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Sommario del 03/10/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: contro scandalo fame guardare in faccia i poveri, non sono numeri

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Di fronte all’emergenza della fame, i poveri e i migranti “sono persone e non numeri”: vanno aiutati a riconquistare la loro dignità e a “rimettersi in piedi”. Così Papa Francesco alla Fondazione Banco alimentare, riunita per un incontro a 25 anni dalla nascita della rete che, solo nel 2015, in Italia ha aiutato oltre un milione e mezzo di poveri, distribuendo alimenti a più di 8 mila strutture caritative. Il servizio di Giada Aquilino

Fame, vero scandalo e peccato: poveri e migranti non sono numeri
La fame, “vero ‘scandalo’ che minaccia la vita e la dignità” di uomini, donne, bambini e anziani. Papa Francesco torna a denunciare una piaga che non esita a definire “ingiustizia” - anzi di più, dice - “peccato”, con la quale “ogni giorno dobbiamo confrontarci”. Lo fa con i partecipanti all’incontro promosso dalla Fondazione Banco alimentare, una “rete di carità” che da 25 anni è impegnata al fianco dei più poveri:

“Non dimenticate che sono persone e non numeri, ciascuno con il suo fardello di dolore che a volte sembra impossibile da portare. Tenendo sempre presente questo, saprete guardarli in faccia, guardarli negli occhi, stringere loro la mano, scorgere in essi la carne di Cristo e aiutarli anche a riconquistare la loro dignità e a rimettersi in piedi. Vi incoraggio ad essere per i poveri dei fratelli e degli amici; a far sentire loro che sono importanti agli occhi di Dio”.

Squilibri anche in società ricche, aggravati da aumento migranti
Il Papa incoraggia i circa 7 mila presenti in Aula Paolo VI e quelli che hanno seguito l’incontro da Piazza San Pietro “a proseguire” nell’impegno di “contrastare lo spreco di cibo, recuperarlo e distribuirlo alle famiglie in difficoltà e alle persone indigenti”.

“In un mondo ricco di risorse alimentari, grazie anche agli enormi progressi tecnologici, troppi sono coloro che non hanno il necessario per sopravvivere; e questo non solo nei Paesi poveri, ma sempre più anche nelle società ricche e sviluppate. La situazione è aggravata dall’aumento dei flussi migratori, che portano in Europa migliaia di profughi, fuggiti dai loro Paesi e bisognosi di tutto”.

Educarci all’umanità
Francesco ricorda due uomini “che non sono rimasti indifferenti al grido dei poveri”: l’imprenditore Danilo Fossati, che diede inizio e promosse “senza voler apparire”, “sempre in punta di piedi”, il Banco alimentare, sul finire del secolo scorso confidò a don Luigi Giussani - fondatore del movimento di Comunione e Liberazione - il disagio per la distruzione di prodotti ancora commestibili di fronte a tanti che in Italia “soffrivano la fame”. Quindi invita a guardare a Cristo che, di fronte alle folle affamate, non ignorò il problema né fece “un bel discorso sulla lotta alla povertà”, ma moltiplicò pani e pesci in abbondanza:

“Possiamo fare qualcosa, di fronte all’emergenza della fame, qualcosa di umile, e che ha anche la forza di un miracolo. Prima di tutto possiamo educarci all’umanità, a riconoscere l’umanità presente in ogni persona, bisognosa di tutto”.

Ingrossare ‘fiume’ della speranza
L’invito del Papa è a seguire l’esempio di Fossati e don Giussani, i quali compresero “che qualcosa doveva cambiare nella mentalità delle persone, che i muri dell’individualismo e dell’egoismo dovevano essere abbattuti”:

“Continuate con fiducia questa opera, attuando la cultura dell’incontro e della condivisione. Certo, il vostro contributo può sembrare una goccia nel mare del bisogno, ma in realtà è prezioso! Insieme a voi, altri si danno da fare, e questo ingrossa il fiume che alimenta la speranza di milioni di persone”.

Carità verso i poveri che incontriamo
Gesù, prosegue il Papa, ci invita a fare spazio nel nostro cuore all’“urgenza” di dare da mangiare agli affamati: la Chiesa ne ha fatto una delle “opere di misericordia corporale”:

“Condividere ciò che abbiamo con coloro che non hanno i mezzi per soddisfare un bisogno così primario, ci educa a quella carità che è un dono traboccante di passione per la vita dei poveri che il Signore ci fa incontrare”.

L’esortazione finale è a non farsi scoraggiare dalle difficoltà ma a gareggiare “nella carità operosa”, sostenuti da Maria: pregando la Madre della Carità, Francesco sollecita i presenti a pensare non a sé stessi ma a una o più persone conosciute “che sono affamate e che hanno bisogno del pane di ogni giorno”. 

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Papa: il demonio seduce in tre mosse, lo scudo è l'umiltà

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È l’umiltà la virtù necessaria per difendersi, con l’aiuto di Dio, dalle tre “insidie” tipiche con le quali il demonio tenta l’uomo: il possesso dei beni che corrompe, la vanità e il potere che accendono la superbia. Papa Francesco ne ha parlato all’omelia della Messa celebrata questa mattina con la Gendarmeria Vaticana, in occasione della festa del Corpo. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Tre scalini”. Il demonio distrugge l’uomo così: tre passi per sottrarlo a Dio e perderlo tra corruzione e onori da “pavone”, solleticando in chi si lascia sedurre l’idea di essere un numero uno, “quello che comanda”.

L'insidia, "metodo" del demonio
Papa Francesco parla al Corpo della Gendarmeria Vaticana, che vive ogni giorno il suo compito di vigilanza e difesa, e dunque una sua lotta contro le espressioni del male, offrendo una riflessione ispirata alla Prima lettura tratta dal Libro dell’Apocalisse – che parla della “guerra” che “scoppiò in cielo” tra Dio e Satana – e poi al brano del Vangelo sulle tentazioni nel deserto e sui tentativi del demonio di far cadere in trappola Gesù:

“Questo è uno dei metodi del diavolo, le insidie. E’ un seminatore di insidie, mai cade dalle sue mani un seme di vita, un seme di unità, sempre insidie, insidie: è il suo metodo, seminare insidie. Preghiamo il Signore che ci protegga da questo. Poi un altro metodo, un altro modo di fare la guerra lo abbiamo sentito nella prima Lettura, il Satana che seduce: è un seduttore, è uno che semina insidie e un seduttore, e seduce col fascino, col fascino demoniaco, ti porta a credere tutto”.

