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Sommario del 23/05/2015
- Il Papa alle Acli: non sacrificare il lavoro dei giovani al "dio-denaro"
- Papa: nel mondo, possa manifestarsi pienamente genio femminile
- Tweet Papa: “Invochiamo lo Spirito Santo tutti i giorni”
- Altre udienze e nomine episcopali di Papa Francesco
- Beatificazione Romero. Rosa Chavez: grande gioia per evento tanto atteso
- Card. Lacunza: finite strumentalizzazioni Romero, uomo del Vangelo
- In Kenya la Beatificazione di suor Irene Stefani, la "madre misericordiosa"
- Card. Sandri: uniti in preghiera per p. Mourad e cristiani perseguitati
- Veglia nuovi martiri. Forte: loro testimonianza è una grazia
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- L'Is avanza in Siria e Iraq. I jihadisti: compreremo atomica
- Migranti del Bengala e Rohingya: Onu, salvare vite umane
- Al via a Milano la settimana del commercio equo e solidale
- Mattarella a Palermo: la mafia può essere sconfitta
- Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
- Mons. Martin: guardare a Romero, modello di santità
- Da Caritas Svizzera aiuti per vittime del terremoto in Nepal
- Filippine. Nuova evangelizzazione, conferenza sui poveri
- Senegal: al via 127.mo pellegrinaggio di Popenguine
- Vescovi Belgio e Usa: appello per mondo senza armi nucleari
- Il 31 maggio, Giornata della Chiesa diocesana di Lisbona
Il Papa alle Acli: non sacrificare il lavoro dei giovani al "dio-denaro"
Non si può permettere che le diseguaglianze abbiano tale ampiezza e tale velocità di riproduzione. Papa Francesco accoglie in Aula Paolo VI il mondo delle Acli, le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, nel 70.mo della loro nascita, per dire che oggi nel mondo globale non sono cambiati i problemi, quanto la loro dimensione e la loro urgenza. E a questo, dice, bisogna rispondere con alternative eque, solidali e realmente praticabili. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
L'estendersi della precarietà, del lavoro nero e del ricatto malavitoso fa sperimentare, soprattutto tra le giovani generazioni, che la mancanza del lavoro toglie dignità, impedisce la pienezza della vita umana e reclama una risposta sollecita e vigorosa.
Non sacrificare il lavoro dei giovani al "dio-denaro"
Alza lo sguardo dal foglio il Papa per denunciare con forza, ancora una volta, ciò contro il quale bisogna lottare: un sistema economico mondiale dove al centro non sono l’uomo o la donna:
"… è un dio, il dio-denaro. E’ quello che comanda! E questo dio-denaro distrugge e provoca quella cultura dello scarto: si scartano i bambini, perché non si fanno: si sfruttano o si uccidono prima di nascere; si scartano gli anziani, perché non hanno la cura dignitosa, non hanno le medicine, hanno pensioni miserabili … E adesso, si scartano i giovani! Ma pensate, in questa terra tanto generosa, pensate a quel 40% - un po’ di più! – di giovani dai 25 anni in giù che non hanno lavoro: sono materiale di scarto, ma anche sono il sacrificio che questa società, mondana e egoista, offre al dio-denaro, che è al centro del nostro sistema economico mondiale".
Lavoro sia libero, creativo e partecipativo
Sin dall’inizio del suo Pontificato, Francesco ha ribadito come la dignità della persona passi attraverso il lavoro, “lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale” così come indicato nella sua Evangelii Gadium. Attraverso il lavoro l’uomo esprime ed accresce “la dignità della propria vita”.
Lavoro libero significa “che l’uomo, proseguendo l’opera del Creatore, fa sì che il mondo ritrovi il suo fine: essere opera di Dio che, nel lavoro compiuto, incarna e prolunga l’immagine della sua presenza nella creazione e nella storia dell’uomo”.
"Troppo spesso, invece, il lavoro è succube di oppressioni a diversi livelli: dell’uomo sull’altro uomo; di nuove organizzazioni schiavistiche che opprimono i più poveri; in particolare, molti bambini e molte donne subiscono un’economia che obbliga a un lavoro indegno che contraddice la creazione nella sua bellezza e nella sua armonia. Dobbiamo far sì che il lavoro non sia strumento di alienazione, ma di speranza e di vita nuova".
Non tarpare le ali ai giovani, hanno tanto da dare
Il lavoro creativo nasce dal fatto che “ogni uomo porta in sé una originale e unica capacità di trarre da sé e dalle persone che lavorano con lui il bene che Dio gli ha posto nel cuore”. Ciò avviene però quando l’uomo riesce ad esprimere “in libertà e creatività alcune forme di impresa, di lavoro collaborativo svolto in comunità che consentano a lui e ad altre persone un pieno sviluppo economico e sociale”.
"Non possiamo tarpare le ali a quanti, in particolare giovani, hanno tanto da dare con la loro intelligenza e capacità; essi vanno liberati dai pesi che li opprimono e impediscono loro di entrare a pieno diritto e quanto prima nel mondo del lavoro".
Il lavoro partecipativo chiede che l’uomo, “per poter incidere nella realtà”, esprima il lavoro “secondo la logica che più gli è propria, quella relazionale, cioè vedere sempre nel fine del lavoro il volto dell’altro e la collaborazione responsabile con altre persone”.
"Lì dove, a causa di una visione economicistica, si pensa all’uomo in chiave egoistica e agli altri come mezzi e non come fini, il lavoro perde il suo senso primario di continuazione dell’opera di Dio, opera destinata a tutta l’umanità, perché tutti possano beneficiarne".
Solidarietà verso chi ha perso il lavoro
Infine, il lavoro solidale. Ogni giorno si incontra chi ha perso il lavoro, o chi è in cerca di occupazione, “persone che vogliono portare a casa il pane per la loro famiglia”. E a loro bisogna dare una risposta:
"In primo luogo, è doveroso offrire la propria vicinanza, la propria solidarietà. I tanti “circoli” delle Acli, che oggi sono da voi qui rappresentati, possono essere luoghi di accoglienza e di incontro. Ma poi bisogna anche dare strumenti ed opportunità adeguate. E’ necessario l’impegno della vostra Associazione e dei vostri Servizi per contribuire ad offrire queste opportunità di lavoro e nuovi percorsi di impiego e di professionalità".
Libertà, creatività, partecipazione e solidarietà, sono caratteristiche che “fanno parte della storia delle Acli” che oggi sono chiamate a metterle in campo, senza risparmiarsi e “a servizio di una vita dignitosa per tutti”.
"E anche per motivare questo atteggiamento, pensate ai bambini sfruttati, scartati; pensate agli anziani scartati, che hanno una pensione minima e non sono curati; e pensate ai giovani scartati dal lavoro: e cosa fanno? Non sanno cosa fare e sono in pericolo di cadere nelle dipendenze, cadere nella malavita o andarsene a cercare orizzonti di guerra, come mercenari. E questo fa, la mancanza di lavoro!"
Francesco si richiama alla “presenza fuori d’Italia” delle Acli che, avviata in occasione dell’emigrazione italiana, oggi riveste ancora un “valore molto attuale”.
"Oggi molti giovani si spostano per cercare un lavoro adeguato ai propri studi o per vivere un’esperienza diversa di professionalità: vi incoraggio ad accoglierli, a sostenerli nel loro percorso, ad offrire il vostro supporto per il loro inserimento. Nei loro occhi potete trovare un riflesso dello sguardo dei vostri padri o dei vostri nonni che andarono lontano per lavorare. Possiate essere per loro un buon punto di riferimento".
