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Sommario del 11/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: dolore per strage Turchia. P. Bizzeti: serve alleanza civile

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Papa Francesco all’Angelus prega per le vittime dell’attentato di ieri ad Ankara, in Turchia, ed esprime la propria solidarietà alle loro famiglie in un telegramma indirizzato al presidente Erdogan, a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Intanto, in Turchia è stato identificato in un uomo di 25 anni uno degli attentatori. Le parole del Papa nel servizio di Roberta Barbi: 

“Ieri abbiamo ricevuto con grande dolore la notizia della terribile strage avvenuta ad Ankara, in Turchia. Dolore per i numerosi morti. Dolore per i feriti. Dolore perché gli attentatori hanno colpito persone inermi che manifestavano per la pace. Mentre prego per quel caro Paese, chiedo al Signore di accogliere le anime dei defunti e di confortare i sofferenti e i familiari”.

Così Francesco all’Angelus ha raccolto in un abbraccio a distanza famiglie e vittime dell’attentato avvenuto ieri ad Ankara, in cui sono rimaste uccise, secondo fonti ufficiali, 95 persone e ferite 246, di cui 48 ricoverate in terapia intensiva. Il Santo Padre ha anche inviato al presidente turco Erdogan un telegramma in cui manifesta la propria solidarietà e vicinanza spirituale con le persone colpite da “un atto barbaro” e invoca sui parenti in lutto “la forza divina e la pace”.

Il punto sulle indagini
Sempre nella giornata di ieri, inoltre, un’altra bomba esplosa nella provincia di Diyarbakir, nel distretto di Sur, sudest del Paese, ha ucciso un poliziotto e ferito sei agenti. Intanto, gli inquirenti turchi hanno analizzato tracce di impronte digitali ritrovate sui resti dell’ordigno e hanno individuato in un uomo dell’età di 20-25 anni uno degli autori del terribile attacco di cui non c’è ancora rivendicazione. Molte, infatti, sono le matrici del terrorismo che ha colpito negli ultimi decenni la Turchia, che dopo l’attentato ha visto ieri diecimila persone scendere in strada a Istanbul per una manifestazione. Anche oggi, nel primo dei tre giorni di lutto nazionale proclamati, nuove manifestazioni hanno avuto luogo proprio ad Ankara. 

La solidarietà di Obama
Arrivano nel frattempo anche altre manifestazioni di solidarietà: il presidente degli Stati Uniti Obama ieri sera ha chiamato il suo omologo turco Erdogan per esprimergli le proprie condoglianze: “Siamo con voi nelle sfide condivise per la sicurezza della regione ha detto – e solidali con il popolo turco nella lotta al terrorismo”. Erdogan, intanto, ha confermato le elezioni anticipate previste per il primo novembre prossimo.

Per un commento sull’accaduto, abbiamo raggiunto padre Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia (Turchia):

"Purtroppo, quello che è avvenuto è terribile, come è ovvio, per tutti! Manifesta un disagio che c’è in questo Paese in questo momento: un disagio che si può vincere soltanto attraverso una rinnovata alleanza tra tutte le componenti del popolo turco. Il popolo turco è un popolo composito, è una realtà composita e lì – come altrove – l’unica possibilità è quella di un’alleanza, di una complicità, di un guardare al bene comune più che fermarsi agli interessi della propria parte". 

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Papa: il denaro abbaglia e delude, Gesù rende felici e salva

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Fede e attaccamento alle ricchezze non possono convivere, ma non c’è ostacolo a una vita di fede se ci si affida a Gesù. Papa Francesco ha espresso questa convinzione commentando all’Angelus il Vangelo della liturgia domenicale e concludendo con un nuovo appello alla tutela dell’ambiente, in vista della prossima Giornata per la riduzione dei disastri naturali. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

È un gioco di sguardi, il capitolo 10 del Vangelo di Marco. Un alternarsi ideale, nella narrazione, di stacchi e primi piani sul viso di Gesù e su quello dei suoi interlocutori. Il Papa usa un linguaggio televisivo per far risaltare questo particolare e dare incisività alla sua riflessione. “L’evangelista inquadra gli occhi di Gesù”, osserva a un tratto Francesco, nel descrivere le parole dette e i sentimenti nascosti di uno dei brani più conosciuti di questo Vangelo, nel quale – dice – ci sono “tre scene scandite da tre sguardi”.

Vita eterna è felicità
Scena prima, il giovane ricco che corre da Gesù per chiedergli cosa debba fare per “avere in eredità la vita eterna, cioè la felicità”:

“‘Vita eterna’ non è solo la vita dell’aldilà, ma è la vita piena, compiuta, senza limiti. Che cosa dobbiamo fare per raggiungerla? La risposta di Gesù riassume i comandamenti che si riferiscono all’amore verso il prossimo. Al riguardo quel giovane non ha nulla da rimproverarsi; ma evidentemente l’osservanza dei precetti non gli basta, non soddisfa il suo desiderio di pienezza”.

Sguardo di tenerezza
Ed ecco il primo sguardo, “intenso – lo definisce il Papa – pieno di tenerezza e affetto” che Gesù rivolge al giovane prima di indicargli cosa fare per seguirlo: vendere anzitutto i suoi averi e dare il ricavato ai poveri. Ma questo sguardo di Gesù non tocca il cuore del giovane, che anzi se ne va rabbuiato poiché, ricorda Francesco, “ha il cuore diviso tra due padroni, Dio e il denaro”, la qual cosa – soggiunge – “dimostra che non possono convivere la fede e l’attaccamento alle ricchezze”:

“Il giovane non si è lasciato conquistare dallo sguardo di amore di Gesù, e così non ha potuto cambiare. Solo accogliendo con umile gratitudine l’amore del Signore ci liberiamo dalla seduzione degli idoli e dalla cecità delle nostre illusioni. Il denaro, il piacere, il successo abbagliano, ma poi deludono: promettono vita, ma procurano morte. Il Signore ci chiede di distaccarci da queste false ricchezze per entrare nella vita vera, la vita piena, autentica, luminosa”.

Sguardo di incoraggiamento
La risposta di Gesù al giovane, annota l’evangelista, sconcerta anche gli Apostoli. A loro il Maestro rivolge, dice Francesco, il secondo e il terzo sguardo della seconda scena:

“Stavolta si tratta di uno sguardo pensoso, di avvertimento: ‘Volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!’. Allo stupore dei discepoli, che si domandano: ‘E chi può essere salvato?’, Gesù risponde con uno sguardo di incoraggiamento – è il terzo sguardo – e dice: la salvezza è, sì, ‘impossibile agli uomini, ma non a Dio!’. Se ci affidiamo al Signore, possiamo superare tutti gli ostacoli che ci impediscono di seguirlo nel cammino della fede”.

