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Sommario del 29/06/2015
- Papa: Chiesa è di Cristo, nessun Erode ne spegnerà la fede
- Angelus, Papa Francesco invita a pregare per il viaggio in America Latina
- Fuochi d'artificio a Castel S. Angelo a sostegno dei cristiani in Medio Oriente
- Onu. Card. Turkson: politica controlli economia e finanza per tutelare la Terra
- Ravasi: Consulta femminile indichi nuove vie da percorrere
- Juncker apre alla Grecia e chiede il voto "sì" al referendum
- Tunisia: attentatore frequentava moschee estremiste
- Burundi elezioni: tensioni e urne boicottate dall'opposizione
- “Un cuore pensante”: diario dell'anima il nuovo libro di Susanna Tamaro
- Ventimiglia, aumentano i migranti. Croce Rossa preoccupata
- Israele blocca Freedom Flotilla. Hamas: è atto di pirateria
- L'Unesco: 34 milioni di non scolarizzati nei Paesi in guerra
- Card. Bagnasco ricorda Giovanni Canestri a 2 mesi dalla morte
Papa: Chiesa è di Cristo, nessun Erode ne spegnerà la fede
La certezza è che nessun Erode, tra i tanti che la “affliggono”, “annienterà mai la Chiesa”. Ai cristiani, e prima di tutto ai loro pastori, è chiesta una “testimonianza convincente” della loro fede, attraverso la vita e la preghiera. Lo ha affermato Papa Francesco durante l’omelia della Messa solenne dei Santi Pietro e Paolo, durante la quale ha benedetto il pallio consegnato ai nuovi arcivescovi metropoliti. Come da tradizione, alla celebrazione ha partecipato una delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, salutata con affetto dal Papa. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Pietro buttato in una cella, incatenato, piantonato da una cerchia di soldati come il peggiore e più pericoloso dei criminali e sullo sfondo una esecuzione che Erode evidentemente progetta per stroncare un gruppo inviso a una parte del popolo. Sembra la fine di quel breve inizio scaturito dalla Pentecoste, la piccola Chiesa che esce a vita pubblica per annunciare il Vangelo e si ritrova crudelmente perseguitata. E invece quell’inizio è destinato ad avere un futuro ultramillenario perché, afferma Francesco all’omelia, “Dio non toglie mai i suoi figli dal mondo o dal male, ma dona loro la forza per vincerli”:
“Quante forze, lungo la storia, hanno cercato – e cercano – di annientare la Chiesa, sia dall’esterno sia dall’interno, ma vengono tutte annientate e la Chiesa rimane viva e feconda!, rimane inspiegabilmente salda (…) Tutto passa, solo Dio resta. Infatti, sono passati regni, popoli, culture, nazioni, ideologie, potenze, ma la Chiesa, fondata su Cristo, nonostante le tante tempeste e i molti peccati nostri, rimane fedele al deposito della fede nel servizio, perché la Chiesa non è dei Papi, dei vescovi, dei preti e neppure dei fedeli, è solo e soltanto di Cristo”.
Un angelo sempre vicino
La constatazione di Francesco è il cuore di una riflessione cominciata nel ricordo delle “atroci, disumane e inspiegabili persecuzioni” che, ripete una volta ancora, sono “purtroppo ancora oggi presenti in tante parti del mondo, spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutti”. Ma la Messa dei Santi Pietro e Paolo è la Messa della roccia e del fuoco, delle due colonne che reggono l’edificio della Chiesa. Ed è la Messa degli arcivescovi metropoliti che ricevono il pallio benedetto dal Papa, il segno del Buon Pastore sulle spalle che li sollecita a essere, al pari dei due grandi Apostoli, “maestri di fede” attraverso la vita. E prima ancora, indica il Francesco, maestri di preghiera, come quella “incessante” che i primi cristiani levarono a Dio guadagnando per Pietro il miracolo di un angelo che lo liberasse dal carcere:
“Pensiamo a quante volte il Signore ha esaudito la nostra preghiera inviandoci un Angelo? Quell’Angelo che inaspettatamente ci viene incontro per tirarci fuori da situazioni difficili. Per strapparci dalle mani della morte e del maligno; per indicarci la via smarrita; per riaccendere in noi la fiamma della speranza; per donarci una carezza; per consolare il nostro cuore affranto; per svegliarci dal sonno esistenziale; o semplicemente per dirci: ‘Non sei solo’”.
O testimoni di Cristo o morti che pensano di essere vivi
Un richiamo alla preghiera, dunque, e alla fede che non cede alle persecuzioni: questo raccontano le vite di Pietro e Paolo. E parlano di un terzo richiamo, “alla testimonianza”, dimostrato – rimarca il Papa – da venti secoli di storie di martiri e di santi:
“Una Chiesa o un cristiano senza testimonianza è sterile; un morto che pensa di essere vivo; un albero secco che non dà frutto; un pozzo arido che non dà acqua! La Chiesa ha vinto il male grazie alla testimonianza coraggiosa, concreta e umile dei suoi figli”.
Insegnate il coraggio della fede
A questo punto Francesco rivolge uno sguardo al semicerchio dei nuovi metropoliti, quasi a incidere le esortazioni che sta per rivolgere:
“La Chiesa vi vuole uomini di fede, maestri di fede: che insegnino ai fedeli a non aver paura dei tanti Erode che affliggono con persecuzioni, con croci di ogni genere. Nessun Erode è in grado di spegnere la luce della speranza, della fede e della carità di colui che crede in Cristo!”.
