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Sommario del 29/05/2015
- Papa: catechesi non sia astratta ma incontro con Gesù vivo
- Papa Francesco: la fede vera fa miracoli non affari
- Papa Francesco riceve il premier della Slovenia
- Nomina episcopale in Pakistan
- Il Treno dei Bambini domani in Vaticano dal Papa
- Motu Proprio del Papa sulla Revisione del Fondo Pensioni Vaticano
- Vaticano: attività finanziaria, più controlli e collaborazione internazionale
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Asia, vertice su emigrazione: posizioni restano restrittive
- Nigeria. Buhari presidente: Onaiyekan: pensiamo al cambiamento
- Patriarca Younan: l'Occidente non dimentichi Siria e Iraq
- Pakistan, cristiani nel mirino della legge sulla blasfemia
- Bagnasco: no a colonizzazione gender e attacco a vita
- Roma, incontro mondiale delle nuove forme di vita consacrata
- Patriarca Sako rientrato dall'Iran auspica futuro di dialogo con islam
- Pakistan: chiesa devastata e 6 cristiani percossi in Punjab
- Egitto. Sinodo copto-ortodosso: più controllo sui monasteri
- Brasile. Aparecida, 7.mo pellegrinaggio e Simposio su famiglia
- Gabon: Giubileo associazioni Donne e Giovani studenti cattolici
- Caritas Svizzera: nuovo statuto per stranieri senza asilo politico
Papa: catechesi non sia astratta ma incontro con Gesù vivo
Non una “retorica” della misericordia, ma un’“esperienza concreta” dell’amore di Dio, che accompagni ogni persona a un incontro con Gesù vivo. È questo che deve diffondere oggi la Chiesa nell’umanità del suo tempo, ha affermato Papa Francesco, che ha ricevuto in udienza i partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della Nuova Evangelizzazione, incentrata sul rapporto tra catechesi e annuncio del Vangelo. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La misericordia, per Papa Francesco, è “l’annuncio” più grande che la Chiesa possa fare al mondo di oggi. E perché questo fosse chiaro, spiega subito, ha voluto affidarne la cura al dicastero per la Nuova evangelizzazione. Ma la misericordia, per Papa Francesco, è soprattutto una questione di carne viva, di amore di Gesù per l’uomo che chiunque possa toccare. E qui entrano in gioco gli strumenti dell’annuncio – i modi, i linguaggi – in una parola la catechesi:
“La missione è sempre identica, ma il linguaggio con cui annunciare il Vangelo chiede di essere rinnovato, con saggezza pastorale. Questo è essenziale sia per essere compresi dai nostri contemporanei, sia perché la Tradizione cattolica possa parlare alle culture del mondo di oggi e aiutarle ad aprirsi alla perenne fecondità del messaggio di Cristo”.
Un annuncio atteso da molti
“Ciò che gli uomini attendono oggi dalla Chiesa”, afferma chiaramente Francesco, è che essa “sappia camminare con loro offrendo la compagnia della testimonianza della fede, che rende solidali con tutti, in particolare con i più soli ed emarginati":
“Quanti poveri – anche poveri nella fede - attendono il Vangelo che libera! Quanti uomini e donne, nelle periferie esistenziali generate dalla società consumista, atea, attendono la nostra vicinanza e la nostra solidarietà! Il Vangelo è l’annuncio dell’amore di Dio che, in Gesù Cristo, ci chiama a partecipare della sua vita. La nuova evangelizzazione dunque è questo: prendere coscienza dell’amore misericordioso del Padre per diventare noi pure strumenti di salvezza per i nostri fratelli”.
Strade nuove per la catechesi
In questa dinamica dell’annuncio si inserisce, prosegue il Papa, il “grande tema della catechesi”, considerata “come lo spazio all’interno del quale la vita dei cristiani matura perché fa esperienza della misericordia di Dio”. “Esperienza concreta”, chiarisce Francesco, “non un’idea astratta di misericordia”. Perché ciò che vale, sostiene, è comprendere “la nostra debolezza e la forza che viene dall’alto”, dallo Spirito Santo, “protagonista dell’evangelizzazione”, il solo – osserva Francesco “che apre il cuore dei credenti e lo trasforma perché il perdono ricevuto possa diventare esperienza di amore per i fratelli”. Educare alla fede in questo modo, conclude il Papa, “non è retorica” ma “richiede coraggio, creatività e decisione di intraprendere strade a volte ancora inesplorate”:
“La catechesi, come componente del processo di evangelizzazione, ha bisogno di andare oltre la semplice sfera scolastica, per educare i credenti, fin da bambini, ad incontrare Cristo, vivo e operante nella sua Chiesa. È l’incontro con Lui che suscita il desiderio di conoscerlo meglio e quindi di seguirlo per diventare suoi discepoli. La sfida della nuova evangelizzazione e della catechesi, pertanto, si gioca proprio su questo punto fondamentale: come incontrare Cristo, qual è il luogo più coerente per trovarlo e per seguirlo”.
Papa Francesco: la fede vera fa miracoli non affari
La fede autentica, aperta agli altri e al perdono, fa miracoli. Dio ci aiuti a non cadere in una religiosità egoista e affarista: è quanto ha detto il Papa nella Messa del mattino a Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:
Gesù condanna l'egoismo spirituale
Il Vangelo del giorno propone “tre modi di vivere” nelle immagini del fico che non dà frutti, negli affaristi del tempio e nell’uomo di fede. “Il fico – afferma il Papa - rappresenta la sterilità, cioè una vita sterile, incapace di dare qualsiasi cosa. Una vita che non fruttifica, incapace di fare il bene”:
“Vive per sé; tranquillo, egoista, non vuole problemi. E Gesù maledisse l’albero di fico, perché è sterile, perché non ha fatto del suo per dare frutto. Rappresenta la persona che non fa niente per aiutare, che vive sempre per se stessa, affinché non le manchi niente. Alla fine questi diventano nevrotici, tutti! Gesù condanna la sterilità spirituale, l’egoismo spirituale. ‘Io vivo per me, che a me non manchi niente e che gli altri si arrangino!’”.
Non fare della religione un affare
L’altro modo di vivere – sottolinea il Papa – “è quello degli sfruttatori, degli affaristi nel tempio. Sfruttano anche il luogo sacro di Dio per fare degli affari: cambiano le monete, vendono gli animali per il sacrificio, anche fra loro hanno come un sindacato per difendersi. Questo era non solo tollerato, ma anche permesso dai sacerdoti del tempio”. Sono “quelli che fanno della religione un affare”. Nella Bibbia – ricorda il Papa – c’è la storia dei figli di un sacerdote che “spingevano la gente a dare offerte e guadagnavano tanto, anche dai poveri”. E “Gesù non risparmia le parole”: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi, invece, ne avete fatto un covo di ladri!”:
“La gente che andava in pellegrinaggio lì a chiedere la benedizione del Signore, a fare un sacrificio: lì, quella gente era sfruttata! I sacerdoti lì non insegnavano a pregare, non davano loro la catechesi… Era un covo di ladri. Pagate, entrate… Facevano i riti, vuoti, senza pietà. Non so se ci farà bene pensare se da noi accade qualcosa del genere in qualche posto. Non so? E' utilizzare le cose di Dio per il proprio profitto”.
La fede che aiuta gli altri fa miracoli
Il terzo modo di vivere è “la vita di fede”, come indica Gesù: “’Abbiate fede in Dio. Se uno dicesse a questo monte ‘levati e gettati nel mare’, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò avverrà. Tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà’. Accadrà proprio quello che noi con fede chiediamo”:
“E’ lo stile di vita della fede. ‘Padre, cosa devo fare per questo?’; ‘Ma chiedilo al Signore, che ti aiuti a fare cose buone, ma con fede. Solo una condizione: quando voi vi metterete a pregare chiedendo questo, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate. E’ l’unica condizione, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni voi, le vostre colpe’. Questo è il terzo stile di vita. La fede, la fede per aiutare gli altri, per avvicinarsi a Dio. Questa fede che fa miracoli”.
