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Sommario del 31/05/2015
- Il Papa alla’Angelus: le comunità ecclesiali siano sempre più famiglia
- Nei Giardini Vaticani la conclusione del mese mariano
- Beatificazione di don Louis-Édouard Cestac, sacerdote dei poveri
- Pio XII e i profughi di guerra: la diplomazia dell'assistenza
- India: caldo killer, bilancio vittime sale a 2200 morti
- Sud Sudan, una suora: guerra per il petrolio, civili in fuga
- A Ginevra convegno "Religioni insieme per l'aiuto umanitario"
- Giornata nazionale del Sollievo, sensibilizzare i giovani
- Giornata senza tabacco: un morto ogni sei secondi per il fumo
- In Brasile Giornata nazionale dell’Infanzia missionaria
- Nigeria: attacchi di Boko Haram a Maiduguri. Almeno 30 morti
- Russia stila una ‘lista nera’ in risposta alla sanzioni Ue
- Ghana: daii vescovi appello per il dialogo ecumenico
- Spagna. Arcivescovo di Madrid: crescere i bambini nella fede
- Allarme Caritas Bangladesh per effetti del riscaldamento climatico su agricoltura
- Vescovi slovacchi promuovono sondaggio sulla libertà religiosa
Il Papa alla’Angelus: le comunità ecclesiali siano sempre più famiglia
L’odierna festa della Santissima Trinità è un’esortazione a vivere “gli uni con gli altri”, ad “accogliere la bellezza del Vangelo” imparando “a chiedere e a concedere il perdono”. E’ quanto ha affermato stamani Papa Francesco all’Angelus, davanti ad oltre 50 mila persone, aggiungendo che il compito affidatoci è quello di “edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
La Festa della Santissima Trinità ci ricorda il mistero dell’unico Dio in tre Persone divine - il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - che sono “una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra”. Questa solennità liturgica – ha affermato il Papa – rinnova in noi “la missione di vivere la comunione con Dio e tra noi sul modello di quella trinitaria”:
“Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri. Questo significa accogliere e testimoniare concordi la bellezza del Vangelo; vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere il perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori”.
Le comunità siano sempre più famiglia
I cristiani sono chiamati a vivere questa comunione con Dio edificando comunità animate dall’amore trinitario:
“Ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell’amore di Dio che abita in noi”.
La vita cristiana ruota attorno al mistero trinitario
La Trinità è “il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno”. Lo Spirito Santo – ha spiegato il Santo Padre – “ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo” e Gesù, a sua volta, “è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre”. Tutto, nella vita cristiana, “ruota attorno al mistero trinitario”:
“Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fine, per quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati”.
Questo mistero abbraccia tutta la nostra vita e tutto il nostre essere cristiano:
"Ce lo ricordiamo, ad esempio, ogni volta che facciamo il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E adesso vi invito a fare tutti insieme, e con voce forte, questo segno della croce. Tutti insieme! “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!”
Maria aiuti la Chiesa ad essere comunità ospitale
La Vergine Maria – ha detto infine il Pontefice – aiuti la Chiesa “ad essere sempre comunità ospitale dove ogni persona, specialmente povera ed emarginata, possa trovare accoglienza”. Dopo l’Angelus, Papa Francesco ha ricordato che giovedì prossimo, a Roma, “vivremo la tradizionale processione del Corpus Domini”.
“Alle 19 in Piazza San Giovanni in Laterano celebrerò la Santa Messa, e quindi adoreremo il Santissimo Sacramento camminando fino alla piazza di Santa Maria Maggiore. Vi invito fin d’ora a partecipare a questo solenne atto pubblico di fede e di amore a Gesù Eucaristia, presente in mezzo al suo popolo”.
Nei Giardini Vaticani la conclusione del mese mariano
Come da tradizione, la sera del 31 maggio, nei Giardini Vaticani si conclude il mese mariano. Dalla Chiesa di Santo Stefano degli Abissini partirà la processione presieduta dal cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, che si concluderà presso la Grotta di Nostra Signora di Lourdes. Sul significato del mese mariano, Federico Piana ha intervistato Antonino Grasso docente di mariologia all'Istituto Superiore di Scienze religiose San Luca di Catania:
R. – L’istituzione del mese di maggio affonda le sue radici nell’usanza rinascimentale, secondo la quale gli innamorati si scambiavano omaggi cortesi. Quando la natura è in fiore, appare ricca di spunti e suggestioni per celebrare l’amore. Il tentativo di cristianizzare questa usanza risultò inizialmente come il nobile gesto di rivolgere l’omaggio della natura, dei fiori e dei cuori, a Maria, che è la creatura più bella per tutte le donne: la Donna vestita di sole. Il primo ad associare la figura di Maria con il mese di maggio sembra essere stato nel 13.mo secolo il re di Castiglia, Alfonso X il Saggio, che in una sua Cantica, dedicata alle feste stagionali di maggio, vede nella devozione a Maria il modo per coronarla e santificarla degnamente. Sappiamo poi che a Parigi, già nel XIV secolo, la Confraternita degli Orefici era solita portare e offrire alla Vergine, il primo maggio, a Notre-Dame, una pianta adorna di pietre preziose, emblemi e nastri. E a Roma, nel XVI secolo, San Filippo Neri era solito invitare i suoi ragazzi a compiere ossequi a Maria in questo mese. A codificare l’usanza, con una struttura celebrativa del mese, furono nel XVIII secolo tre gesuiti: Padre Annibale Dionisi, pubblicò “Il mese di Maria”, nel 1725, suggerendo giornalmente una meditazione, un fioretto e la recita di giaculatorie. Più tardi, padre Lalomia, nel 1758, pubblicò a Palermo il mese di maggio con una serie di meditazioni giornaliere. E infine, nel 1785, Alfonso Muzzarelli, anche lui gesuita, pubblicò a Roma “Il mese di maggio”, riprendendo meditazioni sulle verità eterne e terminando con la consacrazione a Maria. Dalla prima metà del XIX secolo, il mese di maggio era già diffuso in tutta l’Europa, in America e si diffuse anche nei Paesi di missione.
