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Sommario del 30/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Treno dei bambini. Francesco: solo Gesù vi fa volare liberi

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Siate ragazzi capaci di volare liberi con l’aiuto di Gesù, perché lontani da lui rischiate di avere il cuore “di ghiaccio e pietra”. È l’augurio che Papa Francesco ha rivolto ai circa 200 ragazzi giunti per la terza volta in Vaticano con il “Treno dei bambini”. L’iniziativa, organizzata dal “Cortile dei Gentili”, è rivolta a minori in situazioni disagiate, figli e figlie di detenuti e detenute provenienti da Roma, Civitavecchia, Latina, Bari e Trani. Quest’anno, il tema dell’appuntamento è stato il “Volo”, un modo per alleggerire la quotidianità di piccoli che vivono separati dai genitori. Il servizio di Alessandro De Carolis

Sono usciti dal treno volando in braccio a Papa Francesco. Perché questo hanno proposto gli organizzatori del viaggio di quest’anno ai loro piccoli passeggeri: “volare via”, più in alto della gabbia della sofferenza che ogni giorno rinchiude e soffoca con la sua tristezza – per questi piccoli indecifrabile, ingestibile – vite che dovrebbero altrimenti poter librarsi leggere proprio come il chiasso allegro e gli aquiloni con i quali i bambini colorano l’Aula Paolo VI, sventolandoli davanti a un Papa molto partecipe e paterno:

Papa: Ditemi: è vero quello che ha detto la signora, Patrizia, che avete volato oggi?
Bambini: Sì!
Papa: Non ci credo!
Bambini: Sì!
Papa: Uno che mi spieghi… Come si vola?
Bambino: con i sogni!
Papa: Con i sogni! E cosa si sogna? Tutto quello che tu vuoi! Che bello! E se tu vuoi andare a trovare il tuo papà, la tua mamma, tua zia, lo zio, il nonno, la nonna, gli amici, tu puoi andare volando con la fantasia…

Il cuore di ghiaccio non sogna
Il dialogo tra Francesco e i bambini del treno che per un giorno li ha fatti volare è tutto così, un botta e risposta spontaneo e velocissimo. E leggero come le verità più profonde della vita spiegate a ragazzi che si godono una giornata d’infanzia, scavata fra giorni dove non invece si vola mai, perché mamma o papà non sono vicini, sono chiusi in carcere, e allora non c’è tempo per guardare troppo il cielo, quella casa dove volano anche i sogni:

Papa: Questa domanda è difficile, pensateci bene. Un bambino, un ragazzo, una ragazza che non riesce a sognare, come è?
Bambini: E’ brutta! … E’ infelice!
Papa: Non sento?
Bambini: E’ infelice!
Papa: Infelice! Perché sognare ti apre le porte della felicità. Invece chi non sogna è chiuso, ha il cuore come?
Bambini: Spezzato?
Papa: Con il cuore chiuso…
Card. Comastri: Come ghiaccio?
Papa: Come il ghiaccio! Ghiacciato! E’ così.
Bambino: è come una pietra.

Gesù aiuta a volare
Quando sogni, “sogni tutto quello che vuoi tu”, dice un ragazzino, e queste parole toccano i più grandi, sembrano fatte insieme di aria e di piombo. Francesco abbraccia con lo sguardo i bambini che gli si muovono vicino e spiega perché può succedere che un cuore diventi di ghiaccio o di pietra:

Papa: Tu dimmi… Tu, quando uno ha la possibilità che il cuore diventi un ghiaccio o una pietra?
Bambino: Quando non sogniamo!
Papa: Quando non sogniamo, quando non preghiamo!
Bambino: E quando non ascoltiamo la parola…
Papa: Quando non ascoltiamo… Dillo forte! Vieni, vieni… Tu hai detto una cosa bellissima! Dillo qui a tutti. Il cuore diventa pietra o ghiaccio quando?
Bambina: Quando non ascoltiamo la Parola di Dio e di Gesù!
Papa: Sei stata brava! Sei stata brava! Sì, anche tu.
Papa: Benissimo. Non dimenticare questo: volare con i sogni…
Bambino: Non smettere mai di sognare!
Papa: Come?
Bambino: Non smettere mai di sognare!
Papa: Non smettete mai di sognare! Anche – come ha detto lei – di ascoltare la Parola di Gesù, perché ascoltando la Parola di Dio uno si fa grande,  allarga il cuore e ama tutti”.

Frutti di giustizia e verità
Il cardinale Comastri è accanto al Papa mentre i bambini a un certo punto portano a Francesco delle cose, una candela, un cero. Uno gli porta una poesia per Gesù. Le parole del piccolo diventano grandi, l’impegno per una vita che – come in coro tutti hanno detto un attimo prima al Papa – vuole “sognare e volare sognando”:

“Amico Gesù, che volesti essere chiamato amico dei peccatori, per mistero tua morte e resurrezione, donami la tua pace e liberami dai miei peccati, perché io ti porti frutti di carità, giustizia e verità”.

Grande l’effervescenza dei bambini durante il viaggio in treno che li ha condotti all’incontro con Papa Francesco. La descrive il nostro inviato a bordo, Fabio Colagrande:

 “Vogliamo andare dal Papa, vogliamo andare dal Papa, vogliamo andare dal Papa…!”

Ma tutta questa accoglienza è per noi?”. Una ragazza barese guarda stupita dal finestrino dell’Etr-600 Frecciargento giunto alle 10.05 – dopo 4 ore di viaggio – alla Stazione vaticana proveniente da Bari. E’ una dei tanti figli di detenuti delle case circondariali di Bari e Trani arrivati in Vaticano per incontrare Papa Francesco grazie alla terza edizione del “Treno dei bambini”, iniziativa organizzata, tramite il Cortile dei Gentili, dal dicastero della Cultura. Circa 300 bambini pugliesi, coi loro familiari, si sono uniti ai loro coetanei figli dei detenuti del carcere romano di Rebibbia e ai loro accompagnatori – per un totale di circa 500 persone – per essere ricevuti in modo informale dal Papa nell’atrio dell’Aula Paolo VI. Padre Raffaele Lacarne, frate minore cappuccino, è il cappellano della Casa circondariale di Bari:

“Ci sono persone che hanno bisogno realmente di misericordia e di speranza – proprio quest’anno il Papa ha indetto l’Anno della Misericordia. Sono persone che non hanno bisogno di discorsi tecnici, sociologici o psicologici: sono persone che hanno bisogno di sentirsi amate da qualcuno. Questo Papa, che lo Spirito santo ha voluto oggi nella Chiesa, ha questo carisma, di farti sentire realmente amato da Gesù Cristo attraverso la sua persona”.

Per minori che provengono da realtà fatte di separazione dai genitori, solitudine, difficoltà economiche, faide famigliari, e per i loro parenti è una giornata di festa, ma soprattutto un’occasione per recuperare la dignità e abbattere lo stigma che grava sui detenuti e le loro famiglie. Lidia De Leonardis è il direttore della Casa Circondariale di Bari:

“Credo che per coloro che sono reclusi, per quanto possano anche aver sbagliato, il senso più grande è quello alle volte dell’abbandono e della solitudine, cioè sentirsi  lontani da tutto e da tutti. E quindi avere la possibilità di avere un contatto con l’esterno – e anche con chi può dar loro anche la possibilità di parlare, di ascoltare le loro ragioni – è fondamentale e importante per non sentirsi soli e per sentirsi riconosciuti come esseri umani e dare anche una prospettiva in futuro di un inserimento sociale”.

Per molti di loro, è stato il primo viaggio in treno e sicuramente il primo incontro con il Papa. Durante il percorso, sui vagoni del Frecciargento, era difficile gestire la disciplina dei piccoli, per l’eccitazione e l’ansia di incontrare Francesco. E altrettanto hanno faticato i gendarmi vaticani non abituati all’irruenza degli adolescenti. Clima di grande festa, dunque, ma anche, a tratti, di sottile malinconia, a ricordarci delle vite difficili di  persone che proprio per questo sono state ospiti d’onore oggi in Vaticano. Michele Elia è l’amministratore delegato del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane:

“Siamo ospiti noi su questo treno, come i ferrovieri, e i veri protagonisti sono tutti bambini con le loro mamme, i loro accompagnatori, i nostri colleghi ferrovieri, che sono degli angeli custodi che tengono il treno perfetto. E’ una festa, una bellissima festa alla quale noi non vogliamo mai rinunciare”.

