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Sommario del 24/05/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa a Pentecoste: pace e riconciliazione doni dello Spirito

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Una forte esortazione ad accogliere i doni dello Spirito Santo. Nella Messa solenne della domenica di Pentecoste, presieduta stamani in una Basilica di San Pietro gremita di fedeli, Papa Francesco ha ricordato nell’omelia che, così come accadde agli apostoli, anche oggi lo Spirito guida alla verità, rinnova la terra e dà i suoi frutti. Il Pontefice ha quindi sottolineato il peccato di chiudersi all’azione della grazia. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

“Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi… Ricevete lo Spirito Santo”. Le parole di Papa Francesco, riprese dal Vangelo di Giovanni, risuonano profetiche in una Basilica di San Pietro raccolta e attenta; parole che attualizzano la prodigiosa discesa dello Spirito, annunciata da Gesù, sugli apostoli nel giorno della Pasqua e della Pentecoste. La Chiesa di oggi, come quella nascente di allora, continua a riceverne i doni:

“La Parola di Dio, specialmente quest’oggi, ci dice che lo Spirito opera nelle persone e nelle comunità che ne sono ricolme: guida a tutta la verità, rinnova la terra e dà i suoi frutti”.

Questi i tre aspetti fondamentali dell’azione dello Spirito. Prima di tutto “guida alla verità”. Gli apostoli comprendono che la morte di Gesù non è la sua sconfitta, ma l’espressione estrema dell’amore di Dio, amore che, nella Resurrezione, vince la morte ed esalta Gesù, come il Vivente, il Signore, il Redentore dell’uomo, della storia e del mondo. Questa – dice il Papa – è la Buona Notizia da annunciare a tutti. Poi ancora: il dono dello Spirito Santo che "rinnova la terra”, un aspetto che si riflette direttamente nel rapporto tra l’uomo e la totalità del mondo che ci circonda, al quale lo Spirito Creatore ha dato vita.

“Il rispetto del Creato è un’esigenza della nostra fede: il ‘giardino’ in cui viviamo non ci è affidato perché lo sfruttiamo, ma perché lo coltiviamo e lo custodiamo con rispetto”.

Ma questo è possibile - ricorda Francesco - solo se accettiamo di essere rinnovati dallo Spirito; solo allora possiamo vivere la libertà dei figli, in armonia con tutto il Creato, e in ogni creatura possiamo riconoscere un riflesso della gloria del Creatore.

Infine, è fondamentale aprirsi allo Spirito che “dà i suoi frutti”. Solo se l’uomo – dice il Papa – abbandona i particolarismi e gli egoismi, che bloccano l’azione della grazia di Dio, “lascia irrompere in sé lo Spirito di Dio e i suoi doni". E il Santo Padre elenca le nove virtù gioiose, che San Paolo definisce “frutto dello Spirito”: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”. “Camminare secondo lo Spirito”, dice il Santo Padre, è dunque un programma di vita.

“Il mondo ha bisogno di uomini e donne non chiusi, ma ricolmi di Spirito Santo. La chiusura allo Spirito Santo è non soltanto mancanza di libertà, ma anche peccato. E ci sono tanti modi di chiudersi allo Spirito Santo: nell’egoismo del proprio vantaggio, nel legalismo rigido – come l’atteggiamento dei dottori della legge che Gesù chiama ipocriti –, nella mancanza di memoria per ciò che Gesù ha insegnato, nel vivere la vita cristiana non come servizio ma come interesse personale”.

“I doni dello Spirito - conclude il Papa nell’omelia - sono stati elargiti in abbondanza alla Chiesa e a ciascuno di noi, perché possiamo vivere con fede genuina e carità operosa, perché possiamo diffondere i semi della riconciliazione e della pace, capaci di lottare senza compromessi contro il peccato e la corruzione e di dedicarci con paziente perseveranza alle opere della giustizia e della pace”.

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Papa: preoccupazione e dolore nel cuore per profughi Bengala

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Col “dolore nel cuore” il Papa segue quanto sta succedendo in questi giorni ai “numerosi profughi nel Golfo del Bengala e nel mare di Andamane”. Lo ha detto lo stesso Pontefice subito dopo la recita del Regina Coeli. Francesco, nella domenica di Pentecoste, ha pure ricordato che la Chiesa nasce universale e non chiude “la porta in faccia” a nessuno, nemmeno ai peccatori. Il servizio di Giada Aquilino

Anche nel giorno di Pentecoste, Papa Francesco ha seguito “con viva preoccupazione” e “dolore nel cuore” le vicende dei “numerosi profughi nel Golfo del Bengala e nel mare di Andamane”. Dopo la recita del Regina Coeli, il pensiero del Pontefice è infatti andato alle migliaia di persone che negli ultimi giorni si sono riversate sulle coste di Indonesia, Malaysia e Tailandia, proprio mentre tante altre di etnia Rohingya fuggono dalle persecuzioni in Myanmar:

“Esprimo apprezzamento per gli sforzi compiuti da quei Paesi che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere queste persone che stanno affrontando gravi sofferenze e pericoli. Incoraggio la Comunità internazionale a fornire loro l’assistenza umanitaria”.

Ha ricordato poi che cent’anni fa, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava “nella Grande Guerra, quella ‘strage inutile’”, come la definì Benedetto XV:

“Preghiamo per le vittime, chiedendo allo Spirito Santo il dono della pace”.

In Salvador e Kenya, ha poi aggiunto, sono stati proclamati ieri Beati un vescovo e una suora. Mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, venne ucciso in odio alla fede “mentre stava celebrando l’Eucaristia”:

“Questo zelante pastore, sull’esempio di Gesù, ha scelto di essere in mezzo al suo popolo, specialmente ai poveri e agli oppressi, anche a costo della vita”.

La suora italiana Irene Stefani, delle Missionarie della Consolata, “ha servito la popolazione keniota - ha evidenziato il Pontefice - con gioia, misericordia e tenera compassione”:

“L’esempio eroico di questi Beati susciti in ciascuno di noi il vivo desiderio di testimoniare il Vangelo con coraggio e abnegazione”.

Così come fecero gli apostoli che, cinquanta giorni dopo la Pasqua, “furono colmati di Spirito Santo”: da questa “effusione”, ha spiegato Francesco, i discepoli “vengono completamente trasformati”:

“Alla paura subentra il coraggio, la chiusura cede il posto all’annuncio e ogni dubbio viene scacciato dalla fede piena d’amore. E’ il ‘battesimo’ della Chiesa, che iniziava così il suo cammino nella storia, guidata dalla forza dello Spirito Santo”.

Quell’evento, ha proseguito, “cambia il cuore e la vita degli apostoli e degli altri discepoli”: la prima comunità cristiana, “non più ripiegata su sé stessa”, inizia infatti “a parlare alle folle di diversa provenienza” della Risurrezione di Gesù. E ognuno dei presenti - ha sottolineato il Pontefice - “sente parlare i discepoli nella propria lingua”. Il dono dello Spirito cioè “ristabilisce l’armonia delle lingue” perduta a Babele e prefigura la dimensione universale della missione degli apostoli.

“La Chiesa non nasce isolata, nasce universale, una, cattolica, con una identità precisa ma aperta a tutti, non chiusa, un’identità che abbraccia il mondo intero, senza escludere nessuno: a nessuno la madre Chiesa chiude la porta in faccia, a nessuno! Neppure al più peccatore, a nessuno! E questo per la forza, per la grazia dello Spirito Santo. E la madre Chiesa apre, spalanca le sue porte a tutti perché è madre”.

Lo Spirito Santo effuso a Pentecoste nel cuore dei discepoli è infatti “l’inizio di una nuova stagione”, quella “della testimonianza e della fraternità”, quella che viene da Dio, “come le fiamme di fuoco che si posarono sul capo di ogni discepolo”. Era - ha ricordato il Papa - “la fiamma dell’amore che brucia ogni asprezza”, “la lingua del Vangelo che varca i confini posti dagli uomini e tocca i cuori della moltitudine, senza distinzione di lingua, razza o nazionalità”:

“Come quel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo è effuso continuamente anche oggi sulla Chiesa e su ciascuno di noi perché usciamo dalle nostre mediocrità e dalle nostre chiusure e comunichiamo al mondo intero l’amore misericordioso del Signore. Comunicare l’amore misericordioso del Signore: questa è la nostra missione! Anche a noi sono dati in dono la “lingua” del Vangelo e il “fuoco” dello Spirito Santo, perché mentre annunciamo Gesù risorto, vivo e presente in mezzo a noi, scaldiamo il nostro cuore e anche il cuore dei popoli avvicinandoli a Lui, via, verità e vita.”.

Affidandosi alla “materna intercessione di Maria”, presente “come Madre in mezzo ai discepoli”, il saluto finale del Papa ai presenti in Piazza San Pietro è andato – “nel giorno della festa di Maria Ausiliatrice” - alla comunità salesiana, affinché “il Signore gli dia forza per portare avanti lo Spirito di San Giovanni Bosco”, ai fedeli provenienti dalla Bretagna, da Barcellona, da Freiburg, al coro dei ragazzi di Herxheim, e alla comunità Dominicana di Roma.