D. – Come celebrare oggi il mese di maggio, seguendo un po’ anche gli insegnamenti di Papa Francesco?
R. – Come affermava già Paolo VI in un’omelia, non possiamo lasciar scorrere il mese di maggio senza riaccendere la nostra devozione verso Maria, ma anche senza metterci in viaggio verso i nostri fratelli, come insegna costantemente Papa Francesco. La visitazione di Maria ad Elisabetta è l’unica festa mariana del mese di maggio, prevista dalla riforma di Papa Montini. Il mese di maggio, quindi, è anche il mese della Visitazione, un mese con la Vergine in cammino. E onorare così Maria nel mese di maggio significa concepire la propria vita come un prolungamento della sua maternità, significa riscoprire e far riscoprire che Cristo è per sempre il Dio con noi, fattosi uomo nel suo grembo, per condividere la nostra esistenza e portare il dono ineffabile della sua presenza. E solo così, nel mese a Lei dedicato, Maria ci aiuterà a sanare le ferite, a creare comunione solidale e ci riempirà della stessa esultanza che scaturì dal cuore felice di Elisabetta, nel giorno in cui ebbe la gioia e il dono di incontrare la Madre del Signore.
Beatificazione di don Louis-Édouard Cestac, sacerdote dei poveri
Beatificazione in Francia, di don Louis-Édouard Cestac, sacerdote fondatore dell’Istituto delle Serve di Maria dedite alla vita apostolica e del ramo contemplativo della congregazione: le Bernardine o Silenziose di Maria. La sua testimonianza – ha detto il Santo Padre all’Angelus – è un nuovo stimolo a vivere il Vangelo della carità. Alla celebrazione è stato inviato, come rappresentante del Papa, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Roberta Barbi:
“La mia fede, è questo il mio essere… Tutto di Dio, per Dio e con Dio”. Uno sconfinato amore per il Signore, che nel corso del suo ministero di sacerdote, don Cestac ha servito con tutto il cuore e tutte le forze di cui disponeva: era questo il binario entro il quale fece correre la sua vita, conclusa a 67 anni, nel 1868, già in odore di santità. Il segreto dei suoi successi – lo aveva rivelato a Napoleone III, che nel 1865 lo aveva decorato con la Legion d’Onore – era Gesù, incontrato nella preghiera e nell’Eucaristia, fonti di pace e serenità. Una devozione che era la sua principale virtù, come sottolinea - al microfono di Roberto Piermarini - il cardinale Angelo Amato:
“Il nostro beato amava Gesù Cristo, amava la Chiesa, amava il Papa, vicario di Cristo. Soleva dire che una parola del Papa vale più di tutte le parole degli uomini. I testimoni sono concordi nell’affermare che l’Eucaristia, la Messa, la Beata Vergine, i Santi erano le sue grandi devozioni”.
Ma don Cestac fu anche pastore per le sue pecore e il prossimo divenne subito il centro della sua vita, che fosse un bambino orfano da accarezzare; una giovane troppo povera per andare a scuola; un clochard cui fare dono di un piatto di minestra o di un lembo di mantello; una prostituta cui dare un’altra possibilità perché vedeva del buono lì dove nessun altro l’avrebbe visto. La povertà era la sua vera ricchezza e spesso faceva tutto questo a mani vuote di beni materiali, ma con il cuore ricolmo di fiducia nella Provvidenza di Dio, come ricorda il cardinale Amato:
“Aveva poi una grande fiducia nella Divina Provvidenza e una grande speranza della vita eterna. E la sua speranza era un inno alla Misericordia divina, che lo spingeva ad amare, a consolare, a perdonare e invitava tutti a gettarsi nel seno materno di Dio, rifugio di grazia e di perdono”.
Da abile insegnante quale era, ricordava spesso alle sue religiose le parole di Maria: “Fate tutto per me e io farò tutto per voi”. E proprio sul modello di amore della Vergine, sulla libertà e sul lavoro, aveva costruito tutte le sue opere di carità e di recupero. Ma il Beato Cestac può insegnare ancora molto anche a noi, segnala il cardinale Amato:
“Possiamo ricavare tre insegnamenti. Primo: egli ci invita ad avere fede in Dio e nella sua divina Provvidenza, presente nella storia dell’umanità della Chiesa, ma soprattutto anche nelle vicende della nostra vita personale, familiare. Noi siamo figli di Dio e Dio ci ama, ci guida, ci perdona. Un secondo insegnamento riguarda la nostra carità verso il prossimo: il nostro beato ci spinge a sporgerci verso i bisognosi, gli emarginati, a essere accoglienti, generosi e misericordiosi. E poi, un terzo insegnamento a noi, ma anche alle sue figlie spirituali, alle Serve di Maria, e cioè l’insegnamento di tendere alla santità, perché la santità in fin dei conti è il fine della vita cristiana. Una santità quotidiana, fatta di fedeltà, di laboriosità, di assenza di peccato, di corrispondenza alla grazia, di frequenza ai sacramenti e soprattutto di comunione con Gesù”.