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Papa: difendere sempre la vita, del concepito come dell'immigrato

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Il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, quella del concepito, come quella dell’anziano, quella dell’immigrato come quella dell’affamato o del lavoratore: è quanto ha detto Papa Francesco ai partecipanti all'incontro promosso da “Scienza e Vita”, in occasione del decennale dell’associazione. Il servizio di Sergio Centofanti

Scienza sia sempre un sapere a servizio della vita
In una società “segnata dalla logica negativa dello scarto” – afferma il Papa – “l’amore di Cristo ci spinge a farci servitori dei piccoli e degli anziani, di ogni uomo e ogni donna, per i quali va riconosciuto e tutelato il diritto primordiale alla vita”:

“E’ la vita nella sua insondabile profondità che origina e accompagna tutto il cammino scientifico; è il miracolo della vita che sempre mette in crisi qualche forma di presunzione scientifica, restituendo il primato alla meraviglia e alla bellezza. Così Cristo, che è la luce dell’uomo e del mondo, illumina la strada perché la scienza sia sempre un sapere a servizio della vita. Quando viene meno questa luce, quando il sapere dimentica il contatto con la vita, diventa sterile”.

E' attentato alla vita l'aborto come lasciar morire gli immigrati
“La scienza sia veramente al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio della scienza” è dunque l’invito di Papa Francesco e ribadisce: “una società giusta riconosce come primario il diritto alla vita dal concepimento fino al suo termine naturale”. “Il grado di progresso di una civiltà – ha aggiunto - si misura proprio dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili, più che dalla diffusione di strumenti tecnologici”. Quindi, elenca “gli attentati alla sacralità della vita umana”:

“È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente”. 

Dialogo con i non credenti
Papa Francesco esorta “a rilanciare una rinnovata cultura della vita, che sappia instaurare reti di fiducia e reciprocità e sappia offrire orizzonti di pace, di misericordia e di comunione”:

“Non abbiate paura di intraprendere un dialogo fecondo con tutto il mondo della scienza, anche con coloro che, pur non professandosi credenti, restano aperti al mistero della vita umana”.

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L'abbraccio di Papa Francesco ai bimbi malati, "piccoli eroi della vita"

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Il mistero della sofferenza e la tenerezza di Dio al centro del commovente incontro di Papa Francesco, ieri pomeriggio, nella Cappella di Casa Santa Marta, con una ventina di bambini gravemente ammalati, accompagnati dai loro genitori e da alcuni volontari dell’Unitalsi. Al termine dell'incontro, il Papa si è trattenuto con ogni bimbo e i genitori. Toccante la testimonianza del padre di un piccolo malato, fatto nascere nonostante i medici avessero consigliato l'aborto. Il servizio di Fausta Speranza

E' la bimba di nome Mascia a ringraziare il Papa ricordando il loro precedente incontro il 31 maggio del 2013, sempre a Santa Marta. Assicura che tutti hanno pregato molto per il Papa, come lui aveva chiesto loro, con un toccante pensiero a chi non c'è più. Le parole di Mascia

“Caro Papa Francesco, rieccoci qui per la seconda volta. Sinceramente non pensavo proprio di poterti rivedere faccia a faccia Stasera conosci tanti altri bambini nuovi, quelli dell’altra volta sono a casa e qualcuno in cielo.”

L’abbraccio di Papa Francesco ai bambini, ai loro genitori e poi quella domanda: “Signore, perché soffrono i bambini?”. Il Papa spiega che, come per il Mistero della Trinità e quello dell’Eucaristia, non abbiamo risposta, non c’è spiegazione; dobbiamo chiamare Dio come si chiama il papà:

“Non abbiate paura di chiedere, anche di sfidare il Signore. 'Perché?'. Forse non arriverà alcuna spiegazione, ma il Suo sguardo di Padre ti darà la forza per andare avanti ... L’unica spiegazione che potrà darti sarà: 'Anche mio Figlio ha sofferto'. Ma quella è la spiegazione. La cosa più importante è lo sguardo. E la vostra forza è lì: lo sguardo amoroso del Padre. 'Ma Lei che è Vescovo – voi potete fare la domanda – che ha studiato tanta teologia, non ha niente di più da dirci?'. No ... soltanto si può entrare nel mistero se il Padre ci guarda con amore". 

Poi parole di straordinaria semplicità da parte di Papa Francesco:

“Io davvero non so cosa dirvi perché ho tanta ammirazione per la vostra fortezza, per il vostro coraggio. Tu hai detto che ti hanno consigliato l’aborto. Hai detto: ‘No, che venga, ha diritto a vivere’. Mai, mai si risolve un problema facendo fuori una persona. Mai. Questo è il regolamento dei mafiosi. Io vi accompagno così come sono, come sento. E davvero io non sento una compassione momentanea, no. Io vi accompagno con il cuore in questa strada, che è una strada di coraggio, che è una strada di croce, ed anche una strada che a me fa bene, il vostro esempio. E vi ringrazio di essere così coraggiosi ... Voi siete dei piccoli eroi delal vita”.

Nelle parole del Papa anche una raccomandazione che torna spesso: no alla cultura dello scarto.

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Pubblicato il programma della visita del Papa a Torino

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La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato il programma della visita pastorale di Papa Francesco a Torino, il 21 e il 22 giugno prossimi.

Domenica, dopo l’arrivo all’aeroporto di Caselle, il Papa si trasferirà in auto a Piazzetta Reale, dove incontrerà il mondo del lavoro. Quindi, entrerà a piedi in Cattedrale e pregherà davanti alla Sindone, sostando brevemente davanti all’altare del Beato Pier Giorgio Frassati. A metà mattinata, Francesco sarà in Piazza Vittorio per la concelebrazione eucaristica: qui terrà l’omelia e reciterà l’Angelus. A seguire, si trasferirà in auto in arcivescovado, dove pranzerà con i giovani detenuti del carcere minorile “Ferrante Aporti”, alcuni immigrati e senza fissa dimora e una famiglia rom.

Nel primo pomeriggio, si recherà al Santuario della Consolata, per una visita e per pregare in privato. Tappa successiva, la Basilica di Maria Ausiliatrice, per l’incontro con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice: sul piazzale antistante il Papa saluterà i giovani educatori e animatori degli oratori. A seguire, il Pontefice raggiungerà in auto la Chiesa del Cottolengo, dove abbraccerà gli ammalati e i disabili. Poi, di nuovo in Piazza Vittorio, per l’incontro con i giovani. Infine il rientro in arcivescovado per la sera.

Lunedì 22, il primo appuntamento sarà al Tempio Valdese, quindi farà rientro in arcivescovado dove, in forma strettamente privata, Francesco incontrerà alcuni suoi familiari per i quali celebrerà la Messa e pranzerà con loro. Prima di lasciare l’arcivescovado, il Papa riceverà brevemente i membri del Comitato dell’Ostensione, gli organizzatori e i sostenitori della visita nel capoluogo piemontese. Trasferendosi poi all’aeroporto di Torino Caselle, lungo il percorso, riceverà il saluto dei giovani dell’"Estate Ragazzi". Infine il decollo con il rientro allo scalo di Roma Ciampino, previsto per le 17.30, e a seguire il trasferimento in auto in Vaticano.

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Altre udienze e nomine

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il Card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi, e Mons. Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, O.F.M., Arcivescovo di Trujillo (Perú).

Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Espinal (Colombia) S.E. Mons. Orlando Roa Barbosa, finora Vescovo titolare di Nasbinca ed Ausiliare di Ibagué (Colombia). S.E. Mons. Orlando Roa Barbosa è nato a Cali il 4 luglio 1958. Ha compiuto gli studi ecclesiastici di Filosofia nel Seminario maggiore di Garzón, e quelli teologici nel Seminario maggiore di Ibagué. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma e la Licenza in Filosofia e Scienze Religiose presso l’Universidad Católica de Oriente in Rionegro (Colombia). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 6 dicembre 1984 per l’arcidiocesi di Ibagué. Come sacerdote ha svolto i seguenti incarichi: Prefetto per la disciplina nel Seminario minore di Ibagué, Delegato arcidiocesano per la pastorale giovanile e vocazionale, Parroco di Santa Isabel de Hungría a Santa Isabel, Parroco di Santa Gertrudis a Rovira, Parroco di El Perpetuo Socorro a Ibagué, Delegato arcidiocesano per la Pastorale sacerdotale e Rettore del Seminario maggiore arcidiocesano María Inmaculada. Il 12 maggio 2012 è stato nominato Vescovo titolare di Nasbinca ed Ausiliare di Ibagué. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 28 luglio successivo.

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Varanasi (India), il Rev. Eugene Joseph, del clero di Varanasi e Amministratore diocesano della medesima Sede. Il Rev.do Eugene Joseph è nato l’8 ottobre 1958, nell’arcidiocesi di Madurai. Ha studiato Filosofia e Teologia presso il St. Charles Seminary, Nagpur, come seminarista di Varanasi. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha conseguito un Bachelor in Education dalla Gorakhpur University, Varanasi, un Masters in Inglese dal Mahatma Gandhi K.V. University, Varanasi, ed un Masters in Business Administration dal Townsend School of Business, New York, U.S.A. È stato ordinato sacerdote il 10 aprile 1985 per la diocesi di Varanasi. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1985-1989: Vicario parrocchiale di St. Thomas Parish, Shahganj, e docente presso l’annesso St. Thomas Inter-College; 1989-1990: Vice Rettore del Seminario minore diocesano; 1990-1997: Principal del St. John Inter-College, Varanasi; 1997-2001: Parroco di Our Lady of Lourdes Parish, Ghazipur; Vicario Foraneo della Ghazipur Deanery; Principal di St. John Inter-College, Ghazipur; Membro del Governing Board dell’Education Society della diocesi di Varanasi; Membro del Consiglio per gli Affari Economici e Consultore diocesano; 2001-2005: Direttore del Regional Pastoral Centre della Conferenza Episcopale Regionale, con sede a Varanasi, e Principal del Nav Sadhana College, Varanasi; 2006-2008: Studi per il Master’s Degree in Business Administration and Management alla Townsend School of Business di New York, U.S.A.; 2008-2012: Direttore dell’Ospedale diocesano St. Mary’s Hospital, Varanasi, e Direttore della St. Mary’s School of Nursing, Varanasi, da lui stesso fondata; 2012-2013: Vicario Generale e Segretario dell’Education Society della Diocesi di Varanasi. Dal dicembre 2013 è Amministratore diocesano di Varanasi.

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Tweet: “Signore, donaci la grazia dello stupore dell’incontro con Te”

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Papa Francesco ha pubblicato un nuovo tweet sull’account @Pontifex: “Signore, donaci la grazia dello stupore dell’incontro con Te”.

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Morti 17 immigrati, ma salvati in oltre 4.000. Vegliò: quote non umane

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“Il sistema delle quote per i migranti non è umano”. Così il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, boccia le recenti decisioni dell’Europea in materia di flussi. Intanto negli ultimi due giorni oltre 4.200 persone, provenienti dalla Libia, sono state salvate nel Mediterraneo: 17 purtroppo i morti. Massimiliano Menichetti: 

Uomini, donne e bambini che rischiano la vita senza acqua né cibo, stipati su “carrette del mare” in cerca di una possibilità per vivere. E’ un dramma che non si ferma per la guerra in Siria, in Iraq, la destabilizzazione dell’area mediorientale ed in Africa. Ieri nel Mediterraneo sono stati salvati 4.243 migranti in 17 operazioni di soccorso che hanno impegnato le unità navali del dispositivo Triton, ma anche mercantili dirottati in direzione di gommoni e barconi in difficoltà. Oggi l'arrivo in Italia di circa duemila profughi. L'orrore ieri si è consumato davanti alle coste della Libia dove la nave Fenice, della Marina Militare italiana, ha trovato 17 cadaveri a bordo di un gommone sul quale viaggiavano in 234. Le vittime potrebbero essere morte di stenti o calpestate nel tentativo di conquistare un posto, ora si cercherà di ricostruire l'accaduto. In questo scenario mentre l’Europa ha varato il sistema delle "quote di accoglienza" e pensa a metodi per fermare i trafficanti, il premier italiano Renzi chiede più risorse. Al microfono di Benedetta Capelli, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, boccia "le quote" e ribadisce che serve un piano concreto e non misure emergenziali:

R. - Sono sempre del parere che l’Europa finora non abbia mai avuto un programma per le immigrazioni. E’ sempre stata lì a rattoppare le urgenze. Adesso hanno fatto le quote per i rifugiati ed io trovo questa decisione veramente poco umana e poco cristiana. L’immigrazione è un problema che bisogna affrontare non nell’emergenza: bisogna avere un programma. Questa, infatti, è una realtà che c’è e ci sarà sempre di più. Quali sono le cause delle immigrazioni e le cause dei rifugiati? Per le migrazioni, la povertà; per i rifugiati, le guerre. Finché ci saranno povertà e guerre nulla cambierà.

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Oltre la Leggenda nera. La verità sul Vaticano e il nazismo

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Pio XII e la Chiesa del suo tempo non favorirono la fuga dei criminali nazisti. Un lungo e documentato studio demolisce tesi false rivelatesi, alla luce della verità storica, menzogne ideologiche. Si intitola “Oltre la Leggenda nera” e porta la firma dello storico Pier Lugi Guiducci il libro edito da Mursia e presentato ieri pomeriggio presso la sede della nostra emittente. Il servizio di Paolo Ondarza

Un approfondito studio tra gli archivi internazionali – quello condotto da Pier Luigi Guiducci – per sfatare la "leggenda nera" secondo la quale la Chiesa di Pio XII avrebbe favorito la fuga dei criminali nazisti. Niente di più falso, attestano i documenti: esponenti del Terzo Reich si infiltrarono sì tra i profughi, ma in alcuni casi con l’appoggio degli Alleati che li utilizzarono come spie in Unione Sovietica, ma a insaputa di organizzazioni legate alla Chiesa impegnate nei soccorsi umanitari. Lo storico Pier Luigi Guiducci traccia una mappa dettagliata dei luoghi in cui i criminali nazisti trovarono rifugio e l’elenco dei comuni che rilasciarono loro documenti falsi:

R. – Moltissime affermazioni contro la Chiesa cattolica, i suoi esponenti, sono sbagliate, cioè non risultano, non ci sono i riscontri. Ci sono moltissimi silenzi su realtà che invece sono estremamente importanti. In particolare, noi dobbiamo distinguere tra quello che è stato il movimento dei profughi e quelle che sono state le fughe dei criminali nazisti. Il movimento dei profughi fu di migliaia e migliaia di persone e fu sostenuto, aiutato, accompagnato dalle opere caritative della Chiesa. Poi, c’è stato un gruppo di criminali, nazisti e loro alleati, i quali hanno avuto mezzi, persone, complici, conoscenze e soprattutto denaro, attraverso il quale hanno avuto la possibilità di sfuggire alla ricerca che veniva fatta loro da parte degli organi di giustizia.

D. – Perché allora la "leggenda nera"? Perché tante false verità?

R. – Perché fondamentalmente si è creata una situazione di tipo più ideologico che storico. Coloro che non erano favorevoli alla Chiesa, come i sovietici e i loro alleati – c’era l’ateismo – incominciarono a creare una serie di "leggende nere" per mettere in difficoltà chi non parlava bene del comunismo. E tra coloro che non parlavano bene c’era ovviamente anche il Pontefice, che ricordava tutti gli eccidi che c’erano stati subito dopo la Seconda Guerra mondiale.

