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Sommario del 25/05/2015
- Papa: la ricchezza che non è condivisa genera corruzione
- A cuore aperto, Francesco si racconta a "La Voz del Pueblo"
- Sinodo: Papa presiede i lavori del Consiglio di Segreteria
- Ior: nel 2014 utile netto di oltre 69 milioni di euro
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Spagna: alle elezioni amministrative affermazione di "Podemos"
- Nepal a un mese dal terremoto. Caritas: aiuto per la ricostruzione
- Rohingya in fuga abbandonati in mare, urge risposta Paesi Asean
- "Divorzio breve" in vigore, ridotto tempo riflessione per i coniugi
- Giornata bambini scomparsi, i minori migranti i più esposti
- "Dheepan" di Audiard vince il 68.mo Festival di Cannes
- Pakistan: blasfemia, violenza in quartiere cristiano di Lahore
- Chiesa siro-cattolica invoca liberazione di padre Mourad e diacono Hanna
- Card. Bo al governo birmano: misericordia con i boat people
- Card. Koch a Belgrado incontra la Chiesa ortodossa
- Bangladesh: le religioni condannano lo stupro di una ragazza cattolica
- Vescovi Canada: preoccupazione per nuova legge su suicidio assistito
Papa: la ricchezza che non è condivisa genera corruzione
Bisogna fare in modo che se si hanno ricchezze esse servano al “bene comune”. Un’abbondanza di beni vissuta in modo egoistico è "triste", toglie “speranza” ed è all’origine “di ogni genere di corruzione”, grande o piccola. Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Il cammello e la cruna dell’ago, ovvero come l’“entusiasmo” per Cristo possa trasformarsi in pochi istanti in “tristezza e chiusura in se stesso”. La scena che Papa Francesco commenta all’omelia è tra le più famose del Vangelo. Il giovane ricco incontra Gesù, chiede di seguirlo, gli assicura di vivere da sempre i comandamenti, ma poi cambia del tutto umore e atteggiamento quando il Maestro gli comunica l’ultimo passo da compiere, la “cosa sola” che manca: vendere i beni, darli ai poveri e a quel punto mettersi alla sua sequela. Di colpo, “la gioia e la speranza” in quel giovane ricco svaniscono, perché lui, a quella sua ricchezza, non vuole rinunciare:
“L’attaccamento alle ricchezze è l’inizio di ogni genere di corruzione, dappertutto: corruzione personale, corruzione negli affari, anche la piccola corruzione commerciale, di quelli che tolgono 50 grammi al peso giusto, corruzione politica, corruzione nell’educazione… Perché? Perché quelli che vivono attaccati al proprio potere, alle proprie ricchezze, si credono nel paradiso. Sono chiusi, non hanno orizzonte, non hanno speranza. Alla fine dovranno lasciare tutto”.
Ricchi e sterili
“C’è un mistero nel possesso della ricchezze”, osserva Francesco. “Le ricchezze hanno la capacità di sedurre, di portarci a una seduzione e farci credere che noi stiamo in un paradiso terrestre”. Invece, afferma il Papa, quel paradiso terrestre è un luogo senza “orizzonte”, simile a quel quartiere che Francesco ricorda di aver visto negli anni Settanta, abitato da gente benestante che ne aveva munito i confini per difendersi dai ladri:
“E vivere senza orizzonte è una vita sterile, vivere senza speranza è una vita triste. L’attaccamento alle ricchezze ci dà tristezza e ci fa sterili. Dico ‘attaccamento’, non dico ‘amministrare bene le ricchezze’, perché le ricchezze sono per il bene comune, per tutti. E se il Signore a una persona gliene dà è perché li faccia per il bene di tutti, non per se stesso, non perché le chiuda nel suo cuore, che poi con questo diventa corrotto e triste”.
Aprire la mano e l'orizzonte
Le ricchezze prive di generosità, insiste Papa Francesco, “ci fanno credere che siamo potenti, come Dio. E alla fine ci tolgono il meglio, la speranza”. Ma Gesù, conclude, indica nel Vangelo quale sia la giusta modalità per vivere un’abbondanza di beni:
“La prima Beatitudine: ‘Beati i poveri in spirito’, cioè spogliarsi di questo attaccamento e fare che le ricchezze che il Signore gli ha dato a lui siano per il bene comune. L’unica maniera. Aprire la mano, aprire il cuore, aprire l’orizzonte. Ma se tu hai la mano chiusa, hai il cuore chiuso come quell’uomo che faceva i banchetti e indossava vesti lussuose, non hai orizzonti, non vedi gli altri che hanno bisogno e finirai come quell’uomo: lontano da Dio”.
A cuore aperto, Francesco si racconta a "La Voz del Pueblo"
Un’intervista a tutto campo, incentrata soprattutto su cosa significhi “essere Papa”. E’ quella concessa da Francesco al quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Il Pontefice parla a lungo del suo rapporto con la gente, del suo amore per i poveri, di come trascorre le sue giornate, delle sue speranze e preoccupazioni. “Vorrei tanto andare a mangiare una pizza”, scherza con il giornalista Juan Berretta, “sono sempre stato un camminatore” e questa è una cosa che “mi manca”. Una sintesi della conversazione di Papa Francesco con “La Voz del Pueblo” nel servizio di Alessandro Gisotti:
“Perché ripete sempre: ‘pregate per me’”? “Perché ne ho bisogno. Ho bisogno che mi sostenga la preghiera del popolo. E’ una necessità interiore”. E’ uno dei passaggi dell’intervista rilasciata da Papa Francesco al giornalista Juan Berretta del quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Una conversazione svoltasi a Casa Santa Marta in un clima familiare ricca di racconti inediti sulla vita personale del Papa “venuto dalla fine del mondo”. Jorge Mario Bergoglio ribadisce che mai aveva pensato di essere eletto alla Cattedra di Pietro e scherzando ricorda che, all’ultimo Conclave, i bookmakers inglesi lo davano solo al 46.mo posto. Al tempo stesso, però, sottolinea che “la vita di un religioso, di un gesuita, cambia a seconda delle necessità” e che quando è stato eletto si è affidato totalmente a Dio, “pregando il Rosario, tranquillo” durante lo spoglio delle schede che, confida, sembravano durare un’eternità.
