prossimo 8 novembre per il rinnovo del Parlamento, che poi porteranno alla nomina di un nuovo capo di Stato: favorito appare il partito di opposizione di Aung San Suu Kyi, che non ha però partecipato alla cerimonia per la firma dell’accordo, nonostante l’invito delle autorità. Nei mesi scorsi, inoltre, la stampa internazionale si era occupata del dramma dei musulmani Rohingya sfollati dal Myanmar, per i quali anche Papa Francesco aveva pregato. Della tregua appena firmata, Giada Aquilino ha parlato con Romeo Orlandi, vice presidente dell’associazione Italia-Asean, il gruppo di Paesi del Sud Est asiatico, di cui il Myanmar fa parte: 

R. – Sono gruppi etnici relativamente minori. Sono 8, tra i 15 armati che hanno organizzato una resistenza contro il governo centrale di Naypyitaw, la nuova capitale birmana. E’ un segnale positivo, perché ovviamente gli accordi di pace lo sono sempre, però bisogna essere prudenti nelle valutazioni. Infatti alcuni dei gruppi più importanti in termini di resistenza al governo non hanno firmato. Quello dei Kokang, al confine con la Cina, che è apparso più frequentemente nelle cronache recenti, non ha partecipato alle trattative. E comunque questi accordi devono essere ratificati dai Parlamenti dei singoli Stati che vorrebbero staccarsi o avere maggiore autonomia rispetto al governo centrale.

D. – L’intesa dunque non è stata firmata dalle principali formazioni ribelli dell’ex Birmania: tra queste anche i Kachin?

R. – Questo è un problema serio perché l’etnia Kachin è una delle più forti. In realtà tutta la Birmania è costellata da insorgenze, insurrezioni su base etnica, nazionalista e talvolta anche religiosa. Questo è un ‘difetto di origine’ della nascita del Paese, dalla sua indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948: una costellazione di popoli diversi tra loro sono stati messi insieme e governati con il pugno di ferro dalla maggioranza birmana, che detiene circa i due terzi della popolazione ma l’altro terzo è frastagliato e non ha trovato altra soluzione che imbracciare i fucili: perché la repressione, la durezza, soprattutto il nazionalismo del governo - che si evidenzia anche in alcune frange buddiste - è stata fortissima.

D. – Ha parlato di queste realtà molto differenti in Myanmar: nei mesi scorsi la stampa di tutto il mondo ha conosciuto meglio il dramma dei Rohingya: qual è la loro situazione?

R. – E’ una situazione disperata, perché sono la parte più povera del Paese, confinano il Bangladesh che è un Paese le cui condizioni economiche non sono floride e non è in grado di aiutare i profughi. Al contrario delle altre minoranze che sono scese in armi, i Rohingya non hanno una comune religione che possa costituire un elemento di coesione, i Rohingya sono musulmani, all’interno di uno Stato prevalentemente buddista. Per cui la situazione è di miseria, di repressione e di emigrazione verso Paesi musulmani vicini, come la Malesia e l’Indonesia, che spesso non li accolgono.

D. – Come si prepara invece il Paese al voto dell’8 novembre? Come si presentano ad esempio l’opposizione e il partito di Aung San Suu Kyi?

R. – Il partito di Aung San Suu Kyi si si presenta con i favori del pronostico. Dovrebbe ottenere una vittoria schiacciante, come quella che ha ottenuto alcuni decenni fa, prima di vederla cancellata dal colpo di Stato militare. Aung San Suu Kyi non potrà diventare presidente perché, sempre per il nazionalismo al quale facevamo cenno, chi ha sposato un cittadino straniero o ha dei figli stranieri - lei ha sposato un inglese e ha due figli inglesi - non può diventare presidente. Aung San Suu KYi ha comunque detto che è pronta a guidare il Paese, pure non da presidente. Recentemente si era diffusa la notizia che la giunta al governo - che è di derivazione militare e che comunque conserverà all’interno del prossimo Parlamento una fetta importante, garantita ai militari - avrebbe voluto rimandare le elezioni con il ‘pretesto’ delle alluvioni che ci sono state nel Paese. Poi questa decisione è rientrata. Anche per il ricordo di quello che è stato fatto precedentemente, c’è molta apprensione per queste elezioni ma c’è anche molta speranza. E’ verosimile che ci sia una vittoria larga della National League for Democracy e che Aung San Suu Kyi diventerà una figura di spicco.