Impegnarsi contro impoverimento dei ceti medi italiani
Le Acli, prosegue, sono impegnate nei temi della “lotta alla povertà” e dell’“impoverimento dei ceti medi”. La società tutta, spiega il Papa, può beneficiare “di un sostegno non solo economico alle persone al di sotto della soglia di povertà assoluta, che anche in Italia sono aumentate negli ultimi anni”, inoltre va evitato che “nella povertà scivolino coloro che fino a ieri vivevano una vita dignitosa”:
"Noi, nelle parrocchie, nelle Caritas parrocchiali, vediamo questo tutti i giorni: uomini o donne che si avvicinano un po’ di nascosto per prendere il cibo da mangiare … un po’ di nascosto perché sono diventati poveri da un mese all’altro. E hanno vergogna. E questo succede, succede, succede … Fino a ieri vivevano una vita dignitosa …"
“Basta un niente oggi per diventare poveri – ripete il Papa – la perdita del lavoro, un anziano non più autosufficiente, una malattia in famiglia, persino - pensate il terribile paradosso - la nascita di un figlio”. “E’ una importante battaglia culturale, quella di considerare il welfare una infrastruttura dello sviluppo e non un costo. Voi potete fare da coordinamento e da motore dell’“Alleanza nuova contro la povertà”, che si propone di sviluppare un piano nazionale per il lavoro decente e dignitoso".
Alle Acli, Francesco chiede che il loro impegno “abbia sempre il suo principio e il suo collante” nell’ispirazione cristiana, e si congeda riassumendo le loro tre fedeltà storiche, ai lavoratori, alla democrazia, alla Chiesa, in una sola e unica fedeltà: quella ai poveri.
Papa: nel mondo, possa manifestarsi pienamente genio femminile
Il genio femminile “possa manifestarsi pienamente”, perché Dio ha “arricchito” la donna di “doni incommensurabili”, facendola capace di ricomporre conflitti, sanare ferite, tenere unite le persone. È l’auspicio di Papa Francesco nel messaggio indirizzato al cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace che ha organizzato la conferenza internazionale sul tema “Donne verso l’agenda per lo sviluppo post-2015: quali sfide dagli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs)”? L’evento, a Roma fino a domani, è stato realizzato assieme alla World Union of Women’s Catholic Organisations e alla World Women’s Alliance for Life and Family e segue la Conferenza Internazionale del 2009 su “Vita, famiglia, sviluppo: il ruolo delle donne nella promozione dei diritti umani”. Il servizio di Giada Aquilino:
Difesa vita da concepimento a termine naturale
Difendendo il diritto alla vita, facciamo in modo che ogni “vita - dal concepimento al suo termine naturale - possa essere” dignitosa e libera da “piaghe” quali fame, povertà, violenza e persecuzione. Lo scrive Papa Francesco al cardinale Turkson, sottolineando come la Conferenza in corso a Roma metta in evidenza le “istanze promosse dall’universo cattolico femminile nei processi internazionali” in preparazione alla nuova agenda Onu per lo sviluppo post-2015. Le questioni legate alla vita, ricorda ripercorrendo l’Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, sono “intrinsecamente connesse a quelle sociali”.
Sfide e problemi delle donne nel mondo
Oggi, annota Francesco, le donne si trovano ad affrontare sfide e problematiche differenti. Nel mondo occidentale “subiscono ancora, a volte, discriminazioni in campo lavorativo”; spesso sono “forzate a scegliere tra lavoro e famiglia”; la loro vita di fidanzate, mogli, madri, sorelle, nonne “non di rado conosce purtroppo la violenza”. Nei Paesi in via di sviluppo e in quelli più poveri, prosegue, le donne portano “sulle spalle il peso maggiore”: percorrono chilometri in cerca di acqua, muoiono “nel dare alla luce un figlio”, vengono “rapite a fini di sfruttamento sessuale” o forzate a sposarsi in età troppo giovane o contro la loro volontà, a volte “viene addirittura loro negato il diritto alla vita solo perché di sesso femminile”.
Possa manifestarsi genio femminile
Eppure Dio, rimarca il Papa, ha “arricchito” la donna di “doni incommensurabili”, “facendola capace di comprensione e di dialogo per ricomporre i conflitti grandi e piccoli”, di sensibilità per “sanare le ferite e prendersi cura di ogni vita, anche a livello sociale”, e di misericordia e tenerezza “per tenere unite le persone”. Questi aspetti, insieme ad altri, precisa Francesco, “fanno parte di quel ‘genio femminile’ che è necessario possa manifestarsi pienamente”, a beneficio della società. L’auspicio del Papa per quanti “impegnati nella difesa della dignità delle donne e nella promozione dei loro diritti” è a lasciarsi “guidare dallo spirito di umanità e di compassione nel servizio al prossimo”. La competenza professionale, conclude, sia la “prima fondamentale qualità”, ma “senza individualismo” né “mero attivismo”, bensì con impegno generoso.
Tweet Papa: “Invochiamo lo Spirito Santo tutti i giorni”
“Invochiamo lo Spirito Santo tutti i giorni: Egli ci guida sulla strada dei discepoli di Cristo”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex seguito da oltre 20 milioni di follower.
Altre udienze e nomine episcopali di Papa Francesco
Francesco ha ricevuto oggi in udienza il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; il signor Boyko Borissov, presidente del Consiglio dei Ministri di Bulgaria, e seguito; il Signor Nikola Gruevski, presidente del Governo della ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, con la consorte, e seguito
In Italia, il Papa ha nominato vescovo di Ariano Irpino-Lacedonia mons. Sergio Melillo, finora vicario generale della diocesi di Avellino.
Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Pakistan mons. Ghaleb Bader, finora arcivescovo di Alger, assegnandogli in pari tempo la sede titolare di Matara di Numidia, in qualità di arcivescovo.
Beatificazione Romero. Rosa Chavez: grande gioia per evento tanto atteso
Grande attesa in tutta l'America Latina per la Beatificazione di mons. Oscar Romero: si prevedono circa trecentomila persone a San Salvador e numerosi capi di Stato, per la cerimonia, alle 18 ora italiana, presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della congregazione delle Cause dei Santi, rappresentante del Papa. L’arcivescovo Romero, ucciso in odium fidei nel 1980 dagli "squadroni della morte" legati al governo militare dell’epoca, fu messo a tacere per le sue continue denunce contro le violenze del regime. Non un rivoluzionario, ma un uomo di Chiesa, del Vangelo e, quindi, "dei poveri", come ci ricorda il servizio di Roberta Barbi:
“Yo quisiera hacer un llamento de manera especial a los hombres del ejercito…”
“Io vorrei rivolgere un appello in modo speciale agli uomini dell’esercito, in concreto alle basi della guardia nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli, siete del nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli contadini! E prima di un ordine di uccidere che dia un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: ‘Non uccidere’. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che è contro la legge di Dio. A una legge immorale nessuno è tenuto a obbedire”!
