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Sommario del 18/11/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Chiesa senza porte blindate, misericordia di Dio ha porta sempre aperta

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Niente porte blindate nella Chiesa, perché la porta della misericordia di Dio “è sempre aperta”. Questo l’invito di Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, durante la quale ha esortato i fedeli a varcare quella porta, alla vigilia del Giubileo, secondo gli incoraggiamenti del Sinodo dei Vescovi appena celebrato. Il servizio di Giada Aquilino

Chiesa: nente porte blindate, tutto aperto!
Di fronte a suoi figli e alle sue figlie “in cammino, a volte “incerti”, a volte “smarriti”, ancor di più “in questi tempi difficili” la Chiesa è chiamata “ad aprire le sue porte”. All’udienza generale dedicata alla famiglia, Papa Francesco riflette sul tema della ‘porta dell’accoglienza’, “alle soglie” del Giubileo della misericordia: ci sono “ancora” posti nel mondo - osserva - in cui “non si chiudono le porte a chiave”; ma ce ne sono “tanti” dove le porte blindate sono diventate “normali”:

“Non dobbiamo arrenderci all’idea di dover applicare questo sistema, che anche è di sicurezza, a tutta la nostra vita, alla vita della famiglia, della città, della società. E tanto meno alla vita della Chiesa. Sarebbe terribile! Una Chiesa inospitale, così come una famiglia rinchiusa su sé stessa, mortifica il Vangelo e inaridisce il mondo. Niente porte blindate nella Chiesa, niente! Tutto aperto!".

Porta del nostro cuore riceva tutti
“Approfittiamo” dell’occasione dell’Anno Santo, esorta Francesco, per varcare “la soglia di questa misericordia di Dio che mai si stanca di perdonare, mai si stanca di aspettarci”: perché davanti a noi sta la porta santa, ma anche quella “grande” della misericordia di Dio. L’invito è dunque a entrare, con coraggio, “per questa porta”:

“Che sia anche la porta del nostro cuore per ricevere tutti, sia il perdono di Dio o dare il nostro perdono, accogliendo tutti quelli che bussano alla nostra porta”.

Chiese facciano uscire Gesù prigioniero delle nostre strutture
Al contempo l’esortazione è a “uscire con il Signore”:

“Se la porta della misericordia di Dio è sempre aperta, anche le porte delle nostre chiese, dell’amore delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, delle nostre istituzioni, delle nostre diocesi, devono essere aperte, perché così tutti possiamo uscire a portare questa misericordia di Dio. Il Giubileo significa la grande porta della misericordia di Dio ma anche le piccole porte delle nostre chiese aperte per lasciare entrare il Signore - o tante volte uscire il Signore - prigioniero delle nostre strutture, del nostro egoismo e tante cose”.

Ospitalità e accoglienza, senza prepotenze né invasioni
Sottolinea come il Signore chieda sempre “permesso”, non forzi la porta. E lo sguardo del Papa va all’oggi:

“La gestione simbolica delle ‘porte’ – delle soglie, dei passaggi, delle frontiere – è diventata cruciale. La porta deve custodire, certo, ma non respingere. La porta non dev’essere forzata, al contrario, si chiede permesso, perché l’ospitalità risplende nella libertà dell’accoglienza, e si oscura nella prepotenza dell’invasione”.

Tanti hanno perso la fiducia di bussare alle porte del nostro cuore cristiano
La porta, aggiunge ancora Francesco, va aperta “frequentemente”, per vedere se fuori c’è qualcuno che aspetta e magari non ha né il “coraggio”, né la “forza” di bussare:

“Quanta gente ha perso la fiducia, non ha il coraggio di bussare alla porta del nostro cuore cristiano, alle porte delle nostre chiese… E sono lì, non hanno il coraggio, gli abbiamo tolto la fiducia: per favore, che questo non accada mai”.

Custodi delle porte abbiano accortezza e gentilezza
D’altra parte, riflette il Pontefice, la gestione della porta richiede “attento discernimento” ma deve pure “ispirare grande fiducia”. Per questo ringrazia “tutti i custodi delle porte”: dei condomini, delle istituzioni civiche, delle chiese, le cui “accortezza” e “gentilezza” offrono spesso “un’immagine di umanità e di accoglienza all’intera casa, già dall’ingresso”.

“C’è da imparare da questi uomini e donne, che sono custodi dei luoghi di incontro e di accoglienza della città dell’uomo! A tutti voi custodi di tante porte, siano porte di abitazioni, siano porte delle chiese, grazie tante! Ma sempre con un sorriso, sempre mostrando l’accoglienza di quella casa, di quella chiesa, così la gente si sente felice e accolta in quel posto”.

La Porta di Dio è Gesù 
Gesù, ricorda il Papa, “è la Porta di Dio”, è Lui che “ci fa entrare e uscire”:

“Sono i ladri, quelli che cercano di evitare la porta: è curioso, i ladri cercano sempre di entrare da un’altra parte, dalla finestra, dal tetto ma evitano la porta, perché hanno intenzioni cattive, e si intrufolano nell’ovile per ingannare le pecore e approfittare di loro. Noi dobbiamo passare per la porta e ascoltare la voce di Gesù: se sentiamo il suo tono di voce, siamo sicuri, siamo salvi”.

Chiesa 'portinaia' non padrona della casa del Signore
Ed è sempre il Signore, buon Pastore, ricorda il Papa ripercorrendo le letture odierne, che con la sua “voce” conduce le “pecore”, anche quelle che erano “sperdute nei boschi”, fino al guardiano, che ha il compito di aprire le porte:

“Le pecore non le sceglie il guardiano, non le sceglie il segretario parrocchiale o la segretaria della parrocchia; le pecore sono tutte invitate, sono scelte dal buon Pastore. Il guardiano – anche lui – obbedisce alla voce del Pastore. Ecco, potremmo ben dire che noi dobbiamo essere come quel guardiano. La Chiesa è la portinaia della casa del Signore, la Chiesa è la portinaia, non è la padrona della casa del Signore”.

Famiglie cristiane siano segno dell'accoglienza di Dio
Citando la Santa Famiglia di Nazareth, che ha ben compreso il significato di “una porta aperta o chiusa”, soprattutto “per chi aspetta un figlio, per chi non ha riparo, per chi deve scampare al pericolo”, la sollecitazione del Papa alle famiglie cristiane è a fare “della loro soglia di casa un piccolo grande segno della Porta della misericordia e dell'accoglienza di Dio”, in modo che la Chiesa sia riconosciuta “in ogni angolo della terra” come la custode di un Dio accogliente “che - afferma il Papa - non ti chiude la porta in faccia”.

Saluti finali: interessi politici o economici non prevalgano
Nei saluti finali nelle varie lingue, il Papa si rivolge tra l’altro ai pellegrini polacchi presenti e in particolare ai rappresentanti del Sindacato autonomo dei lavoratori “Solidarnosc”, ricordando che “da trentacinque anni” la loro realtà “si impegna a favore del mondo del lavoro, sia fisico, che intellettuale, nonché per la tutela dei diritti fondamentali della persona e delle società”. L’invito è ad essere “fedeli a questo impegno, affinché gli interessi politici o economici non prevalgano sui valori che costituiscono l’essenza della solidarietà umana”.

Il dono delle vocazioni
Quindi Francesco anticipa che sabato prossimo, 21 novembre, la Chiesa ricorda la Presentazione di Maria Santissima al Tempio.

“In tale circostanza ringraziamo il Signore per il dono della vocazione degli uomini e delle donne che, nei monasteri e negli eremi, hanno dedicato la loro vita a Dio. Affinché le comunità di clausura possano compiere la loro importante missione, nella preghiera e nel silenzio operoso, non facciamo mancare la nostra vicinanza spirituale e materiale”.

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Giubileo: Papa apre Porta Santa in San Pietro l'8 dicembre mattina

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Il prossimo 8 dicembre, Solennità dell'Immacolata Concezione, Papa Francesco per l'inizio del Giubileo della Misericordia, presiederà in Piazza San Pietro, alle 9.30, la Messa con l'apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro. Domenica 13 dicembre, sempre in mattinata, il Papa aprirà la Porta Santa di San Giovanni in Laterano e poi, nel pomeriggio del primo gennaio aprirà quella di Santa Maria Maggiore. Ad aprire la Porta Santa di San Paolo fuori le Mura sarà il cardinale James Harvey, il 13 dicembre. Ieri sera, intanto, si è svolta la "Recognitio" della Porta Santa della Basilica Vaticana. Ce ne parla Francesca Sabatinelli: 

La preghiera è che attraverso il passaggio della Porta Santa si possa divenire “operatori di pace” in un momento in cui ce ne è tanto bisogno. Il cardinale arciprete Angelo Comastri l’ha rivolta durante la cerimonia della Recognitio della Porta Santa della Basilica di San Pietro, alla presenza del maestro delle celebrazioni liturgiche del Papa, mons. Guido Marini, e del presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione, mons. Rino Fisichella:

“Fin da questo momento preghiamo, per tutti coloro che attraverseranno la Porta Santa nell’Anno della Misericordia. Aprano veramente il cuore alla Misericordia di Dio e diventino operatori di pace in un mondo che ha tanto, tanto bisogno di pace. E accostiamoci anche noi con fiducia al trono della Grazia, per ricevere misericordia, sapendo di avere un Avvocato presso il Padre, Cristo Gesù, Agnello immolato per la nostra salvezza”.

