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Sommario del 27/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: matrimonio è alleanza d’amore uomo-donna, no a cultura “usa e getta”

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Il matrimonio è “un’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna” che “non si improvvisa”. E’ uno dei passaggi della catechesi di Papa Francesco all’Udienza generale in Piazza San Pietro, gremita di fedeli venuti da tutto il mondo. Il Pontefice si è incentrato sul valore del fidanzamento che, ha detto, è “quasi un miracolo della libertà e del cuore”. Francesco ha dunque messo in guardia dalla cultura dell’usa e getta che mina le basi del matrimonio come patto per tutta la vita. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Papa Francesco prosegue il suo ciclo di catechesi sulla famiglia, ma questa volta sceglie di concentrarsi sulla premessa del matrimonio: il fidanzamento. Il Pontefice rivolgendosi in particolare ai tanti giovani presenti in Piazza San Pietro sottolinea che il fidanzamento ha a che vedere con la fiducia e la libertà.

Matrimonio è alleanza uomo-donna che non s’improvvisa
Il fidanzamento, rileva infatti, è un tempo, meglio “un cammino” nel quale un uomo e una donna sono “chiamati a fare un bel lavoro sull’amore, un lavoro partecipe e condiviso”. E’ un lavoro di “apprendimento” che, ribadisce, non va sottovalutato:

“L’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna, alleanza per la vita, non si improvvisa, non si fa da un giorno all’altro. Non c’è il matrimonio express: bisogna lavorare sull’amore, bisogna camminare. L’alleanza dell’amore dell’uomo e della donna si impara e si affina. Mi permetto di dire che è un’alleanza artigianale. Fare di due vite una vita sola, è anche quasi un miracolo, un miracolo della libertà e del cuore, affidato alla fede”.

No alla cultura consumista dell’usa e getta
“Dovremo forse impegnarci di più su questo punto – aggiunge – perché le nostre ‘coordinate sentimentali’ sono andate un po’ in confusione”:

“Chi pretende di volere tutto e subito, poi cede anche su tutto – e subito – alla prima difficoltà (o alla prima occasione). Non c’è speranza per la fiducia e la (dice felicità) fedeltà del dono di sé, se prevale l’abitudine a consumare l’amore come una specie di ‘integratore’ del benessere psico-fisico. L’amore non è questo!”

Parole che ribadisce anche salutando i pellegrini di lingua spagnola quando chiede di contrastare “la cultura consumista dell’usa e getta, del tutto e subito, imperante tante volte nella nostra società”. Una cultura, è il suo rammarico, che “tende a convertire l’amore in un oggetto di consumo che non puo’ costituire il fondamento di un patto vitale”.

Leggere i “Promessi Sposi”, capolavoro sul fidanzamento
Francesco, parlando a braccio, ricorda dunque che anche Dio quando parla dell’alleanza con il suo Popolo lo fa a volte ricorrendo all’immagine del fidanzamento, come avviene nel Libro di Osea. Quindi, il Papa invita gli italiani, specie i giovani, a leggere i “Promessi Sposi” che definisce un “capolavoro sul fidanzamento”:

“È necessario che i ragazzi lo conoscano, che lo leggano; un capolavoro dove si racconta la storia dei fidanzati che hanno subito tanto dolore, hanno fatto una strada di tante difficoltà fino ad arrivare alla fine, al Matrimonio. Ma non lasciate da parte questo capolavoro sul fidanzamento che la letteratura italiana ha proprio offerto a voi. Andate avanti, leggetelo e vedrete la bellezza e anche la sofferenza, ma la fedeltà dei fidanzati”.

Importante distinguere l’essere fidanzati dall’essere sposi
La Chiesa, prosegue, custodisce la “distinzione tra l’essere fidanzati e l’essere sposi” e sottolinea che “i simboli forti del corpo detengono le chiavi dell’anima” e "non si possono dunque trattare i legami della carne con leggerezza, senza aprire qualche durevole ferita nello spirito”:

“Certo, la cultura e la società odierna sono diventate piuttosto indifferenti alla delicatezza e alla serietà di questo passaggio. E d’altra parte, non si può dire che siano generose con i giovani che sono seriamente intenzionati a metter su casa e mettere al mondo figli! Anzi, spesso pongono mille ostacoli, mentali e pratici”.

Corsi prematrimoniali, occasione per conoscersi in profondità
Il Papa volge dunque il pensiero ai corsi prematrimoniali che, ammette, vengono spesso vissuti da tante coppie come un peso, “controvoglia”. Eppure, prosegue, molti dopo questa esperienza sono contenti e grati perché in quell’occasione hanno trovato l’opportunità di “riflettere sulla propria esperienza in termini non banali”:

“Sì, molte coppie stanno insieme tanto tempo, magari anche nell’intimità, a volte convivendo, ma non si conoscono veramente. Sembra strano, ma l’esperienza dimostra che è così. Per questo va rivalutato il fidanzamento come tempo di conoscenza reciproca e di condivisione di un progetto. Il cammino di preparazione al matrimonio va impostato in questa prospettiva, avvalendosi anche della testimonianza semplice ma intensa di coniugi cristiani”.

Il fidanzamento  apre  all’orizzonte della famiglia
Al tempo stesso, Francesco esorta i fidanzati a riscoprire insieme la Bibbia, la preghiera, i Sacramenti. Infine, l’invito di cuore ai futuri sposi a vivere bene il tempo che precede il matrimonio:

“Il tempo del fidanzamento può diventare davvero un tempo di iniziazione, a cosa? Alla sorpresa! Alla sorpresa dei doni spirituali con i quali il Signore, tramite la Chiesa, arricchisce l’orizzonte della nuova famiglia che si dispone a vivere nella sua benedizione”.

Al momento dei saluti ai pellegrini in lingua italiana, Francesco ha rivolto un pensiero speciale al Movimento Apostolico, all’associazione Meter impegnata nella lotta alla pedofilia e ancora alla Fondazione Centesimus Annus. Il Papa non ha poi mancato di ricordare la memoria di San Filippo Neri: “La sua attenzione per l’oratorio – è stato il suo invito – stimoli voi, cari giovani, a testimoniare con gioia la fede nella vostra vita”.

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Papa benedice "Meter". Don Di Noto: Francesco ci ascolta

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Un incontro personale con Papa Francesco per sentirsi confortati e riconfermati nella lotta contro ogni forma di abuso, soprattutto infantile. È quello che don Fortunato Di Noto e alcuni membri dell’Associazione “Meter” hanno potuto avere subito dopo l’udienza generale. Il sacerdote fondatore di “Meter” esprime la propria gratitudine al Papa, al microfono di Antonella Palermo

R. - Dico un grazie a Papa Francesco che ha avuto questa sensibilità di poterci incontrare. E’ la dimostrazione di un’attenzione a “Meter”. Questo significa che c’è un’attenzione riguardo a uno dei problemi più atroci, più difficili, più inquietanti dello sfruttamento sessuale dell’infanzia, legato anche alla pedofilia soprattutto per quanto riguarda l’attività dello sfruttamento dei bambini stessi, perché si tenga presente che la pedofilia o il pedofilo o il pedocriminale vuole bambini al di sotto 12 anni. Certo che non so fino a che punto dobbiamo aspettare per definire questo “crimine contro l’umanità”. Quando si parla, soltanto lo scorso anno, di 400 mila bambini coinvolti in attività sessuali anche pedocriminali, quando si parla di neonati, quando si parla di bambini che non hanno più la capacità di potersi difendere, allora io credo che queste nuove forme di schiavitù, che passano anche attraverso il digitale… tutto questo è la dimostrazione che Papa Francesco ci ha ascoltato. La cosa che più mi ha commosso è che lui si è fermato. Io ho parlato di chi siamo, ho detto che c’era anche la presenza di qualcuno che era vittima di abusi. Ho visto il suo volto diventare più serio, ha fatto una benedizione molto forte, molto intensa e questa è la dimostrazione di un segno. Credo sia forse la prima volta che Papa Francesco incontri un sacerdote che si occupa di essere contro la  pedofilia, contro gli abusi sessuali sull’infanzia. Credo che questo sia un evento storico.

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Falasca: per Bergoglio “Promessi Sposi” romanzo della speranza cristiana

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Leggete “I Promessi Sposi”, non lasciate da parte questo “capolavoro sul fidanzamento” della letteratura italiana. E’ l’originale invito che Papa Francesco ha rivolto ai giovani, e non solo, all’udienza generale in Piazza San Pietro. Una conferma di quanto il Pontefice argentino di origini italiane ami il capolavoro di Alessandro Manzoni. Su questa particolare predilezione, Alessandro Gisotti ha intervistato l’editorialista di “Avvenire” Stefania Falasca, legata a Jorge Mario Bergoglio da una lunga amicizia: 

R.  – Certamente l’opera manzoniana fa parte del suo milieu culturale insieme ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Anzi direi che proprio in particolare I Promessi Sposi siano un "must" delle letture di Bergoglio. Fin dai tempi in cui l’ho conosciuto, da cardinale, gli chiesi quale delle opere ricordava di più della nostra letteratura e lui senza pensarci mi disse: “I Promessi Sposi, lettura che amo frequentare e l’avrò letto 5 o 6 volte”. Perché? Perché I Promessi Sposi per lui sono il romanzo della vita cristiana per eccellenza, sono il romanzo della speranza cristiana, che si incarna nella storia di questi ragazzi che attraverso le vicende alle quali sono sottoposti anche loro malgrado, ritroviamo alla fine del romanzo che sono anche cresciuti in una consapevolezza diversa. E’ proprio la storia sofferta che poi culmina con quella saggezza di Lucia stessa che dice: “I guai quando vengono, senza colpa o con, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per un vita migliore”.

D. – Il Papa ultimamente in un’intervista al quotidiano argentino "Voz del Pueblo" ha confidato che non vede la televisione da tanti anni che però prima di addormentarsi la sera dedica sempre un po’ di spazio alla lettura…

R.-  Sì. La sua biblioteca è una biblioteca che ha nella mente e anche se poi nelle omelie mattutine di Santa Marta non fa espliciti riferimenti o citazioni, ma sono - a ben vedere - piene di riferimenti a letture che lui ha assimilato e ce ne sono molte. Certamente è un lettore molto attento.

D. – Papa Francesco è molto popolare anche tra i giovani. In qualche modo forse domani mattina i professori nei vari licei si sentiranno anche un po’ più incoraggiati nel dire ai propri ragazzi, ai propri studenti di leggere con passione I Promessi Sposi

R. – I Promessi Sposi sono da considerare come un libro attualissimo di speranza, di speranza che è sempre attualizzata a quella che è la condizione. I Promessi Sposi sono in fondo - “il sugo della storia” - un cammino: la storia di un cammino di due ragazzi che crescono. Rileggerlo alla luce degli avvenimenti, anche presenti, certamente, sta anche al professore a porgerlo in una maniera che dica qualcosa ai ragazzi di adesso.