Ricchezza che corrompe
È questo, osserva Francesco, il “metodo della guerra” usato da Satana, basato su tre livelli di fascinazione analoghi alle tentazioni patite da Gesù:

“I tre scalini del metodo del serpente antico, del demonio. Primo, avere cose: in questo caso il pane, le ricchezze, le ricchezze che ti portano lentamente alla corruzione – e questa della corruzione non è una fiaba, c’è dappertutto. C’è dappertutto la corruzione: per due soldi tanta gente vende l’anima, vende la felicità, vende la vita, vende tutto”.

La vanità e la superbia del potere
Secondo gradino, la vanità. L’invito del demonio a gettarsi dal pinnacolo del tempio non è altro che un’esibizione, indurre Gesù a inscenare, dice il Papa, “il grande spettacolo” che dimostri facilmente la sua regale divinità. E poi, l’ultima mossa:

“Il terzo scalino: il potere, l’orgoglio, la superbia: io ti do tutto il potere del mondo, tu sarai quello che comanda. Questo accade anche a noi, sempre, nelle piccole cose, attaccati troppo alle ricchezze: ci piace quando ci lodano, come il pavone, no? E tanta gente fa il ridicolo, tante gente. La vanità ti fa fare il ridicolo. O, alla fine, quando hai potere, ti senti Dio e questo è il grande peccato”.

La scelta dell'umiltà
Contro le tentazioni, nota Francesco, Gesù “non risponde con parole proprie” ma con quelle della Scrittura per insegnare “che col diavolo non si può dialogare”. E quello di non pronunciare “parole sue” è, conclude il Papa, un atto di “umiltà” da parte di Cristo. Umiltà che Francesco invita i gendarmi a prendere a modello per il loro servizio che contribuisca a “far crescere la bontà nel mondo”:

“Voi che lavorate – avete un lavoro un po’ difficile dove sempre ci sono contrasti e dovete mettere le cose al loro posto ed evitare tante volte reati o delitti – pregate tanto perché il Signore, con l’intercessione di San Michele Arcangelo, vi difenda da ogni tentazione: da ogni tentazione di corruzione per il denaro, per le ricchezze, di vanità e di superbia. E quanto più umile, come Gesù, quanto più umile è il vostro servizio, più fecondo e più utile sarà per tutti noi”.

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Sinodo, veglia di preghiera delle famiglie in Piazza San Pietro

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Tutto pronto per il Sinodo sulla Famiglia: domani alle 10.00 la Messa inaugurale presieduta dal Papa nella Basilica Vaticana. Questa sera alle 19.00 la veglia di preghiera delle famiglie con Francesco promossa dalla Conferenza episcopale italiana in Piazza San Pietro. Il servizio di Sergio Centofanti

Sono attese migliaia di famiglie da tutta l’Italia questa sera per la veglia di preghiera per il Sinodo con le testimonianze di coppie di sposi e fidanzati e l’omelia del Papa. Saranno presenti anche le associazioni e i movimenti ecclesiali con i loro leader: Azione cattolica, Neocatecumenali, Carismatici, Focolari, Sant’Egidio, Scout e altri ancora. 270 i Padri Sinodali che partecipano all’assemblea di quest’anno insieme a 18 coppie di sposi e genitori e a 14 rappresentanti di altre Chiese e comunità cristiane. Questo Sinodo darà maggiore spazio ai circoli minori. Ci sarà un solo documento conclusivo, la Relatio finalis. Papa Francesco ribadisce il suo invito alla parresìa, alla franchezza nel parlare, come aveva già fatto l’anno scorso. Sinodo – aveva affermato – significa camminare insieme: con il coraggio di dire le cose con libertà e nello stesso tempo con l’umiltà di ascoltare. La presenza del Papa “è garanzia per tutti e custodia della fede”.

Lo scopo – secondo Francesco – è quello di “trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare”. A conclusione del Sinodo dell’anno scorso, il Papa aveva indicato alcune tentazioni: quella dei cosiddetti tradizionalisti, zelanti e scrupolosi, che non intendono lasciarsi stupire “dal Dio delle sorprese”, rinchiudendosi dentro la certezza di ciò che già si conosce e non aprendosi a ciò che ancora si deve imparare.  C’è poi la tentazione dei cosiddetti progressisti con il loro “buonismo distruttivo” che in nome “di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle”.

La Chiesa “che cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina” – aveva affermato il Papa– “non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini”, “non guarda da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone”, “non ha paura di mangiare e bere con le prostitute e i pubblicani”, ma “ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti!”. La Chiesa – aveva detto - “non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo”, ma lo rialza e lo incoraggia “a riprendere il cammino”. 

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Sinodo. I coniugi Miano: famiglie sempre più protagoniste

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Pina De Simone e Franco Miano sono l'unica tra le 18 coppie di sposi presenti ai lavori del Sinodo a parteciparvi in qualità di 'esperti'. Lei insegna Filosofia della Religione alla Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, lui, è stato a lungo presidente Nazionale dell'Azione Cattolica, e ora è docente di Filosofia Morale all'Università Tor Vergata di Roma. Sposati da 26 anni, hanno due figli. Hanno già partecipato alla sessione precedente del Sinodo. Antonella Palermo ha chiesto loro come si siano preparati: 

D. – Pina …

R. - Con grande emozione. Il tempo tra i due Sinodi è stato un tempo molto ricco di incontri, persone, esperienze, storie… C’è stata la possibilità di continuare questa riflessione che era stata avviata in un coinvolgimento molto ampio di tutto il popolo di Dio e questo è probabilmente uno degli elementi più significativi anche di questo Sinodo sulla famiglia.

D. - E quali istanze principali da parte delle famiglie che avete avuto modo in questo periodo di incontrare sono maggiormente emerse?

R.  – Direi che l’istanza fondamentale è quella di un ascolto della vita, della vita nella sua concretezza, nella sua densità, della vita che è fatta sicuramente di tensioni, di contraddizioni, ma è fatta di  anche un’enorme ricchezza che ha bisogno di essere aiutata  ad emergere.