Quattro i “sampietrini” che hanno forato con i picconi il muro che sigilla la Porta all’interno della Basilica e che hanno estratto la Capsa, la cassetta metallica con i documenti dell’ultimo Anno Santo, quello del 2000, che si trovava lì custodita dal momento della chiusura del Grande Giubileo.

Dopo la preghiera all’altare della Confessione, il corteo guidato dal cardinale Comastri è giunto nella Sala capitolare dove con la fiamma ossidrica è stata aperta la cassetta, dalla quale sono state estratte la chiave che permetterà di aprire la Porta Santa, le maniglie, la pergamena del rogito, mattoni e medaglie commemorative. Il contenuto verrà consegnato a Papa Francesco assieme a quello delle cassette delle altre basiliche romane, come quella di San Giovanni in Laterano, la Cattedrale di Roma, la cui Porta Santa è stata la prima ad essere smurata, lunedì pomeriggio, alla presenza del cardinale vicario Agostino Vallini.

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Papa: mai più bambini sfruttati o maltrattati. Pubblicato Atlante infanzia

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Nel corso dell’udienza generale Papa Francesco ha ricordato che il 20 novembre ricorrerà la Giornata dei diritti dell’infanzia. Sulle condizioni dei minori in Italia, in particolare sulla povertà educativa, si concentra l’”Atlante dell’infanzia a rischio” di Save the Children, presentato a Roma. Elvira Ragosta

“È un dovere di tutti proteggere i bambini e anteporre ad ogni altro criterio il loro bene - dice Papa Francesco - affinché non siano mai sottoposti a forme di servitù e maltrattamenti e anche a forme di sfruttamento". Queste le parole del Pontefice:

"Auspico che la Comunità internazionale possa vigilare attentamente sulle condizioni di vita dei fanciulli, specialmente là dove sono esposti al reclutamento da parte di gruppi armati; come pure possa aiutare le famiglie a garantire ad ogni bambino e bambina il diritto alla scuola e all’educazione”.

In previsione della giornata Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia, è stato presentato a Roma il 6° Atlante dell’infanzia di Save The Children sulle povertà minorili in Italia, dove un bambino su 20 in Italia non può permettersi un pasto proteico al giorno, 85 sono quelli uccisi dalle mafie dal 1986 a oggi e decine di migliaia sono i giovani in fuga dal Sud al Nord del Paese. Tra i dati più preoccupanti la povertà educativa: una privazione di opportunità e di strumenti che non consente ai minori di coltivare i propri talenti e costruire il proprio futuro. Accade soprattutto nelle regioni meridionali e nelle zone controllate dalla criminalità organizzata. Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia:

“Sono centinaia di migliaia i ragazzi a cui mancano delle cose che noi valutiamo essenziali: la scuola a tempo pieno, l’andare almeno una volta l’anno al cinema o a teatro, il vivere in uno stato di legalità avere i genitori vicini. Sembrano delle banalità, però in realtà basti pensare che circa un milione di ragazzi in Italia non vive in questa normalità. Nell’Atlante presentiamo 69 mappe, quindi 69 fotografie di aspetti particolari. Se uno sovrappone le diverse Regioni rispetto alla tematica rimane sconcertato! Per esempio, per dirne una tipica: i ragazzini, i minorenni, che vivono in comuni sciolti per mafia sono 500.000 in Italia. Ma - guarda caso…! - sono soprattutto quelle Regioni in cui i ragazzini giocano di più ai giochi d’azzardo”.

E sull’esiguità delle risorse stanziate per l’infanzia Neri aggiunge:  

“La spesa sociale è assolutamente inadeguata. Soprattutto essa è spaventosamente differente dato che è affidata alle Regione: in Regioni come il Trentino, la Valle d’Aosta o l’Emilia Romagna, le cose sono magnifiche e poi precipitiamo in un altro Paese, un’altra nazione! Non si potrebbe neanche più parlare di “Italia” data la differenza ad esempio con la Sicilia o la Calabria. E questo è due volte grave, perché non ci sono asili nidi, non c’è assistenza sociale materna in molte Regioni d’Italia in maniera adeguata… Ma, nello stesso tempo, c’è ingiustizia, perché altri italiani, a parità di nazionalità e di spesa pubblica – non privata ­– non hanno gli stessi vantaggi”.

Una speranza è riposta anche nella legge di stabilità in discussione in parlamento, che prevede un fondo ad hoc per il contrasto alla povertà educativa gestito a livello centrale e non regionale. E sui progetti messi in campo dalla onlus per il contrasto a questo tipo di povertà sentiamo Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia Europa di Save the Children:

“Save the Children in Italia è impegnata nell’attivazione di 'punti luce', che sono dei centri socio-educativi - ne abbiamo aperti 13 e altri 3 li apriremo tra pochi giorni – proprio nelle aree dove ci sono meno opportunità di servizi per i bambini e gli adolescenti, affinché bambini e adolescenti abbiano l’opportunità di scoprire i propri talenti, le proprie attitudini, poter pensare di costruire il loro futuro in modo aperto. I dati dell’Atlante ci dicono che troppo spesso questo non succede: i tassi di dispersione scolastica, per esempio, sono ancora altissimi nel nostro Paese. Dobbiamo invece garantire a tutti i bambini, a tutti gli adolescenti, indipendentemente dal luogo in cui vivono e dalle condizioni economiche della loro famiglia, la possibilità di costruire un futuro così come loro lo vogliono costruire”.

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Calendario celebrazioni presiedute dal Papa da dicembre a gennaio

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E’ stato pubblicato il calendario delle celebrazioni presiedute dal Papa da dicembre a gennaio prossimi. Martedì 8 dicembre alle 9.30, il Pontefice, nella Solennità dell’Immacolata Concezione, presiede in Piazza San Pietro la Santa Messa per l’inizio del Giubileo della Misericordia con l’apertura della Porta Santa della Basilica Vaticana. Nel pomeriggio, alle 16.00, il tradizionale Atto di venerazione all’Immacolata in Piazza di Spagna.

Sabato 12 dicembre alle 18.00, il Papa celebra nella Basilica Vaticana la Santa Messa in occasione della Festa della Beata Vergine Maria di Guadalupe.

Domenica 13 dicembre alle 9.30, III Domenica di Avvento, presiede la Messa con l’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Alle 10.30 il cardinale James Harvey presiederà la Messa con l’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Paolo fuori le Mura.

Giovedì 24 dicembre alle 21.30, Papa Francesco celebra nella Basilica Vaticana la Santa Messa della Notte di Natale.

Venerdì  25 dicembre alle 12.00, nella Solennità del Natale del Signore, si affaccia dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana per la Benedizione “Urbi et Orbi”.

Domenica 27 dicembre alle 10.00, celebra la Santa Messa per le Famiglie nella Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.

Giovedì 31 dicembre alle 17.00, presiede nella Basilica Vaticana i Primi Vespri nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e il Te Deum in ringraziamento per l’anno trascorso.

Venerdì primo gennaio 2016 alle 10.00, nella Solennità di Maria Madre di Dio e Giornata mondiale della Pace, il Papa presiede la Messa nella Basilica Vaticana, con la presenza dei Pueri Cantores per la chiusura del loro Congresso internazionale.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, alle 17.00, celebra la Messa con l’apertura della Porta Santa nella Basilica di Santa Maria Maggiore.

Mercoledì 6 gennaio alle 10.00, celebra nella Basilica Vaticana la Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore.

Domenica 10 gennaio alle 9.30, Festa del Battesimo del Signore, celebra nella Cappella Sistina la Messa con amministrazione del Battesimo ad alcuni bambini.