Pio XII e i profughi di guerra: la diplomazia dell'assistenza
Una riflessione attenta sul ruolo di Papa Pio XII nel salvare, durante la Seconda Guerra Mondiale, le vite di migliaia di persone. Di questo si è discusso nei giorni scorsi a Roma presso il Centro Astalli, nel convegno dal titolo: “La Santa Sede, i profughi e i prigionieri di guerra: l’opera di Papa Pacelli”. Un particolare accento è stato posto anche sul ruolo avuto dalla Radio Vaticana. C’era per noi Benedetta Capelli:
Sfidare i pregiudizi sulla figura di Papa Pio XII attraverso la storia, l’indagine attenta dei documenti e l’analisi del contributo di Pacelli nel salvare migliaia di persone. E’ stato questo l’intento del convegno sulla Santa Sede, i profughi e i prigionieri di guerra. Nel suo intervento, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, ha preso spunto dal tema per ricordare che “il ventesimo secolo è stato chiamato il secolo dei rifugiati, una piaga aperta che non cessa di allargarsi”. Il porporato ha evidenziato che nel 2014 il numero dei rifugiati ha superato i 50 milioni di persone. Un’emergenza che vede sempre in prima linea la Chiesa:
R. – Perché la Chiesa ce l’ha come missione. La Chiesa ha sempre avuto nel suo essere Chiesa l’attenzione per i più poveri, per i più diseredati, per i più abbandonati e questi sono i più poveri, i più diseredati, i più abbandonati! Quindi è consono alla missione della Chiesa assistere chi sta peggio.
D. – Infatti l’esempio di Pio XII, in questo senso, è lampante…
R. – Di chiunque e non solo di Pio XII, anche dell’attuale Papa, di Giovanni Paolo II, di Paolo VI… Ma è normale! Se la Chiesa non facesse queste cose, tradirebbe veramente la sua missione.
Nell’intervento di Massimiliano Valente, docente di storia contemporanea all’Università Europea di Roma, si è messo in luce il contributo dell’Ufficio informazioni vaticano per i prigionieri di guerra che nacque nel 1939, durante la Prima Guerra Mondiale, e poi venne rafforzato da Pio XII che lo affidò al futuro Paolo VI. Una vera e propria “diplomazia dell’assistenza”.
R. – L’ufficio partì con pochi addetti e poche richieste. Pian piano cominciò a svilupparsi nel tempo, con l’estendersi del teatro bellico, e raggiunse nel 1943, al suo apice, 600 dipendenti e una mole impressionante di pratiche trattate. Si avvalse di una rete - la rete delle gerarchie cattoliche, che vi sono in tutto il mondo -, si avvalse dei nunzi apostolici, e in questa maniera riuscì a ricevere notizie, informazioni sui prigionieri di guerra. Accanto a questo, sviluppò una serie di rapporti con i vari Stati, al fine di lenire le sofferenze di questi malcapitati, che si trovavano - taluni di loro – in prigionia da molti anni.
L’Ufficio si rafforzò grazie anche al contributo della Radio Vaticana. L’emittente del Papa svolse una vera e propria funzione sociale che, con ogni probabilità, non ha uguali nella storia della radiofonia.
R. - Nei primi anni della guerra, proprio perché vi erano difficoltà di comunicazione con i Paesi dell’Europa occidentale, la Radio Vaticana poteva rappresentare un utile strumento. Iniziò con poche trasmissioni: due alla settimana. Venivano trasmesse in particolar modo le liste dei prigionieri e, in questa maniera, i familiari potevano apprendere se erano ancora vivi e in quali campi di prigionia si trovavano e quali erano le loro condizioni. Si tratta di una somma innumerevole di persone che sono state aiutate in qualche modo dalla Santa Sede.
D. – Analizzando quanto fatto dall’Ufficio Informazioni Vaticano si può rileggere in un certo modo anche il Pontificato di Papa Pio XII?
R. – L’attività dell’Ufficio Informazioni è esattamente lo specchio di Papa Pacelli, cioè una silenziosa opera, ma concreta, di assistenza nei confronti delle vittime della guerra.
India: caldo killer, bilancio vittime sale a 2200 morti
È salito a oltre 2.200 morti il bilancio dell’ondata di caldo che da settimane sta attanagliando l’India. E nel Paese si spera in un miglioramento della situazione grazie alle piogge monsoniche, il cui arrivo è previsto per la prossima settimana. Il servizio di Marco Guerra:
Le temperature oscillano tra i 40 ed i 45 gradi con punte di 47. Questo nuovo picco, nell’ondata di caldo che va avanti da almeno due settimane in India, ha portato al decesso di 200 persone negli ultimi due giorni a causa di collassi e disidratazione per l'eccessiva esposizione al sole. Tra le vittime anche molti lavoratori che, nonostante il caldo, non hanno interrotto le loro attività. Gli Stati dell'Andhra Pradesh e del Telangana, nel sud del Paese, sono i più colpiti nell'ondata di calore e sono quelli dove si sono registrate praticamente tutte le vittime. Nei due Stati, i governi locali hanno lanciato campagne d’informazione per proteggere i più vulnerabili. Ora c’è grande attesa per l'inizio della stagione dei monsoni, che dovrebbe cominciare la prossima settimana nelle regioni meridionali, ma richiederà diverse settimane prima di raggiungere le aride pianure del nord. Centinaia di persone, soprattutto i più poveri, muoiono ogni anno in India per il caldo, ma il 2015 già adesso risulta essere come il secondo più letale della storia del Paese. Al livello mondiale si teme puoi un nuovo record della temperatura media globale dopo quello raggiunto nel 2014.
Sud Sudan, una suora: guerra per il petrolio, civili in fuga
“Gli abitanti sono tutti fuggiti e hanno cercato riparo nella base dell’Onu oppure nei villaggi più lontani, nella foresta”. E’ la denuncia di mons. Roko Taban, amministratore apostolico di Malakal, capoluogo dell’Alto Nilo, in Sud Sudan, che - attraverso l’agenzia Misna - descrive la situazione nella diocesi e nel giovane Paese africano, ostaggio di un conflitto civile dal dicembre 2013, innescato dai combattimenti tra le truppe governative del presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice presidente Riek Machar. Nei giorni scorsi l’Onu aveva denunciato che oltre 4 milioni di sud sudanesi hanno bisogno di aiuto alimentare urgente, a causa delle conseguenze delle violenze in atto da un anno e mezzo. Per una testimonianza, ascoltiamo suor Anna Gastaldello, missionaria comboniana a Juba, intervistata da Giada Aquilino:
R. - Ci sono stati combattimenti a Leer nello Unity State e a Malakal nell’Upper Nile.
D. - Perché in queste, che sono zone petrolifere, si continua a combattere?
R. - Pensiamo che l’opposizione voglia bloccare il flusso di petrolio perché il governo rimanga senza denaro per continuare la guerra.