D. – Ma oggi i tempi sono maturi per la verità storica?

R. – Gli storici sono cambiati, cioè sono meno ideologici, perché ci si allontana dal 1945 – sono passati 70 anni – perché c’è un dialogo tra cattolici ed ebrei, perché c’è una conoscenza internazionale che prima non c’era. Molti non conoscono questa verità perché sono stati coinvolti da persone che sono state registi o scrittori i quali si sono occupati di questa "leggenda nera", la famosa "Operazione Odessa", e hanno guadagnato moltissimo su queste cose: hanno parlato di omicidi, di dinamiche segrete, di nebbie, di segreti che non si possono rivelare... Però, tutto questo con il tempo piano piano viene meno.

Sarebbe un mancato servizio alla storia presentare la Chiesa come asservita ai criminali, spiega il gesuita padre Peter Gumpel, relatore della Causa di beatificazione di Papa Pacelli e autore della prefazione del testo che sfata ogni insinuazione circa una presunta connivenza a Genova del cardinale Siri con la fuga dei nazisti:

R. – Non c’è una sola prova, nemmeno una, che la Curia di Genova, il cardinale Siri e i suoi assistenti abbiano consapevolmente voluto salvare un solo criminale di guerra. Quindi, questi attacchi sono fuorvianti, sono ingiusti. Non stupisce il clima generale di certe parti che sono contro la Chiesa cattolica, ma attenzione quando vengono fatte queste affermazioni: si deve fare molta attenzione a distinguere ciò che storicamente è certo. Un’altra cosa sono le affermazioni di cose campate in aria, accuse fatte. Dove sono le prove? Non esistono.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Misura della civiltà: il Papa ricorda che una società giusta riconosce il diritto alla vita dal concepimento fino al termine naturale.

Liberi come farfalle: il Pontefice incontra i figli di detenuti.

Spine dorsali di comunità devastate: Silvia Gusmano sul seminario internazionale "La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi" organizzato da "donne chiesa mondo", mensile dell'Osservatore Romano, e stralci dagli interventi di Claude Habib e Nicole Janigro.

Buongustai (o forse ghiottoni): Luigi F. Pizzolato su Clemente di Alessandria e l'Expo di Milano.

Un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo "Uno squarcio nel buio": il Vangelo secondo Caravaggio.

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Oggi in Primo Piano



Gli Usa cancellano Cuba da lista Paesi sponsor del terrorismo

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E' ufficiale: gli Stati Uniti hanno cancellato Cuba dalla 'lista nera' dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo internazionale. La decisione, già presa dal presidente Obama il 14 aprile, è divenuta operativa al termine dei 45 giorni di tempo entro i quali il Congresso americano avrebbe potuto sollevare obiezioni. Dell’assenza di opposizione tra i politici statunitensi al passo decisivo verso piene relazioni diplomatiche tra Usa e Cuba e dei prossimi passi, Fausta Speranza ha parlato con Daniele de Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. – Pensavo che comunque il Congresso, che non è particolarmente favorevole al presidente Obama, sollevasse qualche questione quantomeno di opportunità. Invece il Congresso ha capito il momento storico, ha capito probabilmente quanto Cuba stia cambiando e sia cambiata in questi anni e quindi ha dato la cancellazione di Cuba dalla “lista nera” – chiamiamola così – degli Stati Uniti stessi.

D. – Il contesto è quello dell’embargo, ma ci sono stati episodi e spunti precisi per la decisione nel 1982 di inserire Cuba nella “lista nera”...

R. – Cuba è sempre stata considerata una breccia aperta all’interno della cosiddetta “Dottrina Monroe”, quella dottrina cioè che vedeva gli Stati Uniti avere – chiamiamola così – una certa influenza sull’America Latina. L’arrivo della Cuba castrista nel ’59 ha aperto questa breccia e sollevato il timore, da parte degli Stati Uniti, che ci fosse una diffusione del virus comunista. Però effettivamente Cuba entra nella cosiddetta “lista nera” soltanto nell’82, quando i cubani appoggiano alcune iniziative in America Latina, ma anche fuori dall’America Latina. Penso, per esempio, all’appoggio dato ai gruppi separatisti baschi in Spagna; gruppi separatisti non politici, ma militanti e quindi considerati dalla Spagna stessa come dei terroristi, e dall’Europa stessa come terroristi. Ma anche e soprattutto – ripeto – all’interno dell’America Latina: gli inizi degli anni Ottanta rappresentano un momento particolare della storia dell’America Latina, perché alcuni Paesi hanno una svolta verso il marxismo. Ci sono state nazioni come il Nicaragua, per esempio, che ha fatto determinate scelte e molte di queste scelte vengono interpretate dal Dipartimento di Stato e dalla Casa Bianca come scelte determinate da una fortissima influenza di Cuba. C’erano state anche altre intromissioni nella politica estera di altri Paesi: penso al Congo, penso allo Yemen in anni molto precedenti… E questo aveva irrigidito ulteriormente la posizione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca.

D. – Tutti passi in vista della riapertura delle ambasciate. Si possono immaginare dei tempi?

R. – Considerando come stanno andando le cose, non me la sento di fare una previsione, perché potrebbero essere anche brevi. L’apertura di una ambasciata o comunque di un ufficio diplomatico ha, per se stesso, dei tempi comunque abbastanza lunghi, anche nei Paesi che si riconoscono già da un po’ di tempo. C’è tutta una trafila diplomatica che deve essere seguita. In questo caso, i tempi potrebbero essere più lunghi, perché si tratta appunto di Cuba. Ma potrebbe essere che  – giusto per dare un ulteriore segnale dell’apertura – potrebbero essere saltati alcuni passaggi, in maniera legale, naturalmente.

D. – Possiamo dire già qualcosa delle ripercussioni su tutta l’area di questi nuovi rapporti tra Cuba e Stati Uniti?

R. - Già da un po’ di tempo le cose erano cambiate. I turisti americani arrivavano a Cuba e questo vuol dire che già l’economia cubana aveva un supporto economico con l’ingresso di denaro fresco e soprattutto di dollari. Nell’area, la questione di Cuba era una questione che ormai era stata superata da tempo: i governi che si erano alternati, negli anni, nei Paesi dell’America Latina avevano quasi tutti avuto sempre rapporti con Cuba. Gli anni più intensi della Guerra Fredda erano passati da tempo. Gli anni Settanta soprattutto, quando c’erano regimi militari che avevano preso il potere in maniera sanguinosa in America Latina e che erano sicuramente, se non sponsorizzati, certamente guardati con favore dagli Stati Uniti. Quel tempo è passato! Quindi il ritorno di Cuba c’era già stato da un po’ di tempo e devo dire che la personalità di Raoul Castro è stata assolutamente determinante nella nuova politica dell’isola caraibica.

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"Emergenza sorrisi", medici volontari operano bimbi in Benin

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Sono più di 60 i bambini che hanno ritrovato il sorriso grazie all’ultima missione di "Emergenza Sorrisi", l’Ong che dal 2007 opera  piccoli pazienti con difficoltà di accesso alle cure in Paesi disagiati. Una équipe è da poco tornata dal Benin. Maria Cristina Montagnaro ha chiesto a Giampaolo Tartaro, che ha preso parte alla missione, quale sia la situazione trovata nel Paese: 

R. – Sicuramente, un Paese estremamente povero. Avviandoci verso l’ospedale vedevamo però palazzi estremamente lussuosi e accanto le baracche e attraversavamo strada in cui c’è ancora la terra… Come al solito, c’è la "A" e la "Z" e noi abbiamo visto pazienti soprattutto con la "Z", pazienti cioè che non hanno un sostegno economico. E’ una situazione abbastanza triste. Però, è un popolo molto dignitoso: rispetto alle altre missioni, questo è un popolo molto, molto dignitoso. E i bambini sono molto pronti a essere aiutati.