Stare con la gente mi fa bene, sento che mi comprende
Francesco risponde dunque ad una domanda sul suo rapporto eccezionale con il popolo e in particolare sul “magnetismo che genera nella gente”. “Non so bene perché questo succede”, ammette, tuttavia “è come se la gente comprendesse ciò che desidero dire”. “Tento di essere concreto – prosegue – e questo che voi chiamate magnetismo certi cardinali mi dicono che ha a che vedere con il fatto che la gente mi capisce”. Del resto, prosegue, stare con la gente “mi fa bene”, è come se “la mia vita si amalgami con la gente” ed io “psicologicamente non posso vivere” senza di essa.
Mi manca andare a mangiare una buona pizza, non amo il protocollo
Il Papa confessa dunque quali sono le cose che più gli mancano rispetto agli anni argentini: “Uscire per strada, andare a camminare per le strade. Oppure – aggiunge ridendo – andare in una pizzeria a mangiare una pizza”. “Ma può ordinarla e farla portare in Vaticano”, osserva il giornalista. “Sì – è la risposta di Francesco – ma non è lo stesso. Il bello è andare lì. Io sono sempre stato un camminatore. Da cardinale mi incantava camminare per le strade” ma anche in “metro”; la “città mi incanta, sono un cittadino nell’anima”. Un giorno, rivela, “sono salito in macchina con l’autista e mi sono dimenticato di chiudere il finestrino” ed è “successo un putiferio”, io stavo “nel posto accanto al guidatore” e “la gente non faceva passare la macchina” perché si era accorta che c’era il Papa. E’ vero, ammette, che “ho la fama di indisciplinato, il protocollo non lo seguo molto, lo sento freddo” però quando ci sono “cose ufficiali” mi attengo “totalmente”.
Dormo tranquillo, mi sveglio alle 4 ma non rinuncio alla siesta
Il giornalista de “La Voz del Pueblo” chiede dunque al Papa se riesca a dormire nonostante le tante tensioni legate al suo ruolo. “Ho un sonno così profondo – risponde – che mi metto a letto e mi addormento”. “Dormo sei ore – precisa – normalmente alle 9 vado in stanza e leggo quasi fino alle dieci, quando mi comincia a lacrimare un occhio spengo la luce e resto a dormire fino alle 4 quando mi sveglio da solo, è il mio orologio biologico”. Però, aggiunge, “ho bisogno della siesta. Devo dormire dai 40 minuti a un’ora, mi tolgo le scarpe e mi ritiro al letto”. E confida che ne risente nei giorni in cui non può fare la “siesta”. Il Papa rivela poi che in questo periodo sta leggendo “San Silvano del Monte Athos, un gran maestro spirituale”.
Le lacrime per chi soffre, la commozione per malati e carcerati
Più volte in omelie e discorsi, il Pontefice ha parlato dell’importanza del saper piangere. Nell’intervista afferma dunque di aver pianto pensando ai “drammi umani” e cita in particolare a quanto sta succedendo al “popolo rohingya” e, in generale, ai “bambini malati”. “Quando vedo questi creature – afferma – chiedo al Signore: ‘Perché a loro e non a me?’”. Ancora, Francesco spiega di commuoversi quando va in visita nelle carceri perché pensa che “nessuno di noi può essere sicuro di non commettere mai un crimine” e quindi “finire in prigione”. Rispetto ai carcerati, il Papa si chiede “perché non hanno avuto l’opportunità” che ha avuto lui “di non fare qualcosa che mi avrebbe portato al carcere” e questo lo porta ad “un pianto interiore”. Tuttavia, soggiunge, “non piango pubblicamente”, “mi è capitato due volte di stare al limite ma mi sono fermato in tempo”, una volta ricordando “le persecuzioni dei cristiani in Iraq, pensando ai bambini”. “Perché non vuole che la si veda piangere?”, chiede Juan Berretta. “Non lo so – è la risposta – mi sembra che debba andare avanti”.
Le pressioni non mancano, sto tenendo un ritmo di lavoro intenso
Francesco dice di essere “un temerario” come carattere e dunque “in generale di non avere paura”. Riguardo al pericolo attentati, afferma di “sentirsi nelle mani di Dio”, ma ribadisce di avere paura “del dolore fisico”. “Sono molto pauroso su questo – ammette con franchezza – non che abbia paura di un’iniezione, però preferisco non avere problemi con il dolore fisico”. Il Papa parla poi delle "pressioni" legate al suo ministero. “In questo momento – afferma – quello che mi fa fatica è l’intensità del lavoro. Sto tenendo un ritmo di lavoro molto forte, è la sindrome della fine dell’anno scolastico, che finisce a giugno”. E poi, prosegue, “si aggiungono mille cose e problemi”; e, constata, “ci sono problemi che ti armano con quello che dici o non dici… i mezzi di comunicazione a volte prendono una parola e poi la decontestualizzano”. Quindi, a proposito dell’Argentina, sottolinea che non segue più l’evoluzione politica della sua nazione che, con un po’ di amarezza, definisce “un Paese di tante possibilità e tante opportunità perdute”.
Sono il Papa dei poveri? I poveri sono al centro del Vangelo
“E’ contento che la definiscano il Papa dei poveri”?, chiede il giornalista. “La povertà – è la risposta di Francesco – è al centro del Vangelo. Gesù è venuto a predicare ai poveri, se voi togliete la povertà dal Vangelo non si comprende nulla”. E afferma che i mali peggiori del mondo di oggi sono: “la povertà, la corruzione, la tratta di persone”. Ancora, rileva che “sradicare la povertà” può essere considerata un’utopia, ma “le utopie ci mandano avanti” e sarebbe triste che un giovane non le avesse. Francesco enumera, dunque, tre punti che dovremmo tutti tenere a mente per affrontare i problemi della vita: “memoria, capacità di vedere il presente, utopia rivolta al futuro”. Infine, alla domanda su come vorrebbe essere ricordato, Francesco risponde con semplicità: “Come una persona che si è impegnata a fare del bene, non ho altra pretesa”.
Sinodo: Papa presiede i lavori del Consiglio di Segreteria
Impegno sinodale per Papa Francesco, questa mattina. La Sala Stampa vaticana ha informato che il Pontefice ha presieduto i lavori del Consiglio di Segreteria del Sinodo dei Vescovi.