D. - Le ultime notizie dicono che ancora una volta ci sono stati combattimenti, in particolare nella zona di Malakal…
R. - Le ultime notizie da Malakal parlano di un combattimento riguardante le forze di una milizia Shilluk - guidata dal generale Olony, che prima si era messo dalla parte del governo e poi si è schierato con l’opposizione – che ha aiutato i ribelli a passare il fiume Nilo, per attaccare e occupare Malakal. In un secondo momento, il governo ha riattaccato ed ha riconquistato la zona. Adesso sembra che la situazione sia calma. Ma a Malakal, in città, non c’è nessuno. Tanti abitanti sono scappati dall’altra parte del fiume, tanti sono all’interno del campo sfollati che si trova nella base delle Nazioni Unite, dove c’è anche una nostra consorella, suor Elena Balatti.
D. - Che notizie giungono?
R. - Gli sfollati sono tanti e per il momento sembra che ci sia abbastanza per aiutarli, ma non so fino a quando.
D. - È ormai da dicembre 2013 che il Sud Sudan vive un conflitto civile. Che conseguenze ci sono soprattutto in quegli Stati dove si continua a combattere?
R. - Quegli Stati sono nel caos più completo; la povera gente continua a scappare da un angolo all’altro: si rifugiano in un posto, poi ricominciano i combattimenti e scappano da un’altra parte e così via. Inoltre, la situazione economica generale del Paese è collassata, i prezzi di cibo e altri prodotti sono altissimi, per cui l’intera popolazione del Sud Sudan in questo omento sta soffrendo molto.
D. - Quando si parla della crisi economica che attraversa il vicino Sudan si dice che una delle ragioni è legata al fatto che i pozzi petroliferi una volta controllati da Khartoum ora sono geograficamente in Sud Sudan. Perché allora le autorità di Juba non riescono a trarre profitto da queste risorse?
R. - Il problema è che ora, con la guerra, quasi tutti i pozzi petroliferi sono chiusi. L’unico pozzo che sta ancora lavorando è quello di Paloch che si trova nell’Upper Nile: si sa che la settimana scorsa i ribelli avevano tentato di attaccarlo per farlo chiudere, ma sono stati fermati a Melut dalle forze del governo. Quindi c’è solo questo pozzo petroliero che lavora e la guerra costa: il governo deve pagare i soldati, comparare le armi. Da non dimenticare poi che c’è anche il problema della corruzione…
D. - Anche nelle ultime ore, lì a Juba, avete pregato per il futuro del Sud Sudan. Quali speranze ci sono?
R. - Noi qui a Juba, come religiosi, siamo presenti con 28 congregazioni. Ci troviamo regolarmente per pregare per la pace; e anche i cittadini pregano tantissimo per questo dono.
A Ginevra convegno "Religioni insieme per l'aiuto umanitario"
Il soccorso e l’assistenza umanitaria alla luce dell’attuale scenario internazionale. E' questo il tema affrontato a Ginevra, nei giorni scorsi, da rappresentanti di quattro diverse religioni - Cristianesimo, Islam, Ebraismo e Vedanta - durante il simposio “Religioni insieme per l’aiuto umanitario”, organizzato dal Sovrano Ordine di Malta. Forte la testimonianza proveniente dai Paesi toccati dalle guerre in corso, come il Libano, dove l’Ordine di Malta è presente da 30 anni, e dove si è riversato un numero impressionante di profughi in fuga dalle guerre in Siria e in Iraq. Francesca Sabatinelli ha intervistato Oumayma Farah Rizk, responsabile della comunicazione dell’Ordine di Malta in Libano:
R. – Notre action au Liban aujourd’hui…
La nostra azione oggi in Libano è sempre più importante. Siamo un’organizzazione cristiana e l’importanza è nei valori che noi promuoviamo. Il nostro slogan è "Je ne te demande ni ta race, ni ta couleur, ni ta religion mais dis-moi quelle est ta souffrance" (Non ti chiedo né la tua razza, né il tuo colore, né la tua religiosa, ma dimmi qual è la tua sofferenza ndr) ed è nel nome di questa missione che lavoriamo tutti i giorni per aiutare i poveri, i bisognosi e i più svantaggiati. E’ importante essere un’organizzazione religiosa, ma per noi non si tratta di religione quanto di fede: abbiamo fede in ciò che facciamo. Proteggere la dignità della persona, aiutare ogni essere umano a cercare di diminuire la sua sofferenza; penso che questi valori siano comuni a tutte le religioni. Quando ci avviciniamo alle altre comunità e comprendono che non abbiamo altra intenzione se non quella di aiutare ogni essere umano svantaggiato, allora riusciamo a collaborare.
D. – Questo vuol dire che è non è un limite essere un’organizzazione religiosa, ma c’è un valore aggiunto?
R. – Pas du tout, c’est sur qu’il n’y a pas de limite…
Assolutamente. Certo, non è un limite perché noi siamo spinti dalla nostra fede e i valori sono comuni a tutte le religioni. Il Libano è un Paese di 17 denominazioni religiose differenti e noi lavoriamo con tutti. Siamo aperti a tutti e lavoriamo con tutti, senza distinzione, le persone si fidano, tornano nel nostro centro: da 30 anni sono le stesse persone che tornano con i loro figli e nipoti, perché rispettano l’Ordine di Malta.
D. – Adesso il vostro Paese si trova in una situazione veramente molto difficile. Ci sono migliaia di rifugiati che sono scappati dalla Siria e dall’Iraq, come fate?