D.  – Forse questa nota che ha toccato il Papa, il "capolavoro sul fidanzamento", una esperienza che proprio nell’adolescenza si prova ed è così forte, può essere effettivamente una chiave di lettura che può attrarre alle lettura dei Promessi Sposi

R. – Sì, sempre in questa dimensione, che abbiamo detto prima, del cammino insieme, del crescere insieme e dell’amore che è il grande protagonista del romanzo e della loro vicenda stessa. Su quello che riguarda il fidanzamento, certo, i due, Renzo e Lucia, facevano parte di un’epoca che era cristiana. Adesso ci troviamo in un’altra condizione ma possono dirci molto anche per quello che riguarda la vita di adesso.

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Nomine episcopali in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santo André, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Nelson Westrupp, S.C.I. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Pedro Carlos Cipolini, trasferendolo dalla diocesi di Amparo. Il presule è nato il 4 maggio 1952 a Caconde, nella diocesi di São João da Boa Vista. Dopo gli studi preparatori, ha compiuto gli studi di Filosofia presso le “Faculdades Associadas Ipiranga” (FAI) a São Paulo e quelli di Teologia presso la Pontificia Facoltà di Teologia “Nossa Senhora da Assunção” a São Paulo. Poi, nelle suddette Facoltà, ha conseguito le Licenze in Filosofia e in Teologia e successivamente, negli anni 1991-1992, il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 25 febbraio 1978 per la diocesi di Franca, nella quale è stato Parroco della parrocchia “São Sebastião”, Professore nel Seminario Propedeutico, Coordinatore della Pastorale e Vice-Cancelliere. In seguito s’incardinò nell’arcidiocesi di Campinas, nella quale ha svolto i seguenti incarichi: Parroco in varie parrocchie, Direttore Spirituale del Seminario Propedeutico, Vicario Episcopale, Direttore di Studi del Seminario di Teologia, Vicario Foraneo, Professore di Teologia presso la Pontificia Università Cattolica, Parroco della Basilica Cattedrale. Inoltre, è stato Membro della Commissione per la Dottrina della Fede della Conferenza Episcopale Brasiliana. Il 14 luglio 2010 è stato nominato Vescovo di Amparo e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 12 ottobre successivo. Nell’ambito della Conferenza Episcopale Brasiliana è l’attuale Presidente della Commissione per la Dottrina della Fede.

Sempre in Brasile, il Pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Janaúba mons. Guerrino Riccardo Brusati, trasferendolo dalla diocesi di Caetité”.  Mons. Brusati è nato l’11 aprile 1945 a Bellanzago Novarese, diocesi di Novara, Italia. Dopo un periodo di lavoro, entrò nel Seminario Filosofico e Teologico di Novara, dove ha compiuto gli studi ecclesiastici. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 23 giugno 1973 e si è incardinato nella diocesi di Novara, dove è stato Vicario Parrocchiale ad Arona (1973-1978) e a Cameri (1978-1982). Nel 1982 è andato in Brasile come sacerdote fidei donum nella diocesi di Paulo Afonso, nello Stato di Bahia, dove ha svolto gli incarichi di Vicario Parrocchiale (1982-1984), Economo e Cancelliere (1984-1998); Rettore del Seminario Minore e Responsabile della Pastorale Vocazionale (1986-1989); Parroco delle parrocchie di Pedro Alexandre (1993-1998), Amministratore Diocesano (1998-2000); Parroco della parrocchia “Senhor do Bonfim” (2001-2002) e Responsabile giuridico ed amministrativo della diocesi (2001-2002). Il 13 novembre 2002 è stato nominato Vescovo di Caetité e ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’8 febbraio 2003.

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Card. Parolin: nozze gay in Irlanda, sconfitta per l’umanità

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Non solo una sconfitta dei principi cristiani, ma anche una sconfitta per l’umanità. Il segretario di Stato vaticano, il card. Parolin, ha definito in questo modo il risultato del referendum sulle nozze gay in Irlanda. Il cardinale è intervenuto ieri sera al premio per la Dottrina Sociale della Chiesa, bandito dalla Fondazione Centesimus Annus. Alessandro Guarasci

La famiglia, fondata dall’unione tra due persone di sesso diverso, va sempre  tutelata. La Chiesa ritiene, comunque, che si debba tenere conto del risultato del referendum in Irlanda. Il cardinale Pietro Parolin:

“Questi risultati mi hanno reso molto triste. Certo, come ha detto l’arcivescovo di Dublino, la Chiesa deve tenere conto di questa realtà, ma deve tenerne conto nel senso che, a mio parere, deve rafforzare proprio tutto il suo impegno e fare uno sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura. Ed io credo che non sia soltanto una sconfitta dei principi cristiani, ma un po’ una sconfitta dell’umanità”.

Sulla vicenda dell’ambasciatore francese presso la Santa Sede, il dialogo con Parigi è ancora aperto. E poi la situazione in Grecia, con le trattative con la Troika sul rientro del debito. Il rischio è la destabilizzazione per l’intero continente?

“E’ una situazione che potrebbe portare appunto ad una certa destabilizzazione. Quindi ci auguriamo che al più presto si possa giungere ad un accordo, si possa giungere ad una soluzione”.

Durante la premiazione per le opere sulla Dottrina Sociale della Chiesa, il cardinale ha detto che la crisi attuale non è solo economica e finanziaria, ma anche antropologica. In sostanza si è creata l'idolatria del denaro, senza radici e senza un vero scopo umano, colpendo in tal modo la stessa economia e riducendo la persona al consumo e allo spreco. Dunque, bisogna sempre più legare economia e sviluppo.

E al convegno della fondazione Centesimus Annus su economia e vita sociale svoltosi in Vaticano l’Europa è stata al centro dell’attenzione:  la disoccupazione nel Vecchio Continente è all’11.3%, con punte del 25% in Grecia e del 23% in Spagna. Dunque il pericolo è di una ripresa che non porti con sé posti di lavoro. Dall’Osservatore della Santa Sede a Ginevra mons. Tomasi l’invito ad una maggiore solidarietà nei confronti della Grecia. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

La ripresa per la maggior parte dei Paesi europei e per le aree industrializzate è arrivata. Secondo il Fondo Monetario Internazionale il Pil globale dovrebbe crescere quest’anno del 3.5%. Eppure i posti di lavoro mancano. Insomma, l’economia sembra sempre meno a servizio dell’uomo, dicono dalla Fondazione Centesimus Annus. La riflessione dell'economista Enrico Giovannini:

R. - Sappiamo che una rivoluzione industriale distrugge inizialmente lavoro e magari crea lavoro in altre nuove attività. Il secondo rischio è che in un mondo globalizzato non è detto che si crei lavoro laddove questo è stato distrutto. Questo è il tema che riguarda la capacità di un Paese di essere innovatore, di essere in alto nella gamma dei prodotti, proprio per evitare di soffrire troppo della concorrenza di chi basa soltanto questa sui prezzi bassi, come per esempio i Paesi emergenti.

D. - In Italia, prendendo un po’ esempio dagli altri Paesi anglosassoni, si stanno applicando nuove normative sul lavoro: il "Jobs Act". Lei quanta fiducia ha in queste normative?

R. - In questo momento, questa normativa - anche perché è stato dato un forte incentivo fiscale - sta consentendo di trasformare i contratti a termine in contratti che si chiamano a tempo indeterminato anche se in realtà l’impresa può sempre sospenderli, ancorché pagando un’indennità al lavorare licenziato. Il punto è la struttura pubblica e non solo, anche privata, per le politiche attive del lavoro, cioè per aiutare le persone che perdono il lavoro a ritrovarlo. Par darle solo una cifra, in Germania c’è un sistema di 90 mila persone che si occupa di ritrovare lavoro alle persone che l’hanno perso; in Italia ne abbiamo circa ottomila, alcune delle quali hanno contatti a tempo determinato. Quindi va bene un certo tipo di flessibilità, ma solo nella misura in cui c’è un sostegno forte per le persone che sono in difficoltà. Questo riguarda non solo chi perde il lavoro ma anche chi è povero, magari non ha mai lavorato. Questa è la ragione per cui quando ero ministro ho molto spinto per questo reddito a un minimo condizionato e mi fa molto piacere che il Papa l’altro giorno durante l’incontro con le Acli abbia ritenuto che questa sia un’infrastruttura necessaria per una società moderna.

L’area dell’Euro è destabilizzata dalla situazione in Grecia, una crisi che per molti va governato. Di questa opinione anche mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra:

R. - Naturalmente un aspetto fondamentale dell’essere umano è anche quello di sentirsi solidale con gli altri perché è parte di quello che siamo: se noi partiamo da questa premessa, la solidarietà diventa una strategia anche politica che porta a conseguenze operative e pratiche che sono di beneficio per tutti. Quindi se c’è un Paese che ha dei problemi non è che isolandolo ci proteggiamo; ci proteggiamo partecipando ai problemi del Paese che è in crisi e aiutandolo a risolverli.

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Card. Scherer: presto documenti su Sinodo e su catechesi

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È proseguito negli ultimi giorni, accompagnato dalla presenza costante di Papa Francesco, il lavoro della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, che sta preparando la prossima assise di ottobre sulla famiglia. Intanto, il dicastero sulla Nuova Evangelizzazione ha in cantiere la pubblicazione di un documento sulla catechesi. A parlare di entrambi gli argomenti è uno dei membri della Segreteria del Sinodo, l'arcivescovo di San Paolo, il cardinale Odilo Pedro Scherer, intervistato da Silvonei Protz

R. – Il compito specifico di questo incontro riguardava la stesura dell’“Instrumentum laboris”, che è ora a buon punto. Credo, infatti, che entro luglio dovrebbe essere anche pubblicato e divulgato. Quindi abbiamo lavorato su questo e nel farlo abbiamo potuto contare sulla presenza costante del Santo Padre, dall’inizio alla fine dei lavori. E questo ci dà una grande soddisfazione e mostra anche l’importanza e l’interesse che Papa Francesco dà sia al Sinodo che al tema della famiglia stessa.