Risuonano come macigni le ultime parole di Oscar Romero, pronunciate nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza quell’ultimo 24 marzo 1980. Dopo l’omelia ecco l’offertorio, con il calice che si eleva al cielo e il proiettile che sibila e uccide quel vescovo che aveva messo i poveri al centro del suo ministero, perché così dice Gesù. Era conosciuto come "sacerdote conservatore"; da pastore non poté tacere davanti allo sfruttamento delle sue pecore e inizia a prendere posizione contro i quotidiani crimini degli "squadroni della morte" al servizio della dittatura. Verrà accusato di incitare alla lotta di classe e alla rivoluzione, ma è solo al Vangelo che si ancora, è la Parola che nella sua vita diventa atto concreto, giorno dopo giorno. Non aveva la vocazione del martire, ma scelse di non evitare di rischiare la propria vita: “Se mi uccideranno – diceva – risorgerò nel popolo salvadoregno”, perché chi evita il pericolo, in qualche modo la vita l’ha già persa. Il giorno prima della morte, l’ultima, accorata omelia in cattedrale:
“En nombre de Dios, pues, en nombre de este sufrido pueblo…”
“In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: basta con la repressione!”.
Da oggi sarà un’altra brillante stella nel firmamento spirituale sudamericano e da lassù continuerà a vegliare sul suo amato popolo.
Dell’atmosfera di attesa che si respira nel Paese, ha parlato al microfono di Francesca Sabatinelli il vescovo ausiliare di San Salvador, mons. Gregorio Rosa Chavez, grande amico di Romero:
R. – C’è una frase che si sente un po’ dappertutto e che dice: “Abbiamo un prima e un dopo la Beatificazione di Romero”. Questa frase mi pare sia una sintesi molto bella dell’aspettativa che il nostro popolo ha nel suo cuore. Pensiamo che molte siano le cose che debbano cambiare qui da noi e crediamo che con Romero sia ora possibile!
D. – Adesso le persone sperano che con questo passaggio importante il Paese possa prendere un’altra strada?
R. – Ci sono due cose. La prima: noi siamo un Paese molto polarizzato, quindi metà e metà. Dunque bisogna andare avanti e diventare un popolo unito nella verità, nella giustizia, nell’amore e nella pace. Questo è il primo miracolo che noi chiediamo a mons. Romero. Il secondo miracolo che noi chiediamo è quello di vincere la violenza. E’ una cosa terribile qui la violenza. Ogni giorno abbiamo molte persone uccise. Questo è terribile! Questi sono i due miracoli più importanti secondo i desideri del popolo. Dobbiamo andare avanti, perché queste cose devono cambiare. C’è poi un terzo elemento, perché vediamo una specie di terremoto spirituale. Molta gente si domanda: cosa dobbiamo pensare di Romero? E poi si dicono: io avevo sbagliato, ora capisco che Romero era un’altra cosa, è un pastore, è un profeta, è un martire, è un discepolo di Gesù Cristo. E’ un terremoto quasi indicibile, ma reale. Penso che dopo la cerimonia queste cose diventeranno più visibili.
D. – Com’è il suo cuore a poche ore dalla Beatificazione di questo suo grande amico?
R. – Questa è la parola giusta! Mi hanno domandato molte, molte, volte chi fosse Romero per me. E io rispondo con una parola soltanto: l’amico! Immagini cosa si sente quando l’amico diventa una persona che la Chiesa propone come esempio per il mondo e per la Chiesa tutta! Quando si sta per assistere a un evento planetario! Perché Romero è Romero del mondo e non soltanto "Romero d’America". Io aspetto con grande gioia e con molte speranze. Romero è stato ucciso una volta, ma molta gente voleva ucciderlo una seconda volta, sbagliando riguardo alla sua memoria. La memoria resta e Romero sarà glorificato!
Card. Lacunza: finite strumentalizzazioni Romero, uomo del Vangelo
Sarà presente alla beatificazione di mons. Romero, anche il cardinale José Luis Lacunza Maestrojuán, vescovo di David a Panama. Mercedes de la Torre lo ha intervistato:
R. - Estaremos allì, presentes, en este acto que ...
Saremo lì, presenti, a questo atto che non vedrà solo la presenza di persone della Chiesa, ma anche di tutte quelle persone che pur non essendo nella Chiesa hanno sentito, hanno vissuto l’impegno di mons. Romero per i poveri e che da lui si sentono attratti perché permette loro di comprendere fino a che punto ci si possa spingere per gli altri, arrivando anche a dare la propria vita. E per una ragione molto chiara: per il Vangelo! In modo vergognoso si è cercato di manipolare e strumentalizzare mons. Romero per ideologie politiche. Lo scorso 24 marzo ho celebrato a San Salvador la Messa in occasione dei 35 anni dal suo assassinio, oggi possiamo dire del martirio di mons. Romero! Come ho detto nell’omelia, con questa Beatificazione si pone fine a tutti i miti su mons. Romero. Mons. Romero è stato un evangelizzatore; mons. Romero ha agito con la forza e l’energia del Vangelo, attuando soluzioni per i poveri, soluzioni evangeliche. Si pone fine a tutte le manipolazioni, a tutte le ideologizzazioni su mons. Romero. Mons. Romero è un martire della Chiesa cattolica ucciso in odio alla fede, per il suo atteggiamento chiaro di difesa dell’essere umano attraverso il Vangelo.
Mons. Romero è fonte d’ispirazione per tante realtà ecclesiali che si occupano di Boveri. Sempre al microfono di Merceds de la Torre, la riflessione di mons. Enrique Figaredo, a capo della Prefettura apostolica di Battambang, in Cambogia:
R. - Para mì mons. Romero es una inspiracion…
Per me mons. Romero è una ispirazione. A Battambang, il nostro centro pastorale si chiama proprio “Monsignor Romero”. Abbiamo scelto questo nome perché mons. Romero era molto unito a Dio ed era molto unito a Dio perché era unito ai poveri e ai loro problemi. E questa è certamente per noi una fonte di grande ispirazione. Mons. Romero adesso continuerà a dar voce ancora di più a coloro che non hanno voce. Le sue parole, le sue ispirazioni, il suo atteggiamento fanno sì che i poveri siano al centro dell’attenzione e questo ci aiuta tantissimo. Io vivo in Asia e questa figura del continente americano ci unisce: ci unisce nella fede, ci unisce nell’amore per i poveri, ci unisce nella lotta per una giustizia per le persone più semplici, per i più piccoli… Mons. Romero ci aiuta, ci dà la forza! Per me è una grande gioia la sua Beatificazione e questo ci aiuterà a continuare a stare accanto ai semplici, affinché abbiano voce, e ci unirà, gli uni agli altri.
D. – Occorre dunque rimettere i poveri al centro…
R. – Sì, para nos es en el centro! Aqui non hay exclusion. Queremos inclusion ...
Sì, per noi sono il centro! Non c’è esclusione: noi vogliamo inclusione, noi vogliamo una società inclusiva. Le persone povere, le persone semplici, dobbiamo metterle al centro: non devono stare in periferia! Devono essere inclusi attivamente, dicendoci quali possono essere le soluzioni, quali sono le loro frustrazioni. Vogliamo una società inclusiva, in cui ciascuno veda riconosciuti i suoi diritti. E che i dimenticati - o come dice il Papa questa “società dello scarto” - non ci siano: che la gente povera e semplice possa essere al centro. Deve essere portata al centro!