Maestri di coerenza
“Non c’è testimonianza senza una vita coerente”, continua a ripetere il Papa, spronando i presuli schierati davanti all’altare a insegnare al popolo che “la liberazione da tutte le prigionie è soltanto opera di Dio e frutto della preghiera”:
“Oggi non c’è tanto bisogno di maestri, ma di testimoni coraggiosi, convinti e convincenti; testimoni che non si vergognano del Nome di Cristo e della sua Croce né di fronte ai leoni ruggenti né davanti alle potenze di questo mondo (...) La cosa è tanto semplice: perché la testimonianza più efficace e più autentica è quella di non contraddire, con il comportamento e con la vita, quanto si predica con la parola e quanto si insegna agli altri! Cari fratelli, insegnate la preghiera pregando; annunciate la fede credendo; date testimonianza vivendo!”.
Angelus, Papa Francesco invita a pregare per il viaggio in America Latina
Dopo la Messa il Papa si è affacciato alla finestra dello studio pontificio per l'Angelus e, davanti ai tanti fedeli presenti in un'assolata Piazza San Pietro, ha invitato a pregare per il suo prossimo viaggio in America Latina che lo porterà dal 5 al 13 luglio in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Il servizio di Paolo Ondarza:
La gioia del Papa per il prossimo viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay
A soli sei giorni dalla partenza per Ecuador, Bolivia e Paraguay Francesco condivide con i fedeli giunti in Piazza San Pietro la gioia di recarsi in Sud America:
"La prossima settimana, dal 5 al 13 luglio, parto in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Chiedo a tutti voi di accompagnarmi con la preghiera, affinché il Signore benedica questo mio viaggio nel continente dell’America Latina a me tanto caro, come potete immaginare. Esprimo alla cara popolazione dell’Ecuador, della Bolivia, del Paraguay la mia gioia di trovarmi a casa loro, e chiedo a voi, in maniera particolare, di pregare per me e per questo viaggio, affinché la Vergine Maria ci dia la grazia di accompagnarci tutti con la sua materna protezione".
Chiesa di Roma, fondata sul sangue dei santi Pietro e Paolo
Prima della preghiera dell’Angelus il pensiero di Francesco è andato all’odierna solennità dei Santi Pietro e Paolo celebrata dalla Chiesa Universale, ma vissuta con gioia particolare a Roma: la loro testimonianza “sigillata col sangue”– ha indicato il Papa – è alle fondamenta della Chiesa di Roma. Un’eredità gloriosa motivo di fierezza per la Città Eterna e richiamo a vivere le virtù cristiane di fede e carità:
“La fede in Gesù quale Messia e Figlio di Dio, che Pietro professò per primo e Paolo annunciò alle genti; e la carità, che questa Chiesa è chiamata a servire con orizzonte universale”.
Maria e i Santi Pietro e Paolo, guide nella fede e nella santità
“Ai due apostoli – ricorda Francesco - è associata Maria, immagine vivente della Chiesa, sposa di Cristo”, fecondata dal loro sangue. Alla loro intercessione il Santo Padre affida il benessere spirituale e materiale di Roma: radicata nella profonda e secolare devozione degli abitanti della capitale, la Vergine è invocata come Salus Populi Romani. La Madonna con i santi Pietro e Paolo – spiega il Papa - sono compagni di viaggio nella ricerca di Dio e guide nel cammino di fede e santità:
“Invochiamo il loro aiuto, affinché il nostro cuore possa sempre essere aperto ai suggerimenti dello Spirito Santo e all’incontro con i fratelli”.
La preghiera del Papa per l'unità dei cristiani
Facendo riferimento alla partecipazione all’odierna celebrazione nella Basilica Vaticana dei membri della delegazione venuti a nome del Patriarca ecumenico Bartolomeo I Francesco ha pregato ancora una volta per l’unità dei cristiani:
“Preghiamo perché si rafforzi tra di noi il cammino dell’unità”.
Infine, come di consueto, il saluto ai fedeli in Piazza San Pietro:
“A tutti voi auguro una buona festa. Per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci”.
Fuochi d'artificio a Castel S. Angelo a sostegno dei cristiani in Medio Oriente
Al termine dell’Angelus, Papa Francesco ha rivolto un pensiero anche al tradizionale spettacolo pirotecnico che avrà luogo stasera alle 21.30 a Castel Sant’Angelo: il ricavato – ha ricordato – “sosterrà una iniziativa caritativa in Terra Santa e nei Paesi del Medio Oriente”. Si tratta dell’ottava edizione della “Girandola di Castel Sant’Angelo” in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo. Si tratta di uno spettacolo di fuochi d’artificio ideato alla fine del 1400. Quest’anno la Girandola aiuta i Francescani della Custodia di Terra Santa a sostenere i Luoghi Santi e le comunità cristiane in Siria. Luca Collodi ha sentito a questo proposito il padre francescano Firas Lutfi, siriano:
R. – Il legame tra San Pietro e San Paolo, i fondatori della Chiesa di Roma e quindi della Chiesa caput et mater di tutta la Chiesa universale, sicuramente ci richiama alla Chiesa primitiva, alla scintilla del messaggio: Cristo è morto ed è risorto. Questo annuncio che ha fatto il giro del mondo per arrivare fino a Roma: momento di martirio ma anche momento di nascita del cristianesimo a livello universale. Quest’anno, a 500 anni dalla sua nascita, tutti i cooperatori della Girandola hanno voluto - oltre alla bellezza di questo evento straordinario che attira l’attenzione - hanno pensato di dedicare un momento di solidarietà anche con l’Oriente. Perché? Perché questo Oriente, come tutti vediamo e sentiamo attraverso i mass media, vive un’emorragia. E’ un’emorragia di una guerra tra le più tremende, tra le più assurde del secolo: la guerra che vive la Siria e l’emergenza che i siriani affrontano, e in particolar modo anche i cristiani, purtroppo davanti a una persecuzione. E’ un gesto di solidarietà: San Pietro e San Paolo sono quel ponte che continua a essere legame tra l’Oriente e l’Occidente.
