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Sommario del 14/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: chiedo perdono per gli scandali a Roma e in Vaticano

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Chiedo perdono “per gli scandali che in questi ultimi tempi sono avvenuti sia a Roma che in Vaticano”. Il Papa ha iniziato con queste parole l’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro, dedicata a una riflessione sulle “promesse” che i genitori fanno ai loro figli mettendoli al mondo e sulle quali, ha detto, Dio veglia. Francesco ha poi concluso chiedendo preghiere per il Sinodo e levando un appello per la prossima Giornata mondiale del Rifiuto della miseria. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo”. Difficilmente non procura un brivido questa frase di Gesù. Questo avvertimento così pacato, definitivo, e così dirompente tra le parole di accoglienza, perdono, amore che riempiono il Vangelo.

“In nome della Chiesa, vi chiedo perdono”
Il brano di Matteo che introduce l’udienza generale, e che servirà per sviluppare la sua catechesi, viene anzitutto utilizzato da Papa Francesco come premessa per una affermazione che, come le parole di Cristo, risuona tra la folla di Piazza San Pietro con un’eco che impressiona:

“Io vorrei, prima di iniziare la catechesi, in nome della Chiesa, chiedervi perdono per gli scandali che in questi ultimi tempi sono avvenuti sia a Roma che in Vaticano, vi chiedo perdono”.

La promessa che chiede lealtà
Il tema dello scandalo e del perdono lega le considerazioni che Francesco, con acume e delicatezza, fa parlando di un aspetto specifico della vita di famiglia, “le promesse ai bambini”. Non tanto, dice, la caramella data per distoglierli da un capriccio o qualsiasi altro “trucchetto” di un genitore escogitato per tenerli buoni. La promessa di cui parla il Papa è quella che una mamma e un papà fanno al loro figlio nel momento stesso in cui desiderano metterlo al mondo. Una promessa che non ammette superficialità:

“Tutti diciamo: i bambini sono una promessa della vita. E siamo anche facili a commuoverci, dicendo ai giovani che sono il nostro futuro, è vero. Ma mi domando, a volte, se siamo altrettanto seri con il loro futuro, con il futuro dei bambini e con il futuro dei giovani! Una domanda che dovremmo farci più spesso è questa: quanto siamo leali con le promesse che facciamo ai bambini, facendoli venire nel nostro mondo?”.

I bambini si aspettano amore
Ciò che promettiamo, elenca Francesco, sono “accoglienza e cura, vicinanza e attenzione, fiducia e speranza”. In una parola, “amore”:

“L’amore è la promessa che l’uomo e la donna fanno ad ogni figlio: fin da quando è concepito nel pensiero. I bambini vengono al mondo e si aspettano di avere conferma di questa promessa: lo aspettano in modo totale, fiducioso, indifeso. Basta guardarli: in tutte le etnie, in tutte le culture, in tutte le condizioni di vita! Quando accade il contrario, i bambini vengono feriti da uno ‘scandalo’, da uno scandalo insopportabile, tanto più grave, in quanto non hanno i mezzi per decifrarlo”.

Dio ama i bambini
Anzi, rimarca il Papa, “la loro spontanea fiducia in Dio non dovrebbe mai essere ferita, soprattutto quando ciò avviene a motivo di una certa presunzione (più o meno inconscia) di sostituirci a Lui”:

“Il tenero e misterioso rapporto di Dio con l’anima dei bambini non dovrebbe essere mai violato. E’ un rapporto reale, che Dio lo vuole e Dio lo custodisce. Il bambino è pronto fin dalla nascita per sentirsi amato da Dio, è pronto a questo. Non appena è in grado di sentire che viene amato per sé stesso, un figlio sente anche che c’è un Dio che ama i bambini”.

Lo sguardo dei bambini è lo stesso di Gesù
Ed è proprio l’amore dei genitori per i figli, afferma Francesco, a portare in sé “una scintilla di quello di Dio”:

“Voi, papà e mamme (...) siete strumento dell’amore di Dio e questo è bello, bello, bello! Solo se guardiamo i bambini con gli occhi di Gesù, possiamo veramente capire in che senso, difendendo la famiglia, proteggiamo l’umanità! Il punto di vista dei bambini è il punto di vista del Figlio di Dio”.

Preghiere per il Sinodo e il saluto a 33 minatori cileni
Il Papa, che aveva iniziato l’udienza generale portando un saluto ai 700 malati ospitati al riparo in Aula Paolo VI per via del brutto tempo, l’ha conclusa chiedendo a tutti preghiere perché il Sinodo prenda “le decisioni che meglio convengono alla famiglia e sulla famiglia”, rivolgendo poi tra gli altri un saluto ai 33 minatori cileni, presenti in Piazza San Pietro, che nel 2010 rimasero intrappolati per 70 giorni sotto terra e che furono tutti salvati grazie a una complessa e prodigiosa opera di recupero. “Credo che qualcuno di loro potrebbe venire qui a raccontarci che cosa significa speranza”, ha commentato Francesco, che ha poi levato un appello per la Giornata mondiale del Rifiuto della miseria di sabato prossimo:

“Questa giornata si propone di accrescere gli sforzi per eliminare l’estrema povertà e la discriminazione, e per assicurare che ciascuno possa esercitare pienamente i propri diritti fondamentali. Siamo tutti invitati a fare nostra questa intenzione, perché la carità di Cristo raggiunga e sollevi i fratelli e le sorelle più poveri e abbandonati”.

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Circoli minori: Vangelo della famiglia, cuore pulsante del Sinodo

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All'ottava Congregazione generale, al Sinodo sulla famiglia in corso in Vaticano, sono state presentate le relazioni dei tredici Circoli minori, relative alla seconda parte dell’Instrumentum laboris, intitolata “Il discernimento della vocazione familiare”. Il servizio di Isabella Piro

Vangelo della famiglia, cuore pulsante di tutto il Sinodo
“Cuore pulsante” di tutto il Sinodo: così i Circoli minori definiscono la seconda parte dell’Instrumentum laboris, in cui – spiegano – è sintetizzato tutto il Vangelo della famiglia e l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio. Per questo, nel complesso, le tredici relazioni sottolineano la necessità di dare più coesione ed incisività a tale sezione, riorganizzandone i paragrafi ed utilizzando un linguaggio chiaro, non ambiguo, ma lineare, attraente e pieno di speranza.

Occorrono più riferimenti biblici, “bussola” per l’uomo contemporaneo
Molti Circoli, inoltre, chiedono di inserire nel testo più riferimenti biblici e sapienziali sul matrimonio e la famiglia, presentandoli però non come citazioni puramente dogmatiche, bensì come esempio di Parola di Dio vissuta nella storia, “bussola” per l’uomo contemporaneo. 

Incoraggiare i giovani al matrimonio
Altro punto essenziale riguarda i giovani: da più parti si fa notare il loro approccio timoroso e sfiduciato nei confronti del sacramento coniugale e dell’impegno “per sempre”. Si tratta di una questione complessa che merita ulteriori approfondimenti – si sottolinea – perché non si può dire semplicemente che i giovani non hanno coraggio quando, ad esempio, tante testimonianze di volontariato dimostrano il contrario. Bisogna, invece, valutare i condizionamenti culturali ed economici che incidono sulla vita dei ragazzi di oggi.

Presentare vincolo coniugale nella sua bellezza, non come ideale astratto
In quest’ottica, si raccomanda di presentare il matrimonio sacramentale nella sua vera bellezza e non come un ideale astratto, difficile da raggiungere. L’indissolubilità, infatti, non è un fardello, ma un dono di Dio che permette di vivere il matrimonio come uno spazio in cui si manifesta la grazia divina, un patto d’amore per tutta la vita. I Circoli minori si dicono, poi, d’accordo sulla necessità di evidenziare maggiormente il tema della vocazione della famiglia alla comunione e all’amore ed il suo legame con la vita consacrata, considerato anche lo speciale Anno ad essa dedicata, tuttora in corso.

Evidenziare legame tra Sinodo e Giubileo della Misericordia
Nei documenti di diversi Circoli minori emerge anche il tema della pedagogia divina, con l’invito a spiegarla meglio affinché accompagni realmente le coppie e le famiglie lungo il cammino della vita. Molte relazioni, inoltre, fanno riferimento alla misericordia, sottolineando il legame tra i lavori Sinodali ed il Giubileo straordinario indetto dal Papa su questo tema.  Se da una parte, dunque, si ribadisce la dottrina del matrimonio, dall’altra si raccomanda una pastorale amorevole, di “prossimità contagiosa” nei confronti delle famiglie in difficoltà, perché la misericordia di Dio è per tutti e per sempre.

Promuovere la partecipazione delle famiglie alla Messa domenicale
Suggerimenti specifici arrivano, poi, da singole relazioni, come ad esempio la proposta di introdurre nel documento finale una riflessione sul celibato o di ampliare l’analisi sul legame tra famiglia ed evangelizzazione, considerando che i genitori sono spesso i primi catechisti dei figli. Ulteriori spunti riguardano la promozione della Lectio divina e di alcune forme di devozione, come la recita del Rosario o la Messa domenicale, che rafforzano la vita familiare.

Più attenzione al dramma delle donne vittime di abusi in famiglia
Alcuni Circoli suggeriscono anche approfondire la riflessione sui figli, in particolare nel contesto delle famiglie ferite, e sulla donna, soprattutto riguardo alla valorizzazione del suo ruolo all’interno della Chiesa ed al dramma degli abusi di cui è spesso vittima in famiglia.

Sostenere di più le scuole cattoliche
Ricordando, poi, il recente Motu Proprio del Papa “Mitis Iudex” sulla riforma dei processi di nullità matrimoniale, si chiede di spiegare meglio le ragioni della nullità, guardando alle realtà familiari con maggiore realismo: non basta, infatti – sottolineano alcuni Circoli – incoraggiare semplicemente le famiglie a restare insieme, ma occorre spiegare e motivare la chiaramente la dottrina della Chiesa in materia. Infine, si suggerisce di incoraggiare maggiormente le scuole cattoliche che, alla pari delle parrocchie, permettono di apprendere il Vangelo della famiglia nella sua interezza.