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Francesco: la missione non è proselitismo, è passione per Cristo

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La missione non è proselitismo, ma passione per Cristo, la gente ed il Vangelo: così Papa Francesco, nel messaggio per l’89.ma Giornata missionaria mondiale, che ricorrerà domenica 18 ottobre. Nel documento, diffuso oggi, solennità di Pentecoste, il Pontefice sottolinea il “forte legame” tra la vita consacrata e la missione ed incoraggia i giovani ed i laici ad impegnarsi di più nell’opera missionaria della Chiesa. Il servizio di Isabella Piro

Missione non è proselitismo, ma passione per Gesù e per la gente

Né “proselitismo”, né “mera strategia”: la missione fa parte della “grammatica della fede” ed è quindi passione, passione per Gesù Cristo, passione per la gente, passione per il Vangelo. Parla al cuore di ciascuno il messaggio di Papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale. Il documento si muove lungo quattro linee: in primo luogo, nell’Anno della Vita consacrata e nel 50.mo del decreto conciliare Ad gentes, il messaggio pontificio richiama il “forte legame” tra la missione ed i consacrati, ricordando che “chi segue Cristo non può che diventare missionario”. Ascoltando lo Spirito Santo, dunque, “ai consacrati è chiesto di andare verso le grandi periferie della missione”, là dove il Vangelo “non è ancora arrivato tra le genti”.

Discernere vocazioni missionarie autentiche
Chi è missionario, sottolinea il Papa, deve donarsi totalmente all’annuncio del Vangelo e su questo punto “non possono esserci compromessi: chi accoglie la missione, è chiamato a vivere di missione” ed “ogni tendenza” ad allontanarsi da questa vocazione “non si accorda con la chiamata del Signore a servizio del Vangelo”. Quindi, il Pontefice si rivolge ai formatori degli Istituti missionari: a loro vengono richieste “chiarezza ed onestà” nell’indicare le prospettive della missione ed autorevolezza nel “discernimento di autentiche vocazioni missionarie”.

Incoraggiare giovani e laici nell’impegno missionario
In secondo luogo, Papa Francesco chiama in causa direttamente i giovani ed i laici. Ai primi, “capaci di testimonianze coraggiose, di imprese generose e a volte controcorrente”, il Pontefice lancia un appello: “Non lasciatevi rubare il sogno di una missione vera, di una sequela di Gesù che implichi il dono totale di sé”, perché l’annuncio del Vangelo “prima di essere un bisogno per coloro che non lo conoscono, è una necessità per chi ama Gesù”. Allo stesso tempo, Francesco chiede ai consacrati di “promuovere nel servizio della missione la presenza dei fedeli laici”, aprendosi “coraggiosamente nei confronti di quanti sono disposti a collaborare” anche per poco tempo, per “un’esperienza sul campo”. La vocazione missionaria, infatti, è “insita nel Battesimo” e riguarda tutti.

I poveri, destinatari privilegiati dell’annuncio evangelico
In terzo luogo, il Pontefice indica la sfida primaria della missione oggi, ovvero “rispettare il bisogno di tutti i popoli di ripartire dalle proprie radici e salvaguardare i valori delle rispettive culture”. Ogni popolo ed ogni cultura, infatti, ha “il diritto di farsi aiutare dalla propria tradizione” a comprendere il mistero di Dio e ad accogliere il Vangelo. Inoltre, il Papa ricorda che “i destinatari privilegiati dell’annuncio evangelico” sono “i poveri, i piccoli, gli infermi, i disprezzati e i dimenticati”, perché “esiste un vincolo inseparabile tra la fede ed i poveri”. I consacrati missionari abbiano chiaro questo punto, dice il Papa: scegliere di seguire Cristo nella sua opzione preferenziale per i poveri non significa agire “ideologicamente”, bensì “identificarsi con i poveri come ha fatto Lui, rinunciando all’esercizio di ogni potere per diventare fratelli degli ultimi”, portando loro “la gioia del Vangelo e la carità di Dio”.

Collaborazione e sinergia tra Istituti missionari e vescovo di Roma
Infine, il Papa sottolinea l’importanza “della collaborazione e della sinergia” tra il vescovo di Roma e le istituzioni e le opere missionarie della Chiesa, così da garantire la comunione. Tale convergenza – spiega il Pontefice – “non equivale ad una sottomissione giuridico-organizzativa ad organismi istituzionali o ad una mortificazione della fantasia dello Spirito che suscita la diversità”, bensì “significa dare più efficacia al messaggio evangelico e promuovere quell’unità di intenti”, frutto dello Spirito stesso.

Mettere tutti in rapporto personale con Cristo
“L’opera missionaria del successore di Pietro – spiega il Papa - ha un orizzonte apostolico universale. Per questo ha bisogno dei tanti carismi della vita consacrata”, per “assicurare una presenza adeguata sulle frontiere e nei territori raggiunti”. Il messaggio si conclude con il richiamo ad una Chiesa che “non si stanca di annunciare incessantemente” il Vangelo, perché in fondo “la missione di vescovi, sacerdoti, religiosi e laici è quella di mettere tutti, nessuno escluso, in rapporto personale con Cristo”.

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Il Papa: Romero ci ricorda che nella Chiesa non devono esserci divisioni

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Mons. Oscar Romero è stato un “vescovo martire” capace di “vedere e ascoltare la sofferenza del suo popolo”. E’ uno dei passaggi dell'appassionata lettera inviata da Papa Francesco all’arcivescovo di San Salvador, mons. José Luis Escobar Alas, in occasione sabato della Beatificazione di mons. Romero. “La voce del nuovo Beato – scrive il Pontefice – ricorda a ognuno di noi che la Chiesa non può avere alcuna divisione”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Un esempio dei migliori figli della Chiesa” che seppe costruire la pace “con la forza dell’amore” fino all’estremo sacrificio della vita. Papa Francesco ricorda così mons. Romero in un messaggio per la Beatificazione del “vescovo martire” del Salvador.

Vescovo martire seppe guidare e proteggere il suo gregge
Immagine di Cristo Buon Pastore, prosegue il Papa, in “tempi di difficile convivenza”, mons. Romero “ha saputo guidare, difendere e proteggere il suo gregge, rimanendo fedele al Vangelo e in comunione con tutta la Chiesa”. Il suo ministero episcopale, scrive Francesco, “si è distinto per una particolare attenzione ai più poveri e agli emarginati” e al momento della morte, “mentre celebrava il Santo Sacrificio dell’amore e della riconciliazione, ha ricevuto la grazia di identificarsi pienamente con Colui che diede la sua vita per le proprie pecore”.

Romero ci ricorda che nella Chiesa non devono esserci divisioni
In questo giorno di festa per la nazione salvadoregna e i Paesi latinoamericani, prosegue la lettera, “rendiamo grazie a Dio perché ha concesso al Vescovo martire la capacità di vedere e di udire la sofferenza del suo popolo ed ha plasmato il suo cuore affinché, in suo nome, lo orientasse e lo illuminasse, fino a fare del suo agire un esercizio pieno di carità cristiana”. La voce del nuovo Beato, sottolinea il Papa, “continua a risuonare oggi per ricordarci che la Chiesa, convocazione di fratelli attorno al loro Signore, è famiglia di Dio, dove non ci può essere alcuna divisione”. E soggiunge che “la fede in Gesù Cristo, correttamente intesa e assunta fino alle sue ultime conseguenze, genera comunità artefici di pace e di solidarietà”. A questo, è l’esortazione di Francesco, “è chiamata oggi la Chiesa a El Salvador, in America e nel mondo intero: a essere ricca di misericordia, a divenire lievito di riconciliazione per la società”.

Il nuovo Beato ci aiuti a costruire un futuro di pace e riconciliazione
Mons. Romero, scrive ancora il Papa, “c’invita al buon senso e alla riflessione, al rispetto per la vita e alla concordia”, a rinunciare alla violenza e all’odio. Mons. Romero, soggiunge, “con cuore di padre, si è preoccupato delle ‘maggioranze povere’, chiedendo ai potenti di trasformare ‘le armi in falci per il lavoro’”. Tutti, è l’invito del Pontefice, “trovino in lui la forza e il coraggio per costruire il Regno di Dio e  impegnarsi per un ordine sociale più equo e degno”. “È il momento favorevole per una vera e propria riconciliazione nazionale – conclude la lettera – dinanzi alle sfide che si affrontano oggi”. Il Papa assicura dunque le sue “preghiere, affinché germogli  il seme del martirio e si rafforzino lungo i cammini veri i figli e le figlie di questa nazione, che si gloria di portare il nome del divino Salvatore del mondo”.