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Rinunce e nomine episcopali in Spagna, Brasile e Austria

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In Spagna, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Astorga, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Camilo Lorenzo Iglesias. Al suo posto il Papa ha nominato mons. Juan Antonio Menéndez Fernández, finora ausiliare di Oviedo. Il presule è nato il 6 gennaio 1957 a Villamarín de Salcedo Grado, provincia di Asturias, arcidiocesi di Oviedo. Ha svolto gli studi ecclesiastici nei Seminari Minore e Maggiore di Oviedo. Ottenne il Baccalaureato in Teologia nel 1980 all’Università Pontificia di Salamanca. Nella stessa Università ottenne la Licenza in Diritto Canonico nel 2005. È stato ordinato sacerdote il 10 maggio 1981. Nell’arcidiocesi di Oviedo ha svolto i seguenti incarichi. Coadiutore di “Santa María Magdalena” a Cangas del Narcea (1981-1986); Vice arciprete (1985-1986); Parroco di varie piccole parrocchie (1986-1991); Membro del Consiglio Pastorale Diocesano (1989-1991); Vicario Episcopale per la Vicaria d’Oriente (1991-2001); Membro del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale Diocesano (1991-2013); Vicario Generale (2001-2011); Canonico della Cattedrale (2001-2013); Presidente del Consiglio d’Amministrazione di Popolare TV-Asturias (2004-2011); Parroco di “San Antonio de Padua” a Oviedo (2010-2011); Vicario Episcopale per gli Affari Giuridici (2011-2013) e Parroco di “San Nicolás de Bari” a Avilés (2011-2013). Fu eletto Vescovo Titolare di Nasai ed Ausiliare di Oviedo il 26 aprile 2013 e fu consacrato l’8 giugno successivo. Nella Conferenza Episcopale Spagnola è Membro della Commissione Episcopale per i Migranti dal 2014.

In Brasile, il Pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Jataí il sacerdote Nélio Domingos Zortea, del clero dell’arcidiocesi di Cascavel, finora parroco della Cattedrale. Il neo presule è nato il primo dicembre 1963 ad Iraí, diocesi di Frederico Westphalen, nello Stato di Rio Grande do Sul. Dopo gli studi elementari, ha frequentato il Corso di Filosofia presso la Facoltà di Scienze Umane “Arnaldo Busatto” a Toledo, e quello di Teologia presso il Centro Interdiocesano di Teologia di Cascavel. Inoltre ha frequentato un Corso di “Extensão Universitária” in Psicopedagogia presso la Facoltà di Filosofia “Nossa Senhora Imaculada Conceição” a Viamão. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 12 ottobre 1995, incardinandosi nell’arcidiocesi di Cascavel, dove ha ricoperto i seguenti incarichi: Assistente per la formazione nel Seminario minore “São José” (1994-1996); Notaio (1996-2000) e poi  Giudice Uditore (2000-2002) della Camera Ecclesiastica; Rettore ed Economo del Seminario “São José” (1996-2003); Assessore per la Pastorale dei Ministri straordinari della Sacra Comunione (1996-2003); Parroco della parrocchia “Nossa Senhora de Fátima” a Cascavel (2003-2005); Vicario Generale (2004-2007); Membro del Collegio di Consultori, del Consiglio Presbiterale e del Consiglio degli Affari Economici (2004-2007); Direttore dell’ente responsabile del Centro interdiocesano di Teologia di Cascavel (2004-2008). Dal 2005 esercitava l’incarico di Parroco della Cattedrale “Nossa Senhora Aparecida” a Cascavel.

Sempre in Brasile Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Feira de Santana, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Itamar Vian, dei Francescani Minori Cappuccini. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Zanoni Demettino Castro, finora coadiutore della medesima arcidiocesi

In Austria, il Pontefice ha accettato la rinuncia di mons. Ludwig Schwarz, salesiano, all’ufficio di Vescovo di Linz, presentata per raggiunti limiti di età. Al suo posto, Francesco ha nominato mons. Manfred Scheuer, trasferendolo dalla sede di Innsbruck. Il presule è nato a Haibach ob der Donau (diocesi di Linz) il 10 agosto 1955. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici dapprima presso la Facoltà Teologica di Linz e poi nella Pontificia Università Gregoriana come alunno del Pontificio Collegio Germanico-Hungarico. È stato ordinato sacerdote il 10 ottobre 1980 a Roma, incardinandosi nella diocesi di Linz. Dal 1981 al 1985 ha ricoperto l’incarico di Vicario cooperatore dapprima a Steyr e poi a St. Georgen an der Gusen. Dal 1985 al 1988 è stato Assistente presso l’Istituto di Teologia dogmatica ed ecumenica dell’Università di Freiburg im Breisgau (Germania), dove ha conseguito anche il Dottorato. Dal 1988 al 1996 è stato Direttore spirituale del Seminario Maggiore di Linz e Docente di Spiritualità presso quella Facoltà Teologica. Nel 1999 ha conseguito l’Abilitazione a Freiburg im Breisgau. Nello stesso anno è stato nominato Moderatore della parrocchia della Cattedrale di Linz. Al contempo ha svolto l’ufficio di Docente di Teologia dogmatica presso l’Alta Scuola Filosofico-Teologica di St. Pölten. Dal 2000 è stato Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica di Trier. Il giorno 21 ottobre 2003 è stato nominato Vescovo della diocesi di Innsbruck, ricevendo la consacrazione episcopale il 14 dicembre successivo.

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Mons. Auza: Onu, troppe spese per la pace, più denaro a sviluppo

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Costa cifre enormi mantenere la pace a livello di Nazioni Unite, invece le risorse destinate alle emergenze dovrebbero essere destinate a favorire il progresso delle nazioni più in difficoltà, che è poi la scelta più lungimirante per arrivare a un mondo pacificato. È il pensiero di fondo dell'osservatore permanente della Santa Sede presso l'Onu, mons. Bernardito Auza, nel suo intervento di ieri al Palazzo di Vetro nel corso di un dibattito dedicato ai temi dello sviluppo, della pace, della sicurezza e dei diritti umani. Il servizio di Alessandro De Carolis

Nell’esprimere ancora a nome della Santa Sede la solidarietà e il dolore “per tutte le vittime degli atroci attentati terroristici a Parigi, Beirut e altrove”, mons. Auza è tornato a sottolineare come i quattro temi oggetto di riflessione al dibattito Onu – e cioè sviluppo, pace, sicurezza e diritti umani – sono “intimamente collegati e si rafforzano a vicenda”, rendendo tale vincolo, ha detto, “uno dei principi guida del mantenimento della pace e della costruzione della pace”.

Il consenso che esiste su questa convinzione di principio, ha affermato il rappresentante vaticano alle Nazioni Unite di New York, “deve essere tradotto in realtà, se vogliamo riuscire a preservare le generazioni presenti e future – ha osservato – dal flagello della violenza e raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile”, in particolare quelli fissati fino al 2030.

Il bilancio totale per le operazioni di mantenimento della pace, per il periodo dal primo luglio 2015 e il giugno 2016, “approvato lo scorso giugno dall'Assemblea generale, è pari – ha riferito mons. Auza – a 8 miliardi e 200 milioni di dollari”. Un esborso enorme se paragonato ai costi di gestione di alcuni Paesi meno sviluppati. “Tali cifre – ha detto l’osservatore vaticano – sono un appello indiretto” contro chi ancora si ostina a considerare sviluppo, pace, sicurezza e diritti umani “come attività separate”.

Viceversa, ha indicato mons. Auza, “i progetti di sviluppo in grado di aiutare nella prevenzione dei conflitti devono avere la precedenza” e potrebbero contribuire a un notevole calo delle “spese future delle operazioni di pace”. Mentre, ha insistito, “le risorse spese per le operazioni di pace dovrebbero essere destinate a progetti di sviluppo il più presto possibile una volta che le situazioni inizino a stabilizzarsi” e in questo il Consiglio di sicurezza dell’Onu “potrebbe contribuire a mobilitare le risorse per lo sviluppo come una componente chiave dei suoi obiettivi di pace e sicurezza”.

Un’ultima considerazione del rappresentante pontificio ha riguardato “l’importanza del ruolo” dei movimenti di base e delle organizzazioni religiose “nella prevenzione dei conflitti e nella costruzione della pace”. I loro “punti di forza”, ha asserito, “non sono né in risorse materiali né nelle competenze scientifiche né nel potere politico”, ma nella loro capacità di creare leader in grado “di ispirare l'azione concreta” all’interno delle loro comunità, spingendole “a lavorare insieme per qualcosa di più grande di loro”. Poiché, ha concluso, “tenacia, visione e impegno a lungo termine” sono esattamente le caratteristiche necessarie a costruire la pace e a far sì che essa sia consolidata “attraverso migliaia di azioni quotidiane”.

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Vaticano. Educazione cattolica, "Una passione che si rinnova"

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“Educare oggi e domani. Una passione che si rinnova”. Con questo titolo si apre oggi in Vaticano il primo Congresso mondiale organizzato dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, al quale partecipano oltre 2.000 persone provenienti da tutto il mondo. Al centro dei colloqui la sfida educativa nella società odierna a 50 anni dalla Dichiarazione Conciliare “Gravissimum educationis”. Sulle sfide dell’educazione cattolica e i temi del Congresso, Stefano Leszczynski ha intervistato il prof. Italo Fiorini, direttore del Centro Alti Studi dell’Università Lumsa di Roma: 

R. – Questo Congresso mondiale nasce in occasione di importanti ricorrenze – quali  la “Gravissimum educationis”, “Ex corde Ecclesiae” – documenti che non sono però documenti da considerare un patrimonio del passato, ma che hanno ancora molte cose da dire e che chiedono di essere utilizzati con una prospettiva futura. La Congregazione per l’Educazione Cattolica ha voluto promuovere una grande riflessione mondiale: ha predisposto un instrumentum laboris che ha lo stesso titolo che ha oggi il Convegno e cioè “Educare oggi e domani. Una passione che si rinnova”. Queste sono le parole chiave. L’educazione è una passione che va però rinnovata: non può essere considerata qualcosa di inerte, che resta nel deposito della nostra tradizione.