D. – Franco, le aspettative per queste settimane dense di riflessioni e di confronto sul tema della famiglia…

R.  – L’aspettativa fondamentale che è nel cuore delle persone è quella di una Chiesa che sappia continuare ad annunciare ed annunciare con più forza in questo tempo la bellezza dell’essere famiglia oggi. E’ un’aspettativa di bene, di amore. La famiglia poi è questo, vuole essere questo. Poi ci sono tante aspettative indotte, in cui si insiste su questo o quell’aspetto che - per quanto importantissimi – sono però aspetti secondi, perché intorno alla famiglia ci sono le questioni più importanti della vita. Vorrei tanto non turbassero invece quello che è il grande bene: la Chiesa è appassionata dell’umanità e a quest’umanità e a queste famiglie di oggi vuole portare l’annuncio di un Vangelo che è amore.

D. – Pina …

R. – La pastorale deve essere ripensata a misura di famiglia. La sottolineatura che è emersa con forza già nel Sinodo straordinario e che sicuramente si riproporrà è che la Chiesa deve far sentire la sua vicinanza alla vita delle persone, aiutare le persone a sentire che la loro vita si svolge sotto lo sguardo del Signore. Non è lontana dall’amore del Signore, ma anzi è attraversata da questo amore. Da questo sicuramente può venire fuori una capacità di creatività e credo che anche a partire da qui si possano poi pensare vie per affrontare questioni che sembrano così drammaticamente premere e che sono questioni molto delicate, tra l’altro.

D. – A quali si riferisce?

R. – Pensiamo per esempio a tutto il discorso dell’indissolubilità del matrimonio che non viene minimamente messa in discussione ma che viene riannunciata in un tempo in cui si avverte una fragilità dei legami e quindi si fa fatica a pensare al per sempre, si ha paura del per sempre.

D. – Le cosiddette famiglie ferite chiedono un accompagnamento, una prossimità da parte della Chiesa…

R.  – Sì, questo accompagnamento e questa prossimità devono essere costanti nella vita della Chiesa, per tutte le famiglie.

D. – Secondo voi nell’ambito della pastorale famigliare si dovrebbe intensificare quell’opera di educazione all’affettività?

R. – Sì, sicuramente. Questo è fondamentale, così come si dovrebbe recuperare il senso del matrimonio, della famiglia come vocazione, legata ad una scelta che richiede un discernimento e che va compiuta nella fede.

D. – Franco, c’è un adeguato coinvolgimento delle famiglie, quindi dei laici in questo senso?

R. – Un adeguato coinvolgimento c’è ma diciamo che deve ancora crescere. Ci sono buone premesse, però, sempre più le famiglie stesse dovrebbero essere protagoniste soggetto dell’evangelizzazione e non semplicemente l’oggetto di cura e di attenzione da parte della Chiesa.

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Papa, tweet: fede non è dono privato, va condivisa con gioia

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “La fede non è un dono privato. La fede è da condividere con gioia”.

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Beatificazione di 18 trappisti uccisi durante guerra civile spagnola

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“Un esempio di perseveranza nella fedeltà alla Chiesa”. Così il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha definito le figure di 16 monaci trappisti dell’abbazia di Viaceli e di due monache di Algemesì, in Spagna, uccisi durante la guerra civile del 1936. Stamani il porporato ha presieduto la Messa di Beatificazione nella cattedrale di Santander. Benedetta Capelli: 

Un monastero preso di mira perché considerato un covo di reazionari e di nemici della rivoluzione che in realtà custodiva servitori fedeli del Vangelo, innamorati di Dio. E’ così che nell’estate del 1936, in piena guerra civile spagnola, si consumò il martirio di padre Pío Heredia Zubía e dei suoi 15 compagni del monastero cistercense della stretta osservanza (trappista) di Viaceli di Còbreces e di due monache appartenenti al monastero di Fons Salutis di Algemesí. Uccisioni precedute dalla soppressione del culto cattolico e dalla distruzione di molti oggetti sacri. I monaci vennero rapiti e trasferiti a Santander nel collegio dei salesiani, sottoposti ad umiliazioni e torture vennero uccisi in circostanze diverse: alcuni fucilati, altri annegati con le mani legate e la bocca cucita. Il cardinale Angelo Amato:

“Erano religiosi lontani da ideologie partitiche, desiderosi solo di servire il Vangelo e di edificare il popolo di Dio con la preghiera, il lavoro e il raccoglimento. Erano miti e inermi”.

Punto di riferimento dei monaci era padre Pío Heredia Zubía considerato un formatore di novizi preparato e attento. Particolare il suo legame con Maria, spesso lo si vedeva intento a dialogare con la Vergine in chiesa. Il volto sorridente e pieno di bontà induceva ad anelare alla sua santità. Il più piccolo tra i nuovi Beati si chiamava fra Ezequiel Álvaro de la Fuente, aveva appena 19 anni; di poco più grande fra Eulogio Álvarez López. Tra gli altri padre Amadeo García Rodríguez, padre Valeriano Rodríguez García, padre Juan Bautista Ferris Llopis, padre Eugenio García Pampliega, padre Vicente Pastor Garrido, fra Álvaro González López, fra Marcelino Martín Rubio, fra Antonio Delgado González, fra Eustaquio García Chicote, fra Ángel de la Vega González, fra Ezequiel Álvaro de la Fuente, fra Bienvenido Mata Ubiern e fra Leandro Gómez Gil.

Nel gruppo di questi martiri sono state inserite anche due monache cistercensi: María Micaela Baldoví Trull e María Natividad Medes Ferris, originarie di Algemesí, nei pressi di Valencia, appartenenti al monastero di Fons Salutis di Algemesí. Anche la loro fu una morte terribile: furono uccise per strada e decapitate, dei corpi delle due religiose venne fatto scempio. Il cardinale Amato:

“I Beati Martiri di Viacoeli e di Fons Salutis invitano oggi i loro Confratelli e Consorelle a perseverare nella fedeltà alla loro vocazione, fatta di preghiera, di lode al Signore, di sostegno della Chiesa con il loro sacrificio quotidiano. È questo un vero martirio bianco testimoniato ogni giorno per l'edificazione della Chiesa e per la redenzione del mondo. È l'incenso benedetto che si innalza verso il cielo”.