D. – Padre Firas, come vivono oggi i cristiani in Siria e in Medio Oriente?
R. - Devo dire, in parole poche e povere, che vivono molto male. Vivono uno dei momenti della storia più alti di tensione e persecuzione. Il nostro secolo sta offrendo sangue e martiri più di tutto l’arco della cristianità.
I fuochi saranno in sincronia con la musica barocca, permettendo agli spettatori di collegarsi, con radio e smartphone, alla Radio Vaticana per ascoltare le sinfonie musicali sulle quali saranno sparati i fuochi antichi. Luca Collodi ne ha parlato con Giuseppe Passeri, direttore tecnico dei fuochi della Girandola di Castel Sant’Angelo:
R. – La Girandola di Castel Sant’Angelo è un fuoco d’artificio, ma non così, in maniera semplice. Fece il suo ingresso con Papa Sisto IV, questo è quasi sicuro, nel 1481. Certamente allora doveva essere un fuoco ancora un po’ disordinato ma col tempo si aggraziò e divenne una delle pagine più belle di Roma, un orgoglio. In sostanza la Girandola è un fuoco barocco. Il problema della Girandola è che negli anni è stato un palcoscenico, un palcoscenico per tutti gli architetti più famosi che a Roma abbiamo avuto, basti pensare al Bernini, il Vespignani, il Valadier, Posi, Poletti: tutti architetti che hanno dato un’immagine alla storia di Roma e che si cimentarono su questa Girandola, ideandone sempre di più nuove scenografie, nuove idee. La Girandola, infatti, racchiude in sé grandi nozioni di fisica, di chimica, di balistica, di meccanica: è un fuoco d’artificio che ha in sé un concentrato di nozioni ed è per questo che è difficile idearlo, crearlo, impostarlo.
D. - I fuochi a Castel Sant’Angelo vengono sparati sincronizzati su una base musicale…
R. – C’è innanzitutto una collocazione del fuoco perché è un fuoco estremamente tecnico e in più noi dobbiamo studiare quest’anno le sincronie musicali, cioè praticamente adattare i tempi dei fuochi d’artificio con note musicali, il che non è di tutti i giorni.
Onu. Card. Turkson: politica controlli economia e finanza per tutelare la Terra
“La politica deve ristabilire il controllo democratico sull’economia e la finanza”: così il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, rivolto alle massime autorità dell’Onu e ai leader dei Paesi membri, nella riunione di alto livello sui cambiamenti climatici, convocata oggi a New York. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti”, ma “se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti negli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi”. Si è fatto latore il cardinale Turkson dei richiami di Papa Francesco nella recente Enciclica Laudato sì, dove si evidenzia come “la povertà e la fragilità del pianeta” siano intimamente correlati.
Ad oltre vent’anni dal Vertice della Terra, a Rio de Janeiro nel 1992 - ha osservato il porporato - quando già si affermava la centralità degli esseri umani nelle questioni inerenti lo sviluppo sostenibile, il Papa - nella Lettera dedicata alla “cura della casa comune” – “incoraggia i governi del mondo ad abbracciare l’ecologia integrale, come approccio necessario per tale sviluppo, inclusivo di tutti e protettivo della Terra”.
Per questo il cardinale Turkson ha auspicato che gli studi condotti, in ambito Onu, dai migliori esperti del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici possano “toccarci in profondità”, per “vedere e sentire come i poveri soffrono e come la Terra viene maltrattata”.
Per superare la povertà e ridurre il degrado ambientale – ha affermato il presidente del Pontifico Consiglio “Giustizia e Pace” – occorrerà che “la comunità umana seriamente riveda il modello dominante di sviluppo, produzione, commercio e consumo. Tuttavia la maggiore sfida non è scientifica o tecnologica, ma è nelle nostre menti e nostri cuori”. “La stessa logica – scrive Papa Francesco – che rende difficile prendere decisioni radicali per invertire la tendenza al riscaldamento globale, è quella che non permette di realizzare l’obiettivo di sradicare la povertà”. Una revisione coraggiosa di questa logica avverrà solo se ascolteremo l’invito rilanciato dal Papa a cercare altri modi di intendere il progresso. “La politica deve ristabilire il controllo democratico sull’economia e la finanza”, ha ammonito il cardinale Turkson. Questa la strada da percorrere verso Parigi, dove si terrà a novembre la prossima Conferenza dell’Onu sull’ambiente.