Giovani, gesù o la mondanità?
La terza scena non ha sguardi ma contiene una verità spiegata da Gesù: il “centuplo” da Lui promesso a chi lascia tutto per seguirlo, spiega ancora Francesco, “è fatto dalle cose prima possedute e poi lasciate, ma che si ritrovano moltiplicate all’infinito. Ci si priva dei beni e si riceve in cambio il godimento del vero bene; ci si libera dalla schiavitù delle cose e si guadagna la libertà del servizio per amore; si rinuncia al possesso e si ricava la gioia del dono”. Una considerazione che induce Francesco a rivolgere una domanda diretta ai giovani che lo ascoltano:

“Avete sentito lo sguardo di Gesù su di voi? Cosa volete rispondergli? Preferite lasciare questa piazza con la gioia che ci dà Gesù o con la tristezza nel cuore che la mondanità ci offre?”.

Appello per la tutela della casa comune
Numerosi i saluti rivolti da Francesco dopo la preghiera dell’Angelus ai gruppi in Piazza San Pietro. Il primo dedicato alla Giornata internazionale per la riduzione dei disastri naturali del 13 ottobre, che sollecita nel Papa un nuovo appello su argomenti molto a cuore:

“Va purtroppo riconosciuto che gli effetti di tali calamità sono spesso aggravati da mancanze di cura dell’ambiente da parte dell’uomo. Mi unisco a tutti coloro che in modo lungimirante si impegnano nella tutela della nostra casa comune, per promuovere una cultura globale e locale di riduzione dei disastri e di maggiore resilienza ad essi, armonizzando le nuove conoscenze con quelle tradizionali, e con particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili”.

Altri saluti il Papa li ha indirizzati, fra gli altri, ai diaconi e ai sacerdoti del Collegio Germanico-Ungarico ordinati ieri e all’Associazione “Davide Ciavattini” per l’assistenza ai bambini con gravi malattie del sangue.

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Sinodo. Versaldi: l'approdo al matrimonio sia ben preparato

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Oltre a riconoscere la nullità di molti matrimoni secondo le nuove linee fissate dal Motu Proprio di Papa Francesco, occorre aiutare i fidanzati a non scegliere di celebrare un matrimonio nullo. Questo uno dei suggerimenti risuonato nell’aula del sinodo. Ci si sofferma il cardinale Giuseppe Versaldi che, al microfono di Paolo Ondarza, evidenzia la costante ricerca da parte dei Padri sinodali di un annuncio evangelico che coniughi verità e misericordia: 

R. – Seguendo gli ammonimenti e le indicazioni di Papa Francesco, stiamo cercando insieme di scoprire una verità che possa procedere nella direzione per cui questo Sinodo è stato convocato e cioè che il Vangelo possa essere annunciato agli uomini del nostro tempo tenendo conto delle mutate situazioni, ma anche della necessità di un annuncio che porti luce e verità, nella carità e nella misericordia. Il Papa continua a ripetere – e non possiamo non vedere in ciò un forte richiamo – che non ci si può lasciare andare ai due estremi, o giustizia o misericordia, ma bisogna coniugarli insieme. Non siamo un parlamento, non partiamo da idee opposte, ma da una base comune e procediamo tutti verso un’unica meta che è, appunto, Cristo che vuole essere annunciato e salvare gli uomini del nostro tempo.

D. – Segno dell’attenzione del Papa per la famiglia e per le coppie in difficoltà, per gli uomini e per le donne di oggi in difficoltà, è stato anche il recente Motu Proprio sulle nullità matrimoniali…

R. – Certo. Se si velocizza il processo per riconoscere che purtroppo oggi sono in aumento i casi di nullità matrimoniale, non si può – senza cambiare nulla – lasciare la preparazione al matrimonio come era, perché quelle stesse coppie che poi con fatica e sofferenza chiedono la nullità sono state accettate forse con troppa facilità al Sacramento del Matrimonio senza una verifica o un cammino, non per escluderli ma per preparali meglio, in maniera da non porre sulle loro spalle dei pesi che poi è difficile togliere. E’ comunque sempre una esperienza dolorosa il fallimento del matrimonio, anche se poi arriva la dichiarazione di nullità.

D. – Quindi questo, diciamo, è un suggerimento per prevenire le ferite?

R. – Esatto. Il Papa parla di “ospedale da campo”, che bisogna conservare aperto per curare le ferite, ma una buona madre cerca di prevenire le ferite: quindi, al fianco dell’ospedale da campo, bisogna che ci siano degli strumenti di educazione, di formazione. Se manca la fede è difficile che l’intenzione naturale sia quella che si pensava una volta essere corrispondente alle intenzioni di fare ciò che fa la Chiesa: purtroppo, i giovani d’oggi non hanno più questa piattaforma comune, perché la cultura è soggettivistica e ognuno di fabbrica il proprio significato del matrimonio, tant’è che dopo – giustamente – aumentano i casi di dichiarazione di nullità. Ma perché fermarli dopo, dopo un fallimento, e non prima per farli riflettere meglio?

D. – E a partire da che cosa si dovrebbe lavorare su questa formazione?

R. – Che il tempo del fidanzamento non sia solo una esperienza emotiva giusta, che i fidanzati fanno, ma che sia una specie di cammino catecumenale, in cui la Chiesa si affianca a loro e non per pesare e rabbuiare il loro bel momento di innamoramento, ma per far capire che cosa stanno volendo. Se non hanno l’intenzione dell’incontro salvifico con Cristo nella Chiesa, perché accettarli al Sacramento? E’ meglio non caricarli di questo peso, se per loro è solo un peso e non un aiuto. Così che si possa veramente poi accedere con gioia e non formalmente e esternamente quando già tutto sembra fatto, si aggiunge il rito del matrimonio, che invece è decisivo perché i giovani possa veramente perseverare nel loro amore.