Una testimonianza di vita che ancora oggi rappresenta un esempio vivo nell’accoglienza di chi ha più bisogno:

“Il ricordo della bontà e della generosità dei Martiri verso i bisognosi deve continuare a rivivere con la stessa magnanimità e gentilezza. Sappiamo, ad esempio, che ancora oggi la comunità, che vive del suo proprio lavoro, dà occupazione a non pochi abitanti di Cóbreces, con i quali da sempre si è stabilita una relazione giusta e amichevole. Sappiamo anche che i poveri, come da tradizione, trovano sempre ospitalità ed elemosina nei loro monasteri”.

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P. Lombardi: parole mons. Charamsa indebita pressione su Sinodo

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Un gesto “grave” che mira a esercitare una “indebita pressione mediatica” sul Sinodo per la famiglia che inizia domani. La Sala Stampa vaticana reagisce con queste parole del suo direttore, padre Federico Lombardi, all’intervista rilasciata da mons. Krzystof Charamsa al Corriere della Sera, nella quale il teologo polacco si dichiara omosessuale e convivente.

"La scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia della apertura del Sinodo – si legge nella dichiarazione ufficiale – appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l'assemblea sinodale a una indebita pressione mediatica". Per questo motivo, prosegue la nota, mons. Charamsa – "nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situzioni personali e le riflessioni su di esse – “non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la Dottrina della Fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo ordinario diocesano”.

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Telefono Azzurro premia mons. Sanchez Sorondo

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Un riconoscimento “per aver trasformato le conoscenze dello studio in risposte concrete per i più fragili”. È la motivazione che accompagna l’assegnazione del premio del Telefono Azzurro a mons. Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Il presule è stato premiato assieme ad altre personalità giovedì scorso all’Ambasciata Britannica di Roma, durante l’evento nel quale Telefono Azzurro ha presentato il Bilancio Sociale 2014. I riconoscimenti sono andati anche al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, per aver dimostrato costante attenzione al tema della salute dei bambini, al sottosegretario del Ministero dell’istruzione, Davide Faraone, per l’impegno e la promozione di un’educazione sempre più vicina ai giovani, al prefetto di Roma, Franco Gabrielli, per il suo impegno in situazioni di emergenza e difficoltà, a Walter Veltroni, per aver rappresentato con gli occhi dei ragazzi il futuro di una società che deve vederli sempre più protagonisti, a Claudio Gubitosi, fondatore e direttore artistico del Giffoni Film Festival, per il comune impegno con Telefono Azzurro allo sviluppo di una cultura dell’infanzia, e al presidente della “National Society for the Prevention of Crulety to Children”, Peter Liver, per il forte impegno per la protezione dei bambini e la prevenzione di ogni forma di abuso all’infanzia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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A colloquio con il mondo: in prima pagina, un editoriale del direttore a cinquant'anni - 4 ottobre 1965 - dal discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite, ripubblicato per intero con l'intervista di Alberto Cavallari a Montini, primo Papa a parlare davanti all'assemblea generale dell'Onu.

L'ingiustizia della fame: Papa Francesco per i venticinque anni del Banco alimentare.

Oltre gli egoismi per un mondo di pace e di solidarietà: il segretario per i Rapporti con gli Stati all'assemblea generale delle Nazioni Unite.

Sostegno concreto ai cristiani del Medio Oriente: il presidente della Pontificia commissione dell'America latina scrive alle Conferenze episcopali.

Obama boccia la strategia russa: secondo Washington i raid in Siria rafforzano l'Is.

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Oggi in Primo Piano



Siria, nuovi raid russi. Usa e Gb: non colpiscono l'Is

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Quarto giorno di raid aerei russi sulla Siria. Secondo il ministero della Difesa russo, nelle ultime 24 ore l'aviazione militare russa ha colpito nove obiettivi dello Stato Islamico, tra cui un posto di comando e un bunker vicino a Raqqa, la roccaforte del Califfato. Ma dopo gli Stati Uniti, anche la Gran Bretagna accusa Mosca di concentrare i bombardamenti contro i civili e l'opposizione anti-Assad piuttosto che contro l’Is. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha esortato Vladimir Putin a fermare la campagna di bombardamenti russi sulla Siria, accusando Mosca di "chiudere un occhio" di fronte alle "65 vittime civili" causate dai raid. Degli obiettivi russi e della transizione siriana, Francia e Germania hanno discusso ieri nel summit di Parigi con il presidente russo, Vladimir Putin. Sui risultati di questo vertice Elvira Ragosta ha intervistato Gabriele Iacovino, analista del Cesi, Centro studi internazionali: 

R. - Si può definire un nuovo tentativo forse, che sia nei confronti della lotta allo Stato Islamico, sia verso una ricerca di nuove prospettive per la Siria e per – diciamo – un processo diplomatico che porti ad un post-Assad o se non ad un post-Assad ad un post-crisi, ad un post-guerra civile siriana, che vede sia gli Stati Uniti sia la Russia, ma anche Gran Bretagna e Francia, molto attivi in questa ricerca.

D. – La transizione passa attraverso l’uscita di scena di al-Assad: questo hanno chiesto la Francia e la Germania e questo aveva già chiesto il presidente statunitense Obama. Ma la Russia non è della stessa opinione. Allora, cosa si può prevedere sul futuro di Bashar al-Assad?

R. – E’ ancora assolutamente tutto in discussione, anche perché le prospettive e i fattori in questo momento – sia militari che diplomatici sul campo – sono ondivaghi e quindi se da una parte c’è una coalizione internazionale che combatte lo Stato Islamico, ma non combatte né Assad né le milizie jihadiste a lui ostili; dall’altra parte abbiamo una Russia che ha messo tutta la sua potenza militare a supporto di Assad e che combatte sia lo Stato Islamico, sia le milizie jihadiste che combattono Assad. Quindi è un calderone indefinito che, in questo momento, vede il contesto siriano separato, scisso da quello iracheno, ma che forse così scisso e così separato non è.