Questa la preghiera conclusiva di Papa Francesco: “Chiediamo oggi al Signore … che ci insegni questo stile di vita di fede e che ci aiuti a non cadere mai, a noi, ad ognuno di noi, alla Chiesa, nella sterilità e nell’affarismo”.
Papa Francesco riceve il premier della Slovenia
Un colloquio per riconfermare le buone relazioni bilaterali e per un confronto, fra l’altro, sulla questione della riconciliazione nazionale. Sono i temi principali dell’incontro in Vaticano tra Papa Francesco e il presidente del governo della Repubblica di Slovenia, Miro Cerar, che si è successivamente intrattenuto con il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.
“Nei cordiali colloqui – si legge nel comunicato ufficiale – si sono rilevati i buoni rapporti esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica di Slovenia ed è stata confermata la comune volontà di proseguire il dialogo costruttivo sui temi bilaterali attinenti alle relazioni tra la Chiesa e lo Stato, con particolare riferimento – conclude la nota – al processo di riconciliazione nazionale, ai valori umani e religiosi, e alla mutua collaborazione in favore del bene comune della società e dei più poveri”.
Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, sua maestà Otumfuo Nana Osei Tutu II, re degli Ashanti in Ghana, e mons. Roberto Lückert León, Arcivescovo di Coro in Venezuela.
In Pakistan, il Papa ha nominato vescovo della Diocesi di Multan il sacerdote Benny Mario Travas, finora amministratore apostolico della medesima diocesi. Il neo presule è nato il 21 novembre 1966 a Karachi. Dopo gli studi compiuti nel Seminario Minore e Maggiore di Karachi, è stato ordinato sacerdote per l’Arcidiocesi di Karachi il 7 dicembre 1990. Dopo sette anni di ministero pastorale è stato inviato a Roma per la Licenza in Diritto Canonico, ottenuta presso la Pontificia Università Urbaniana nel 1997. Tornato in patria, ha svolto l’ufficio di Vicario Generale di Karachi e, nel contempo, di Rettore del Seminario Minore S. Pio X della medesima Arcidiocesi, nonché docente al National Catholic Institute of Theology di Karachi. È stato pure Giudice del Tribunale ecclesiastico di Karachi e Membro del Collegio di Consultori e del Consiglio presbiterale. Negli ultimi 9 mesi, ha svolto l’incarico di Amministratore Apostolico della Diocesi di Multan.
La diocesi di Multan (1939), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Lahore. Ha una superficie di 98.705 kmq e una popolazione di 38.400.000 milioni di abitanti, di cui 198.600 sono cattolici. Ci sono 19 parrocchie. Vi sono 16 sacerdoti, di cui 14 Diocesani e 2 Religiosi, oltre a 6 Fratelli Religiosi, 30 Suore e 36 Seminaristi. La diocesi di Multan, è vacante dal 2014, in seguito alle dimissioni dell’Ordinario, S.E. Mons. Andrew Francis.
Il Treno dei Bambini domani in Vaticano dal Papa
Per il terzo anno consecutivo arriva domani alla Stazione della Città del Vaticano il ‘Treno dei bambini’, un’iniziativa promossa dal ‘Cortile dei gentili’, struttura del Pontificio Consiglio della Cultura, dedicata ai minori in situazione di disagio. Il convoglio, messo a disposizione anche quest’anno dal Gruppo Fs Italiane, trasporterà circa 200 piccoli viaggiatori, figli di detenuti e detenute, in viaggio da Bari e Trani a Roma per incontrare Papa Francesco. Il servizio di Fabio Colagrande:
L’appuntamento con il Papa è alle 12 in Aula Paolo VI dove i piccoli con i loro accompagnatori arriveranno muniti di aquiloni colorati. Il Treno di quest’anno, che arriverà alla Stazione vaticana alle 10.40, è infatti ispirato al tema del “Volo”: un’immagine di libertà e possibilità di ‘evasione’ per bambini che vivono la sofferenza della quotidianità del carcere o la separazione dalla madre o dal padre. Padre Laurent Mazas, direttore de ‘Il Cortile dei Gentili’, spiega la genesi di questa nuova edizione del ‘Treno dei Bambini’:
"L’idea di portare questi bambini a Papa Francesco è nata durante il Sinodo per la famiglia. Ho avuto modo di parlare con lui, durante una pausa caffè e gli ho detto: 'Santo Padre, si potrebbero portare questi bambini da lei?'. E lui mi ha guardato con uno sguardo intenso e mi ha risposto: 'Sì, conti su di me'. A Papa Francesco fa un grande piacere accogliere questi bambini che vivono situazioni non comuni. Lui è felice di poter testimoniare il suo amore, la sua tenerezza a bambini che purtroppo non la conoscono a casa, perché vivono delle situazioni veramente difficili".
A collaborare all’organizzazione del Treno del 2015 è stato il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con l’apporto fondamentale delle Case circondariali di Bari, Trani e di quella romana di Rebibbia. Sul treno anche 150 familiari e accompagnatori, provenienti da associazioni che seguono i bambini figli di detenuti, cappellani delle carceri, operatori e animatori. Ma il significato del treno di quest’anno è soprattutto un incoraggiamento alle famiglie. Patrizia Martinez è l’animatrice de “Il Cortile dei bambini”:
R. – Quest’anno, per la prima volta, i bambini saranno accompagnati da un genitore, il genitore che non è detenuto, o da un nonno o da una nonna, se il bambino ha tutti e due i genitori detenuti. Questa, quindi, è una caratteristica che a noi fa già emozionare e ha emozionato tre direttrici delle tre Case circondariali, perché si è vista questa risposta familiare, della mamma o del papà detenuto, che ha dato questo messaggio alla famiglia fuori, per far sì che il loro figlio partecipasse a questo incontro e a questa gioia tutta insieme.
D. – Un Treno che vuole dare forza alle famiglie che sono divise loro malgrado…
R. – Sì, vuole dare forza e far capire ai bambini che la famiglia è la forza che ti fa andare avanti nei momenti tristi della vita. Alcuni di questi bambini sono nati in carcere e poi a tre anni sono stati giustamente portati fuori e sono andati a vivere con nonni o parenti. Hanno vissuto, quindi, anche questa separazione dalla madre. Hanno, però, trovato un familiare, il più delle volte – altre volte delle strutture – che li ha accolti e che cerca di far sentire loro il senso della famiglia. Questa è una cosa che vogliamo veramente specificare quest’anno: la forza della famiglia. Anche se capitano cose tristi e cose buie nella vita di un familiare, la famiglia c’è e continua a proteggere, per quanto è possibile, i suoi piccoli.
Motu Proprio del Papa sulla Revisione del Fondo Pensioni Vaticano
E’ stata pubblicata oggi la Lettera Apostolica di Papa Francesco in forma di “Motu Proprio” sulla Revisione dello Statuto del Fondo Pensioni Vaticano, che entra immediatamente in vigore. La revisione - precisa il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - “riguarda i cambiamenti nello Statuto alla luce delle novità che sono state realizzate in questi ultimi tempi per quanto riguarda gli enti preposti all’amministrazione nel Vaticano, la costituzione del Consiglio per l’Economia e della Segreteria per l’Economia, che rendevano necessario anche un adeguamento dello status del Fondo pensioni”.
Non cambiano pensioni dei dipendenti vaticani
Padre Lombardi sottolinea “che si tratta di modifiche nello Statuto, non nel Regolamento in vigore, il che vuol dire che tutte le procedure, la realtà pratica di quanto riguarda le pensioni dei dipendenti vaticani, rimangono attualmente le stesse che erano in vigore. Quindi i cambiamenti sono a livello della struttura dell’amministrazione ma non della realtà concreta del servizio fornito per i pensionati dal Fondo”.