D. – Si parla spesso di emergenza educativa: quali le sfide che questo Congresso vuole affrontare e deve affrontare?

R. – Le sfide, che sono emerse dalla ricerca fatta, possono essere sintetizzate in quattro grandi ambiti di riflessione e di problema. La prima è la sfida dell’identità, che abbiamo così chiamato perché riguarda la risposta che va data nel contesto o, meglio ancora, nei contesti differenziati del mondo di oggi al fatto che si faccia scuola, che si faccia università cattolica: quindi perché lo si fa, qual è l’evangelizzazione, qual è lo scopo e la missione di questo essere nel mondo. La seconda sfida è collegata e riguarda chi alla scuola e all’università si rivolge, quindi ai ragazzi, agli studenti: che tipo di formazione viene offerta e che tipo di informazione, invece, bisognerebbe offrire, qual è la domanda che in fondo tutti questi giovani fanno alle nostre scuole… Ce ne è poi una terza che riguarda la formazione: la formazione degli insegnanti, la formazione dei leader di queste scuole. Questo è particolarmente delicato se si pensa che ormai, in moltissime realtà, chi frequenta la scuola è non cattolico, ma si rivolge alla scuola cattolica, e in molti casi anche chi insegna nella scuola cattolica non è cattolico. L’ultima sfida è quella della povertà: in sintesi direi che questa sfida è la sfida delle sfide. In realtà, se volessimo avere un punto di verifica del significato della presenza del valore della scuola e dell’Università cattolica, questa viene data da come viene affrontato il problema della povertà materiale e anche delle nuove povertà.

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Santa Sede: logica del profitto minaccia industria della pesca

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La pesca è una delle industrie più complesse e vaste al mondo, una delle professioni più difficili e pericolose, ma anche purtroppo una delle attività maggiormente colpite dalla piaga del reclutamento illegale e tratta di esseri umani impiegati nel lavoro forzato. E’ quanto denunciato nel messaggio del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti scritto in occasione della Giornata mondiale dedicata a questa attività che, come ogni anno dal 1998, si celebra il 21 di novembre per richiamare l'attenzione sulla pesca eccessiva, sulla distruzione dell'habitat marino e sulle altre gravi minacce alla sostenibilità delle nostre risorse ittiche. “Negli ultimi mesi - si legge - a causa di un serie di tragici eventi accaduti in particolare nel Sud-Est asiatico, diversi mezzi di comunicazione hanno denunciato i temi della tratta, del lavoro forzato, dello sfruttamento e degli abusi su pescatori, senza però che ciò suscitasse molta attenzione e interesse da parte delle persone in generale”.

Laudato si' richiama salvaguardia ecosistema marino e dignità umana
Il messaggio ricorda la Lettera Enciclica Laudato si' sulla cura della casa comune nella quale Papa Francesco evidenzia quanto sia importante salvaguardare quello che è fonte di cibo per gran parte dell'umanità e di opportunità di lavoro per oltre 50 milioni di persone in tutto il mondo. Si richiama quindi  la necessità della salvaguardia dell'ecosistema marino, ma soprattutto il documento concentra l’attenzione “sui pescatori e le loro famiglie che ogni giorno, con grandi sacrifici, lavorano per soddisfare l'appetito insaziabile del nostro mondo per il pescato”. Su migliaia di pescatori incombe la minaccia della logica del profitto: infatti il “reclutamento illegale e il contrabbando/tratta di esseri umani allo scopo di impiegarli nel lavoro forzato a bordo di pescherecci - si legge -  sono pratiche ancora diffusamente utilizzate per ingannare persone povere e senza istruzione provenienti da zone rurali dei Paesi in via di sviluppo. Contratti falsi e illegali o semplici pezzi di carta senza alcun valore giuridico determinano le condizioni di lavoro e il ridicolo salario che queste persone ricevono per lunghe ore di lavoro, legittimando così la loro condizione di schiavi”. Gli “infortuni sul lavoro, le lesioni permanenti senza alcun risarcimento, le morti improvvise o la sparizione in mare” - prosegue il testo - "sono gli incubi in cui molti giovani e numerose famiglie si sono ritrovati nel tentativo di migliorare la loro miserabile vita con un lavoro a bordo di un nave da pesca".

No all'indifferenza: occorre unire le forze per salvaguardare dignità umana
Di fronte a tutto ciò non è possibile rimanere indifferenti: è necessario unire le forze (Stati, operatori del settore ittico e cosumatori) per “rafforzare il controllo sull’attuazione di tutte le leggi a tutela dei diritti umani e lavorativi dei pescatori”; introdurre “ severe procedure per eliminare lo sfruttamento umano e lavorativo”; accrescere tra i consumatori  la consapevolezza “non solo della qualità del pesce che acquistano, ma anche delle condizioni umane e lavorative dei pescatori”;  verificare che gli Stati applichino la Convenzione sul lavoro nella pesca del 2007; sostenere spiritualmente attraverso l'Apostolato del Mare i pescatori e le loro famiglie.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Davanti alla porta della misericordia: alla soglia del giubileo Francesco invita tutti a mostrare il volto di una Chiesa aperta e accogliente.

Dalle Ande ai Caraibi: sostegno del Papa alla colletta dell'episcopato statunitense per la Chiesa latinoamericana.

Allarme terrorismo in tutta Europa. 

"Che non duri più di due mesi" e "Staremo a vedere con il nuovo Papa": stralci dal diario conciliare del segretario generale Pericle Felici e un intervento del cardinale Kurt Koch su lettera e spirito del Vaticano II.

La verità dell'amore: Gerhard Muller sul decennale dell'enciclica "Deus caritas est".

Una casa fatta di libri: Silvia Guidi sull'inaugurazione della Biblioteca Romana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI.

Mille e una opera (teologica): Lessico edito dalla Quiriniana che sarebbe piaciuto a Borges.

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Oggi in Primo Piano



Parigi, terminato blitz: morti 2 jihadisti. Nuovi raid su Raqqa

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E’ terminato a Parigi il blitz delle forze di polizia ad un covo di terroristi a 800 metri dallo Stadio di Francia uno degli obiettivi degli attentatori di venerdì sera. Intanto, proseguono per il terzo giorno consecutivo i raid aerei francesi  contro le postazioni del sedicente Stato Islamico a Raqqa, nel nord della Siria. Colpiti e distrutti sei obbiettivi definiti di importanza vitale per i jihadisti. Nella regione si sta avvicinando anche la portaerei "Charles De Gaulle" con a bordo altri 26 caccia. Sul blitz di stamani ascoltiamo dalla capitale francese il servizio di Francesca Pierantozzi

E’ durato sette ore il blitz delle teste di cuoio a Saint Denis alla periferia di Parigi. La polizia cercava Abdelamid Abbaoud, terrorista belga considerato la mente degli attacchi del 13 novembre. Due terroristi sono stati uccisi nel corso del blitz, tra cu una donna che si è fatta esplodere, sette invece i fermati. sembra escluso che tra i morti o i fermati si trovi Abbaoud, anche se il procuratore di Parigi, Molins, non ha voluto né confermare né smentire. Secondo le prime informazioni, il commando di Saint Denis era pronto a colpire, un altro attacco forse anche più violento di quello del 13 novembre; non confermata la notizia in base alla quale i terroristi fossero pronti a colpire alla Défense, il quartiere degli affari di Parigi. La città di Saint Denis sta lentamente tornando alla normalità. Per ora il centro è rimasto blindato, alcuni residenti sono stati evacuati, altri sono stati invitati a restare in casa, a luci spente, questa notte. Chiuse tutte le scuole, i negozi, le stazioni della metropolitana. A Parigi l’allarme resta al massimo grado, il governo ha confermato il prolungamento per tre mesi dello stato d’emergenza mentre proseguono i blitz in tutto il Paese negli ambienti del radicalismo. Oltre trecento le perquisizioni, una quarantina le persone fermate, sequestrate armi ed esplosivi. Ed infine il governo ha annunciato che tutte le 129 vittime del 13 novembre sono state identificate.