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Sinodo, parlare alle famiglie in concreto senza astrazioni

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Un clima di gioia e di vivace confronto ecclesiale. Descrive così queste prime giornate di Sinodo mons. Rodolfo Valenzuela Núñez, presidente della Conferenza episcopale del Guatemala secondo il quale una sfida da raccogliere per la Chiesa è quella di rinnovare e semplificare il linguaggio sui temi di matrimonio e famiglia. L’intervista è di Paolo Ondarza

R. – É come sempre un’assemblea ecclesiale dove si respira la pace dello Spirito, sebbene ci siano dei diversi punti di vista. Forse ci saranno alcuni dibattiti, come sempre, però questo accade da sempre, fin dall’inizio della storia della Chiesa e non mi preoccupa. L’ambiente del Sinodo è un ambiente di pace. Dobbiamo avere un linguaggio capace di comunicare con le coppie, con le famiglie.

D. – Il linguaggio è inefficace?

R. – Penso di sì. Penso che a volte il nostro linguaggio sia molto filosofico, riguarda i concetti.

D. – Le sfide della famiglia in Guatemala…

R. – Da noi la principale sfida è la povertà. Questo ha delle conseguenze negative su tutte le famiglie. Ci deve essere un forte impegno per migliorarne le condizioni di vita.

Al Sinodo si sta parlando degli attacchi alla famiglia nella società odierna, ma anche della bella testimonianza di tante famiglie cristiane. Tante le sfide da affrontare. Ascoltiamo a questo proposito mons. Fülöp Kocsis, metropolita greco-cattolico e presidente del Consiglio della Chiesa Ungherese, al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Noi dobbiamo valutare la situazione non soltanto sociologicamente, ma con l’ottica della fede: con la forza di questa speranza non c’è di che avere paura, perché la speranza è che noi siamo già salvati. Abbiamo parlato, per esempio, degli attacchi rivolti dal mondo alla Chiesa, ma non dobbiamo difenderci, però, perché Gesù Cristo ha già vinto il diavolo e ha vinto la morte. Questo punto di partenza, dunque, è molto importante.

D. – Dal suo punto di vista, l’approccio alle situazioni, alle sfide della contemporaneità, a volte rischia di eludere il problema del male?

R. – Questa è una sfida per la Chiesa: come parlare oggi della fede, come trovare il linguaggio per l’evangelizzazione? Ho fatto questa domanda ai Padri: occorre valutare spiritualmente la situazione. Vedo che tutti i Padri sinodali sentono questo compito di non dare soltanto una risposta sociologica, antropologica, ma veramente una risposta spirituale. Dobbiamo, dunque, guardare le sfide della famiglia in questa complessità.

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Card. Bassetti: al Sinodo risposte secondo il Vangelo

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Un Sinodo bello, veramente fraterno, dove il confronto è sincero e leale: è quanto afferma il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e Città della Pieve, che ha partecipato alla presentazione, a Roma, del libro “Famiglia. Le parole di Francesco”, dei coniugi Franco Miano e Giuseppina De Simone, presenti al Sinodo in qualità di esperti. L’evento è stato promosso dall’Azione Cattolica. Ascoltiamo il cardinale Gualtiero Bassetti, al microfono di Marina Tomarro

R. – Il momento è molto bello, molto fecondo, soprattutto con quello che stiamo vivendo nei Circoli minori, e che il Santo Padre ha voluto veramente ampliare, perché la maggior parte del tempo noi la passiamo proprio in questo confronto. E lì è possibile un confronto franco, aperto, leale. Il Papa stesso ci ha detto “parlate con "parresia", con uno stile ecclesiale”. Non è, cioè, che una parte o delle parti debbano vincere sulle altre, ma l’importante è che noi si riesca a far emergere il Vangelo, cioè la Buona Notizia della famiglia.

D. – Di quali tematiche, in particolare, avete parlato in questi primi giorni di lavoro?

R. – In questi primi giorni di lavoro, non siamo alle tematiche specifiche, perché siamo ancora a un discorso socioreligioso della mentalità del mondo di oggi, quindi le difficoltà che la famiglia deve affrontare. Per esempio, un discorso molto bello è stato fatto anche sulla donna: finalmente si comincia anche ad affrontare in pieno questo tema della Chiesa a cui il Santo Padre tiene particolarmente. Il discorso, poi, naturalmente è anche dei laici. Le tematiche più specifiche, però, le affronteremo soprattutto nella terza sessione del Sinodo. Ma quello che conta fin da ora è il clima di apertura e anche di fiducia totale. Le risposte, però, le daremo soprattutto secondo il Vangelo.

D. – Le parole di Francesco per la famiglia quali sono?

R. – Le parole di Francesco per la famiglia sono tante. La famiglia è innanzitutto una casa, è il luogo dove più ti senti accolto nella tua vita. La famiglia, però, è anche un ospedale da campo, dove vengono risanate le ferite. La famiglia è l’immagine di Dio su questa terra, perché ripropone sulla terra la comunione trinitaria. Per cui la famiglia, alla fine, è l’umanità. Il Papa lo dice, l’ha detto anche in una catechesi: “Senza famiglia non c’è umanità”.

D. – In che modo la Chiesa oggi può aiutare concretamente la famiglia?

R. – Credo che l’avesse detto molto bene già Giovanni Paolo II. La famiglia non ha bisogno di andare a cercare chissà quale programma per la propria vita: “Famiglia cerca di vivere fino in fondo quello che sei; la tua realtà è questa, vivila e testimoniala”. Per cui, diventa veramente la più grande testimonianza. Fra noi il più piccolo membro del Sinodo è Davide, un bambino di quattro mesi. Allora, lì non c’è bisogno di fare la definizione della famiglia. La mamma ogni tanto esce, va ad allattare Davide, perché è chiaro che le dinamiche della famiglia sono più importanti di quelle delle istituzioni. Quindi, per noi poi diventa una bella testimonianza. Poi, il fatto che al Sinodo ci siano tanti laici, tante famiglie, come non era mai accaduto. In ogni Circolo minore ci sono perlomeno due famiglie.

D. – Papa Francesco ha invitato le famiglie a guardare alla famiglia per eccellenza, quella di Nazareth. Ecco, allora, quanto è importante anche la preghiera?

R. – La preghiera è fondamentale, perché la preghiera della famiglia, se ci pensiamo bene, è la preghiera più comunitaria di tutte. E Nazareth rimane veramente il punto di riferimento grande. Dice Paolo VI: “Torniamo a Nazareth e impariamo a fare silenzio”.