Ravasi: Consulta femminile indichi nuove vie da percorrere
Il Pontificio Consiglio della Cultura ha promosso all'interno del proprio dicastero una Consulta permanente formata da sole donne. L'organismo si è riunito per la prima volta martedì scorso. Sugli obiettivi della Consulta ascoltiamo il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del dicastero vaticano, al microfono di Gudrun Sailer:
R. – Gli obiettivi sono sostanzialmente di due generi: da una parte – ed è quello fondamentale – invitare le donne a dare con il loro sguardo personale, con la loro interpretazione personale, un giudizio su tutte le attività del dicastero. Quindi non si tratta di una consulta decorativa. La seconda dimensione, che noi vogliamo raggiungere, è quella di avere, attraverso le donne, il suggerimento di inoltrarci in terre incognite, cioè in orizzonti… Perché noi siamo tutti maschi qui, non abbiamo un officiale che sia donna e le donne hanno soltanto funzioni di tipo amministrativo e di segreteria. Proprio per questo motivo, chiedere alle donne di indicarci anche dei percorsi che non abbiamo mai calpestato.
D. – Quindi si può dire che sia veramente innovativa l’istituzione di una consulta tutta al femminile…
R. – E’ innovativa proprio in questo senso, perché non vuole semplicemente avere anche delle voci femminili. Io sono sostanzialmente scettico sulla tesi delle quote rosa. Io sono più convinto che sia assolutamente necessaria una presenza, e una presenza rilevante, che non soltanto dia vagamente un colore, ma che entri invece nel merito delle questioni, anche con la sua capacità critica.
D. – Abbiamo visto questo nucleo, questo primo nucleo che si è già radunato per la prima volta qui alla sede del dicastero. Quali sono i passi da seguire adesso?
R. – Io vorrei un po’ descrivere questa prima riunione, che è avvenuta naturalmente attraverso un outing di tutte le donne presenti, che – proprio attraverso questa loro presentazione, non meramente biografica – hanno già dato una scossa a noi che assistevamo, ma anche a loro stesse, perché ognuna si è raccontata, non soltanto dal punto di vista professionale, ma dal punto di vista umano. Quindi questo è già un contributo anche per noi: sentire, cioè, le esperienze esistenziali. Io ho proposto un esempio sul quale loro potrebbero iniziare. Io ho almeno sette, otto attività all’interno del mio dicastero che vorrei fossero giudicate, interpretate, sostenute dalle donne. Una di queste, la prima, è forse apparentemente, solo apparentemente, marginale: quella dello sport. Lo sport, infatti, è diventato ormai una sorta di esperanto dei popoli ed è anche uno dei fenomeni nei quali si riflette di più la figura dell’uomo e della donna, del bene nel gioco, nella ricchezza, nella fantasia, ma anche nella degenerazione. Pensiamo cos’è il doping, la corruzione, la violenza negli stadi, il razzismo e così via. Ecco, proprio questo è stato il primo esempio. Noi vorremmo adesso continuare, di tappa in tappa, con due percorsi: da una parte, ampliare questo gruppo e, dall’altra, sollecitare il loro giudizio su una serie di altri temi che abbiamo già pronti.
D. – Le componenti del gruppo devono essere tutte cattoliche?
R. – Attualmente la totalità credo sia fatta di donne cattoliche. In verità, proprio il tema, che è emerso subito, è stato quello non soltanto della dimensione ecumenica, ma anche della dimensione interreligiosa. Ed io ho posto una terza dimensione: non solo i credenti, i diversamente credenti, ma anche i non credenti. Io ho intenzione, quindi, di introdurre anche delle donne che non abbiano nessuna fede religiosa esplicita.
D. – Sarebbe pensabile formare, mettere su altri gruppi del genere, di consulenza al femminile, in altri dicasteri della Curia romana?
R. – Io questo lo penserei come auspicio, perché Papa Francesco su questo ha insistito, ha fatto spesso dichiarazioni in questa linea, riconoscendo che la presenza delle donne nella Curia vaticana è ancora molto esile. Questo deve avvenire, secondo me - come ha detto più di una volta Papa Francesco – non soltanto lungo la via funzionale, cioè alla fine non secondo la mentalità clericale, per cui la presenza è soltanto se tu riesci ad avere una funzione di tipo sacerdotale, di tipo dicasteriale, cioè funzioni che siano sostanzialmente ancora quelle che sono state codificate dai maschi. Bisognerebbe avere grande creatività ed io spero si creino ministeri, funzioni, responsabilità che siano squisitamente femminili. Dobbiamo ricordare anche, come ha spesso citato il Papa, che la figura di Maria è più rilevante di quella dei cardinali e di quella dei vescovi stessi. Per questo motivo io credo che debba venire una rivoluzione, un’evoluzione a livello teorico, prima di tutto, cioè di mentalità, di teologia e, a livello pratico certamente, tenendo conto però sempre di questa osservazione: che non dobbiamo considerare il modello maschile, che finora ha costruito, anche legittimamente, le funzioni, i ministeri all’interno della Chiesa, come il modello da imitare, l’unico esclusivo.