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Sinodo, padre Lombardi: lettera cardinali ha avuto più eco del dovuto

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Nessuna enfasi, nessun impatto, ha avuto più eco di quanto fosse necessario. Così il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, e il cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, a proposito della lettera di alcuni cardinali al Papa, di cui i media molto si sono occupati in questi giorni. Al consueto briefing nella Sala Stampa della Santa Sede sui lavori della XIV Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata alla famiglia, hanno preso la parola anche il cardinale Rúben Salazar Gómez, presidente del Consiglio episcopale latinoamericano, il Celam, e il cardinale Philippe Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou nel Burkina Faso. Il servizio di Giada Aquilino

“Più eco” di quanto meritasse: sollecitato dai giornalisti sulla lettera indirizzata al Papa da un gruppo di cardinali, padre Federico Lombardi ha invitato così ad “andare avanti” con gli impegni del Sinodo. Anche il cardinale Vincent Nichols ha assicurato che tale lettera non ha avuto “nessuna enfasi, nessun impatto” sul prosieguo dei lavori. Il portavoce vaticano si è però soffermato sui chiarimenti chiesti dai giornalisti a proposito del perdono invocato dal Pontefice all’udienza generale. Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede ha precisato che Francesco ha fatto riferimento a Roma, ma “non per quanto riguarda il sindaco specificamente”, perché si tratta di una questione “di carattere politico e non ecclesiale”:

“Il Papa si rende conto che ci sono persone semplici, delle persone che vengono alle udienze, che a volte sono turbate o addolorate per delle notizie che si leggono. E allora in questo senso, per quanto c’è una responsabilità della Chiesa o di uomini di Chiesa, il Papa chiede perdono che non ci sia edificazione e positività ma che ci siano anche a volte degli esempi negativi o delle cose che turbano”.

A fare da filo conduttore alla conferenza stampa è stato un raffronto tra i precedenti Sinodi e quello in corso. A colpire il cardinale Vincent Nichols è stata, ha detto, la “correlazione” tra i Circoli minori e le sessioni plenarie, caratterizzata da “più creatività, più energia”. Quindi una riflessione sulla metodologia. L’arcivescovo di Westminster ha osservato come sul documento finale del Sinodo straordinario si siano inseriti i contributi arrivati dalle consultazioni effettuate tra l’Assemblea dell’anno scorso e l’attuale:

“A combination of two sources has led most groups today….
Questa combinazione ha portato molti gruppi oggi a dire che l’Instrumentum Laboris – in questa seconda parte – ha bisogno di una sua ristrutturazione, di uno ‘sprint’, di un tema teologico più forte per guidare tutti noi”.

Il cardinale Rúben Salazar Gómez ha ricordato come nei due altri Sinodi a cui ha partecipato, dopo la presentazione dell’Instrumentum Laboris, nei Circoli minori si lavorasse a proposte sul documento da presentare al Santo Padre:

“En este momento, nosotros no sabemos si el documento para el cual estamos trabajando…
In questo momento non sappiamo se il documento sul quale stiamo lavorando verrà pubblicato direttamente oppure se servirà al Pontefice per una nuova Esortazione apostolica”.

L’impegno ha proseguito l’arcivescovo di Bogotá è a guardare al futuro per rispondere a “tutti i dubbi e tutte le speranze” di oggi: si sta facendo uno “sforzo enorme” per ascoltare le voci delle famiglie e delle persone, in particolare di quelle che “vivono momenti difficili” e quindi hanno bisogno di un aiuto particolare. A guidare i lavori, ha aggiunto, la bellezza della dottrina della Chiesa cattolica su matrimonio e famiglia, in cui c’è una “fonte permanente” per qualsiasi risposta. Ha pure confermato come tra le proposte avanzate ci sia l’idea di Assemblee continentali che precedano i Sinodi.

Il cardinale Philippe Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou, ai giornalisti ha confermato come in alcuni Circoli si sia notata un’impostazione “occidentale” della discussione, ma ha sottolineato come poi ogni situazione specifica – dalla questione dei divorziati risposati a quella della poligamia – vada vista secondo il “background” culturale territoriale. Ha invitato a “tornare su Giovanni XXIII”, su quanto disse circa l'aggiornamento, la comprensione del Vangelo: “possiamo comprenderlo sempre meglio - ha ricordato - se scambiamo le nostre opinioni”. Ha poi evidenziato come i Paesi dell’Africa, ad esempio il Burkina Faso, siano terre di prima evangelizzazione e al Sinodo cerchino di capire meglio il “progetto di Dio per l’uomo, la donna, il matrimonio, la famiglia”:

“Nous ne sommes pas venus pour épouser les valeurs ou les non valeurs…
Noi non siamo venuti per sposare i valori o i non valori culturali degli altri, ma siamo venuti insieme per contemplare Cristo e – sulla base del Vangelo – cercare di capire quelle che sono le sfide che il mondo attuale pone oggi alla Creazione e alla famiglia”.

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Vescovo Accra: Chiesa accogliente, ma senza annacquare dottrina

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Al sinodo sta arricchendo la riflessione sulla famiglia anche la feconda testimonianza della Chiesa nei vari Paesi dell’Africa. Al microfono di Paolo Ondarza, l’arcivescovo di Accra in Ghana, mons. Gabriel Charles Palmer-Buckle

R.  – Devo ringraziare il Signore per l’occasione di partecipare a questo Sinodo perché mi porta personalmente ad apprezzare che cosa vuol dire famiglia e anche ad apprezzare il dono che Dio ha fatto a me nel darmi la famiglia che ho avuto: non perfetta, ma una famiglia in cui veramente sono cresciuto e ho sperimentato l’amore, il sostegno per la mia crescita nella fede, crescita culturale, intellettuale…

D. – Quali sono le sfide e anche il contributo, la luce che può offrire la Chiesa e la famiglia africana a questi lavori?

R. – La famiglia per noi va al di là del nucleo papà-mamma-figli. Molte volte quando si parla di famiglia in Africa parliamo del clan, che va anche a includere una società molto più grande. Allora che cosa posso dire? Siamo qui per contribuire a questa visione di ecclesiologia di tutta la santa Madre Chiesa: Dio è famiglia, Padre Figlio e anche Spirito Santo. Come far sì che nella Chiesa di Dio uno si senta in famiglia? Nella famiglia della Chiesa, cioè quella famiglia che è una, santa, cattolica ed apostolica. Dobbiamo portare la gente a realizzare questo sogno.

D. – Nei Paesi occidentali il dibattito è stato caratterizzato da un concentrazione prevalente sul tema della comunione ai divorziati e ai risposati: questo aspetto è condiviso dalla Chiesa in Africa?

R.  – Certo, di matrimoni che dopo qualche anno sono guasti per varie ragioni ce ne sono, non dobbiamo nascondercelo. Però quello che vogliamo dire è questo: qui, in questo Sinodo vogliamo prima di tutto sondare, nella Sacra Scrittura, nel Magistero, che cosa vuol dire famiglia agli occhi di Dio. Il matrimonio è vocazione e allora noi vescovi in Africa abbiamo le stesse difficoltà come i Paesi europei, ma per noi per ora quello che è importante è presentare la Buona Novella, il Vangelo della famiglia. E Gesù ci chiama a prendere la nostra croce e seguirlo. Il che vuol dire che ci saranno difficoltà, ci saranno anche sfide, ma con la preghiera, con il sostegno di una Chiesa- famiglia, con gli apporti istituzionali, statali, socio-politici, credo che possiamo scavalcare queste difficoltà e andare al di là di esse. Quando ascolto la Chiesa in Europa, i divorziati e risposati non sono così tanti come vengono presentati ma ce ne sono e come Gesù lascerà 99 pecore per andare appresso all’unica persa, credo che la Chiesa debba fare uno sforzo per accogliere queste persone. Quale sforzo? Cambiare la dottrina per loro? No, questo non va bene, vorrebbe dire annacquare tutto. Se dobbiamo adeguare la dottrina della Chiesa, il Vangelo di Dio alle persone … Noi siamo esseri umani, che passiamo, Dio invece è infinito. E allora cerchiamo da Dio come dobbiamo aiutare questa gente in difficoltà ad avvicinarsi veramente alla piena partecipazione della vita ecclesiale. E credo che alla fine le varie Conferenze episcopali devono anche intraprendere uno sforzo ecclesiologico, teologico, pastorale, nel valutare i vari casi che hanno e come aiutare questi fedeli.

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Sinodo, Grecia: coppie cattolici-ortodossi, esempio di ecumenismo

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Al Sinodo c'è stato spazio anche per la testimonianza della Chiesa in Grecia, che racconta le storie di famiglie alle prese con la crisi economica, con il costante approdo di profughi dal Medio Oriente, ma anche espressioni di un felice rapporto ecumenico tra laici cattolici e ortodossi. Al microfono del nostro inviato Paolo Ondarza sentiamo mons. Francesco Papamanolis, presidente della Conferenza episcopale greca: 

R. – Riguardo alla famiglia quello che dobbiamo dire, e che incide molto di più, è il fatto che i matrimoni misti che celebriamo nella Chiesa cattolica sono quasi l’80% dei matrimoni celebrati nella Chiesa cattolica in Grecia. Quindi, come può comprendere, la maggioranza delle famiglie è di religione mista.

D. – E c’è una buona riuscita di questi matrimoni misti?

R. – Non ci sono problemi legati alla diversità di confessione religiosa. In genere, i figli che nascono vengono battezzati nella Chiesa a cui appartiene il padre. La madre è quasi sempre molto rispettosa della confessione nella quale è stato battezzato il figlio. Anzi, ci sono molte mamme ortodosse che portano i propri figli al catechismo della Chiesa cattolica.

D. – Quindi c’è un buon esempio di ecumenismo…

R. – Sì, e non solamente da parte delle famiglie, ma anche da parte di tutti i laici; sia da parte ortodossa che cattolica, tutti vogliono l’unità: la separazione sfortunatamente la manteniamo noi ecclesiastici.

D. – Parlare di Grecia, parlare di famiglie, non può non prendere in considerazione il difficile momento che a livello economico sta vivendo il Paese e come questa crisi si ripercuote sulle famiglie…

R. – La crisi economica incide su tutti: anzi, ora dal 26 giugno abbiamo anche il “capital control”. All’inizio, si potevano prelevare 50 euro al giorno dalle banche. Ora è possibile prelevarne solamente 420 euro alla settimana. E chi è impiegato non può con questi soldi far fronte a tutti gli obblighi economici che ha, ad esempio pagare le bollette... Questo “capital control” influisce molto sul commerci, ed è quindi un altro motivo per cui l’economia va sempre peggio. Anche noi, come diocesi, non abbiamo entrate. Sono diminuite le offerte dei fedeli, perché non hanno i soldi neppure per loro…

D. – E come Chiesa che cosa chiedete?

R. – Come Conferenza episcopale abbiamo scritto al centro Fondo monetario internazionale, alla Banca Centrale europea, e alla Commissione europea. L’unica soluzione è la solidarietà. Ci hanno risposto che faranno tutto il possibile. L’economia, però, è solo uno dei motivi della crisi, perché ultimamente c’è stato anche il problema dei migranti, che sono venuti in blocco... La Grecia infatti si trova ai confini con il Medio Oriente.