All’incontro era presente anche Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica. Ascoltiamo il suo commento:

“Più che le parole, forse, direi lo stile con cui Papa Francesco ci invita a pensare, a guardare la famiglia: il modo, cioè, di guardare la famiglia, che non parte dalle idee, ma parte dalla concretezza della vita di ciascuna famiglia, dalla bellezza dell’essere famiglia e dall’importanza della famiglia per la società e per l’umanità. Quindi, le parole sono tante, ma sicuramente è il modo con cui il Papa ci invita a guardare alla quotidianità della vita famigliare”.

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San Giovanni XXIII. Giovagnoli: grande continuità con Papa Francesco

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Ricorre L'11 ottobre la memoria di San Giovanni XXIII, il Pontefice del Concilio Vaticano II, canonizzato da Papa Francesco il 27 aprile dell’anno scorso assieme a Giovanni Paolo II. Sull’attualità del suo Magistero e in particolare sulla continuità tra il Pontificato di Roncalli e quello di Bergoglio, Alessandro Gisotti ha intervistato lo storico Agostino Giovagnoli, docente all’Università Cattolica di Milano: 

R. – Certamente gli anni attuali richiamano da vicino quelli di San Giovanni XXIII. In questi giorni si sta celebrando un Sinodo che qualcuno paragona al Concilio; e in effetti, diciamo, lo stile, inaugurato da San Giovanni XXIII – lo stile della consultazione, della conciliarità, della sinodalità – è certamente un tratto che caratterizza anche il Pontificato di Papa Francesco. Ci sono anche temi che ricorrono; problemi di cui si è iniziato a discutere al tempo del Concilio Vaticano II e che sono oggi più che mai attuali.

D. – Il tema della misericordia è sicuramente qualcosa che richiama immediatamente, anche nell’immagine, a San Giovanni XXIII, popolarmente definito “Papa buono”… questo elemento sicuramente fa capire come nel popolo era percepita questa misericordia, questa pazienza e bontà di Roncalli…

R. – Sì, certamente. Tra l’altro nella Bolla di Indizione del Giubileo della Misericordia viene richiamata espressamente una frase di San Giovanni XXIII, quella famosa del discorso di apertura del Concilio, in cui sottolineava l’importanza della “medicina della misericordia”, proprio nel momento in cui veniva rialzata la fiaccola della verità. Il linguaggio di San Giovanni XXIII è evidentemente diverso da quello di Papa Francesco, però il senso mi pare lo stesso. Nel momento cioè in cui la Chiesa si apre a un nuovo sforzo missionario nei confronti del mondo contemporaneo – San Giovanni XXIII parlava della “nuova Pentecoste”, per riassumere un’immagine appunto che richiama lo sforzo conciliare – è chiaro che prevale il senso ultimo poi di questa riproposizione del messaggio evangelico, e il senso ultimo è proprio la misericordia. Dunque questa misericordia annunciata deve anche corrispondere alle modalità dell’annuncio, contenuto ai modi con cui il contenuto viene trasmesso: insomma l’amore di Dio per gli uomini si deve manifestare nella testimonianza della Chiesa.

D. – San Giovanni XXIII è ovviamente anche il Papa della Pacem in Terris: anche qui vediamo quanto quello straordinario e profetico documento sia attuale…

R. – Anche in questo mi pare ci sia una continuità forte… Questo abbraccio al mondo, alla “famiglia umana”, come usano dire i Papi, queste sottolineature dell’unità della famiglia umana che porta – deve portare – assolutamente alla pace. Qui tra l’altro la coincidenza è particolarmente interessante: San Giovanni XXIII ha scritto la Pacem in Terris pochi mesi dopo la crisi di Cuba, una crisi che ha portato il mondo quasi sull’orlo della Terza Guerra Mondiale e che è stata fermata anche, in parte, grazie al contributo stesso che Giovanni XXIII ha dato alla pace. E nei mesi scorsi – sappiamo – Papa Francesco è stato coinvolto, ha voluto essere coinvolto, nella mediazione che ha portato al disgelo tra Stati Uniti e Cuba. Dunque questa sensibilità per la pace che è rivolta a tutta l’umanità, e che in fondo non è poi un qualche cosa che possiamo distaccare dal grande tema della misericordia di Dio.

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Parolin consacra vescovo nunzio in Iraq: fermare mano violenti

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I cristiani in Iraq sono nel cuore della Chiesa, del Papa e della Santa Sede: è quanto ha detto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, presiedendo ieri pomeriggio nella Basilica Vaticana la Messa per la consacrazione episcopale di mons. Alberto Ortega Martín, nuovo nunzio apostolico in Iraq e Giordania, che nella mattinata di oggi è stato ricevuto assieme ai suoi familiari in udienza da Papa Francesco.

Il porporato ha ricordato “la preziosa testimonianza di fede offerta - spesso a costo di gravi sacrifici - dalle comunità cristiane in Medio Oriente” travolte da “drammatiche vicende”: la presenza in Iraq del nunzio - ha detto - “è un segno eloquente che la Chiesa non abbandona i suoi figli nella prova, che vive e soffre con loro, che prega ed è solidale con loro”. Si tratta di una missione che “richiamerà l’urgenza di rafforzare iniziative volte a ristabilire condizioni di sicurezza per tutti e a garantirne i diritti fondamentali, tra i quali spicca il diritto alla libertà di professare il proprio credo religioso, senza andare incontro a discriminazioni, o peggio a vere e proprie persecuzioni, e  il diritto di rimanere nella terra di origine e, qualora siano stati costretti ad emigrare, di ritornare in condizioni adeguate di sicurezza, avendo la possibilità di vivere e di lavorare in libertà e con prospettive per il futuro”.

“Molti - ha affermato il cardinale Parolin - hanno dovuto abbandonare case e beni e la stessa Patria, pur di continuare a testimoniare la propria fede. Hanno lasciato le apparenti sicurezze di questo mondo per mettere al sicuro la loro amicizia con il Signore. La Chiesa, di fronte a questa sofferenza e testimonianza prega incessantemente e si adopera a porre in atto ogni iniziativa che possa fermare la mano dei violenti”.

Mons. Ortega Martín è nato a Madrid 52 anni fa. E’ stato ordinato sacerdote il 28 aprile 1990. Laureato in Diritto Canonico, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1997, prestando la propria opera presso le rappresentanze pontificie in Nicaragua, Sud Africa, Libano e nella Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.