R. - La situation du Liban, malheuresement, est très mal…
La situazione del Libano purtroppo è molto brutta oggi. Il Libano è un Paese di 4 milioni e 200 mila persone. I rifugiati sono più di un milione e 300 mila, se non di più, compresi i rifugiati palestinesi che erano già in Libano e quelli appena arrivati, i rifugiati iracheni. C’è molto da fare sul campo e tutto quello che facciamo probabilmente non sarà mai abbastanza di fronte al flagello che questo rappresenta. I rifugiati siriani si sono stabiliti ovunque in Libano e i nostri centri, nelle regioni più toccate, come nella Beqaa o nel nord, sono pianificati in modo da accogliere e aiutare dal punto di vista medico e sociale questi rifugiati. Il nostro più recente progetto è il progetto di unità medica mobile che abbiamo installato in una regione molto, molto delicata al nord del Libano, al confine siriano, che aiuta due villaggi dando loro la migliore qualità di farmaci e di cure mediche. Ciò che è molto importante è che noi insistiamo affinché si possa provvedere ai bisogni sia dei rifugiati siriani, che della popolazione locale. E’ molto importante per cercare di tenere un equilibrio e di placare i conflitti che può creare questa presenza siriana nelle regioni più svantaggiate e più povere del Libano.
D. – Lei crede, come libanese, che la Comunità internazionale, il mondo, vi abbia abbandonati?
R. – C’est sur, c’est sur. L’Union européenne…
E’ certo, è certo! L’Unione europea nei prossimi due anni proverà a distribuire 24 mila rifugiati sul suo territorio, e noi che facciamo del milione e 300 mila che sono da noi? Che facciamo? Che fa la comunità internazionale? Certo, ci sono aiuti che arrivano, ma non sono sufficienti, né per i rifugiati siriani, né per i libanesi. E’ un Paese al collasso. Sì, chiedo l’aiuto della Comunità internazionale, chiedo il risveglio della Comunità internazionale, se non vuole perdere questo Libano “messaggio”, che è un esempio di coesistenza per il mondo intero, in questa regione della Terra Santa.
Giornata nazionale del Sollievo, sensibilizzare i giovani
Si celebra domenica 31 maggio la XIV Giornata Nazionale del Sollievo, istituita nel 2001 per promuovere e testimoniare la cultura del sollievo dalla sofferenza fisica e morale in favore di tutti coloro che stanno ultimando il loro percorso vitale, non potendo giovarsi di cure destinate alla guarigione. La giornata è promossa dal Ministero della Salute, dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Sono previste in tutta Italia molte manifestazioni e al Policlinico Gemelli saranno premiati i vincitori del concorso “Un ospedale con più sollievo”, indetto dalla Fondazione Gigi Ghirotti, rivolto agli alunni e studenti di tutte l’età affinché anche i più giovani, attraverso disegni, testi, videoclip e fiabe illustrate siano sensibilizzati alla tematica del sollievo. Federica Bertolucci ha intervistato Vito Ferri, Coordinatore scientifico della Fondazione Ghirotti:
R. - La Giornata nazionale del sollievo è stata istituita nel 2001. Si era notata una mancanza, all’interno dell’opinione pubblica, di una cultura vera e propria del sollievo, perché l’attenzione era troppo centrata sulla sofferenza, sul dolore. Mentre, con la Giornata nazionale del sollievo si è voluto puntare il riflettore, il focus, su quello che è l’affrancamento dal dolore, quindi una giornata propositiva, a favore. Vuole essere una manifestazione per promuovere la cultura del sollievo in Italia.
D. - Dal 2007 avete indetto il concorso “Un ospedale con più sollievo” a cui possono partecipare alunni di tutte le età. Qual è il suo intento e perché è necessario rendere partecipi anche i più piccoli?
R. - I bambini, i più piccoli, ma anche i ragazzi un po’ più grandi sono stati tenuti lontani, gli è stato quasi tenuto nascosto il mondo della sofferenza come se fosse qualcosa di non opportuno da conoscere. Si è visto che questo non è vero dal momento che la persona può confrontarsi con la sofferenza o con il dolore quando riesce a guardare la parte del sollievo. Se impara fin da piccolo a vedere l’ospedale come un luogo o come delle pratiche di cura che vanno verso il sollievo dalla sofferenza, allora sarà più probabile che si abbia un accettazione della persona malata, perché anche quando quel bambino diventerà adulto e incontra anche lui la malattia, la sofferenza, avrà imparato a guardare la parte del sollievo. In questo concorso vengono prodotti videoclip relativi al sollievo e - anche al livello universitario - piccoli elaborati sui luoghi storici del sollievo.
D. - La malattia colpisce tutti, anche i famigliari. Soprattutto quando è un bambino ad ammalarsi, che tipo di sollievo si può portare un famiglia?
R. - Questo è fondamentale. Infatti quando parliamo di sollievo dobbiamo sempre considerarlo come un vissuto globale. Quando si parla di aiuto bisogna includere anche la famiglia. Se nella cura è inclusa anche la famiglia, il sollievo, anche nella persona malata, sarà più raggiungibile. Papa Francesco, durante l’udienza con i membri della Pontificia Accademia per la Vita, aveva incoraggiato i professionisti e gli studenti a specializzarsi proprio nelle cure palliative, cioè quelle terapie che pur non guarendo la persona, portano sollievo. Il Papa è esattamente in linea con quella che è la visione delle cure palliative dal punto di vista clinico e medico.
Giornata senza tabacco: un morto ogni sei secondi per il fumo
Si celebra questa domenica la Giornata mondiale senza tabacco, che quest’anno l’Organizzazione mondiale della sanità dedica al tema del commercio illegale delle sigarette. Nel mondo una persona ogni 6 secondi muore a causa del fumo, circa 5 milioni all'anno. 600 mila le vittime per il fumo passivo. Sono oltre un miliardo i fumatori e solo il 20 % vive nei Paesi più sviluppati. Anche in Italia il fenomeno non accenna a diminuire. Eugenio Murrali ha intervistato Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio fumo, alcol e droga dell’Istituto superiore di sanità:
R. - Siamo intorno a 11 milioni di fumatori che non modificano le loro abitudini. L’età media rimane uguale, il numero di persone giovani che diventano nuovi fumatori equivale a quello dei fumatori che smettono di fumare oppure che muoiono per le patologie correlate. Quindi siamo in una vera e propria situazione di stallo. Le motivazioni riguardano il fatto che le azioni intraprese negli ultimi dieci anni sulla prevenzione e sugli interventi per aiutare i fumatori a smettere di fumare sono inefficaci.