D. – E se non è così separato dal punto di vista strategico, cosa si può prevedere per il futuro della regione?

R. – Una regione che difficilmente rivedremo come siamo abituati a conoscere: sia la Siria che l’Iraq difficilmente torneranno ad essere quello che erano 4-5 anni fa; una influenza iraniana che - se possibile - andrà ad accrescersi sulla regione, perché venuti meno i poteri sunniti forti di Assad da una parte e quello che era di Saddam Hussein dall’altra; rimescoleranno nuovamente gli equilibri, con un movimento di hezbollah, che sempre di più sarà un attore regionale più che solamente libanese.

D. – Questo Vertice di Parigi ha fatto conquistare all’Europa un nuovo ruolo nella crisi siriana?

R. – Purtroppo più che un ruolo dell’Europa sono sempre i singoli Stati che mossi dai propri interessi cercano un ruolo politico nei vari contesti. Vediamo come la Francia ha utilizzato il proprio impegno militare nel contesto siriano per avere un ruolo diplomatico in un contesto regionale come quello siriano, che da sempre è di suo interesse. Vediamo poi un attivismo tedesco che, forse dettato anche dai problemi interni che la cancelliera Merkel adesso ha, cerca di sfruttare un ruolo maggiore in politica estera, che finora non ha avuto, per cercare di porre meno attenzione ai problemi interni. 

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Afghanistan: aerei Usa bombardano per errore ospedale Msf

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Almeno 9 morti e 30 persone disperse: è questo finora il bilancio, purtroppo ancora provvisorio, del bombardamento, avvenuto ieri intorno alle 2 di notte, operato da aerei statunitensi ai danni dell’ospedale di Medici Senza Frontiere (Msf) nella città afghana di Kunduz. Al momento del raid nella clinica c’erano circa un centinaio di pazienti e ottanta membri dello staff. Da lunedì sono in atto interventi da parte dei caccia della Nato, le cui forze stanno combattendo al fianco del governo afghano per riprendere il controllo di Kunduz, conquistata pochi giorni fa dai talebani. L’aviazione statunitense ha diffuso un comunicato in cui ha detto di avere compiuto dei bombardamenti vicino ad un ospedale della città e ha parlato di "danni collaterali". Gabriele Eminente, direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia, al microfono di Francesca Di Folco, ha riferito la difficile situazione che stanno affrontando i  cooperanti: 

R. – Noi siamo ovviamente sotto shock e stiamo cercando di capire bene che cosa sia successo e di capire l’entità del gravissimo attacco che abbiamo subito. Al momento queste sono le cifre che possiamo confermare: purtroppo tre persone che fanno parte del nostro staff e - sommati a questi - 30 dispersi. Evidentemente è un numero molto alto. Il nostro ospedale di Kunduz, che è un ospedale di chirurgia ortopedica di qualità, era l’unico punto che poteva ancora erogare cure mediche nell’area, perché negli ultimi giorni l’altro ospedale nella città era stato di fatto chiuso. L’ospedale di Kunduz ha subito danni gravissimi e le sale operatorie non sono agibili al momento. Stiamo continuando a curare come possiamo i pazienti che sono rimasti, ma è comunque un fatto di una gravità enorme.

D. – Ci può dire più in dettaglio i danni alla struttura ospedaliera?

R. – Come accennavo prima, le sale operatorie della struttura sono inagibili e l’ospedale è parzialmente distrutto. Ospitava in quel momento un numero di pazienti anche superiore al normale, nel senso che avevamo portato nei giorni scorsi la capacità dei letti da 95 a circa 140, proprio in funzione di quello che stava succedendo nella zona. Purtroppo, in questo momento, non saremo certamente in grado di continuare a curare le persone che avevamo ospitato nell’ultimo periodo e solo, penso, nelle prossime ore saremo in grado di fare una valutazione più precisa. E’ però una struttura dove sicuramente la gran parte delle attrezzature mediche e chirurgiche è stata resa inagibile. Non potremo, quindi, continuare a lavorare almeno nei prossimi giorni, così come abbiamo fatto negli ultimi anni.

D. – L’aviazione statunitense ha diffuso un comunicato in cui ha ammesso di aver compiuto bombardamenti vicino ad un ospedale e di avere provocato danni collaterali…

R. – L’abbiamo letto ed è una cosa che ci lascia sconcertati. E’ anche questo che dovremo cercare di capire nelle prossime ore. Va sempre ricordato che attaccare una struttura sanitaria, un ospedale, è una gravissima violazione del diritto umanitario internazionale. Purtroppo non è una cosa nuova per noi: abbiamo subito attacchi nella Repubblica Centrafricana; ne abbiamo subiti in Ucraina; ne abbiamo subiti in Sud Sudan. Ma l’entità di questo attacco, e la gravità dei danni che ha causato, è veramente scioccante.

D. – I combattimenti sono iniziati da lunedì, quando i talebani hanno conquistato una parte di Kunduz. Giovedì l’esercito afghano ha lanciato una controffensiva con l’appoggio di aerei Usa. Ieri ancora scontri in aeroporto e in diversi quartieri. Una situazione sempre esplosiva…

R. – E’ per questa ragione che abbiamo dovuto portare il numero dei letti del nostro ospedale da 95 a 140 circa, quasi 150. Nei giorni scorsi questo ospedale ha accolto più di 150 persone e tra questi pazienti c’erano circa una cinquantina di bambini. Il numero di coloro che avevano subito ferite, traumi, anche a causa della recrudescenza degli scontri, è cresciuto molto rapidamente. E’ ancora più grave, quindi, che l’unico punto che poteva garantire questo tipo di cure sia stato preso di mira, bombardato e reso praticamente non più operativo.  