Juncker apre alla Grecia e chiede il voto "sì" al referendum
Ore decisive per il futuro della Grecia in Europa. “Non abbandonarò mai il popolo greco e il popolo greco non vuole abbandonare l’Unione Europea, per questo chiedo di votare si al referendum di domenica prossima”. Il presidente della Commissione europea, Juncker, lascia aperta la porta al negoziato e chiede al governo di Tsipras di assumersi le proprie responsabilità, dopo l’abbandono di Atene dal tavolo dei negoziati e il rifiuto delle istituzioni internazionali di prolungare il piano d’aiuti. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, si dice pronta a riaprire le trattative, perchè “se fallisce l’Euro, fallisce l’Europa”. Intanto, domani scade la rata da 1,6 miliardi di euro che Atene deve al Fondo monetario internazionale (Fmi), mentre la Banca centrale europea (Bce) ha detto che non aumenterà il credito al sistema finanziario greco. Da qui, la decisione di chiudere le banche e la borsa fino al referendum del 5 luglio, quando il popolo greco deciderà se accettare o meno la proposta dei creditori. Domani scatterà anche il divieto di ritirare più di 60 euro dai bancomat. Una situazione che sta mettendo in ginocchio la popolazione, come ci spiega il giornalista greco, Nicola Nellas, al microfono di Michele Raviart:
R. – Io dubito che le banche riapriranno la settimana prossima, perché anche se si farà il referendum domenica e ci sarà un risultato di “sì”, poi non ci sarà tempo per svolgere tutte le procedure della Banca centrale europea per trovare un accordo e per far riaprire le banche. Quindi, si va per un minimo di due settimane – credo – di banche chiuse. E poi, adesso si dice anche che verrà messa la polizia nelle banche, quelle estere per esempio. Già ci sono le file per fare rifornimento di gasolio... Io l’ho fatta ieri, la fila per fare rifornimento: sono andato in quattro diversi bancomat e non sono riuscito a prelevare denaro. Quindi, siamo messi male.
D. – Tu sei giornalista e in questo momento stai lavorando nel settore nautico. Qual è la situazione in questo, che è uno dei punti di forza del Paese?
R. – Io lavoro per un’agenzia di yatch: stiamo affittando yatch, abbiamo clienti di un certo calibro. Se ne vanno via perché hanno paura: noi non abbiamo la liquidità e loro se ne vanno via... Vanno in Turchia, vanno in Montenegro, vanno ovunque… altro che la Grecia. E la Grecia vive di turismo. Noi siam messi male perché se continui a rimanere in Europa con l’euro, sei messo male perché ci sono tagli dappertutto, tasse, sovrattasse, sei ultratassato e non riesci a sopravvivere. E se torni alla dracma, stai ancora peggio.
D. – Ma pensi che la gente voterà per accogliere il piano dei creditori, o voterà "no"?
R. – Credo di no. Già da quello che sento io per strada, da quello che dico con i miei colleghi e con i miei amici, tutti si sono stancati. Credo che arriverà circa al 70% il "no". Se non riescono a capire che la situazione è molto brutta e che avendo le banche chiuse e inoltre dicendo anche di noi, a quel punto per forza bisogna tornare alla dracma. Se non riescono a capire entro questa settimana che il referendum non è un giochetto da usare, credo che il “no” vincerà.
D. – In che termini si pensa all’Europa, ora?
R. – Già l’euro è crollato, è quasi pari con il dollaro. E questo non è un problema solo della Grecia: è un problema di tutta l’Europa. Capisco il loro punto di vista che, giustamente, dicono: “Noi vi abbiamo prestato dei soldi e rivogliamo i nostri soldi”. Questo è giusto e doveroso, come si dice. Ma se tu mi dici che non sei un mio creditore ma che siamo uniti in Europa, allora o sei mio creditore o sei mio amico. Non dico che la Grecia non abbia fatto degli errori: ha fatto errori gravissimi e per questi errori adesso bisogna pagare. Ma devono trovare un’altra soluzione. Da noi si dice: se non hai, non paghi. Se non ho da pagare la luce, non avrò la luce. Cercherò di sopravvivere; non cercherò di pagare le tasse allo Stato. Conoscono tantissime persone che non ce la fanno a pagare le tasse: non è che non vogliono. Non ce la fanno.
Tunisia: attentatore frequentava moschee estremiste
In Tunisia, dopo la strage di venerdì a Sousse firmata dall’Is, il governo cerca di correre ai ripari: 80 le moschee chiuse, mille uomini in più schierati a difesa dell’incolumità della popolazione. Sullo sfondo il massiccio esodo dei turisti dal Paese e le indagini che proseguono serrate: uno degli attentatori era un frequentatore di una delle moschee fuori il controllo dello Stato; elemento questi che metterebbe in luce la poca preparazione del Paese a fronteggiare il fenomeno terroristico. Un’analisi del contesto tunisino Paola Simonetti l’ha chiesta a Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi della Politica Internazionale ed esperto di Medio Oriente e Paesi arabi:
R. – La Tunisia ha avuto, e ha evidentemente, un problema strutturale legato al fatto che le forze di sicurezza tunisine storicamente non sono state abituate a fronteggiare una minaccia costante terroristica jihadista di questo tipo. La Tunisia è un Paese che pian piano sta provando ad adattarsi a questo tipo di minaccia. Sicuramente, quindi, vi sono stati anche elementi di sottovalutazione di alcune minacce.