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Giornata delle donne rurali: ruolo femminile decisivo per lo sviluppo

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Si celebra oggi la Giornata Internazionale delle donne rurali: rappresentano più di un quarto della popolazione mondiale e contribuiscono notevolmente al benessere familiare ed allo sviluppo delle economie rurali. Non senza problemi. Ce ne parla Davide Dionisi: 

Venti anni fa, a Pechino, a seguito della quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulla donna, nacque l’idea di celebrare una giornata dedicata a tutte coloro che, a vario titolo, erano impegnate nella produzione alimentare per mettere in rilievo anche le condizioni di difficoltà in cui spesso erano costrette ad operare. Oggi la Giornata Internazionale delle donne rurali ha assunto un significato diverso anche se le questioni che interessano le agricoltrici e le piccole imprenditrici appaiono ancora le stesse. Ma qual è il ruolo della donna oggi in questo settore. Ce lo ha spiegato, Gabriella Poli, presidente di Confagricoltura Donna:

R. – Il nostro ruolo è strategico sia per il carattere multifunzionale dell’agricoltura nei riguardi della sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale. L’Expo Milano 2015 ha sottolineato il ruolo della donna come nutrice della società: la donna depositaria delle regole, delle tecniche, delle arti che riguardano il cibo e la sua preparazione e anche per trasmettere questo sapere alle nuove generazioni. Quest’anno quindi abbiamo colto questa grande sfida: quella di alimentare il pianeta.

D. - Quali sono le questioni che riguardano il vostro mondo e che troppo spesso vengono sottaciute?

R. – Tra i principali temi che coinvolgono le donne e l’agricoltura rurale troviamo l’accesso alla terra, alla formazione, l’accesso al credito e la conciliazione dei tempi familiari e degli impegni di lavoro.

D. - Cosa vuol dire celebrare la Giornata internazionale della donna rurale?

R. – Le donne in agricoltura sono il sale della terra, da sempre hanno dato il loro contributo per la produzione di cibo sano e di qualità con cui sfamare i figli e la famiglia. Quindi è importantissimo questo loro ruolo. Di certo un solo giorno non basta per risolvere i problemi e le difficoltà che le donne devono affrontare nel mondo rurale. Si tratta comunque di un’iniziativa – quella di oggi – di sensibilizzazione importante, che se non ci fosse lascerebbe un vuoto.

D. - Quante sono le giovani che oggi scelgono di lavorare in questo ambito?

R. – Ci sono sempre più donne che si stanno avvicinando al settore agricolo e vorrei aggiungere che sono anche donne istruite e fortemente scolarizzate.

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Maltempo a Benevento, due morti. La Caritas ospita 35 famiglie

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Situazione drammatica in Campania e in Puglia per il maltempo. Nel beneventano ci sono due morti e il sindaco della città parla di "intera città martoriata". In Puglia, masserizie isolate mentre è deragliato un treno nella zona di Foggia. Alessandro Guarasci: 

Dopo aver lasciato il centro Italia, con danni soprattutto nel frusinate e nell’aquilano e tre morti, il maltempo ora sta colpendo il Sud. In Sicilia, nubifragi a Palermo dove un anziano ha rischiato di annegare perché la sua auto è stata travolta dall’acqua, ma anche nel messinese e nel trapanese, tante le strade interrotte. Stessa scena in Puglia. Qui decine le masserizie isolate, mentre un treno è deragliato vicino Foggia, ma tutta la circolazione ferroviaria nel centro-sud è in tilt. Situazione difficilissima a Benevento, dove è arrivato l’esercito, il fiume Calore è uscito dagli argini, centinaia le persone rifugiatesi ai piani alti delle case, scuole chiuse. Due anziani sono morti. Matteo Renzi esprime "cordoglio" per le vittime e assicura che "il governo farà di tutto per essere al fianco".Abbiamo sentito il direttore della Caritas locale don Nicola De Blasio:

R.  – Noi ci stiamo attivando, ci siamo messi in rete con il coordinamento della Protezione civile. Quindi abbiamo aperto la nostra struttura della mensa e il nostro dormitorio per accogliere 35 famiglie di sfollati. Quindi ci stiamo organizzando in questo modo, coordinandoci con tutte le altre forze. I nostri giovani del Servizio civile, dell’Agesci, e tutto il volontariato è già allertato per poi andare a spalare fango. L’acqua ancora sta tracimando dai fiumi e si prevede altra acqua in arrivo. Quindi c’è di nuovo l’allerta meteo per la pioggia. Noi stiamo cercando di dare la prima assistenza immediata attraverso un pasto caldo e un tetto per chi è sfollato dalle case.

D. – Quante persone state mettendo in campo tra volontari e persone che sono già attive nella Caritas?

R. – Tra volontari e persone attive nella Caritas siamo già tra i 70 e 100 perché ci sono 40 ragazzi del Servizio civile più i nostri volontari della Caritas più i gruppi dell’Agesci e altri gruppi di volontariato, come Unitalsi, che girano intorno a noi. Abbiamo messo anche a disposizione strutture per il trasporto dei disabili e tutto il resto.

D. – Che cosa vi riferiscono dalle parrocchie? Quale storie avete da raccontare?

R.  – Ci sono queste due persone che sono morte, di cui una signora che per cercare di mettere in salvo il marito ammalato è uscita fuori di casa ed è stata travolta dal fango. Invece, un anziano che stava spalando il fango da casa sua ha avuto un infarto. In questo momento la situazione più tragica non è nella parte esterna ma proprio in città perché ancora non va via tutta l’acqua, quindi non sappiamo quali siano i danni reali subiti dalla popolazione. I parroci sono allertati, stanno facendo tutti riferimento qui al centro della Caritas e noi abbiamo assicurato a tutti il coinvolgimento e l’arrivo immediato dei nostri volontari.

D. – Vuole lanciare un appello?

R . – Sì! In questo momento non venire, perché si creerebbe il solito caos, quindi c’è l’urgenza ma ci sono tante persone di buona volontà. Casomai far passare l’emergenza immediata e mettersi in contatto con il centro della Caritas, il numero di telefono è lo 082428386 in modo tale che poi riusciamo a coordinare gli interventi di volontariato. In questo momento servono in particolare alcune cose… ma poi faremo sapere meglio se dobbiamo attrezzare altri posti per dormire, perché non sappiamo quanti sfollati possiamo avere.

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In un film la straordinaria vicenda dei 33 minatori cileni

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Sono stati salutati, ieri, da Papa Francesco al termine dell’Udienza Generale, insieme ai loro familiari, i 33 minatori sopravvissuti nel 2010 al crollo di una miniera in Cile. E’ stato anche proiettato in anteprima il film “I 33” della regista Patricia Riggen, uscito in Cile l'agosto scorso mentre in Italia sarà in sala a marzo, con Antonio Banderas protagonista. Il servizio di Luca Pellegrini: 

Il 5 agosto di cinque anni fa il cuore immenso di una montagna nel deserto cileno di Atacama, si spezzò, imprigionando in quel ventre duro e mortale trentatré minatori. Settanta giorni dopo, era il 13 ottobre 2010, scienza, determinazione e solidarietà riuscirono a riportarli in superficie, nel corso di un'operazione seguita nel mondo da milioni di spettatori. La messicana Patricia Riggen ha lavorato per tre anni al progetto de "I 33" per sottrarre questa eroica vicenda di uomini e di speranza dal probabile oblio. E spiega perché ha desiderato fin da principio immergersi in questo progetto:

R. – La razón por la que se parece una historia importantísima de contar…
La ragione per la quale mi è sembrata essere una storia importantissima da raccontare – essendo io messicana – è perché, in realtà, si tratta di una storia universale. La storia dei 33 minatori, di come riuscirono a sopravvivere, è qualcosa che più di un miliardo di persone hanno seguito attraverso la televisione. E se tanta gente l’ha seguita è perché ha toccato una corda umana: non importava che fosse in Messico, in Cile, in Italia o negli Stati Uniti, la cosa importante era raccontare una storia universale di sopravvivenza. E una delle cose che a me sembrava molto interessante da raccontare era proprio tutto quello che ci è stato detto, tutto quello che non sapevamo sui minatori. Noi abbiamo seguito le notizie per molte settimane, ma tutto quello che è successo laggiù nella miniera ai 33 minatori, loro non lo hanno mai raccontato a nessuno. Quindi è qualcosa che hanno custodito come un segreto e che ci hanno raccontato per realizzare questo film.