D. - Il dato allarmante resta anche quello dei giovani, perché il 73% dei fumatori inizia a fumare molto presto …
R. - L’età tra i 17 e i 20 anni è l’età più critica, perché la maggior parte dei fumatori inizia in questa fascia d’età. È evidente, quindi, che questa tipologia di popolazione è quella che dovrebbe avere la maggiore attenzione per la prevenzione.
D. - Avete evidenziato che gli interventi più efficaci sono quelli che non hanno solo un approccio di tipo informativo, ma che lavorano sulla capacità di dire “no”, sulle relazioni, sulla diminuzione dell’ansia sociale …
R. - Bisogna investire in metodologie per le quali è stata dimostrata scientificamente l’efficacia. La combinata azione che agisce sia sul rafforzamento delle capacità personali di creare anticorpi verso stili di vita non sani, ma anche la capacità di riconoscere delle offerte non adeguate, anche dei pari, sono la formula veramente efficace. Non lo è assolutamente, anzi a volte più che efficace può essere dannosa, quella semplicemente informativa dell’esperto che va a scuola, parla dei danni che può provocare il fumo.
D. - Se lei dovesse dire, in particolar modo ai giovani, come smettere di fumare, direbbe di lavorare soprattutto su se stessi ….
R. - Chi vuole smettere di fumare, indipendentemente dall’età, deve rivolgersi agli specialisti, perché fare da soli non basta, soprattutto per chi ha sviluppato una dipendenza importante alla nicotina. In Italia ci sono oltre 300 centri antifumo dove operano specialisti che sono in grado di personalizzare l’intervento, perché ogni fumatore è un paziente a sé che ha bisogno di un intervento personalizzato. Quindi bisogna rivolgersi ai centri specializzati. Anche il nostro telefono verde dell’Istituito superiore di sanità è uno strumento utile che può convogliare verso il centro antifumo più comodo, più vicino, più adeguato.
D. - Gli studi sulla sigaretta elettronica stanno andando avanti?
R. - Il fenomeno della sigaretta elettronica è molto "svaporato". Negli ultimi due anni abbiamo avuto dimezzamenti dei consumatori. Ora siamo arrivati a poco più di 500 mila persone che utilizzano questo prodotto sia occasionalmente che abitualmente. Secondo i nostri dati il 20% degli utilizzatori dice di aver smesso di fumare in seguito all’uso della sigaretta elettronica, un 30% circa dice di aver comunque diminuito il numero di sigarette fumate. Però c’è anche un 33% che dichiara di aver aggiunto l’uso della sigaretta elettronica a quella tradizionale: questo si traduce in un incremento di nicotina assunta dal consumatore. Gli studi che riguardano la sigaretta elettronica sono in fase di svolgimento, sia quelli che riguardano la sicurezza del prodotto, sia quelli che riguardano l’efficacia come strumento per smettere di fumare. Ogni giorno esce un nuovo studio perché la comunità scientifica è molto attenta. Penso che fra pochi anni avremo un quadro esaustivo su questo strumento.
In Brasile Giornata nazionale dell’Infanzia missionaria
“L’infanzia missionaria dell’America al servizio della missione in Asia”: su questo tema in Brasile si tiene oggi, domenica 31 maggio, la terza Giornata nazionale dell’Infanzia e dell’adolescenza missionaria (Iam). Più di duemila i giovani attesi all’evento. Organizzata dalle Pontificie Opere Missionarie (Pom), spiega una degli organizzatori, Caroline Souza, l’iniziativa mira a “sensibilizzare i giovani nei confronti della missione universale tramite l’attività di evangelizzazione, equilibrando attenzione, amicizia ed uguaglianza”.
Suscitare nei giovani la passione per la missione
“La Iam – aggiunge Rosenilda Alves, coordinatrice diocesana dell’evento – suscita nei cuori dei ragazzi la passione per la missione, che si estende a tutta la famiglia”. La Giornata del 31 maggio, inoltre, si terrà in preparazione al terzo Congresso nazionale della Gioventù missionaria, in programma il 30 e 31 di ottobre a Divinópolis.
Anche in Colombia celebrazioni per la Giornata
Ma il Brasile non è il solo Paese dell’America Latina che celebra tale iniziativa: anche la Colombia, infatti, proprio ieri, ha festeggiato la Giornata nazionale della Iam. Il tema scelto è stato “In solidarietà, preghiera ed amore, noi ci consacriamo alla missione!”. “Lo scopo di questo evento – spiega Disney López, segretaria nazionale della Iam all’interno delle Pom colombiane – è stato quello di rincontrarsi con la missione che Gesù ha affidato ai giovani missionari e con il carattere universale di tale opera”. “Che bambini, adolescenti e genitori – è l’auspicio della López – possano sempre aprire il cuore alla missione, con la speranza di contribuire a costruire un mondo migliore”. (I.P.)
Nigeria: attacchi di Boko Haram a Maiduguri. Almeno 30 morti
È di 29 morti il bilancio provvisorio di due distinti attacchi terroristici avvenuti ieri a Maiduguri, la più importante città dell'est della Nigeria. Almeno 16 morti e 14 feriti si sono registrati a seguito dell’attentato suicida avvenuto nei pressi di una moschea. Poche ore prima, sempre a Maiduguri, il lancio di razzi su un quartiere commerciale aveva causato almeno 13 vittime. Le autorità hanno attribuito entrambi gli episodi ai jihadisti di Boko Haram, che continuano ad imperversare in tutto il nord-est della Nigeria. In quasi 6 anni, l’attività terroristica di Boko Haram ha causato circa 13mila vittime. Si contano, inoltre, centinaia di miglia di sfollati in fuga dalle aree di conflitto, molti dei quali provenienti proprio dalla città di Maiduguri.Intanto venerdì scorso, durante la cerimonia d’insediamento, il nuovo presidente nigeriano, Muhammadu Buhari, ha annunciato che il quartier generale delle operazioni contro Boko Haram sarà spostato dalla capitale Abuja a Maiduguri.