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Oscar Romero è beato. Folla immensa a San Salvador

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Oscar Arnulfo Romero y Galdàmez è beato. Oltre 200 mila persone, tra i quali numerosi capi di Stato, hanno partecipato sabato a San Salvador alla cerimonia di beatificazione dell’arcivescovo martire, assassinato in odio della fede il 24 marzo 1980 mentre celebrava l’eucaristia. “Un uomo di fede profonda e incrollabile speranza”, lo ha definito il card. Angelo Amato, prefetto della congregazione delle Cause dei Santi, rappresentante del Papa. La sua festa sarà il 24 marzo, giorno della morte. Paolo Ondarza

Gioia incontenibile tra gli oltre 200mila fedeli
Romero è beato. E’ incontenibile la gioia delle centinaia di migliaia di fedeli radunati nell’assolata piazza del Divino Salvador del Mundo a San Salvador. Il postulatore della causa di beatificazione, mons. Vincenzo Paglia, ha ricordato pubblicamente la testimonianza luminosa dell’arcivescovo martire, ucciso durante la celebrazione eucaristica dagli “squadroni della morte” legati al governo militare perché denunciava le violenze del regime.

Sul palco la camicia celeste macchiata dal sangue.
“Con la messa odierna - ha detto mons. Paglia - si dà compimento a quella celebrazione interrotta nel sangue” e a quella dei funerali ugualmente segnati da un massacro compiuto dal fuoco aperto sui fedeli dall’esercito. Rosso, colore del martirio, il grande palco allestito per la cerimonia sul quale è stata esposta, tra le varie reliquie, accanto alla palma del martirio, la camicia celeste di Romero macchiata dal sangue; chiaro il messaggio: la morte non ha vinto.

Opzione per i poveri di Romero era evangelica, non ideologica
Il sangue dell’arcivescovo martire infatti - ha ricordato il card. Amato - quel 24 marzo 1980 si mescolò sull’altare al sangue redentore di Cristo. “Uomo virtuoso, sacerdote buono, vescovo saggio”, “amava Gesù, Maria, la Chiesa, il suo popolo”, la sua opzione per i poveri “non era ideologica, ma evangelica”. Romero - ha detto il card. Amato - resta ancora oggi conforto per i “derelitti e gli emarginati della terra”, “luce delle nazioni e sale della terra”.

Il martirio di Romero non fu un'improvvisazione
Il porporato ha ricordato che “il martirio per Romero non fu un’improvvisazione, ma il culmine di un cammino spirituale”. “Tu sei tutto, io sono nulla. Con il tuo tutto e con il mio nulla faremo molto” scriveva da giovane seminarista in una preghiera conservata nel suo diario e citata dal card. Amato che ha ricordato il cammino che da “Pastore mite e quasi timido” lo ha portato a seguito dell’uccisione di padre Rutilio, il gesuita salvadoregno, parroco dei campesinos  oppressi ed emarginati, a ricevere dallo Spirito Santo il dono della fortezza che - per sua stessa ammissione  - lo rese sempre più esplicito “nel difendere il popolo oppresso e i sacerdoti perseguitati”.  

Romero non è simbolo di divisione, ma di pace e fratellanza
“La sua carità - ha concluso il card. Amato - si estendeva ai suoi persecutori ai quali predicava la conversione al bene: egli non è dunque simbolo di divisione, ma di pace, concordia e fratellanza”.

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Romero: nuova biografia in occasione della beatificazione

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Mons. Oscar Arnulfo Romero Galdámez “appartiene certo alla Chiesa ma anche a tutta l'umanità”, perché “è per tutti il profeta dell'amore di Dio e del prossimo”. Così il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, celebrando sabato a San Salvador, in rappresentanza del Papa, la Messa di beatificazione dell’arcivescovo martire, assassinato in odio alla fede il 24 marzo 1980. Proprio in questi giorni, è arrivato in libreria “Oscar Romero - La biografia”, di Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia contemporanea all’Università Roma Tre, edito da San Paolo. Nell’intervista di Giada Aquilino, l’autore - che ha collaborato col postulatore della causa di beatificazione, l’arcivescovo Vincenzo Paglia - traccia un profilo di mons. Romero: 

R. - Abbiamo visto documenti sia dell’archivio di San Salvador, sia dell’archivio personale di mons. Romero, ma anche documenti che i vari dicasteri della Santa Sede hanno messo a disposizione, dalla Congregazione per i Vescovi, alla Segreteria di Stato, alle Cause dei Santi. Quindi abbiamo esaminato tanto materiale, anche di carattere diplomatico. E poi tutto il materiale edito di Romero, perché Romero era un giornalista, scriveva articoli. Ci sono otto volumi di sue omelie pubblicate, il suo diario, le lettere pastorali: quindi tanto materiale per ritrovare il vero Romero storico.

D. – Perché fu ucciso mons. Romero?

R. – Fu ucciso perché faceva una richiesta evangelica di conversione ai ricchi, all’oligarchia. Fu uno squadrone della morte a ucciderlo, uno squadrone dell’estrema destra. C’era una grande insofferenza per la sua richiesta religiosa di conversione, di giustizia sociale, di equa distribuzione dei beni. Questo è stato il motivo principale: un fastidio per questa voce spirituale. Infatti fu ucciso davanti all’altare, mentre celebrava la Messa.

D. – I mandanti dell’omicidio di mons. Romero erano uomini di potere che si dichiaravano cattolici. Questo ha reso più difficile per la Chiesa affermare il suo martirio?

R. – C’è certamente una novità in questo martirio, che non è il martirio “in odium fidei” di colui che viene ucciso dalla scimitarra dell’infedele. La società salvadoregna era una società cattolica e i mandanti probabilmente erano cattolici, anche se non sappiamo i loro nomi. Sappiamo soltanto, dalle indagini svolte, che l’organizzatore dello squadrone della morte fu un ex maggiore dell’esercito che si chiamava D'Aubuisson, il quale comunque era anch’egli di origine cattolica, era stato pure un militante cattolico in gioventù prima di scegliere la carriera militare.

D. – Mons. Paglia ha ammesso che negli anni ci sono stati perplessità, strumentalizzazioni, anche contrasti al processo di beatificazione: si è detto che Romero facesse politica, fosse ideologizzato da un pensiero pseudo-marxista. Come rispondere?

R. – La risposta alle obiezioni fatte soprattutto da settori dell’episcopato latinoamericano alla causa di beatificazione è sul piano storico, è quel ritrovare la vera figura storica di Romero. Le obiezioni si concentravano soprattutto sul fatto che Romero era visto come un politico, sia da destra sia da sinistra. Perché la destra lo vedeva come un politico sovversivo, quindi in maniera negativa; la sinistra ne faceva una bandiera rivoluzionaria. Entrambe le immagini non corrispondono al Romero storico, che era innanzitutto un uomo della Chiesa, un uomo del Vangelo, un uomo di fede. E si è trattato, nel processo, di ritrovare questa dimensione di Romero, che non esclude il fatto che lui fosse un uomo della scena pubblica: questo però veniva dalla sua dimensione spirituale, dalla sua coscienza di fede.

D. – L’essere voce dei poveri in Romero cosa significava?

R. – Significava identificare i poveri con Cristo, proteggerli, difenderli, un incontro personale, un aiuto personale, un rapporto personale con i poveri, da cuore a cuore: Romero viveva in un ospedale per malati terminali poveri e li visitava regolarmente.

D. - Tra l’altro il contesto di quando mons. Romero divenne arcivescovo di San Salvador era di un conflitto sociale, che nel tempo poi ha assunto i connotati di guerra civile, di persecuzione contro il clero e la Chiesa. Che periodo era dal punto di vista storico?

R. – Siamo tra il 1977 e il 1980. C’era un grande conflitto sociale, perché c’era molta ingiustizia sociale e questo portava una parte della società a ribellarsi e l’altra a reagire con violenza per mantenere i propri privilegi. Romero si trovò in una situazione di conflitto, in cui gran parte della Chiesa, dei cattolici militanti, chiedeva maggiore giustizia, chiedeva una società più equa. E questo poi portava anche alla persecuzione della Chiesa stessa: sei preti su un centinaio di sacerdoti diocesani di Romero furono assassinati, per non parlare dei catechisti.

D. – Perché si voleva far tacere la Chiesa?

R. – Il popolo salvadoregno era un popolo molto credente, molto cattolico. La parola dei vescovi, dei sacerdoti che chiedevano giustizia aveva un grande credito, plasmava l’opinione pubblica. Quello che chiedeva la Chiesa, e Romero stesso, era il rispetto delle leggi, perché il Salvador aveva leggi buone: per esempio, leggi che garantivano il salario minimo, che permettevano un’organizzazione sindacale. Ma queste leggi non venivano applicate.

D. – Oggi testimonianze della Chiesa di San Salvador dicono che la beatificazione di Romero è stata particolarmente importante perché ci sono persone che, ancora negli ultimi tempi, non credevano in lui e invece oggi vanno sulla sua tomba. Perché questo cambiamento? 