D. – E come l’Italia, è stata una porta nel Mediterraneo…

R. – In queste isole – e sono molte – ai confini con la Turchia i migranti oltrepassano il numero degli abitanti stabili. Tutti usano belle parole, parlano di “solidarietà”... Vediamo che lo dicono, ma non lo fanno. Nessuno si è mosso. Ultimamente solo il Santo Padre per mezzo di "Cor Unum" ci ha mandato 50 mila euro. Senza dubbio, è stato un dono simbolico per incitare anche gli altri a fare lo stesso e invece nessuno lo ha imitato.

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Francesco ad Acs: sradicare le persecuzioni anticristiane

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I cristiani sono il gruppo religioso maggiormente perseguitato. E' quanto emerge dal Rapporto "Perseguitati e dimenticati", redatto da "Aiuto alla Chiesa che soffre", cui Papa Francesco ha inviato, tramite il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, un messaggio in cui apprezza gli sforzi di quanti mostrano al mondo la piaga della persecuzione e la sofferenza dei cristiani”. “Il Santo Padre - continua il porporato - prega che chi ha l’autorità per farlo lotti diligentemente, non solo per sradicare la persecuzione e la discriminazione religiosa nella propria nazione, ma anche per cercare metodi più efficaci per promuovere la cooperazione internazionale al fine di sconfiggere queste offese contro la dignità umana e la libertà religiosa”. Infine, il Segretario di Stato Vaticano, riporta l’auspicio del Pontefice, il quale “spera che gli uomini e le donne di fede e di buona volontà possano mostrare sostegno ai fratelli e sorelle che soffrono in tutto il mondo, offrendo assistenza spirituale e materiale”. Sui contenuti del rapporto presentato ieri, il servizio di Elvira Ragosta

Ventidue gli stati nel mondo in cui i cristiani subiscono gravi limitazioni alla propria libertà religiosa. Lo studio di "Aiuto alla Chiesa che soffre" sottolinea come il numero delle nazioni classificate come di estrema persecuzione sia aumentato dal 2013 al 2015, includendo Iraq, Siria, Nigeria e Sudan. Paesi, questi, segnati dall’estremismo islamico che - recita il Rapporto - si conferma una delle principali minacce della comunità cristiana. Particolarmente grave la situazione in Medio Oriente: in Iraq, dal Duemila a oggi, la popolazione cristiana è diminuita da un milione a meno di 300 mila e se la tendenza continuasse la comunità cristiana potrebbe estinguersi nei prossimi cinque anni. Costretti dai terroristi del sedicente Stato islamico a scegliere tra convertirsi e morire, oltre 120 mila cristiani iracheni sono fuggiti verso il Kurdistan iracheno. Sulle loro difficile condizione è intervenuto il patriarca di babilonia dei Caldei, Louis Raphael Sako:

R. – Vivono con tanta angoscia, ansia e poi aspettano, non sanno dove andare, dove cominciare una nuova vita, una nuova storia, se rimanere e fino a quando. C’è, dunque, una grande fatica psicologica. Anche i loro bambini, le scuole, le loro proprietà – hanno case, lavoro – tutto questo è precario. Non sanno…

D. – Cosa deve fare la comunità internazionale?

R. – Cacciare via l’Is e poi permettere a questa gente di ritornare a casa. Non c’è altro. E’ un’ingiustizia, ne hanno il diritto!

In Nigeria, invece, sono stati 100 mila i cristiani costretti alla fuga dalla violenza estremista di Boko Haram nella sola diocesi di Maiduguri, dove sono state distrutte 350 chiese.Contro la libertà dei cristiani anche altri fondamentalismi: in India numerosi gli attacchi ai cristiani da parte dei movimenti nazionalisti indù, mentre in Sri Lanka, nel solo 2013,105 chiese e cappelle sono state distrutte o chiuse per opera di estremisti buddisti. Attacchi che aumentano anche in Israele, unico Paese mediorientale in cui la popolazione cristiana è in crescita. Riguardo alla persecuzione ad opera di regimi autoritari e totalitaristi, il rapporto di "Aiuto alla Chiesa che Soffre" stima che in Corea del Nord almeno il 10% dei circa 400 mila cristiani sia detenuto in campi di lavoro, dove subiscono torture e omicidi e sono per lo più cristiani i circa 3.000 detenuti nelle carceri eritree per motivi religiosi. Infine, in Cina nel solo 2014 i leader religiosi imprigionati sono stati quasi 500.

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Papa: economia locale risposta a globalizzazione crudele

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“Lo sviluppo economico locale sembra essere la risposta più adeguata alle sfide che ci presenta un’economia globalizzata e spesso crudele nei suoi risultati”: è quanto scrive il Papa in una lettera a Piero Fassino, sindaco di Torino, dove  dal 13 al 16 ottobre si svolge il Forum Mondiale sullo Sviluppo Locale. Il servizio di Sergio Centofanti:

Il Forum di Torino – scrive Papa Francesco – “molto opportunamente” intende riflettere “sulle potenzialità dello sviluppo economico locale, quale motore di una visione differente dell’economia”. Si tratta di un incontro “importante per promuovere l’attuazione dell’Agenda 2030, l’inclusione, la difesa dell’ambiente ed uno sviluppo umano integrale”.

“L’attuazione effettiva dell’Agenda 2030 – afferma il Pontefice - è urgente e indispensabile. Le decisioni adottate dalla Comunità internazionale sono importanti, ma comportano sempre la tentazione di cadere in un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze”.  Inoltre, “aldilà di piani e programmi, ci sono donne e uomini concreti, uguali ai governanti, che vivono, lottano e soffrono, e che devono essere protagonisti del proprio destino. Lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana non possono essere imposti. Vanno costruiti e realizzati da ciascuno, da ciascuna famiglia, in comunione con gli altri esseri umani e in una giusta relazione con gli ambiti nei quali si sviluppa la socialità umana – amici, comunità, villaggi e comuni, scuole, imprese e sindacati, province, nazioni”.

“In quest’ottica” – ha sottolineato – “lo sviluppo economico locale sembra essere la risposta più adeguata alle sfide che ci presenta un’economia globalizzata e spesso crudele nei suoi risultati”. Il Papa ricorda di aver segnalato all’Onu che “la misura e l’indicatore più semplice e adeguato dell’adempimento della nuova Agenda per lo sviluppo sarà l’accesso effettivo, pratico e immeditato, per tutti, ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in generale, libertà di spirito ed educazione”. Quindi, ha aggiunto:  “L’unico modo di ottenere veramente e in modo permanente questi obiettivi è lavorare a livello locale. Nei miei incontri con i movimenti popolari e con le cooperative italiane ho ricordato e sviluppato queste idee, che si possono riassumere in due assiomi: ‘il piccolo è bello’, ‘il piccolo è efficace’”.

“Le ricorrenti crisi mondiali – ha spiegato - hanno dimostrato come le decisioni economiche che, in genere, cercano di promuovere il progresso di tutti tramite la generazione di nuovi consumi e il permanente incremento del profitto siano insostenibili per lo stesso andamento dell’economia globale. Si deve anche aggiungere che esse sono di per sé immorali, dal momento che lasciano al margine ogni domanda su ciò che è giusto e ciò che davvero serve al bene comune. Le discussioni politiche ed economiche pubbliche e private devono invece interrogarsi su come integrare i criteri etici nei sistemi e nelle decisioni”.

Il papa conclude: “L’accento fondamentale sul locale, come vogliono i Forum di Sviluppo Locale, sembra essere una delle strade maestre per un vero discernimento etico e per la creazione di economie e di imprese veramente libere: libere dalle ideologie, libere da manipolazioni politiche, e soprattutto libere dalla legge del profitto ad ogni costo e della perpetua espansione degli affari, per essere veramente al servizio di tutti e reintegrare gli esclusi nella vita sociale”.

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Nomine episcopali in Brasile, Venezuela e Filippine

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato arcivescovo di Porto Velho mons. Roque Paloschi, trasferendolo dalla diocesi di Roraima. Il presule è nato il 5 novembre 1956, nella città di Progresso, diocesi di Santa Cruz do Sul. Ha studiato Filosofia presso l’Università Cattolica di Pelotas (1977-1981) e Teologia presso la Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul (1982-1985). È stato ordinato sacerdote il 7 dicembre 1986, a Bagé, nell’omonima diocesi, Stato del Rio Grande do Sul. Come sacerdote, ha sviluppato gli incarichi di Vicario parrocchiale della Parrocchia “Arcanjo São Gabriel” (1987-1994); Parroco della Parrocchia “Santa Terezinha”, a Santana do Livramento (1995-1996); Missionario a Mozambico nel progetto missionario del Regionale Sul 3 della C.N.B.B. (1997-1999); Parroco della Parrocchia “Nossa Senhora da Luz”, a Pinheiro Machado, diocesi di Bagé (2000-2005). Il 18 maggio 2005 è stato eletto Vescovo di Roraima, ricevendo l’ordinazione episcopale il 17 luglio successivo. Nel quadriennio 2011-2015 è stato Presidente del Regionale Norte 1.