Ior: nel 2014 utile netto di oltre 69 milioni di euro
Un utile netto di 69,3 milioni di euro, rispetto ai circa 2,9 milioni del 2013. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale 2014, pubblicato oggi dallo Ior, l'Istituto per le Opere di Religione. Il servizio di Giada Aquilino:
Il 2014 è stato un anno economicamente positivo, ma “nella normalità” per l’Istituto per le Opere di Religione. Così alla Radio Vaticana Max Hohenberg, dell’ufficio per i media dell’Istituto, riassume il Rapporto. Lo Ior ha chiuso il 2014 con un utile netto di 69,3 milioni di euro, rispetto ai circa 2,9 milioni del 2013 che rappresentavano il risultato di una risistemazione dei conti. Il miglioramento - si legge nel documento - “è imputabile essenzialmente all'andamento del risultato da negoziazione titoli e alla diminuzione dei costi operativi di natura straordinaria”. Lo Ior, rende noto il comunicato allegato al Rapporto, “si è molto adoperato” per allinearsi al nuovo quadro normativo del Vaticano in materia finanziaria. “Tutto quello che è l’adeguamento alla cosiddetta ‘compliance’ dell’Istituto - cioè l’adeguamento alle nuove disposizioni ormai in vigore in Vaticano - è stato fatto: questa fase è ampiamente realizzata” ha detto Hohenberg. La clientela, fa sapere l’Istituto, è rimasta fedele allo Ior: 6 miliardi di euro di depositi, in leggero aumento, per oltre 15 mila utenti. Dal maggio 2013 al 31 dicembre 2014 lo Ior ha chiuso 4.614 rapporti con suoi clienti, di cui 2.600 conti “dormienti”, cioè inattivi o con saldo esiguo, 554 rapporti che non rientravano nelle categorie autorizzate (conti “laici”) e 1.460 per naturale estinzione. Il Papa, spiega la nota, “nell'aprile 2014 ha riaffermato la centralità della missione dello Ior per il bene della Chiesa Cattolica, della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano”: per questo l'Istituto “ha proseguito la sua fase di trasformazione”, rispondendo alla richiesta del Pontefice “di continuare a servire con attenzione e a fornire servizi finanziari specializzati alla Chiesa Cattolica in tutto il mondo e, al contempo, di assisterlo nella Sua missione di Pastore universale”. In attesa del riscontro della Commissione Cardinalizia dello Ior, l'Istituto - fa inoltre sapere - intende destinare 55 milioni di euro al budget della Santa Sede, in linea con quanto erogato nel 2014, e più di 14 milioni di euro alle riserve di utili. “Grande impegno – si precisa - è stato altresì profuso nell'affrontare gli illeciti che nel passato hanno interessato l'Istituto”. Per il futuro, per quanto riguarda il servizio alla clientela, la “sfida principale è assicurare il miglioramento dei livelli di servizio all’utenza e di migliorare le performance dei servizi di gestione patrimoniale”, ha affermato Jean-Baptiste de Franssu, che dal luglio 2014 presiede il Consiglio di sovrintendenza.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Secondo lo Spirito: alla messa di Pentecoste il Pontefice chiede di non scendere a compromessi con il peccato e la corruzione.
Mi manca il camminare per le strade: intervista di Papa Francesco al quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”.
Grammatica della vita consacrata: messaggio per la giornata missionaria mondiale 2015.
Cesellatore di anime: il Pontefice per il quinto centenario della nascita di san Filippo Neri e un articolo del vescovo di Ivrea, l’oratoriano Edoardo Aldo Cerrato, dal titolo “Quando volemo cominciare a fare il bene?”.
Ultima tappa una fossa comune: decine di cadaveri rinvenuti in Malaysia mentre moltissimi rohingya e bengalesi restano alla deriva in mare.
Spagna: alle elezioni amministrative affermazione di "Podemos"
Decisiva svolta alle amministrative in Spagna. Con la conquista, da parte del partito “Podemos”, di Barcellona, e con ogni probabilità di Madrid, Valencia e Saragozza, Popolari e Socialisti non saranno più i soli a contendersi il governo del Paese. Significativi anche i consensi per i movimenti “Ciudadanos” e “Compromis”. Le forze emergenti chiedono una minore dipendenza dalle politiche europee basate sull’austerità. Sull'esito del voto Giancarlo La Vella ha parlato con Alfonso Botti, docente di Storia Contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia:
R. - Certamente rappresenta l’irruzione di una forza nuova che per adesso incide sul potere territoriale del Partito Popolare, ma che in prospettiva potrebbe effettivamente scombussolare il sistema politico spagnolo, che dal 1978 ad oggi si è sempre basato su un’alternanza tra popolari e socialisti.
D. - Si può fare un parallelo tra questi nuovi partiti che si sono affermanti con i partiti indipendentisti, come quello basco e soprattutto quello catalano, che hanno avuto consensi ultimamente?
R. - Direi di no, nel senso che i partiti nazionalisti, sia nei Paesi Baschi che in Catalogna, hanno radici storiche lontane, mente invece "Podemos" e "Ciudadanos" sono movimenti legati maggiormente alla protesta degli ultimi anni, alla lotta alla corruzione, alla crisi economica, alla mobilitazione della società civile. Direi che questo paragone non è possibile.
D. - Visto in chiave europea, questo voto viene paragonato a quello recente in Grecia o anche a quello in Polonia. Quali i motivi nel Paese iberico delle insoddisfazioni nei confronti di Bruxelles?
R. - Farei delle distinzioni: né Tspisras, nè "Podemos", né "Ciudadanos" hanno posizioni antieuropee. Nessuno dei tre ha posizioni contrarie all’Euro, come invece hanno altri movimenti effettivamente euroscettici, che ci sono anche in Italia e che sono presenti anche in altri Paesi. Questi movimenti hanno delle posizioni sull’Europa diverse dalle forze politiche tradizionali: vorrebbero un’Europa più dei cittadini, meno preoccupata dei tagli e più aperta ai problemi delle fasce sociali più deboli.
D. - C’è un rischio per la monarchia spagnola da qui al prossimo futuro?
R. - Tutto dipende da come questi risultati si riverbereranno nelle prossime elezioni politiche, a novembre. Dato certo è che il Partito Socialista e il Partito Popolare sono legati, sin dalla transizione democratica, all’istituto monarchico, mentre le forze emergenti non sono vincolati al patto che venne fatto con il ritorno alla democrazia, quindi hanno più volte - in particolare "Podemos" - posto il problema di un referendum costituzionale tra monarchia e repubblica. Certo la monarchia spagnola è meno solida di quanto non lo sia stata negli ultimi venti anni.