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I veri obiettivi dell'Is. Fabbri: interrompere flussi di denaro

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Dopo lo shock, il dolore che resta e la paura che si radica tra la gente, ci si chiede che tipo di risposta è possibile dare sul piano politico e militare agli attentati di Parigi, ma anche sul piano sociologico per quanto riguarda le reazioni popolari all’interno dei Paesi nel mirino del sedicente Stato islamico. Roberta Gisotti ha intervistato Dario Fabbri, analista della rivista di geopolitica “Limes”: 

D. – Alcuni analisti hanno osservato che il vero protagonista di questi eventi non sia in realtà l'Occidente, ma il mondo islamico. Qual è il tuo parere?

R. – E’ corretto. La nostra società occidentale non è l’obiettivo primario degli attentatori, noi fungiamo semplicemente da sponda. Ci utilizzano – e forse questo è ancora più drammatico – per legittimarsi in casa propria, in una guerra che è tutta interna al mondo musulmano, che vede da una parte, anzitutto, sunniti e sciiti, ma anche fondamentalisti e musulmani invece più moderati: guerra in cui noi appunto non siamo l’obiettivo definitivo, ma semplicemente uno strumento nelle loro mani.

D. – Quale risposta sul piano operativo è possibile dare?

R. – Da un punto di vista strettamente militare, per sgominare lo Stato islamico serve un esercito che lo affronti sul terreno. La guerra dal cielo non può scalfire le installazioni del Califfato, perché poi ci vuole chi vada a combatterlo sul serio e, al momento, è introvabile. Gli unici che lo hanno fatto e lo fanno sono gli iraniani, le milizie sciite e i curdi, specialmente siriani. Non basta, però, perché un conto è sconfiggerli, ammesso che queste fazioni ci riescano, ma non potrebbero poi comunque sostituirli sul terreno, in quanto curdi, quindi non arabi, oppure sciiti, quindi non sunniti, come gli esponenti dello Stato islamico e le tribù che tuttora lo sostengono.

D. – Per ora, però, questo intervento sul terreno viene escluso da tutti i Paesi interessati. E sono in molti, comunque, a chiedere una risposta unitaria sul piano degli intenti, perché questa non c’è stata finora…

R. – Una risposta unitaria efficace può essere quella della guerra economica, ovvero andare ad attaccare il sostentamento dello Stato islamico, il sostentamento che arriva soprattutto da Occidente. Lo Stato islamico, ad esempio, contrabbanda droga, reperti archeologici, petrolio… e spesso i destinatari di questo commercio siamo proprio noi occidentali. Quindi, già interrompere questi flussi in maniera unitaria avrebbe un suo efficace risultato. Allo stesso tempo però, come detto, nessuno – neanche chi chiede una risposta unitaria – ha alcuna intenzione di andare a combatterlo sul terreno e senza questa opzione i bombardamenti fanno semplicemente il gioco del Califfato che, con l‘attentato di Parigi, voleva proprio questo: indurre, cioè, la Francia a bombardarlo così da ritardare il processo di pace, il negoziato di pace, che dietro le quinte sta prendendo piede.    

D. – Non solo nessuno vuole scendere sul terreno, ma nessuno scopre esattamente le carte su cosa fare della Siria…

R. – Sul futuro della Siria, un’idea di fondo, almeno dietro le quinte, c’è: si va cioè verso una partizione della Siria. E’ impossibile immaginare una Siria unitaria com’era prima dell’inizio della guerra civile. Probabilmente, si tratterà di una confederazione sul modello della Bosnia. Su questo punto, tutto sommato – anche se c’è da sciogliere il nodo dirimente della presenza o meno di Assad in una fase di transizione – le principali potenze esterne, quindi Russia, Stati Uniti, Iran sono d’accordo. Resta però da risolvere il nodo dello Stato islamico, ovvero chi dovrà ancora una volta sgominarlo, senza dimenticare che lo Stato islamico rappresenta qualcosa di endemico, cioè l’insurrezione sunnita, che esisterebbe indipendentemente da questa forma dello Stato islamico.

D. – Per quanto attiene la risposta invece interna, per garantire la sicurezza dei Paesi che sono nel mirino dei miliziani dell’Is, molti invocano un ruolo più forte delle "intelligence"...

R. – Le "intelligence" sono utili per quanto riguarda il fenomeno criminologico, terroristico, ma per quanto riguarda invece l’aspetto maggiormente sociologico – quello della cosiddetta “peste comunitaria”, delle sacche di emarginazione, di disperazione, che poi diventano facile preda di strampalate ideologie jihadiste – su questo versante le  "intelligence" possono fare ben poco e il problema è appunto sociologico.

D. – Bisognerà, quindi, anche rivedere e agire con maggiore efficacia per quanto riguarda l’integrazione di tanti musulmani che abbiamo nei nostri Paesi…

R. – Bisognerebbe, ad esempio, decostruire i ghetti in cui li abbiamo allontanati, in cui li abbiamo incastonati ormai diversi decenni fa. Inoltre, è evidente che la disperazione anche economica poi renda persone, giovani specialmente, più o meno disperate, facili prede di una seduzione come può essere quella della guerra santa o di altre ideologie, che promettono a chi le accoglie, in maniera del tutto folle, di uscire dalla disperazione quando poi sappiamo che non è vero.

D. – Ma se abbiamo detto che è il mondo musulmano protagonista di questi tragici eventi, anche perché in massima parte, numericamente, sono loro le vittime dello Stato islamico, bisognerà poi dialogare perché siano loro ad avere una reazione sia nei Paesi arabi sia nei Paesi di emigrazione…

R. – Il problema non è religioso, non lo è affatto. La guerra, in questo caso riguardante la Siria, riguarda una minoranza di confessione alawita, quindi sciita, che governa con il pugno duro da decenni a Damasco il resto della popolazione, che è a maggioranza sunnita. C’è quindi una differenza di confessione tra le due parti del Paese, ma si combatte soprattutto per la conquista del territorio in cui queste minoranze vivono e fra chi dovrà gestire poi il potere in Siria. Quindi, la religione è di fatto un veicolo, un mezzo dello scontro, ma la contesa è tutta geopolitica e territoriale: riguarda le risorse che sono presenti sul territorio, riguarda il controllo della popolazione e riguarda appunto chi dovrà governare la Siria, che non potrà mai più essere un Paese unito, almeno come lo immaginavamo cinque o sei anni fa.

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Mozambico: violenti scontri tra partito al potere ed ex ribelli

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Violente tensioni in Mozambico. Nell’ex colonia portoghese si registrano scontri a fuoco, con una trentina di vittime, tra esponenti del Frelimo, Fronte di Liberazione, dal 1962 al potere, e gli ex ribelli della Renamo, Resistenza Nazionale. Questi ultimi denunciano la mancata applicazione degli accordi di pace, firmati a Roma nel 1992 grazie alla mediazione della Comunità di S. Egidio, che prevedevano il loro inserimento nelle istituzioni. Della situazione attuale, Giancarlo La Vella ha parlato con il padre comboniano Leonello Bettini, da anni missionario in Mozambico: 

R. – C'è un’insicurezza molto grande, perché si sa che ci sono scontri. Ci sono una serie di incontri e di tavole rotonde per poter discutere e cercare di appianare le difficoltà che vi sono in questo momento di intendimento fra i due partiti principali. Si va avanti, ma si ha l’impressione che non si arrivi a nulla, perché chi ha il potere evidentemente non vuol cedere.

D. - Quali riflessi ha questa situazione sulla popolazione civile?

R. - Tutto questo ha un forte riflesso sulla gente. Aumenta l'insicurezza a causa della sensazione di instabilità della situazione politica e di pregiudizio sul futuro della nazione.

D. – La Chiesa locale sta in qualche modo adoperandosi per risolvere queste frizioni tra i due maggiori partiti?

R.  – Si fa un grande sforzo, a livello di Chiesa cattolica e non solo, anche delle Chiese cristiane, anche dei musulmani, parlando con i fedeli per cercare pace, riconciliazione. La gente dice: “La pace che è arrivata dopo tanti anni di guerra è un dono che Dio ci ha dato e non vogliamo che ce la tolgano, per nessun motivo”.