D. – Il ministro dell’Interno ha sottolineato l’importanza dell’attività di "intelligence", ma ha anche spiegato che il Paese non ha bisogno di spie, ma di persone con un reale spirito patriottico per difendere il popolo dal terrorismo. Sembra voler puntare un po’ il dito su un nodo debole…
R. – Diciamo che le affermazioni del ministro dell’Interno chiaramente vogliono ribadire che in questo momento è importante per la Tunisia continuare sulla strada di un processo politico di democratizzazione molto difficile, che comunque però sta andando avanti, e non cadere in derive autoritarie che è uno dei rischi più grandi che un Paese come la Tunisia in questo momento sta correndo: quello proprio di cadere nel meccanismo di politiche repressive e autoritarie, magari appunto fortificate dalla presenza di terroristi e jihadisti all’interno. E, forse, questo è anche uno degli obiettivi che gli stessi terroristi si pongono, cioè quello di riportare la Tunisia a uno Stato autoritario, come era prima delle rivolte del 2011, e in questo modo far sì che cresca nuovamente il malcontento sociale. E sappiamo quanto questo sia, per queste formazioni, un elemento fondamentale per il reclutamento di nuovi jihadisti.
D. – Un anno fa nasceva il cosiddetto Califfato, ovvero un territorio compreso tra Siria ed Iraq, che poi è caduto nelle mani dei fondamentalisti islamici. I suoi militanti ci appaiono come letali, ramificati. E’ davvero così sul campo? Il sedicente Stato islamico è davvero così potente, come ci viene raffigurato, come ama raffigurarsi?
R. – Innanzitutto, il Califfato, Stato islamico, o come vogliamo chiamarlo, è influente, è forte finché non trova una forza reale ed efficace che si contrappone a esso. Questo è un elemento fondamentale, perché nonostante i tentativi e i proclami da parte della comunità internazionale di voler combattere e sconfiggere lo Stato islamico, in realtà non sono ancora state messe sul campo iniziative efficaci per combatterlo in un’ottica di lungo termine. Questo perché, comunque, vi sono anche visioni differenti all’interno dei vari attori regionali sui futuri assetti del Medio Oriente, un giorno che, ipoteticamente, lo Stato islamico venisse debellato. E questo è un elemento di forza dello Stato islamico, che continua a esistere proprio in virtù del fatto che evidentemente una risposta efficace da fuori ancora non è arrivata. Sul campo sappiamo che anche lo Stato islamico, come molti attori durante una guerra – perché poi in realtà è una guerra quella che si sta combattendo – ha alti e bassi. Ha avuto, quindi, momenti di grande espansione e ha avuto sicuramente momenti anche di ritirata. Sembra, però, essersi abbastanza stabilizzato nel territorio che attualmente controlla. Dopo un anno, dunque, possiamo dire che in realtà, purtroppo, lo Stato islamico ancora non può dirsi indebolito e in più stiamo assistendo, proprio nelle ultime settimane e mesi, anche ad una nuova strategia, che è più globale, che guarda più fuori. Attentati come quelli dell’altro giorno – in Tunisia, in Kuwait, in Arabia Saudita – danno l’idea di come questo movimento stia cercando di espandersi non solo dal punto di vista ideologico, quindi del messaggio, ma anche dal punto di vista operativo.
Burundi elezioni: tensioni e urne boicottate dall'opposizione
Seggi aperti oggi in Burundi. 3,8 milioni di elettori sono chiamati a votare per le politiche e amministrative. Nelle notte, diversi seggi sono stati assaltati ma fortunatamente si registrano solo danni materiali. Parte della popolazione contesta, infatti, la decisione del presidente Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato, e questa tornata elettorale si tiene malgrado il boicottaggio delle opposizioni e gli appelli di Usa e Ue a posticipare il voto, per non aggravare una crisi politica che perdura da oltre due mesi. Per un commento, Marco Guerra ha intervistato Enrico Casale, esperto di Africa per la rivista Popoli:
R. – Il Burundi che arriva alle urne è un Burundi che ha vissuto negli ultimi due mesi forti tensioni. Gran parte della popolazione non vuole che il presidente Pierre Nkurunziza si ricandidi per un terzo mandato alla presidenza. Va chiarito che queste elezioni non sono presidenziali, ma l’opposizione che non si presenta alle urne non vuole che il parlamento sia un parlamento con una maggioranza del presidente della Repubblica, che rafforzerebbe la posizione del presidente stesso. Il Burundi che va oggi alle urne è dunque un Burundi in tensione. Tensioni ci sono state questa notte e si teme che ci siano anche in queste ore. Minore sarà l’affluenza alle urne, minore sarà il significato di questa votazione.
D. – Quindi, si temono nuove violenze. C’è il pericolo che il tutto possa sfociare in una guerra civile o scontri in campo aperto?
R. – Sì, fino ad adesso è stata una protesta politica, quindi è stata una protesta contro la ricandidatura del presidente della Repubblica, dunque ci sono motivazioni meramente politiche. Il rischio è che questa protesta si incanali su una direttrice di carattere etnico, quindi la tradizionale divisione tra Hutu e Tutsi. E che possa non solo sfociare in una guerra civile. ma infiammare anche il vicino Rwanda che conosce più o meno le stesse dinamiche etniche. Va ribadito però che in questo momento è una protesta di carattere politico.