D. - Un ruolo importantissimo ebbero le famiglie, che non si rassegnarono ad abbandonare i loro cari. Riuscirono a piegare anche il fatalismo col quale all'inizio si affrontò la tragedia e a spronare il governo cileno ad intervenire.

R. – En la película hay como tres mundo….
Nel film ci sono tre mondi: il mondo esterno, quello che era fuori, quello dei soccorritori, del governo; il mondo delle famiglie; e il mondo dei minatori. Io volevo raccontare le tre storie, cercando di raccontare tutti i personaggi che hanno avuto a che fare con questo miracolo.

D. - La prima cosa che ha fatto è stata incontrare i veri protagonisti.

R. – Bueno, unos de los momentos más emocionante para mi, ...
Uno dei momenti più emozionanti per me, nella mia vita, è stato proprio quello di conoscere i 33 minatori. E’ stato il momento più appassionante! Quando li ho conosciuti, ho raccontato loro che volevo realizzare questo film e tutti sono stati molto generosi con me, molto affettuosi e mi hanno raccontato tante cose che mi hanno permesso di arricchire il film… Inoltre i 33 minatori hanno collaborato molto nello sviluppo del copione: hanno fatto interviste, ci incontravamo con loro. E con tutte queste loro esperienze – quelle conosciute e quelle nascoste – abbiamo scritto la sceneggiatura del film. E poi molti di loro hanno anche partecipato alle riprese: magari affiancando le comparse, conducendo veicoli, in diversi modi. Adesso stiamo tutti insieme promuovendo il film.

D. - Il potere dei media, l'inerzia della politica, la forza delle famiglie e degli affetti. Nel film questi tre aspetti interagiscono sempre...

R. – Sì, porque es una historia en la que participan muchas personas...
Sì, perché è una storia che ha coinvolto molte persone: hanno partecipato i politici del Cile, il governo del Cile, i soccorritori, gli ingegneri, insieme ai minatori...   Ma c’è una cosa importante: in questo caso il Cile è da considerare come esempio, perché i suoi governanti hanno deciso di salvarli, hanno deciso di investire anche molto denaro per farlo e hanno sempre creduto che questo fosse possibile. Io che sono messicana posso dire che nel mio Paese, quando hanno avuto un incidente, i minatori sono stati abbandonati. E’ successo anche in molti altri Paesi. Quello che, invece, è successo in Cile è stato veramente qualcosa di esemplare: si sono unite insieme tutte le forze per soccorrerli e per salvarli. E credo che questo sia qualcosa che deve richiamare l’attenzione!

A Papa Francesco hanno ieri portato in dono un pezzo di roccia della miniera, un elmetto e un poster con tutte le loro firme. Lui ha accolto i 33 minatori a Piazza San Pietro, salutandoli con queste parole:

“De modo especial quiero saludar a los 33 mineros chilenos ....
In modo particolare voglio salutare i 33 minatori cileni che sono rimasti intrappolati nelle viscere della terra per 70 giorni. Credo che ciascuno di voi sarebbe capace di venire qui a dirci che cosa significa la speranza. Grazie per avere speranza in Dio.

Ecco la testimonianza di due di loro. Ariel Ticona Yañez era uno dei più giovani, la moglie incinta l'aspettava, pregando per lui.

Sì, lo dijò: nosotros fuimos ejemplo de lucha, de vida, de que la esperanza...
Sì è stato detto che noi siamo stati esempio di lotta, di vita, del fatto che la speranza è l’ultima a morire, come si dice. Non devi mai smettere di credere, che sia in Dio o nelle nostre famiglie. E’ per loro che lottiamo, è per loro che lavoriamo. Essere parte di questo miracolo e poter testimoniarlo dove andiamo... E’ stato molto gratificante quello che il Papa ha detto questa mattina…

Mentre Mario Gomez Heredia era il più anziano del gruppo. Rivedersi sullo schermo non lo ha lasciato indifferente.