R. – Credo che si sia andati a un riconoscimento della vera natura di Romero, che era semplicemente un pastore, come ha dichiarato anche l’Assemblea nazionale del Salvador nell’anno 2000, in una dichiarazione firmata anche da molti deputati della destra e non solo dalla sinistra. Diventando un eroe nazionale, Romero ha portato unità al Paese.

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Papa: divisione cristiani è ferita. Viviamo ecumenismo del sangue

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La divisione tra i cristiani “è una ferita nel corpo della Chiesa”, ma colui che perseguita oggi i cristiani sa che sono fratelli, “sono discepoli di Cristo”: stiamo vivendo l’‘ecumenismo del sangue’. Queste le parole di Papa Francesco nel videomessaggio per la Giornata per l’Unità Cristiana, celebrata ieri a Phoenix, in Texas. L’evento promosso dal ‘Movimento John 17’ in collaborazione con la diocesi di Phoenix e in occasione della Solennità di Pentecoste, è stato incentrato sul tema: “Padre, che siano in noi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Il servizio di Giada Aquilino

Divisione tra i cristiani, ferita che non deve permanere
La divisione tra i cristiani “è una ferita nel corpo della Chiesa di Cristo”: “non vogliamo che questa ferita permanga”. Così Papa Francesco nel videomessaggio per la Giornata per l’Unità Cristiana celebrata in Texas. Tale divisione, spiega, “è opera del padre della menzogna, del padre della discordia, che cerca sempre di fare in modo che i fratelli siano divisi”.

Oggi è in atto un ‘ecumenismo del sangue’
Guardando a ciò che succede oggi nel mondo, il Pontefice mette in evidenza come ci sia “qualcuno che ‘sa’ che, nonostante le differenze, siamo uno”: “è colui che ci perseguita”:

“El que persigue hoy día a los cristianos...
Colui che perseguita oggi i cristiani, che ci unge con il martirio, sa che i cristiani sono discepoli di Cristo: che sono uno, che sono fratelli! Non gli importa se sono evangelici, ortodossi, luterani, cattolici, apostolici… non gli importa! Sono cristiani. E quel sangue si unisce. Oggi stiamo vivendo, cari fratelli, “l’ecumenismo del sangue”. Questo ci deve spingere a fare quello che oggi stiamo facendo: pregare, parlare tra noi, accorciare le distanze, affratellarci sempre di più”.

Cercare insieme grazia dell’unità
Francesco sollecita quindi i cristiani a cercare e chiedere “insieme la grazia dell’unità”, che - afferma - “sta germogliando tra noi”: quella unità “che inizia suggellata da un solo Battesimo”, che stiamo cercando “uniti nel cammino”, nella preghiera “gli uni per gli altri”, quella unità “del lavoro comune nell’aiutare i fratelli” che credono “nella sovranità di Cristo”.

Lo Spirito Santo ci dona l’unità
Il Papa si dice “convinto” che l’unità “non la faranno i teologi”:

“Si esperamos que los teólogos se pongan de acuerdo...
Se aspettiamo che i teologi si mettano d’accordo, l’unità sarà raggiunta il giorno successivo a quello del Giudizio Finale. L’unità la fa lo Spirito Santo, i teologi ci aiutano, ma ci aiutano le buone volontà di tutti noi che siamo in cammino e con il cuore aperto allo Spirito Santo”.

Con la certezza “che abbiamo un solo Signore”, Gesù, che vive “in ciascuno di noi” e “ci ha inviato lo Spirito” promesso affinché si realizzi l’“armonia tra tutti i suoi discepoli”, Francesco invita a pregare il Padre perché “ci conceda la grazia che tutti siano uno”.

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Veglie di preghiera in Italia per i cristiani perseguitati

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In tutta Italia, ieri sera in occasione della vigilia della Pentecoste, in molte parrocchie si sono svolte veglie di preghiera per i martiri contemporanei e per i cristiani perseguitati a causa della fede. Anche a Roma sono state promosse dalla diocesi diverse celebrazioni, tra cui una veglia nella basilica dei Santi Apostoli guidata dal vescovo ausiliare Matteo Zuppi, a cui hanno partecipato anche sacerdoti della comunità greco ortodossa. Il servizio di Marina Tomarro

“La sofferenza dei nostri fratelli che sono perseguitati a causa della fede è anche nostra, non è estranea, dobbiamo tenerlo a mente sempre”! Così il vescovo Matteo Zuppi ha ricordato durante la veglia di Pentecoste i cristiani oppressi nel mondo, soffermandosi in particolare sulle situazioni più dolorose come la Siria,  l’Iraq, la Nigeria, l’India, il Pakistan. Ha letto alcuni passaggi di una lettera di Asia Bibi, la donna cristiana pakistana accusata di blasfemia e per questo condannata a morte. I motivi dell'iniziativa nelle parole di mons. Zuppi:

R. – Primo, per un debito che abbiamo verso di loro, verso la loro situazione, noi che spesso sciupiamo, al contrario, le nostre possibilità, la tanta sicurezza che abbiamo. Secondo perché è una condizione terribile. Giustamente è stato rilevato che è una persecuzione quasi maggiore di quelle dei primi secoli e che il cristianesimo è la religione più perseguitata. Difendere i cristiani in realtà è difendere anche la libertà religiosa e quindi la libertà di tutti di credere nel proprio Dio. Per questo penso che dobbiamo tanto a questi nostri fratelli, perlomeno nella preghiera, nello sforzo, nel ricordo e anche nella solidarietà, per proteggerli nella loro situazione.

D. – Cosa si potrebbe fare di più secondo lei?

R. – Io credo che ci sia un desiderio di tutti quanti i cristiani che è uno sforzo di vicinanza, di preghiera e di solidarietà e poi c’è una pressione che dobbiamo fare sui governanti, su quelli che debbono poi orientare le diverse scelte, perché non è soltanto proteggere i nostri fratelli ma è garantire la libertà di culto, di religione. In realtà è la protezione di tutte le minoranze e chi protegge le minoranze tutela al contempo anche se stesso.

D. – Nella sua omelia lei ha ricordato la figura di mons. Romero: perché è importante la sua testimonianza?

R. – Perché mons. Romero è uno che si è identificato col popolo, che ha fatto propria la sofferenza di tanti e ha ricordato a tutti che la sofferenza dei propri fratelli non è accettabile e che bisogna proteggerla e difenderla. Credo che la sua beatificazione aiuti anche tutti quanti noi a essere uomini più coraggiosi e meno tiepidi.

Tanti i fedeli che hanno voluto prendere parte a questo momento di preghiera e di riflessione. Ascoltiamo le loro emozioni:

R. - Perché ci rende uniti a loro, anche se distanti. La Pentecoste è anche questo. Lo Spirito che ci unifica pur nella distanza, fino ai confini della terra. Quindi è bello essere vicini ai nostri fratelli.

D. – E secondo te invece?

R. – Perché ci fa sentire solidali, ci fa sentire vicini. Noi li sentiamo vicini e speriamo che il nostro affetto e la nostra preghiera li possano raggiungere per mezzo dello Spirito.

R. – La Chiesa è unita e quando un membro soffre soffrono anche gli altri membri. Siccome quello che ci lega è la comunione che è la vita di Dio, che è lo Spirito dato nei cuori di ognuno, ecco che abbiamo pregato anche per loro.

D. – Come si testimonia gioiosamente il Vangelo?

R. – Innanzitutto con verità, con la propria vita, più che con le parole. Quindi essere credibili attraverso una testimonianza autentica, semplice e, naturalmente, sì, anche gioiosa.

R. – Nella semplicità, nelle testimonianze piccole quotidiane della solidarietà, dello stare vicino.

R. – La Pentecoste è importante tanto quanto il Natale e la Pasqua perché è Cristo che viene tra di noi, è il compimento della sua promessa: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Quindi essere in Cristo vuol dire essere con i nostri fratelli perseguitati. Ricordo la frase di Shahbaz Bhatti che diceva che questi fratelli erano parte del suo corpo in Cristo.

R. – Penso che sia una grazia molto grande partecipare in questo momento perché tutta la Chiesa è unita a questi nostri fratelli che sono perseguitati. Quello che possiamo offrire in questo momento è essere insieme con loro attraverso la preghiera, non c’è altro che possiamo fare.