A capo del Fondo potrà essere anche un laico
Quali le novità principali? “La prima – afferma il portavoce vaticano - riguarda il presidente. Finora era presidente del Fondo pensioni in modo praticamente automatico il presidente dell’Apsa, il cardinale pro tempore presidente dell’Apsa. Adesso, invece, all’articolo 5 si dice che il presidente è nominato dal Sommo Pontefice con un incarico quinquennale che può essere rinnovato per un altro mandato, però si dice che per la nomina del presidente, il Consiglio per l’Economia, il coordinatore per il Consiglio per l’Economia, sottopone al Papa una lista di almeno tre candidati. Quindi non è più automaticamente il cardinale presidente dell’Apsa, ma è una persona scelta dal Papa fra tre candidati presentati dal Consiglio per l’Economia e non si qualifica ulteriormente come debbano essere questi tre candidati. Ovviamente devono essere persone con requisiti adatti ma non si dice che siano ecclesiastici, che siano cardinali, quindi potrebbero al limite essere anche dei laici fra cui viene fatta poi la scelta”.
Nel Consiglio di Amministrazione entrano esperti esterni
“Un’altra innovazione importante – rileva padre Lombardi - riguarda il Consiglio di Amministrazione, nell’art. 6, perché si dice che fanno parte del Consiglio di Amministrazione 11 membri: il presidente; poi quattro esperti in materia assicurativa e di gestione dei fondi pensioni o fondi patrimoniali, provenienti da diversi Paesi, nominati dal Consiglio per l’Economia. Quindi sono quattro membri esterni alla realtà vaticana. Questa è una novità, perché prima tutti i membri del Consiglio di Amministrazione provenivano dalle realtà vaticane, dalle grandi amministrazioni vaticane. Oltre a questi quattro membri esterni, che sono la novità principale nel Consiglio, vi sono quattro membri esperti in campo amministrativo che sono designati dalle più grandi amministrazioni vaticane: quindi sono membri interni per così dire - e che sono Propaganda Fide, la Commissione dello Stato della Città del Vaticano, l’Apsa e la Fabbrica di San Pietro. Questi sono nominati dal segretario di Stato, sentito il prefetto della Segreteria per l’Economia. Ci sono anche due membri in rappresentanza degli iscritti e dei pensionati del Fondo, scelti e nominati dal segretario di Stato. Ecco quindi le novità nella composizione del Consiglio di Amministrazione: soprattutto i quattro esperti esterni e poi il passaggio da uno a due degli iscritti”.
Gestione del Fondo
“Per quanto riguarda la gestione del Fondo – aggiunge padre Lombardi - non risultano delle grandi innovazioni rispetto a quanto già era in vigore. Si dice nell’art. 3 al paragrafo 5: investimenti e disinvestimenti dei comparti immobiliare e mobiliare sono effettuati dal Consiglio di Amministrazione del Fondo - che quindi rimane responsabile della gestione patrimoniale e finanziaria – ordinariamente attraverso l’Apsa o tramite specifiche convenzioni con terzi, le quali devono contenere le linee di indirizzo gestionale date dal Consiglio per l’Economia. Comunque, l’amministrazione, per quanto riguarda gli investimenti e i disinvestimenti, dipende ovviamente dal Consiglio di Amministrazione”.
Vigilanza esterna sul Fondo
“Un’altra novità – osserva il direttore della Sala Stampa vaticana - sta nella vigilanza esterna sul Fondo che inserisce le nuove competenze dei nuovi organi, che sono stati istituiti nel campo dell’economia in Vaticano. Quindi si dice all’art. 11: il Fondo pensioni è sottoposto alla vigilanza del Consiglio per l’Economia, della Segreteria per l’Economia e del revisore generale, ciascuno secondo le competenze loro attribuite dai rispettivi Statuti. Nel Fondo Pensioni vi è anche un organo, che è il Collegio dei revisori dei conti, di revisione interna; però poi c’è la vigilanza esterna, che compete a questi organi che abbiamo nominato: il Consiglio per l’Economia, la Segreteria per l’Economia e il revisore generale. Questi – conclude padre Lombardi - mi sembrano i punti più significativi di questo nuovo Statuto”.
Vaticano: attività finanziaria, più controlli e collaborazione internazionale
Per il terzo anno l’Autorità di Informazione Finanziaria (Aif) della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano ha presentato il proprio Rapporto annuale per il 2014 sull’attività di informazione finanziaria e di vigilanza per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. A illustrarlo René Brulhart, presidente dell’AIF e il dott. Tommaso Di Ruzza, direttore dell’Aif. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
147 segnalazioni di attività sospette nel 2014, 55 in meno del 2013. A documentarlo è il terzo rapporto dell’Autorità di Informazione Finanziaria della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, che spiega come in caso di sospetto di “attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo” l’Autorità trasmetta i rapporti all’Ufficio del promotore di giustizia presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano: sette quelli trasmessi lo scorso anno. Tommaso Di Ruzza, direttore dell'Aif:
"I potenziali reati, presentati alla nostra autorità giudiziaria, sono in gran parte casi di tentata frode o casi di tentata evasione fiscale grave".
C’è tendenza al consolidamento dei meccanismi di segnalazione, ha spiegato Di Ruzza, che ha anche precisato come il picco del 2013 sia dipeso dal lavoro interno allo Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, per la revisione e la chiusura di rapporti e conti. L’ispezione, si legge ancora nel rapporto, condotta nel primo quadrimestre del 2014, “non ha rilevato l’esistenza di lacune essenziali da parte dello Ior”. Ancora Di Ruzza:
"Non ha evidenziato criticità fondamentali o strutturali, ma al tempo stesso, come di norma può accadere in questo tipo di ispezioni, è chiaro il ciclo di ispezione si è concluso con un piano di azione che nei successivi mesi sarà monitorato dalle attività di vigilanza in settori strategici per l’antiriciclaggio, quindi: valutazione dei rischi, adeguata verifica della clientela, trasferimenti internazionali di denaro e così via".
Sul piano dell'attività internazionale, l'Aif, nella sua qualità di autorità di intelligence finanziaria, ha “rafforzato massicciamente la cooperazione internazionale”, ha aggiunto il presidente René Brulhart. Nel 2014 si sono sottoscritti “Protocolli d’intesa con le altre Unità di Informazione Finanziaria di 13 Paesi, inclusi Australia, Francia e Regno Unito, nonché con le Autorità di Regolamentazione di Germania, Lussemburgo e Stati Uniti d’America”. “Un’intensificazione di cooperazione sia su impulso dell'Aif e sia su richieste provenienti da Unità di Informazione Finanziaria estere” , ha spiegato Di Ruzza, che ha auspicato una prossima formalizzazione di cooperazione e scambi di informazione con Bankitalia, con la quale, ha precisato, c'è un "buon grado di dialogo e di reciproca fiducia”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Su strade inesplorate: udienza al Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione.
Revisione dello Statuto del Fondo pensioni vaticano: motu proprio di Papa Francesco.
Soprusi brutali durante i conflitti e contro l'ideologia che legittima l'aborto: anticipazione degli interventi di Yudith Pereira Rico e di Caroline Roux al seminario internazionale che si apre oggi pomeriggio in Vaticano, organizzato da "donne chiesa mondo", mensile dell'Osservatore Romano
Un articolo di Rossella Fabiani dal titolo "L'oriente sempre più vicino": antichi templi e grattacieli di Baku.