El efecto? Nos remonta nuovamente a aquellos días…
L’effetto? Ci riporta nuovamente a quei giorni in cui siamo stati intrappolati lì sotto… Mi ha provocato un’emozione forte. Però, la verità è che noi siamo più forti di questa emozione… E’, forse, per questo che siamo qui…

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Nella Chiesa e nel mondo



Terra Santa: leader religiosi e Shimon Peres contro la violenza

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I leader di diverse comunità di fede e tradizioni religiose hanno incontrato l'ex Presidente israeliano Shimon Peres per dialogare e confrontarsi sull'escalation di violenze che sta di nuovo insanguinando la Terra Santa. Alla riuniote, avvenuta martedì scorso presso il Peres Center for Peace di Tel Aviv - riferisce l'agenzia Fides - hanno preso parte anche lo Sheikh Mohamad Kiwan, capo degli imam in Israele, lo sceicco Mouafaq Price, leader spirituale della comunità drusa, il rabbino capo d'Israele Shlomo Amar, e il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Theophilos III.

Peres: non esiste un Dio che approva l'omicidio
​Durante l'incontro, secondo quanto riportano gli organi ufficiali del patriarcato latino di Gerusalemme, l'ex Presidente Peres ha ribadito la necessità di contrapporsi insieme al terrorismo e alla violenza compiuta in nome di Dio, proclamando ad alta voce “che non esiste un Dio che approva l'omicidio”. Peres ha detto anche che Israele non aveva alcuna intenzione di incoraggiare le tensioni nella regione.

Per la Chiesa il problema resta l'occupazione israeliana
Dal canto suo padre George Ayoub, presente all'incontro in qualità di cancelliere del patriarcato latino di Gerusalemme, ha sottolineato che "l'occupazione rimane il problema”, e per spezzare la spirale infinita della violenza, l'unica via è quella di porre fine all'occupazione e realizzare la creazione di uno Stato palestinese sulla base dei confini riconosciuti dall'Onu nel 1967, con Gerusalemme Est come capitale. (G.V.)

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Vescovi Regno Unito: fermare le violenze in Terra Santa

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“Evitare la strada scivolosa dell’occhio per occhio e delle recriminazioni reciproche”. E’ il pressante appello rivolto ai leader palestinesi e israeliani da mons. Declan Lang, presidente della Commissione per gli affari internazionali della Conferenza episcopale inglese e gallese (Cbcew). In una nota diffusa ieri, il vescovo, che è anche presidente del Coordinamento per la Terra Santa, esprime la sua “crescente preoccupazione” per la nuova escalation di violenze  a Gerusalemme ed invita le due parti alla moderazione.

Non ci può essere pace senza giustizia
“Durante le mie visite in Terra Santa – si legge nella nota - ho potuto constatare la frustrazione dei palestinesi per i quali la morte viene a volte considerata come la loro unica dolorosa speranza. Mi rendo tuttavia conto – prosegue - che questa disperazione non può scatenare una violenza incontrollata e che le autorità israeliane devono imporre il rispetto della legge”. Ricordando le parole di Paolo VI nella “Populorum Progressio” mons. Lang sottolinea che la pace richiede giustizia, “altrimenti - afferma - i rapporti umani degenerano e la violenza non sarà sempre tenuta sotto controllo”. Di qui il rinnovato appello a israeliani e palestinesi a riprendere il difficile cammino della pace basata sulla giustizia, “in cui ambedue le parti possano vivere in sicurezza nei rispettivi Stati sovrani”. (L.Z.)

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Indonesia. Attacchi alle chiese: migliaia di cristiani di Aceh in fuga

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Migliaia di persone hanno abbandonato le loro case e fuggono dal distretto di Singkil, nella provincia di Aceh, dopo gli episodi di violenza confessionale di due giorni fa. Centinaia di musulmani appartenenti all’Islamic Youth Movement (Ppi) hanno incendiato due chiese cristiane e ingaggiato una sorta di guerriglia contro i cristiani. Il bilancio aggiornato - riferisce l'agenzia AsiaNews - è di due morti tra gli assalitori e alcuni feriti. Centinaia di famiglie, quasi 7mila persone, abbandonano la zona per timore di recrudescenza del conflitto.