Nelle Filippine, il Papa ha nominato vescovo di Kalookan mons. Pablo Virgilio Siongco David, finora ausiliare di San Fernando. Il presule è nato a Betis, Guagua, Pampanga, nell’arcidiocesi di San Fernando, il 2 marzo 1959.  Ha frequentato le scuole secondarie presso il Mother of God Counsel Minor Seminary, i corsi di Filosofia all' Ateneo di Manila University, e quelli di Teologia presso la Loyola School of Theology. È stato ordinato sacerdote il 12 marzo 1983 per l’arcidiocesi di San Fernando. Dopo un anno come Vice-parroco, è stato Direttore del Mother of God Counsel Seminary sino al 1986. Dal 1986 al 1991 ha studiato all'estero, conseguendo la Licenza e poi il Dottorato in S. Teologia presso la Catholic University of Louvain, e frequentando i corsi dell'Ecole Biblique de Jerusalem ove è stato diplomato. Rientrato in Patria ha svolto diversi ruoli di direzione ed insegnamento nell'équipe educativa del seminario arcidiocesano. Nel 2002 è diventato direttore del Dipartimento di Teologia del seminario, continuando ad insegnare Sacra Scrittura.  Nel medesimo anno è stato eletto Vice-presidente dell' Associazione dei biblisti cattolici delle Filippine e Vicepresidente dell'Archidiocesan Media Apostolate Networks. Mons. David è autore, a livello sia accademico che divulgativo, di diverse pubblicazioni sulla Sacra Scrittura. Il 27 maggio 2006 è stato nominato, da Benedetto XVI, Vescovo titolare di Guardialfiera ed Ausiliare di San Fernando. E' stato consacrato il 10 luglio successivo. All'interno della Conferenza Episcopale delle Filippine è Presidente della Commissione Episcopale per l'apostolato biblico.

In Venezuela, il Pontrefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato apostolico di Puerto Ayacucho, presentata per raggiunti limiti di età da mons. José Ángel Divassón Cilvetti, della Congregazione dei Salesiani. Al suo posto, il Papa ha nominato padre Jonny Eduardo Reyes  Sequera, salesiano, maestro dei novizi. Mons. Reyes Sequera è nato il 5 ottobre 1952, a Caracas (Venezuela). Dopo le scuole primarie e secondarie nel suo Paese d’origine, ha ottenuto il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Salesiana, in Roma. Ha conseguito una Licenza in Teologia Morale presso l’Alfonsianum, sempre a Roma. Ha emesso la prima professione il 31 agosto 1969 e la professione perpetua il 6 giugno 1976. È stato ordinato sacerdote l’8 dicembre 1979. Dopo l’Ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1979-1982:          Promotore vocazionale; 1982-1984: Studi a Roma; 1984-1985:      Vicario locale del Seminario San Luca, a Caracas; 1985-1994: Superiore locale del medesimo Seminario; 1986-1992: Consigliere Provinciale; 1994-1999: Superiore locale e Consigliere Provinciale nel Collegio Don Bosco a Valencia (Venezuela); 1999-2002: Vicario Provinciale; 2002-2008: Superiore Provinciale; 2008-2013: Superiore locale nel Collegio Don Bosco; dal  2013: maestro dei novizi.

Il Vicariato Apostolico di Puerto Ayacucho  (1953), ha una superficie di 184.000 kmq e una popolazione di 231.000 abitanti, di cui 177.000 sono cattolici. Ci sono 13 parrocchie servite da 30 sacerdoti (8 diocesani, 22 religiosi), 28 Fratelli Religiosi, 40 suore e 3 seminaristi maggiori.

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Pastorale di strada: iniziativa per bambini e donne sfruttati

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Un piano d’azione per  dare dignità ai bambini e alle donne vittime di sfruttamenti e abusi. E’ quanto emerge dal Documento finale del Simposio internazionale sulla Pastorale della Strada promosso e organizzato a Roma, dal 13 al 17 settembre scorso, dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. I contenuti sono stati diffusi oggi.

L’incontro aveva l’obiettivo di contrastare la dilagante piaga dei bambini e delle donne che si guadagnano da vivere sulla strada o che vivono in strada e delle loro famiglie. Nella riflessione, presentata al Papa, in particolare “si sprona a un rinnovato impegno comune nella lotta a gravi crimini contro l’umanità”, ma anche si “contesta ogni atto legale e ogni politica favorevole alla prostituzione, realtà che disonora l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio”. Viene poi messa in luce la necessità che “i Governi e gli Stati proteggano con ogni mezzo legale bambini e donne che si guadagnano da vivere o che vivono in strada, sostenendo le istituzioni impegnate alla loro liberazione e riabilitazione” e fornendo a queste persone documenti essenziali come la carta d’identità.

L’incontro ha sollecitato anche i presuli “a scrivere una specifica lettera pastorale, a livello nazionale, diocesano o di Congregazioni, nel contesto della XIV Assemblea Ordinaria Generale del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia”.

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La Libreria Editrice Vaticana alla Fiera del Libro di Francoforte

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Aperta a Francoforte la 67.ma edizione della Fiera del libro: oltre 7mila gli espositori, provenienti da 100 Paesi. Alla Buchmesse partecipa anche la Libreria Editrice Vaticana. Sulla presenza della Lev Sergio Centofanti ha sentito il direttore, don Giuseppe Costa

R. – Innanzitutto, si presenta con uno stand molto elegante che attira l’attenzione di chi passa. Lo stand mostra, tra l’altro, alcuni quadri della collezione di arte moderna dei Musei Vaticani e anche questo è motivo di godimento per i passanti. In fondo, la Buchmesse è una grande vetrina internazionale dove si fa vedere la parte migliore dell’editoria. Noi abbiamo portato i titoli stampati quest’anno, anche se in realtà esponiamo soltanto 400 titoli del nostro intero catalogo. Abbiamo cominciato i colloqui con gli editori; riceviamo ognuno di loro ogni venti minuti, mezz’ora.

D. – Quali sono i principali titoli Lev esposti?

R. – Abbiamo tutta la nostra produzione: chiaramente spingiamo, in particolare, per i libri che raccolgono l’insegnamento del Papa. Il volume “La famiglia genera futuro” è stato già preso da “Parole et Silencee da “Principia”. Quindi si aggiungeranno anche altre lingue alle edizioni che abbiamo già venduto in inglese, spagnolo ... C’è poi un’attenzione particolare agli interventi speciali del Papa: si tratta dei volumi che selezionano, per esempio, gli interventi del Santo Padre nei riguardi dei carcerati o quelli di indirizzo politico. Insomma, c’è tanta curiosità e attenzione per i testi del Santo Padre. C’è attenzione anche ai testi che riguardano le testimonianze: c’è molta curiosità per esempio sul Diario del cardinale Pericle Felici, pubblicato a cura di mons. Marchetto, venduto a un editore francese. Molta attenzione è rivolta alle testimonianze e alla vita spirituale in genere: ciò soprattutto da parte degli editori d’Oltralpe.

D. – Come va, sul piano internazionale, l’editoria?

R. – L’editoria continua ad essere in un momento di stasi. All’inizio, l’avvento dell’e-book aveva finito con il creare alcune paure. Ora sembra invece che lo sviluppo dell’e-book sia piuttosto fermo, sia in Italia che negli Stati Uniti, dove si era arrivati già al 30-40% di diffusione. A livello internazionale c’è una rinnovata attenzione sui contenuti e sui valori: gli editori sperano di poter controllare lo stesso sviluppo tecnologico con una editoria che si serve non soltanto del cartaceo, ma anche della vasta gamma dell’elettronica, che va dall’e-book alle App e alle altre piattaforme, però senza avere la paura che il cartaceo finisca.

D. – Il libro resiste…

R. – Sì, certamente, però resiste il libro di qualità. C’è da dire che un po’ tutti gli editori, compresa l’editoria cattolica - anche se ha una presenza quest’anno leggermente minore – hanno ottime pubblicazioni dal punto di vista grafico, estetico. E c’è anche una maggiore selezione dei contenuti. Insomma, la produzione medio-alta dà ancora grande spazio al libro e assicurerà a quest’ultimo certamente una lunga vita!

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, No a povertà ed esclusione. Il Papa torna a parlare di giustizia economica chiedendo che a tutti siano garantiti i beni materiali e spirituali indispensabili. E all’udienza generale dedicata ai bambini domanda perdono per gli scandali a Roma e in Vaticano.

Sotto, Prove di dialogo sulla Siria; riprende il confronto tra Washington e Mosca per coordinare le operazioni anti-Is, e Nel cuore del sinodo. Le nuove relazioni dei circoli minori.

A pagina quattro, "Il volto oscuro dello Stato Alle origini di mafia e camorra", di Giovanni Cerro e "Digiuno ma non troppo", di Luigi coco, sulle indicazioni  alimentari di san Girolamo.

Nella seconda pagina della cultura, "In economia piccolo è bello", il messaggio di Papa Francesco al terzo Forum mondiale di sviluppo locale in corso a Torino e "Il Dostoevskj del Novecento" di Silvia Guidi, su "Conversazioni" il libro in cui Cynthia L. Haven ha raccolto interviste concesse negli anni Ottanta e Novanta dal poeta russo Iosif Brodskij a giornalisti, studenti e riviste letterarie.

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Oggi in Primo Piano



Gerusalemme blindata. Mons Lazzarotto: superare odio reciproco

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All’indomani della “giornata della rabbia” palestinese, che ha provocato in tutto 4 morti e una ventina di feriti, mentre la tensione resta alta in tutto il Medio oriente, il governo Netanyahu interviene con durezza. Chiusi i quartieri arabi di Gerusalemme, revocati ai terroristi i diritti di residenza permanente e confiscate le proprietà. In più si è deciso di non restituire alle famiglie i corpi dei responsabili degli attacchi e di non ricostruire le loro case distrutte.”Sanzioni collettive”, come le definisce l’Anp, che accrescono la preoccupazione dell’Onu e degli Stati Uniti che si preparano ad una missione di mediazione. Preoccupazione, ma anche un invito a non esagerare nei toni facendosi prendere dall’emozione per quanto accade, li esprime al microfono di Gabriella Ceraso mons. Giuseppe Lazzarotto, nunzio in Israele e delegato apostolico per la Palestina: 

R. – Quello che sta succedendo rischia di compromettere seriamente gli sforzi di tante persone, che sono sinceramente – e senza neanche fare troppo clamore, diciamo – impegnate sul terreno a costruire la via del dialogo, della pace, della fraternità, della convivenza pacifica.

D. – Perché ci sono queste persone e nessuno ne parla?

R. – Ci sono e sono moltissime. Però, purtroppo, la loro voce non viene ascoltata e non è sempre udibile. Purtroppo, quando accadano questi avvenimenti, si rompe un equilibrio che è poi difficile ricostruire.

D. – Su che cosa si deve lavorare?

R. – Sulla ricostruzione laddove c’è qualcosa di rotto o laddove c’è, invece, rinforzare il modo con cui gli uni guardano agli altri e abbattere il muro di ostilità e di odio.