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Giornata preghiera Chiesa in Cina, segno di partecipazione

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Ricorre oggi la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, istituita da Benedetto XVI nel 2007. Sollecitato dai giornalisti sulle parole del presidente cinese Xi Jinping che nei giorni scorsi aveva dichiarato come le religioni in Cina debbano essere indipendenti da influenze straniere e leali alle autorità, il cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin ha affermato che “essere un buon cattolico in comunione col Papa non va a scapito della lealtà di cittadino”. “Penso e spero - ha affermato il porporato all’Ansa - che le dichiarazioni” del presidente cinese “non vogliano precludere il dialogo con una chiusura nei confronti  della Santa Sede”. In un’intervista a Tv2000, il segretario di Stato vaticano ha aggiunto che d’altra parte nei rapporti con Paesi come la Repubblica Popolare Cinese e il Vietnam “i tempi non vanno affrettati”, che “la pazienza raggiunge tutto, ottiene tutto”. Ma sul significato per i cattolici cinesi della Giornata di preghiera, Luca Collodi ha intervistato padre Antonio Sergianni del Pime, missionario a Taiwan e Cina per 24 anni e per 10 anni a Propaganda Fide nella sezione cinese: 

D. – Papa Benedetto, al termine della sua Lettera alla Chiesa cattolica in Cina del 2007, chiese una giornata di preghiera per la Chiesa in Cina a tutti i cattolici del mondo. Rileggendola, si possono notare alcune idee importanti. Si rivolge a tutti i cattolici del mondo e chiede di pregare per quella Chiesa. Alla Chiesa in Cina, ai cattolici cinesi, Papa Benedetto chiede di rinnovare la comunione di fede in Gesù Cristo e la fedeltà al Papa. E poi chiede anche: “l’unità fra di voi, che sia più profonda e visibile”. Ciò è molto importante. Il Papa insiste sull’unità della Chiesa cattolica in Cina. Invita a pregare per tutti, re e imperatori, come l’Apostolo Paolo, ma soprattutto a pregare per i nemici. C’è anche una preghiera di ringraziamento per quello che il Signore ha fatto nella storia della Chiesa in Cina. Questo è molto importante, perché non è soltanto una preghiera di supplica di fronte ai problemi, ma anche un riconoscere le meraviglie che il Signore ha fatto in Cina. Nella Lettera parla di come la Chiesa abbia mantenuto sempre la successione apostolica, abbia avuto molti martiri e molta fedeltà. “E’ tutta opera del Signore, per cui dobbiamo ringraziare”. Poi si rivolge al mondo intero, ai cattolici del mondo, invitando a pregare in segno di fraterna solidarietà, comunione, partecipazione, facendoci sentire vicini ai cattolici cinesi.

D. – Padre Sergianni, la preghiera ci fa capire meglio la realtà storica dei cristiani cinesi?

R. – Penso di sì, se intendiamo la preghiera in senso cristiano, in senso completo, in senso liturgico. La preghiera è prima di tutto riconoscere l’opera di Dio nella storia: il Papa parla del “Signore della storia” più volte nella Lettera. E’ Lui che ha in mano il destino delle nazioni, è Lui che permette certi tempi difficili, di persecuzione, ma è Lui che li risolve, è Lui che guida. La preghiera che riconosce questa opera di Dio nella storia aiuta moltissimo a capire come i cinesi vivano. Una lettera di un vescovo recentemente diceva: “I tempi sono difficili, ma è tutto nelle mani del Signore. Non ci rimane che attendere. Tempi lunghi? Forse no. Lui lo sa”! Questo atteggiamento di preghiera che riconosce, che ringrazia, che si affida a Dio ci fa capire l’animo dei cattolici cinesi, al di là dei problemi reali che ci sono.

D. – Perché è importante pregare per la comunità cristiana cinese?

R. – Credo che sia importante come segno di comunione, di partecipazione. Certo prima di tutto è importante per chiedere la grazia della fedeltà di fronte alla prova: Papa Francesco dice che la persecuzione e la difficoltà sono sempre una prova e Papa Benedetto ha affermato che di fronte alla prova c’è il rischio di perdere la fede, quindi pregare perché questo non avvenga è importantissimo. Ma è anche importante perché ci fa partecipare alla loro vita. Se la Chiesa è una e siamo un corpo solo, il pregare per una parte della Chiesa è vivere la stessa vita della Chiesa: è la nostra vita che si esprime. E quello che in Cina sta avvenendo è una parola anche per noi. Cosa significhi la storia della Chiesa in Cina per la Chiesa universale? Che cosa si può imparare da loro? Stiamo vivendo lo stesso mistero, perché la vita cristiana non è un moralismo, un impegno: è una partecipazione al Mistero al Cristo che attualmente in Cina vive questa fase, da noi se ne vive un’altra; ma è lo stesso Mistero, la stessa difficoltà, la stessa partecipazione alla vita di Cristo.

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Oggi in Primo Piano



Myanmar: saranno rimpatriati i migranti soccorsi giovedì

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Cresce la preoccupazione per la situazione dei migranti nel sud-est asiatico in particolare nelle aree del golfo del Bengala. Lo ha ricordato anche il Papa al Regina Coeli. Si teme che migliaia di persone, in fuga da Bangladesh e Myanmar, si trovino ancora bloccate sulle imbarcazioni in mare. Il servizio di Eugenio Bonanata: 

Fuggono in cerca di una vita migliore soprattutto verso la Malaysia, l’Indonesia e la Thailandia. Impossibile una stima precisa. Il numero delle imbarcazioni e delle persone coinvolte resta ancora indefinito. Occorre che i Paesi dell’area interrompano la politica dei respingimenti, ha detto ieri il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon. Eppure in queste ore le autorità del Myanmar hanno fatto sapere che saranno rimpatriate nei Paesi d’origine le 208 persone a bordo del barcone soccorso giovedì a largo delle coste birmane. Il governo locale, contrariamente a quanto riscontrato da diversi media, rassicura che tra di loro ci sono solo bengalesi e nessuna persona di etnia Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata in Myanmar. Intanto in Malaysia sono state scoperte numerose fosse comuni al confine con la Tailandia. Il ritrovamento è avvenuto in una delle aree di passaggio utilizzate dai Rohingya all’’interno di campi abbandonati dai trafficanti di migranti, i quali terrebbero in ostaggio queste persone con l’obiettivo di ricevere un riscatto dalle loro famiglie. Altre analoghe scoperte, di recente, ci sono state anche in Thailandia.

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Irlanda: vittoria del 'sì' al referendum sulle nozze gay

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Alla Chiesa cattolica d'Irlanda “occorre un esame di realtà a tutto tondo”. Così l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, commenta la vittoria del ‘sì’ al referendum che permette nel Paese il matrimonio tra persone dello stesso sesso. A favore hanno votato più 1,2 milioni di irlandesi, cioè il 62 per cento degli elettori che si sono recati alle urne. I 'no', invece, sono stati 734 mila. Ora ci si interroga sugli effetti della misura. Eugenio Bonanata ne ha parlato con il senatore indipendente Ronan Mullen, contrario all’iniziativa: 

R. – Le unioni civili sono state il primo passo ma l’obiettivo era il matrimonio. Una volta che il Parlamento ha introdotto anche l’adozione, è stato più facile fare accettare questi cambiamenti. Quasi il 40 per cento della popolazione ha votato ‘no’. I media stanno presentando questa come una vittoria per i diritti umani e la strategia di questa campagna referendaria è stata proprio il rappresentare il voto come riguardante solo l’amore e i sentimenti senza considerazione per i bambini.

D. – Come cambia il concetto di famiglia adesso?

R. – Secondo la Costituzione, la famiglia è fondata sul matrimonio. Ora che è cambiato il concetto di matrimonio, ci saranno ripercussioni sul diritto di famiglia. Ad esempio, non sarà più possibile vietare l’accesso alla maternità surrogata a coppie di uomini, se avere i figli è un diritto costituzionale.

D.  – Quali saranno le conseguenze di questo referendum in Europa?

R. – Poiché siamo il primo Paese ad introdurre il matrimonio omosessuale tramite voto popolare, questo sarà presentato a livello internazionale come una grande vittoria per il movimento omosessuale. Purtroppo avrà conseguenze in altri Paesi, che ci prenderanno come esempio.

D. – A questo punto chi come lei finora ha sostenuto le istanze della famiglia naturale come farà valere la propria voce?

R. – Durante la campagna molti hanno apprezzato le nostre argomentazioni e condiviso i nostri valori. Tanti hanno votato per il ‘no’ e ora dobbiamo costruire insieme un grande movimento a difesa della famiglia. Nessun partito irlandese ha difeso il ‘no’ e tanti elettori non si sentono rappresentati dalla classe politica.

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Etiopia al voto: riconferma scontata per il partito di Desalegn

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Etiopia oggi al voto. Grande favorito è il Fronte Rivoluzionario Democratico del Popolo Etiopico, già al potere, dopo una campagna elettorale caratterizzata da episodi di repressione nei confronti del dissenso da parte del governo guidato dal premier Hailemariam Desalegn. Anche nelle precedenti elezioni, nel 2005 e 2010, si registrarono violenze, arresti, intimidazioni e brogli. Di questo appuntamento elettorale, Giancarlo La Vella ha parlato con Raffaello Zordan, del periodico dei missionari comboniani “Nigrizia”: 

R. – Direi che la consultazione non dovrebbe riservare alcun tipo di sorpresa. Ci sarà una continuità col regime attuale, che è una democrazia apparente: nel senso che contano solo e semplicemente – in tutti i settori del Paese: dalla politica, all’amministrazione, all’economia – il Fronte Rivoluzionario Democratico del Popolo Etiopico e il suo presidente Hailemariam Desalegn, che è sia il capo del partito, sia il capo del governo. Quindi non si vedono per nessuno dei 75 partiti, che fanno parte dell’arco dell’opposizione, possibilità di spuntarla.