Come motto episcopale ha scelto le parole: “Ti basta la mia grazia” (2Cor 12,9a) e ha posto nel suo stemma il segno di Cristo risorto e la torre, che allude ai luoghi della sua origine e simboleggia la Vergine Madre di Dio. Il presule succede a mons. Giorgio Lingua, nominato nunzio a Cuba.

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Oggi in Primo Piano



Elezioni Bielorussia. Kondrusiewicz: preghiera dona forza

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Riscoprire la bellezza e la forza della preghiera in famiglia per ringraziare e per chiedere aiuto a Dio nelle difficoltà. É quanto proposto dal Sinodo riunito in questi giorni in Vaticano. “Al tempo della persecuzione comunista nei Paesi dell’Est-Europa la preghiera era presente nelle famiglie e dava loro forza. Questa indispensabile dimensione della fede non può essere solo un ricordo del passato”, spiega mons. Tadeusz Kondrusiewicz, presidente della Conferenza episcopale della Bielorussia, dove proprio oggi si stanno svolgendo le elezioni presidenziali che vedono favorito Aleksandr Lukashenko, che se eletto inizierebbe il quinto mandato consecutivo. Paolo Ondarza ha intervistato il presidente dei vescovi bielorussi: 

R. – Io sono stato educato nello spirito della preghiera in famiglia, ogni giorno: la sera tutte le nostre famiglie – le famiglie dei vicini, le famiglie del villaggio dove io sono nato – sempre si riuniscono per una preghiera comune, e questo è molto importante per i bambini, per le giovani generazioni: vedere il buon esempio che il padre e la madre, dopo tutta la giornata di lavoro – lavoro non facile: io sono cresciuto in campagna quando non c’erano trattori né altre macchine e quindi il lavoro era veramente tutto manuale – trovano il tempo per parlare con Dio. Questa è stata la più grande università, per me. Nessuna università mi ha dato questo: mamma, papà, nonna, nonno che pregano, alla fine della giornata.

D. – Questa educazione spirituale, questa formazione alla preghiera oggi manca?

R. – Sì, oggi manca. Oggi tutti, dopo il lavoro, sono stanchi, vogliono andare a teatro, al cinema, vogliono guardare la televisione… Il mondo sta cambiando, ma dobbiamo trovarlo il tempo per le preghiere. Se non si trova il tempo per la preghiera, il tempo per parlare con Dio, si vive invano. Questo è un grande, grande sbaglio della società contemporanea.

D. – Non può rimanere un ricordo del passato, deve essere una forza che continua ad alimentare le famiglie e la società, la preghiera?

R. – Sì. Questo anche dobbiamo insegnare alle nuove generazioni.

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Brasile, bimbi uccisi per "ripulire" città. P. Chiera: è da sempre

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La polizia starebbe uccidendo bambini e adolescenti per “ripulire” le metropoli di Rio de Janeiro in vista dei Giochi del 2016. Queste le accuse del Comitato Onu sui Diritti dell’infanzia contro la polizia brasiliana, all’indomani della divulgazione del nono Annuario di pubblica sicurezza del Paese. Per l’organo delle Nazioni unite, le Forze dell’ordine sono direttamente coinvolte nell’”elevato numero di esecuzioni sommarie di bambini”, spesso accompagnate dall’impunità dei responsabili. Francesca Di Folco ha raccolto il commento di padre Renato Chiera, fondatore della "Casa do Menor": 

R. – E’ una notizia tragica. Adesso non deve stupirvi molto, perché il genocidio sociale in atto è un fatto presente in Brasile da quando io sono arrivato 37 anni fa. Qui abbiamo una cultura di morte, di uccisione, che bisogna ammazzare. Bandito buono e bandito morto… Adesso, quando ci sono degli eventi, tipo le Olimpiadi – prima era la “Eco”, nel ’93, mi ricordo bene... Poi abbiamo avuto la Coppa del mondo, adesso le Olimpiadi – quando ci sono fenomeni di questo tipo a livello mondiale, che richiamano l’attenzione e per i quali le persone – i giornalisti, ad esempio – possono rendersi conto della tragedia del Brasile, allora si cerca di camuffare. Questo non è nuovo. Noi abbiamo assistito a questo nel ’93, l’anno scorso e vi stiamo assistendo adesso. A Rio de Janeiro, che adesso è la sede dell’Olimpiade, è in atto una “pulizia generale”. Tu sei già criminalizzato solo perché sei povero. Tu sali sui pullman e se tu non indossi le scarpe, hai i “chinelos”, le ciabatte, o sei un po’ malvestito, e vuoi andare in spiaggia ti fanno scendere e ti mettono pure in prigione. Cioè, noi abbiamo una realtà tremenda! La paura che abbiamo ci porta a fare questo. E tutti applaudono.

D. – Da più parti, ormai, si chiedono leggi che proibiscano la detenzione arbitraria di bambini di strada…

R. – Noi adesso pratichiamo la detenzione dei bambini, dei ragazzi: noi la pratichiamo, adesso! A Rio, con le associazioni in difesa dei bambini, abbiamo protestato e i giudici hanno detto che non si possono imprigionare i ragazzi solo perché sono ragazzi che possono essere “eventuali” assalitori... Io non posso impedire a un ragazzo di andare e venire liberamente solo perché ho un sospetto su di lui, quindi lo uccido per anticipazione! Però, la gente applaude alla detenzione: siamo così disperati, che accettiamo che ogni settimana siano uccisi 400 ragazzi e giovani: ogni settimana! Non amare un bambino e rigettarlo è peggio dell’aborto, perché tu lo uccidi tutti i giorni!

D. – Nel 2014, ci sono stati 58.560 omicidi, e altrettanti nel 2013. Sono numeri agghiaccianti, quelli che emergono dalla divulgazione dell’annuario brasiliano di pubblica sicurezza. Perché non si riesce a scardinare la spirale della violenza?

R. – Io credo che non si voglia. La violenza rende: mettere paura alla gente, è un business! Perché la gente ha paura e quindi è disposta a tutto. Sta aumentando l’uccisione da parte della polizia: la polizia, lo Stato uccide, ha ucciso più di 3.000, l’anno scorso, e dicono che sono “autori di resistenza”. Poi dicono: “Io ho ucciso perché questo ragazzo è una minaccia, ha cercato di uccidermi”. Nella maggior parte dei casi è menzogna. La polizia dovrebbe servire per difendere la popolazione: serve solo per difendere il capitale, per difendere le cose. Umanamente, non ho mai assistito a una situazione di crisi generalizzata così grande, nemmeno sotto la dittatura militare. Una società politica che non ha più ideali.