D. – Oggi che giornata è a Gerusalemme? Com’è il volto della città? Si parla di una città blindata, di una città in cui crescono le barriere…

R. – Evidentemente, ci sono molte forze dell’ordine in giro, ci sono delle difficoltà nei movimenti… Però, non è che siamo sotto assedio. Farsi prendere dalle emozioni è facile, ma poi si rischia di perdere una visione oggettiva di quello che succede e soprattutto di quello che si può fare. Ma ripeto: se non ci si impegna tutti insieme a combattere la causa di fondo, che è proprio questa persistente sfiducia e ostilità degli uni nei confronti degli altri, se non si arriva a sanare questa causa iniziale, non si otterranno effetti che possano durare nel tempo.

D. – Questo si fa anche attraverso il dialogo?

R. – Soprattutto attraverso il dialogo e attraverso i gesti. Il Papa ce lo chiede continuamente, lo chiede ai politici, la pace ha bisogno di gesti coraggiosi. E questi sono i gesti coraggiosi: avere il coraggio di superare quella che può essere l’ostilità iniziale o anche la sfiducia o la difficoltà del dialogo. Ma bisogna arrivarci! Perché – ripeto – tutte le altre misure, pur utili e magari necessarie, non risolvono il problema di fondo.

D. – Lei ha la sensazione che a livello di comunità internazionale si stia o non si stia facilitando questo ritorno al dialogo?

R. – Noi stiamo aspettando per vedere… Si sente di iniziative prese dagli uni o dagli altri, però per il momento non vediamo niente di concreto.

D. – E la percezione della gente qual è?

R. – Le persone sono preoccupate! C’è, direi, quasi un senso di impotenza…

D. – Si può fare qualcosa in momenti come questi? Non sono i primi momenti, non è la prima volta…

R. – Le nostre chiese e i responsabili delle comunità cristiane sono in mezzo alla gente, giorno e notte sono lì. Questa è l'azione che svolgono, promuovere questo stile di vita: è il compito della Chiesa essere strumenti di dialogo.

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Nigeria. Mons. Ndagoso: cristiani discriminati nel nordest

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Tre attentati, quasi simultanei, ieri a Maiduguri, nel nordest della Nigeria. I tre kamikaze si sono fatti saltare in aria, a distanza di tre minuti ciascuno, provocando la morte di sette persone. Secondo il portavoce dell’esercito, l’esplosione è avvenuta mentre alcuni musulmani rientravano a casa dalle preghiere della sera. L’attacco è stato attribuito al gruppo estremista Boko Haram, che dal 2009 a oggi ha ucciso migliaia di persone e costretto oltre 2 milioni di nigeriani a fuggire dai propri villaggi. Sull’escalation di violenza di Boko Haram, Elvira Ragosta ha intervistato il vescovo di Kaduna,  ed ex vescovo di Maiduguri, mons. Matthew Ndagoso, intervenuto ieri a Roma alla presentazione del Rapporto sulle persecuzioni dei cristiani di "Aiuto alla Chiesa che soffre": 

R. – I saw Boko Haram grow…
Ho visto crescere Boko Haram. La mia casa infatti era a Maiduguri, a soli 200 metri dal quartier generale di Boko Haram. E’ stata distrutta nel 2009. Quindi, li ho visti crescere e sfortunatamente nessuno lo ha notato. Chiunque avesse occhi, sapeva che questo gruppo avrebbe rappresentato qualcosa. Poi, sono diventati quello che sono diventati e abbiamo visto che tipo di distruzione, della vita e delle proprietà, hanno portato avanti negli ultimi quattro anni. Una volta, la terra era sotto il loro controllo, ma ora quei posti sono stati ripuliti dall’esercito nigeriano e la gente sta cominciando a tornarci.

D. – Attaccano musulmani e cristiani…

R. – Yes, initially when they started…
Sì, inizialmente, quando hanno cominciato, attaccavano le agenzie per la sicurezza, poi le chiese e infine le moschee. Quindi sia i cristiani che i musulmani hanno perso le loro vite. E posso dire che nel complesso sono morti più musulmani che cristiani per mano di Boko Haram.

D. – Riguardo alla persecuzione nei confronti dei cristiani, com’è la situazione nel nord della Nigeria?

R. – In northern Nigeria, particularly…
Nel nord della Nigeria, in particolare nel nordest, sì. La persecuzione è sistematica, nel senso che fin dall’indipendenza non abbiamo potuto, specialmente nella parte a nordest, ottenere la terra per costruire le chiese. Ti dicono di seguire il protocollo. Il protocollo dice che non sono ammesse chiese: “Vi damo la terra, però non costruite chiese lì”. Non è ammesso praticare, costruire le chiese per il culto, altrimenti si assiste ad una sistematica persecuzione. Nel nordest ci sono dei cristiani indigeni - un gruppo chiamato Magusawa  - che siccome rifiutano l’islam, non vengono considerati, non esistono. E vengono loro negati servizi essenziali: acqua, scuole…

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Sudafrica: accordo siglato con i minatori del carbone

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Sembra in fase di soluzione la vertenza dei minatori in Sudafrica. Dopo una settimana, si è concluso lo sciopero di 30 mila lavoratori del carbone. All’origine della svolta, l’accordo, della durata di due anni, su aumenti salariali. Soddisfazione è stata espressa da più parti, anche se non tutti i problemi del settore sono stati risolti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con padre Fabio Baldan, missionario comboniano in Sudafrica: 

R. – Solo un sindacato di minoranza nei settori platino e oro ha rifiutato di sottoscrivere l’accordo e quindi continuano, perlomeno, le negoziazioni e forse anche gli scioperi. Ma questa è senz’altro una notizia positiva, perché assicura una certa stabilità, soprattutto in un momento in cui il settore minerario aveva annunciato di dover licenziare centinaia, se non migliaia, di persone. Il discorso del settore minerario rimane però ancora un problema, perché la congiuntura finanziaria è molto negativa, quindi ci sono ancora delle nuvole scure all’orizzonte.

D. – Da quando è sorta la vertenza dei minatori in Sudafrica, è stato anche puntato il dito sulla gestione, non certo corretta, delle istanze dei lavoratori…

R. – Il problema di fondo sta nel fatto che la confederazione dei sindacati è anche parte del governo. Chiaramente, questo provoca situazioni di conflitto di interesse. Per cui, ci sono stati dei casi in cui i sindacati sono stati divisi tra, da una parte, difendere i diritti dei lavoratori e, dall’altra, rimanere leali alle decisioni politiche del governo. Lì si è creata una situazione che ha avuto parecchi riflessi e conseguenze negative. Ricordiamo nel 2012 il massacro di Marikana, che è stato veramente – ed è ancora – uno dei momenti più oscuri della democrazia in Sudafrica. 

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Unioni civili. Gandolfini: pronti a scendere in piazza per la famiglia

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Difendere la famiglia, contrastare l’ideologia gender, informare. Sono le sfide lanciate dell’incontro che si terrà a Roma, sabato 17 ottobre, al Teatro Adriano organizzato da molteplici organizzazioni pro-family. Preoccupazione è stata espressa per il nuovo testo sulle unioni civili appoggiato dal premier Renzi e che oggi si è incardinato al Senato. Il documento che divide la politica mira ad introdurre un istituto simile al matrimonio e consentire le adozioni da parte di coppie omosessuali. Massimiliano Menichetti ha intervistato Massimo Gandolfini presidente del Comitato “Difendiamo i Nostri Figli” che ribadisce: “siamo pronti a tornare in piazza”: 

R. – Il fine di questa iniziativa è quella di ribadire alcuni concetti e principi che sono fondamentali e che, in questo momento, vengono ampiamente messi in discussione - in maniera negativa - con tutto il dibattito che è in corso sul tema in modo particolare delle unioni civili, di fatto omologate alla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, di cui parla l’Art. 29 della Costituzione, da una parte; dall’altra parte vogliamo assolutamente sottolineare e tenere molto vivo il tema di fermare ogni tipo di introduzione di una educazione secondo l’ideologia gender nelle scuole di ogni ordine e grado della Repubblica.

D. – Nel nuovo testo sulle unioni civili è stata espunta l’espressione “matrimonio”, ma le cose non cambiano: anzi si rafforza anche l’adozione nei confronti di coppie omosessuali…

R. – E’ una vera presa in giro, lo possiamo chiamare "Cirinnà 2", perché di fatto non è cambiato nulla nella sostanza. Anzi, si è addirittura quasi irrigidito sul tema che per noi è il tema più delicato e scottante che è quello dell’adozione dei bambini, anche sotto forma di “stepchild adoption”. Stiamo facendo una raccolta di firme - che per carità non ha un valore giuridico, però un valore simbolico molto importante - contro questo ddl e siamo a più di mezzo milione di firme nel giro di neanche un mese… Stiamo facendo anche un appello a tutti coloro che, in maniera non ideologica, appartengono a partiti diversi ad analizzare con serietà il "Cirinnà 2", perché questo ha il potere di scardinare la Costituzione e la formazione della società e della famiglia come noi la conosciamo in Italia da secoli e secoli. Qui si tratta di buon senso e il buon senso dice che il bambino ha bisogno di un papà e di una mamma e che l’ambiente sicuramente più vantaggioso per l’educazione e la formazione del bambino è che abbia una famiglia, un papà e una mamma. Tutto il resto è mera e – uso un termine forte – sporca ideologica.

D. – Che cosa rimane della grande manifestazione del 20 giugno, il Family Day, che portò in piazza oltre un milione di persone a Roma?

R. – Rimane tanto, per tutto quello che si sta facendo in questo momento - ad esempio - nel mondo della scuola: per quanto riguarda l’educazione gender: da parte di tutti si sono davvero aperti gli occhi, alzate le antenne e oggi c’è una grandissima attenzione dei genitori e non scappa nulla… E questo perché le persone sono allertate a leggere i testi dei loro figli. Questo è merito della manifestazione del 20 giugno, perché altrimenti Pof, Pek e quant’altro passavano nella ignoranza, nell’oblio totale degli aventi diritto all’educazione, che sono i genitori. Seconda cosa: pensa che tutto il polverone che si è alzato e che si sta ancora alzando sul Cirinnà esisterebbe se non ci fosse stato il 20 giugno? Terza questione: il 20 giugno non è chiuso! Stiamo pensando concretamente ad un’altra manifestazione grande, nazionale, in cui nuovamente il popolo italiano dirà ai propri rappresentanti - che in quanto rappresentanti dovrebbero recepire il comune senso dei cittadini che li hanno eletti - che per noi, la famiglia è un papà, una mamma e i figli, le altre convivenze fra persone di pari sesso vanno rispettate e andranno tutelate, ma non sono una famiglia!. Non ci devono prendere in giro con operazioni di chirurgia estetica: è stato tolto il termine “matrimonio” e ci hanno messo “formazione sociale specifica”, ma dentro è tutto uguale! Non è cambiato nulla!