D. – Quanti bambini avete operato?

R. – Nell’ultima missione abbiamo operato 62 bambini affetti sia da labiopalatoschisi, sia da tumori, sia anche da malformazione più gravi. Abbiamo operato un bambino a cui mancava una parte del naso, aveva l’occhio completamente spostato. Abbiamo operato dei tumori recidivanti, ma anche molti esiti di ustioni, perché – bisogna ricordare – che queste povere persone cucinano ancora con il fuoco da terra e quindi molto spesso i bambini, giocando, possono cadere nella cenere e ustionarsi.

D. – Voi vi rivolgete in particolare ai bambini, per quale motivo?

R. – Posso raccontarle una cosa che è successa in questa missione. Abbiamo operato un bambino che la mamma aveva deciso di sopprimere: hanno trovato questa mamma che era disperata, ma Dio gli ha dato una nuova speranza. Abbiamo fatto rinascere fondamentalmente una famiglia. La mamma era molto contenta ed era molto commossa.

D. – Quando partirà di nuovo?

R. – Io vorrei partire sempre... Ma una volta l’anno sacrifico le mie ferie per fare queste missioni. Ricordiamo che noi siamo un onlus.

D. – Chi volesse sapere di più su ciò che fate e magari anche aiutarvi?

R. – In Internet c’è un sito, "www.emergenzasorrisi.it". E’ molto bello riuscire ad andare a fare queste missioni. Finora, abbiamo operato più di 3.200 bambini in queste cinque missioni. Abbiamo fatto un'enorme mole di lavoro e abbiamo portato alla popolazione locale tantissimi miglioramenti. Noi abbiamo trovato dei bambini in cui le labbra non sono chiuse, quindi hanno una fessurizzazione di tutta la parte centrale del volto.

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Denatalità: non basta superare la crisi, serve una nuova cultura

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In Italia ogni donna ha in media 1,39 figli, uno dei valori più bassi d'Europa. Il ministero della Salute ha presentato il Piano nazionale per la fertilità, per mettere il tema al centro delle politiche sanitarie ed educative. Oggi infatti il 20% delle coppie ha difficoltà a procreare e mancano informazione e prevenzione sull’argomento. Ma perché gli italiani mettono al mondo sempre meno figli? Eugenio Murrali lo ha chiesto a Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari: 

R. – Le motivazioni sono molto diverse. Verrebbe la tentazione di dire: per la crisi economica.  La crisi della natalità dal 1964 è progressiva, permanente. Il nostro è un Paese che si trova da anni sotto la soglia del ricambio, è all’ultimo posto per la natalità. Gli italiani hanno paura di fare figli, non hanno le condizioni per accogliere la nuova vita. Nel 1964 nascevano un milione di bambini, adesso ogni anno nascono poco più di 500 mila bambini con un forte contributo dei migranti. Quindi, insomma, lo scenario è davvero preoccupante: da declino demografico.

D. – Si è compiuto un vero e proprio rovesciamento antropologico. Oggi si pensa che dire "genitori giovani" equivalga a dire "genitori irresponsabili" …

R. - Stiamo derubando di un bel pezzo di vita attiva e di protagonismo le nuove generazioni. Basti pensare che i grandi inventori, gli innovatori e gli scopritori di Facebook, di Google, di Twitter, sono persone che hanno creato dai venti ai trenta anni, e noi guardiamo un ragazzo di 27-28 anni pensando che non possa prendere in mano la sua vita. Questa è proprio una gerontocrazia culturale del nostro Paese. Dovremmo restituire ai nostri giovani il protagonismo della propria vita, aiutandoli ad esser autonomi, presto, perché poi i 25, 30 anni sono l’età di maggiore fertilità. Questo significa avere una predisposizione alla genitorialità molto più fresca, una maggiore vicinanza all’età e ad un modo di essere genitori che diventa qualificante come progetto di vita. Quindi io non attribuisco di certo alla responsabilità dei giovani questo problema. È una società che spinge al ritardo, che lascia i giovani marginali anche dal punto di vista lavorativo. Quindi essere giovani e pensare di far famiglia mette insieme due marginalità del nostro Paese: bisogna che la politica li sostenga.

D. – La crisi economica, la precarietà, il crollo della fertilità: ma non manca forse anche un’ambizione ampia del “noi”?

R. – Dal punto di vista culturale, c'è il progressivo individualismo, un forte narcisismo, una forte difficoltà a pensare al progetto di coppia come a un’alleanza per sempre e anche il fatto che purtroppo la cultura contemporanea per molti ha rovesciato le regole. Fino a pochi anni fa nessuno avrebbe osato dire che un adulto ha diritto a un figlio. Non esisteva il diritto di un adulto ad avere un bambino, ma era chiarissimo che era il bambino ad avere diritto ai suoi genitori, quindi a un papà e a una mamma. Invece oggi la natura dei diritti è stata rovesciata e quindi la genitorialità  – che è un grande desiderio dell’umano – sta diventando un diritto. Quindi posso usare un bambino per il mio sogno, posso usare l’utero in affitto di una donna povera per aver un figlio… Il figlio è diventato un bene di consumo, anziché un grande compito, una grande responsabilità. Certo, dal punto di vista culturale occorre un grande lavoro per restituire l’idea della responsabilità genitoriale come un servizio al futuro.

D. – Oltre a tutelare la fertilità, evitando di bere alcolici e fumare, cosa si dovrebbe insegnare ai ragazzi nelle scuole per educarli alla bellezza della genitorialità?

R. – C’è una sorta di letteratura divulgata, di cattivo senso comune che parla del matrimonio come della fine dei giochi, come un posto dove si è meno liberi. Invece l’esperienza di coppia è una grande esperienza di libertà e di ricerca della felicità insieme a qualcun altro. Da soli si è meno felici, questo è anche un dato sociologico molto rilevato. Le persone che vivono in famiglie stabili hanno meno malattie, vivono più a lungo, hanno più indicatori di benessere e paradossalmente, nonostante questo, continuiamo a pensare che la felicità sia il progetto di un individuo solo. La libertà, si pensa, è come poter fare quel che si vuole senza compagni di viaggio. Questo riguarda la coppia. Poi dovremmo riuscire a raccontare nuovamente che la nascita di un figlio è l’esperienza più impressionante, più importante che qualunque essere umano possa fare, sia madre o padre, che quando si diventa genitori ci si rende conto che la vita è cambiata, si ha una responsabilità in più, ma si sta costruendo il futuro di un Paese, di se stessi, della propria stirpe. È bellissimo avere figli.

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Rom, il card. Vallini: si superi la logica dei campi

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L’incidente stradale provocato a Roma, mercoledì scorso, da tre giovani rom e costato la vita ad una donna filippina di 44 anni ha riacceso il dibattito sui campi rom. Il cardinale vicario Agostino Vallini, in un articolo che sarà pubblicato domani dal settimanale diocesano “Roma Sette”, sottolinea che tali campi non si giustificano se, di fatto, diventano definitivi. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Rispetto della  legalità, cultura dell’accoglienza e inclusione sociale. Sono queste le priorità indicate dal cardinale Agostino Vallini che, soffermandosi sull’incidente avvenuto a Roma, auspica anche il superamento della logica dei campi rom, comprensibili solo quando si rivelano “soluzioni di emergenza e temporanee”. Paolo Ciani, responsabile delle attività con rom e sinti della Comunità di Sant’Egidio:

“E’ evidente che non c’è una connessione tra un incidente stradale e i campi rom, ma chi l’ha voluta sollevare ha voluto rimestare in un problema molto sentito dalla popolazione. E’ evidente che non c’è connessione perché nei campi rom abitano anche tante persone per bene, che non c’entrano nulla con quell’incidente, che non delinquono. I campi rom non possono essere una soluzione abitativa perenne”.