In Kenya la Beatificazione di suor Irene Stefani, la "madre misericordiosa"
Una missionaria del primo Novecento, chiamata “madre misericordiosa” da tutti quelli che ammirarono la sua tenerezza soprattutto verso gli ammalati. Suor Irene Stefani, delle Missionarie della Consolata, viene beatificata oggi a Nyeri, in Kenya, dal cardinale Polycarpo Pengo, arcivescovo di Dar-es-Salaam. Morì a 39 anni curando un uomo ammalato di peste e alla sua intercessione è attribuito lo straordinario miracolo che l’ha portata agli onori degli altari. Alessandro De Carolis lo ricorda in questo servizio:
Sono passate da poco le 6 del mattino e nel villaggio mozambicano di Nipepe è l’ora della Messa. Un’alba tranquilla come tante altre, quella di quel 10 gennaio 1989, fino a quando il rumore della paura piomba tra le case. Spari, raffiche di armi, urla, veicoli che arrivano e annunciano una strage come tante altre in quel periodo. I miliziani della “Renamo” che da 20 anni combattono contro il partito filomarxista del “Frelimo” vengono a portare la loro legge. Circa 230 persone, metà bambini, scappano terrorizzate e si asserragliano in chiesa, subito circondata. Comincia l’assedio. Dentro non c’è niente per tutta quella folla. Qualche biscotto della Caritas avanzato da una festa di Battesimo e un po’ d’acqua del fonte battesimale, ricavato da un tronco pieno di fessure.
La richiesta impossibile
Verso le 17, il parroco, padre Giuseppe Frizzi, chiama i catechisti e propone di elevare una preghiera di intercessione a suor Irene Stefani, missionaria del suo Istituto, la Consolata. La richiesta è di quelle “impossibili” data la circostanza: che tutti si salvino. La preghiera viene ripetuta da tutti per due giorni, fino a quando 140 persone vengono fatte uscire, caricate come bestie da soma e costrette a marciare per decine di chilometri nella foresta. Gli altri 80 restano in chiesa un altro giorno, poi i miliziani se ne vanno.
Il miracolo nascosto
Sulle prime quasi nessuno fa caso al primo prodigio tra quelli che porteranno suor Irene agli altari: l’acqua del fonte battesimale ha continuato a dissetare tutti senza esaurirsi. E poi l’altro prodigio. Dopo una settimana tutti i 140 ritornano al villaggio. E raccontano storie incredibili: esecuzioni sommarie scampate per un soffio, campi minati attraversati senza saltare in aria. È il “miracolo” collettivo ottenuto da suor Irene, che 60 anni prima aveva lasciato in Kenya il ricordo di un coraggio e una carità smisurati. A rammentarlo è suor Jacinta Theuri, missionaria della Consolata oggi a Roma ma originaria del Kenya, proprio della diocesi di Nyeri dove suor Irene visse a lungo:
“Irene è stata una madre, una madre in tutti i sensi: madre spirituale e madre che nutriva anche il corpo, i bisogni del corpo. Per questo la gente l’ha chiamata ‘la madre di misericordia’, ‘la madre tutta tenera’. E ancora, di generazione in generazione, si tramanda la storia di questa grande donna e anche di altri missionari della Consolata che lavoravano in quella zona. Suor Irene non ha mai discriminato o allontanato le persone e per questo ha conquistato tanto la fiducia della gente”.
Dolcezza e molta pazienza
Suor Irene era nata in provincia di Brescia nel 1891, battezzata col nome di Mercede, quinta di dodici figli. A 20 anni entra tra le Missionarie della Consolata, a 23 parte per il Kenya. Per i primi anni si dedica all’assistenza negli ospedali militari – strutture fatiscenti senza nulla – dove pulisce e fascia le ferite dei portatori africani, arruolati per trasportare materiale bellico della Prima Guerra Mondiale. La guida un motto: “Dolcezza, affabilità grande, molta, molta pazienza”.
“Lei non perdeva la speranza di aiutare la gente gravemente colpita e faceva di tutto per dare speranza, per curare se c’era bisogno, per dare da mangiare, per insistere nello stare loro vicino. Andava anche alla ricerca di coloro che erano già stati buttati via come morti e alle volte riusciva a recuperare persone che non erano morte e le aiutava a ricominciare a vivere”.
Mille vite per Gesù
Nel 1920, suor Irene raggiunge la missione di Ghekondi, dove si dedica all’insegnamento scolastico. Gira per le capanne, col sorriso e un rosario in mano, alla ricerca di ragazzini da invitare a scuola e così conosce e aiuta come può anche le loro mamme. Insegna alle giovani consorelle, giunte da lei per il tirocinio missionario, e le circonda di affetto e attenzioni. Poi, nel settembre 1930, mentre si trova a Nyeri per gli esercizi spirituali - lei che aveva scritto con slancio “Gesù! Se avessi mille vite le spenderei per Te” - matura il desiderio di offrire la propria vita per le missioni. La superiora le nega finché può il permesso di tornare a Ghekondi dove intanto a preso a infuriare la peste, poi si arrende alle sue insistenze. Irene comincia ad assistere i malati, un uomo in particolare:
“Quest’uomo, da cui ha contratto la malattia, faceva di tutto per togliere suor Irene dal suo lavoro. Invece, suor Irene non si è fermata. È andata avanti a cercarlo, anche nei momenti in cui lui aveva più bisogno. Lo ha curato e curandolo ha preso questa malattia. Per questo tanta gente dice che lei non è morta per la malattia, ma è morta per amore”.
“Morta per amore”
Domenica 26 ottobre 1930 è la festa di Cristo Re. Suor Irene alla Messa guida le preghiere, ma i brividi le gelano le ossa. Si mette a letto. Muore cinque giorni dopo, a 39 anni, felice di andare "in Paradiso", come dice a chi le è accanto in lacrime. Colei che chiamano “Nyaatha”, cioè “madre misericordiosa”, realizza il sogno annotato un giorno su una pagina - “Poter dire: Io sono Irene di Gesù e meritare la risposta: Io sono Gesù di Irene” - e lascia un esempio immortale alle missionarie che oggi la venerano:
“Desideriamo proprio vivere questa tenerezza materna di Dio e continuare questo fuoco della consolazione nelle generazioni che vengono; non lasciare spegnere il fuoco, che è stato acceso e poi guardare anche al futuro con grande speranza ed essere testimoni della gioia di appartenere a Cristo”.
Card. Sandri: uniti in preghiera per p. Mourad e cristiani perseguitati
Nel giorno della Beatificazione del vescovo e martire mons. Romero e in concomitanza con la Giornata per i cristiani perseguitati indetta dalla Conferenza episcopale italiana e condivisa da altre Chiese e comunità, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali insieme ai superiori e ai collaboratori del dicastero, si unisce nella preghiera e nella supplica al Signore per queste intenzioni.
La notizia del rapimento in Siria di p. Jacques Mourad, sacerdote siro-cattolico priore della comunità di Mar Elian – si legge in una nota del dicastero per le Chiese Orientali – che va ad aggiungersi ad altri vescovi, sacerdoti e laici nelle medesime condizioni, oltre che l’estensione delle violenze e dei conflitti nell’area, destano viva preoccupazione e dolore.
“Lo Spirito Santo, che si effonde in una rinnovata Pentecoste – prosegue la nota – guidi alla verità tutta intera (Gv 16,13) che ci rende liberi: consoli chi è disperato e piange, tocchi i cuori accecati di chi sfigura la propria e altrui dignità facendo violenza e seminando il terrore, converta chi agisce soltanto per interesse e per la ricerca di un profitto a danno sempre dei piccoli e dei poveri, illumini coloro che sono chiamati a prendere decisioni per fermare ogni guerra”.