Asia, vertice su emigrazione: posizioni restano restrittive
Tensione alla Conferenza sull’emigrazione nell’Oceano Indiano, oggi a Bangkok, dove 17 Paesi dell’area, supportati dall’Onu e dall’Ue, cercano una soluzione alla crisi umanitaria che sta spingendo verso le coste malesi e indonesiane migliaia di migranti. Sono musulmani di etnia Rohingya, minoranza perseguitata in Myanmar, e migliaia di poveri in fuga dal Bangladesh. Solo a maggio oltre 3.000 sono stati i "boat people" soccorsi nel Sudest asiatico e in queste ore in 700 si trovano alla deriva a largo delle coste dell’ex Birmania. Il servizio di Gabriella Ceraso:
“Il problema dei 'boat people' ha raggiunto livelli allarmanti. Nessuno Stato può farcela da solo”. Così, al vertice di Bangkok, il ministro degli Esteri thailandese, invitando i partecipanti ad affrontare le ragioni che spingono i migranti alla fuga. Ma non è facile, vista la situazione in Asia. Carlo Filippini, esperto dell'area per l’Università Bocconi di Milano:
“Purtroppo, nessuna nazione vuole ospitare, vuole pagare per persone povere e per persone senza istruzione, non qualificate. Il problema si risolverebbe investendo nei Paesi più poveri, in modo che si possa creare lavoro e possano migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini. E' un enorme sacrificio e, soprattutto in questi anni di crisi, penso che poche persone, pochi Paesi siano disposti a farlo”.
Il Myanmar - che non riconosce alcun diritto ai Rohingya e va verso la reclusione coatta o la loro espulsione - al vertice ribadisce il "no" alla politicizzazione della questione e alle "ingerenze straniere":
“La Birmania addirittura non riconosce i Rohingya come propri cittadini. Purtroppo ci sono state non solo espulsioni, ma numerosi atti di violenza, che hanno portato alla morte di questi migranti”.
Restrittive le posizioni anche di Malaysia, Thailandia e Indonesia:
"Anche qui purtroppo ci sono luci ed ombre. Da un lato, c’è un certo aiuto a questi migranti, dall’altro però c’è un enorme sfruttamento, non solo in termini di traffico di persone, ma in molte imprese thailandesi di manodopera, che è a buon mercato e soprattutto è molto ricattabile. In aggiunta, sappiamo che sul confine tra Thailandia e Malesia sono state trovate numerose tombe, numerose sepolture appunto di migranti, che probabilmente sono stati lasciati morire di fame dopo essere stati trasferiti dalla Birmania".
Se qualche soluzione potrà giungere dal vertice, la si attende sulla questione del contrasto ai trafficanti di esseri umani, ma anche questo non può dirsi un risultato. Ancora il prof. Filippini:
"E’ un modo per non voler risolvere la situazione e, nello stesso tempo, per non perdere la faccia, per non dichiarare apertamente il proprio egoismo. Del resto, l’abbiamo visto anche in Europa, con la questione delle quote di quelli che arrivano nell’Unione Europa: pochi Paesi membri vogliono ospitare queste persone".
Quanto sta accadendo in Asia, problematiche e tentativi di soluzione, è specchio di quanto si verifica nel Mediterraneo, in Australia e nella Repubblica domenicana: le parole del Papa ieri ai vescovi del Paese lo ricordano. Francesco ha detto "no all'indifferenza". professore, cosa ne pensa?
"In questi anni, probabilmente per la crisi economica che ha colpito gran parte delle economie mondiali, l’egoismo, il non voler aiutare gli altri, è certamente aumentato. Succede perfino in Sudafrica che lavoratori neri attacchino e uccidano a volte anche immigrati neri dei Paesi confinanti in una forma di discriminazione che ci pare assurda in un Paese come il Sudafrica, che appunto ha sofferto per tanti anni l’apartheid. Il problema è che siamo più attenti al nostro benessere e chiudiamo gli occhi di fronte ai problemi degli altri.
Nigeria. Buhari presidente: Onaiyekan: pensiamo al cambiamento
A oltre 30 anni dal golpe che lo portò al potere negli anni ’80, Muhammadu Buhari ha giurato oggi da presidente della Nigeria. In una cerimonia ad Abuja, alla presenza di una cinquantina di capi di Stato e rappresentanti da tutto il mondo, tra cui il segretario di Stato americano John Kerry, Buhari è ufficialmente succeduto a Goodluck Jonathan, dopo aver vinto le elezioni di fine marzo. Primo esponente dell'opposizione nella storia nigeriana ad aver sconfitto un capo dello Stato uscente alle consultazioni, il nuovo presidente ha assicurato di voler affrontare "di petto" i problemi del Paese, vittima della corruzione e della violenza degli estremisti islamici Boko Haram nel nordest del Paese, che ha già provocato oltre 15 mila morti dal 2009 e un milione e mezzo di sfollati. Anche nelle ultime ore, nello Stato di Borno, due bombe sono esplose nel villaggio di Tashan Alade, dov’era in corso una cerimonia nuziale, almeno sette le vittime, oltre trenta i feriti. In questo clima, il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, invita comunque a evidenziare le speranze per il futuro del Paese. Le parole del porporato al microfono di Giada Aquilino:
R. – Adesso parliamo del nuovo governo, della nuova era di cambiamento, di progresso e di concordia nazionale. Boko Haram rimane una piaga al nordest del Paese, ma certamente in questo momento i nigeriani vogliono pensare al futuro.
D. – Quali saranno le sfide del nuovo presidente?
R. – Le promesse fatte durante la campagna elettorale sono state tante. La parola chiave è stata "cambiamento". Ora, dobbiamo vedere quale tipo di cambiamento farà e quanto tempo ci metterà ad andare in tale direzione. Naturalmente, un cambiamento per il meglio sia dal punto di vista di sicurezza nazionale, sia di provvedimenti contro la corruzione lampante che fa soffrire il Paese, come pure di concordia nazionale.
D. – Perché c’è tanta corruzione in Nigeria?
R. – È un problema che c’è da molti anni. Ha a che fare con il modo di governare in Nigeria, dove il potere ha molto spazio a propria discrezione e c’è stata impunità assoluta in diversi casi. Ora, si deve rivedere tutto questo. Il nuovo governo ci ha promesso di vedere sia la costruzione, sia le regole del gioco di governo per fare in modo che sia più difficile rubare i nostri soldi senza nessuna conseguenza.
D. – Lei ha parlato dell’emergenza sicurezza, a cui è legata l’emergenza sfollati all’interno del Paese e negli Stati limitrofi. A cosa serve?
R. – I nigeriani sono scappati nei Paesi limitrofi perché sono popolazioni che vivono alle frontiere della Nigeria. Non dimentichiamo che qui le frontiere quasi non esistono: sono persone che scappano per andare dove possono salvarsi. Poi, ci sono tanti sfollati nei centri urbani, dove la sicurezza è più garantita. Persino qui ad Abuja ci sono persone che hanno fatto più di dieci ore di macchina per venire in città, dove hanno trovato ospitalità nei campi di emergenza. Speriamo che, man mano che si liberi il territorio dal controllo dei terroristi, la gente possa tornare nel proprio Paese e continuare la propria vita.
D. – Il presidente Buhari è musulmano. Che speranze per il futuro del cammino interreligioso nel Paese?
R. – Per quanto riguarda la religione, è un musulmano - qui i nigeriani sono musulani o cristiani - ma per noi Buhari non è lì come musulmano: è lì come un eletto del popolo. Posso soltanto far notare che il suo vice è un cristiano, anzi un pastore evangelico. Questo significa che al centro del governo ci sarà sempre una relazione intima tra cristiani e musulmani, che insieme lavorano per il bene del Paese. Questo è ciò che abbiamo sempre auspicato.
D. – Che speranze avete in lui?
R. – Noi dobbiamo avere sempre speranza. La mia speranza è nel nome del Signore, che ha fatto cielo e terra. Speriamo che Dio lo guidi e gli dia la forza per fare delle cose giuste e che tutte le persone che lo circondano lo sostengano in questo senso, invece di dargli consigli sbagliati.