D. – Qualche novità sull’“Instrumentum laboris”?

R. – Direi che non ci saranno novità. Le tematiche sono quelle che sono state già trattate nell’Assemblea straordinaria dell’anno scorso. Solo che ora sono però arricchite dai tanti contributi venuti dalle Conferenze episcopali, dai tanti membri delle diocesi e delle parrocchie e anche da tante persone che hanno dato il loro contributo per arricchire la riflessione sulle diverse tematiche affrontate. La novità sarà ora lo sguardo su queste tematiche: non più per fare il punto, per vedere come stanno le cose, adesso lo sguardo si sposterà e cercherà di arrivare a delle valutazioni – dal punto di vista anche della fede e della missione della Chiesa – e indicare piani di azione. Siamo così giunti al secondo o al terzo momento della nostra riflessione sulla tematica della famiglia, sulla vocazione e sulla missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo attuale.

D. – Lei partecipa anche all’incontro del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, che inizia oggi…

R. – Sì. Si tratta dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio e avrà come obiettivo principale la stesura di un breve documento sulla catechesi e la nuova evangelizzazione: come deve essere la catechesi per dare il proprio contributo e per essere anche strumento di nuova evangelizzazione?

D. – Uno strumento che arriverà a breve allora perché, lo ricordiamo, avremo anche l’Anno Santo della Misericordia…

R. – Sì, speriamo che questo breve testo di orientamenti sulla catechesi nella nuova evangelizzazione sia pronto quanto prima. Certo, si parlerà senz’altro anche dell’Anno Santo straordinario della Misericordia di Dio, la cui promozione è anche responsabilità del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Un bel lavoro: all’udienza generale il Papa parla del fidanzamento come tempo di conoscenza e di condivisione

Per un rinnovato impegno della Chiesa: intervento del cardinale Parolin sull'esito del referendum in Irlanda

Le dichiarazioni di principio non bastano: un articolo del cardinale Vegliò su Santa Sede e profughi nel Novecento

L’Ue fa un altro passo per l’immigrazione: varato il pacchetto legislativo

Raggiunto l’obiettivo minimo: il rapporto annuale delle agenzie dell’Onu sulla fame nel mondo

Pechino aggiorna la strategia di difesa: la marina militare rafforzerà le capacità di deterrenza e di attacco

La responsabilità dello sguardo: Leonardo Lugaresi su Novaziano e la società dello spettacolo

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Oggi in Primo Piano



Fame nel mondo in calo. Cibo per tutti: obiettivo post 2015

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Ancora oggi, 795 milioni di persone soffrono la fame nel mondo. Ma si registrano ottimi progressi per garantire in futuro il diritto al cibo a tutti, di questo si parlerà settembre nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per fissare gli obiettivi dell’Onu post-2015. Ad annunciarlo stamane, José Graziano da Silva, direttore generale della Fao, presentando a Roma il Rapporto annuale sulla stato dell’insicurezza alimentare, redatto insieme all’Ifad e al Pam, le tre agenzie delle Nazioni Unite dedicate ai temi della nutrizione. Roberta Gisotti ha intervistato l’economista Piero Conforti, responsabile delle Statistiche sulla sicurezza alimentare della Fao. 

D. - Dott. Conforti, a che punto è la lotta alla fame nel mondo, allo scadere degli Obiettivi del Millennio?

R. - In realtà, un primo obiettivo fu fissato nel 1996, dal Vertice mondiale dell’alimentazione e richiedeva di dimezzare il numero di persone che si trovano in condizione di grave insufficienza calorica, entro il 2015. Pochi anni dopo, gli Obiettivi del Millennio, fissati nel 2000, hanno determinato invece di dimezzare la proporzione delle persone in condizioni di insicurezza alimentare nella popolazione. Ambedue questi obiettivi vengono a scadenza quest’anno. Con le informazioni che noi abbiamo, dobbiamo concludere che l’obiettivo del Millennio di diminuire almeno del 50 per cento la proporzione delle persone in condizioni di fame è stato quasi raggiunto. Siamo a pochi decimi di punto percentuale di differenza da quello che sarebbe l’obiettivo numerico.

D.  – Dal 23 per cento, leggiamo nel rapporto, si è scesi al 13 per cento…

R.  – Sì, viceversa, l’altro obiettivo che richiedeva di ridurre il numero di persone non è stato raggiunto ed è mancato per un margine piuttosto ampio.

D. – Gli affamati sono infatti scesi di 216 milioni anziché i 400 milioni ipotizzati, come mai?

R. – Uno dei motivi è che, rispetto ai primi anni ’90, oggi abbiamo sul pianeta circa due miliardi di persone in più. Naturalmente questo è il quadro della totalità dei Paesi. Se noi guardiamo invece ai singoli Paesi scopriamo che questi due obiettivi sono stati raggiunti in molti Stati. L’obiettivo relativo alla proporzione di persone che soffrono la fame è stato raggiunto in 72 Paesi dei 129 che noi monitoriamo. E in 29 di questi 72 è stato raggiunto anche il secondo obiettivo, quello più ambizioso, di riduzione del numero di persone. Questo non significa, ovviamente, che tutti i problemi siano risolti. Abbiamo, nonostante questo, circa 800 milioni di persone, ancora oggi, che soffrono di insicurezza alimentare grave e cronica. Significa che bisogna fare ancora molto lavoro per continuare su questa strada.

D. – Quali cause di successo e di insuccesso nel Rapporto?

R. – Ogni Paese ha la sua storia. E’ difficile generalizzare. Ma volendo prendere gli elementi comuni, la crescita economica è molto importante, ma è altrettanto importante che la crescita economica riesca a fornire opportunità di reddito ai più poveri, ai più deboli, ai più vulnerabili. Dove la crescita economica raggiunge tutti e provvede opportunità di occupazione, di guadagnare reddito anche per i più poveri, il successo è abbastanza diffuso. E molto importanti sono anche le politiche di solidarietà, di protezione sociale, che servono, da un lato, ad aiutare quelli che non riescono a guadagnare un reddito sufficiente e, dall’altro, a diffondere i benefici della crescita. Un altro fattore che osserviamo è che purtroppo le condizioni più difficili si incontrano in corrispondenza dei grandi disastri naturali e dei grandi disastri provocati dall’uomo come gli episodi di guerra e di instabilità politica. Lì purtroppo non c’è crescita economica e non ci può essere protezione sociale e dunque l’insicurezza alimentare aumenta rapidamente. Ci sono aree del mondo in cui siamo in una condizione di crisi continua e queste sono le aree in cui l’insicurezza alimentare è più grave.

D.  – Quali sono queste aree?

R. – Le aree in cui il progresso è più lento sono da un lato l’area del Sud del Sahara e dall’altro l’Asia meridionale. In particolare l’area a Sud del Sahara è un gruppo di Paesi molto composito alcuni dei quali hanno avuto invece molto successo, sono riusciti a ridurre almeno la parte più grave dell’insicurezza alimentare. Penso ad esempio ad un Paese come il Ghana.

R. – Ci sono critiche da parte della Fao alla comunità internazionale o ad alcuni gruppi di Paesi che non hanno risposto in questi 15 anni alle indicazioni della Fao e delle altre agenzie che si occupano di garantire il diritto al cibo?

R. – Più che criticare quello che noi dobbiamo fare e che facciamo è cercare di lavorare insieme a tutte le parti in causa in questi Paesi, che sono i governi ma sono anche la società civile il settore privato e sono partner importantissimi.

D. – Non vi scontrate ad esempio con il problema, che è anche molto presente nei Paesi in via di sviluppo, della corruzione?

R.  – Certamente questo è un problema ma non è un problema che possiamo risolvere. Noi cerchiamo di fare il possibile per anzitutto isolare l’azione dell’organizzazione da qualunque fenomeno di questo genere e poi per, nonostante questo, portare avanti i nostri progetti. In genere la Fao è un’organizzazione che ha una buona risposta, ci rispettano per il tipo di lavoro che cerchiamo di fare. La Fao è un’organizzazione che prende conoscenza dalle università, dai centri di ricerca e cerca di metterla a disposizione delle parti in causa nei Paesi più poveri per cercare di migliorare la situazione.

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Corruzione nel calcio mondiale. Arrestati sei dirigenti Fifa

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Il mondo del calcio internazionale sotto accusa. Sei dirigenti della Fifa sono stati arrestati a Zurigo, dove è in corso il meeting annuale. Tutti sarebbero accusati di corruzione e sono in attesa di estradizione negli Stati Uniti da dove è partita l’inchiesta sugli ultimi 20 anni di gestione dell’organismo. Nel mirino dell’Fbi, le gare per aggiudicarsi i campionati mondiali, gli accordi per il marketing e i diritti televisivi. “Al momento il presidente Blatter non è indagato e nella vicenda siamo la parte lesa”, ha detto stamane il portavoce della Fifa, assicurando che le elezioni per il rinnovo della presidenza, in programma venerdì prossimo, si svolgeranno regolarmente. Marco Guerra ne ha parlato con una delle firme più autorevoli del giornalismo sportivo italiano, Italo Cucci: 

R. – E’ significativo il fatto che l’indagine sia partita dagli Stati Uniti. Immagino che ci volesse proprio un inquisitore terzo, cioè non coinvolto nel calcio mondiale, come sono praticamente tutti gli altri Paesi. Ricordiamo che la Fifa, la Federazione Internazionale delle Associazioni di Calcio, ha più Paesi aderenti di quanti non ne abbia l’Onu. Una forza mondiale assoluta. Ci voleva, però, il Paese che è meno interessato a quelle che sono tutte le attività calcistiche. Gli Stati Uniti crescono lentamente, ma non sono partecipi del grande business della Fifa. Non c’è stupore, anche perché ormai fra il denaro, l’ipocrisia, il piacere comunque di coltivare uno sport bellissimo, si è diventati tutti abbastanza cinici e si dice: “Quando è che metteranno  le mani sul mondo della Fifa, dove circola denaro all’insegna di un potere illimitato...”. Si può disporre anche – tanto per dire l’ultima – di giocare un campionato del mondo in inverno, per far piacere all’emiro del Qatar. Ecco, questo è il calcio mondiale che in questo momento viene radiografato e nel cui corpo vengono trovati mille mali.

D. – Gli eventi legati al calcio generano un giro di soldi astronomico. Forse è sfuggito di mano tutto questo al mondo del calcio?

R. – Quando si dice business non è semplicemente una parola o – come molti dicono – un adeguamento ai tempi: il mercato, il denaro. Da una ventina d’anni, il calcio in questo modo non è più uno sport, ma semplicemente uno spettacolo, uno spettacolo corrotto fra l’altro, perché si sono buttate via tutte quelle che erano le “sostanze” morali. Non è per fare una predica – gli imbroglioni ci sono sempre stati, le situazioni dubbie anche – ma una volta c’era alla fine lo spirito vincente del pallone. Adesso è tutto denaro, le tv a pagamento...tutto è a pagamento. Se volete incontrare un campione e chiedergli come sta, probabilmente prima gli dovete dare un compenso immediato, perché altrimenti non parla nemmeno più. In questa maniera, si è tolto quell’aspetto sportivo che praticamente voleva dire anche “romantico”, che voleva dire anche “pulito”, che voleva dire “passione”, ed è diventato tutto una bottega.