D. – Questa realtà che l’Etiopia vive è in qualche modo influenzata dalla situazione estremamente caotica che sta vivendo la vicina Somalia?

R. – Sì. Il fatto che ci sia un Paese senza Stato vicino all’Etiopia ha delle ripercussioni a livello politico e una tensione sempre alta. Dal punto di vista produttivo, il Paese, nel suo insieme, è prevalentemente agricolo e - pur avendo avuto negli ultimi anni una forte crescita del Pil, in media, negli ultimi 5 anni un 10% l’anno - non dimentichiamo mai che in un Paese di 90 milioni di abitanti una parte considerevole vive sotto la soglia di povertà.

D. – In questa situazione qual è il ruolo delle diverse missioni che ci sono in Etiopia?

R. – E’ chiaro che le missioni hanno un forte ruolo sociale: gestiscono scuole, gestiscono ospedali, hanno la capacità di interloquire comunque con gli ortodossi e quindi hanno un peso all’interno di questa dinamica. C’è anche una rappresentanza importante di musulmani - sono quasi il 34% della popolazione - e anche con questi c’è un dialogo.

D. – Nell’ampio panorama africano, la voce dell’Etiopia riesce a farsi sentire?

R. – Il Paese è sede dell’Unione Africana e quindi la capitale, Addis Abeba, si candida ad essere un punto di riferimento per il continente. Non dobbiamo però mai dimenticare che l’Unione Africana - come del resto l’Unione Europea - non è una realtà dove il Parlamento centrale può imporre scelte ai vari Parlamenti nazionali. E’ invece ancora un luogo dove si discute di politica, dove si invocano delle scelte piuttosto che altre. Sono poi i singoli Paesi a fare quello che credono e a scegliere le alleanze che credono, soprattutto a livello economico. Quindi la partita è completamente aperta. Certamente l’Etiopia ha delle potenzialità enormi, però vive in un contesto dove le situazioni sono complicate. Prima si citava la Somalia, ma non dimentichiamo neanche che lì vicino ci sono il Sudan e il Sud Sudan, che sono due realtà in questo momento piuttosto caotiche dal punto di vista politico e anche economico.

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Al carcere di Paliano la Croce della Gmg

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Prosegue il pellegrinaggio della Croce della Gmg. Ieri, sabato 23 maggio, il simbolo per eccellenza delle Giornate Mondiali della Gioventù ha fatto visita ai detenuti del carcere di Paliano, in provincia di Frosinone. Ce ne parla Davide Dionisi

La grande Croce di legno, che Giovanni Paolo II decise di affidare ai ragazzi del Centro Internazionale giovanile San Lorenzo di Roma, ha varcato ieri le imponenti mura della Casa di reclusione di Paliano. Il simbolo delle Giornate Mondiali della Gioventù è stato accolto e portato in spalla dai suoi ospiti che hanno pregato ai piedi della Croce. Tanta la commozione all’interno di una struttura che ha una peculiarità: quella di ospitare unicamente collaboratori di giustizia. Per questo, la presenza di questa Croce ha assunto un significato particolare. Così come ci ha spiegato la direttrice, Nadia Cersosimo:

“In questo Istituto ha un significato particolare. In tutti gli Istituti di pena, ma in tutti i posti in cui c’è un dolore, un disagio, comunque la Croce rappresenta una rinascita. Tuttavia qui, ciò avviene maggiormente, perché i nostri detenuti aspettano il momento del confronto con la Croce di Cristo. Attraverso di essa, passa il loro percorso di vita. Rendono alla Croce quello che è stato il male fatto e loro assumono il peso della Croce. Solo in quel momento si rendono conto di quello che è il passaggio della loro vita: da una vita di delinquenza, di male, ad una vita nuova. È quindi, una rinascita a nuova vita, a risorsa per la società”.

L’emozione e la commozione nella testimonianza di Claudio, uno dei ragazzi del Centro San Lorenzo che ha consegnato la Croce ai detenuti prima della liturgia:

“È stata una gioia, una grande gioia! Un’emozione talmente forte che mi riempie veramente il cuore di gioia. Portare la Croce qui, nel carcere di Paliano, è stato un motivo per dare ai detenuti qualcosa in cui credere. È stato davvero emozionante non solo per loro, ma anche per tutti noi del Centro San Lorenzo, perché vogliamo dare ai detenuti un’occasione di crescita”.

Alla vigilia del Giubileo della Misericordia, eventi come questi assumono un significato straordinario. Ne è convinto Don Bartolo Calderone, Missionario del Preziosissimo Sangue, che ha accompagnato gli ospiti durante la riflessione, proponendo loro alcuni brani del Vangelo:

“La Croce è il segno della misericordia di Dio, il segno di una misericordia che non conosce confini, che scende sin nelle profondità del male per recuperarlo al bene. Nella nostra vita, nella nostra storia, noi pensiamo che la vittoria sia dei crocifissori; invece sono i crocifissi quelli che vincono il mondo. E lo vincono quando entrano, insieme con Gesù, nel percorso della loro Via Crucis. Quando ci abbandoniamo anche noi, con la nostra personale croce alla Croce di Cristo, è Lui che la porta, è Lui che la redime, è Lui che ci salva”.

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Ristampato il "De Divina Proportione" di Luca Pacioli

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Il pensiero rinascimentale della natura divina della geometria, dell’armonia inscritta nel disegno del Creatore emerge dal celebre manoscritto De Divina Proportione di Luca Pacioli, frate francescano del XV secolo, illustrato da Leonardo. Il pregiato volume, di cui esistono solo due esemplari conservati a Milano e Ginevra, è stato ora riprodotto in un facsimile da collezione da Aboca. A presentare l’iniziativa alla Pontificia Università Lateranense c’era, tra gli altri, don Andrea Lonardo, direttore dell’ufficio catechistico della diocesi di Roma. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

Luca Pacioli, Leonardo e l'armonia del creato
R. – Luca Pacioli, che era un frate francescano, insieme all’umanesimo condivideva l’idea che ci fosse una proporzione, un’armonia nel mondo. Uno dei versetti più citati nel volume è Sapienza 11,20, dove si dice che Dio ha fatto ogni cosa con misura, proporzione, ordine… E quindi il suo è il tentativo di cercare Dio nella bellezza delle cose, anche nella matematica. Leonardo e Pacioli hanno vissuto insieme per ben cinque anni, viaggiando, spostandosi di corte in corte insieme – un frate e il grande pittore – e si scambiavano informazioni … Ci sono nel libro le illustrazioni leonardesche dei 59 poliedri che sono delle costruzioni che cercano di immaginare una forma geometrica che sta dietro alle cose; c’è un alfabeto scritto su forme geometriche … dietro c’è proprio quest’idea dell’ordine, dell’armonia, della pace, della bellezza di ciò che esiste.

Luca Pacioli e l'armonia nell'economia
D. – Chi era Luca Pacioli?

R. – Luca Pacioli è originario di San Sepolcro, amico di Piero della Francesca fin da giovanissimo, poi diventa un famosissimo matematico-geometra; fa parte di quel gruppo francescano che Francesco incoraggiò dando a Antonio da Padova il permesso di studiare: evangelizzavano anche tramite la cultura. Per esempio – e questo è interessante – Pacioli si occupa di economia e siamo proprio negli anni in cui nascono i “banchi di pietà”.  A differenza di quello che pensava Max Weber, che la finanza onesta nasce con Calvino, in realtà gli studiosi moderni come Todeschini dimostrano che essa nasce con il francescanesimo. Francesco non usa il denaro, ma sa che la città ha bisogno del denaro e quindi i suoi frati forniscono delle regole: cercano di dire che il denaro va usato con giustizia, che chi lo rischia ha diritto a guadagnare qualcosa ma non può guadagnare più di tanto perché se no impoverisce l’altra persona. E quindi, ecco che vediamo Pacioli addirittura occuparsi di economia: insegna l’armonia nell’economia, la giustizia nell’economia così come nell’arte, nell’architettura e così via.

Un testo ancora attuale
D. – L’armonia, la proporzione sono concetti che emergono in tutta la produzione artistica e letteraria di quest’epoca, del Quattrocento. Sono attuali, oggi? Parlare di armonia, concetto inserito nel disegno del Creatore, di Dio, è attuale anche per i nostri giorni?