Nepal a un mese dal terremoto. Caritas: aiuto per la ricostruzione
La terra trema ancora in Nepal: quattro le scosse registrate in sei ore, tutte di magnitudo superiore ai 4 gradi. Sono nuove repliche del terremoto di quasi 8 gradi che il 25 aprile scorso ha ucciso oltre ottomila persone. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
A un mese dal terribile sisma che ha devastato il Nepal, le scosse continuano, e il governo chiede di non dimenticare. Oltre 8.600 i morti, quasi 17 mila feriti, e a preoccupare ora sono soprattutto gli sfollati: circa tre milioni che a breve si troveranno senza riparo di fronte alla stagione dei monsoni, ormai alle porte. In molte zone si rischiano le frane e si cerca di individuare luoghi sicuri dove spostare le tendopoli. Le autorità del Paese richiamano l’attenzione del mondo, e lanciano appelli per nuovi fondi. Il denaro, assicurano, sarà utilizzato con efficienza e trasparenza per la ricostruzione che prenderà il via una volta terminata l’opera di assistenza ai sopravvissuti. Due miliardi di dollari l’importo che Kathmandu ritiene necessario per l’intervento, e che spera di coprire quasi interamente con l’aiuto delle altre nazioni. A giugno si prevede una conferenza internazionale di Paesi donatori per raccogliere il necessario a ricostruire case, scuole e ospedali. La testimonianza di padre Pius Perumana, direttore della Caritas Nepal:
R. – Oggi è un mese esatto dal terremoto, ma la terra continua a tremare, ancora in tanti villaggi non ci sono le strade. Ci sono problemi per portare gli aiuti e poi per distribuirli, i villaggi nelle campagne, sulle montagne, sono tagliati fuori. Non solo noi della Caritas, anche il governo e altre agenzie si stanno muovendo, ma la situazione è così ampia e nessuno era preparato. Adesso il problema è la logistica: il nostro è un aeroporto piccolo, e non è possibile portare molte cose. Gli aiuti devono arrivare via terra e quindi dall’India o dalla Cina.
D. – Le autorità stanno lanciando importanti appelli affinché si possano reperire i fondi per la ricostruzione che verrà però avviata soltanto tra qualche mese …
R. – La ricostruzione sarà un processo lungo che durerà almeno tre anni, quindi ora stiamo facendo il possibile, però per la ricostruzione abbiamo bisogno di tanti aiuti! L’altro ieri ho parlato con il primo ministro, e anche lui diceva che il Paese ha bisogno di aiuto per la ricostruzione. Questo sarà un problema grave, perché in Nepal sono crollate la metà delle case, quindi dopo il monsone ci sarà bisogno di aiuto per avviare la ricostruzione. Anche le scuole sono state distrutte, e adesso c’è il problema di riprendere le scuole. I bambini non hanno i libri, non hanno niente… hanno solo i vestiti che indossano. Riprendere le scuole, questo è un problema grave nell’immediato. Nell’appello che faccio, dico che abbiamo bisogno di aiuto finanziario dopo settembre, quando ricomincerà la ricostruzione.
Rohingya in fuga abbandonati in mare, urge risposta Paesi Asean
Il dramma dei profughi, in massima parte di etnia Rohingya, in fuga dal Myanmar, bloccati in mare da settimane, attende ancora una risposta risolutiva. Indonesia e Malaysia si sono dette disposte ad accoglierli, mentre la Thailandia ha preso tempo, in attesa della Conferenza dell’Asean, l’Associazione dei Paesi del Sudest asiatico, che si terrà il 29 maggio a Bangkok sulle“Migrazioni irregolari nell’Oceano Indiano” . Roberta Gisotti Dopo l’allarme umanitario lanciato dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è levata - ieri all’Angelus - anche la voce del Papa per richiamare la comunità internazionale a fornire aiuto a queste persone perseguitate e abbandonate a loro stesse. ha intervistato Massimo Pallottino della Caritas Italiana:
D. – Sono passati 40 anni dall’ondata dei boat-people vietnamiti: la storia sembra ripetersi?
R. – La storia sembra ripetersi, purtroppo, perché i Paesi e i popoli non si prendono le loro responsabilità. E’ in forma asiatica quello che vediamo, purtroppo, tutti i giorni ancora nel Mediterraneo. Almeno in Europa l’approdo lo trovano, mentre invece in Asia alcuni Paesi hanno chiuso le loro coste, hanno ributtato a mare i barconi. In più è stata – paradossalmente – proprio l’iniziativa di alcuni di questi Paesi, in particolare la Thailandia, nel dare una stretta nella lotta contro i trafficanti, che ha messo ulteriormente in pericolo le vite dei profughi, perché i trafficanti li hanno abbandonati in mare e sono scappati per paura delle possibili ripercussioni. Il problema vero, però, è in Myanmar: questi profughi sono di un popolo – il popolo Rohingya – che non ha nessun riconoscimento nella Costituzione e neanche nella legislazione del Myanmar e quindi non possono essere cittadini, anche se vivono da molte generazioni nel territorio del Myanmar, nel Rakhine State, verso il confine con il Bangladesh, e non si sa bene cosa sarà di loro.
D. – Cosa fare nell’immediato?
R. – Occorre veramente un’iniziativa regionale per richiamare il Myanmar alle sue responsabilità e per promuovere un’accoglienza. Senza diritti di cittadinanza non c’è soluzione a questo problema; soltanto attraverso i diritti di cittadinanza i profughi possono essere integrati all’interno del Paese in cui vivono da molte generazioni. In Myanmar si avvicinano le elezioni che saranno a novembre, e questo è un tema estremamente spinoso. Occorre un’iniziativa forte in Myanmar ed una presa di consapevolezza, anche da parte di tutti i Paesi dell’area che hanno lasciato vagare queste persone alla mercé dei trafficanti di uomini.