D. – E poi ci sono i vertici alla guida mondiale del calcio, che sono gli stessi da 20 anni. Questa sclerotizzazione della dirigenza ha provocato dei danni? Si poteva evitare?

R. – La sclerotizzazione ha una sua spiegazione molto pratica, per un semplice motivo: Blatter è un uomo di successo, Blatter è il presidente che ha portato più soldi al calcio di tutti quelli precedenti messi assieme, Blatter è uno che, stando a questo tipo di morale, a questo tipo di conti che si vanno a fare, è quello che ha fatto più di tutti il bene del calcio. Poi, la sostanza la vediamo: 100 milioni di dollari di corruzione. Ci sono in ballo delle cifre che spesso e volentieri superano quello che è il fabbisogno di uno Stato, di un Paese. Avendo questi risultati, chi è che va a dire a Blatter: "Vattene?".

D. – Solo pochi giorni fa, l’indagine sul calcio dilettantistico in Italia. Si può credere ancora nel pallone alla luce di tutto questo?

R. – Quando si allentano i freni inibitori, tutto va a finire in questa maniera. Il calcio minore prende esempio dal calcio maggiore . Allo stesso tempo, è il periodo in cui si fanno più congressi, più dibattiti, più convegni che riguardano la morale dello sport. Evidentemente, parlandone molto, ci si è accorti che la morale è praticamente sparita. Non si può recuperare, però, con le chiacchiere, ma con fatti certi. Vale a dire: ci vuole un periodo di austerità e di controllo profondissimo e non basta il calcio a ripulire il calcio. In questi giorni, il fenomeno delle scommesse dice che siamo davanti a un problema di Stato e io spero ci sia una collaborazione fra le autorità calcistiche semi-impotenti e le autorità dello Stato, che per ora non hanno brillato, per poter mettere a posto questo capitolo di un problema sociale, non di un problema sportivo. Bisogna, inoltre, ricominciare dalle famiglie, da chi assiste all’attività sportiva minore. Quando papà e mamma vanno a vedere il ragazzino che gioca, spesso e volentieri rimangono turbati dalla maleducazione e dal fatto che l’unico traguardo che viene perseguito è quello del successo. E’ un fenomeno da rieducare in maniera profondissima.

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Crisi in Madagascar. Il presidente rifiuta l'impeachment

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Il parlamento del Madagascar ha votato la destituzione del presidente per presunte violazioni costituzionali e per incapacità. Ora, sarà la Corte Costituzionale a stabilire se la mozione potrà essere attuata. Il capo di Stato, che denuncia brogli, era stato eletto nel 2013 nel tentativo di porre fine alla grave crisi politica del Paese. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

Il presidente Rajaonarimanpianina in un discorso alla nazione ha rifiutato la destituzione decisa dal parlamento e in un discorso alla nazione ha denunciato “brogli nelle operazioni di volto” e di voler continuare a essere alla guida del Madagascar. Entro questa sera la Corte costituzionale dovrebbe essere investa dal caso, ma il poverissimo Paese rischia di ripiombare nel caos politico del 2009, quando alle manifestazioni di piazza seguirono scontri e vittime. La Chiesa cattolica lavora incessantemente alla ricostruzione del Madagascar e insieme ad anglicani, luterani e protestanti fa parte di una delle tre Commissioni “per la riconciliazione” nazionale. A scatenare la crisi attuale, però, sarebbe stata proprio una riunione indetta della Commissione. Circa due settimane fa infatti oltre duemila persone, in forma anonima, hanno presentato una richiesta di scioglimento del parlamento investendo a tal riguardo il presidente Rajaonarimanpianina. In questo quadro, i vescovi cattolici hanno preso le distanze per mancanza di trasparenza, ma il documento di scioglimento avrebbe comunque innescato la reazione dell’Assemblea nazionale, culminata poi nella richiesta di destituzione del capo dello Stato.

Sulla situazione attuale abbiamo raggiunto nella capitale Antananarivo, don Luca Treglia, direttore di "Radio Don Bosco": 

R. – Il Madagascar vive uno stato di caos politico e questo porta molti problemi. I vescovi, nell’ultima lettera che hanno pubblicato, circa due settimane fa, hanno denunciato questa situazione che porta solamente danni al popolo. Coloro che traggono vantaggio da questo caos sono solamente i politici. Il popolo soffre: non può curarsi, non ha da mangiare, c’è molta corruzione e le leggi vengono fatte solo per alcuni affinché possano approfittare delle ricchezze del Madagascar. Praticamente il 70% delle persone vive al di sotto della soglia di povertà con meno di un euro al giorno.

D. – Adesso, sarà la Corte costituzionale che dovrà esprimersi sulla destituzione del presidente chiesta dal parlamento. Che tempi ci sono?

R. – Al momento, nessun documento è arrivato alla Corte costituzionale, ma si pensa che questo accadrà in serata. Poi, questa lo prenderà in esame. Il problema è che parecchi membri della Corte costituzionale sono a favore del presidente, quindi  anche lì rimane il dubbio su quale decisone verrà presa per questa domanda.

D. – Il parlamento vota l’"impeachment", il presidente parla di brogli nelle operazioni di voto e la Corte costituzionale sembra essere sbilanciata. Si rischiano di nuovo le violenze del 2009 con morti e feriti per le strade?

R. – Il rischio c’è. In questo momento, ci sono forti tensioni politiche e tra l’altro anche il vecchio presidente, Ravalomanana, è rientrato in Madagascar – molte persone non volevano che tornasse. Ci sono molte pressioni da parte della comunità internazionale a favore del vecchio presidente, per cui tutto questo ha creato una situazione di caos e di confusione.

D. – Ma come viene visto l’intervento della comunità internazionale?

R. – La pressione internazionale è vista qui in Madagascar in modo negativo. La cultura malgascia considera ingerenze l’intervento esterno. Servirebbe una persona capace di governare il Paese e che soprattutto si dedichi ai bisogni del popolo: la povertà, il lavoro, le malattie che sono tantissime …

D. – Siamo di fronte dunque ad una politica autoreferenziale che non si interessa al popolo?

R. – Purtroppo, è quello che succede. A volte, chi è la potere pensa solo ai propri interessi e la stessa cosa fa l’opposizione. Servirebbe che ognuno si prenda le proprie responsabilità per la costruzione di un Paese attualmente allo sfascio. Quindi, da una parte il presidente con il suo governo dovrebbero sforzarsi di fare di più e dall’altra, e dall’altra l’Assemblea dovrebbe cercare di collaborare con il presidente per mettere le basi che consentano uno sviluppo stabile.

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La Siria e padre Dall'Oglio: un legame che non muore

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Una luce sul conflitto siriano e sul pensiero di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita sequestrato quasi due anni fa in Siria. E’ stato l’obiettivo dell’incontro dal titolo: “La Siria di padre Paolo e oltre”, tenutosi ieri pomeriggio a Roma presso la sede della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e promosso dall’Associazione Articolo 21. Il servizio di Benedetta Capelli

“Non c’è giustizia ed equità senza tolleranza e perdono”. Sono le toccanti parole dei famigliari di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito in Siria il 29 luglio del 2013, dopo aver fondato la comunità monastica cattolico-siriaca Deir Mar Musa a nord di Damasco. Una vicenda che presenta ancora molti punti oscuri, ma che è stata lo spunto per riflettere sulla complessa situazione siriana a quattro anni dall’inizio del conflitto. Presso la sede della Federazione nazionale della stampa italiana, si è discusso della necessità di ascoltare il grido della popolazione provata da tanta sofferenza. La sorella di padre Paolo, Francesca Dall’Oglio:

R. – Per noi questa iniziativa, che ha messo in atto la Federazione nazionale della stampa italiana, è di consolazione e nello stesso tempo siamo contenti che si parli del messaggio di Paolo in una situazione veramente terribile. Gli interventi che si sono succeduti li abbiamo sentiti di grande spessore, tutti profondamente vicini al pensiero di Paolo nella sua attualità. Questa è una cosa per noi veramente di grande consolazione e penso anche di Paolo, che in modo misterioso – perché così sono le vie del Signore – è vicino a noi.

D. – Oggi, a distanza di due anni, quando lei pensa a suo fratello qual è il pensiero più ricorrente e soprattutto cosa spera nel futuro?

R. – E’ difficile, perché da un lato c’è un’emozione e una sofferenza che ci appartiene da quel giorno che Paolo è stato rapito – è una ferita grande che ci portiamo dietro – ma nello stesso tempo è anche un’occasione – per noi: famiglia, fratelli – per entrare di più dentro il pensiero di Paolo e anche compartecipare, compatire, soffrire insieme a questo popolo siriano.

D. – E’ stato detto che padre Paolo è un uomo di Dio, che è un messaggero di pace, un rappresentante del popolo siriano. Di tutte queste definizioni, qual è quella che sente più sua?

R. – Mi verrebbe da dire: un fratello più piccolo di me, che sta testimoniando una sua strada, che lo porta a essere vicino a persone che soffrono, ma anche con un grande spessore che è l’impostazione del suo spirito di dialogo verso questi fratelli musulmani, tutti figli di Abramo, come è stato detto oggi (ieri - ndr) e sottolineato.

D. – Papa Francesco lo ha ricordato tempo fa in una sua omelia. Che cosa ha rappresentato per voi quel pensiero, quella carezza del Papa?

R. – Non ci sono parole, perché questa vicinanza di Papa Francesco è importante.

“Chi fa male a padre Paolo, fa male al popolo siriano”: così l’imam di Trieste Nader Akkad, intervenuto nel dibattito insieme ad Antonie Courban, docente della Saint Joseph University di Beirut, che ha raccontato l’impegno del Libano nell’accoglienza dei profughi siriani, oltre un milione e mezzo di persone. Il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, ha ricordato la figura di Dall’Oglio che è voluto tornare in Siria dopo l'espulsione, per essere accanto al suo popolo:

R. – Paolo Dall’Oglio per me è un compagno di strada nel dialogo tra le religioni, nel desiderio di creare ponti tra il mondo cristiano e il mondo musulmano, soprattutto in Medio Oriente. Con padre Paolo ho vissuto esperienze molto importanti e interessanti a questo livello, soprattutto in Siria e in Egitto, e credo che oggi il suo ricordo vivo che noi abbiamo, perché speriamo in un suo ritorno tra di noi, è quello di costruire sempre, al di là delle avversità, dei legami, di costruire vie di incontro perché sono le uniche che ci possono salvare dalla guerra e dallo scontro.