D. – Molti osservatori internazionali sono stati ritirati. l’Unione Europea e gli Stati Uniti minacciano di sospendere gli aiuti. Al momento, il Burundi è un Paese isolato sul piano diplomatico internazionale…
R. – Direi di sì. Gli Stati Uniti e Europa hanno sconsigliato l’organizzazione di queste elezioni e di quelle presidenziali che si terranno fra due settimane, proprio perché prima di andare alle urne sarebbe utile ci fosse un processo di riappacificazione nazionale che porti le parti, gli oppositori e il presidente, su posizioni più di dialogo democratico, cosa che invece adesso non c’è. Le proteste sono sempre state abbastanza dure in piazza e in molti quartieri di Bujumbura e queste proteste addirittura erano sfociate in un tentativo di golpe che poi è fallito il mese scorso.
D. – Nkurunziza continua a essere l’uomo forte del Paese?
R. – Il presidente ancora ha dalla sua parte grosse frange delle Forze armate e delle forze dell’ordine. Quindi, ha un suo seguito e ha dimostrato in queste ultime settimane di saper gestire la situazione perché tiene i fili del Paese. Bisognerà vedere fino a quando e se questo non esaspererà ancora i toni, che sono già abbastanza duri, della protesta.
D. – Cosa c’è da aspettarsi nelle prossime ore dopo il voto? Sarà un voto plebiscitario dopo il boicottaggio delle opposizioni?
R. – Il fatto che le opposizioni non si siano presentati significa che alla fine queste elezioni verranno ancora vinte dalle formazioni che sostengono il presidente. Come accennavo prima, la vera discriminante sarà l’affluenza alle urne: minore sarà l’affluenza alle urne, minore sarà anche l’attendibilità di questo risultato elettorale. Il problema è comunque che queste elezioni, come hanno ben detto Stati Uniti e Europa, rischiano di esacerbare ulteriormente gli animi che sono già abbastanza infiammati.
“Un cuore pensante”: diario dell'anima il nuovo libro di Susanna Tamaro
“Un cuore pensante” è il titolo dell'ultimo libro di Susanna Tamaro: edito da Bompiani, è la storia di una bambina diversa dalle altre che amava la solitudine, che si faceva molte domande e che sapeva sorprendersi della bellezza della natura. L'opera offre ai lettori un personale diario dell’anima della scrittrice triestina. Il cammino di fede, l’impatto con la morte e con il male, la questione dell’identità sessuale: tanti i temi con cui la Tamaro si confronta. Ma sentiamo la stessa autrice intervistata da Adriana Masotti:
R. – Viviamo in un mondo che ha un po’ dimenticato le domande. Abbiamo tante risposte, anche molto certe, ma le domande sono scomparse dall’orizzonte. Io credo che invece l’uomo sia fatto proprio per interrogarsi. Il bambino particolarmente si interroga e dobbiamo tornare ad ascoltare i bambini e ascoltare il bambino dentro di noi che ci fa delle domande.
D. – Domande anche sulla fede. Viene fuori un cammino di fede non lineare, con alti e bassi…
R. – Sì, ho voluto proprio parlare del cammino della fede, perché ho notato anche che, per esempio, i preti difficilmente parlano di come hanno trovato la fede. Sembra nel mondo contemporaneo che uno o ce l’ha come un pacco arrivato per posta oppure è sfortunato che non ce l’ha. Invece penso che la fede sia un cammino complicato, difficile, spesso accidentato, con momenti anche di silenzio, ma è il cammino in cui l’uomo ha realizzato talmente la sua umanità.
D. – La fede che cosa è per lei?
R. - E’ il centro totale della mia vita. E’ capire sempre dove sono, cosa sta succedendo e come mi devo comportare perché ho un codice interno che è dato dalla fede cristiana, naturalmente. Credo che la fede sia il massimo della libertà a cui un uomo possa aspirare nella sua vita.
D. - Tanti temi di attualità che emergono anche dalle pagine di questo libro… Uno è quello della identità sessuale: lei si confronta con la teoria gender che in questi tempi si vorrebbe imporre alle nuove generazioni, che vuole superare il dato naturale dei due sessi, il maschile e femminile…
R. – Sì, questo è un tema molto incandescente perché stiamo vivendo proprio un’ossessione ideologica in questo campo. E come tutte le ideologie e come tutte le ossessioni non porta con sé nulla di positivo. Naturalmente ci sono momenti nell’infanzia in alcune persone in cui si ha una difficoltà di identificazione sessuale. Io a una certa età l’ho avuta, volevo assolutamente essere un maschio perché volevo fare cose, nel futuro, comandare navi, avevo sogni che all’epoca negli anni ’50-’60 erano incompatibili con l’essere donna. Adesso non è più così. Al giorno di oggi se avessi manifestato questi desideri, sarei stata subito avviata a un percorso di cambiamento con psicologi ecc… mentre semplicemente si trattava di aspettare che questa fase finisse. Mio nonno mi regalò un costume da cowboy che placò queste mie ansie identificatorie e lentamente questa cosa si è spenta. Dunque accogliere, cercare di capire, ma sfuggire dalla ossessione ideologica che è una grande violenza che si fa ai bambini e alla vita.
D. – “Le lacrime sono state le compagne della mia infanzia”, scrive, e spesso ritorna questo tema del pianto…
R. – E’ vero ho pianto tantissimo e tuttora ho una grande propensione a piangere. Ma da piccola particolarmente sentivo questo: vedevo l’incompletezza del mondo e soffrivo per questa incompletezza, questo fatto che ci fosse sempre il male, che non ci fosse l’amore, questo mi faceva piangere in maniera straordinaria. Però essendo piccola non riuscivo a spiegare che piangevo perché vedevo le persone e non si amavano… E penso che il nostro tempo ha molto bisogno di queste lacrime.