Patriarca Younan: l'Occidente non dimentichi Siria e Iraq
Continua la situazione tragica in Siria. Secondo fonti dell’Osservatorio siriano dei diritti umani, i miliziani del Fronte al-Nusra legato ad al-Qaeda hanno conquistato la città di Ariha nella provincia di Idlib, nel nordovest della Siria. Ariha dove vivevano 40 mila persone prima dell’ inizio del conflitto nel 2011, era l'ultima città in mano al regime di Damasco al confine con la Turchia. E anche per i cristiani la vita nel Paese diventa sempre più difficile. Ascoltiamo la testimonianza del patriarca della Chiesa siro-cattolica, Ignace Youssif III Younan, al microfono di Marina Tomarro:
R. – Iraq e Siria sono Paesi che soffrono una ecatombe molto grave. Questi due Paesi sono sicuramente in uno stato molto critico perché c’è la complessità di confessioni, di etnie. E allora, i potenti hanno sfruttato queste divergenze per mettere l’uno contro l’altro nel nome del cosiddetto sistema democratico basato sul modello occidentale. Era tutta una bugia però. In Siria, c’è una situazione molto tragica. L’Is vuole imporre la suareligione, la sua "sharia", in Paesi che erano piuttosto orientati verso un sistema laico come poteva esserlo in quella regione del Medio Oriente.
D. – Ancora crudeli sono le persecuzioni contro i cristiani. Come vivono?
R. – Da dieci mesi, i cristiani in Iraq sono stati cacciati da Mosul e dalla piana di Ninive, vicino a Mosul. Abbiamo almeno 150 mila cristiani che sono la più grande concentrazione in quel Paese, e che adesso sono profughi. Ancora vivono in carovane, in case non finite, in condizioni molto precarie umanamente. Non si sa se loro potranno tornare a casa o no. La sfida da affrontare è come possiamo convincerli a rimanere radicati nei Paesi dei loro antenati. Poi, in Siria, da più di quattro anni c’è questa guerra civile di cui noi patriarchi avevamo già previsto tutte queste conseguenze orribili. Già quattro anni fa abbiamo detto: “Per favore, badate a non confondere questi Paesi con i vostri Paesi occidentali. Per favore, aiutateci affinché le parti in conflitto possano ritrovarsi e cercare un dialogo di riconciliazione per un futuro migliore per tutti”. Ma questo non è stato mai fatto. E’ vero che il sistema non era democratico come in Occidente, però non si possono avere sistemi democratici in Medio Oriente finché noi separiamo religione e Stato. Quindi, bisogna andare al fondo del problema e dire a questa gente di separare la religione dagli aspetti socio-politici di un Paese affinché tutti potranno sentirsi in sicurezza. Questo è il fondo del problema.
D. – La comunità internazionale in che modo dovrebbe intervenire, secondo lei?
R. – Penso che per questo caos che si è creato in Medio Oriente, la comunità internazionale dovrebbe mettersi al lavoro e dire: “Questi popoli stanno soffrendo, cosa possiamo fare per loro? Dobbiamo dire loro: guardate, siete nel 21.mo secolo, voi monarchi del Golfo e voi dei Paesi del vicino Oriente, come l’Iraq, la Siria, l’Egitto, dovete pensare a riformare il vostro sistema politico per far sentire tutti veri cittadini e noi siamo qui per aiutarvi”.
D. – La caduta di Palmira cosa ha causato?
R. – E’ una sconfitta per tutta la civiltà odierna. Nel 21.mo secolo si lascia distruggere tutto da queste bande di terroristi che non rispettano la civilizzazione. Palmira è un gioiello di civiltà in mezzo al deserto. E quindi è una sconfitta per tutti.
Pakistan, cristiani nel mirino della legge sulla blasfemia
In Pakistan, 15 persone sono in attesa di condanna a morte per aver violato la legge sulla blasfemia, che punisce ogni atto giudicato offensivo nei confronti del Corano o di Maometto. A farne le spese è soprattutto la minoranza cristiana. Uno studio del prof. Shahid Mobeen - “Legge della blasfemia e libertà religiosa”, pubblicato dall’editrice Apes - cerca di inquadrare questa controversa legge da un punto di vista storico e politico. Il volume è stato presentato oggi alla Camera dei deputati in un incontro promosso dall’Associazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. Il servizio di Michele Raviart:
Il 24 maggio scorso, il quartiere cristiano di Sanda, nella parte antica della metropoli pakistana di Lahore è stato date alle fiamme dalla folla. Un cristiano aveva infatti bruciato un giornale sui cui erano stampati versetti del Corano. Un reato che per l’ordinamento pakistano è punibile con l’ergastolo e che spesso scatena l’ira dei fondamentalisti, il cui giudizio arriva ancor prima della sentenza del tribunale. Mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense:
"La situazione in Pakistan è gravemente compromessa a causa di questa legge che favorisce le ingiustizie. Non abbiamo alternative rispetto alla via evangelica. La via è quella della conoscenza reciproca e del dialogo. Bisognerebbe informare di più perché c’è molta ignoranza o indifferenza. E’ la 'globalizzazione dell’indifferenza', come dice il Papa".
Per legge sulla blasfemia, si intendono due articoli del Codice penale pakistano. In linea teorica, la norma tutela ogni religione, ma prevede delle aggravanti quando riguarda l’Islam. Nei casi più gravi di offesa a Maometto, può costare la vita. Negli ultimi 25 anni, la legge è stata applicata oltre mille volte, la maggior parte a danno dei cristiani. Il caso più noto è quello di Asia Bibi, in attesa della condanna a morte dal 2010. Il prof. Shahid Mobeen, docente di Storia del pensiero islamico alla Pontificia Università Lateranense e autore del volume:
"Il caso di Asia Bibi è solamente la punta dell’iceberg, è la faccia più conosciuta a livello internazionale, dopo l’intervento di Papa Benedetto XVI. In questo momento ci sono molte Asia Bibi nelle prigioni, sia uomini, di fede cristiana e non cristiana, sia donne, di fede cristiana e non cristiana. Fino al 2010, la maggioranza delle vittime era musulmana, ma dopo la morte di Shabaz Bhatti, che difendeva fortemente le minoranze religiose, l’abuso di questa legge è aumentato, per cui ora la maggioranza perseguitata dai cittadini del Pakistan appartiene alla fede cristiana".
I cristiani in Pakistan sono il 2% della popolazione. Considerati cittadini di seconda classe vivono spesso nell’insicurezza, come ci spiega padre Gilbert Gill, assistente ecclesiastico dell’Associazione pakistani cristiani:
"Vivono con la sofferenza, con la paura. Una comunità, una persona può essere attaccata in un qualsiasi momento, improvvisamente. I cristiani vivono nel terrore che qualcuno ti può accusare e ti può uccidere. Questo vivono tutti i giorni. Quando parla Papa Francesco, una parola di solidarietà e di preghiera è molto importante per i cristiani, perché questa vicinanza del Santo Padre è una cosa molto apprezzata. Si sentono incoraggiati e continuano a dare la testimonianza della propria fede in questa grande difficoltà".
Il problema della legge è la sua discrezionalità. Anche far cadere una copia del Corano può portare all’accusa di blasfemia, favorendo così strumentalizzazioni e vendette personali. Per questo, il governo pakistano ha annunciato la proposta di ridurne l’applicazione solo nei casi in cui l’offesa alla religione sia frutto di una “volontà consapevole”.
Bagnasco: no a colonizzazione gender e attacco a vita
Contrastare la “colonizzazione ideologica” della società contemporanea con le “armi spirituali” della verità, della giustizia e della fede: questa l’esortazione lanciata dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, intervenendo, stamani, a Roma, al convegno dell’Associazione “Scienza e vita”. L’evento si è svolto in occasione del decimo anniversario di fondazione dell’organismo ed ha avuto per tema “Quale scienza per quale vita?”. Il servizio di Isabella Piro:
No a libertà auto-centrata. La vita è un bene fondamentale
Difesa della vita dal concepimento e fino alla morte naturale; tutela della famiglia, fondata sul matrimonio tra uomo e donna; regole chiare sull’uso delle tecnologie e rafforzamento del dialogo tra scienza e fede. Sono state queste le linee-guida della prolusione del card. Bagnasco al convegno di “Scienza e vita”. Un testo ampio, quello del porporato, che scatta una fotografia amara della società in cui si riscontra, spiega il card. Bagnasco, “una colonizzazione ideologica” ovvero “una pervasività di concezioni contrarie alla vita o alla verità dell’uomo” che è diventata “dominante, assoluta, indiscussa”. In nome di “un’ottica utilitaristica” e di una libertà ritenuta “assoluta ed autocentrata”, infatti, ci si dimentica della sacralità della vita in quanto riflesso di Dio e non si considera che “il rispetto di essa è la base per poter usufruire di tutti gli altri beni”.