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Bangladesh, ferito missionario del Pime, è fuori pericolo

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Sarebbe fuori pericolo il missionario italiano, padre Piero Parolari, del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), ferito questa mattina nella diocesi di Dinajpur, nel nord del Bangladesh. Il religioso è stato colpito da un colpo d’arma da fuoco mentre andava a visitare dei pazienti presso l’ospedale della missione. Nessun gruppo ha finora rivendicato l’aggressione, che arriva dopo meno di due mesi dall'uccisione del  cooperante italiano, Cesare Tavella, a Dacca, e in un clima di montante tensione verso le minoranze alimentato da gruppi di estremisti islamici. Marco Guerra ha raccolto la testimonianza di padre Franco Cagnasso, sacerdote del Pime alla missione di Dinajpur: 

R. – (Padre Parolari - ndr) ha lasciato l’ospedale di Dinajpur e lo hanno portanto in elicottero ad Dacca, la capitale. Spero – come qualcuno ci ha detto – che lo portino all’ospedale militare, che sembra essere il migliore a disposizione. Le condizioni sono apparse nel pomeriggio meno gravi di come sembravano invece la mattina: ha ripreso a parlare, a muoversi... Muove anche gli arti e questo vuol dire che non sono stati lesionati, perché il rischio era che ci fossero lesioni al midollo o a una vena molto delicata. La speranza è che la ferita sia solo muscolare, perché una pallottola è penetrata sotto la nuca sul lato destro e probabilmente è uscita poi dal lato sinistro, quindi la pallotta non è rimasta. Ha molte fratture, di cui due in faccia  dovute alla cadute, perché andava in biciletta e di solito va anche molto svelto… Ovviamente, ha battuto di colpo, non ha reagito: è caduto in terra con tutta la violenza che si può immaginare. Sembra che lo abbiano affiancato con una moto e che gli abbiano sparato…

D. – Può ricordarci la dinamica dell’attacco?

R. – Dopo aver celebrato la Messa, ha fatto colazione ed è uscito come al solito verso le 8. Stava andando verso l’ospedale dove ha sempre qualche malato da vedere: lui non esercita come medico, però aiuta molti malati, li segue, li accompagna… In una strada abbastanza secondaria, che lui prendeva perché era una scorciatoia, sarebbe stato affiancato da una moto – o forse due – e da questa moto gli hanno sparato sembra un unico colpo, che lo ho preso, appunto, nella parte posteriore del collo. E’ successo alle 8.10. La dinamica poi non è ancora chiara: qualcuno dice che i soccorsi della gente sono tardati, però di fatto un cristiano che fa il portinaio in un palazzo vicino è stato avvisato da qualcuno che gli ha detto che c’era uno straniero che era caduto e che nessuno aiutava: ha quindi preso la sua moto ed è andato, ma quando è arrivato lo avevano già caricato un triciclo elettrico – qui da noi adesso ce ne sono tanti – e lo stavano già portando all’ospedale. La gente lo ha soccorso.

D. – Alcune testimonianze che stanno arrivando parlano in un Paese un po’ scosso dai gruppi radicali islamisti: la Polizia sospetta questa mano, questa matrice… Voi avete avuto sentore da questo punto di vista?

R. – No. Ovviamente, la preoccupazione era nata quando hanno ucciso l’altro italiano, Tavella, e un giapponese, a distanza di pochi giorni. Era fine settembre, inizio ottobre…  Lì c’erano delle minacce contro gli stranieri, per spaventarli e farli andare via. Sembrava che la cosa si fosse un po’ spenta. Adesso, le interpretazioni sono diverse: il governo tenta di minimizzare dicendo che non ci sono estremisti dello Stato islamico, ma che è colpa dell’opposizione che vuole destabilizzare la politica. E’ un fatto che un certo fondamentalismo sia in aumento, ci sono tanti segni, però non così tanto acuti. E’ anche vero che a pochi giorni da questi due assassini, c’è stata anche una bomba collocata dietro alla folla che si stava radunando per partecipare a una processione degli sciiti: gli sciiti sono una minoranza piccolissima. Ma finora non avevano mai avuto guai. In quell’occasione, però, è morta una persona e ne sono state ferite altre. C’erano dei segni così, ma dire che c’era una viva tensione non direi, noi eravamo abbastanza tranquilli. Nessuna minaccia e tantomeno nessuna minaccia diretta, quindi contro le persone singole o contro gruppi in quanto tali.

D. – Quindi, non c’è un clima di tensione montante verso i non islamici, verso le altre comunità religiose?

R. – Un po’ sì, un po’ sì… Non un’attenzione diffusa e forte, ma una certa preoccupazione sì. Naturalmente, dopo il fatto oggi questa aumenta, è chiaro. Non eravamo in stato di allerta grave… Dopo quei due omicidi, la Polizia è venuta qui – dove abbiamo la casa del nostro gruppo e vicino alla parrocchia, dove era assistente il padre Piero – e aveva raccomandato a padre Piero di non uscire tutti i giorni alla stessa ora in bicicletta, perché lui tutti i giorni usciva alla stessa ora, in bicicletta per andare in due-tre ospedali a trovare i malati e a vedere come stessero… E lui per qualche giorno non è uscito.

D. – La comunità cristiana, comunque, continua a vivere, a celebrare le festività. Qual è la situazione? C’è paura?

R. – Finora, tutto è andato avanti naturalmente. In alcune missioni, da quando sono successi quei fatti, la Polizia controlla quando ci tengono celebrazioni particolari, ma solo in alcune… La nostra tendenza è quella di non drammatizzare. A livello di rapporti con gli stranieri, raccomandavano di non andare in alcuni posti e non volevano che si andasse fuori dalla missione in bicicletta e a piedi, ma con la macchina su cui saliva anche un poliziotto… Però, questo solo in due o tre posti.

D. – Quindi, raccomandate più prudenza anche ai fedeli…

R. – La Polizia su questo non ha detto nulla. I fedeli sono preoccupati. Sono preoccupati per noi e sono preoccupati per loro, perché sentono che c’è un rischio montante di oppressione su di loro, sui cristiani. Quindi, preoccupazione c’è. Il governo ci tiene a far vedere che protegge le minoranze, che protegge gli stranieri. Ma francamente sembra brancolare nel buio.

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I media per vincere la sfida contro i cambiamenti climatici

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Un'alleanza tra istituzioni, società civile e mondo dell'informazione per vincere la sfida cruciale contro il clima che cambia. A lanciarla è il presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, nel suo messaggio che ha aperto questa mattina a Rieti il XII Forum Internazionale dell'informazione ambientale, organizzato dall'associazione Greenaccord Onlus in collaborazione  con il Pontificio Consiglio per la Famiglia. L’incontro, che si concluderà venerdì, ha come filo conduttore il tema “Clima, ultima chiamata”, e vede la presenza di oltre 100 giornalisti arrivati da tutto il mondo. Marina Tomarro ha intervistato Alfonso Cauteruccio presidente di Greenaccord: 

R. – Abbiamo voluto sottolineare il fatto che non c’è più tempo e che bisogna agire. Le autorità politiche di tutto il mondo e la comunità civile sono chiamate ad uno scatto morale. Il Papa ha invitato proprio a fare questo nell’Enciclica, e ne ha parlato in termini molto accorati. Il Vertice di Parigi si presenta come uno spartiacque: bisogna “saltare il fosso”, e trovare soluzioni che possano far sperare per il futuro dell’umanità. Non c’è molto tempo: bisogna agire in fretta e subito!

D. – Quando diciamo “emergenza climatica”, di cosa andiamo a parlare?

R. – Parliamo del surriscaldamento del pianeta, purtroppo. Sono grandi masse di energia che si creano sulle superfici dei mari e degli oceani, che scaricano tutta una potenzialità su varie parti del mondo in maniera disordinata: non si sa, infatti, né quando né come né dove questi fenomeni vanno a colpire. Ci sono morti, distruzioni… Non possiamo più tollerare che avvenga tutto questo. Dobbiamo fare quello che possiamo. Direi che lo slogan potrebbe essere questo: “Il clima cambia, cambia anche tu!”.

D. – In che modo possiamo cambiare gli stili della nostra vita?

R. – Direi partendo dai semplici gesti quotidiani, come per esempio un miglior approccio all’energia – quindi al suo consumo – il muoversi, la mobilità soprattutto. È un grande settore nel quale sperperiamo tanto. Poi il cibo: non indugiare troppo su alcuni prodotti che sappiamo essere molto impattanti sull’ambiente. Anche il modo di vestirsi e di fare spesa. Tutto può essere così in qualche maniera ragionato e vissuto meglio. Questo possiamo farlo con piccoli gesti quotidiani. Ma soprattutto, quello che è importante è che si cambi anche il modo di relazionarsi con gli uomini e l’ambiente circostante. Si dice che l’ecologia è la “scienza delle relazioni”: la tutela del Creato ci deve aiutare a saperci rapportare meglio con tutto quello che ci circonda. L’uomo piano piano si sta invece allontanando da questa capacità di relazionarsi e sta diventando un’isola. Quindi è necessario che tutto questo sia migliorato e, soprattutto, che sia visto sotto un’altra luce.

D. – Questo Forum riunisce giornalisti provenienti da tutto il mondo: quanto è importante allora anche il lavoro di rete?