Centinaia di cristiani stanno cercando rifugio nel Sumatra del Nord
Il distretto di Singkil è collocato all’estremo sud della provincia di Aceh, a pochi chilometri dal confine con il Sumatra del Nord, dove stanno affluendo i fuggitivi. Ad Aceh vige la sharia islamica. In una lettera indirizzata a Kelompok Bakti Kasih Kemanusiaan (Kbkk), gruppo umanitario cattolico con sede a Jakarta, il sacerdote Ipung Purwosuranto afferma che centinaia di persone stanno cercando rifugio nel Sumatra del Nord: “A decine sono arrivati chiedendo asilo alla parrocchia di San Michele a Tumajae, nella diocesi di Sibolga. Sono ospitati temporaneamente nella canonica e nella casa delle suore”. Secondo padre Dominikus Sibagariang, il flusso di rifugiati avrebbe raggiunto le 2mila unità: “Diversi sacerdoti cappuccini li aiutano portando loro generi alimentari insieme alle suore locali. È una missione umanitaria. La presenza dei sacerdoti dà alla gente un senso di speranza e sicurezza”.

La protesta per la costruzione delle chiese considerate illegali
Gli incidenti di Singkil si sono verificati a causa della rabbia dei gruppi musulmani nei confronti della costruzione di troppe chiese “illegali” (perché privi dell’Izin Mendirikan Bangunan, il permesso di costruzione). La regione non aveva mai registrato episodi di odio confessionale prima. Secondo Safriadi, capo del distretto, le comunità musulmana e cristiane hanno firmato un trattato di pace nel 1979, poi confermato nel 2001, in cui si impegnano a mantenere un coesistenza pacifica. L’accordo prevede il diritto per i cristiani di costruire chiese, ma solo una su quattro permanente; le altre, “mobili”, vengono chiamate “undung-undung”. “Al giorno d’oggi – spiega Safriadi – il numero di undung-undung è più alto di quello pattuito. I cristiani ne hanno almeno 24, e questo ha scatenato la protesta dei leader musulmani”.

Ad Aceh è sempre più radicale la visione dell'islam
Il 6 ottobre la comunità islamica ha manifestato in modo pacifico chiedendo lo smantellamento delle chiese temporanee illegali, ottenendo la promessa del capo distretto. Un ulteriore accordo del 10 ottobre ha stabilito la distruzione di 10 luoghi di culto cristiani. L’inizio delle demolizioni era programmato per il 19 ottobre e si sarebbe concluso nel giro di due settimane. La comunità islamica, spazientita dall’attesa, ha deciso di farsi giustizia da sé appiccando il fuoco a due chiese. La provincia di Aceh ha introdotto la legge islamica (shari'a), in seguito a un accordo di pace fra Jakarta e Movimento per la liberazione di Aceh (Gam), e in molte altre aree (come Bekasi e Bogor nel West Java) si fa sempre più radicale ed estrema la visione dell’islam. (M.H.)

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Ban Ki-moon ringrazia l'umanità dell'Italia per i migranti

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Grazie all’Italia per la sua umanità e il suo coraggio nella tragedia umanitaria dei migranti: è così che Ban Ki-moon rende merito agli italiani per tutti gli sforzi fatti e per tutte le vite salvate, e per come hanno risposto “alla più grande crisi migratoria dalla fine della Seconda Guerra mondiale”.  Davanti alle più alte cariche istituzionali del Paese - che ha incontrato a Roma per il 60° anniversario dell'ingresso dell'Italia nell'Onu - il Segretario generale dell’Onu ripete che l’accoglienza dei migranti è una responsabilità che riguarda tutti, che “deve essere equamente condivisa” e che la “vicinanza geografica non significa responsabilità esclusiva verso i migranti”. Non ci sono due categorie nell’immigrazione forzata, dice poi, non ci sono i meritevoli e i non, ma “solo persone che  hanno bisogno di aiuto”, e tutti devono godere di protezione.  