Diversi politici concordi sulla chiusura dei campi rom
Anche diversi esponenti politici invocano la chiusura dei campi rom. Tra questi, in un’intervista rilasciata al “Messaggero”, il presidente del Pd, Matteo Orfini, che sottolinea come la gestione emergenziale di questi spazi abbia consentito infiltrazioni criminali:

“I campi furono realizzati in Italia negli anni Ottanta e si chiamavano campi nomadi perché c’era la concezione che si trattasse di popolazioni nomadi. Allora, queste popolazioni non erano più nomadi e non lo sono tantomeno oggi. E infatti queste popolazioni ormai abitano da decenni in questi campi. Non è che si può dire soltanto: bisogna chiudere i campi. Il problema è capire come”.

Contro i rom dichiarazioni inaccettabili
Per il cardinale Vallini, sono inoltre “inaccettabili e da condannare” le dichiarazioni di alcuni politici che innescano nella popolazione sentimenti di rifiuto e di disprezzo. Ancora Paolo Ciani:

“Per fare politiche serie di integrazione non bastano slogan positivi o negativi, ma bisogna fare la fatica di tirar fuori dai campi famiglia per famiglia e situazione per situazione e giungere a una integrazione positiva col tempo e con la fatica. Con gli slogan si crea soltanto più disprezzo, più distanza, e spesso gli slogan che abbiamo sentito in questi giorni sono veramente parole irresponsabili. Il problema della popolazione è che non va sobillata nei suoi istinti più bassi”.

Il vero volto dell'incidente avvenuto a Roma
L’incidente stradale avvenuto mercoledì scorso a Roma ha alimentato nuovi e vecchi pregiudizi e non ha portato a riflettere su aspetti rilevanti ed emblematici:

“L’incidente è avvenuto in quartiere, Primavalle, che come Sant’Egidio conosciamo molto bene. Non si è sottolineato un aspetto. La donna morta proveniva dalle Filippine e già da tempo era diventata cittadina italiana. Era perfettamente integrata nel nostro Paese ed era un pochino il volto della nuova città, della nuova società contro cui una parte della politica, e una parte dei seminatori di odio, hanno in questi anni parlato male e con disprezzo. Quella donna è il volto di una città che già esiste di cui bisogna prendere atto, da valorizzare, da rafforzare e non da strumentalizzare per fini politici”.

L'impegno dei rom per l'integrazione
E i volti di una città che già esiste sono quelli di tanti rom che cercano, ogni giorno, di percorrere la strada dell’integrazione:

“E’ evidente che ci sono tanti rom che ogni giorno compiono lo sforzo di una vita dignitosa, di una vita di lavoro, di una vita per portare avanti la famiglia. Ci sono, e l’abbiamo visto, dei rom che compiono delitti. Vanno assicurati alla giustizia ma non si può condannare un popolo a essere considerato un popolo di ladri”.

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Trento, il Festival dell'economia guarda a squilibri sociali

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La  forte disuguaglianza economica, l’assenza dei diritti sociali e politici per la maggior parte dei Paesi nel mondo, gli errori che hanno portato alla crisi economica, ma anche le opportunità per la futura crescita del paese. Sono questi alcuni dei temi su cui si soffermeranno i numerosi relatori internazionali, del Festival dell’Economia di Trento, che si è aperto ieri pomeriggio. L’iniziativa, giunta alla decima edizione, si concluderà martedì prossimo, con la presenza del Premio Nobel per l’economia, Paul R. Krugman. Marina Tomarro ha intervistato l’editore Giuseppe Laterza tra i promotori del Festival: 

R. – Oggi, si parla molto di crescenti disuguaglianze e della necessità di creare più opportunità per i meritevoli a partire dai giovani. La mobilità sociale racchiude in sé questi due temi, rappresenta le disuguaglianze in senso dinamico, cioè come si creano opportunità di ascendere la scala sociale. Per i ragazzi, per esempio, che vengono da famiglie più svantaggiate: come si può creare a quei giovani pari condizioni rispetto a chi ha di più. E quindi è un tema essenziale non solo per l’Italia, che purtroppo di mobilità sociale ne ha poca, ma per tutti i Paesi del mondo.

D. – Quali sono i passaggi principali di questa edizione del Festival?

R. – L’edizione si svolge su più piani: quello essenziale, che è quello degli economisti che raccontano i risultati delle loro ricerche. Poi, c’è un piano che ha a che fare con le altre discipline, rappresentanti delle scienze sociali, della storia anche, e poi infine c’è un piano quest’anno dedicato ai grandi attori di cinema e teatro che vengono a rappresentare il tema del linguaggio dello spettacolo.

D. – Il Festival racchiude più aspetti ma, secondo lei, quale potrebbe essere una strada per far ripartire la crescita economica del Paese?

R. – Il Festival dà molte indicazioni e io credo – e non è un caso che al Festival vengano il ministro dell’economia, lo stesso Renzi, il governatore della Banca d’Italia  – che sia fertile questo scambio tra chi lavora ai grandi temi della ricerca e chi invece ha un compito più politico e istituzionale.

D.  – Quanto può essere importante anche, secondo lei, un collegamento tra università e aziende? Quanto il Festival può anche dare indicazioni riguardo a questo?

R.  – Il lavoro di rete è fondamentale. Far parlare tra loro persone che normalmente non interagiscono dal punto di vista professionale è molto importante. Si possono produrre tante indicazioni diverse. Il Festival è per sua natura pluralista, non c’è una ricetta: ci sono tante idee e tanti spunti all’interno dei quali ciascuno farà maturare le sue convinzioni e il suo modo di lavorare.

D. – Siamo alla decima edizione, come è cambiato nel corso degli anni?

R. – Il Festival si è sempre più specificato, arricchito, ha approfittato delle indicazioni del pubblico per migliorare anche la disposizione dei vari incontri nel programma generale del suo palinsesto. Devo dire che il pubblico ha sempre confortato la scelta iniziale che è quella di fare un Festival fuori dagli schemi precostituiti, che non parlasse mai un linguaggio tecnico, specialistico, che quindi, appunto, chiedesse prima di tutto agli economisti di essere sempre chiari e accessibili.

E sull’importanza di questo Festival, il commento di Ugo Rossi, presidente della Provincia Autonoma di Trento:

 “E’ la decima edizione del Festival dell’economia e il tema che abbiamo scelto è quello della mobilità sociale. Credo che completi un po’ tutti i temi che abbiamo affrontato in questi anni, dentro anche un grande periodo di crisi. Per ripartire e per guardare con fiducia al futuro dobbiamo anche riflettere su come le nostre società, i decisori politici, ma non solo, debbano sentirsi tutti impegnati a realizzare quelle condizioni di base, ma vorrei dire anche più innovative di quelle di cui disponiamo oggi, per garantire ai nostri cittadini, ai giovani in particolare, di poter avere tutti le stesse opportunità”.

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Economia di Comunione: a Nairobi imprenditori a confronto

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A Nairobi fino a domani oltre 400 persone di 41 Paesi, economisti, imprenditori, studenti, partecipano al Convegno internazionale di Economia e Comunione promosso dal Movimento dei Focolari in collaborazione con la Catholic University of  Eastern Africa. Il progetto di Economia e Comunione – lanciato nel 1991 in Brasile da Chiara Lubich, fondatrice del Movimento, in risposta alle tante situazioni di povertà constatate e ora diffuso in tutto il mondo – consiste nel suscitare aziende capaci di creare lavoro e di mettere in circolo la ricchezza prodotta per aiutare chi è nel bisogno. Ma che cosa si sta facendo e vivendo in questi giorni a Nairobi? Adriana Masotti lo ha chiesto a Liliane Mugombozi, direttrice della rivista New City Africa, espressione dei Focolari: 

R. – E’ un incontro più che un convegno proprio di comunione, di condivisione delle singole esperienze, della vita nelle diverse parti del mondo, che porta a fare doni a vicenda. La cosa interessante è vedere come questo spirito dell’Economia di Comunione possa essere vissuto in tanti diversi modi, proprio perché – venendo da tutte le parti del mondo – le esperienze sono diverse. Questa mattina abbiamo sentito esperienze che provengono dall’Australia alla Costa d’Avorio, al Congo, all’Italia…

D. – Che cos’è che lega tutte queste esperienze, che sono molto concrete perché si tratta di aziende, di imprese? E che cosa significa, appunto, per loro comunione?