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Legge Stabilità, arrivano aiuti per minori poveri. Caritas: no a contentini

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Alla vigilia della Legge di Stabilità, l’Alleanza contro la Povertà presenta le proprie proposte per introdurre anche in Italia una forma di sostegno alle fasce più deboli. Il premier Renzi ha più volte parlato di un assegno per i bambini poveri ma ancora non è chiaro come sarà strutturato. Alessandro Guarasci: 

Il governo in questa Legge di Stabilità pensa a un intervento limitato sulla povertà. Come limitate sono le risorse: meno di un miliardo, che dovrebbero andare sotto forma di assegno alle famiglie con minori in difficoltà. I piccoli in questa condizione sono circa 800 mila. Un primo passo, dice il direttore della Caritas don Francesco Soddu:

“Riteniamo necessario, urgente, che non rimanga semplicemente un ‘contentino’, ma che possa diventare strutturale all’interno della Legge di Stabilità e quindi una prospettiva buona affinché i poveri veramente vengano serviti”.

L’Alleanza contro la Povertà, un cartello di 33 associazioni, propone invece il Reis, indirizzato a tutti coloro che sono sotto la povertà assoluta. Ogni famiglia oltre a ricevere un assegno, da un minimo di 322 euro a un massimo di 451, avrebbe servizi sociali, una migliore assistenza sanitaria, e si dovrebbe impegnare a mandare i figli a scuola. Tutti i membri della famiglia dovrebbero poi dimostrare di voler cercare un lavoro. Una proposta articolata dice Gianni Bottalico, presidente delle Acli:

“È composta sì, da una parte, da risorse economiche che vanno destinate alle famiglie che sono in difficoltà; ma ci sono anche risorse economiche riservate agli enti locali, per strutturare la loro rete di servizi, e anche alle Regioni. Noi pensiamo oggi a riformare il livello di welfare attraverso la creazione di livelli di servizi che siano uguali per tutta l’Italia, perché qui c’è un tema vero: c’è una rete di servizi di serie A al nord e di serie B al centro e al sud”.

In tutto questo processo un ruolo fondamentale lo avranno i comuni. Antonio Misiani di Legautonomie, associazione che raggruppa gli enti locali:

“Servono molte più risorse. La spesa delle pubbliche amministrazioni per l’esclusione sociale si è dimezzata negli anni della crisi: noi oggi spendiamo per ogni persona in condizioni di povertà assoluta 689 euro, mentre prima, nel 2007, ne spendevamo 1.369. È una situazione insostenibile: servono più risorse, ma anche più servizi, perché altrimenti andiamo a fornire una misura assistenzialistica che non aiuterebbe l’Italia a recuperare questa enorme condizione di marginalità sociale”.

Più aiuti e servizi ai poveri è un modo anche per sostenere l’economia. Il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini:

“È chiaro che può essere un’azione di rilancio dei consumi, ma può essere - e deve essere soprattutto - un riposizionamento di persone che oggi si trovano nella soglia di povertà, escluse dalla società; un loro reinserimento nel mondo del  lavoro, nella capacità di reddito. E conseguentemente bisogna anche stabilizzare la possibilità per queste persone di riprendere un ruolo, riattivando così i consumi”.

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Cristiani e musulmani insieme. Testimonianza di mons. Rault

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“Cristiani e musulmani insieme”, questo è il titolo del Convegno organizzato dai missionari d’Africa e dal Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica, ieri a Roma. Mons. Claude Rault, vescovo a Laghouat in Algeria, ha reso la sua testimonianza presentando il suo libro “Il deserto è la mia cattedrale”. Alessandro Filippelli lo ha intervistato: 

R. – Je crois que nous pouvons collaborer de toutes nos forces…
Credo che possiamo collaborare con tutte le nostre forze, cristiani e musulmani, per il meglio di questa umanità plurale. E’ quello che cerchiamo di fare ed è ciò che anche i nostri partner musulmani ci aiutano a fare e che possiamo fare insieme. Credo sia sempre possibile e sia importante per il futuro della nostra umanità che le buone volontà cristiane e musulmane, e di altri, possano mettere insieme le loro forze per fermare la guerra, per un mondo più pacifico, per un rispetto più grande delle persone. E noi siamo fortemente impegnati in questo senso, con questa dimensione, che io chiamo “verticale”, di relazione con Dio che ci dona la forza per costruire, con il suo aiuto, questo mondo più fraterno e umano.

D.  – La diocesi di Laghouat nel Sahara, in Algeria, ha circa tre milioni e mezzo di abitanti, ma sono pochi i cristiani. Qual è la sua missione come vescovo?

R.  – Pour moi comme évêque, je me situe d’abord en tant que chrétien….
Come vescovo e prima di tutto come cristiano sono anche inviato al mondo musulmano: ho lavorato tanti anni con i musulmani e da vescovo adesso cerco di unire tutte queste 12 comunità che sono presenti nelle diocesi. Sono un vescovo “nomade” e dico spesso che il vescovado è il luogo della mia assenza. La sede episcopale del vescovo è il sedile di una macchina: devo andare a visitare le comunità e si tratta di lunghe distanze, non posso chiedere ai membri delle diocesi di venire da me nel mio ufficio. Allo stesso tempo, questo mi permette di incontrare regolarmente algerini e musulmani che sono amici di queste comunità.

D. – Gli anni Novanta sono stati anni difficili per l’Algeria. Adesso qual è la differenza tra quell'epoca e quello che si vive oggi?

R.  – C’est une très grande difference…
E’ una differenza molto grande. Il popolo algerino ha molto sofferto per dieci anni, ci sono state quasi 150 mila vittime del terrorismo e della violenza, quindi è stato necessario che questo popolo e queste famiglie potessero pensare a guarire. Penso che viviamo attualmente una pace che non ha niente a che vedere con questi anni che abbiamo vissuto. Credo sia un po’ per questo motivo che l’Algeria non voglia farsi coinvolgere dalla guerra che si vive nei Paesi vicini e scelga sempre come priorità il dialogo politico, con chiunque sia. Personalmente, mi hanno chiesto a volte se in questo Paese avessi paura per la mia sicurezza… Non penso mai alla mia sicurezza.

D.  – Quanto è importante la condivisione del progetto Le Ribat es-Salam, ovvero il Vincolo della pace?

R. – Je pense que ce que le frère Christian disait…
Penso a che frère Christian de Chergé diceva: “Si trova l’altro solo al livello in cui lo si cerca”. Dunque, se cerchiamo l’altro al suo livello spirituale questo può essere simbolicamente anche un appello ai credenti del mondo a cercarsi più a livello della loro umanità, che è un livello spirituale.

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Capovilla compie 100 anni. Gli auguri di Mattarella

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Il card. Loris Capovilla, l'antico 'contubernale'  di Giovanni XXIII come lui stesso ama definirsi, compie oggi 100 anni. Un compleanno che il più anziano vescovo e cardinale d'Italia, ha deciso - come riferisce l'agenzia Adnkronos - di celebrare "in  silenzio e preghiera" nella sua casa di Sotto Il Monte, in provincia  di Bergamo, circondato solo dai parenti più stretti. Unica eccezione, la telefonata che il cardinale ha ricevuto dal Presidente della  Repubblica italiana, Sergio Mattarella, che gli ha espresso gli auguri più  affettuosi.

Il compleanno con i profughi africani
Ma per il suo genetliaco centenario, il cardinale aveva espresso un  desiderio "Che bello - aveva confidato - se potessi trascorrere quel  giorno con i profughi accolti a Sotto il Monte". Desiderio esaudito,  incontrando Issa, venuto dal Mali, accolto nella Comunità Villa San  Francesco di Facen di Belluno, fondata dall'allora patriarca di  Venezia - poi Papa Giovanni XXIII - Angelo Roncalli. "Sono contento di essere vissuto in questo mondo", confessa al giovane africano, "Io ormai ho finito la mia corsa e tu la comici", dice. "Dai il tuo contributo per la civiltà dell'amore perché non ce ne è  un'altra, non c'è la civiltà della tecnica, della potenza o delle  armi. A me sono tanto cari i miei fratelli cristiani, lo so, ma lo  sono ugualmente nella stessa misura, mi sono cari tutti gli uomini e donne di questo mondo.  "Issa, che Dio ti benedica" gli dice Capovilla,  abbracciandolo. Rivolgendosi, poi, agli altri profughi e immigrati,  arrivati da lui, aggiunge "Amo il vostro Paese, penso alla vostra  mamma, penso alla vostra giovinezza. Avrete molte difficoltà ma se siete fedeli a Dio avrete anche qualche consolazione. Siamo tutti  fratelli".

L'ottimismo per il futuro dell'Italia
A chi gli chiede se nei suoi 100 anni si sente ancora ottimista, il  cardinale risponde: "Come posso essere pessimista io, dopo aver  incontrato uomini come Papa Giovanni, Paolo VI, gli altri Papi, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti, Alcide De  Gasperi, Aldo Moro. No, non siamo allo sbando. La nostra storia è  storia di bellezza, di verità, di giustizia e di amore. Noi intendiamo ancora calcare queste orme. E andare ben oltre".

Ordinato sacerdote nel 1940
Nato a Pontelongo, orfano del padre a sette anni, trasferitosi con la madre e la sorella a Mestre nel 1929, Capovilla è  stato ordinato sacerdote nel '40. Di lì a poco l'entrata in guerra  dell'Italia che ne ferma la prosecuzione degli studi. Nel frattempo  viene impegnato come coadiutore parrocchiale, catechista, insegnante,  cerimoniere, cappellano. Destinato al Corpo di spedizione in Russia,  ma ritenuto inadatto, è inviato all'aeroporto di Parma per  l'assistenza religiosa. Qui lo coglie l'armistizio del '43 e strappa alcuni avieri all'internamento. Ritornato a Venezia a dicembre, anche perché malato, lo fanno cappellano dell'ospedale per gli infettivi a  Santa Maria delle Grazie.