R. – Lo è assolutamente. Pensiamo all’uomo vitruviano di Leonardo: è l’idea che bisogna disegnare l’uomo bello, le sue proporzioni, la distanza fra le due mani distese, l’altezza, la grandezza del piede, eccetera, dicono che c’è un’armonia, che c’è una bellezza. Quello che la realtà umanistica dimentica è l’esistenza del peccato: ci sarà poi il dramma della riforma che mostrerà che insieme alla bellezza c’è anche un vulnus, c’è una ferita che è entrata. Però, di sicuro un libro come questo – così come l’opera di Leonardo – ci ricorda che la cultura non può essere finalizzata solo a soluzioni concrete. Oggi nella riforma della scuola si parla molto del “problem solving”, cioè secondo alcuni autori sembrerebbe quasi che la scuola debba solo preparare future persone nel mondo del lavoro: manager, professionisti, operai e così via. Ma questa è la fine della scuola: la scuola deve aprire il cuore a cose belle, a cose vere, a cose giuste, a cose di carità. Ecco, vedendo le opere di questo autore, si vede che questa armonia non è immediatamente finalizzata a un risultato concreto, altrimenti si svilisce tutta la funzione della cultura che libera l’uomo, lo fa crescere, come insegna anche Papa Francesco.

Umanesimo integrale da riproporre anche ai nostri giorni
D. – Parlare di armonia in un contesto culturale dove spesso si tenta di decostruire il concetto di umano, cosa vuol dire? E' una sfida per i nostri giorni?

R. – Questa visione dell’uomo è necessaria oggi dove noi vediamo solo il frammentario, vediamo solo il frammento, perdiamo la visione d’insieme. E’ l’uomo nella sua dignità, nella sua libertà, nella sua carità, nel suo bisogno di cercare Dio, che è importante; l’umanesimo ci presenta una visione nella quale è l’uomo come creatura di Dio che dev’essere accolto, amato ed è prezioso così com’è.

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Nella Chiesa e nel mondo



Burundi: ucciso un leader dell’opposizione

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Sempre alta la tensione in Burundi dove proseguono le manifestazioni contro il presidente Nkurunziza, al potere dal 2005 e candidato per un terzo mandato alle elezioni di giugno. Ieri sera il leader di un piccolo partito d’opposizione è stato ucciso durante un agguato avvenuto nella capitale Bujumbura. A perdere la vita anche una delle sue guardie del corpo. In seguito all’episodio, gli esponenti della protesta antigovernativa hanno dichiarato la sospensione di qualsiasi forma di dialogo annunciando la ripresa “vigorosa” delle dimostrazioni a partire da domattina. (E.B.)

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Siria: Is ha ucciso almeno 40 civili a Palmira

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I miliziani del sedicente Stato Islamico (Is) hanno ucciso almeno 400 civili a Palmira, in gran parte donne e bambini. E' la denuncia della Tv di Stato siriana dopo la conquista della città da parte dei jihadisti, che hanno issato la bandiera nera sulle rovine del parco archeologico, patrimonio dell'Unesco. Intanto, l'esercito siriano ha effettuato alcuni raid aerei nella provincia di Idlib, uccidendo almeno 300 insorti. Obiettivo dell’operazione, la liberazione di decine di soldati assediati in un ospedale da aprile scorso. (E.B.)

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L'Italia ricorda i caduti nella Grande Guerra

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Il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, stamattina ha deposto una corona di fiori all’Altare della Patria a Roma in occasione del centenario dell’entrata del Paese nella Prima Guerra Mondiale, ricordato anche dal Papa al Regina Coeli. Nelle prossime ore il Capo dello Stato sarà a Trieste per partecipare alle iniziative organizzate dallo Stato Maggiore dell’esercito per commemorare il sacrificio di 650 mila caduti militari e di circa 600 mila morti tra i civili. In loro memoria, raccogliendo l’invito del Governo, il Paese si ferma con un minuto di raccoglimento osservato alle ore 15 dalle istituzioni, dalla società civile e dal mondo dello sport. Ai piedi dei monumenti ai caduti di 24 città e di altri mausolei sparsi sul territorio nazionale - su proposta del ministero della Difesa e del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca - gli studenti delle scuole primarie porteranno come omaggio alle vittime una stella alpina realizzata con la carta, simbolo della Grande Guerra combattuta tra le montagne. (E. B.)

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Chiese inglesi unite contro persecuzione cristiani nel mondo

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I presidenti delle Chiese unite di Inghilterra, organismo ecumenico che raccoglie cattolici, ortodossi, anglicani, luterani, pentecostali ed altre denominazioni, hanno siglato una dichiarazione congiunta contro la persecuzione dei cristiani nel mondo. Nel documento, intitolato “I martiri cristiani contemporanei”, i firmatari esprimono “profondo dolore di fronte all’allarmante incremento di violenze ed uccisioni contro i cristiani in molte parti del mondo”, tra cui “Iraq, Iran, Egitto, India, Pakistan ed Indonesia”.

Libertà religiosa è un diritto fondamentale
Di qui, l’appello congiunto a “tutte le persone di buona volontà affinché promuovano il rispetto e la santità della vita e la crescita di ogni essere umano”. Le Chiese unite di Inghilterra ribadiscono, poi, “il diritto fondamentale, donato da Dio, di poter praticare liberamente la propria fede ed il proprio credo”, esortando alla “coesistenza pacifica delle diverse comunità in ogni parte del mondo”.

In ricordo di mons. Romero: la sua morte non sia vana
Infine, ricordando la figura di mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador ucciso in odio alla fede nel 1980 e beatificato sabato 23 maggio, i firmatari auspicano che “la sua morte, così come quella di altri martiri cristiani, non sia avvenuta invano” e che “la pace di Dio regni nei cuori degli uomini”. La dichiarazione congiunta è stata firmata, tra gli altri, dall’arcivescovo di Westminster, il cardinale cattolico Vincent Nichols, dall’arcivescovo di Canterbury, l’anglicano Justin Welby, e dall’arcivescovo di Thyateira e Gran Bretagna, l’ortodosso Gregorio. (I.P.)

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Australia: nuova Commissione episcopale su famiglia e vita

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La Conferenza episcopale australiana (Acbc) ha una nuova Commissione: si tratta di un organismo dedicato ai temi ed alla cura della famiglia, dei giovani e della vita e deriva dalla scissione della già esistente Commissione per la vita pastorale. La nuova struttura, spiega in una nota mons. Denis Hart, presidente dei vescovi australiani, si pone l’obiettivo di “riflettere sulla sempre maggiore importanza che la Chiesa dà ai giovani, alla tutela del matrimonio ed alla difesa della vita, in ogni sua fase”.

Rispondere alle principali sfide della Chiesa
A presiedere il nuovo organismo sarà mons. Anthony Fisher, arcivescovo di Sydney, il quale sottolinea: “Attualmente, alcune delle principali sfide per la Chiesa e per l’intera comunità riguardano i temi del matrimonio, della famiglia, della vita e dell’impegno con i giovani ed è per questo che è stata creata una Commissione apposita”. “Papa Francesco – continua il presule – ha dato particolare attenzione a questi temi, evidenziata anche dall’indizione di due Sinodi sulla famiglia e dai numerosi richiami alla difesa degli emarginati, come i nascituri, gli anziani ed i rifugiati”. Allo stesso tempo, mons. Terry Brady, vescovo ausiliare di Sydney, è diventato presidente della già esistente Commissione per la vita pastorale, la quale sarà responsabile della difesa dei diritti di migranti e rifugiati, insieme alla cura pastorale di detenuti e disabili.

Riflessione particolare sul Sinodo per la famiglia
La ristrutturazione degli organismi episcopali è avvenuta nel corso della Plenaria dell’Acbc, svoltasi tra il 7 ed il 14 maggio. Tra i temi esaminati dai vescovi, anche la preparazione al prossimo Sinodo generale ordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre: in particolare, i vescovi hanno riflettuto sulla questione del matrimonio e del divorzio, prendendo spunto dalle risposte al questionario inviato dalla Segreteria generale del Sinodo a tutte le Chiese particolari.

Giubileo Misericordia e Medio Oriente, priorità dei vescovi
Altro argomento in esame, il Giubileo straordinario della Misericordia, indetto da Papa Francesco lo scorso 11 aprile ed in programma dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016. A tal proposito, accogliendo l’invito del Pontefice, i vescovi australiani hanno riflettuto su come attuare la possibilità di aprire una Porta Santa in ogni diocesi. Inoltre, i presuli hanno affrontato la situazione mediorientale, discutendo sulla possibilità di creare una commissione congiunta tra la Chiesa australiana e le Chiese del Medio Oriente. Infine, è stata ribadita la necessità di mantenere una costante ed accurata attenzione mediatica sulla regione, affinché i suoi drammi non vengano dimenticati. (I.P.)

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Malawi. Vescovi: Stato dia priorità a vittime alluvioni

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Il bilancio statale del Malawi dia priorità alle vittime delle alluvioni: è quanto ha chiesto padre Emmanuel Chimombo, segretario generale facente funzioni della Commissione episcopale Giustizia e pace del Paese africano, durante un incontro con i parlamentari cattolici, in vista dell’esame del bilancio statale 2015-2016. “Vi esortiamo - ha detto il sacerdote, citato dall’agenzia Fides - a prendere in considerazione la grave situazione di coloro che sono stati colpiti dalle inondazioni e dalla siccità. Attraverso l’attuale analisi del bilancio, potrete aiutare le persone colpite, così che possano rimettere in sesto le loro vite”. In particolare, ha aggiunto padre Chimombo, è importante “rafforzare nella popolazione la capacità di produrre cibo, fornendole le risorse necessarie ad integrare il raccolto invernale”.