D. – Ma si sa che cosa ha scatenato questa migrazione di massa?
R. – E’ una situazione che affonda le sue radici in una storia che, come sempre avviene per i popoli di frontiera, è molto complicata, nel senso che i Rohingya sono un gruppo etno-linguistico che ha sempre vissuto per molte, molte generazioni nel Rakhine State, ed è di lingua diversa e anche di religione islamica. Dunque sono considerati stranieri da parte del Myanmar e sono considerati stranieri anche dal Bangladesh, che - a più riprese negli anni passati - ha attuato anche una politica di rimpatrio di questi profughi, che erano accampati nel suo territorio, per rispedirli verso il Myanmar. Ma il Myanmar a sua volta non riconosce l’esistenza di questo popolo, tant’è che nel discorso pubblico della politica del Myanmar non si può neanche dire “rohingya”, bisogna dire “bangladese” o “del Bangladesh”. Quindi questi profughi non hanno neanche il diritto alla loro identità. E, questo rimpallo continuo tra i due Paesi causa questo problema. Quando, qualche anno fa – ormai nel 2011 – si è avviato il processo di democratizzazione in Myanmar, questo è stato sicuramente un elemento di grande interesse per gli sviluppi che avrebbe potuto portare; allo stesso tempo, il forte controllo di polizia che c’era in Myanmar prima di quella data, si è allentato ed è aumentata anche l’effervescenza della società civile e quindi, in un certo grado, pure certe rivalità etnico-sociali-linguistiche che esistono all’interno del Paese. E, così all’interno del Rakhine State sono iniziate tensioni forti tra i Rohingya e i cittadini del Myanmar di etnia Rakhine-birmana, che poi sono evolute in tensioni più forti e in scontri. Molti di questi Rohingya vivono, in realtà, all’interno di campi e non hanno prospettive – a breve o a medio termine – di trovare una stabilizzazione. E’ una situazione che è completamente ferma. Questo produce tensioni che si acuiscono periodicamente e quindi da qui la fuga di queste persone per mare, anche via terra, attraverso la Thailandia – che non ne vuole sapere – e verso la Malaysia, cercando di andare ancora più verso Est. E’ di pochi giorni fa la notizia che sono state scoperte fosse comuni ai confini tra la Thailandia e la Malaysia, contenenti in massima parte proprio corpi di questi migranti che erano fuggiti e che sono stati abbandonati dai trafficanti, non voluti da nessuno degli Stati che attraversavano. E’ dunque una situazione veramente complessa che richiede una grandissima buona volontà, sia da parte delle autorità del Myanmar sia da parte di tutti i Paesi dell’Asean.
"Divorzio breve" in vigore, ridotto tempo riflessione per i coniugi
Entra in vigore domani, martedi 26 maggio, la legge sul divorzio breve che riduce i tempi della separazione dai tre anni previsti finora a dodici mesi, in caso di contenzioso, o a soli sei mesi, in caso di accordo consensuale. I circa 200 mila procedimenti già in corso potranno accedere alle “nuove regole” e per questo c’è il rischio che l’attività dei tribunali, in carenza di personale amministrativo, si ingolfi. “La riduzione dei tempi non è un aiuto reale ai coniugi in difficoltà”, spiega Francesca Romana Baldacci, avvocato del Foro di Roma, esperto di famiglia e minori. Paolo Ondarza l’ha intervistata:
R. – Il tempo necessario per passare dalla separazione al divorzio era un tempo di riflessione proprio per verificare se ci fosse o meno la possibilità di una riconciliazione. Infatti, il cambiamento di stato giuridico è poi dopo con il divorzio: prima, durante la separazione, è come se fosse un momento di verifica di quello che è il sentimento, il risentimento di questa coppia e di questa famiglia.
D. – Potremmo dire che era un tempo per stemperare le emozioni inevitabilmente forti in una situazione di crisi matrimoniale?
R. – Sicuramente sì; anche perché quando si va alla separazione, tra i due coniugi non c’è una situazione assolutamente paritaria. Normalmente c’è uno dei due coniugi che vuole la separazione, o comunque la chiede o addirittura la pretende, e l’altro coniuge che spesso la subisce. E’ raro il caso in cui entrambi siano arrivati ad una separazione davvero consensuale. Quindi, avviene spesso che la parte più debole in realtà poi si trovi a dover affrontare una situazione che vive come insostenibile e in questa situazione insostenibile sia disposta a pagare qualunque costo: emotivo, economico … Per cui le condizioni di separazione, spesso, anche se concordate, non sono in realtà realmente condivise, ma sono spesso subite da uno dei due coniugi. Quindi, il tempo più lungo poteva servire o ad una riconciliazione o comunque ad una sperimentazione di una quotidianità che, soprattutto laddove ci siano i figli, ha un’importanza rilevante, perché si tratta di vivere da soli quello che prima avrebbe dovuto essere condiviso da entrambi i genitori. Si tratta di avere ad esempio una condizione economica sicuramente meno favorevole perché il reddito della famiglia viene diviso, e spesso neanche equamente … Quindi, sei mesi da una separazione consensuale al divorzio sono veramente troppo, troppo pochi.
D. – Chi saluta favorevolmente questo provvedimento critica la lungaggine dei processi …
R. – In realtà, mentre i tempi troppo lunghi per la giustizia sono sempre negativi in tutte le altre materie, in questa materia hanno consentito spesso – almeno secondo la mia esperienza professionale – la possibilità di riflessione, la possibilità di riprendersi anche da una separazione, appunto, a volte non voluta, la possibilità di sperimentare questa quotidianità più complessa e a volte hanno portato a forme di riconciliazione o quantomeno a un divorzio che avesse condizioni più eque rispetto a una separazione che, le ripeto, spesso è voluta a tutti i costi perché sembra il rimedio ad una situazione divenuta intollerabile. Inoltre la separazione viene vissuta come se fosse un diritto e quindi è una visione – come sempre – molto adultocentrica della famiglia e non tiene conto del fatto che i figli, in tutto questo, siano le prime vittime del loro diritto ad avere una famiglia, diritto riconosciuto dalle nostre leggi ordinarie.
Giornata bambini scomparsi, i minori migranti i più esposti
Fino a qualche anno fa, si parlava solo di allontanamento o di rapimento. Oggi quando si parla di minori scomparsi, non si può non pensare ai minori stranieri non accompagnati che finiscono inesorabilmente in una tratta di sfruttamento e di criminalità. Solo in Europa scompare 1 bambino al minuto e il 50% dei minori stranieri sparisce entro le 48 ore dall’arrivo nel Paese ospitante. In occasione della Giornata internazionale per i bambini scomparsi, Federica Bertolucci ha intervistato Ernesto Caffo, presidente di Telefono azzurro:
R. – Questo è un fenomeno che sta aumentando per quanto riguarda la presenza sempre più di ragazzi stranieri non accompagnati, di ragazzi che scappano dalle strutture di accoglienza. E questo d’altra parte è un segnale che c’è una realtà di bambini e adolescenti che non è accompagnata dagli adulti nello sviluppo e nella cura. Spesso, poi, questi bambini sono vittime di tratta, di sfruttamento, di abusi e questo deve essere colto come un segnale di disagio.