Ban Kii-moon cita l’enciclica di Francesco, la ‘Laudato sì’
Il Segretario generale dell'Onu ha citato l'enciclica papale per sollecitare l’Italia ad essere ancora “più ambiziosa per realizzare un’economia a bassa emissione di carbonio”. Un appello è poi rivolto verso la Libia, “stiamo affrontando il tema di una soluzione”, dice Ban, che chiede ai leader libici di sostenere gli sforzi per poter “realizzare le ambizioni della rivoluzione del 2011”. Un anniversario questo sessantesimo che vedrà l’Italia aumentare, con la legge di stabilità, l’impegno per la cooperazione internazionale: questa la promessa del premier Renzi a Ban Ki-moon. L’Italia ha bisogno dell’Onu e l’Onu ha bisogno del cuore, della passione  e della generosità italiane, dice Renzi che, evocando la tragedia di Srebrenica, e il grande fallimento che il massacro segnò nella vita delle Nazioni Unite, chiede un impegno affinché “certe pagine non si ripetano più”. (A cura di Francesca Sabatinelli)

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Indagine su impatto positivo visita Papa Francesco negli Usa

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Il viaggio apostolico di Papa Francesco negli Stati Uniti ha contribuito a migliorare l’immagine della Chiesa cattolica nel Paese. E’ quanto emerge da un sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca statunitense Pew Research Center di Washington, i cui risultati sono stati diffusi nei giorni scorsi.

Il 28% ha un’immagine più positiva della Chiesa
Il 28% degli intervistati – un campione di un migliaio di persone - ha infatti dichiarato di avere un’opinione più positiva della Chiesa dopo la visita dello scorso settembre, mentre solo il 6% si è detta meno favorevole rispetto a prima. Per il 58% l’opinione è rimasta invece immutata. L’impatto positivo dell’evento si è fatto sentire di più tra gli elettori del Partito Democratico e tra le persone di orientamento liberal: il 35% dei primi e il 39% dei secondi ha affermato di avere un’immagine più positiva della Chiesa, contro il 27% degli elettori repubblicani e il 22% delle persone di orientamento conservatore.  Ma la visita ha inciso positivamente soprattutto sui giudizi dei fedeli cattolici: il 50% ha dichiarato di avere un’opinione migliore della Chiesa contro il 22% dei non cattolici. 

Lieve aumento della popolarità di Papa Francesco
​Quanto alla popolarità di Papa Francesco, l’indagine evidenzia solo un lieve aumento rispetto al mese di giugno: dal 64 al 68%. A questo aumento percentuale non ha peraltro contribuito l’opinione pubblica cattolica, quanto piuttosto quella non cattolica. La ricerca evidenzia, infine, che dopo il viaggio apostolico del 2008, Benedetto XVI aveva ottenuto una percentuale di giudizi positivi pari all’83%. (A cura di Lisa Zengarini)

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Usa: Consiglio donne cattoliche contro le violenze domestiche

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Quasi una donna su quattro negli Stati Uniti subisce gravi violenze dal proprio partner e le donne rappresentano l’85% delle vittime di questi abusi. E’ soprattutto a loro che è dedicato il Mese nazionale contro la violenza domestica celebrato nel mese di ottobre per sensibilizzare l’opinione pubblica del Paese su questa grave piaga che, come è noto, colpisce anche le società più sviluppate nel mondo e tutte le categorie sociali.

Le donne cattoliche in campo per sensibilizzare l’opinione pubblica
All’iniziativa aderisce anche il Consiglio nazionale delle donne cattoliche degli Stati Uniti (National Council of Catholic Women - Nccw), da oltre vent’anni impegnata su questo fronte, con la pubblicazione del nuovo sussidio "Women Healing the Wounds"  (“Le donne curano le ferite”) che offre ampie informazioni sul fenomeno e sulla risposta della Chiesa. Pubblicato in inglese e spagnolo e scaricabile on-line dal sito http://nccw.org, il documento di 52 pagine propone diverso materiale informativo utilizzabile per progetti educativi e di sensibilizzazione nelle parrocchie e comunità. Le sue cinque sezioni spiegano, tra l’altro, cosa è la violenza domestica e come imparare a riconoscerla;  il costo sociale del fenomeno e le ripercussioni negative sui bambini che crescono in famiglie violente;  gli insegnamenti della Chiesa in materia; il ruolo delle donne nella lotta contro gli abusi tra le mura domestiche; come aiutare i giovani a stabilire rapporti di coppia sani.