D. – Nel suo intervento, lei ha parlato del tema dei sequestrati. Oltre a padre Paolo ci sono anche tanti uomini di fede – vescovi, sacerdoti – l’ultimo è padre Mourad. Che cosa significa rapire un uomo di Dio in un contesto così difficile come quello siriano?

R. – Significa certamente bestemmiare il nome di Dio, che non vuole la morte di nessuno né che nessuno sia maltrattato. Oggi queste persone, che sono nelle mani di rapitori a noi sconosciuti, potrebbero essere persone invece molto valide sul terreno, per aprire vie di pace, di dialogo e di incontro in Siria. La nostra speranza quindi, e soprattutto la nostra preghiera – come si fa ogni sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere per loro – è che la loro salvezza porti una nuova speranza alla Siria.

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Religioni insieme per l'aiuto umanitario. Simposio a Ginevra

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Politici, esperti, accademici, leader religiosi, si riuniscono a Ginevra, nella sede delle Nazioni Unite, per una riflessione sul contributo delle organizzazioni religiose nei teatri bellici e sul ruolo delle religioni nel promuovere la riconciliazione. A organizzare il Simposio “Religions Together for Humanitarian Action” ("Religioni insieme per l’aiuto umanitario") è il Sovrano Ordine di Malta. Francesca Sabatinelli ha intervistato il gran cancelliere, Albrecht Freiherr von Boeselager

R. – We sat together to consider what could be our contribution…
Ci siamo riuniti per riflettere sul nostro contributo al Vertice umanitario mondiale, che si terrà nel 2016 (a Istanbul su iniziativa del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon - ndr). Questo vertice tratterà quattro temi, il quarto dei quali riguarda lo sviluppo dei conflitti armati e dell’aiuto umanitario durante i conflitti armati. Noi abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione su questo punto e di elaborare quale possa essere la vocazione speciale e le possibilità di aiuto da parte delle organizzazioni a sfondo religioso, nei conflitti armati. A questo scopo abbiamo deciso di avviare a Ginevra questa discussione, insieme a rappresentanti di altre religioni, per arrivare a identificare una proposta comune da presentare al Vertice umanitario mondiale.

D. – Nei recenti conflitti, ciò che è evidente da tempo è che i civili siano le principali vittime e soprattutto che si dimentica completamente il diritto umanitario…

R. – Until the First World War, 90 per cent of war victims were soldiers and 10 per cent civilians…
Fino alla Prima Guerra mondiale, il 90% delle vittime di guerra erano soldati e il 10% civili. Ora è esattamente al contrario: il 90% delle vittime sono civili, in maggioranza donne, bambini e anziani. La situazione delle popolazioni civili nelle aree coinvolte dai conflitti armati è peggiorata drammaticamente. Il secondo punto è questo: dopo la Seconda Guerra mondiale, la famiglia delle nazioni ha istituito un corpo di convenzioni legali riguardo alla legge umanitaria, convenzioni della Croce Rossa e dell’Onu, che dirigevano l’osservanza delle leggi umanitarie nel corso dei conflitti armati. Noi abbiamo visto, con grande preoccupazione, che queste convenzioni sono sempre più disattese. E penso che non ci sia permesso di “osservarlo”, semplicemente: dobbiamo agire e fare qualcosa. Dall’altro lato osserviamo anche che la grande fiducia nelle grandi istituzioni rinomate non è diminuita, in particolare quelle istituzioni che si fondano su valori molto solidi e, specialmente, quelle istituzioni i cui valori si fondano nella religione. Questo è quello che vogliamo promuovere. Molti, oggi, guardano alla religione “a priori” come una delle cause o ragioni dei conflitti. Secondo noi, questa è un’opinione miope: gli argomenti riguardo alla religione spesso sono male interpretati, quando la religione è scissa dai propri valori. I veri valori religiosi sono sempre validi e dovrebbero essere usati per risolvere i problemi. Questo è quello che vogliamo promuovere.

D. – In che modo si può affrontare il fatto che a oggi la maggior parte dei conflitti siano guerre non dichiarate, che non hanno dei protagonisti determinati e che soprattutto sono conflitti che vedono al loro interno anche gruppi, organizzazioni, che non fanno riferimento a uno Stato, come possono essere ad esempio lo Stato islamico, Boko Haram, al Qaeda…

R. – That what you mention poses one of the great challenges in this situation…
Quello di cui lei parla rappresenta una delle grandi sfide in questa situazione. Questi attori nei conflitti non rientrano nelle convenzioni per il diritto umanitario e quindi non si sentono legate a esse, anzi oserei dire che non le conoscano nemmeno... Per questo dobbiamo richiamarci a principi etici di base se vogliamo avere a che fare con loro. Probabilmente, è troppo ottimista affermare che, su questa base, possiamo avere un’interazione con ognuno di loro. Ma molti di questi conflitti sono terribilmente complessi: non ci sono soltanto due o tre o quattro ragioni, non ci sono soltanto due, tre o quattro attori. Ce ne sono molti: i conflitti interni, fondati su religioni o gruppi etnici diversi o, ancora di più, su cause economiche, su potenze esterne che interferiscono al fine di salvaguardare o ampliare le loro zone di interesse… Credo però di essere ancora ottimista, perché credo che molti degli attori possano essere raggiunti con argomenti etici e che non si possa ignorare, nemmeno da un punto di vista razionale, la sofferenza delle popolazioni, la distruzione delle economie, la distruzione dell’istruzione e così via. Per questo, credo dovremmo cercare di compiere ogni sforzo per riportare questi principi etici e fondati sulle religioni nelle discussioni. Tutte le parti devono rendersi conto che devono giocare un ruolo in questo scenario, anche il modo di condurre le guerre da parte delle potenze sviluppate del mondo occidentale deve essere riconsiderato, come ad esempio l’uso dei droni per uccidere persone singole in Paesi stranieri, la carcerazione di individui senza processo, la tortura e tutte queste cose che sono accadute in questo contesto devono essere riconsiderate.

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Seminario di Caritas Roma su gioco d'azzardo e informazione

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L’Italia è al primo posto in Europa e al terzo nel mondo per gioco d’azzardo, un settore che rappresenta il 4 per cento del Pil nazionale. Sono alcuni dei dati emersi nel corso del Seminario dal tema “Il gioco d’azzardo e la professione giornalistica”, che si è tenuto oggi presso le case famiglie di Villa Glori a Roma, promosso dalla Caritas romana e dall’Ordine dei giornalisti del Lazio. Il servizio di Elvira Ragosta

Dopo le liberalizzazioni partite nel 1992, il volume d’affari del gioco d’azzardo si è moltiplicato e oggi presenta un fatturato legale di 90 milioni di Euro. "Gratta e vinci", lotto istantaneo, slot machine e sale bingo, ampiamente pubblicizzati, rappresentano il consumo, sempre in aumento, di una promessa che spesso porta sul lastrico intere famiglie. Roma è diventata la capitale europea dell’azzardo, è l’allarme lanciato dal direttore di Caritas Roma, mons. Enrico Feroci:

 “A Roma, ci sono 24.931 slot. Significa, quindi, che 25 mila persone - un grande paese - potrebbero giocare contemporaneamente. Ci sono delle sale dove ci sono 900 postazioni, il che significa che 900 persone potrebbero contemporaneamente essere lì. Questo sta creando una dipendenza dal gioco spaventosa. Ma soprattutto siamo preoccupatissimi per lo sciacallaggio da parte di certe persone, soprattutto sulla pelle dei poveri, degli anziani e – stiamo vedendo – anche degli immigrati, che con quei pochi soldi che possono ottenere, tentano la fortuna. “Tentare la fortuna” è una frase che viene gettata in pasto alle persone, ma il calcolo delle probabilità ci dice esattamente che chi gioca, perde, perde tranquillamente. Lo dicevano gli antichi e si dice ancora oggi. Ora, il prevenire è solamente far sapere, fa conoscere”.

Sul rapporto tra gioco d’azzardo e giornalismo interviene Luca Borgomeo, presidente dell’Aiart, l’Associazione Spettatori onlus, sottolineando la scarsa attenzione che le testate italiane hanno riservato alla condanna espressa dal card. Bagnasco al gioco d’azzardo nel corso della sua prolusione all’apertura della 68.ma Assemblea della Cei:  

“Quando il cardinale dice che il gioco d’azzardo muove una massa di denaro inferiore solamente a quella dell’Eni e dell’Enel, quando mette in evidenza, con durezza, che è un disastro per le famiglie, il cardinale non solo dà un giudizio, dà un’informazione, ed è sacrosanto dovere degli organi di informazione dare notizia. Invece, questo aspetto della relazione del cardinale è stato completamente ignorato dai grandi quotidiani e dalle tv. Viene il sospetto che questo sia un sostegno indiretto che i grandi giornali danno al circo del gioco d’azzardo”.

E sull’importanza del linguaggio con cui i media affrontano la tematica, la riflessione di Maurizio Fiasco, sociologo, consulente della Caritas di Roma:

“Se io il gioco d’azzardo lo chiamo gioco pubblico o gioco di alea composta in denaro, evidentemente cosa enfatizzo? L’aspetto ludico e il ticket che si paga, il denaro, per divertirmi. Se lo chiamo gioco d’azzardo, è evidente che vado ad individuare un comportamento contrario al nostro modello istituzionale, che recepisce il sentimento etico della società italiana. Questo tema si è dilatato, è diventato un business che assorbe il 10 per cento dei consumi degli italiani, attraverso una retorica, attraverso una neo lingua che si è imposta, e che quindi dà luogo o ad allarme o ad una riduzione dell’allarme oppure ad un sentimento di innocuità di un fenomeno”.

Tante le associazioni che si occupano di contrastare il gioco d’azzardo e la dipendenza ad esso. Tra queste c’è Slotmob, che premia simbolicamente i bar italiani che hanno rinunciato agli introiti provenienti dal settore. Carlo Cefaloni, referente della campagna Slotmob:

“Partire da chi fa una scelta alternativa, non vuole essere una condanna in chi è che si trova come ultimo anello debole di questa catena. Vogliamo additare un’altra modalità, e questo genera comunità, genera relazione sociale, anche a partire dalle associazioni, che magari si iniziano a conoscere per compiere questo gesto pubblico, e comunque dalla popolazione”.