D. – Con la globalizzazione sono aumentati i casi dei minori migranti non accompagnati in Europa: che futuro hanno? Qual è la risposta delle istituzioni europee?
R. – È una risposta sicuramente molto frammentata, non coordinata e – devo dire – viene con grande ritardo. Noi lo abbiamo segnalato più volte, anche nella Conferenza europea, che abbiamo tenuto in Italia nell’ambito del semestre di presidenza italiano: dobbiamo veramente rimettere in gioco tutte le nostre risorse per permettere loro di raggiungere delle soluzioni che gli consentano di crescere in un posto stabile, con degli affetti e delle relazioni adeguate. Questo, poi, è un impegno che anche il Santo Padre ha lanciato, quando si è impegnato di poter far sì che questo tema fosse al centro dell’agenda di tutti.
D. – Quali sono i bambini maggiormente esposti e quali sono i rischi a cui vanno incontro?
R. – I bambini più esposti sono quei bambini che arrivano spesso attraverso linee di traffico, che passano non soltanto dal mare, ma anche attraverso l’area balcanica. Sono dei ragazzi che spesso sanno già dove andare perché, molte volte, sono utilizzati dalla criminalità organizzata. Poi ci sono quei bambini che, invece, molte volte lanciati in un futuro incerto dalle loro comunità e dalle loro famiglie, si trovano esposti ad una situazione di fragilità, abbandonati negli atri della stazione centrale di Milano e sono preda di adulti che possono utilizzarli a fini inadeguati. Quindi, questi bambini devono essere protetti e accolti in tutti i modi, il futuro dipende da loro e deve dare loro tutte le possibilità di crescere.
"Dheepan" di Audiard vince il 68.mo Festival di Cannes
Vince Jacques Audiard con la storia di "Dheepan", rifugiato tamil in Francia, il 68.mo Festival di Cannes. Restano fuori dal palmares molti film, a cominciare da quelli di Moretti e Sorrentino che la stampa internazionale dava per favoriti. Francesi anche due dei tre attori premiati. Il servizio di Miriam Mauti:
Jacques Audiard sale sul palco del Festival di Cannes accompagnato dai suoi attori, interpreti di "Dheepan", film che in lingua tamil racconta la vicenda di un rifugiato e della sua falsa famiglia, all'arrivo in Francia. E mitiga l'emozione con l'ironia: “Grazie a Michael Haneke per non aver partecipato quest'anno”. E' dunque Audiard il regista Palma d'oro 2015, in un Festival che lascia più delusi che contenti. Laconici i fratelli Coen - presidenti di giuria - a chi chiedeva loro dell'esclusione dei film italiani, che in tanti davano per favoriti, soprattutto quelli di Moretti e Sorrentino, o del mancato premio a Cate Blanchett\Carol: “Non avevamo abbastanza premi”. Premiata invece la coprotagonista di "Carol", Rooney Mara, ma ex aequo con la francese Emmanuelle Bercot, per "Mon Roi". Ed è francese anche il miglior attore, il bravo Vincent Lindon de "La Loi du Marchè".
Tra tanti titoli di casa, per fortuna anche due autori giovani. Il greco Lanthimos che con "The Lobster" porta a casa il Prix de la Jury e Laszlo Nemes, che con la sua opera prima, "Il Figlio di Saul", conquista il secondo premio per importanza, il Grand Prix, mostrando l'orrore di un campo di sterminio nazista da una prospettiva inedita. Miglior regista infine Hou Siao Sien, per The Assassin, bello si, ma incomprensibile racconto sulla Cina del IX secolo. A "Mia Madre" di Nanni Moretti il premio della Giuria Ecumenica. Il momento più emozionante, la consegna ad Agnes Varda della Palma d'onore. Solo 6 nella storia del Festival e prima ad una regista donna.
Pakistan: blasfemia, violenza in quartiere cristiano di Lahore
Il quartiere cristiano di Sanda, nella zona più antica di Lahore, è stato teatro di nuova violenza, ieri pomeriggio, in seguito a un caso di blasfemia. “La polizia è intervenuta tempestivamente, fermando sul nascere ed evitando la violenza di massa. Oggi i rangers presidiano la zona e la situazione è del tutto sotto controllo” riferisce all’agenzia Fides Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione “Giustizia e Pace” dei vescovi pakistani (Ncjp), minimizzando l’accaduto, dopo rapporti allarmistici ed esagerati diffusi da alcuni mass media. “Non ci sono stati né morti, né feriti. Nessuna chiesa è stata bruciata.
La Chiesa invita a non cedere agli allarmismi
Alcuni manifestanti hanno gettato sassi e tentato di penetrare e saccheggiare la chiesa cattolica di san Giuseppe, ma non ci sono riusciti per il pronto intervento delle forze dell’ordine che hanno fermato e anche incriminato alcuni aggressori. Alcune case private di fedeli cristiani del distretto hanno subito danni, ma non rilevanti” spiega il direttore, chiedendo di non cedere agli allarmismi. “Vi sono persone e gruppi che tendono ad ampliare gli incidenti e le violenze sui cristiani, per propri interessi personali o anche per motivi economici. Bisogna stare molto attenti a diffondere notizie, che spesso vengono all’origine manipolate” nota Chaudhry.
Accusato di blasfemia un uomo mentalmente disabile
L’episodio è stato scatenato da un presunto caso di blasfemia. Ieri la polizia, ricevuta una segnalazione, aveva arrestato un uomo per la presunta dissacrazione di alcune pagine del Corano. A carico del cristiano Humayun Faisal Masih è stato quindi registrato un caso di blasfemia secondo l’art 295-b del Codice penale (profanazione del Corano). L’uomo, mentalmente disabile, è accusato da alcuni musulmani di aver bruciato pagine del libro sacro all’islam. Alcuni passanti lo hanno denunciato. Dopo l’arresto, un gruppo di persone ha iniziato a raccogliersi presso la stazione di polizia, compiendo atti violenti, ma gli agenti hanno disperso la folla. I manifestanti hanno allora cercato di rivolgere la loro rabbia verso il quartiere cristiano, ma la polizia ha controllato la situazione.