Ha servito per decenni Papa Roncalli
​Nel dopoguerra invece lavora nei media: i commenti al Vangelo dalla  Rai di Venezia, la direzione della 'Voce di San Marco', della pagina  locale dell''Avvenire d'Italia'. Roncalli, che l'aveva già incontrato  nella laguna e a Parigi, lo vuole subito con sé. Il resto è noto: dopo il fedele decennale servizio a Roncalli, gli è sopravvissuto per più  di cinquant'anni, continuando a servirlo e ad essergli 'contubernale'  nella comunione dei santi, raccogliendone l'eredità. Nel 1967, Capovilla diventa vescovo di Chieti, per poi passare a  Loreto. Alle dimissioni, nel 1988 a 73 anni, va ad abitare a Sotto il  Monte Giovanni XXIII, in provincia di Bergamo, paese natale di  Roncalli. È qui che il 12 gennaio 2014 accoglie, con sorpresa, la  nomina a cardinale. (R.P.)

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Mons. Gallagher: anche in Europa cresce l'intolleranza

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“Negli ultimi tempi, su scala mondiale, senza eccezione per il continente europeo, si è testimoni di come il rispetto per la libertà religiosa viene compromesso per una serie di cause e si assiste altresì a un preoccupante peggioramento delle condizioni di tale libertà fondamentale, che in diversi casi ha raggiunto il grado di una persecuzione aperta, in cui sempre più spesso i cristiani sono le prime vittime, benché non le sole”. Lo ha detto l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, intervenendo ieri a Roma, alla conferenza annuale dell’Accademia internazionale per lo sviluppo economico e sociale intitolata “Libertà religiosa, sicurezza e sviluppo in Europa”. 

Contro libertà religiosa: fondamentalismi e Stati non democratici
Per mons. Gallagher - riferisce l'agenzia Sir - “fattori determinanti di queste situazioni allarmanti sono certamente riconducibili al diffondersi dei fondamentalismi e al permanere di Stati autoritari e non democratici”. Inoltre, “in molti Paesi di antica tradizione democratica la dimensione religiosa tende a essere vista con un certo sospetto sia a causa delle problematiche inerenti al contesto multiculturale, che per l’affermarsi inesorabile di una visione secolarista, secondo cui le religioni rappresenterebbero delle visioni tradizionali dell’uomo e della società in diretta competizione con la piena affermazione dei diritti dell’uomo”.

Intolleranza e forme di discriminazioni anche in Europa
​“Negli ultimi tempi in Europa si nota una crescita inquietante di forme di intolleranza ed episodi di discriminazione, a volte anche latenti, nei confronti dei cristiani”, ha denunciato mons. Gallagher. Non solo: sempre in Europa “le autorità civili non sempre riconoscono alle comunità religiose il ruolo di interlocutori, al contrario di quanto avviene, ad esempio, per le organizzazioni della società civile. Inoltre, nel contesto di una società secolarizzata, pare non sempre facile per le autorità pubbliche cogliere la singolarità del contributo che le comunità religiose possono offrire per il mantenimento della coesione tra le varie componenti sociali, favorendo a tal fine un dialogo aperto e rispettoso”. D’altra parte, “la dimensione religiosa” continua a “essere punto di riferimento esistenziale per milioni di persone nel continente europeo”.

La libertà religiosa un dovere delle istituzioni
Per mons Gallagher appare perciò “intrinsecamente contraddittorio chiedere la libertà per tutti e in nome di tale libertà negarla ad alcuni gruppi. Deve, dunque, essere un dovere precipuo per le istituzioni contrastare ogni forma di discriminazione basata sull’orientamento religioso, ma anche, in prospettiva positiva, promuovere e proteggere la libertà religiosa allo stesso modo e con tutti gli strumenti impiegati per la difesa di ogni altro diritto fondamentale”. (R.P.)

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Indonesia. Assaltate chiese ad Aceh: un morto e 4 feriti

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È di un morto, quattro feriti e una chiesa incendiata il bilancio degli scontri confessionali registrati ieri nel distretto di Singkil, provincia di Aceh, nell’ovest dell’Indonesia, la zona più “islamica” del Paese musulmano più popoloso al mondo e soprannominata “La porta della Mecca”. Testimoni locali riferiscono che centinaia di musulmani hanno attaccato un primo luogo di culto cristiano perché “illegale” (e privo dei permessi di costruzione), dandolo alle fiamme. In seguito, la folla si è diretta verso una seconda chiesa, dando vita a scontri violenti che hanno provocato la morte di una persona e il ferimento di diverse altre. 

Sono almeno 10 i luoghi di culto cristiani considerati “irregolari”
Da qualche settimana - riporta l'agenzia AsiaNews - si registra un incremento della tensione ad Aceh, nel contesto di una crescente pressione esercitata dalla frangia fondamentalista islamica locale. La scorsa settimana un gruppo di manifestanti ha organizzato una dimostrazione di piazza chiedendo la demolizione di quelle che definiscono “chiese prive delle licenze”. In risposta, il governo locale ha acconsentito all’abbattimento ma avrebbe posticipato "troppo" l’inizio delle operazioni provocando il risentimento dei movimenti estremisti. Sono almeno 10 i luoghi di culto cristiani considerati “irregolari” perché privi dell’Imb (Izin Mendirikan Bangunan, il permesso di costruzione); l’inizio delle demolizioni era programmato per il 19 ottobre e si sarebbe concluso nel giro di due settimane. Alle chiese risparmiate - 14 in tutto - vengono concessi sei mesi per regolarizzare la propria posizione. 

Nell'enclave cristiana è tornata la calma
Husein Hamidi, capo della polizia di Aceh, riferisce che “dopo aver bruciato la chiesa, la folla - composta in maggioranza da membri del Muslim Youth Forum - ha cercato di attaccarne un’altra ma ha incontrato l’opposizione dei cristiani”. In seguito agli scontri fra estremisti e abitanti del villaggio di Dangguran (sotto-distretto di Gunung Meriah), aggiunge il funzionario, “un uomo è stato ucciso dopo aver ricevuto un proiettile in testa” e altri quattro sono rimasti feriti. Secondo alcune fonti la polizia avrebbe operato diversi arresti, ma non vi sono al momento conferme ufficiali; intanto la situazione nel distretto - una enclave cristiana in un contesto a larghissima maggioranza musulmano - è tornata alla calma, anche se la tensione potrebbe precipitare nei prossimi giorni quando è prevista la demolizione di altre 10 chiese “illegali”. Alcune famiglie cristiane sarebbero già fuggite, nel timore di una escalation delle violenze. 

In alcune regioni indonesiane un islam sempre più radicale
L'Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, è spesso teatro di attacchi o gesti di intolleranza contro le minoranze, cristiani, musulmani ahmadi o di altre fedi. Nella provincia di Aceh - unica nell'Arcipelago - vige la legge islamica (shari'a), in seguito a un accordo di pace fra Jakarta e Movimento per la liberazione di Aceh (Gam), e in molte altre aree (come Bekasi e Bogor nel West Java) si fa sempre più radicale ed estrema la visione dell’islam. 

Inasprite le misure contro le donne
La scelta di inasprire leggi, regolamenti, norme e comportamenti non ha incontrato i favori di una larga fetta della popolazione locale, costretta a modificare in modo repentino abitudini e costumi radicati nel tempo. Fra le decisioni contestate dai cittadini di Aceh, vi sono tutta una serie di divieti rivolti in particolare alle donne: indossare jeans e gonne attillate, viaggiare cavalcioni a bordo di motocicli, ballare in pubblico perché "alimentano il desiderio”, festeggiare il San Valentino. L’ultimo caso riguarda la decisione di introdurre un “coprifuoco” per le donne, in via ufficiale per ridurre le molestie sessuali. (M.H.)

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Centrafrica: attesa per la visita papale

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«La visita di Papa Francesco donerà nuova speranza al Centrafrica.Tutti sono a conoscenza dei tanti appelli fatti per il nostro popolo e sono onorati che il Pontefice abbia scelto la Repubblica Centroafricana come meta del suo primo viaggio in Africa». Così racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) padre Hermann Tanguy Pounekrozou, sacerdote centroafricano che da anni collabora con Acs Italia segnalando la drammatica situazione nel Paese ma anche il clima di speranza che ora si respira tra la gente, nonostante «la tristezza e il dolore siano evidenti nella popolazione costretta a vivere giorno per giorno senza poter pensare al futuro».

Poche speranze di cambiamento con le prossime elezioni
In vista delle elezioni presidenziali che si terranno il 18 ottobre prossimo - riferisce L'Osservatore Romano - il Centroafrica è un Paese nel quale, ha spiegato il sacerdote, le autorità hanno estrema difficoltà nel cercare di mantenere l’ordine e assicurare la convivenza pacifica. Le prossime consultazioni non lasciano spazio a molte speranze di cambiamento. Gli elettori si trovano di fronte alla possibilità di scegliere fra ben settanta candidati su appena due milioni di elettori. «Gli aspiranti alla presidenza - ha sottolineato padre Tanguy Pounekrozou - cercano di conquistare consensi in cambio di zucchero, olio e biciclette. Alcuni di loro in passato hanno sostenuto direttamente o indirettamente la Seleka, la coalizione ribelle autrice del golpe del 24 marzo 2013».

Altissimo tasso di violenza a Bangui
Nella capitale Bangui omicidi, furti e rapimenti sono all’ordine del giorno. Il quartiere Boy-Rabé, nel nord della città, è occupato dagli anti-balaka — le milizie erroneamente definite cristiane, che si sono opposte alla seleka — mentre a sud, nel quartiere denominato “Kilomètre 5”, vivono i musulmani, sorvegliati dalle loro milizie. In entrambe le zone è impossibile entrare dopo le 7 di sera. L’unica area sicura è la “green zone” nel sud est della città, dove si trovano gli organismi internazionali.

Deteriorati i rapporti interreligiosi
L’avvento della seleka e la successiva formazione degli anti-balaka hanno gravemente intaccato i rapporti interreligiosi, che in Centroafrica sono sempre stati buoni. Padre Tanguy Pounekrozou ritiene che il conflitto in atto non sia di natura religiosa, bensì politica ed economica. I musulmani sono stati in passato sfruttati dal Governo, perché in maggioranza commercianti e dunque più abbienti dei cristiani. La seleka si è servita della loro insoddisfazione, dandole una connotazione religiosa. Al tempo stesso, i cristiani accusano i musulmani di aver sostenuto la coalizione ribelle.