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Convegno uomo, vita e ambiente: il contributo del sud Italia

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La Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale ha organizzato oggi e domani un convegno a Napoli dal titolo: “Per un nuovo umanesimo. Il contributo del Sud ”. Un' occasione per parlare del legame che esiste tra uomo e ambiente e per riflettere sul ruolo della Chiesa nella lotta alle mafie nel sud Italia e non solo. Federica Bertolucci ha chiesto al vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, che interverrà come relatore al convegno, quale contributo può dare il Mezzogiorno all'umanizzazione: 

R. - Possiamo dire che il Sud ha una sua particolare ricchezza nella capacità di vicinanza, di attenzione e di solidarietà.

D. - Lei interverrà durante il convegno parlando della sua missione come vescovo in una terra generosa e difficile. Quanto è impegnativo ricoprire questo ruolo?

R. – Se impegnativo significa mettere in questo il massimo di se stessi, allora si può usare questo aggettivo. Si può dire che l’impegno è totale, pieno, ma non pesante. Se per impegnativo intendiamo qualcosa che sembra essere quasi un senso del dovere, allora diventa piuttosto pesante e difficile. Invece posso dire che è qualcosa che coinvolge tutta la vita della persona, quindi anche la vita del proprio essere Chiesa, dell'essere pastore nella Chiesa, ma in una dimensione di apertura verso un dialogo a volte intenso, a volte un po’ teso, ma sicuramente sempre ricco.

D. – La Campania è una terra preziosa, ma che troppo spesso viene ingiustamente ricordata solo come “Terra dei fuochi”. Sta cambiando qualcosa?

R. – Diciamo che l’essere “Terra dei fuochi” appartiene al peccato dell’umanità. È il peccato che inquina il mondo, rende difficili quei rapporti che invece nella verità della creazione sono stati voluti da Dio come partecipazione alla vita, all’armonia stessa della vita. La Campania come qualunque altra parte del mondo è una terra di grandi ricchezze naturali e umane; solo il ventesimo secolo ha visto l'iscrizione di trecento Cause di santi. Quindi vuol dire che questa è una terra che ha tanta ricchezza di umanità, di fede. Poi, certamente, c’è il peccato che inquina e corrode un tessuto, ma non è la parte dominante. Ciò che invece è verità nella vita di questa terra è la ricchezza di persone, di fratelli che nella fede rispondono ad una vocazione e che con la loro vita cercano di essere in cammino sulla via del Vangelo, seguendo il Signore. C'è tanta grazia di Dio, tanta ricchezza.

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Il Movimento Apostolico rilancia il suo impegno missionario

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Settimo Convegno Nazionale del Movimento Apostolico questo pomeriggio all’Auditorium Conciliazione di Roma sul tema: “La gioia del Vangelo, sorgente del nuovo umanesimo”. In mattinata i convegnisti, provenienti dall’Italia e da diversi Paesi, hanno partecipato all’Udienza generale. Interverranno all’incontro mons. Vincenzo Bertolone,  arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, diocesi in cui è nata la spiritualità del Movimento e mons. Filippo Santoro, arcivescovo di  Taranto. In serata oltre 100 giovani presenteranno la sacra rappresentazione “Ester il musical”,  della presidente Cettina Marraffa, autrice di numerose opere sacre e teatrali. Ma che cos’è il Movimento Apostolico? Federico Piana lo ha chiesto all’assistente ecclesiastico don Gesualdo De Luca, vicario episcopale nella diocesi di Catanzaro-Squillace e docente di antropologia teologica nell’Istituto Teologico calabro: 

R. – E’ un movimento ecclesiale nato a Catanzaro nel 1979, tramite la signora Maria Marino, che ne è l’ispiratrice, la fondatrice. Una donna umile, semplice, che ha un rapporto vivo col Vangelo, tocca i cuori e li sveglia alla fede. E una volta che la fede è svegliata va formata, per cui c’è tutta un’opera di educazione alla fede, di catechesi. E la fede, una volta svegliata e formata, va donata. Nasce da qui tutta l’opera della missione: l’inserimento concreto all’interno delle parrocchie, il volontariato, le opere di carità spirituale e materiale, la cooperazione missionaria … E all’interno di questo cammino di formazione vera e di lavoro apostolico nelle parrocchie - perché ognuno è inserito come catechista e animatore liturgico, operatore della carità - sono già nati 80 sacerdoti e anche un istituto secolare femminile che ha già 50 membri. Con tutto questo noi ci sforziamo di vivere quello che già San Giovanni Paolo II nell’udienza al Movimento del 16 agosto 1987 ci aveva detto: “Date una nuova anima al mondo”.

D. – Oggi questo Convegno del Movimento Apostolico. Il tema è molto bello “La gioia del Vangelo sorgente del nuovo umanesimo”: perché questo tema?

R. – Perché ci siamo messi in ascolto della voce del Santo Padre, nell’Evangelii gaudium e poi della voce del magistero della Chiesa italiana che sta andando a celebrare il suo prossimo Convegno “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Noi abbiamo la percezione e l’esperienza che lo Spirito di Dio dà, come frutto, la gioia. Quando si accoglie Cristo e la sua Parola, nasce la gioia nel cuore e questa gioia non si può contenere, bisogna donarla. E nel donare Cristo, la sua Parola, nella Chiesa, con la Chiesa e per la Chiesa, noi siamo convinti che può nascere un uomo nuovo e oggi c’è bisogno di costruire quest’uomo nuovo. Infatti: che uomo stiamo costruendo? Un uomo preso dall’ideologia gender, un uomo egoista, corrotto, un uomo che pensa solamente a se stesso, come ci ricorda sempre il Santo Padre. Dobbiamo creare un’altra società, dobbiamo creare l’uomo nuovo in Cristo. Cristo è l’uomo nuovo. E dobbiamo conformare a lui ogni creatura, questo è il nostro cammino e la nostra volontà. D’altra parte il Movimento Apostolico è missionario e accogliendo questo invito del Santo Padre nell’Evangelii gaudium noi vogliamo continuare e allargare sempre più gli spazi della nostra missione.

D. – Come si svolgerà questo Convegno all’Auditorium Conciliazione di Roma?

R. – Ci sarà innanzitutto il delegato della presidente, Cettina Marraffa che darà un saluto a tutti i presenti, poi l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, mentre la relazione base sarà tenuta da sua eccellenza mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e da poco nominato presidente della Commissione episcopale della Cei per la giustizia sociale, il lavoro, la pace. Poi, ci sarà un dialogo in assemblea per approfondire le tematiche e le conclusioni che farò io.

D.  – Ci saranno anche i giovani ad allietare la serata…

R. – Ci sarà “Ester il musical”. Anche questa è una forma che nel Movimento stiamo utilizzando moltissimo, grazie al genio della presidente, Cettina Marraffa, capace di trasformare il Vangelo in arte, per avvicinare i giovani alla Chiesa e renderli missionari verso gli altri giovani. Sono loro che vanno verso i loro coetanei mostrando una forma di Vangelo bella, attraente e vera nello stesso tempo, perché c’è una fedeltà totale al cammino e alla verità della Scrittura.

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Inaugurata catacomba paleocristiana a Villagrazia di Carini

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Dopo oltre 10 anni di ricerche archeologiche è stata inaugurata oggi la catacomba paleocristiana di Villagrazia di Carini, nel palermitano, alla presenza di mons. Giovanni Carrù, segretario della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, e di numerose autorità locali. Il servizio di Alessandra Zaffiro

Con i suoi oltre 3.500 metri quadri di superficie scavata, il sito si configura come una delle più importanti testimonianze della presenza del cristianesimo nella Sicilia tardo romana e bizantina e nonostante ciò nel tempo venne utilizzata come stalla, rifugio antiaereo durante la guerra, fungaia, persino discarica.

“Qui era tutto abbandonato, son quasi vent’anni che lavorano. Per la Diocesi e la Sicilia le catacombe sono molto importanti perché rivelano le prime comunità cristiane, come vivevano, come erano organizzate, attraverso i pezzi lapìdei, qualche affresco, gli arcosòli", ha detto mons. Carrù. "Colpisce tutto, si vede proprio che questi primi cristiani ci tenevano molto a stare qui attorno ai loro martiri e a pregare. Sono catacombe che parlano. Mi piace definirlo un silenzio assordante: al di là del fatto di essere credenti o non credenti, il senso del mistero lo provano tutti. Dentro le catacombe questo senso del mistero uno lo sente nel cuore, poi ognuno dà le sue risposte. Da parte della Pontificia Commissione un ringraziamento enorme va a sua eccellenza Pennisi”.

“Sono molto contento che finalmente si possa riaprire questa catacomba che ci richiama alle radici cristiane di questa comunità intorno al IV, V secolo", ha dichiarato l’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, sottolineando che "ci sono stati dei vescovi nella comunità di Carini che hanno partecipato ad alcuni Sinodi e al II Concilio di Nicea”.

“Mi pare importante - ha aggiunto il presule - che grazie alla collaborazione fra Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, Università di Palermo, il Dipartimento archeologico e la Diocesi che ha dato un suo contributo per aiutare i giovani a costituire la Cooperativa "ArcheOfficina" attraverso il "Progetto Policòro" riapra questo luogo per far riscoprire le origini cristiane ai nostri ragazzi. Il prossimo anno abbiamo in programma di far visitare questa catacomba con gli insegnanti di religione ai ragazzi delle nostre scuole, perché attraverso la conoscenza delle proprie radici possano anche proiettarsi verso il futuro”.

“Per me, è una grande soddisfazione e un punto di orgoglio che corona quindici anni di una attività di ricerca che non è stata facile”, ha detto Rosa Maria Bonacasa Carra, professore ordinario di Archeologia cristiana e medievale dell’Università di Palermo e ispettore della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra per le catacombe della Sicilia occidentale.

“La catacomba è un monumento delicato, difficile da gestire, va curato e attenzionato con grande professionalità previo il rischio che ci crolli addosso”, ha aggiunto la docente, la quale ha ringraziato per il sostegno la Pontificia Commissione che ha “il compito della tutela  e della ricerca” e  l’arcivescovo di Monreale, mons. Pennisi “che con un sostegno anche economico forte, ha creduto in questa iniziativa. Senza il suo sostegno, probabilmente questo progetto non sarebbe riuscito a decollare”.

“Siamo qui - ha aggiunto la prof.ssa Bonacasa Carra - perché un gruppo di giovani ex allievi dell’Università di Palermo, che ha fatto tirocinio pluriennale qui dentro, ha deciso due anni fa di costituire una Cooperativa, di proporsi come un servizio alla comunità per la gestione di questo monumento”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Ostaggi assiri: i jihadisti liberano due donne

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Due anziane donne del gruppo di più di 230 cristiani assiri presi in ostaggio a febbraio dai jihadisti del sedicente Stato Islamico nella regione siriana nord-occientale di Jazira, sono state liberate e si trovano ricoverate in un ospedale di Hassakè per essere curate d'urgenza dai problemi sanitari insorti mentre erano prigioniere. Si tratta dell'ottantenne Ramziyya Rehana, del villaggio di Tel Jazira, e della settantenne Yoniyya Kanun, del villaggio di Tel Shamiram. Secondo quanto riportato dall'agenzia assira Aina, la signora Rehana ha un femore rotto, mentre la signora Kanun ha problemi connessi alla sotto-alimentazione.