R. – E’ uno stile di vita, una cultura che si traduce poi anche nel loro lavoro, nelle categorie economiche. Ci sono imprenditori che, per esempio, cominciano prima di tutto a vivere rapporti di reciprocità con i propri dipendenti, con i fornitori, con i concorrenti, con i clienti. Viene messa al centro della propria attività la persona, senza guardare ai costi in cui l’azienda può incorrere per salvaguardare l’ambiente, pensando così prima di tutto alla salute dei soci e dei dipendenti e non al profitto. E’ proprio questo sguardo che li porta poi a guardarsi intorno, quindi a decidere liberamente di condividere il guadagno dell’azienda in vari modi. Posso allora incontrare i bisognosi, posso anzi devo – perché è doveroso! – far sì che l’attività cresca e produca ancora di più e questo non tanto per guadagnare di più, ma per poter aiutare di più.

D. – In un momento di crisi, di crisi economica globale, non è un lusso tutto questo?

R. – E’ doveroso guardare alla situazione oggi del mondo. Ma questi imprenditori non sembrano scoraggiarsi, non sembrano dare troppo peso alle difficoltà che ci sono. Proprio in questi giorni, si sono detti fra di loro che è più necessario scoprire le risorse, le risorse che possono andare oltre il profitto o il guadagno, che sono proprio questi rapporti di fiducia. Abbiamo ascoltato le esperienze di alcune comunità rurali, per esempio, della Costa d’Avorio. Questo spirito di comunione tra di loro ha suscitato in vari villaggi un’attività, nata proprio da questa comunione, che ha permesso di risolvere problemi relativi alla sanità e anche problemi alimentari, arrivando fino a risolvere i problemi di malnutrizione tra i bambini delle famiglie bisognose. Gli imprenditori che sono qui vorrebbero riuscire proprio a sottolineare questa risorsa che la comunione può generare e che va oltre il guadagno e il profitto.

D. – Questo Convegno internazionale si tiene a Nairobi e non è prima volta. C’è un particolare legame, diciamo una sintonia, tra l’Economia di Comunione, questo stile di vita, e l’Africa?

R. – Tantissimo. E questo perché al cuore dell’Economia di Comunione c’è proprio questo spirito di comunione e di condivisione. Le culture africane sono comunitarie, vivono in comunità, e quindi l’Economia di Comunione ha riscoperto proprio questo valore.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella Solennità della Santissima Trinità, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù risorto appare su un monte ai suoi discepoli e dice:

“Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti: 

Il Vangelo di oggi ci convoca sul monte, con gli undici discepoli, per ricevere dal Signore l’invio alla missione: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20). Ma prima di diventare testimoni per gli altri, è necessario che entriamo noi in contatto vivo, esistenziale con Dio, il Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Dio che Cristo ci ha rivelato non è un principio filosofico-teologico da credere, non è il Dio perfettissimo che dal suo freddo isolamento comanda precetti da osservare, non è neppure il “dio” di una religiosità messa a nostro servizio per uscire dai nostri fallimenti, dalle nostre incapacità o dalle nostre paure. Dio è un mistero di relazione, di comunione: un’infinita relazione d’amore, di amore vero, di amore che si dona totalmente. Noi siamo stati creati da questo amore e per amore, “siamo stati creati a immagine della comunione divina” (Evangelii Gaudium, 178), per godere di essa già sin d’ora, anticipata soprattutto nella gioia del banchetto fraterno, e poi per divenire commensali del banchetto eterno in cielo, rivestiti delle bianche vesti della grazia nuziale (cf Ap 7,14). Lasciamoci oggi immergere in questo mistero di comunione: lo Spirito Santo, vincolo d’amore tra Padre e Figlio”, unisca anche noi nello stesso vincolo d’amore.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nepal: l’impegno dei Salesiani per le vittime del terremoto

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Cibo, alloggi temporanei, solidarietà: sono questi gli strumenti con cui i Salesiani in Nepal portano costantemente aiuto alle migliaia di persone rimaste senza casa per via dei due terremoti più forti che hanno scosso il Paese – il 25 aprile e il 12 maggio – e che ancora restano in tende di fortuna, mentre si avvicina la stagione dei monsoni.

Oltre 300 mila abitazioni distrutte
Secondo i rilevamenti dell’Onu, il numero di edifici distrutti dal primo sisma è di circa 160 mila case e 1.383 scuole, ma le stime locali potrebbero essere più alte. Intanto, l’esecutivo nepalese aveva promesso di dare ad ogni famiglia senza casa 15 mila rupie (pari a 135 euro) per comprare lastre ondulate e potersi proteggere dalle intemperie, ma molti sono ancora in attesa di ottenere il denaro. I Salesiani del Paese, nel frattempo – riferisce l’agenzia Ans – continuano a trasferirsi nei luoghi in cui la popolazione è più bisognosa. “La solidarietà salesiana giunta da tutto il mondo è ciò che ci tiene in piedi senza crollare, restando accanto alle vittime dei terremoti”, spiega il “Don Bosco Relief Team”.

Verso la conclusione della prima fase degli aiuti
Gli aiuti che i Salesiani, gli educatori, gli studenti e i volontari trasportano in piccoli furgoni ai villaggi inaccessibili consistono in riso, lenticchie, sale, acqua e teloni per realizzare tende. Le scosse continuano ancora a essere frequenti nel Paese e la popolazione preferisce dormire fuori, nonostante l’arrivo delle prime piogge, per non correre rischi nelle case danneggiate. “Le operazioni di soccorso per l’emergenza, per quanto riguarda la distribuzione di alimenti, si concluderanno domani, domenica 31 maggio, per far posto a una seconda fase, mirata al trasferimento delle famiglie ed alla ricostruzione delle abitazioni”, spiega don John Jijo, salesiano, coordinatore dei soccorsi d’emergenza dei salesiani in Nepal.

Allarme monsoni, servono alloggi stabili
Nel Paese, i monsoni sono attesi nei prossimi sette giorni. Ma gli attuali teloni e tende di plastica già a disposizione della popolazione non saranno sufficienti: per questo, il "Don Bosco Relief Team" intende distribuire pannelli di lamiera ondulata, così da offrire una maggiore protezione. Le medesime lastre potranno poi essere utilizzate come tetto permanente delle case, che dovranno essere costruite e completate prima dell’inizio dell'inverno. Nei prossimi giorni, le varie Procure missionarie salesiane, fondazioni e organizzazioni non governative della Famiglia salesiana coordineranno i nuovi invii di denaro per questa seconda fase d’emergenza. (I.P.)

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Brasile. Documento dei vescovi sulle disuguaglianze sociali

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La Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) ha pubblicato in questi giorni il secondo volume del suo sussidio “Riflessioni sul Brasile”. Il testo, approvato ad aprile dalla 53.ma Assemblea generale svoltasi ad Aparecida, prosegue le riflessioni del primo volume sulle “Sfide di fronte alle elezioni del 2014”, con un’analisi delle disuguaglianze sociali nel Paese e la proposta di possibili risposte.

La violenza e la corruzione aumentano le disuguaglianze
Alla luce del Vangelo, il documento affronta innanzitutto il tema delle violenze crescenti nella società brasiliana e della corruzione considerata come endemica e come un ulteriore fattore di disuguaglianza. “Siamo costantemente invitati a cercare e a riflettere sulle situazioni concerete vissute dai figli e dalle figlie di Dio”, ha spiegato mons. Leonardo Steiner, segretario generale della Cnbb alla presentazione del documento.

La politica può ridurre le disuguaglianze se al servizio di tutti
La pubblicazione è suddivisa in tre capitoli. Il primo è dedicato all’analisi delle disuguaglianze strutturali della società brasiliana e illustra in particolare alcune realtà del Paese, come i limiti delle politiche pubbliche, i processi di concentrazione economica e finanziaria, il meccanismo perverso che lega l’aumento del debito pubblico e ai tassi di interesse, o ancora le politiche sociali. La seconda parte del testo illustra la visione che ha la Chiesa delle disuguaglianze sociali e, infine, la terza evidenzia il desiderio dell’episcopato brasiliano di cercare nuovi cammini di vita comune. “C’è tanto bisogno di un nuovo orizzonte che dia la priorità alla vita e non all’appropriazione dei beni da parte di una minoranza”, ha detto mons. Steiner alla conferenza stampa di presentazione del volume.