Non abbassare la guardia. Affrontare sfide con verità e giustizia
Di conseguenza, si arriva erroneamente ad affermare “la bontà dell’aborto, della sperimentazione degli esseri umani o della distruzione degli embrioni”. È importante, dunque – sottolinea il presidente della Cei – non “abbassare la guardia” ed affrontare “le molteplici insidie alla vita” con “le armi spirituali” giuste, ovvero la verità, la giustizia, lo zelo evangelico, la fede, la preghiera. Anche perché, evidenzia il porporato, oggi “l’opera a favore della vita si allarga a dismisura”, finendo per comprendere l’integrità della persona.
Non svilire il matrimonio. Preoccupante la diffusione sistematica di teoria gender
Quando, infatti, “il matrimonio è svilito a convivenza o ad accordo provvisorio tra due persone”; quando la sessualità non è concepita come “mutua donazione”, ma come mero “strumento di soddisfazione”, quando nelle scuole si verifica la “sistematica diffusione dell’ideologia del gender” e quando, a proposito del fine vita, si ragiona nell’ottica di “proprietà assoluta verso se stessi ed il proprio corpo”, allora viene compromessa “la vocazione integrale della persona umana”. Ed a rimetterci, aggiunge il porporato, sono innanzitutto i giovani che si devono accontentare di “surrogati” di valori e di “obiettivi bassi”.
Sì a sviluppo della scienza, ma non sia chiuso alla fede
Altro punto centrale della prolusione del card. Bagnasco riguarda il dialogo tra scienza e fede: “La Chiesa favorisce lo sviluppo della scienza e la ritiene un bene essenziale per l’uomo”, sottolinea il porporato, ma “la scienza non è puramente oggettiva, né assoluta” e “non può chiudersi alla fede”. Di qui, il richiamo a “la necessità di dare regole e stabilire criteri di utilizzo delle tecnologie a partire da un ragionamento sulle finalità”. Sono questioni, aggiunge il porporato, “sulle quali si deve ragionare a prescindere dal proprio credo religioso”. In questo dibattito, i cattolici non temano di essere “marginalizzati o derisi”, ma si pongano l’obiettivo di “procurare una salutare interazione e integrazione tra scienza e vita, in modo che le scoperte scientifiche e tecnologiche giovino realmente all’uomo e siano concepite come un servizio alla vita”, lontane “dalle logiche oscure del potere e da quelle scivolose della ricerca del piacere”.
Riconoscere e promuovere il valore insostituibile della famiglia
Infine, il presidente della Cei ribadisce l’importanza di “riconoscere e promuovere il valore insostituibile della famiglia, vera cellula della società e culla della vita”. I politici italiani “pongano la famiglia al centro delle loro iniziative – è l’appello del card. Bagnasco – perché il sostegno ai nuclei familiari è anche il migliore degli investimenti in vista di una ripresa economica più rapida e solidale”. La prolusione si conclude con il richiamo al mandato cristiano di “testimoniare la carità” e “diffondere la logica della gratuità” per sostenere i più deboli ed opporsi “a quanto deturpa la vita umana e ne oscura la bellezza”.
Scienza e vita: dal referendum sulla legge 40 ad oggi
L’Associazione Scienza e Vita trae la sua origine dall’omonimo Comitato protagonista, dal febbraio al giugno del 2005, dei referendum italiano sulla legge 40, in materia di fecondazione medicalmente assistita. Scopo dell’organismo è quello di promuovere e difendere il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, come fondamento di tutti i diritti umani e quindi della democrazia e di dibattere i temi della ricerca scientifica per quanto attiene alle ricadute sulla vita dell’uomo e della società”.
Roma, incontro mondiale delle nuove forme di vita consacrata
Alcune di loro hanno ricevuto da poco il riconoscimento diocesano o pontificio, altre sono in cammino per essere approvate. Si tratta delle “nuove forme di vita consacrata”, ovvero delle numerose comunità fiorite nella Chiesa postconciliare. Un gruppo di delegati di una trentina di queste realtà si incontrano per due giorni a Roma nel loro terzo appuntamento mondiale, dedicato per il 2015 al tema delle “strutture di comunione e di governo”. Alessandro De Carolis ne ha parlato con una delle organizzatrici, María Isabel Chacón Gil, missionaria idente dell’Istituto Id di Cristo Redentore:
R. – L’invito a questo incontro è per tutti quegli Istituti ed Associazioni di diritto diocesano che sono già stati riconosciuti sotto questa denominazione o che si trovano in questo cammino perché sentono di essere “vita consacrata” in una forma che ancora non è stabilita nel Codice di diritto canonico. Perciò, riflettiamo insieme su questa nuova identità.
D. – Quanti sono questi istituti o comunità?
R. – Grazie a Dio sono tante le comunità che, soprattutto il Concilio Vaticano II, sono sorte da questa nuova ecclesiologia e da questa nuova ispirazione dello Spirito Santo. Nel primo incontro che si è celebrato, nel 2011, c’erano 80 rappresentati di 22 istituzioni diverse, provenienti da un 11 Paesi. La partecipazione nel secondo e terzo incontro è cresciuta, perché la celebrazione di questo incontro si è diffusa. Allora tante nuove realtà, nuove comunità, vogliono partecipare per condividere questo percorso e per trovare questi elementi comuni delle nuove forme di vita consacrata e condividere la propria originalità.
D. – Siete tante comunità, quindi con tati carismi diversi, però avete anche questa caratteristica della novità, cioè di essere delle nuove forme di vita consacrata. C’è un elemento che vi accomuna?
R. – Ci sono diversi elementi che ci accomunano. Uno, ad esempio, è la spiritualità di comunione che è venuta Concilio Vaticano II. Un’altra caratteristica è questo spirito della nuova evangelizzazione: vivere il Vangelo in una forma più radicale nelle diverse missioni che poi la comunità svolge.
D. – In questa varietà, quando parliamo di consacrazione, parliamo anche di consacrazione laicale …
R. – Esattamente. Uno dei grandi aspetti di questa novità, è che un unico istituto accoglie tutti gli stati di vita, cioè laici e chierici, donne e uomini, sposati, celibi… Questa è la ricchezza: formiamo una stessa famiglia unita nello stesso carisma e nella stessa missione. Questa è una novità perché lo Spirito sta ispirando questa nuova forma di vivere il Vangelo nel mondo.
D. – In particolare, in concreto, cosa vi proponete di affrontare quando parlate di “comunione e di governo”?
R. – Come missione generale, i nostri incontri hanno sempre avuto questo inizio: aprire cammini. Perché stiamo aprendo un cammino per essere uno strumento per la Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica, e di servizio sotto la sua tutela, per aiutare queste comunità affinché trovino una via legislativa, una via canonica del riconoscimento.
D. – Queste nuove forme di vita consacrata possono contare su un numero di chiamate, di vocazioni, consistente?
R. – Certamente. Come tutte le comunità, le istituzioni che sorgono in un determinato momento della Chiesa sono la risposta all’ispirazione dello Spirito che indica il bisogno della Chiesa in un determinato periodo. Perciò queste comunità sono figlie di questa epoca – tra il Concilio Vaticano II e oggi - ma sono movimenti che effettivamente attraggono tante vocazioni. Crediamo e condividiamo sempre questa vitalità, questa ricchezza dello Spirito che si manifesta in queste realtà per il bene della Chiesa nel mondo, in comunione con tutte le comunità tradizionali, perché lo Spirito è sempre lo stesso.