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Morti sul lavoro in aumento. Anmil: dati preoccupanti

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Richiamare l’attenzione sui diritti che devono essere garantiti a tutti i lavoratori. E’ questa una delle finalità della 65.ma Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, che si celebra domenica 11 ottobre. La Giornata, promossa dall’’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro (Anmil), è anche un’occasione per riflettere sui dati, in controtendenza, relativi alle vittime di incidenti e infortuni. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Per la prima volta, dal 2006, le morti sul lavoro sono in aumento. Nel 2014, tra gennaio e agosto, si contavano 652 vittime. Nel 2015 si registrano 100 casi in più, con un incremento di oltre il 15%. L’incremento generale, secondo alcuni osservatori, è legato, tra l’altro, alla riduzione dei controlli e a un aumento delle ore di lavoro in settori come l’edilizia, maggiormente a rischio. Franco Bettoni, presidente dell’Anmil:

“E’ un dato che ci preoccupa. La tendenza sta cambiando: ci sono infortuni mortali. Effettivamente sono troppi”.

Dall’ultimo Rapporto dell’Inail, emerge che il 2014 si è chiuso con un calo di circa 32 mila infortuni. I casi denunciati sono passati da circa 695 mila nel 2013 a 663 mila del 2014, con una riduzione del 4,6%. Ma si tratta di una flessione inferiore a quella che si era registrata negli anni precedenti:

“Bisogna intensificare i controlli dove gli incidenti avvengono di più. La ripresa non va fatta sulla pelle dei lavoratori e delle lavoratrici”.

Restano centrali il tema della sicurezza e quello della tutela, che deve essere garantita alle vittime del lavoro per una più equa e adeguata assistenza. Ma questa ancora oggi è legata ad una normativa che risale al 1965, il Testo unico sugli infortuni. Ancora Franco Bettoni:

“E’ fuori tempo e non è più l’Organizzazione del lavoro che viene dal 1965. Noi chiediamo la piena tutela; noi chiediamo l’adeguamento "danno biologico" e chiediamo un’attenzione anche alle malattie professionali che sono in crescita. Il Testo unico va modificato”.

Gli infortuni del lavoro nel 2014 hanno causato circa 11 milioni di ore di assenza per inabilità. In molti casi, una sicurezza non adeguata può rivelarsi anche un freno all’economia del Paese:

“L’insicurezza sul lavoro sicuramente è un freno. Milioni di ore sono tantissime e il costo sociale all’incirca, dell’insicurezza sul lavoro, qualcuno dice sia di 35, qualcuno di 30 miliardi di euro. Dobbiamo combattere l’insicurezza sul lavoro, il lavoro nero, il caporalato. Bisogna lavorare in sicurezza e questo deve farci tutti riflettere”.

Il settore dell’edilizia è quello dove si registra il maggior numero di vittime. Al secondo posto, le attività manifatturiere.

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Bambin Gesù, primo caso di lavaggio del sangue anti-allergia

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Sarà presentato la settimana prossima a Seul, al Congresso mondiale di Allergia, il caso di uno speciale lavaggio del sangue eseguito per la prima volta su un bambino, Michele, 7 anni, all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. A effettuarlo grazie a un macchinario tedesco, un’équipe multidisciplinare coordinata dal dott. Alessandro Fiocchi, responsabile del reparto di Allergia. Un intervento che nel mondo finora ha riguardato solo gli adulti. Da oggi, dunque, potrà restituire una vita normale anche ai più piccoli. Gabriella Ceraso ha chiesto al dottor Fiocchi di spiegare la novità del trattamento: 

R. – La novità è che per la prima è possibile liberare il plasma dei bambini, specificamente dagli anticorpi responsabili delle malattie allergiche. Questi anticorpi sono una classe particolare e finora era possibile eliminarli soltanto buttando via, insieme con loro, anche tutte le altre classi di anticorpi.

D. – Quindi, il plasma viene lavato e si scelgono le sostanze dannose da eliminare…

R. – Esattamente. Quindi, è una procedura che diventa molto pulita e molto specifica per le malattie allergiche gravi: la usiamo, per esempio, con i bambini con l’anafilassi, malattie polmonari di tipo allergico, malattie da funghi, bambini che hanno eczemi gravi…

D. – Nel mondo questo macchinario funziona già a livello di adulti?

R. – Sì, ci sono delle esperienze sugli adulti. Per la verità, poco è stato pubblicato di questo: è una tecnica così recente, data da circa un anno e mezzo, che ancora siamo nelle fasi applicative iniziali. Si parla di casi – tra virgolette – eroici, di casi cioè molto gravi che vengono trattati. Certamente la cosa potrà avere uno sviluppo nel futuro, uno sviluppo anche piuttosto importante se si pensa che il numero delle malattie allergiche è molto grande e tra queste – per fortuna poche di loro – si nascondono però delle allergie molto gravi, per le quali può essere immaginabile applicare mezzi eccezionali come questi.

D. – Questi bambini riacquisiscono – come è stato nel caso di Michele, in cui ci è voluto un anno – una gestione della vita normale?

R. – Per la verità, per Michele è stato molto più veloce: la tolleranza alla nocciola, dopo la plasmaferesi, è stata recuperata subito. Riguardo alla tolleranza per il latte e l’uovo, già a distanza di pochi mesi dalla procedura, Michele era in grado di mangiare le brioche, i biscotti, il panettone… Certamente, mantenere questa situazione per lui significa solo venire in ospedale una volta ogni 15 giorni a fare una puntura.

D. – Ci dia anche un quadro mondiale: in Italia 3-4 centri hanno la possibilità, avendo questo macchinario. E nel mondo?

R. – Nel mondo, sono molti i centri. Praticamente tutti i grandi ospedali pediatrici ed ematologici sono attrezzati per questa novità. La macchina con la quale si procede è la macchina della plasmaferesi ordinaria, quella cioè che si utilizza anche per i trapiantati. La novità sta nel kit da applicare a questa macchina, che deve essere individuale, paziente per paziente.

D. – Quali sono le strade che si aprono e come la comunità internazionale guarda, secondo lei, a questo passaggio?

R. – Alcuni opinion leader mondiali si sono dimostrati decisamente interessati. In realtà, l’applicazione su vasta scala dipenderà da quanti potranno essere i pazienti candidati: non è certamente destinata a diventare una terapia di massa. L’augurio è che naturalmente ci sia sensibilità verso questi problemi, perché il problema dei bambini allergici è che spesso la loro patologia viene considerata banale...