La Chiesa invita al dialogo
Padre James Channan, Domenicano, direttore del “Peace Center” di Lahore, nota a Fides: “E’ un clichet che si ripete: accuse di blasfemia, tutte da verificare, a cui seguono violenze di massa. E’ già accaduto in passato. I cristiani sono terrorizzati perché all’improvviso possono essere attaccati. Secondo la legge sulla blasfemia, esiste una procedura da rispettare e a nessuno dev’essere consentito di farsi giustizia da sé. Le istituzioni e la polizia devono garantire sicurezza e giustizia. D’altro canto noi possiamo operare per contenere e contrastare la cultura dell’odio che gruppi estremisti diffondono nella società, operando per il dialogo e l’armonia”. (P.A.)
Chiesa siro-cattolica invoca liberazione di padre Mourad e diacono Hanna
Nella giornata di ieri, in tutte le chiese siro-cattoliche del mondo i fedeli hanno pregato per chiedere al Signore la liberazione di padre Jacques Mourad, il sacerdote siriano sequestrato da sconosciuti venerdì 22 insieme al diacono Boutros Hanna, presso il monastero di Mar Elian, di cui è priore. Dei due rapiti - riporta l'agenzia Fides - non si hanno notizie dal momento del loro sequestro. Già venerdì scorso, il patriarca siro cattolico Ignace Youssif III aveva invitato tutti i fedeli siro-cattolici del mondo a esprimere con la preghiera e con altri atti di devozione e penitenza la propria comunione spirituale con i due sequestrati.
Preghiere per la liberazione dei due rapiti
“Offriamo preghiere, Messe, suppliche e digiuni” si legge nel messaggio inviato dal patriarca a tutte le comunità siro-cattoliche sparse per il mondo “nella speranza che padre Jacques sia liberato e torni presto alla sua parrocchia”. Nel testo, ripreso dall'agenzia Fides, il patriarca invita tutti i fedeli “a essere fermi nella fede, nella speranza e nella fiducia nel Signore e nelle sue promesse che non deludono, supplicando la Madre di Dio e tutti i santi martiri e confessori per la liberazione di padre Jacques. Nella festa di Pentecoste chiediamo che lo Spirito Santo ci illumini, ci consoli e ci custodisca”. (G.V.)
Card. Bo al governo birmano: misericordia con i boat people
“Un'agonia immensa si svolge sui mari del Sudest asiatico: una nuova ondata di boat people, fuggiti a causa di povertà e conflitti da Myanmar e Bangladesh, è alla deriva nei mari. Sfruttati da trafficanti senza scrupoli, uomini, donne e bambini sono ammassati in squallidi barconi e spesso muoiono in mare. Una nuova ferita si apre. Lasciamo che misericordia e compassione scorrano come un fiume nella terra di Bhudda”: è l’appello lanciato dal card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, mentre è ancora in corso l’emergenza dei rifugiati Rohingya, che cercano asilo in nazioni come Thailandia, Malaysia, Indonesia.
Card. Bo condanna la violenza delle frange buddiste e l'ostilità del governo
In un messaggio inviato all'agenzia Fides, il cardinale ricorda i boat people del Vietnam e anche gli sbarchi nel Mediterraneo, e afferma: “I profughi fuggono per cercare dignità e sicurezza. Con un grande gesto di umanità, Malesia, Filippine e Indonesia hanno aperto le loro porte. Il governo del Myanmar ha salvato due barche alla deriva. Questo gesto, proveniente da una nazione devota al Signore della Compassione, Buddha, è altamente lodevole” afferma. Ma, aggiunge, in tempi recenti nel Paese si sono diffusi “l’odio e la negazione del diritto”, riferendosi alla violenza perpetrata da frange buddiste nei confronti dei musulmani Rohingya e all’ostilità mostrata dal governo birmano.
Obbligo morale di proteggere la dignità di tutte le persone umane
Mons. Bo rimarca: “ Sollecitiamo fortemente il governo a non consentire che discorsi di odio sovvertano la gloriosa tradizione birmana di compassione. I cittadini del Myanmar hanno l'obbligo morale di proteggere e promuovere la dignità di tutte le persone umane. Una comunità non può essere demonizzata e non le si possono negare i suoi diritti di base come l’identità, la cittadinanza e il diritto di essere comunità”.
Il porporato invoca compassione e misericordia
Citando grandi monaci buddisti che sono “faro di compassione per il mondo”, l’arcivescovo ricorda che “questa religione presenta la compassione come la virtù più nobile” rivolta a tutti gli esseri viventi, animati e inanimati. Compassione e misericordia sono due occhi di questa nazione, che permettono una visione di pace e dignità. Lasciate che misericordia e compassione scorrano come un fiume nella nostra terra” conclude il card. Bo. (P.A.)
Card. Koch a Belgrado incontra la Chiesa ortodossa
Il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, è da oggi al 29 maggio in visita ufficiale in Serbia. Dal punto di vista ecumenico il momento principale sarà la visita al patriarca ortodosso Irinej, il 28 maggio. Il cardinale parteciperà anche al simposio internazionale ecumenico “Una, santa, comune e apostolica Chiesa di Cristo” che si svolgerà nell’aula magna della Facoltà di teologia ortodossa dell’Università di Belgrado. L’evento promosso dall’arcidiocesi di Belgrado e dedicato al teologo Yves Congar, vedrà la partecipazione di teologi ortodossi e cattolici da Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Slovenia, che insieme rifletteranno su diversi aspetti legati al dialogo ecumenico e al profilo ecclesiale.
La visita del card. Koch confermerà i buoni rapporti con la Chiesa ortodossa serba
“Poter realizzare questo simposio - spiega all'agenzia Sir mons. Stanislav Hocevar, arcivescovo di Belgrado - è stato un rilevante gesto di buona volontà da parte della Facoltà di teologia ortodossa”. Il presule afferma anche “il grande impegno dei metropoliti serbi nella Commissione mista internazionale per il dialogo tra cattolici e ortodossi”. “In questo contesto, la visita del card. Koch confermerà i buoni rapporti che già abbiamo con la Chiesa ortodossa serba”. Oltre alle massime autorità statali, Koch incontrerà i vescovi cattolici della Serbia e visiterà la diocesi di Subotica. (R.P.)