Patriarca Sako rientrato dall'Iran auspica futuro di dialogo con islam
Le Chiese orientali “hanno un futuro sia in Iraq, che in Iran”, e quando finiranno i conflitti esso “sarà ancora migliore” perché si potrà davvero avviare un cammino “di dialogo e di riconciliazione” che abbraccerà cristiani e musulmani. “Le guerre hanno sempre una fine e bisogna lavorare per il futuro, per la riconciliazione, con la pazienza e la preghiera”. È questo il messaggio che il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako ha voluto consegnare all'agenzia AsiaNews al rientro a Baghdad, dopo aver effettuato una visita di due settimane alle comunità cristiane caldee in Iran. Il patriarca ha voluto analizzare il momento attuale dell’Iraq, teatro di una sanguinosa guerra fra le autorità centrali e i jihadisti dello Stato islamico oggi concentrata attorno a Ramadi e in alcune zone della provincia di Anbar.
La gente ha paura dell'avanzata del Califfato
Sako racconta che in Iraq - teatro oggi di un doppio attentato nei pressi di due hotel di lusso nella capitale, che hanno causato morti e feriti - la situazione “resta molto tesa” e “la gente è preoccupata per il futuro”. I miliziani del sedicente Stato Islamico, aggiunge, “si muovono e hanno occupato una parte molto importante del Paese”. I jihadisti controllano “più del 50% del territorio siriano e anche il 30% del territorio irakeno” sono diventati parte del Califfato e “questo mette paura, la gente vive con ansia e timore”.
Tra i 3 milioni di sfollati c'è amarezza e sconforto
Per quanto concerne gli sfollati il numero ha superato i tre milioni e, racconta il patriarca caldeo, “manca loro un po’ di tutto”; essi possono contare sull’aiuto di agenzie internazionali e della Chiesa, “ma è difficile andare avanti e vi è amarezza e sconforto” fra le persone. “Il governo fa ciò che può - aggiunge - ma manca la formazione di soldati, mancano le armi e il quadro generale della regione mediorientale complica ancor più la situazione nel nostro Paese. Bisogna affrontare questa crisi non solo dal punto di vista militare, ma è necessario contrastarne anche l’ideologia. Sono molto pericolosi”.
I fedeli caldei in Iran hanno pace e speranza
Se il fronte interno irakeno è fonte di preoccupazione, il patriarca di Baghdad ricorda ancora con fiducia e speranza il recente viaggio pastorale - dal 12 al 24 maggio - fra le comunità caldee iraniane di Teheran e Urmia, in cui vivono “quasi 400mila fedeli”. Incontrandoli, racconta, “ho sentito dentro di me la forza della Chiesa primitiva”, una realtà “che può crescere se ha pazienza e riesce a mantenersi unita”. La mia visita, aggiunge, “ha contribuito a rafforzare la spiritualità e dare loro speranza, incoraggiandoli a rimanere”. Anche perché, osserva, “loro hanno pace e speranza, non hanno paura [a differenza dei fedeli in Iraq] e questa è una benedizione per loro”.
Proposte all'islam iniziative comuni nell'Anno della Misericordia
Nel contesto del viaggio in Iran, il patriarca Sako ha incontrato le più alte autorità civili e religiose della Repubblica islamica, sottolineando il ruolo di Teheran nel contesto regionale come forza “di pace e di stabilità”. Bisogna imparare da queste guerre, ha detto il patriarca ai leader iraniani, e “lavorare per la riconciliazione fra sunniti e sciiti, siete tutti musulmani e non ci sono scuse per fratture o divisioni”. “Ho insistito - aggiunge - perché promuovano l’idea di un islam di pace e tolleranza, di mostrare nei fatti che non vi è oppressione nell’islam e poi ho proposto di fare iniziative in comune nell’Anno della misericordia. Hanno risposto in modo positivo, ma alle parole devono seguire i fatti!”.
Proposto comitato misto di cristiani e musulmani iraniani per il dialogo
Fra le idee emerse dai vari incontri, la possibilità di creare un “comitato misto” di musulmani e cristiani iraniani “per il dialogo sociale e religioso”, per dar vita a legami e rapporto “al di là delle frontiere”. I fedeli, aggiunge, si sono detti “pronti” a dar seguito alla proposta e desiderano davvero “un dialogo sincero”. “In Iran - conferma Sua Beatitudine - c’è una presenza cristiana simbolica ma attiva, e deve essere incoraggiata. Ho cercato di dare loro un impulso, sottolineando che il patriarca è vicino a loro e pensa anche a loro”. (D.S.)
Pakistan: chiesa devastata e 6 cristiani percossi in Punjab
Nuovo episodio di violenza sui cristiani in Pakistan. Una chiesa protestante è stata oggetto di atti vandalici e 6 cristiani protestanti, tra i quali un Pastore, sono stati percossi da uomini armati. L’episodio è avvenuto ieri a Chakwal, città nella provincia del Punjab, a circa 300 km a Sud di Lahore. Il Pastore Suhail Masih e altre cinque persone erano presenti nella chiesa quando aggressori armati sono penetrati nel luogo sacro, istigati da un imam locale. Hanno iniziato a devastare e percuotere i presenti, fuggendo prima dell'arrivo della polizia Due persone sono state fermate dagli agenti e poi rilasciate. I feriti sono in ospedale con lesioni non gravi.
Cristiani chiedono al governo di punire i colpevoli
Secondo le prime ricostruzioni, nei giorni scorsi il Pastore Suhail Masih e i suoi compagni erano stati accusati dai musulmani della zona di operare “proselitismo e conversioni di musulmani”. La comunità cristiana di Chakwal ha tenuto una manifestazioni di protesta chiedendo l'arresto dei colpevoli e la registrazione di una denuncia ufficiale. Si invita il governo, inoltre, a intensificare la sicurezza delle chiese e a punire quanti fomentano l’odio e la violenza verso i cristiani in Pakistan.
Ennesimo attacco ai cristiani per false accuse di blasfemia
L’attacco arriva pochi giorni dopo la violenza di massa registrata nel quartiere di Sanda di Lahore, dove una folla di musulmani ha cercato di bruciare una chiesa e danneggiato alcune case dei cristiani, in seguito ad una falsa accusa di blasfemia. (P.A.)
Egitto. Sinodo copto-ortodosso: più controllo sui monasteri
Il Sinodo dei vescovi della Chiesa copta ortodossa, riunito in questi giorni al Cairo sotto la presidenza del patriarca Tawadros II, ha deliberato e pubblicato alcune disposizioni disciplinari che d'ora in poi renderanno più stretto il controllo dell'episcopato sulla vita dei monasteri copti, maschili e femminili. Lo rendono noto fonti copte consultate dall'agenzia Fides. Tra le nuove regole destinate a entrare in vigore c'è quella che vincola i superiori dei monasteri a segnalare per lettera al patriarca i nomi dei nuovi candidati alla vita religiosa, per ricevere l'approvazione. Anche l'istituzione di nuove fondazioni e case monastiche sarà sottoposta alla previa autorizzazione del patriarca o del vescovo a capo della diocesi in cui è destinato a sorgere il nuovo monastero.
Alcune frizioni registrate con il Monastero di San Macario
Le disposizioni relative alla vita monastica arrivano dopo una serie di frizioni registrate di recente tra la gerarchia episcopale e alcune comunità monastiche, come quella del Monastero di San Macario, nella zona di Wadi al-Rayan. Nei mesi scorsi i vescovi copti ortodossi hanno in più occasioni negato ogni legittimazione alle proteste dei monaci di San Macario, impegnati in una controversia con le autorità locali riguardo al progetto di costruzione di una strada sul territorio del monastero. I vescovi hanno definito “illegale” dal punto di vista canonico l'occupazione dell'antica struttura monastica da parte dei monaci che attualmente la abitano, e una serie di opere edilizie in essa realizzate negli ultimi tempi in forma abusiva.