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Nella Chiesa e nel mondo



Medio Oriente. Ancora disordini a Gerusalemme e Territori

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Prosegue in Medio Oriente l'ondata di scontri tra israeliani e palestinesi. Questa mattina, una donna palestinese fermata a un checkpoint israeliano a Malee Adumin, nei pressi di Gerusalemme, è scesa dall’auto facendo esplodere un ordigno che ha ferito lei e l’agente che l’aveva fermata per un controllo.

Violenze nei Territori
L’escalation di violenza si fa sentire anche nei Territori: dopo l’uccisione, ieri, di un 13.enne palestinese da parte di una pattuglia israeliana, nei pressi della linea di demarcazione con la Striscia di Gaza- in disordini che hanno causato anche una dozzina di feriti nel rione Farrahin di Khan Yunis - incidenti si sono verificati anche nei pressi del valico di Erez, dove si sono registrati cinque feriti. L’aviazione israeliana, inoltre, in risposta al lancio di un razzo da parte palestinese, ha effettuato un raid nel nord della Striscia, distruggendo due siti di Hamas dediti alla fabbricazione di armi. Duri scontri sono segnalati anche nella città di Tulkarem, in Cisgiordania, dove sarebbero rimasti feriti almeno 13 dimostranti.

La reazione di Israele
La polizia israeliana, per far fronte all’attuale emergenza, ha deciso di richiamare in servizio centinaia di riservisti della guardia di frontiera, che saranno dislocati nelle città a popolazione mista. Infine, oggi, il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato misure contro il Movimento islamico in Israele alla luce di quella che definisce “istigazione menzognera” sul cambiamento dello status quo alla moschea di Al-Aqsa. (R.B.)

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Afghanistan. Attentato talebano contro Nato a Kabul

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È di almeno un morto – l’attentatore kamikaze – e sette civili feriti, tra cui una donna e un bambino, il bilancio, ancora provvisorio, di un attacco dei talebani avvenuto questa mattina a Kabul contro un convoglio della Nato. L’attentato è avvenuto alle 9.10 ora locale nei pressi del centralissimo mercato di Joy Shir ed è probabilmente stato effettuato con un’autobomba. Nell’area, attualmente isolata dalle forze di sicurezza afghane, sono accorse numerose ambulanze per trasportare in ospedale i feriti.

La rivendicazione da parte dei talebani
“Un attentato suicida contro un convoglio di truppe straniere”, così lo ha definito nella rivendicazione il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, secondo il quale nell’attacco sarebbero stati presi di mira due veicoli Nato e sarebbero “rimasti uccisi tutti quelli a bordo”. L’attentato – confermato dalla guida Usa della missione Nato, che ha fatto sapere di stare ancora “raccogliendo informazioni” – avrebbe colpito militari di nazionalità britannica.

Il risarcimento Usa alle vittime del raid sull’ospedale di Msf
Nel frattempo, il Pentagono ha fatto sapere che gli Stati Uniti risarciranno le famiglie delle 22 persone rimaste uccise per errore in un raid aereo effettuato dagli Usa in Afghanistan la scorsa settimana, in cui è stato colpito l’ospedale dell’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf) di Kunduz. Non si conosce ancora l’entità del risarcimento, che comunque interesserà “i civili non in ruoli di combattimento rimasti feriti e le famiglie dei civili non in ruoli di combattimento rimasti uccisi durante le operazioni militari Usa”. Il presidente Barack Obama nei giorni scorsi aveva chiamato i vertici di Msf per porgere loro le sue scuse per quanto accaduto. (R.B.) 

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L’Iran testa "Emad", nuovo missile a media gittata

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L’Iran prosegue i test su nuovi missili. Oggi, secondo l’agenzia ufficiale Irna, ripresa dalla Cnn, sarebbe stato provato “Emad”, che il ministro della Difesa, Hossein Dehghan, definisce “un nuovo missile a lungo raggio” in grado di essere guidato a distanza con grande precisione sull’obiettivo.

I dettagli tecnici del missile
Il Centro studi internazionali e strategici di Washington smentisce quanto affermato da Teheran e precisa che il nuovo missile “Emad” sarebbe un’evoluzione di “Shahab-3”, con un sistema di rientro più accurato e con gittata massima limitata a duemila km, perciò classificato internazionalmente come missile balistico terra-terra a medio raggio. Il vettore, in pratica, non sarebbe in grado di minacciare né l’Europa né gli Usa, ma potrebbe colpire i Paesi del Golfo e anche la Turchia.  

Le dichiarazioni del generale
“Sui nostri programmi di difesa non chiediamo il permesso a nessuno”, ha dichiarato il generale di brigata iraniano, Hossein Dehqan, del Ministero della difesa di Teheran, commentando il test del nuovo missile avvenuto dopo la storica intesa sul programma nucleare iraniano, firmata nel luglio scorso a Ginevra, al quale intanto il parlamento iraniano ha dato il via libera con 139 voti su 253.  (R.B.)    

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Iraq. Appello Chiesa: rifugiati cristani accolti a gruppi

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Accogliere i rifugiati cristiani iracheni a gruppi di 4-500 famiglie, anziché concedere visti con il contagocce. E' il pressante appello ai governi occidentali rilanciato a Parigi da mons. Petrus Mouché, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, ricevuto nei giorni scorsi al Quay d’Orsay.

La comunità siro cattolica rischia di scomparire dall’Iraq
Da mesi, le famiglie cristiane di Mosul e dei villaggi della piana di Ninive rifugiatesi a Erbil, nel Kurdistan iracheno, per fuggire dalle persecuzioni dell’Is stanno lasciando i campi profughi diretti verso l’Europa e gli Stati Uniti. Sono famiglie allo stremo, che con il passare del tempo hanno perso la speranza di poter fare rientro nelle proprie case. Un esodo che, come è noto, i vescovi iracheni dei vari riti hanno cercato invano di fermare, nel timore di una scomparsa irreversibile della millenaria presenza cristiana in Iraq. Preoccupazione che riguarda in particolare i siro-cattolici: “Se questa dispersione continua – avverte mons. Mouché sulle pagine del quotidiano francese Le Figaro – la nostra comunità rischia di scomparire”. Per fermare l’emorragia, secondo l’arcivescovo si Mosul, non resta che un’alternativa: lasciar partire le famiglie siro-cattoliche insieme, a gruppi di 400-500 nuclei familiari. “Raggruppate si sentiranno più forti, i loro bambini potranno essere scolarizzati insieme, potranno continuare a parlare la propria lingua e a vivere la propria fede”, ha affermato. L’obiettivo a lungo termine resta lo stesso: il ritorno nei loro villaggi, attualmente sotto il controllo del Califfato: “Quando saranno liberati potranno rientrare nelle loro case”.