Il primo volume dedicato alle elezioni politiche del 2014
“Le disuguaglianze saranno sempre di meno nella misura in cui la giustizia, nuovo nome della pace, guiderà i passi di tutte le persone, soprattutto di chi ha la responsabilità del potere pubblico”, ha concluso il presule. Il primo volume del sussidio conteneva approfondimenti in vista delle elezioni generali del 2014. Tre i suoi punti chiave: partecipazione consapevole alle elezioni, necessità di conoscere i candidati, la loro storia, quali principi e valori pratichino e difendano, la ricerca di candidati che si siano impegnati per le tante riforme necessarie al Paese, in particolare per la riforma della politica, sostenuta dalla Cnbb e da altre istituzioni del Paese. (L.Z.)

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Lisbona. Patriarca: educare giovani contro i fondamentalismi

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Il fondamentalismo si contrasta con l’educazione delle nuove generazioni sugli autentici valori delle religioni. È quanto ha affermato, nei giorni scorsi, il cardinale patriarca di Lisbona, Manuel Clemente, nel corso di una tavola rotonda organizzata nell’ambito della Conferenza di Estoril, l’ormai tradizionale appuntamento internazionale ospitato ogni due anni dalla capitale portoghese sulle sfide della globalizzazione.

Impegno comune delle religioni per il futuro dell’umanità
Invitato a discutere insieme all’imam di Lisbona, David Munir, e al rettore del Seminario rabbinico latino-americano, Abraham Skorka, sul tema “Religione e dialogo tra civiltà”, il presidente della Conferenza episcopale portoghese ha parlato dei contributi e dei principi fondamentali delle religioni, ma anche delle loro contraddizioni e delle cause che le accomunano. Il comune denominatore di ogni religione, ha evidenziato, è il contributo alla pace, al quale si aggiunge la fede in un Dio creatore universale e in un destino comune a tutti gli uomini.

Deriva politica è contraddizione delle religioni
Quando le religioni si lasciano andare a “derive politiche”, o promuovono l’esclusione, ha spiegato il cardinale Clemente, esse vivono “gravi contraddizioni”. Di qui l’appello ad un impegno comune delle religioni per le cause come l’ecologia, o la difesa dei diritti dei rifugiati nell’interesse del futuro  dell’umanità. Dello stesso tenore, riferisce l’agenzia Ecclesia, gli interventi dell’imam Munir e del rabbino Skorka. Il primo si è detto addolorato dal fatto che tanti musulmani compiano azioni che “nulla hanno a che vedere con la fede musulmana”, sottolineando la necessità di riconoscere l’Islam in Europa per contrastare il fondamentalismo.

Educare i giovani per prevenire la radicalizzazione religiosa
Il rabbino Skorka, che ha accompagnato l’anno scorso Papa Francesco durante il suo viaggio apostolico in Terra Santa, ha ribadito da parte sua che “la violenza in nome della religione non è un’espressione autentica di devozione”. Citando i numerosi interventi di Papa Francesco a favore della pace e in difesa dei perseguitati a causa della loro fede, i tre leader religiosi hanno espresso quindi la comune convinzione che l’educazione è l’unica arma per contrastare la radicalizzazione delle nuove generazioni e le pseudo-giustificazioni religiose della violenza. (L.Z.)

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Kenya, studenti cattolici: rafforzare Cappellanie universitarie

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La mancanza di Cappellanie universitarie cattoliche negli Atenei pubblici e privati del Kenya può avere ripercussioni negative sulla formazione alla fede nei giovani: questo, in sintesi, l’allarme lanciato dagli studenti universitari cattolici del Paese africano, nel corso di un seminario svoltosi a Nairobi. L’incontro, organizzato dalla Conferenza episcopale del Kenya, in collaborazione con l’Amecea (Associazione dei membri delle conferenze episcopali dell'Africa orientale), ha avuto come titolo “Costruire la fratellanza cristiana negli Istituti di formazione attraverso le Piccole comunità di base cristiane (Scc)”.

Cappellanie universitarie siano priorità
Durante i lavori, gli studenti partecipanti hanno lanciato un forte appello dei vescovi keniani affinché “considerino una priorità accompagnare gli studenti universitari e delle scuole superiori, attraverso le cappellanie”. Sulla stessa linea anche padre Lance Nadeau, cappellano dell’Ateneo cattolico Kenyatta, il quale ha tuttavia ricordato “la necessità di preparare adeguatamente i sacerdoti” a operare nella cappellanie studentesche.

Promuovere le Piccole comunità di base cristiane
Obiettivo del seminario, ha spiegato padre Febian Pikiti Mulenga, coordinatore dell’evento per conto dell’Amecea, è stato quello di “condividere l’esperienza sulle cappellanie e la fratellanza cristiana tra gli studenti cattolici universitari e di scuola superiore, cercando di comprendere come promuovere e far crescere le Scc all’interno dei centri di formazione”. Centrale, ha proseguito padre Mulenga, anche la riflessione su “le sfide e le opportunità” di tale compito.

Chiesa in Kenya in prima linea nel campo educativo
Da ricordare che la Chiesa in Kenya è una realtà molto strutturata e attiva nel campo educativo: sono centinaia gli istituti formativi aperti a studenti di ogni credo ed estrazione sociale. Tra questi, ci sono centri di eccellenza come la prestigiosa Università Cattolica dell’Africa Orientale (Catholic University of East Africa - Cuea),  cui è affiliato dal 1993 l’"Hekima College - Institute for Peace Studies and International Relations di Nairobi, fondato nel 1984 come teologato per i Gesuiti, al quale si è aggiunta, nel 2011, una nuova Università cattolica nata dalla fusione del Tangaza College e dell’Istituto di filosofia della Consolata. (I.P.)

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Nigeria. Convegno seminari: forze della Chiesa collaborino

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“La vita consacrata nella missione della Chiesa”: su questo tema si è svolto recentemente ad Awka, in Nigeria, il Convegno nazionale dei seminari 2015. Al centro dei lavori, la necessità di una collaborazione attiva tra le persone consacrate, le società di vita apostolica e i sacerdoti, per promuovere la missione evangelizzatrice della Chiesa. Momento saliente dell’Anno della Vita Consacrata – indetto da Papa Francesco a 50 anni della promulgazione del decreto conciliare "Perfectae caritatis" sul rinnovamento della vita religiosa e attualmente in corso, fino al 2 febbraio 2016 – il Convegno ha visto la partecipazione di seminaristi provenienti da diverse parti della Nigeria.

Più attenzione alla formazione permanente
“C’è bisogno – si legge nel comunicato finale dei lavori, siglato da mons. Michael Apochi, presidente del Comitato episcopale per i seminari della Chiesa locale – di un’attenzione, di una formazione permanente e di una pratica consistente di collaborazione attiva nella Chiesa, specialmente tra le diocesi e gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica”. Tale collaborazione, continua la nota, implica “uno scambio davvero reciproco di risorse all’interno della Chiesa, così da raggiungere la comunione spirituale”. Di qui, l’auspicio di “scambi regolari di esperienze e riflessioni tra i consacrati”.

Vita consacrata, dono per la Chiesa
Il Convegno ha, inoltre, messo in luce, l’importanza, per coloro che sono in fase di formazione, di “continuare ad approfondire la storia e la teologia della vita consacrata”. Per “favorire la crescita ed il rafforzamento della missione della Chiesa”, è stato detto, una “pastorale collaborativa tra le persone consacrate” non può più essere “una scelta facoltativa”. “La vita consacrata è un dono per la Chiesa – conclude il comunicato – e vivere radicalmente il Vangelo non spetta solo ai religiosi, ma riguarda tutti”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 150

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.