Veglia nuovi martiri. Forte: loro testimonianza è una grazia
Un grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza ai fratelli che soffrono a causa della fede. Con questo spirito la Conferenza episcopale italiana dedica ai martiri contemporanei la Veglia di Pentecoste di stasera in tutte le parrocchie e le comunità che la celebrano. Benedetta Capelli ne ha parlato con mons. Bruno Forte, presidente della Commissione Episcopale della Cei per l’ecumenismo e il dialogo:
R. – Il martirio fa parte dell’identità cristiana, nel senso più profondo. Il significato originario di martirio è “testimonianza”. Il martire è il testimone di Cristo, per cui la morte del martire è un annuncio della vittoria di Cristo sulla morte. Naturalmente, accanto a questo aspetto, che è quello connesso con l’identità cristiana, c’è però il dramma immane del fatto che tante di queste persone oggi uccise per il nome di Cristo, lo sono da parte di totalitarismi, di pregiudizi, di violenze motivate indebitamente in nome di Dio. E allora, se da una parte si esalta la figura del martire, se ne riconosce la luminosità e la fecondità per la vita della Chiesa, dall’altra, non si può non condannare con fermezza la violenza che, soprattutto quando esercitata in nome di Dio, pretende di affermare la logica della potenza del mondo contro la logica della carità e la logica della fede.
D. – Tra l’altro, questo dramma che si sta consumando - lo vediamo ogni giorno, in Siria, in Iraq, in tanti altri scenari nel mondo - passa comunque sempre molto sotto silenzio. Forse sono solo Papa Francesco e la Chiesa che levano questa voce…
R. – Purtroppo questa è una cosa dolorosa . E’ come se ci fosse la morte di “Serie A” e la morte di “Serie B”. Quelli di “Serie A” sono quelli che interessano il mondo dello spettacolo, dei media; i morti di “Serie B” sono i tanti innumerevoli poveri, la povera gente, che quotidianamente muore, ma soprattutto sono quelli la cui morte invece è eloquente, cioè quelli che muoiono per una causa a cui hanno consacrato e donato la loro vita. E, appunto, i nostri martiri sono purtroppo tante volte i morti di “Serie B”. A me sembra che uno degli scopi della veglia – e per questo anche l’intervento di Papa Francesco diventa quanto mai prezioso, perché dà ad essa una speciale autorità – sia invece quello di richiamare lo sguardo, l’attenzione su queste vite donate, su questo sangue versato, su questo sacrificio d’amore, proprio perché esso possa parlare alle donne, agli uomini del nostro tempo, possa gridare la denuncia contro il male e la violenza, e insieme anche testimoniare il perdono e il primato della carità.
D. – Perché si è scelta proprio la Veglia di Pentecoste?
R. – Credo, teologicamente, che la motivazione sia molto chiara: è lo Spirito che ci dà la forza di testimoniare Cristo fino in fondo; è nello Spirito che il martire vive di Cristo e muore per Cristo; ed è nello Spirito del Risorto che la fede cristiana riconosce la possibilità che il martirio divenga vittoria, cioè che il sangue versato sia fecondo per il futuro della fede e della carità nella storia.
D. – Personalmente, le chiedo se c’è un martire che sente più suo, nell’esperienza luminosa della sua vita, spesa proprio per la fede, della sua morte alla luce della fede…
R. – Sarebbero tante le persone da ricordare e io vorrei ricordare qualcuno che ho avuto modo di conoscere. Ricordo quando tenni un corso per i missionari nelle Filippine, nell’Isola di Mindanao, e uno dei missionari, Salvatore Carzedda, che era presente al corso, con cui abbiamo avuto momenti molto belli di dialogo, di confessione, qualche anno dopo è stato ucciso nell’ambito di quei conflitti legati a presunte motivazioni religiose e ad alcune posizioni di fanatismo islamico, che producono ahimè martiri, il cui sangue però sappiamo sarà fecondo. Una delle tante figure, quindi, anonime, perché poi spesso nessuno li ricorda, che ho avuto però la grazia di conoscere e per cui ho capito che il martirio è veramente una grazia che viene fatta a donne e uomini semplici, buoni che hanno fede in Dio, che certamente non vogliono il martirio, ma che alla fine lo accettano e lo vivono, perché hanno giocato la loro vita tutta per Gesù. Insomma, il martire come uno vicino a noi, come uno di noi, che proprio per questo dà forza alla nostra fragilità e speranza alla nostra fede.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Ha costruito la pace: il Papa per la beatificazione di monsignor Romero.
Il lavoro secondo Francesco: nell'udienza alle Acli il Pontefice mette in guardia da un sistema economico dove comanda il dio denaro.
Voce alle donne: il Papa condanna discriminazioni e violenze.
Infuocati nello Spirito: in prima pagina, Manuel Nin sulle anafore eucaristiche di tradizione siriaca.
Un articolo di Ferdinando Cancelli dal titolo "Se morire è più facile che vivere": eutanasia e cure palliative.
Il sogno paterno salvato dalla fisarmonica: Silvia Gusmano sull'ineludibile intreccio tra universo familiare e fenomeni migratori.
Tra arte e tragedia: Gaetano Vallini recensisce un volume che ripercorre sessant'anni di premi di fotogiornalismo.
Pietre tombali: Nicoletta Celli illustra le iscrizioni religiose di Quanzhou esposte nella monta, a Firenze, sui capolavori d'arte italiana e terre d'Asia dal XIII al XV secolo.
La spalla di Dantès: Gabriele Nicolò sulle figure a latere nella letteratura.
L'Is avanza in Siria e Iraq. I jihadisti: compreremo atomica
Cresce la preoccupazione per padre Jacques Mourad, sacerdote siro-cattolico rapito due giorni fa in Siria da uomini armati. Intanto preoccupa l’avanzata del sedicente Stato Islamico (Is) in tutta la regione. I jihadisti sono riusciti ad entrare nel museo archeologico di Palmira, dopo aver occupato la città siriana, mentre il governo iracheno di Baghdad ha annunciato una contro-offensiva su Ramadi, in mano alle milizie dell’Is. Infine, fonti dei miliziani sostengono di avere la possibilità di acquistare ordigni atomici in Pakistan. Per un’analisi di questo scenario Marco Guerra ha intervisto Alessandro Politi, analista politico e strategico:
R. – Innanzitutto, non c’è più la Siria e l’Iraq, c’è il “Siraq”: è uno spazio completamente diverso, perché entrambi i Paesi sono in realtà dilaniati da una guerra civile e i governi centrali hanno un potere di controllo molto ridotto. Allora, più che la potenza di fuoco dell’Is, va vista la debolezza dei loro avversari; e, dove c’è un vuoto, è chiaro che qualcuno lo riempie. A Ramadi non è stata opposta una resistenza significativa e nemmeno a Palmira - che è anche peggio - ma il governo siriano non ha voluto cercare aiuti da altre parti, anche per provare a guadagnare dal punto di vista dell’immagine; e quindi ha mollato una cosa che - effettivamente - da un punto di vista puramente militare-strategico è irrilevante, ma dal punto di vista simbolico non lo è. Quindi l’Is sta sfruttando i suoi successi per avere nuove reclute, sebbene prima aveva conosciuto una seria battuta d’arresto. A Kobane, che pure era un luogo simbolico e strategicamente importante, l’Is ha perso. In altri posti era stato fermato; si è evidentemente riorganizzato, perché la guerra è una faccenda dinamica e quindi adesso di nuovo usa la sua relativa maggiore forza, su una relativa - molto più grande - debolezza.