L’impegno della Chiesa cattolica per la promozione della pace
​In un quadro tanto drammatico, la Chiesa locale, guidata dall’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, si sta impegnando alacremente per far ritornare la pace e promuovere il dialogo interreligioso, sostenuta anche da alcuni leader islamici, come l’imam Omar Kobine Layama. «La voce della Chiesa — ha ricordato il religioso — è ascoltata e rispettata. I nostri vescovi stanno lavorando duramente per ripristinare quella convivenza pacifica che in Centroafrica abbiamo sempre avuto. E sicuramente la visita di Papa Francesco, molto apprezzato anche dalla comunità musulmana, darà nuovo impulso al dialogo interreligioso». (L.Z.)

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India: Suore di Madre Teresa chiudono agenzie di adozioni

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Gli orfanatrofi gestiti dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta non forniranno più servizi di adozione in India. La decisione, resa nota in un comunicato della congregazione ripreso dall’agenzia Ucan, è stata presa come conseguenza dell’introduzione a luglio delle nuove linee guida sulle adozioni varate dal Ministero federale per le donne e la promozione dell’infanzia, che prevedono, tra l’altro, la possibilità per donne single o divorziate di candidarsi all'adozione (escludendo peraltro uomini single per le bambine).

Le nuove direttive aprono alle adozioni gay
Secondo il Governo di New Delhi, l’obiettivo del provvedimento, è, da un lato, di rendere più trasparente il sistema delle adozioni nel Paese e, dall’altro, di aumentare l’accessibilità alle adozioni. Per le Missionarie della Carità, tuttavia, affidare bambini a persone singole è incompatibile con gli insegnamenti della Chiesa: “Ottemperare agli obblighi previsti dalle nuove disposizioni – spiega il comunicato - sarebbe stato molto difficile per noi”.  Una posizione pienamente sostenuta dai vescovi, secondo i quali la normativa apre le porte alle adozioni da parte di coppie omosessuali, conviventi e divorziate. In questo senso si è espresso il vice-segretario generale della Conferenza episcopale indiana, padre Joseph Chinnayan, che punta il dito contro un altro punto controverso del provvedimento: quello che concede ai richiedenti la possibilità di scegliere il bambino da adottare da un massimo di sei minori. Un’opzione che “offende la dignità dei bambini”, ha affermato il sacerdote.

Gli orfanatrofi delle Missionarie della Carità in India resteranno aperti
​Dei numerosi orfanatrofi gestiti dalle missionarie della Carità in India, finora 18 erano abilitati al servizio di adozione. Dopo la chiusura di questo servizio, puntualizza la nota delle Missionarie della Carità, le religiose continueranno “ad aiutare gratuitamente ragazze madri, bambini malnutriti e disabili in tutte le loro istituzioni senza distinzioni di casta, credo o religione”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Belgio: politica d'accoglienza per migranti e rifugiati

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Appello dei vescovi del Belgio ad ospitare rifugiati e migranti e a migliorare la politica dell’accoglienza. In una dichiarazione pubblicata ieri con il titolo “Vivere insieme con i rifugiati e migranti, nostri fratelli e sorelle”, i presuli sottolineano che spesso “le frontiere si aprono più facilmente ai capitali, all’industria, al commercio, all’arte, alla scienza, alla tecnologia che alle persone in difficoltà” e, consapevoli dell’attuale dibattito politico - sia a livello nazionale che internazionale - sull’accoglienza, l’integrazione, gli interventi militari e umanitari di fronte al fenomeno migratorio, esortano ad una adeguata strategia di accompagnamento. “Come cristiani, è nostro dovere evangelico essere al fianco di coloro che soffrono – scrivono – con le nostre organizzazioni e i nostri movimenti … siamo particolarmente preoccupati per la sorte di quanti sono stati costretti a venire nel nostro Paese senza alcun punto di riferimento, senza accompagnamento né prospettive”.

Una politica di accoglienza necessita anche di una strategia di accompagnamento
I vescovi sottolineano inoltre che “i migranti sono esseri umani portatori di speranza”, che “l’accoglienza riguarda tutta la persona con la sua vita, la sua patria, la sua casa, la sua famiglia, la sua lingua, la sua cultura, le sue ferite psicologiche e fisiche”. Insistono inoltre sulla necessità di una collaborazione tra istituzioni politiche, civili, sociali e religiose e sull’opportunità di una strategia di accompagnamento ad affiancare “una politica di porte aperte”. Critico invece lo sguardo sulla politica migratoria di quelle nazioni che pesano e selezionano persone sulla base della loro utilità materiale, poiché porta “ad accogliere alcune persone e a rifiutarne altre”.

Non deve mancare l’aiuto ai Paesi da dove giungono i flussi migratori
Per i presuli non deve mancare poi l’aiuto ai Paesi di origine dei migranti, da qui l’esortazione ad un risoluto impegno per la pace attraverso una collaborazione internazionale. “Essendo umanamente queste persone nostri fratelli e sorelle dobbiamo preoccuparci anche dei loro Paesi – aggiungono i vescovi belgi –. Come Chiesa, possiamo spesso procurare a questi Paesi un’assistenza per aiutare la popolazione a livello locale. In particolare, lo sviluppo dell’agricoltura è molto importante”. Ma per i presuli occorre anche impegnarsi per assicurare educazione e formazione ai bambini e per questo sollecitano un’intensa collaborazione tra le autorità dei Paesi in via di sviluppo e le associazioni e comunità ecclesiali.

Migranti e rifugiati vanno accolti senza alcuna discriminazione religiosa
Infine i presuli insistono sul rispetto della dignità umana dei migranti così come del loro credo e della loro religione. “Mai rifugiati e migranti dovrebbero sentirsi obbligati a cambiare religione per beneficiare di una migliore accoglienza – rimarcano –. Non ammetteremo mai che un Paese rifiuti o escluda persone unicamente perché musulmani, cristiani, buddisti o per qualunque altra convinzione abbiano”.  E al fine di far fronte al fenomeno migratorio l’esortazione è a proseguire nella ricerca di soluzioni attraverso confronti e dibattiti, riflessioni e iniziative. (A cura di Tiziana Campisi)

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Corsica. Appello vescovo di Ajaccio: rispetto per i migranti

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“Il rifiuto dell’altro non porta alla pace. Solo di dialogo ed il rispetto possono aiutare a costruire la riconciliazione”: è quanto scrive, in una lettera aperta ai fedeli, il vescovo di Ajaccio, mons. Olivier de Germay. Il documento del presule, intitolato “Insieme, a servizio della pace in Corsica”, arriva dopo che, nel Paese, si sono registrate alcune tensioni in vista di un eventuale arrivo di profughi, in particolare di religione islamica. Per questo, mons. de Germay invita a ricordare il fondamento delle radici cristiane della Corsica, ovvero “il Vangelo e l’attenzione che bisogna avere nei confronti del prossimo”.

Non cadere nella trappola del disprezzo e dell’esclusione dell’altro
Certamente, spiega il presule, “è comprensibile che si abbiamo dei timori, dato il contesto internazionale attuale” ed “il fondamentalismo di numerosi giovani musulmani”. “Si tratta di una realtà che non si può ignorare - aggiunge - ed è normale che si rifletta su come affrontarla”. Tuttavia, il vescovo di Ajaccio esorta “tutti coloro che sarebbero tentati dalla violenza, sia verbale che fisica, a non cadere nella trappola del disprezzo e dell’esclusione, poiché le ideologie dell’odio possono generare caos”. “Non riproduciamo tale assurdità in Corsica!”, è il monito del vescovo di Ajaccio.

Ogni persona ha dignità inalienabile
Di qui, il richiamo a “coloro che vogliono difendere la cultura cristiana” affinché riscoprano “la fede sulla quale essa si radica”, perché “non si può difendere il cristianesimo assumendo un atteggiamento contrario al Vangelo”. La fede cristiana, infatti, sottolinea mons. de Germay, “permette di riconoscere in ogni persona un fratello o una sorella in umanità, la cui dignità è inalienabile”.

Ricordare gli insegnamenti sul Vangelo
Ricordando, poi, che “il Vangelo chiede di “rispettare tutte le persone, a prescindere dalle loro opinioni o dalla loro religione, in quanto create ad immagine e somiglianza di Dio”, il presule di Ajaccio sottolinea che in Corsica “ci sono tanti musulmani che desiderano solo vivere in pace. Disprezzarli non farebbe che confermare l’opinione di coloro che sono tentati dal radicalismo”. L’auspicio di mons. de Germay, allora, è che “sia possibile vivere insieme, con le proprie differenze”, affinché i fedeli corsi possano “essere fieri delle loro radici cristiane”. (A cura di Isabella Piro)

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Brasile: Chiesa chiede migliore distribuzione della ricchezza

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Nella celebrazione in onore di Nostra Signora Aparecida, il 12 ottobre, il vescovo ausiliare della diocesi di Aparecida, mons. Darci José Nicioli, ha chiesto di esercitare una politica più seria. "Si dice che il Brasile è in crisi, ed è vero. Crisi politica e crisi economica finanziaria. Alla base di questa crisi c'è una grande crisi morale, una crisi di valori" ha evidenziato il Vescovo.

Le donazioni ricevute dal santuario sono destinate ai più bisognosi
Per mons. Nicioli il Paese "sarebbe un paradiso" se seguisse il modello di gestione del santuario nazionale di Aparecida, come ha spiegato nella nota ripresa dall'agenzia Fides: "le donazioni ricevute presso il santuario tornano interamente per accogliere ed assistere i più bisognosi. “La ricchezza del Brasile deve essere meglio distribuita” ha sottolineato il vescovo, che ha aggiunto: "Non ci mancano i soldi, manca la serietà nell'uso del denaro".

Circa 400mila fedeli quest'anno ad Aparecida
​Circa 160 mila persone sono arrivate nella valle del Paraíba, per celebrare la festa della Patrona del Brasile nel santuario di Aparecida, che in questo anno 2015 ha visto giungere circa 400 mila fedeli. Nostra Signora di Aparecida o Nostra Signora della Concezione di Aparecida, è la Patrona del Brasile, la cui festa cade il 12 ottobre. Il Santuario si trova ad Aparecida, nello stato di San Paolo. La basilica è il più grande santuario mariano del mondo ed è in grado di contenere fino a 45.000 persone ed è anche il quarto santuario più visitato del mondo. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 287

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.