Le violenze domestiche: una violazione del rispetto della vita
​“Il nostro auspicio è che questo nuovo sussidio possa incoraggiare le donne abusate ad allontanarsi dai loro partner violenti ed educare a riconoscere i segni che indicano l'esistenza di una situazione di abuso”,  spiega Sheila Hopkins, presidente del Nccw. “La Chiesa cattolica celebra a ottobre il Mese del rispetto della vita e anche la violenza domestica - sia essa fisica, sessuale, psicologica o verbale - è una questione che riguarda il rispetto della vita e non è mai giustificabile”. (L.Z.)

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Ghana: più trasparenza per il voto alle politiche del 2016

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“Le parti sociali, ma soprattutto i partiti politici, chiamati dalla Commissione Elettorale a dare il loro contributo alla composizione del Registro dei votanti siano onesti e dicano il vero, per consentire alla stessa Commissione di fare un lavoro trasparente che conquisti la fiducia dell’opinione pubblica ghanese sulla correttezza dell’intero processo elettorale”. E’ l’auspicio espresso  dai vescovi del Ghana in una dichiarazione firmata dal presidente della conferenza episcopale, mons. Joseph Osei-Bonsu. Il registro deve essere pronto per le elezioni politiche del 2016, in cui i cittadini ghanesi saranno chiamati ad eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica. 

L’attuale Registro stilato nel 2012 non è credibile
“Fin dalla pubblicazione dell’attuale lista nel 2012, nella quale i votanti risultavano essere circa 14 milioni – ricordano i presuli nella nota - molti hanno messo in dubbio la loro credibilità”. Tra le irregolarità riscontrate: l’inserimento nella lista di minori; la discrepanza tra il numero dei votanti per le elezioni presidenziali e quelli per le parlamentari; l’alto numero dei votanti in rapporto alla popolazione del Paese, la registrazione di cittadini stranieri.

Necessarie nuove verifiche per garantire un processo elettorale equo
​Pur riconoscendo gli sforzi compiuti finora dalla Commissione elettorale per garantire un registro dei votanti affidabile, i presuli ghanesi chiedono quindi ulteriori misure, come la verifica accurata dei minori e degli stranieri in esso inseriti. A  tale fine - affermano – è necessario che il Governo garantisca alla stessa Commissione i mezzi necessari a svolgere il suo lavoro, mentre i rappresentanti della società civile e i partiti devono dare il loro contributo. Inoltre, sono necessari nuovi finanziamenti alla Commissione nazionale per l’educazione civica (Ncce) perché possa informare i cittadini sui requisiti necessari per votare.  La nota conclude con l’invocazione che l’intero processo elettorale possa essere “pacifico, credibile libero e equo”. (L.Z.)

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Carcere Rebibbia: flash mob delle detenute per il Papa

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Giovedì 29 ottobre, dalle ore 10, presso la Casa circondariale femminile del Carcere di Rebibbia a Roma, si svolgerà il primo flash mob musicale della storia all'interno di un carcere italiano. Sarà un evento storico: detenute di varia provenienza geografica infatti (sudamericana, araba, est europea, italiana...) e di diversa fede religiosa, danzeranno tutte insieme sulle note di una canzone scritta per un Papa, dal titolo "Pope is pop", (un progetto dedicato a Papa Francesco nell'anno del Giubileo). L'evento è inserito nell'iter pedagogico trattamentale che la Casa circondariale femminile del Carcere di Rebibbia realizza verso le proprie detenute. Alle ore 10 è prevista la conferenza stampa di presentazione, condotta dalla direttrice del carcere Ida Del Grosso, con la presenza dell'autore e responsabile del progetto "Pope is pop", Igor Nogarotto. L'evento è aperto ai media ed ai giornalisti - hanno già aderito molte Radio e Tv - che hanno l'autorizzazione per effettuare riprese, foto e interviste. (D.D.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 288

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.