D. - Indiscrezioni trapelate dal Dipartimento di Stato Usa parlano di un’armata senza precedenti, più forte e numerosa dei mujaheddin in Afghanistan ai tempi dell’Unione sovietica…
R. – Più che la quantità di persone, quello che è importante è la capacità di attrazione che questi successi hanno. Il successo genera successo, però dobbiamo sempre pensare che l’Is è un’entità che vuole stabilire un controllo territoriale: quindi, quelli che potremmo chiamare gli “attentati fuori sede” sono strettamente funzionali a quest’obiettivo. Al-Qaeda non aveva bisogno di un controllo territoriale in linea di principio: aveva bisogno di una serie di atti terroristici per far passare dei messaggi politici. L’analisi politica dell’Is è completamente diversa ed è: “No, vogliamo creare un nuovo Stato” - lo Stato Islamico, come diciamo noi - e per di più “vogliamo una realtà territoriale che scardini le vecchie frontiere degli accordi Sykes-Picot siglati dopo la Prima Guerra Mondiale”.
D. – Quali sono le principali falle della strategia occidentale a guida Usa? Un intervento che sembra aver sortito pochi effetti…
R. – Nonostante tutti i meravigliosi progressi tecnologici, l’aeronautica, da sola, molto difficilmente vince le battaglie. Anche perché gli avversari non presentano delle strutture dense, ma si disperdono il più possibile, riducendo anche l’efficacia di strumenti avanzatissimi. La coalizione contro l’Is ha un capo africano in gamba, ma che non ha un suo portafoglio, un suo bilancio: segno che l’Is viene considerato un problema, ma non necessariamente un problema a cui dedicare la massima priorità. Questa è la cruda realtà dei fatti. Poi c’è la debolezza dei governi locali e a questa debolezza è estremamente difficile rimediare, anche con dei generosi interventi sul posto.
D. – Ci sono le notizie su una bomba atomica che lo Stato Islamico potrebbe acquistare in Pakistan… Queste minacce quanto vanno prese sul serio?
R. – Queste minacce possono essere naturalmente liquidate come una battuta, ma in realtà sono operazioni di “psy-ops”: guerra psicologica per agitare non tanto le opinioni pubbliche - che alla fine hanno problemi ben più concreti a cui guardare, come la disoccupazione, debiti, usura - ma per impressionare le élite occidentali. Si sa benissimo che questa è una guerra psicologica, però questa è un’azione che serve ad aumentare il profilo dei terroristi.
Migranti del Bengala e Rohingya: Onu, salvare vite umane
“Priorità improrogabile è salvare le vite umane”. Con queste parole il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, chiede alla comunità internazionale di puntare l’attenzione sul dramma dei migranti del Bengala e di etnia Rohingya, la minoranza musulmana in fuga dalle persecuzioni in Myanmar. Appello anche a Indonesia e Malaysia affinché interrompano le politiche dei respingimenti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Cecilia Brighi, segretario generale dell’associazione “Italia-Birmania Insieme”:
R. – Per quanto riguarda i Rohingya, che il governo birmano non vuole assolutamente riconoscere, loro sono da decenni perseguitati in Birmania; è un’etnia che non è stata riconosciuta, dopo l’avvento della dittatura militare nel 1962, e quindi sono anni e anni di tensione. Oggi la situazione si è fatta più pesante perché anche a seguito del censimento del 2014 il governo birmano ha rifiutato di riconoscere queste etnie e questi sono cittadini apolidi, cioè non hanno uno Stato e vivono relegati in campi lontani dai loro villaggi di origine: sono oltre 100 mila persone che vivono in questi campi, in condizioni di sopravvivenza veramente molto precarie. Molti fuggono, cercano di andare con i barconi in Malesia o in Indonesia, perché sono Paesi musulmani.
D. – Perché su questo dramma dei Rohingya il silenzio di un personaggio che è stato da sempre paladino dei diritti umani, un personaggio come San Suu Kyi?
R. – San Suu Kyi si trova in una condizione molto delicata: a novembre ci saranno le elezioni e sta cercando di modificare la Costituzione perché lei possa diventare presidente della Repubblica. Quindi, ovviamente teme che una parte della popolazione birmana possa attaccare le sue frasi. Lei dice: “Taccio perché qualsiasi cosa io dica produrrà più sangue, più tensione”, ma il suo partito ha detto recentemente che i Rohingya devono avere il diritto di cittadinanza.
D. – Il fenomeno delle migrazioni, così come è avvenuto in Europa, è sintomatico di qualcosa che sta cambiando a livello economico e sociale. Che cosa sta succedendo in Asia, in questo momento?
R. – In molti Paesi asiatici la crisi internazionale ha prodotto un’ulteriore precarizzazione delle condizioni economiche: grandi fasce sempre più ricche e fasce di persone sempre più povere. Quindi c’è una situazione di povertà diffusa che provoca lo spostamento di centinaia di migliaia di persone verso Paesi che possono offrire un’opportunità di lavoro e di sicurezza maggiore, rispetto alle situazioni di conflitto e di repressione, anche politico-religiosa. Molte minoranze religiose sono represse, nei Paesi asiatici, e quindi cercano protezione nei Paesi che rispettano maggiormente le diversità culturali e religiose e i diritti umani.
Al via a Milano la settimana del commercio equo e solidale
Il movimento mondiale del Commercio equo e solidale si dà appuntamento a Milano per incrociare il suo cinquantennnale impegno per nutrire il mondo in modo equo, con i temi di Expo 2015. Dopo Rio nel 2013, Milano diventa la capitale del “fair trade” per dieci giorni, da oggi a domenica 31 maggio. Centinaia tra espositori, ricercatori universitari, piccoli imprenditori, operatori dell’economia sociale e solidale sono attesi da 55 Paesi del mondo. Sei gli eventi della “World Fair Trade Week”. Il servizio di Fabio Brenna:
Un paio le novità assolute: la Fabbrica del Vapore ospiterà la prima edizione mondiale del “fair trade” con 170 espositori e un calendario di 40 fra incontri e conferenze. Una “prima” anche “Fair&Ethical Fashion Show”, la nuova fiera internazionale di moda etica e sostenibile con annesso programma culturale, che sarà ospitata presso l’ex Ansaldo. Domenica prende il via la “World Fair Trade Conference”, con oltre 221 delegati dell’Organizzazione mondiale per il commercio equo; parallelamente, si svolge l’assemblea annuale di Agices-Equo Garantito, mentre il “Fair Trade Symposium”, in collaborazione con il Politecnico di Milano, propone un confronto fra una settantina di ricercatori su 59 “paper” di studio. Ed infine la “Milano Fair Cuisine” vedrà gli chef di 26 ristoranti italiani confrontarsi con gli ingredienti della “dispensa etica” del “fair trade”.
Sono oltre 32 mila le persone che in Italia sostengono il commercio equo e oltre 5 mila i volontari attivi su questo fronte. Un settore in piena evoluzione: lo schema del Nord che compra i prodotti del Sud del mondo evolve a favore di cibi locali per favorire i piccoli produttori “etici” del territorio. Nei Pasi in via di sviluppo si punta far crescere i mercati interni: un modo nuovo per affrontare crisi e cambiamenti sociali.
Mattarella a Palermo: la mafia può essere sconfitta
Con una manifestazione alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Palermo ricorda le vittime delle stragi di Capaci e via D’Amelio. "Oggi la mafia dei tempi di Falcone, quella stragista, quella terrorista non c’è più, l’abbiamo destrutturata”, ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso, intervenuto alla cerimonia, che ha parlato però della presenza di “un fenomeno criminale minore che cerca di infiltrarsi nell’economia legale, più difficile da combattere, perché nascosto”. Il servizio di Alessandra Zaffiro:
“Cari giovani siamo qui, anzitutto, per dire che la mafia può essere sconfitta. Siamo qui per rinnovare una promessa: batteremo la mafia, la elimineremo dal corpo sociale perché è incompatibile con la libertà e l’umana convivenza. Sconfiggere per sempre le mafie è un'impresa alla nostra portata, ma, per raggiungere questo traguardo, è necessario un salto in avanti che dobbiamo compiere come collettività".