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A Rovereto collocata la statua di Maria Dolens

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Una Pietà in bronzo alta quattro metri, con la Madre che tiene tra le braccia il Figlio morto e sembra volerlo accoglierlo di nuovo nel ventre aperto da un taglio che separa le vesti. E’ la “Maria Dolens” opera dello scultore Luciano Capriotti, che domenica 4 ottobre verrà collocata a Rovereto al Colle di Miravalle, dove c’è anche l’omonima Campana dei Caduti, che ricorda tutte le vittime di guerra e di cui proprio il 4 ottobre ricorre il 90.mo anniversario dal primo rintocco. La statua, che nei giorni scorsi è stata portata a Roma e benedetta da Papa Francesco, vuole allargare la sua protezione verso tutto il Creato. Ascoltiamo Alberto Robol, reggente della Fondazione Opera Campana dei Caduti, al microfono di Marina Tomarro

R. - "Maria Dolens" ha avuto un significato originario, direi fondativo, della Campana stessa: "Maria Dolens" è la voce di chi non ha più voce perché morto durante le guerre. È stata sostanzialmente, per tutti questi lunghi anni, ricordata come l’espressione del ricordo dei caduti. Adesso, con questa statua, acquisisce un’altra titolarità. Abbiamo pensato che "Maria Dolens" oltre a essere la voce dei caduti in guerra, è diventata anche la voce dell’ambiente, del Creato. Questa è, secondo me, la novità autentica e l’importanza fondamentale.

D. - Quanto è importante per il Trentino "Maria Dolens"?

R. - È importantissima, perché proprio nella zona dove si trova, ci sono stati diecimila morti. Per cui, la nostra visione della pace non è una visione qualsiasi. Il messaggio che viene anche dal nome scelto, "Maria Dolens", è preciso. I suoi 90 anni cadono proprio all’interno del centenario della Prima Guerra Mondiale. È il simbolo di una pacificazione delle coscienze.

D. - E qual è il messaggio che oggi "Maria Dolens" vuole dare alle nuove generazioni, secondo lei?

R. - Proprio la statua che il Santo Padre ha benedetto con bellissime parole sta a testimoniare che il messaggio ci porta al cuore dell’umanità, quindi non solo “basta guerre”, ma “difendiamo l’ambiente”. "Maria Dolens" è l’espressione di un’eternità della pace, sia dal punto di vista dell’umanità sia di tutti gli abitanti del Creato. Quindi, il messaggio è importantissimo e bisogna capirlo ed interpretarlo fino in fondo.

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Santa Cecilia, Pappano dirige il concerto inaugurale

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Si inaugura questa sera, all'Auditorium Parco della Musica, di Roma la Stagione Sinfonica dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia con il progetto "Beethoven e i suoi contemporanei", affidato alla bacchetta di Antonio Pappano. I concerti proseguiranno poi fino al giugno del prossimo anno, affiancandosi a quelli della Stagione da Camera. Il servizio di Luca Pellegrini

Un canto di pace, un inno alla gioia. Il primo levato attraverso le parole di Nelson Mandela che il compositore Luca Francesconi ha letto e meditato inserendole nella sua nuova opera "Bread, Water and Salt", in prima esecuzione assoluta questa sera; il secondo nell'interpretazione corale del sempre travolgente finale della "Nona Sinfonia" di Beethoven. Con questi due titoli l'Accademia di Santa Cecilia inaugura la sua lunga e affascinante stagione di musica, che richiama a Roma artisti di altissimo livello e riunisci ancora una volta un ampio pubblico di fedeli e curiosi. Michele Dall'Ongaro, presidente della secolare Istituzione, ci tiene a ribadire che la musica è un diritto universale inalienabile e con questo spirito affronta il suo impegno artistico.

 “La musica è di tutti, le cose belle sono di tutti. La bellezza però da sola non ci basta, perché la bellezza non salva il mondo. In nome della bellezza sono stati anche compiuti delitti orrendi! Ricordiamo che quando si andava verso i campi di concentramento, da qualche parte suonavano la ‘Terza Sinfonia’ di Beethoven. Per cui, alla bellezza bisogna aggiungere il pensiero, la riflessione, la passione: tutte queste cose vanno di pari passo. Per noi, quindi, la musica contemporanea, il rapporto contemporaneo, ha sempre una relazione con la tradizione. Non importa se è nato prima Luca Francesconi o Beethoven, quello che importa è che tutti e due s’interrogano sui grandi temi che ci riguardano: la libertà, la fratellanza. E rispondono con i loro strumenti: Beethoven con Schiller, Francesconi con Mandela. Le domande rimangono le stesse, cambiano le risposte e noi queste risposte dobbiamo cercarle con tutti i mezzi possibili”.

Al maestro Antonio Pappano, che nel giro di un mese dirigerà tutte le Sinfonie beethoveniane affiancate da musiche dei suoi e nostri contemporanei – Spontini, Cherubini, Sollima, Nieder – il compito di illustrare questo progetto:

R. – Noi viviamo nell’adesso, spero, e di questo dobbiamo renderci conto e ricordarcelo. La formula per scrivere una sinfonia o un pezzo musicale rimane sempre la stessa: la pagina vuota, la creatività, l’ispirazione. Da dove viene questa ispirazione? C’è il talento, però c’è qualcosa di magico, c’è un sodo lavoro, e forse Beethoven è l’esempio di questo: la creatività, la perseveranza, l’amore, il coraggio, il cercare di aprire porte nuove, di scavarsi l’espressione dentro se stesso… È una cosa fondamentale e ogni compositore deve percorrere questa strada. E secondo me è questo il bello di abbinare questi due pezzi. Spero che il pubblico si renda conto che, ovviamente, il soggetto – la libertà, la discriminazione, la fratellanza, l’amore per il prossimo – il tema originale di questo concerto è questo e ne abbiamo tantissimo bisogno oggi nel nostro mondo.

D. – Lei ha descritto questo concerto come un “grido”…

R. – Un “grido” affinché ci rendiamo conto che l’amore per il prossimo rimane fondamentale per la nostra vita. Ma anche un grido per la creatività e per tutto quello che è nuovo. Però mai, mai, mai dimenticando il passato: l’ispirazione di un Beethoven, un Bach, un Mozart, di tutto ciò che è bello. E anche il ricordare quello che è di ieri: questo è eccezionalmente importante per noi.

E Luca Francesconi svela che cosa accomuna la sua musica a quella di Beethoven, le parole di Mandela a quelle di Schiller:

R. – Io credo il senso della dignità. La grande differenza è che Beethoven era molto deluso dall’esperienza politica dopo i fatti di Napoleone e dunque si affida a un ideale romantico che Schiller in questo senso incarna molto bene. Però, diciamo che è più un sogno. Mandela è un uomo pratico, è un uomo che la poesia l’ha fatta nei fatti, nella realtà, e ha realizzato molte delle cose che ha sognato. Questo modo di vedere riguarda però sempre la dignità di ogni essere umano, questa che potrei chiamare anche “pietas”.