Paese in ginocchio, manca 30 per cento del cibo necessario
Le alluvioni dello scorso gennaio, durate circa due settimane, hanno provocato 275 morti e costretto allo sfollamento più di 230mila persone in 15 dei 28 distretti del Malawi. A causa delle inondazioni, oltre 64mila ettari di terra coltivabile sono stati devastati, in un Paese in cui l’agricoltura rappresenta il 30 per cento del prodotto interno lordo. Non solo: successivamente,  la siccità ha distrutto i raccolti al punto che ora manca il 30 per cento del cibo necessario. Per questo, la Commissione episcopale Giustizia e Pace chiede che il budget statale sia finalizzato alla realizzazione di piani di recupero a medio e lungo termine, e non limitati alla sola fase di emergenza.

Le iniziative della Chiesa in favore dei bambini più bisognosi
Dal suo canto, la Chiesa cattolica non resta a guardare e sono numerose le iniziative avviate per sostenere la popolazione: tra queste, il gruppo di volontariato “S.O.S. Infanzia Negata”, nato nel 2004 e dal 2008 coinvolto in progetti di sviluppo nel Paese africano, in particolare nella diocesi di Dedza. “Ad attirare la nostra attenzione - spiega don Alfonso Raimo, presidente dell’associazione - è stata la condizione deplorevole dei bambini. Abbiamo deciso, così, di dare vita al ‘Progetto Malawi’ per far fronte ad un’emergenza, sanitaria e scolastica, dei bambini colpiti dall’Aids o rimasti orfani a causa del virus”.

Allarme per Aids, malaria e colera
“Il Progetto - continua il sacerdote - è stato concepito in collaborazione con la Commissione per la salute della diocesi di Dedza, e prevede diverse iniziative in favore dei bambini poveri e ammalati, assistiti nei centri medici diocesani” e che devono combattere con “la mancanza di cibo ed acqua potabile, la malaria, il colera ed altre malattie endemiche”. Per questo, la diocesi di Dedza garantisce l’assistenza sanitaria attraverso alcuni presidi medici dislocati su tutto il territorio.

In corso il progetto diocesano “Villaggio del sole”
Attualmente, spiega ancora padre Raimo, “è in corso un progetto che prevede la costruzione del ‘Villaggio del sole’ che ospiterà e curerà i bambini più bisognosi dai 2 ai 6 anni. È stato pensato come un centro di assistenza ed accompagnamento diurno, con possibilità di residenza, nel quale offrire ai minori particolarmente bisognosi assistenza sanitaria, nutrimento e stimoli didattici, senza sradicarli dai contesti di origine”. Ma è necessario “muoversi in fretta - conclude il sacerdote - perché le devastanti alluvioni che colpiscono periodicamente il Malawi continuano a mietere vittime”. (I.P.)

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Spagna, vescovi: Eucaristia è antidoto all’indifferenza

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La “globalizzazione dell’indifferenza”, che Papa Francesco definisce come il grande male del nostro tempo, è il punto di partenza del messaggio della Commissione episcopale della Pastorale sociale spagnola, in occasione della solennità del Corpus Domini, che si celebra domenica 7 giugno. La dolorosa realtà di povertà, di violenza, di abbandono e di ingiustizia nella quale vivono milioni di persone nel mondo “ha bisogno di una trasformazione dei cuori”, affermano i vescovi che invitano a contemplare, celebrare e adorare Gesù Crocifisso nel sacramento dell’Eucaristia come mezzo efficace per sconfiggere e superare l’indifferenza.

Eucaristia può trasformare cuore dei credenti
“L’eucaristia ha il potere di trasformare il cuore dei credenti e rendere possibile il passaggio dalla globalizzazione dell’indifferenza alla globalizzazione della carità”, si legge nella nota. I presuli iberici ricordano, poi, che entrare in comunione con i sentimenti di Cristo morto e risorto apre la mente ed allarga il cuore, così che si possano accogliere i fratelli, specialmente i più bisognosi ed emarginati. In questo senso, il testo ricorda le parole di Benedetto XVI che ha definito l’eucaristia come “una specie di antidoto” all’individualismo.

No all’indifferenza
Di fronte alla moltitudine di fratelli che soffre, i vescovi invitano i fedeli a non restare indifferenti davanti alla morte violenta di migliaia di cristiani in diverse parti del mondo ed alle migliaia di migranti che si accalcano alle frontiere europee per fuggire da guerre, fame e violenze, alla ricerca di condizioni di vita migliori e del rispetto della loro dignità. Quindi, la Chiesa di Madrid chiama a collaborare tanti cristiani e non cristiani che, nonostante la corruzione e le difficoltà quotidiane, agiscono con onestà e lavorano per la giustizia e la solidarietà; l’esortazione è a non restare indifferenti davanti alla povertà ed alla fame nel mondo, soprattutto perché l’umanità dispone delle risorse e dei mezzi per sconfiggerle, come propone la campagna lanciata nei mesi scorsi della Caritas Internationalis ed intitolata “Una sola famiglia, cibo per tutti”.

Donare se stessi agli altri per rompere circolo vizioso dell’individualismo
Inoltre, il messaggio episcopale esorta i fedeli a non dimenticare le migliaia di persone e di famiglie che in Spagna non trovano lavoro, vivono in situazioni di precarietà e disperazione o sono oggetto della tratta di esseri umani, in particolare le donne costrette alla prostituzione, che costituisce la nuova schiavitù del XXI secolo. “Di fronte alle proposte culturali e sociali di oggi che generano tanta emarginazione e sofferenza, siamo chiamati a lasciarci coinvolgere dalla realtà e dalla situazione sociale dei nostri fratelli che soffrono” prosegue il documento, che poi invita a “rompere con urgenza il circolo vizioso che isola e porta all’individualismo e che rende difficile la crescita del cuore nell’amore e nella misericordia”. “La chiave per uscire dall’indifferenza - concludono i vescovi spagnoli - è la donazione di se stessi agli altri, all’insegna di Gesù”. (A.T.)

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Gmg Cracovia 2016: intesa Chiesa e media cattolici polacchi

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Manca poco più di un anno alla Giornata mondiale della Gioventù in programma a Cracovia, in Polonia, dal 26 al 31 luglio 2016. Ma l’attenzione mediatica per l’evento è già molto alta: recentemente, infatti, il cardinale Stanislao Dziwisz, arcivescovo metropolita di Cracovia, ed il presidente dell’Agenzia cattolica di informazioni polacca (Kai), Marcin Przeciszewski, hanno firmato una lettera di intenti riguardo alla collaborazione reciproca nel servizio di copertura mediatica non solo della Gmg stessa, ma anche del percorso di preparazione.

Mostrare al mondo la gioia dei giovani nel condividere la fede
“Le Giornate mondiali della gioventù offrono la possibilità di accentuare la presenza della Chiesa nei media, per mostrare al mondo come i giovani gioiscano della propria fede”, si legge nella lettera, mentre mons. Damian Muskus, coordinatore generale del Comitato organizzatore della Gmg afferma: “Desideriamo indirizzare l'impegno ed il coinvolgimento dei media laici verso l'approfondimento della conoscenza della Giornata, di questo incredibile incontro dei giovani che si riuniscono intorno al Papa per sperimentare insieme a lui la gioia di condividere la fede”.

Ridestare nei media un senso di responsabilità
“L'esperienza di questa Gmg per i giovani di tutto il mondo - spiega mons. Muskus - dipende in gran parte da come sarà formulato il messaggio, sia nel campo informativo, sia nelle attività di carattere pastorale e formativo”. Infatti, “tutti viviamo in una realtà segnata dai media e forse la Gmg contribuirà a ridestare nei giornalisti quel senso di responsabilità che ci si aspetta da loro”.

Un evento senza precedenti per la Polonia
Dal suo canto, il presidente della Kai sostiene: “Ci adopereremo per ottenere un servizio stampa infallibile a livello mondiale, fornendo strutture adeguate nei diversi luoghi in cui sarà presente il Santo Padre e in cui si riuniranno i giovani”. “Riteniamo che la Gmg sia un’occasione straordinaria per la Chiesa in Polonia, ma anche per tutti i polacchi - continua -  poiché è un evento senza precedenti per il Paese”.

Sarà la prima Gmg dopo la canonizzazione di Giovanni Paolo II
Incentrata sul motto “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7), la Gmg di Cracovia sarà preceduta dalle cosiddette “Giornate nelle Diocesi”, che si svolgeranno dal 20 al 25 luglio in diversi luoghi della Polonia. Papa Francesco è atteso dal 28 al 31 luglio. Da ricordare, infine, che la prossima Gmg sarà la prima ad essere celebrata, a livello mondiale, dopo la canonizzazione di Papa Giovanni Paolo II, ideatore dell’iniziativa nel lontano 1985. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 144

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.