Lo ha detto il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, a Palermo nel ventitreesimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio, per ricordare i giudici Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle loro scorte.
"Falcone sapeva bene - ha aggiunto il Presidente Mattarella - che la repressione penale era indispensabile e che doveva essere molto più efficace e adeguata, per riaffermare il primato dello Stato: nella partita tra Stato e anti-Stato va sempre messo in chiaro che lo Stato alla fine deve vincere. Senza eccezioni".
Il Presidente Mattarella ha pronunciato il suo intervento nell’aula bunker del carcere Ucciardone, dove si celebrò il primo maxi processo alla mafia, alla presenza di tante autorità istituzionali tra i quali il Presidente del Senato Pietro Grasso, i ministri dell’Istruzione Stefania Giannini, della Giustizia Andrea Orlando, con il coinvolgimento di 40.000 studenti, collegati anche in video conferenza da sei città italiane.
“Fare memoria - ha detto il cardinale di Palermo, Paolo Romeo, presente alla commemorazione - significa assumere per proiettare quel cammino che si è fatto, quei lavori che sono stati testimoniati per illuminare il futuro. Credo che quello che ci hanno lasciato Falcone e Borsellino, tante vittime della mafia, come anche don Pino Puglisi, è un patrimonio che dobbiamo valorizzare e proiettare verso le nuove generazioni”.
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
Nella Solennità della Pentecoste, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice ai suoi discepoli:
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti:
Il mistero della Pasqua giunge al suo culmine nella Solennità di Pentecoste, perché effonde su di noi il frutto principe della Pasqua: lo Spirito Santo, la stessa vita divina. Gesù nel Vangelo parla al futuro, perché promette il dono dello Spirito Santo: “Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità…”, questo Spirito ora è venuto, ha riempito della gioia del Vangelo la vita della comunità dei suoi discepoli costituendoli missionari (cf Evangelii Gaudium, 21), ha riempito la Chiesa e il mondo di sante e di santi che in ogni tempo hanno reso manifesto il dono dello Spirito Santo nell’amore ai fratelli e nell’offerta della vita agli altri. Questo Spirito continua ad essere operante nella storia, a condurla verso il suo compimento nel Regno di Dio. Commenta Papa Francesco nella Evangelii Gaudium (259): “A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio… Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia (parresia), a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l’annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio”. La Vergine Maria, che ha reso possibile l’esplosione missionaria che avviene a Pentecoste (cf Evangelii Gaudium, 284), risvegli, rinnovi anche oggi nella Chiesa il fuoco della Pentecoste.
Mons. Martin: guardare a Romero, modello di santità
“La beatificazione di mons. Oscar Romero sia un incoraggiamento per tutti gli irlandesi a rispondere più pienamente alla chiamata universale alla santità”. È l‘auspicio espresso dall'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, che domenica ricorderà mons. Romero nel corso della Messa per l’annuale Festival dei Popoli. Il Festival si tiene ogni anno in occasione della Solennità di Pentecoste per ricordare i doni ricevuti dalla Chiesa locale dalle migliaia stranieri che vivono nella capitale irlandese.
La chiamata alla santità comprende la sollecitudine verso i poveri
“La beatificazione dell’arcivescovo Romero” in programma oggi a San Salvador, alla presenza del card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, “ci dà un’importante indicazione su cosa significhi quella chiamata universale alla santità di cui parla la Lumen Gentium”, ha detto l'arcivescovo Martin. “Essa comprende la sollecitudine per i poveri e gli emarginati. Il suo martirio - ha aggiunto - ci ricorda anche che dobbiamo essere pronti a subire resistenze, se vogliamo vivere veramente come Gesù ci chiama a vivere”.
La Chiesa irlandese in festa per la beatificazione di mons. Romero
Tutta la Chiesa irlandese festeggia la beatificazione di mons. Romero, con il quale ha un legame particolare. Attraverso Trocaire, l’agenzia per lo sviluppo dei vescovi irlandesi, negli anni settanta essa aveva infatti stabilito un rapporto di stretta collaborazione con l’arcivescovo di San Salvador, finanziando, tra l’altro, la Commissione per i Diritti umani da lui fondata per raccogliere prove e testimonianze sulle violenze e gli assassinii perpetrati dai militari e dagli squadroni della morte. La Conferenza episcopale irlandese ha messo a disposizione sul suo sito web www.catholicbishops.ie sussidi e diverso materiale informativo sulla vita del presule assassinato il 24 marzo 1980. (L.Z.)
Da Caritas Svizzera aiuti per vittime del terremoto in Nepal
Un milione e mezzo di franchi: a tanto ammontano gli aiuti che Caritas Svizzera ha devoluto alle vittime del terremoto in Nepal. Una cifra che si è moltiplicata rispetto ai 500mila franchi raccolti inizialmente, grazie alla solidarietà della popolazione elvetica. In particolare, i fondi saranno destinati alla ricostruzione delle scuole nepalesi, distrutte dal sisma del 25 aprile, seguito da altre violente scosse. “È importante - spiega Stefan Ege, delegato di Caritas Svizzera in Nepal - che i bambini possano tornare in classe il più rapidamente possibile”.
Offerto materiale sanitario, acqua potabile e viveri di prima necessità
Nella provincia di Sindhupalchok, infatti, il 90 per cento degli edifici è crollato ed è proprio lì che Caritas Svizzera provvederà ad installare tende e tensostrutture per creare delle aule provvisorie, in cui i bambini potranno ricominciare a ricevere l’insegnamento. Non solo: la struttura caritativa elvetica provvederà a fornire agli sfollati nepalesi materiale sanitario, assicurerà l’accesso all’acqua potabile e distribuirà ai gruppi più vulnerabili della popolazione viveri e medicine. Tali aiuti raggiungeranno, in totale, circa 30mila vittime del sisma. “La nostra squadra si prepara, ugualmente, all’opera di ricostruzione”, aggiunge Stefan Ege, in particolare delle abitazioni e degli edifici scolastici. (I.P.)
Filippine. Nuova evangelizzazione, conferenza sui poveri
Seimila delegati da tutte le Filippine sono attesi il 30 maggio a Pasay City per la seconda Conferenza nazionale sulla Nuova evangelizzazione (Nec). L’appuntamento si inserisce nell’ambito dei “Nove anni per la Nuova Evangelizzazione”, promossi dal relativo ufficio episcopale in vista delle celebrazioni del quinto centenario dell’evangelizzazione del Paese, nel 2021.
L’impegno della Chiesa per i poveri al centro della Conferenza
Iniziati nel 2013, in coincidenza con l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI per i 50.mo del Concilio Vaticano II, i “Nove anni” hanno fin qui riflettuto sulla formazione integrale alla fede e sul ruolo dei laici, intesi come “agenti di evangelizzazione e promotori di trasformazione sociale”. Quest’anno è invece dedicato all’impegno della Chiesa per i poveri, che sarà tema al centro della conferenza di Pasay City. “I poveri - sottolinea in un video-messaggio in vista dell’evento il presidente dei vescovi, mons. Socrates Villegas - rappresentano la presenza di Gesù tra noi. Guardate Gesù, guardate i poveri e poi guardate a voi stessi e vi rendete conto che siamo i poveri di Gesù. Quando guardate a Gesù - ha aggiunto il presule - è come se guardaste in uno specchio: vedete chi siete veramente”.