D. – Lei ha parlato della purezza dello sguardo di Mandela. Se ne sente eco nella sua musica?

R. – Io spero di sì, perché non sono figlio di nessuna scuola. La cosa che ho imparato di più è proprio quella di utilizzare gli strumenti che appartengono alla nostra cultura per entrare in comunicazione con altre culture. Per cui, non ho mai seguito ideologie, linguaggi particolari imposti in senso manierista, accademico, e ho cercato di sviluppare una mia voce e in questo senso più vicina alla materia, al corpo… Sì, ho cercato questo.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella 27.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui i farisei mettono alla prova Gesù chiedendogli se sia lecito a un marito ripudiare la propria moglie, visto che Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio. Gesù risponde che per la durezza del loro cuore Mosè scrisse questa norma. E afferma:

“L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto".

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti

Il Vangelo di questa domenica presenta diversi attori: alcuni farisei che tramano e “tendono tranelli”, poi Gesù e Mosè; e la diatriba riguarda il Matrimonio, il “sacramentum magnum” che Dio ha voluto come “immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo” (CCC 1604). I farisei  si fanno una legge su misura. Mosè, il legislatore, si ferma davanti “alla durezza di cuore”; Gesù, il Salvatore, sa che la rottura  della comunione originale tra uomo e donna è frutto della rottura con Dio, del peccato; così la sua risposta non è un’ineluttabile accettazione del peccato, ma la possibilità di ritornare allo splendore delle origini: due che diventano una carne sola “… e Dio vide che era molto buono”. La Chiesa ha certo un cuore di misericordia, ma fondato sulla verità; sa che “ogni uomo fa l'esperienza del male, attorno a sé e in se stesso” e che  “questa esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l’uomo e la donna;  sa che “da sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio, dall'infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare fino all’odio e alla rottura” (CCC 1606); ma sa anche “che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene…” (CCC 1648), per questo non si arrende di fronte alle difficoltà della vita matrimoniale, sapendo che c’è un medico capace di curare tutte le nostre malattie. Oggi ci invita ad accoglierlo, come i bambini del Vangelo, perché possiamo conoscere Lui e la potenza della sua risurrezione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Consiglio permanente Cei chiede alleanze per la famiglia

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Un clima di franca fraternità e di reciproca stima ha caratterizzato le giornate del Consiglio episcopale permanente tenutosi a Firenze dal 30 settembre al 2 ottobre scorsi. Il Magistero del Santo Padre – si legge nel comunicato finale del Consiglio permanente della Cei – ha costituito la trama di fondo su cui si sono appuntati i diversi argomenti affrontati, tra cui i contenuti della prolusione e le modalità da offrire alle diocesi italiane circa l’accoglienza dei profughi.

Vicinanza alle famiglie
Riunito alla vigilia della 14.ma Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il Consiglio permanente ha espresso convinta vicinanza alle famiglie, a partire dalla condivisione della loro non facile opera educativa. Al riguardo, la stessa prolusione con cui il cardinale Angelo Bagnasco ha aperto i lavori riprende e valorizza i contenuti del recente viaggio di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti. In particolare, rivolge ai responsabili della cosa pubblica l’appello a compiere ogni sforzo per consentire a tutti l’accesso alle condizioni essenziali – materiali e spirituali – per formare e mantenere una famiglia.

Strade da percorrere, obiettivi da perseguire
Centrale, per i vescovi, rimane la questione antropologica, minacciata da una cultura del relativismo che svuota ogni proposta: l’individuo che si concepisce “autonomo” dalla realtà si priva di fatto dell’apertura alla trascendenza. Emblematica di tale cultura – si sottolinea nel comunicato – è lo stesso tentativo di applicare la “teoria del gender”, secondo un progetto che pretende di cancellare la differenza sessuale. Di qui, la rinnovata volontà dell’episcopato italiano a mantenersi nel solco della missione educativa, puntando nel prossimo quinquennio a intensificare alleanze collaborative con la società civile e le sue istituzioni, a partire dalla scuola.

In risposta all’appello del Santo Padre
Il riconoscimento degli altri come condizione per realizzare se stessi porta a sentirsene responsabili, specie quando hanno il volto del debole e del bisognoso. Il Consiglio permanente – si ricorda nel documento – ha dedicato all’individuazione delle forme migliori con cui promuovere una risposta effettiva ed efficace all’appello del Santo Padre sull’accoglienza di una famiglia di immigrati in ogni parrocchia, comunità religiosa, santuario o monastero. Una prima ricognizione, compiuta nelle Conferenze episcopali regionali, documenta come la Chiesa italiana sia in prima fila in tale servizio. Sono oltre 27 mila i migranti ospitati in circa 1.300 strutture di diocesi, parrocchie, comunità religiose e famiglie.

Presbiteri, due fuochi per una riforma
La vita spirituale dei presbiteri e il carico burocratico-amministrativo che spesso grava sulle loro spalle sono i due “fuochi” su cui si è concentrata l’attenzione dei vescovi, che al tema intendono dedicare l’Assemblea Generale del 2016. I presuli – si legge nel comunicato finale del Consiglio episcopale Permanente della Cei – sono decisi ad avviare processi di riforma che aiutino il sacerdote a un esercizio del ministero all’insegna di una convinta adesione al presbiterio, vissuta nella fraternità, con stile sinodale e missionario..

Rinnovo delle Commissioni episcopali
Il rinnovo delle 12 Commissioni episcopali è stato l’occasione per un confronto sulle loro modalità operative, sul loro rapporto con gli Uffici della Cei e sulla loro funzione in ordine alla comunione dell’Episcopato italiano. Il Consiglio permanente ha fine approvato il Messaggio per la Giornata nazionale per la Vita e ha provveduto ad alcune nomine, fra cui quelle dei membri del Consiglio per gli affari giuridici. 