230 ostaggi cristiani sono ancora nelle mani dei jihadisti
Le due donne facevano parte del folto gruppo di più di 230 cristiani assiri presi in ostaggio dai jihadisti lo scorso 23 febbraio, quando i miliziani dello Stato Islamico hanno attaccato i villaggi a maggioranza assira disseminati lungo la valle del fiume Khabur, costringendo la popolazione civile della zona alla fuga di massa. Negli ultimi giorni, tutti i villaggi sul fiume Khabur sono stati liberati dalle milizie curde, non senza il contributo convergente dell'esercito siriano e dei raid aerei compiuti dalla coalizione militare a guida Usa contro le postazioni dell'Is. Parte della popolazione locale ha iniziato a far ritorno ai propri villaggi di provenienza – a partire dal villaggio di Tel Tamar - trovando le chiese devastate e le case saccheggiate, con le croci divelte dai luoghi di culto cristiano e slogan anti-cristiani dipinti sui muri.(G.V.)

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Pakistan: modifiche legge sulla blasfemia. Cristiani favorevoli

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Il governo del Pakistan si muove per fermare l'abuso della legge sulla blasfemia: l’esecutivo ha infatti messo a punto un progetto di legge che verrà presentato e discusso in Parlamento per l'approvazione.

La Chiesa ha sempre chiesto di fermare gli abusi alla legge
“Si tratta di un passo avanti importante”, nota all’agenzia Fides padre Saleh Diego, presidente della Commissione “Giustizia e Pace” e cancelliere dell’arcidiocesi di Karachi. “Speriamo e staremo a vedere come andrà il dibattito in Parlamento. Sappiamo che diversi partiti sono favorevoli a fermare gli abusi della legge di blasfemia. Ma i partiti estremisti sono tuttora molto forti”. Il presidente della Commissione ricorda: “Come Chiesa e come comunità cristiana in Pakistan, da anni chiediamo di implementare meccanismi per fermare gli abusi. Abbiamo vissuto e affrontato casi gravi in cui questa legge è stata strumentalizzata. È una questione di giustizia, dato che in carcere vi sono molti innocenti. Evitare gli abusi sarebbe un beneficio per la società tutta, per i cittadini di tutte le religioni, musulmani e cristiani, accusati ingiustamente”. Secondo il sacerdote “le pressioni della comunità internazionale possono essere utili in questo frangente”.

La proposta mira a scoraggiare uso strumentale della legge e false accuse
Come appreso da Fides, la proposta, preparata dal ministero degli interni e controllata dal ministero per la giustizia, mira a scoraggiare l’uso strumentale della legge e le false accuse, introducendo pene severe per quanti formulano false accuse di blasfemia. La proposta di legge andrebbe ad emendare le lacune procedurali, introducendo nuove clausole nel protocollo da seguire per i casi di presunta blasfemia, con l’obiettivo di garantire che nessuno “si faccia giustizia da solo”, ma che siano le istituzioni dello Stato (polizia e magistratura) a punire i colpevole.

Nell'atto di blasfemia necessario dimostrare malafede e intenzionalità
Tra le novità, la nuova procedura renderebbe necessario dimostrare la “mens rea” (malafede e intenzionalità) dietro un atto di blasfemia, condizione oggi non presente. Ciò significherebbe che una condizione per essere accusati è la precisa volontà di commettere quel reato. Fatto, questo, ritenuto necessario anche dalla sentenza della Corte federale della Sharia del 1990.

Legge abusata spesso per vendette personali
In un recente rapporto, l'Ong “Human Rights Commission of Pakistan” sottolinea che l'abuso della legge sulla blasfemia continua a causare oppressione e vessazioni nei confronti di cittadini innocenti. Sono 14 i cittadini pakistani nel braccio della morte, mentre altri 19 stanno scontando l'ergastolo con l'accusa di aver commesso blasfemia. Il numero dei casi registrati negli ultimi 25 anni (oltre mille) suggerisce che la legge è stata ampiamente abusata, spesso per vendette personali. Secondo un rapporto del Centro di Ricerca e studi sulla sicurezza, con sede a Islamabad, a partire dal 1990 52 persone accusate di blasfemia sono state vittime di esecuzioni extragiudiziali. (P.A.)

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Chiese cristiane del Sud Sudan: “Stop alle violenze"

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“Persone sono uccise, violentate e torturate. Bambini sono reclutati in gruppi armati e i saccheggi sono endemici” denuncia il South Sudan Council of Churches, l’organismo che raggruppa le Chiese cristiane del Sud Sudan, tra cui quella cattolica, in una dichiarazione pubblicata il 26 maggio e pervenuta a Fides. La guerra civile esplosa nel dicembre 2013 tra le due fazioni, fedeli rispettivamente al Presidente Salva Kiir e all’ex vice-Presidente Riek Machar, ha provocato finora almeno 10.000 morti e un milione di sfollati.

La guerra continua: non ci sono giustificazioni morali
Nonostante i colloqui di pace avviati da tempo ad Addis Abeba, in Etiopia, la guerra continua. “Non ci sono giustificazioni morali perché le uccisioni continuino” afferma il messaggio, che aggiunge: “è inaccettabile che i negoziati per spartirsi posti di potere si tengano in lussuosi hotel mentre la popolazione continua a uccidere e ad essere uccisa”.

Le violenze fomentate da leader che si definiscono cristiani
​I leader delle Chiese affermano di “nutrire seri dubbi” sul fatto che i leader politici e militari sud-sudanesi “molti dei quali si definiscono cristiani” ascoltino il loro appello a fermare i combattimenti. “Nonostante tutto, vogliamo che essi sappiano, insieme ai cittadini del Sud Sudan, ai nostri amici nella regione e alla comunità internazionale, che li osserviamo e siamo consapevoli di quello che accade”. (L.M.)

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Vescovi Nigeria: no all’aborto per donne incinte di Boko Haram

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Un appello accorato contro chi chiede aborti di massa per le ragazze rapite, stuprate e messe incinte dai terroristi di Boko Haram: a lanciarlo è la Commissione episcopale per la Pastorale sanitaria della Chiesa nigeriana, in una nota diffusa oggi. “La nostra attenzione – spiega mons. Anselm Uworen, vicepresidente della Commissione – è stata richiamata dall’intenso dibattito riguardante il modo migliore per affrontare la riabilitazione di alcune donne incinte, scampate dalle mani di Boko Haram”. Un dibattito che vede “alcuni gruppi trasversali” ipotizzare il ricorso “all’aborto di massa”.

Non ripagare la violenza con la violenza
Di qui, il richiamo dei presuli: “Innanzitutto, i vescovi cattolici della Nigeria desiderano esprimere profondo dolore per le esperienze traumatiche subite da tanti nigeriani, uomini, donne e bambini, a causa delle violenze e del terrore messi in atto da Boko Haram”. “Noi vescovi, in quanto pastori – continua la nota – abbiamo portato questi drammi insieme a tutti i nigeriani e specialmente ai nostri fratelli che sono stati uccisi, mutilati, costretti allo sfollamento e vessati dai fondamentalisti”. Ma anche di fronte a tale drammatica realtà, sottolinea mons. Uworen, “non possiamo essere persuasi da argomenti superficiali portati avanti da alcuni gruppi o individui perché non si può ripagare la violenza con una violenza ancora maggiore”.

Bambini, vittime innocenti
Evidenziando, poi, che “non è ammissibile definire umana l’ipotesi di uccidere i bambini concepiti attraverso lo stupro commesso da un terrorista”, la Commissione episcopale nigeriana ricorda che “i bambini sono vittime innocenti di crimini perpetrati ai danni delle loro madri” e quindi “è immorale punirli per i peccati commessi dai loro padri”. “Come possiamo accettare di praticare la pena di morte, ovvero l’aborto, su piccoli nigeriani semplicemente perché i loro padri seguono ideologie distorte?”.

Dio dona la forza di affrontare le sofferenze
I presuli ribadiscono la loro “speciale vicinanza” alle donne vittime di Boko Haram e lanciano un appello affinché “conservino la fede in Dio Onnipotente che ha dato loro la forza, non comune, di affrontare simili prove e sofferenze”. L’esortazione è anche a “trarre conforto ed incoraggiamento da Dio che ha riservato uno scopo ai figli innocenti che ora esse portano in grembo”, perché “la vita di ogni bambino è unica, diversa e distinta da quella dei loro genitori”, ma ciascun bimbo “dipende dalle cure e dall’amore materno”. Per questo, “a nome dei bambini, i vescovi cattolici della Nigeria chiedono alle madri di dimostrare amore materno ai loro nascituri”.

Chiesa e società sostengano le donne traumatizzate
La nota episcopale sottolinea, poi, che “il trauma di una violenza sessuale è enorme” e che “la Chiesa cattolica nigeriana, insieme a tutte le persone di buona volontà, è sempre pronta a mettere in atto qualsiasi mezzo per sostenere la guarigione, la riabilitazione ed il reinserimento sociale delle vittime, affinché possano reintegrarsi rapidamente nella società”. Di qui, il richiamo alla necessità che “organismi governativi federali, enti sociali e comunità cristiane di base” diano sostegno alle donne rapite da Boko Haram e rimaste incinte. (I.P.)

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Colombia: dichiarazione dei vescovi contro l’aborto

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Non si può stabilire, per legge, quanto tempo debba vivere una persona: con questa dichiarazione, rilasciata all’emittente radiofonica Rcn, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, presidente della Conferenza episcopale della Colombia, ha ribadito il no della Chiesa all’eutanasia. Le parole del presule arrivano dopo una recente sentenza della Corte Costituzionale che esorta il Congresso a regolamentare, per legge, i tempi di gestazione per l’interruzione volontaria di gravidanza. 

Rispettare la vita in ogni circostanza
​“La Chiesa è totalmente contraria all’aborto – ha detto mons. Castro Quiroga – Né il Congresso, né la Corte possono definire quanto può vivere una persona e quando deve morire”. Evidenziando, inoltre, come la sentenza della Corte Costituzionale violi il diritto alla vita ed il diritto alla libertà religiosa, il presidente dei vescovi ha sottolineato che “mentre si lotta per fermare gli omicidi che avvengono in Colombia, al contempo si introduce un altro tipo di uccisione di esseri umani, per di più approvata dalla Corte Costituzionale”. Tutto questo “non ha alcun senso – ha concluso il presule – perché la vita è vita e bisogna rispettarla in ogni circostanza”. (I.P.)