Sostegno ai comitati locali interreligiosi
Tra le raccomandazioni emerse nell'Assemblea sinodale c'è anche quella di incoraggiare le coppie di fidanzati a seguire corsi di preparazione spirituale prima del matrimonio, e quella di sostenere la diffusione a livello capillare dei comitati locali della “Casa della famiglia egiziana”, l'organismo di collegamento inter-religioso creato anni fa dal Grande imam di Al Azhar e dal patriarca copto ortodosso e rivitalizzato negli ultimi tempi come strumento per prevenire e mitigare le contrapposizioni settarie, in un momento in cui il riesplodere del settarismo fondamentalista sembrava mettere a rischio la stessa unità nazionale. (G.V.)
Brasile. Aparecida, 7.mo pellegrinaggio e Simposio su famiglia
Migliaia di famiglie brasiliane sono attese questo fine settimana ad Aparecida, per il 7° pellegrinaggio e il 5° Simposio nazionale sulla famiglia. Intitolato “L’amore è la nostra missione: la famiglia pienamente viva”, l’evento è organizzato dalla Commissione episcopale per la vita e la famiglia e dalla Commissione nazionale per la pastorale familiare (Cnpf) con lo sguardo rivolto al prossimo Sinodo sulla famiglia di ottobre.
In programma momenti di preghiera, seminari, testimonianze e liturgie
Le due giornate saranno scandite da momenti di preghiera, seminari, testimonianze e liturgie ripresi in diretta da “TV Aparecida”. Alla Messa di apertura, domani, parteciperanno mons. Darci José Nicioli, vescovo ausiliare di Aparecida, insieme ad altri presuli della Commissione per la vita e la famiglia. Seguirà nella mattinata una tavola rotonda alla quale parteciperanno esperti, vescovi, sacerdoti e coppie con al centro tre temi: “Annunciare il Vangelo della famiglia”, “Curare le ferite della famiglia e a “Accogliere la vita e educare all’amore”. Nel programma della serata testimonianze di coppie, spettacoli, una processione aux flabeaux, un momento di preghiera e quindi la Messa nella basilica di Aparecida che aprirà ufficialmente il pellegrinaggio. Domenica le Messe conclusive celebrate dai vescovi della Commissione per la vita e la famiglia. (L.Z.)
Gabon: Giubileo associazioni Donne e Giovani studenti cattolici
La Chiesa del Gabon ha celebrato, in questi giorni, due importanti Giubilei: il decimo anniversario dell’Associazione delle donne cattoliche (Afcg) ed il 60.mo della Gioventù studentesca cattolica (Jes). La prima ricorrenza è stata festeggiata con quattro giorni di incontri, alla presenza di padre Jean Kazadi, primo cappellano dell’Afcg, e di delegati provenienti, oltre che dal Gabon, anche da Francia, Congo Brazzaville e Burkina Faso. Numerosi i temi esaminati: la famiglia, i diritti umani, il dramma dei crimini rituali, ma anche la possibilità di offrire consulti medici gratuiti alle donne affette da ipertensione o diabete.
Promuovere la partecipazione delle donne cattoliche nella società
Ma le sfide sono ancora tante, ha spiegato la presidente dell’Associazione, Jacqueline Obone Mba: il prossimo obiettivo, infatti, è quello di portare l’Afcg in tutte le diocesi del Gabon. A chiudere i lavori è stata una Messa di ringraziamento presieduta da padre Emmanule Ndong Mezui, attuale cappellano dell’Afcg. Nata il 14 maggio 2005 a Libreville, questo organismo è il frutto della sesta Assemblea plenaria dei vescovi delle regione dell’Africa centrale (Acerac), incentrata sul tema “Il ruolo della donna nella Chiesa e nella società”, svoltasi a Malabo, in Guinea Equatoriale, nel 2002. Tre, in particolare, le linee-guida dell’organismo: “rafforzare le capacità tecniche, intellettuali, morali e spirituali della donna cattolica per promuovere il suo sviluppo, la sua dignità e la sua partecipazione nella Chiesa e nella società”; “accrescere la presenza e la leadership delle donne cattoliche negli organi decisionali” e “promuovere la partecipazione femminile cattolica nella lotta contro le malattie, in particolare l’Aids e la malaria”.
Nuove tecnologie, nuove opportunità per i giovani
“La Jec nel movimento associativo gabonese: un modello da perfezionare” è stato, invece, il tema del 60.mo anniversario dei giovani studenti cattolici. Le celebrazioni hanno permesso “uno scambio fruttuoso” tra gli aderenti all’Associazione, sia vecchi che nuovi. Il convegno ha, infatti, ripercorso la storia della Jec: dalla creazione di due organismi separati, uno maschile ed femminile, all’istituzione di un’Associazione unica, fino ad arrivare alla Rete di anziani ‘jecisti’ d’Africa, ovvero la confederazione degli ex studenti cattolici del continente. Il tutto guardando sempre avanti perché, come ha spiegato Michel Aimé Boussamba Boussamba, segretario generale della Raja, “rispetto ai suoi inizi, oggi la Jec ha notevoli opportunità per portare avanti il suo operato, grazie alla facilità di spostamenti, alle nuove tecnologie di comunicazione e ad Internet”.
Un contributo importante alla vita della Chiesa
Sentimenti di soddisfazione condivisi da Germain Biyogo, coordinatore nazionale della Jec gabonese, il quale ha ringraziato gli aderenti all’Associazione per il loro impegno, ricordando il contributo offerto da tale organismo alla vita della Chiesa attraverso sacerdoti, religiosi e religiose ed il sostegno donato a tante giovani generazioni. Senza credere, naturalmente, ha concluso Byyogo, che “tutto è perfetto o che tutto è stato fatto, perché la strada da fare è ancora lunga”. (I.P.)
Caritas Svizzera: nuovo statuto per stranieri senza asilo politico
L’introduzione di un nuovo statuto di protezione per gli stranieri con permesso temporaneo di soggiorno in Svizzera. E’ quanto propone la Caritas del Paese, mentre la questione è all’esame del Consiglio federale.
Più di 30mila stranieri con permesso di soggiorno temporaneo in Svizzera
Sono più di 30mila le persone autorizzate a risiedere temporaneamente nella Confederazione elvetica oggi. Si tratta di cittadini stranieri che non hanno ottenuto l’asilo politico, perché la loro situazione non corrisponde ai requisiti richiesti dalla Convenzione di Ginevra per avere lo status di rifugiato, ma che non possono al tempo stesso essere rimpatriati, perché minacciati dalla guerra o dalla violenza generalizzata nei loro Paesi di origine. Per questo l’ordinamento elvetico concede loro un permesso provvisorio che tuttavia - osserva la Caritas in una nota ripresa dall’agenzia Apic - ha ben poco di temporaneo dal momento che più del 90% di questi stranieri – tra cui molte donne, bambini e anziani – è costretto a restare in Svizzera per le perduranti condizioni di instabilità e insicurezza dei loro Paesi che possono continuare anche per decenni.
Un nuovo status di protezione per migliorare le loro condizioni di vita
L’attuale sistema dei permessi temporanei – sottolinea l’organizzazione cattolica – limita i diritti di queste persone costringendoli a vivere in condizioni precarie, con poche possibilità di trovare un lavoro per mantenersi, un alloggio e separati dalle loro famiglie. In queste condizioni, si osserva, è impossibile integrarsi. Di qui l’esigenza di intervenire per migliorare la loro situazione. Secondo la Caritas le proposte avanzate finora si muovono in questa direzione, ma non sono sufficienti. Occorre invece creare uno statuto di protezione complementare che garantisca a questi stranieri gli stessi diritti dei rifugiati - compresi quelli diretti alla previdenza sociale - il rinnovo del permesso di soggiorno se dopo tre anni il rimpatrio si rivelasse impossibile e la possibilità di ricongiungimento dei familiari. (L.Z.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 149