La vera soluzione è la ripresa della Piana di Ninive
L’ipotesi di un’accoglienza massiccia di rifugiati cristiani incontra, peraltro, qualche riserva, non solo negli ambienti politici in Francia, ma anche da parte di alcune organizzazioni cattoliche che temono che una tale iniziativa possa essere controproducente. Mons. Pascal Golnish, direttore dell’”Oeuvre d’Orient”, Associazione cattolica francese impegnata negli aiuti ai cristiani in Medio Oriente, riconosce tuttavia l’esigenza che i rifugiati siro-cattolici accolti all’estero mantengano i contatti tra loro. “Ma la vera soluzione per evitare la completa scomparsa della presenza cristiana in Iraq – sottolinea – resta la ripresa della Piana di Ninive e la messa in sicurezza di Qaraqosh e di tutti i villaggi dell’area”. (L.Z.)

 

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Canada, l'impegno della Chiesa per i rifugiati: sono fratelli

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Uno sforzo concertato per affrontare l’emergenza rifugiati. A chiederlo è il presidente della Conferenza episcopale canadese (Cecc), mons. Douglas Crosby, che in una lettera inviata nei giorni scorsi a tutti i partiti politici, rinnova l’appello rivolto dai vescovi al governo di Ottawa durante la plenaria dello scorso settembre a “favorire, accelerare e facilitare la sponsorizzazione privata dei rifugiati in questa fase di emergenza”.

Misure più efficaci per i ricongiungimenti familiari
La missiva esprime l’apprezzamento dell’episcopato per l’attenzione riservata dai leader politici canadesi alla crisi dei rifugiati, nella campagna elettorale in corso per le elezioni del prossimo 16 ottobre, ma ribadisce l’esigenza di un’azione concertata che impegni anche il futuro governo. Di qui, l’esortazione a tutte le forze politiche a sostenere il programma di sponsorizzazione privata dei rifugiati, promossa dall’attuale esecutivo. I vescovi chiedono, in particolare, misure più efficaci per i ricongiungimenti familiari, di dare la precedenza ai bisogni più urgenti dei minori, delle famiglie monoparentali e delle minoranze perseguitate nei Paesi in guerra in Medio Oriente e in Africa del Nord. 

La Chiesa canadese impegnata in prima linea per i rifugiati
La missiva ricorda, quindi, che la Chiesa cattolica, come tutte le altre Chiese e confessioni religiose del Paese è pronta ad accogliere i rifugiati e si è già attivata in questo senso. In particolare, l’Ufficio per i rifugiati dell’arcidiocesi di Toronto (Orat) ha costituito, assieme ad altre diocesi ed eparchie cattoliche, uno speciale Consiglio per le sponsorizzazioni, impegnato a supportare i gruppi che desiderano promuovere programmi di accoglienza. Inoltre, alla loro plenaria, i vescovi hanno esortato tutti i fedeli a contribuire generosamente alla seconda campagna di raccolta fondi in favore dei rifugiati siriani, promossa dall’Organizzazione canadese per lo sviluppo e la pace, insieme con Aiuto alla Chiesa che Soffre - Canada (Acs) e alla sezione canadese della Cnewa, l’Associazione cattolica per i cristiani del Medio Oriente. La prima colletta aveva raccolto 14 milioni di dollari.

Rifugiati, fratelli che hanno bisogno di aiuto
“I nostri sforzi comuni - conclude mons. Crosby - devono partire dal principio che i rifugiati, quali che siano le loro convinzioni religiose, sono nostri fratelli e sorelle che sono in uno stato di necessità”. Non vedere nei rifugiati delle “persone, cercando di ‘rispondere in un modo che sia umano, giusto e fraterno’ a questa situazione - afferma citando le parole di Papa Francesco al Congresso degli Stati Uniti e all’Onu - significa condannare questi uomini e donne, giovani e anziani, bambini e bambine che piangono, soffrono e muoiono”. (L.Z.)

 

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Vescovi Papua: no crimini su persone accusate di magia nera

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In Papua Nuova Guinea, la Chiesa cattolica ha convocato una riunione speciale alla fine del mese per affrontare la questione dei crimini e degli omicidi contro le persone sospettate di avere usato la magia nera. In Papua infatti, le donne accusate di magia nera o stregoneria sono spesso vittime di esecuzioni sommarie. Come appreso dall’agenzia Fides, la riunione di vescovi, sacerdoti, operatori pastorali si terrà a Mendi, cittadina sugli Altipiani meridionali. Qui alla fine di agosto tre donne e un uomo sono stati accusati di aver provocato la morte di alcuni abitanti locali lanciando un incantesimo. Un tribunale “popolare” si è riunito e ha deciso di torturare i quattro imputati con ferri incandescenti. Le foto delle torture sono state mostrate sui social media.

Il problema dei crimini è l’impunità e il governo di Papua lo ignora
Secondo Donald Lippert, vescovo di Mendi, organizzatore del vertice straordinario, “non è possibile controllare le credenze delle persone, ma si può controllare le loro azioni. Gli attacchi a persone sospettate di praticare la magia nera si fermeranno solo quando gli autori saranno condannati”. Secondo alcuni osservatori, infatti, il problema è l’impunità e il governo della Papua non sembra volerlo affrontare con efficacia. Nel 2013, dopo uno scandalo mondiale suscitato dagli omicidi di donne sospettate di aver praticato malefici, il parlamento di Papua Nuova Guinea ha abolito la Legge sulla stregoneria del 1971.

L’uccisione di una persona sospettata di stregoneria è, per la legge, un omicidio
​Quella legge divideva la stregoneria in “buona” e “cattiva” e considerava una circostanza attenuante, nei casi di omicidio, il fatto che la persona uccisa fosse sospettata di essere una strega. Da allora, l’uccisione di una persona sospettata di stregoneria è, per la legge, un omicidio puro e semplice. Ma la legge non viene applicata e il governo non spinge la polizia e giudici di intervenire in questi crimini. (P.A.) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 284

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.