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Roma, oltre 80 parrocchie e istituti aprono ai rifugiati

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Sono più di 80 le parrocchie e gli Istituti religiosi di Roma che hanno dato la disponibilità per accogliere almeno un rifugiato dopo l’appello di Papa Francesco ad aprire le porte. Un numero importante – rende noto il Vicariato di Roma in un comunicato – a cui si aggiungeranno nei prossimi mesi altre iniziative di solidarietà. Finora 62 parrocchie, 13 Istituti religiosi, 2 seminari, 2 case famiglia e 2 Istituti pontifici hanno aderito alla proposta della Caritas per la “prima accoglienza” o per la “seconda accoglienza”.

Sopralluoghi nelle parrocchie
Mentre sono in corso i sopralluoghi tecnici, che termineranno a metà ottobre, finora sono 17 le parrocchie risultate idonee ad accogliere subito (12 prima accoglienza, 5 seconda). Otto parrocchie dovranno effettuare importanti lavori di ristrutturazione e adeguamento e saranno pronte tra due mesi. Sono invece 14 quelle risultate non idonee a ospitare in quanto incompatibili con le normative. A questo numero vanno aggiunte 16 parrocchie che già collaborano stabilmente con la Caritas diocesana nell’accoglienza dei senza dimora.

L’appello del Papa ha aperto i cuori
“L’appello di Papa Francesco – ha detto mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma – ha aperto il cuore dei romani. Occorre considerare – ha aggiunto – che le nostre comunità sono state chiamate dal Santo Padre a qualcosa che va oltre l’ordinario e la storia pastorale di tutta la Chiesa italiana ed europea”. “I complessi parrocchiali – ha affermato mons. Feroci – non sono stati pensati per fare questo tipo di accoglienza. Sono anzitutto luoghi di culto e di insegnamento, così come avviene per i luoghi di tutte le altre religioni”. (A.L.)

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Australia. Messaggio vescovi per la Giornata delle bambine

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Parità di diritti per le bambine: è quanto chiede la Conferenza episcopale australiana in una nota diffusa in vista della Giornata internazionale delle bambine che ricorre l’11 ottobre. “Come comunità di fede – scrive mons. Peter Ingham, delegato per il Consiglio per le donne cattoliche australiane – abbiamo la responsabilità di assicurare che i diritti delle bambine siano rispettati tanto quanto quelli dei bambini”. “La pari dignità di ogni essere umano – ribadisce il presule – è un valore che possiamo vedere nei Vangeli, nel modo in cui Gesù tratta le donne e le ragazze”.

Aiutare le bambine a crescere trasforma le comunità
Nel Vangelo di Marco, spiega mons. Ingham, Gesù resuscita una bambina di dodici anni dalla morte dicendole: “Fanciulla, alzati!”. “Sappiamo – conclude il presule – che quando aiutiamo una ragazza a rialzarsi e le diamo le stesse possibilità dei suoi coetanei, l’intera comunità ne viene trasformata”.

Drammatica la condizione femminile nel mondo
Intanto, sono drammatici i dati diffusi dalle Nazioni Unite in vista della Giornata internazionale delle bambine: attualmente, oltre 60 milioni di ragazze nel mondo vengono costrette a matrimoni forzati prima di aver compiuto 18 anni, 125 milioni sono sottoposte a mutilazione genitale, mentre 1.2 milioni di minori ogni anno diventano vittime della tratta. Tantissime, poi, nel mondo, le giovani che tra i 15 ed i 19 anni muoiono durante la gravidanza, mentre il loro livello di istruzione rimane molto basso: in Afghanistan, ad esempio, solo il 12% delle ragazze di 15 anni è alfabetizzato. (I.P.)

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Kenya. Congresso eucaristico nazionale in attesa del Papa

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Con una Messa solenne, seguita dal rito della Via Crucis, dall’adorazione eucaristica e, in serata, da una veglia di preghiera si è aperto il 2 ottobre, in Kenya, il Congresso eucaristico nazionale. L’evento, organizzato dalla Chiesa locale, è ospitato presso il Santuario mariano nazionale di Subukia, a Nakuru. Come riferisce il segretario generale dei vescovi keniani, padre Charles Odira, al Congresso prendono parte oltre 20 mila partecipanti, provenienti da tutte le diocesi cattoliche del Paese.

Il Papa in Kenya dal 25 al 27 novembre
Inoltre, sottolinea padre Odira, il Congresso si pone come un “evento preparatorio alla visita di Papa Francesco in Kenya, dal 25 al 27 novembre prossimi”. Secondo quanto annunciato dalla Sala Stampa vaticana il 10 settembre scorso, “accogliendo l’invito dei rispettivi capi di Stato e dei vescovi”, il Pontefice compirà un viaggio apostolico in Kenya dal 25 al 27 novembre 2015, in Uganda dal 27 al 29 novembre e nella Repubblica Centrafricana dal 29 al 30 novembre. Si tratterà dell’11.mo viaggio apostolico internazionale di Papa Francesco.

Eucaristia, centro della vita cristiana
“Quando abbiamo programmato il Congresso eucaristico nazionale – continua padre Odira – non avevamo previsto la visita del Papa. Ma trasformeremo comunque il Convegno in una fase preparatoria all’incontro con il Pontefice perché la Chiesa in Kenya si unirà tutta in preghiera per e con il Santo Padre”. Quindi, il segretario generale dei vescovi evidenzia che “è particolarmente importante coinvolgere presuli, religiosi, sacerdoti e laici per pregare insieme l’Eucaristia, centro della vita cristiana”.

Celebrazioni specifiche per l’Anno della vita consacrata
Il programma del Convegno prevede anche alcune celebrazioni specifiche per i consacrati, poiché fino al 2 febbraio è in corso l’Anno della Vita consacrata, indetto da Papa Francesco a 50 anni della promulgazione del decreto conciliare "Perfectae caritatis" sul rinnovamento della vita religiosa. Per la giornata del 3 ottobre, è prevista una processione, una Messa solenne e numerosi interventi dei vescovi partecipanti.

Con lo sguardo a Cebu, per il 51.mo Congresso eucaristico internazionale
Non solo: l’incontro di Nakuru si pone anche come evento preparatorio anche al 51.mo Congresso eucaristico internazionale che avrà luogo a Cebu, nelle Filippine, dal 25 al 31 gennaio 2016 ed avrà come tema: “Cristo in voi, speranza della gloria”, tratto dalla Lettera di San Paolo ai Colossesi (1,27). (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 276

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.