Nel programma anche un’esposizione sulle iniziative di evangelizzazione
A scandire la giornata del 30 maggio dibattiti, testimonianze, forum. Nel programma anche la Nec Expo, una mostra in cui diverse organizzazioni cattoliche, gruppi e parrocchie filippine illustreranno le loro attività per la Nuova evangelizzazione ed i loro contributi alla costruzione di una Chiesa povera per i poveri, come auspicato da Papa Francesco, che ha visitato le Filippine nel gennaio scorso. (L.Z.)
Senegal: al via 127.mo pellegrinaggio di Popenguine
Decine di migliaia di fedeli cattolici del Senegal e dei Paesi vicini sono attesi al 127.mo pellegrinaggio al Santuario mariano di Popenguine in programma da oggi al 27 maggio. “Con Maria, tutti al servizio della Chiesa famiglia” è il tema scelto per questa edizione, con uno sguardo rivolto al Sinodo generale ordinario dei vescovi sulla famiglia del prossimo ottobre e all’Anno della Vita Consacrata indetto da Papa Francesco ed in corso fino al 2 febbraio 2016.
Una tradizione che risale al 1888
I fedeli provenienti anche dal Gambia, dal Mali e dalla Mauritania - riporta il quotidiano locale Dakaractu - sono quindi invitati a seguire Maria ed a rinnovare il loro impegno a servizio di Cristo, della Chiesa e dell’uomo. Il pellegrinaggio è pure un’occasione per festeggiare mons. Benjamin Ndiaye, insediatosi il 21 febbraio scorso come nuovo arcivescovo di Dakar, e per salutare il suo predecessore alla guida dell’arcidiocesi, il cardinale Théodore Adrien Sarr. Istituito nel 1888, su iniziativa di mons. Mathurin Picarda, all’epoca vicario apostolico di Senegambia, il pellegrinaggio di Popenguine rappresenta oggi anche un importante momento di dialogo interreligioso, poiché ad esso partecipano pure molti musulmani. (L.Z.)
Vescovi Belgio e Usa: appello per mondo senza armi nucleari
Sostenere, con parole ed azioni, la prospettiva di un mondo senza armi nucleari: questo l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale belga al governo locale, in occasione della nona Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione (Tnp) che si è conclusa ieri, venerdì 22 maggio, presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite di New York. Si tratta, in sostanza, dell’aggiornamento periodico dell’accordo internazionale sul disarmo nucleare, un percorso iniziato 45 anni fa e che viene rivisto ogni cinque anni.
La detenzione di armi nucleari è immorale
“I vescovi – si legge in una nota ufficiale – ribadiscono con forza che la detenzione di armi nucleari è immorale, perché l’alta capacità di distruzione di cui sono dotati tali armamenti non si basa su alcun fondamento giuridico né, tanto meno, morale”. Ricordando, inoltre, i numerosi appelli di Papa Francesco e della Santa Sede allo smantellamento delle armi nucleari, la Chiesa del Belgio ribadisce che “la coesistenza pacifica – continua la nota – non si ottiene minacciando o dissuadendo l’altro e neppure suscitando in lui la paura, addirittura a livello internazionale”. Di qui, il richiamo al fatto che “la responsabilità etica che sta dietro all’eliminazione delle armi nucleari si basa non solo sui Paesi detentori o produttori di tali armamenti, ma anche su coloro che ne tollerano la progettazione, la realizzazione e lo stoccaggio, Paesi tra i quali figura il Belgio”.
Coesistenza pacifica sia accompagnata dal rispetto della persona umana
Sottolineando, quindi, che “la maggior parte delle nazioni è favorevole al divieto delle armi nucleari”, i vescovi ribadiscono che, “come già accaduto per le mine e le armi a sottomunizioni, il Belgio può giocare un ruolo significativo ed essenziale, nella comunità internazionale, per compiere passi avanti concreti” nel percorso di disarmo e creare, così, “le condizioni necessarie per l’instaurazione di una coesistenza pacifica, accompagnata dal rispetto della persona umana”.
Preservare Trattato di non proliferazione nucleare
Sulla stessa linea si pone anche il presidente del Comitato per la pace e la giustizia internazionali della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, il vescovo di Las Cruces, mons. Oscar Cantù, che in una lettere al segretario di Stato John Kerry chiede di intensificare gli sforzi per portare avanti il disarmo nucleare e porre così le basi del successo di una conferenza multilaterale da organizzare a New York. In un mondo multipolare, dove ci sono rischi di proliferazione nucleare e di terrorismo nucleare, spiega mons. Cantù, “è imperativo che ci si muova sistematicamente e inesorabilmente verso il disarmo e la messa in sicurezza dei materiali nucleari. Preservare il Trattato di non proliferazione è una pietra angolare di questo sforzo”.
Avviare negoziati seri per un trattato per la riduzione del materiale fissile
Il presule, poi, ribadisce la necessità di avviare negoziati seri su un trattato per la riduzione del materiale fissile e altre misure preventive. Da ricordare che, per la Chiesa, limitare gli armamenti nucleari significa anche liberare importanti risorse economiche che potrebbero essere usate per assistere fasce di popolazione in condizioni di indigenza. Su questo tema era intervenuto anche Papa Francesco nel messaggio per la terza Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, tenutasi a Vienna l’8 e 9 dicembre scorsi. (I.P.)
Il 31 maggio, Giornata della Chiesa diocesana di Lisbona
“Consacrati nella Chiesa in missione verso il Sinodo diocesano”: sarà questo il tema della Giornata della Chiesa diocesana di Lisbona, in Portogallo. L’evento, che si terrà il 31 maggio, domenica della Santissima Trinità, avrà luogo presso la sede locale dei salesiani. “Unendo le nostre differenze e più forte delle nostre divisioni - scrive in un messaggio per l’occasione il Patriarca di Lisbona, card. Manuel Clemente - Dio, Uno e Trino, fa di noi una pluralità unita e così si offre al mondo, affinché anch’esso sia unito”.
Contemplare Dio, esempio di comunione perfetta
Di qui, l’invito del porporato a contemplare Dio, esempio di “perfetta comunione”. Nell’Anno della Vita Consacrata, indetto da Papa Francesco per commemorare il 50.mo anniversario della Costituzione dogmatica Lumen gentium ed in corso fino al 2 febbraio 2016, il card. Clemente ribadisce l’importanza della Giornata come strumento per “riconoscere ed apprezzare il grande dono” di fratelli e sorelle che radicano la loro condizione battesimale nell’incoraggiare tutti con i loro rispettivi carismi. “Ogni istituto religioso o secolare - continua il porporato - sublima una sua dimensione specifica dell’infinita ricchezza di Cristo, vissuta in modo esemplare dai rispettivi fondatori ed offerta alla Chiesa per la sua edificazione e la sua missione”.
L’importanza dei carismi e della missione
“Rendiamo dunque grazie a Dio per i consacrati che ci dona - conclude il card. Clemente - e facciamo sì che la Giornata della Chiesa diocesana rafforzi il nostro cammino sinodale”. La Giornata avrà inizio alle ore 10.00 con l’accoglienza dei fedeli; alle 10.30 si terrà un momento di preghiera, seguito da un incontro sul tema “Carismi in missione”. Nel pomeriggio, alle 14.30, ci sarà un momento di festa; un’ora dopo, il Patriarca Clemente presenterà il piano pastorale 2015-2016, mentre alle 16.30 celebrerà la Messa conclusiva dell’evento. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 143