Russia stila una ‘lista nera’ in risposta alla sanzioni Ue
Contiene 89 nominativi la ‘lista nera’ di Vladimir Putin, che colpisce politici e funzionari militari di tutta l'Europa con un divieto di ingresso in Russia. L’elenco è stato inviato a diverse ambasciate europee ma non è stato reso pubblico dalle autorità russe. Il rappresentate di Mosca presso la Ue, Vladimir Cizhov, nel confermare la lista, ha precisato alla tv russa che non si tratta di "dirigenti o alti responsabili dei Paesi". La diplomazia russa sostiene che non è tenuta a pubblicare la blacklist, stilata in risposta alle sanzioni occidentali per la crisi ucraina. Durissime le critiche da parte di Bruxelles. Martin Schulz, presidente del parlamento Ue, ha definito la lista "inaccettabile". "Totalmente arbitraria e ingiustificata”. Queste le parole usate dal portavoce dell'Alto rappresentante della Politica Estera Ue Mogherini. Secondo alcune indiscrezioni nella blacklist ci sono l'ex vicepremier britannico, Nick Clegg, e l'ex-premier belga, Vernofstadt, e anche diverse personalità politiche tedesche e olandesi. (M.G.)
Ghana: daii vescovi appello per il dialogo ecumenico
Considerare seriamente il dialogo ecumenico, riconoscendo i segni dei tempi: questo, in sintesi, l’appello rivolto ai fedeli da mons. Joseph Osei-Bonsu, vescovo di Konongo–Mampong, in Ghana, a conclusione del Sinodo diocesano. Iniziata il 25 maggio, l’Assemblea episcopale proseguirà per dieci giorni, tutti dedicati al tema: “Retrospettiva sulla diocesi di Konongo–Mampong: prospettive, sfide e passi avanti”. L’obiettivo, ha detto mons. Osei-Bonsu, è quello di analizzare proposte concrete per proseguire il cammino ecumenico, come la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani o la Settimana biblica.
Dialogo cristiano-musulmano sia improntato a rispetto libertà religiosa
Per questo, il presule ha esortato tutti i cristiani a considerare che in Ghana “si sta vivendo in una società pluralistica dal punto di vista religioso”, in cui sono preminenti anche l’Islam e le religioni tradizionali africane. “Dobbiamo trovare il modo di dialogare con loro, specialmente con l’Islam", ha ribadito mons. Osei-Bonsu. "Nel dialogo cristiano-musulmano, entrambe le parti devono fare attenzione a rispettare il principio della libertà religiosa con tutte le sue implicazioni, incluse anche le manifestazioni pubbliche della fede”. Di qui, il richiamo a “denunciare politiche e pratiche scorrette e la mancanza di reciprocità in materia di la libertà religiosa”.
Non sottovalutare minaccia del fanatismo islamico
In particolare, riguardo al dialogo con i musulmani, il vescovo del Ghana ha invitato a non sottovalutare la minaccia del fanatismo ed ha aggiunto: “Dialogo non significa moratoria sulle conversioni”, cioè il fatto che i cristiani dialoghino con i musulmani non implica che, poi, si convertiranno all’Islam. Anzi: “Ai cristiani è richiesto di ascoltare i musulmani riguardo il loro credo e le loro opinioni, così che si possa comunicare efficacemente il Vangelo, senza suscitare in loro odio o rabbia”.
Autonomia economica per Chiesa africane. No a sindrome di dipendenza da Paesi esteri
Altro punto evidenziato dal presule, la necessità che la Chiesa locale sia in grado di mantenersi economicamente, senza dover ricorrere agli aiuti finanziari provenienti da altri Paesi. “Molte Chiese africane – ha spiegato mons. Osei-Bonsu – stanno avviando iniziative per sbarazzarsi da una certa ‘sindrome di dipendenza’ che ha caratterizzato, fino ad ora, la loro vita”. Considerando, inoltre, che gli aiuti finanziari provenienti dall’Europa e dal Nord America si sono “drasticamente ridotti”, negli ultimi anni, anche a causa della crisi economica, il presule ha ribadito “l’urgenza, per le Chiese locali africane, di provvedere da sole alle proprie necessità”. (I.P.)
Spagna. Arcivescovo di Madrid: crescere i bambini nella fede
"Con fiori a Maria": questo il tema dell'offerta floreale alla Vergine dell'Almudena, promossa dall'arcidiocesi di Madrid per oggi, domenica 31 maggio, a chiusura del mese mariano. L’iniziativa si tiene nella cattedrale dell'Almudena fino alle ore 20.00 Per l’occasione, l'arcivescovo della città, mons. Carlos Osoro Sierra, consacrerà i bambini alla Vergine. In una lettera alla sua diocesi, il presule ribadisce “l’importanza della crescita dei bambini in tutte le loro dimensioni. Essi sono i migliori alunni della 'scuola dell'Amore più grande', che è quella di Gesù Cristo e da loro noi apprendiamo a guardare con gli occhi di Gesù tutti e tutto".
Guardare con gli occhi di Gesù per cambiare il mondo
Quindi, riferisce l’agenzia Sir, mons. Osoro avanza una richiesta: "Avvicinare i bambini già da molto piccoli a Gesù, affinché vedano con i Suoi occhi. Faccio questa proposta affinché il mondo cambi. Così la loro gioia e la loro vita si rifletterà nelle famiglie, che i bambini trasformeranno in scuole d'amore e di speranza". L'arcivescovo invita, poi, le famiglie ad avvicinare a Santa Maria dell'Almudena tutti i piccoli della diocesi: "Offrire i bambini a Maria è porre nelle sue mani il nostro futuro e quello della nostra società", sottolinea il presule. "La Vergine – conclude la lettera - riempirà di gioia la vostra famiglia" e Gesù "accoglierà, guiderà e proteggerà i vostri figli".