Bangladesh: le religioni condannano lo stupro di una ragazza cattolica
È scandalo in Bangladesh per lo stupro di gruppo compiuto da cinque uomini su una tribale cattolica di 21 anni a Dhaka. La violenza si è consumata il 21 maggio scorso a bordo di un minibus. La giovane, di etnia Garo e originaria della diocesi di Mymensingh - riferisce l'agenzia AsiaNews - si trova ora nel Centro di sostegno per le vittime di violenza a Tejgaon, dopo essere stata curata presso l’unità di crisi dell’ospedale universitario di Dhaka. La polizia di Vatara ha aperto un procedimento, ma nessuno è stato ancora arrestato. Mons. Ponen Paul Kubi, vescovo di Mymensingh e Garo come la vittima, dichiara ad AsiaNews: “Sono profondamente addolorato. Non possiamo tollerare un simile attacco contro la nostra gente. Chiedo una pena esemplare per gli stupratori”.
La ragazza ha visto uno degli stupratori qualche ora prima della violenza
La ragazza è una studentessa universitaria e lavora part time nel Jamuna Future Park, il più grande Centro commerciale del Paese. Come raccontato da sua sorella, la vittima è stata costretta a salire sul minibus intorno alle 21.30, per poi essere scaricata due ore dopo davanti a un negozio di scarpe a Jasimuddin road. Nonostante la zona fosse coperta da telecamere a circuito chiuso, la polizia ha riferito che i video non sono utili alle indagini. La vittima ha raccontato alle forze dell’ordine di aver visto uno degli stupratori qualche ora prima della violenza, al Centro commerciale. L’uomo le avrebbe fatto qualche domanda e poi se ne sarebbe andato. Secondo gli investigatori, dopo questo episodio avrebbe progettato di rapire e stuprare la ragazza.
Manifestazione contro la violenza di tutte le religioni
Ieri migliaia di persone di ogni religione e appartenenti a oltre 50 organizzazioni hanno manifestato contro la violenza subita dalla giovane. Rosaline Costa, attivista cattolica per i diritti umani, spiega ad AsiaNews: “I giovani stanno diventando sempre più insubordinati, perché nelle istituzioni scolastiche non si insegna più la moralità. Anche nelle scuole di alto livello si verificano molestie su donne, sia studentesse che insegnanti”. Inoltre, nota l’attivista, “abbiamo decine di leggi, ma non vengono applicate. La stessa polizia a volte è coinvolta in simili reati e ne esce pulita. Il risultato è che i nostri giovani, in un certo senso, si sentono incoraggiati”. Secondo Costa, “le istituzioni scolastiche dovrebbero impartire lezioni di moralità, e le forze dell’ordine svolgere il loro compito in modo appropriato, assicurando i colpevoli alla giustizia”. (S.C.)
Vescovi Canada: preoccupazione per nuova legge su suicidio assistito
“Profondamente preoccupati”: così si dicono i vescovi del Canada, in una lettera inviata al ministro della Giustizia e procuratore generale del Paese, Peter MacKay, riguardo al suicidio assistito. Nella missiva, siglata da mons. Paul-André Durocher, presidente della Conferenza episcopale locale, i presuli ricordano la decisione presa il 6 febbraio scorso dalla Corte suprema canadese che ha autorizzato il suicidio assistito. In particolare, le toghe canadesi hanno stabilito che i malati incurabili, ma non necessariamente in fase terminale, potranno scegliere volontariamente la morte. La possibilità è estesa anche a chi è affetto da patologie psichiche. La sentenza della Corte ha valore per un anno, il tempo necessario a preparare un’apposita legge attuativa.
Una sentenza che mina il valore della vita umana
E proprio in vista della nuova normativa, il governo federale ha indetto anche una consultazione popolare, decisione che i vescovi “accolgono favorevolmente”. “La Chiesa e la Conferenza episcopale canadese – si legge nella missiva – sono profondamente preoccupate per la decisione della Corte suprema”. Ricordando, infatti, che “il giuramento di Ippocrate obbliga i medici a proteggere i pazienti da ogni male e da ogni ingiustizia, a non somministrare veleni o a prendere iniziative simili”, i vescovi di Ottawa sottolineano che “la sentenza dei giudici mina non solo la stima che la società ha riguardo alla vita umana, ma anche la fiducia di tutte le persone, soprattutto delle più vulnerabili, nei confronti dei medici e delle istituzioni sanitarie preposte alla tutela della vita”.
Non si può violare diritto alla salute sancito dalla Costituzione
Non solo: un ulteriore problema, prosegue la missiva, è rappresentato dal fatto che ora il Parlamento dovrà trovare “il modo per impedire che questa sentenza della Corte leda il diritto alla salute sancito dalla Costituzione”, proteggendo anche – e ciò rappresenta, dicono i presuli, “un bisogno urgente” – tutti gli operatori sanitari che si troverebbero costretti a fornire o a sostenere il suicidio assistito”. La Chiesa canadese, poi, ricorda che “i cattolici hanno un impegno ed una partecipazione indefettibile nel campo delle cure sanitarie” e infatti “in questo ambito, il Paese beneficia di molti servizi forniti da istituzioni cattoliche, così come gran parte degli ospedali derivano dal lavoro di comunità religiose cattoliche e risalgono alle origini del Paese”.
Tutelare libertà di coscienza degli operatori sanitari
Ma anche “nelle strutture non cattoliche”, evidenziano i presuli, “si trovano operatori sanitari che appartengono alla Chiesa cattolica”. Di qui, il richiamo alla “compassione per i malati, i moribondi e le persone vulnerabili dal punto di vista economico e sociale”, le quali “sono al centro dell’opera di misericordia della Chiesa”. “Profondamente turbati dalla decisione della Corte suprema”, dunque – preoccupazione condivisa con “altre comunità confessionali” – i vescovi cattolici chiedono al ministro della Giustizia di “essere inseriti tra gli organismi che saranno consultati dal governo canadese nell’ambito della valutazione di una nuova legge sul suicidio assistito”, sia “per assicurare che tale normativa tuteli la vita e la salute di tutti, nella maggior misura possibile”, sia “per garantire che essa offrirà, allo stesso tempo, la totale tutela del diritto e della libertà di coscienza degli operatori sanitari”.
La Chiesa non sia esclusa dal dibattito pubblico
Inoltre, i presuli chiedono di essere informati sulla data di inizio e le modalità di svolgimento dell’annunciata consultazione popolare, così da “poter partecipare al dibattito”. L’obiettivo, conclude la missiva, è quello di “aiutare il Paese a reagire ad una delle decisioni più inquietanti della Corte suprema”. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 145