R. – Io direi che è importantissimo, perché il lavoro che si fa non può essere isolato. Dobbiamo capire che è la famiglia umana che si muove, ragiona, pensa, progetta e pianifica il futuro. E, in questo senso, il fatto di mettersi in relazione credo che sia una grande soluzione per il futuro, perché insieme si diventa veramente una forza enorme. Mettersi insieme per trovare soluzioni da proporre al mondo politico, alla società civile e a quanti si occupano delle scelte per il futuro.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi francesi: “Signore, disarmali. E disarmaci”

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“Seigneur, désarme-les. Et désarme-nous”. “Signore, disarmali. E disarmaci”. Proprio in queste ore in cui le teste di cuoio francesi hanno dato l’assalto a un covo di terroristi a Saint-Denis, sobborgo a nord di Parigi, i vescovi francesi - riporta l'agenzia Sir - pubblicano questa preghiera per la pace scritta “nello spirito di Tibhirine” da frère Dominique Motte, del convento domenicano di Lille.

Il testo della preghiera
“Disarmali: sappiamo quanto questa violenza estrema sia il sinistro pane quotidiano in Iraq, in Siria, Palestina, Centrafrica, Sudan, Eritrea, Afghanistan. Ora si è impossessata di noi”.
“Disarmali Signore: e fa che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l’immagine dell’Uomo, l’immagine di Dio”. 
“Disarmali, Signore dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio. Disarma anche noi, Signore: in Francia, in Occidente, senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta, la Storia ci ha insegnato alcune cose. Dacci, Signore, la capacità di ascoltare profeti guidati dal tuo Spirito. Non farci cadere nella disperazione, anche se siamo confusi dall’ampiezza del male in questo mondo”. 
“Disarmaci e fa’ in modo che non ci irrigidiamo dietro porte chiuse, memorie sorde e cieche, dietro privilegi che non vogliamo condividere. Disarmaci, a immagine del tuo Figlio adorato la cui sola logica è la sola veramente all’altezza degli avvenimenti che ci colpiscono: ‘Non prendono la mia vita. Sono io che la dono’”.

Tibhirine evoca l’assassinio di sette monaci trappisti nel 1996, rivendicato un mese dopo dal Gruppo Islamico Armato. (R.P.)

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Vescovi filippini: l’Apec dia un volto umano all’economia

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Le nazioni dell’Asia-Pacifico “diano un volto umano all’economia, ricordando che le politiche economiche e di sviluppo devono avere alla base i valori umani, e non soltanto le forze di mercato”. Lo chiedono, ai margini del summit dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) che si è aperto a Manila, i vertici della Chiesa filippina. I leader riuniti nella capitale - riferisce l'agenzia AsiaNews -  “non devono dimenticare i poveri e gli emarginati. Servono riforme che migliorino la loro vita”.

Card. Quevedo: dare all'economia un volto umano
Secondo il card. Orlando Quevedo, vescovo di Cotabato, “coloro che guidano un Paese non devono mai perdere di vista le persone ordinarie. Quando si sviluppano politiche economiche o si decidono le dinamiche del mercato, bisogna tenere a mente i volti dei cittadini. All’economia serve proprio un volto umano”. Per il presule “le attuali filosofie economiche sono troppo prone agli interessi dei grandi attori del mercato. Non è possibile che chi ha più bisogno sia lo stesso che riceve per ultimo. Eppure la crescita economica esiste. Il problema è che non risponde ai bisogni dei poveri. I leader Apec devono impegnarsi per loro, iniziando magari dal concepire una risposta all’enorme problema della fame”.

Ascoltare la voce degli ultimi
Il presidente della Conferenza episcopale filippina, mons. Socrates Villegas, propone al riguardo “delle riforme inclusive, che aiuterebbero a migliorare le condizioni di vita degli ultimi. Sarebbe utile iniziare ascoltando le voci di queste persone: non basta aiutarli con una carità distorta, dobbiamo migliorare le loro capacità di guadagno e di vita”. Servono, fra le altre cose, “istruzione e libertà di espressione. Non possiamo accettare l’equazione che vede il povero come un semplice recipiente in cui versare aiuti. Coinvolgiamolo invece nei processi decisionali, dandogli una voce che venga ascoltata”. (R.P.)

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Iraq. Sako: soddisfatti per modifica legge islamizzazione dei figli

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“Esprimo grande soddisfazione per la decisione del Parlamento irakeno, che ha deciso di modificare” il controverso articolo 26 della Costituzione, relativo alla islamizzazione dei figli. “Questa decisione mostra il sostegno ed è un messaggio importante per la minoranza cristiana in Iraq. Ed è anch’esso un modo per dare prova di democrazia”. All'agenzia AsiaNews il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako non nasconde la propria soddisfazione per la decisione dell’Assemblea parlamentare di rivedere la norma che considera in automatico come musulmani i figli con almeno uno dei genitori di fede islamica. Ieri i deputati hanno votato una risoluzione che modifica la norma, accogliendo le istanze avanzate dai rappresentanti delle minoranze, guidati dalla comunità cristiana. 

La Chiesa aveva manifestato pubblicamente insieme ad altre minoranze
Nei mesi scorsi era stato presentato un emendamento che prevedeva che i minori restassero nella religione di nascita fino a 18 anni, per poi decidere in modo personale la loro fede. Ma a fine ottobre il Parlamento irakeno aveva respinto tale proposta, sollevando la protesta della comunità cristiana irakena e dei vertici della Chiesa caldea. Lo stesso patriarca Sako aveva diffuso una nota durissima, in cui minacciava di portare la vicenda davanti al Tribunale internazionale e di denunciare gli stessi parlamentari. I vertici della Chiesa caldea avevano anche promosso una protesta di piazza nei giorni successivi al documento, radunandosi davanti alla chiesa di San Giorgio a Baghdad; alla manifestazione hanno aderito anche i membri dell’Associazione caldea ed esponenti della comunità musulmana. 

La modifica del Parlamento iracheno
Con una votazione giunta ieri, il Parlamento irakeno ha quindi deciso di modificare l’art. 26 della Costituzione, con un parere favorevole espresso da 140 deputati su un totale di 206. La Camera ha dunque dato voce alle proteste di organizzazione civili e di alcuni colleghi parlamentari appartenenti alle minoranze, che si erano battuti con forza per l’approvazione dell’emendamento sulla “islamizzazione dei figli”. 

Un gesto di giustizia ed uguaglianza
​Per la comunità cristiana irakena si tratta di un gesto di “giustizia” e “uguaglianza”, che mette davvero sullo stesso piano tutti i cittadini, oltre che un passo fondamentale nella direzione “della libertà e della democrazia in Iraq”. “Il patriarcato caldeo Sako - si legge in una nota diffusa in queste ore - ringrazia tutti i parlamentari e quanti si sono spesi per la modifica di questo articolo ingiusto”. (J.M.)

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Vescovi messicani: visita del Papa dono di fede e misericordia

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I vescovi messicani hanno dedicato il messaggio della 100° Assemblea Plenaria alla prossima visita del Papa in Messico, mettendo l’accento sul grande dono di fede e di misericordia che la sua presenza può donare ad un popolo che vive allo stesso tempo “situazioni di sconforto e di speranza”. “Noi vescovi messicani siamo profondamente addolorati - si legge nel testo - da tutto ciò che lede e minaccia la dignità e la vita delle persone; ci preoccupa la possibile legalizzazione della marihuana a scopo ricreativo, il deterioramento delle condizioni ambientali, la disuguaglianza sociale, l’incremento della povertà, il calvario dei migranti e le diverse forme di violenza che attentano alla dignità di ogni persona”. Tuttavia, i presuli riconoscono gli sforzi di diversi attori sociali impegnati nella trasformazione di questa complessa realtà e affermano che “la crisi che pesa sul Paese è anche un’opportunità per stimolare la creatività, per tessere reti di solidarietà e costruire condizioni di pace e per custodire la casa comune”

Oltre ad una preparazione logistica e mediatica, serve una preparazione spirituale
Il messaggio ricorda che per la visita del Papa ci deve essere una preparazione “non solo logistica e mediatica, ma principalmente spirituale, ecclesiale e pastorale, in modo che il nostro cuore e la nostra mente si aprano per riconoscere nelle parole del Vicario di Cristo, la voce di Dio, che ci invita ad una conversione pastorale per continuare con dinamismo missionario la trasformazione della Chiesa”. I vescovi chiamano i fedeli e le persone di buona volontà a prestare attenzione agli insegnamenti del Papa, perché in essi potrebbero trovare ispirazione e coraggio per contribuire al progresso della Patria seguendo strade di giustizia e di pace.