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Israele: protesta scuole cristiane contro politica discriminatoria

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Le scuole cristiane d'Israele hanno organizzato una manifestazione senza precedenti per denunciare le politiche discriminatorie di cui si sentono fatte oggetto da parte del governo. Quasi 700 tra insegnanti, genitori con i figli, e religiosi si sono ritrovati questa mattina nella piazza davanti al palazzo Lev Ram, sede del Ministero dell'educazione, esponendo ampi pannelli e distribuendo volantini in cui sono condensate le ragioni dell'inedita protesta. “Si tratta di una manifestazione pacifica e rispettosa, per dire che vogliamo essere trattati come gli altri, sia dal punto di vista economico che su quello della libertà di educazione” riferisce all'agenzia Fides padre Abdel Masih Fahim, direttore dell'Ufficio delle scuole cristiane.

Insegnamento aperto alla convivenza e contro ogni settarismo
Le scuola cristiane in Israele sono frequentate da 30mila studenti, dei quali solo la metà sono cristiani. La maggior parte di esse era attiva già prima della costituzione dello Stato d'Israele. Ottenendo risultati accademici elevati, esse formano gli allievi secondo i valori cristiani dell’amore per il prossimo, del perdono e della tolleranza, alimentando con il loro lavoro quotidiano una sensibilità aperta alla convivenza e vaccinata contro ogni settarismo. Le scuole cristiane – si legge in un comunicato diffuso in occasione della manifestazione - appartengono alla categoria delle scuole “riconosciute ma non pubbliche” e ricevono un finanziamento parziale dal Ministero. Il resto dei costi è coperto dalla quota corrisposta dai genitori.

Il taglio dei finanziamenti alle scuole cristiane grava sulle famiglie
Da anni, il Ministero dell’educazione tenta di ridurre il budget delle scuole cristiane (negli ultimi dieci anni del 45%), e questo ha costretto le scuole cristiane ad aumentare il costo a carico delle famiglie. Il taglio dei finanziamenti pesa soprattutto sui genitori della parte della popolazione araba israeliana per i quali, come è noto, il reddito medio famigliare è sotto la media nazionale.

Il governo ha proposto alle scuole cristiane di diventare pubbliche
Un comitato nominato dall’Ufficio delle Scuole Cristiane in Israele ha condotto delle trattative per otto mesi con il Ministero e il Ministero ha proposto che le scuole divengano scuole pubbliche. Questa proposta è interpretata dai titolari delle scuole (chiese, monasteri…) come la fine dell’impresa educativa cristiana, basata sui valori cristiani, e un colpo gravissimo alla minoranza cristiana in Terra Santa. Alla luce di questi fatti, le scuole cristiane hanno interrotto i colloqui. 

Insegnamento standard cancellerebbe specificità dell'approccio educativo cristiano
“Si tenta di imporre anche nelle scuole elementari cristiane un sistema di insegnamento standard già operante nelle scuole ebraiche e in quelle arabe governative” spiega a Fides padre Abdel Masih Fahim “che cancellerebbe la specificità del loro approccio educativo. E anche i professori risultano penalizzati rispetto ai colleghi delle altre scuole, in merito ai loro diritti di lavoratori”. Alla manifestazione di Gerusalemme hanno preso parte anche vescovi di diverse Chiese cristiane, compresi i vescovi William Shomali e Giacinto Boulos Marcuzzo, del patriarcato Latino di Gerusalemme. (G.V.)

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Kaiciid condanna l’attacco contro una moschea saudita

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“Condanna unanime” è stata espressa dal Centro internazionale per il dialogo interreligioso e interculturale Re Abdullah bin Abdulaziz (Kaiciid) contro l’attacco perpetrato il 22 maggio in Arabia Saudita: un attentato kamikaze rivendicato dai jihadisti del sedicente Stato Islamico ha, infatti, devastato la moschea di Qatif, provocando almeno venti morti e cento feriti. Tale attacco, scrive il Kaiciid in una nota ufficiale, ha colpito “fedeli pacifici” ed è stato “commesso deliberatamente per danneggiare le persone a causa delle loro identità religiosa”.

Terrorismo, crimine spregevole. Tutelare libertà religiosa
Un simile assassinio, prosegue la nota, è “un crimine feroce e riprovevole. Questi atti violenti e criminali non possono mai essere giustificati attraverso la religione”. Per questo, “tutti coloro che credono nella pace devono parlare contro questi spregevoli avvenimenti”. Esprimendo “profondo cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime ed alle loro comunità”, il Kaiciid esorta, “nell’interesse del bene comune”, a “respingere ogni forma di pregiudizio” ed a “sostenere i diritti umani, in particolare quello relativo alla libertà di pensiero, coscienza e religione”.

Favorire il dialogo e la comprensione interreligiosa
Quindi, l’organismo ricorda la Dichiarazione siglata a Vienna nel novembre 2014 ed intitolata “Uniti contro la violenza in nome della religione”: in essa, si esortano “tutti i governi e le istituzioni religiose a lavorare insieme, concretamente, per contrastare coloro che commettono azioni terroristiche”. Infine, il Kaiciid sottolinea l’importanza di “favorire il dialogo e la comprensione interreligiosa ed interculturale”, rilanciando anche “la cooperazione ed il rispetto per la diversità, la giustizia e la pace”.

Lavorare per costruire la pace
​“Il Kaiciid – conclude la nota – è impegnato a lavorare con coloro che usano il dialogo interreligioso per costruire la pace”. Inaugurato ufficialmente il 26 novembre 2012, il Centro Kaiciid ha sede a Vienna, in Austria. Fondato da Arabia Saudita, Spagna e Austria, con la Santa Sede come organismo osservatore fondatore, esso include rappresentanti cristiani, buddisti, induisti, ebrei e musulmani. (I.P.)

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Chiesa Canada: Marcia per la riconciliazione con i popoli nativi

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“Guardiamo al passato e chiediamo perdono”. È l’invito rivolto ai fedeli  dall’arcivescovo di Ottawa, mons. Terrence Prendergast, in vista della Marcia nazionale per la riconciliazione con le Prime Nazioni (i popoli nativi del Canada) che si terrà nella capitale canadese il 31 maggio. La Marcia darà il via a quattro giorni di cerimonie organizzate in occasione della consegna del rapporto finale della Commissione Verità e Riconciliazione (Trc) sulle sofferenze subite da migliaia bambini nativi canadesi nelle scuole residenziali finanziate dallo Stato e gestite dalle Chiese.

150mila bambini nativi affidati alle scuole residenziali gestite dalle Chiese
Tra il XIX e XX secolo circa 150mila bambini nativi furono sottratti con la forza alle loro famiglie per essere “rieducati” in queste strutture,  dove subirono maltrattamenti e abusi di ogni sorta. Separati dalle loro comunità e privati della loro identità culturale, molti dei sopravvissuti hanno sofferto di sindrome da stress post-traumatico e di turbe psichiche con conseguenze devastanti anche per le generazioni successive e per intere comunità native.

Il dovere morale di riconoscere i torti inflitti ai nativi canadesi
E alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questa tragedia sono finalizzate le cerimonie previste a Ottawa dal 31 maggio al 3 giugno, alle quali prenderanno parte, per la Chiesa cattolica, oltre a mons. Prendergast , l’arcivescovo di Grouard-McLennan Gerard Petitpas, presidente dell’Associazione degli organismi cattolici firmatari dell’accordo sulle scuole residenziali per gli indiani (Cocsepi), mons. Sylvain Lavoie, arcivescovo emerito di Keewatin-Le Pas e i membri del Consiglio autoctono cattolico del Canada. “E’ importante che sappiamo quanto è successo, che partecipiamo a queste manifestazione di solidarietà e di riconciliazione e che preghiamo insieme”, scrive nella sua lettera l’arcivescovo di Ottawa, che sottolinea “il dovere morale di riconoscere i torti commessi dalla Chiesa contro i nativi”. La maggior parte di queste scuole residenziali erano infatti gestite da organismi cattolici. Responsabilità riconosciute oggi dalla Chiesa canadese, da anni attivamente impegnata per la riconciliazione con numerose iniziative di solidarietà e di promozione umana a favore degli indiani, ancora oggi emarginati dalla società.

La solidarietà espressa nel 2009 da Benedetto XVI con nativi canadesi
Da ricordare che il 29 aprile 2009 Benedetto XVI, durante un incontro con una delegazione di esponenti delle Prime Nazioni canadesi, aveva espresso il suo dolore per le sofferenze causate dalla condotta deplorevole di alcuni membri della Chiesa nella gestione delle scuole residenziali, incoraggiando i popoli nativi ad andare avanti con rinnovata speranza. (L.Z.)

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Francia: 31 maggio, Giornata nazionale per la vita

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“Festeggiare le mamme è accogliere la vita!”: questo lo slogan con il quale domenica 31 maggio, in Francia, si celebrerà la Giornata nazionale per la vita. Promossa da diversi organismi - Unione per la vita, Associazioni familiari cattoliche e Scegliere la vita – l’iniziativa ha il sostegno della Conferenza episcopale francese e mira ad essere “l’occasione per testimoniare la grandezza della maternità e del valore della vita umana, sin dal suo concepimento”. L’invito a tutte le diocesi d’Oltralpe, dunque, è quello ad organizzare Veglie di preghiera, conferenze sul tema della vita e collette da destinare ai Centri di aiuto per le donne incinte in difficoltà.

Il richiamo all’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
“Nell’enciclica Evangelium Vitae del 1995 – si legge sul sito dei vescovi francesi – Giovanni Paolo II proponeva la celebrazione, ogni anno, nei diversi Paesi, di una Giornata per la vita, allo scopo di suscitare, nelle coscienze, nelle famiglie, nelle Chiese e nella società civile, il riconoscimento del significato e del valore della vita umana in ogni sua tappa ed in ogni condizione, facendo particolare attenzione alla gravità dell’aborto e dell’eutanasia, ma senza dimenticare gli altri momenti e gli altri aspetti della vita che meritano di essere presi attentamente in considerazione”.

Una Giornata da celebrare insieme alla Festa della mamma
​In seguito a tale enciclica, quindi, il Consiglio permanente dei vescovi francesi ha stabilito di festeggiare la Giornata per la vita in concomitanza con la Festa della mamma, che nel Paese ricorre, tradizionalmente, l’ultima domenica di maggio. L’iniziativa prosegue costantemente da quindici anni. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 147

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.