Allarme Caritas Bangladesh per effetti del riscaldamento climatico su agricoltura
È allarme in Bangladesh per gli effetti del riscaldamento climatico sul sistema agricolo nazionale: a lanciarlo, in un’intervista a “Eglise d’Asie”, è mons. Theotonius Gomes, presidente della Caritas locale e referente per le questioni climatiche presso la Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc). “Il riscaldamento climatico – sottolinea mons. Gomes – rende incerta l’opera degli agricoltori: i cicloni si fanno più violenti, più frequenti, più imprevedibili; le inondazioni perdurano; le terre coltivabili vanno perdute ed i contadini sono costretti a spostarsi altrove”. Tuttavia, continua il presule, “il Bangladesh è già un Paese densamente popolato e tale migrazione interna finisce per accrescere le difficoltà locali”. A tutto questo si aggiunge “uno sviluppo economico ed industriale” i cui eccessi negativi finiscono per ripercuotersi sulla popolazione.
Ciascuno sia responsabile della salvaguardia del Creato
Inoltre, in attesa dell’Enciclica di Papa Francesco sull’ecologia, di imminente pubblicazione, mons. Gomes sottolinea l’importanza dell’ecologia umana, del “dovere, per ogni persona, di prendersi cura non solo degli altri esseri umani, ma anche di ogni essere vivente sul pianeta e del pianeta stesso”. Esiste, infatti, “una comunione tra noi ed il nostro ambiente” e “l’uomo è chiamato a non cercare di ricavare sempre e solo il profitto dalla Creazione”, perché sia l’essere umano che il Creato stesso sono immagine di Dio. Di qui, l’invito del presule alla “responsabilità ed al dovere di rispettare tutto ciò che si trova sulla terra”, nell’ottica non del mero utilizzo, ma del “rispetto”. “Ciascuno – ribadisce mons. Gomes – deve fare la sua parte nella salvaguardia della vita del pianeta”.
Cop21: riflessione sia globale sullo sviluppo della persona umana
Interrogato, poi, sugli auspici per il Cop21, ovvero la conferenza internazionale sul clima che si terrà a Parigi il prossimo dicembre, il presidente di Caritas Bangladesh ribadisce che è dovere dei responsabili religiosi esortare ad “una riflessione più globale sulle finalità dello sviluppo della persona umana e delle nazioni”, affinché non si fermi soltanto all’aspetto economico ed industriale. È essenziale, inoltre, aggiunge il presule, che “i responsabili religiosi parlino con una sola voce su tali argomenti”. “Riguardo al dibattito sull’ecologia – conclude mons. Gomes – è necessario dialogare sia a livello religioso che culturale”, cosa che sarà possibile grazie alla creazione, in seno alla Fabc, di “un Ufficio specificamente incaricato di questioni legate al cambiamento climatico”. La riunione preparatoria di tale organismo si terrà a Manila il 2 e 3 luglio prossimi. (I.P.)
Vescovi slovacchi promuovono sondaggio sulla libertà religiosa
Avete sperimentato qualche forma di discriminazione in materia di obiezione di coscienza? Avete incontrato qualche forma di intolleranza a causa della vostra fede religiosa? Avete sperimentato una limitazione del vostro diritto come genitori di educare i figli in conformità con la vostra confessione religiosa? Queste e molte altre domande si possono trovare in un questionario sulla libertà religiosa preparato e distribuito dalla Conferenza episcopale slovacca in collaborazione con l’Istituto per i diritti umani e le politiche per la famiglia (Human rights and Family policy Institute).
Raccogliere informazioni su persecuzioni religiosi
Il suo scopo — riferisce l’agenzia Sir — è quello di raccogliere informazioni su qualsiasi forma di persecuzione degli abitanti della Slovacchia a motivo del loro credo religioso.
Il questionario è stato distribuito nei giorni scorsi in tutte le parrocchie cattoliche del Paese ed è anche disponibile sul sito della Conferenza episcopale: www.kbs.sk. I risultati dovrebbero essere raccolti entro la fine di maggio. “Nel caso in cui abbiate incontrato qualche forma di discriminazione religiosa o intolleranza nei confronti dei fedeli — si legge nella lettera che invita tutti quanti a contribuire a una “mappatura” della situazione in Slovacchia — vi chiediamo di informarci a riguardo”. Il periodo di riferimento sono gli anni 2014 e 2015.
Qualità dei testi sulla religione, priorità della nuova evangelizzazione
Intanto, per la prima volta, il prossimo anno scolastico vedrà la pubblicazione a livello nazionale di nuovi libri di religione per gli studenti delle scuole primarie e secondarie del Paese. L’iniziativa viene dalla Commissione per la catechesi e l’educazione della Conferenza episcopale. Secondo Marek Cimbal, del Centro pedagogico e catechistico, la qualità di questi testi per l’insegnamento della religione cattolica è senza dubbio una priorità nell’area della nuova evangelizzazione, indirizzata soprattutto a “sviluppare il sistema di catechesi nelle scuole, che è molto importante nella nostra società”.
L’anno prossimo nuovi libri di religione per le scuole in Slovacchia
Nei prossimi mesi, e comunque prima del prossimo anno scolastico, saranno pubblicati due tipi di libri, uno per i cattolici di rito latino e uno per i greco-cattolici. Sono in corso colloqui con il ministero della pubblica istruzione — ha sottolineato mons. Bernard Bober, arcivescovo di Košice e presidente della Commissione episcopale per la catechesi — per trovare il modo migliore di distribuire questi nuovi materiali a tutte le scuole primarie e secondarie in Slovacchia.
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 151