D. - Un grande problema di questi giorni è anche l’immigrazione e il Papa parla di lacrime da versare su tutte queste persone…
R. – Sì, c’è questa disperazione, ci sono queste ondate bibliche di immigrazione che non ci aspettavamo, non siamo pronti e non sappiamo come gestire da tanti punti di vista. Però è sempre un umano che incontra un umano. L’ospitalità da Abramo in poi è il fondamento dell’umano: ci troviamo a dovere cambiare i nostri programmi in qualche modo, però questa è la storia e noi d’altra parte siamo una civiltà che, bisogna avere il coraggio, di dire che è alla fine. Quindi queste energie nuove che arrivano da mondi più giovani sono uno dei sensi della storia.
D. – Il bene e il male anche di questo parla il libro e lei sostiene che il male va riconosciuto col suo nome…
R. - Sì, uno degli smarrimenti attuali più forti, secondo me, è il fatto che nell’educazione si è smarrita quella distinzione molto chiara che c’è stata fino agli anni ’60 su ciò che è bene e ciò che è male. Adesso è male ciò che non mi piace ed è bene ciò che mi piace: questa è una deriva di distruzione pazzesca. Cominciare a mettere una linea di demarcazione molto chiara: questo è bene, questo è male, è una cosa fondamentale per salvare la nostra società e le nostre vite perché il bene e il male sono profondamente insiti nella nostra coscienza, sappiamo in realtà cosa è bene e cosa è male.
Ventimiglia, aumentano i migranti. Croce Rossa preoccupata
E' attesa per domattina a Cagliari una nave con a bordo 450 migranti che fanno parte del gruppo di 2.900 salvati ieri nel corso di 21 operazioni di soccorso a largo delle coste libiche, coordinate dalla Guardia Costiera e alla quale hanno preso parte Guardia di Finanza, la Marina Militare Italiana, un'unità militare britannica e una irlandese. Preoccupazione, intanto, è stata espressa dalla Croce Rossa per l’aumento del numero di migranti a Ventimiglia, il cui numero ad oggi è arrivato a 380 tra stazione e Centro di prima assistenza. Non c’è più posto: questo l’allarme della Croce Rossa Italiana (Cri) che sin dall’inizio assiste i profughi. Ottanta i migranti che invece mantengono il presidio sulla scogliera al confine con la Francia. Prosegue intanto incessante il flusso dei migranti lungo la "rotta Balcani". Provenienti da Asia e Medioriente, queste persone giungono in Serbia con l’idea di proseguire verso il nord Europa passando attraverso l’Ungheria, ragione per la quale Budapest ha annunciato la costruzione di un muro lungo i 175 chilometri di frontiera con la Serbia.
Israele blocca Freedom Flotilla. Hamas: è atto di pirateria
E’ forte polemica tra Hamas e Israele, dopo il fermo, senza incidenti e in acque internazionali, da parte della Marina israeliana dell’imbarcazione "Marianne" della Freedom Flotilla, diretta verso Gaza con lo scopo di forzare il blocco della Striscia. “E’ un atto di pirateria, in chiara violazione del diritto internazionale”, questa la reazione di Hamas che si appella al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, affinché "si assuma le proprie responsabilità" a protezione dei militanti costretti a raggiungere il porto israeliano di Ashdod. Intanto, il Consiglio di difesa del governo israeliano ha approvato la costruzione del primo tratto della barriera di sicurezza che correrà lungo il confine con la Giordania. Sarà lungo 30 chilometri e verrà costruito a nord di Eilat, a protezione della zona dove viene realizzato l’aeroporto di Timna.
L'Unesco: 34 milioni di non scolarizzati nei Paesi in guerra
Trentaquattro milioni tra bambini e adolescenti non sono scolarizzati nei Paesi toccati da un conflitto. I più vulnerabili sono i più duramente colpiti, per i più poveri la probabilità di non essere scolarizzati è di due volte più grande nei Paesi in guerra che in quelli in pace. Lo denuncia l’Unesco, che quantifica in 2,3 miliardi di dollari la cifra necessaria per l’istruzione dei bambini nei Paesi in guerra, si tratta di un importo che supera di dieci volte la quota di aiuti umanitari attualmente utilizzata per l'istruzione. Il documento dà la misura delle sfide rappresentate da questi conflitti: rispetto ai Paesi in pace, i bambini dei luoghi in guerra corrono un rischio superiore del 50% di non poter studiare, per gli adolescenti sale al 60%, mentre per le ragazze arriva addirittura al 90%.
Card. Bagnasco ricorda Giovanni Canestri a 2 mesi dalla morte
"Sempre pronto e disponibile, fin quando la malattia glielo permise aveva una parola e un sorriso per tutti": a due mesi dalla morte, il cardinale Angelo Bagnasco ha ricordato così, ieri, la figura del cardinale Giovanni Canestri, arcivescovo emerito di Genova, durante una messa in suffragio nella chiesa romana di Sant’Andrea della Valle. “Dedito al suo clero, promotore del laicato, curatore di una forte vita spirituale, coltivatore di un continuo, sano aggiornamento culturale, teologico e pastorale – queste le parole del presidente della Cei – le sue omelie, ancorate alla Parola di Dio e arricchite da molti riferimenti letterari e filosofici, ne sono testimonianza”.
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 180