Il Papa porterà più fede, speranza e carità
​L’episcopato messicano desidera che la visita del Papa in Messico confermi nella fede i cattolici, fortifichi la speranza e incoraggi la misericordia, per rinnovare in tutti, “la voglia di lottare per un mondo e un Messico migliore, per camminare verso un futuro di amore, di giustizia e  di pace”. Aspettiamo il Papa come ‘messaggero di pace’ e come ‘missionario della misericordia’ scrivono i vescovi, che si congratulano con tutte le persone che condividono la gioia di questa visita in quanto “riconoscono la leadership morale e apprezzano la testimonianza del Papa”. Il messaggio dei vescovi messicani sottolinea in particolare che la visita del Pontefice si realizza nell’Anno della Misericordia perché permette alla Chiesa di  porre la sua attenzione sugli aspetti essenziali della vita cristiana, andare - come Gesù – incontro al dolore e alla sofferenza dei malati, degli anziani, dei carcerati, degli immigranti, delle famiglie dei giovani e di ogni persona bisognosa. “La cultura dell’incontro - si legge nel testo - ci chiede di sviluppare la nostra capacità di ascolto, di crescere nella compassione per consolare e accompagnare le vittime della violenza e condividere le nostre capacità per continuare a costruire la pace. (A cura Alina Tufani)

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Messico: trovato senza vita il corpo del sacerdote scomparso

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L'arcidiocesi di Puebla informa della morte violenta del sacerdote Erasto Pliego de Jesus, parroco di S. Maria della Natività nel piccolo centro di Cuyuaco, scomparso da alcuni giorni. In un breve comunicato, ripreso dall'agenzia Fides, l’arcidiocesi comunica che le autorità hanno notificato che ieri mattina, 17 novembre, nella campagna che circonda il luogo del rapimento, è stato ritrovato il corpo senza vita del sacerdote. "L'Arcidiocesi si rammarica profondamente che un sacerdote, la cui vita è stata dedicata a Dio e al servizio degli altri, sia stato vittima della violenza" si legge nel comunicato. Secondo quanto riporta la stampa locale, il corpo è stato dato alle fiamme e presentava una ferita profonda alla testa. Si presume che il motivo sia stato un furto finito in omicidio, ma le autorità continuano ad indagare.

Il cordoglio dell'arcidiocesi
"Ringraziamo le autorità per tutto il sostegno in questo infausto evento. Alla famiglia e alla sua comunità parrocchiale assicuriamo la nostra vicinanza e solidarietà, mentre eleviamo le nostre preghiere per l'eterno riposo di padre Erasto" conclude il comunicato dell’arcidiocesi.

Solo nel 2013 uccisi 11 sacerdoti
Secondo il Centro Cattolico Multimedia Messicano, 11 sacerdoti sono stati uccisi dal 2013 e altri due sono ancora dispersi. Nel 2014 due sacerdoti sono stati rapiti e uccisi nello Stato di Guerrero. Uno di loro è stato trovato il 25 dicembre con una pallottola in testa, mentre a novembre era stato trovato in una fossa il corpo di un sacerdote ugandese scomparso mesi prima. (C.E.)

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Missionario Sud Sudan: decine di persone continuano a morire

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Migliaia di vite appese ad un filo. Negli ultimi due mesi nella regione di Mundri in Sud Sudan almeno 80mila persone sono dovute fuggire a causa delle violenze e sono state costrette a rifugiarsi nella boscaglia. “Mentre parliamo decine di persone continuano a morire, soprattutto anziani e bambini”, riferisce ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) padre David Kulandai Samy, missionario della comunità di Maria Immacolata, notando come molti degli sfollati muoiano di fame o a causa di numerose malattie, prima fra tutte la malaria. 

Appello per una tregua dei leader religiosi per assistere gli sfollati
I leader religiosi sud sudanesi, guidati dal vescovo di Tombura-Yambio, mons. Edward Hiiboro Kussala - riferisce l'agenzia Sir - hanno lanciato un appello per la sospensione immediata delle operazioni militari nell’area, così da poter fornire adeguata assistenza agli sfollati e alle famiglie che vivono nei villaggi. Padre David si è rivolto ad Acs per ricevere sostegno e poter così aiutare la popolazione in difficoltà: “Molti dei nostri parrocchiani si sono nascosti nella boscaglia e ora vivono in condizioni terribili, specie i bambini che non hanno cibo, né acqua, né assistenza medica”. 

La popolazione è stata privata di tutto 
A quattro anni e mezzo dall’indipendenza – ottenuta il 9 luglio 2011 in seguito ad un referendum popolare – il Sud Sudan affronta un terribile conflitto etnico che vede le forze governative del Presidente Kiir, di etnia dinka, contrapporsi a quelle fedeli all’ex vice-Presidente Machar, di etnia nuer. Lo scontro, iniziato nel dicembre del 2013, ha costretto oltre 2 milioni di cittadini ad abbandonare le proprie case.

Anche i cristiani coinvolti nel conflitto etnico
Padre David riferisce dell’uccisione di 9 guerriglieri della tribù Dinka, avvenuta lo scorso settembre nella regione di Mundri. Le truppe governative hanno allora occupato l’area e aperto il fuoco contro gli appartenenti alla tribù moru, i quali a loro volta si sono vendicati attaccando membri della tribù dinka. A causa degli scontri etnici, numerose famiglie cattoliche hanno abbandonato le proprie case e si sono rifugiate nei locali appartenenti alla Chiesa. Ma quando anche questi sono stati colpiti e decine di persone sono state uccise, i fedeli hanno cercato riparo nella boscaglia. Lo stesso sacerdote è dovuto fuggire per salvare la sua vita: “Ritorneremo non appena la situazione tornerà alla normalità e lavoreremo per ricongiungere le famiglie cattoliche e le altre comunità tribali disperse nell’area. Vi chiediamo di sostenerci e di pregare per noi e per la nostra comunità che attraversa un momento drammatico e patisce sofferenze indescrivibili”. 

Aiuto alla Chiesa che soffre sostiene la Chiesa in Sudan e in Sud Sudan da diversi decenni. Nel 2014 l’entità degli aiuti alle due Chiese è stata di circa un milione di euro. Accanto al supporto alla pastorale, Acs ha fornito importanti contributi per l’assistenza ai rifugiati e alla popolazione colpita dalla guerra. (M.P.)

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Africa: simposio a Kigali per il 50.mo della Dei Verbum

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Impegno a finalizzare il progetto di traduzione della Bibbia liturgica africana e a continuare a operare in modo che tutti i fedeli abbiano accesso alla Parola di Dio: sono due delle risoluzioni approvate al termine del seminario organizzato nei giorni scorsi a Kigali, in Rwanda, dal Centro biblico di Africa e Madagascar (Bicam) organismo in seno al Simposio delle conferenze episcopali  (Secam)  per celebrare il 50.mo anniversario della costituzione dogmatica sulla divina rivelazione “Dei Verbum”del 1965.

Dare nuova linfa all’apostolato biblico in tutte le diocesi
Vi hanno partecipato vescovi, esperti e coordinatori dell’apostolato biblico provenienti da vari Paesi africani e da Germania, Italia e Francia. L’obiettivo del convegno, intitolato “Dei verbum pietra miliare sul cammino ecclesiale. Apporto esegetico, teologico, spirituale, pastorale ed ecumenico in Africa” –  riferisce L’Osservatore Romano – era di ribadire l’importanza della costituzione dogmatica per l’intero continente, soprattutto alla luce delle due esortazioni apostoliche post-sinodali “Ecclesia in Africa”, del 1995, e “Africae munus”, del 2011. Tenendo conto delle indicazioni contenute in questi documenti (ad esempio riguardo alla giustizia, la pace e il buon governo in un contesto di crisi socio-economica e morale), i partecipanti hanno preso l’impegno di dare nuova linfa all’apostolato biblico in tutte le diocesi, intensificando la pratica della lectio divina.

Maggiore impegno nella diffusione e nella proclamazione della Parola di Dio
“Di fronte alle sfide teologiche, ecclesiologiche e pastorali di oggi e davanti alle derive di alcune confessioni cristiane”, viene auspicato maggiore impegno “nella diffusione e nella proclamazione della Parola di Dio” e, coinvolgendo università cattoliche e biblisti, “nella formazione in parrocchie, comunità ecclesiali di base e famiglie”. Nel comunicato finale si ricorda che, sul piano teologico, la “Dei verbum” offre “un chiarimento nuovo sulla funzione della Scrittura che dà alla teologia vigore e vita”, ovvero che “tutta la teologia o pensiero su Dio deve essere elaborato a partire dal dato scritturale”. Inoltre la costituzione riconosce il valore scientifico dell’esegesi, che “è al servizio della teologia”, e pone la Bibbia al centro della spiritualità cristiana esaltando la lettura orante della Scrittura come espressione di fede e preghiera.

Il testo biblico al centro del dialogo ecumenico
Dal punto di vista ecumenico, il documento conciliare “apre un nuovo rapporto con le Chiese non cattoliche e mette il testo biblico al centro dell’intero dialogo”. Infine, sul piano pastorale, nella prospettiva di un accesso di tutti i fedeli alla Scrittura, “Dei verbum” “inaugura una nuova era di apostolato suggerendo la traduzione nelle lingue vernacolari e ogni altra azione missionaria volta alla promozione delle Scritture dentro e fuori la Chiesa”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 322

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.