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Sommario del 27/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a Patriarcato ecumenico: non smetto mai di pregare per l’unità

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“Non smetto mai di pregare Dio” affinché un giorno parteciperemo “insieme alla Mensa eucaristica”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nel discorso rivolto stamani alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, in occasione della tradizionale visita a Roma per la Festa dei Santi Pietro e Paolo. Francesco ha quindi sottolineato il comune impegno con il Patriarca Bartolomeo sul tema dell’ambiente, ricordando la recente pubblicazione di “Laudato si’”. Nell’occasione, il Patriarca ortodosso Bartolomeo I ha inviato un messaggio al Pontefice. Il servizio di Alessandro Gisotti

Papa Francesco ha ricordato innanzitutto il profondo rapporto che unisce le Chiese sorelle di Roma e di Costantinopoli, riandando con la memoria alla visita al Patriarcato ecumenico in occasione della Festa di Sant’Andrea, lo scorso novembre.

Non smetto mai di pregare per l’unità
"L’abbraccio di pace" scambiato con Bartolomeo I, ha detto il Papa, è stato segno eloquente di “carità fraterna che ci anima nel cammino di riconciliazione e che ci permetterà un giorno di partecipare insieme alla Mensa eucaristica”:

“Il raggiungimento di tale meta, verso la quale siamo con fiducia incamminati, rappresenta una delle mie principali preoccupazioni, per la quale non smetto mai di pregare Dio. Auspico pertanto che possano moltiplicarsi le occasioni di incontro, di scambio e di collaborazione tra fedeli cattolici e ortodossi, in modo che, approfondendo la conoscenza e la stima reciproche, si riesca a superare ogni pregiudizio e incomprensione, retaggio della lunga separazione, e ad affrontare, nella verità ma con spirito fraterno, le difficoltà che ancora sussistono”.

Non scoraggiarsi per i problemi che si incontrano nel dialogo
Il Papa ha così incoraggiato il lavoro della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa:

“I problemi che si possono incontrare nel corso del dialogo teologico non devono indurre a scoraggiamento o rassegnazione. L’attento esame di come si articolano nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le nostre Chiese”.

Francesco ha dunque assicurato le sue preghiere per il prossimo Sinodo pan-ortodosso e ha chiesto di pregare per il Sinodo sulla famiglia in Vaticano, per il quale – ha detto – “attendiamo la partecipazione di un Delegato fraterno del Patriarcato ecumenico”. Infine, il Papa ha ricordato l’impegno comune con il Patriarca Bartolomeo in difesa dell’ambiente suggellato dalla presenza alla presentazione dell’Enciclica “Laudato si’” del metropolita di Pergamo Zizioulas, che ha anche rivolto l’indirizzo d’omaggio al Papa durante l’udienza odierna.

Messaggio del Patriarca Bartolomeo I
Nell’occasione, il Patriarca Bartolomeo ha inviato un messaggio al Papa evidenziando la gioia di vedere le Chiese di Roma e Costantinopoli unite nella memoria dei Santi comuni. Quindi, ha incoraggiato a impegnarsi nel superare ogni ostacolo al dialogo per offrire una testimonianza comune del Vangelo all’uomo contemporaneo. Bartolomeo non ha poi mancato di ribadire il suo apprezzamento per l’Enciclica "Laudato Si’" mettendo l’accento sull’urgente bisogno di proteggere l’ambiente naturale minacciato dall’umana avidità.

 

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Papa canonizza genitori Santa Teresa di Lisieux e due Beati

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Questa mattina, alle ore 10, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, durante la celebrazione dell’Ora Terza, Papa Francesco ha tenuto il Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione dei Beati Vincenzo Grossi, sacerdote diocesano, fondatore dell’Istituto delle Figlie dell’Oratorio; Maria dell’Immacolata Concezione, religiosa, superiora generale della Congregazione delle Sorelle della Compagnia della Croce; Ludovico Martin, laico e padre di famiglia e Maria Azelia Guérin, laica e madre di famiglia, coniugi e genitori di Santa Teresa di Lisieux. Nel corso del Concistoro, il Papa ha decretato che i Beati siano iscritti nell’Albo dei Santi.

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Messaggio del Papa sul viaggio: “Porto la tenerezza di Dio”

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“Voglio essere testimone di questa gioia del Vangelo e portare la tenerezza e la carità di Dio”. Lo afferma Papa Francesco nel videomessaggio indirizzato alle popolazioni di Ecuador, Bolivia e Paraguay che accoglieranno il Papa durante il viaggio apostolico dal 5 al 13 luglio prossimi. Il servizio di Roberta Barbi: 

Tra pochi giorni Papa Francesco volerà nelle periferie del continente sudamericano e come chi, alla vigilia di un viaggio in cui incontrerà tante persone, prova il desiderio forte di passare del tempo con loro per condividerne le preoccupazioni, ma anche per manifestare loro il proprio affetto e la propria vicinanza, in un videomessaggio saluta anticipatamente i fedeli, esprimendo la sua vicinanza, simpatia e buona volontà, dedicando come sempre la sua visita ai più svantaggiati:

“Quiero ser testigo de esta alegría del Evangelio…
Voglio essere testimone di questa gioia del Vangelo e portare la tenerezza e la carità di Dio, nostro Padre, specialmente ai suoi figli più bisognosi, agli anziani, ai malati, ai carcerati, ai poveri, a quelli che sono vittime di questa cultura dello scarto”.

È "l’amore del Padre misericordioso che ci permette di scoprire senza misura il volto di Suo Figlio Gesù in ogni fratello, in ogni sorella e nel prossimo", quello che accompagna il Papa in questo viaggio e che Francesco intende portare a ogni persona che incontrerà, a ogni volto, a ogni sguardo che incrocerà. Per farlo, però, è necessario avvicinarsi, farsi prossimo alla stregua del Buon Samaritano, come ricorda Gesù al dottore della legge che gli chiede chi è questo “prossimo”. È il fuoco della carità, dice, quello che deve bruciare in ognuno di noi:  

“En estos días previos a nuestro encuentro…
In questi giorni precedenti al nostro incontro, rendo grazie a Dio per voi e chiedo che siate perseveranti nella fede, che abbiate il fuoco dell’amore, della carità, e che vi manteniate saldi nella speranza che non delude mai. Vi prego di unire le vostre preghiere alle mie perché l’annuncio del Vangelo arrivi alle periferie più lontane e che continui a far sì che i valori del Regno di Dio siano fermento della terra anche nei nostri giorni”.

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Motu Proprio. Il Papa crea la Segreteria per le Comunicazioni

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Papa Francesco ha creato con un Motu Proprio un nuovo dicastero della Curia Romana: è la Segreteria per la Comunicazione, organismo nel quale - si afferma – “confluiranno nei tempi stabiliti” Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Sala Stampa della Santa Sede, Servizio Internet Vaticano, Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, L’Osservatore Romano, Tipografia Vaticana, Servizio Fotografico, Libreria Editrice Vaticana. Il prefetto della neonata Segreteria per la Comunicazione sarà mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Risanamento” e “riorganizzazione” nel senso di una integrazione dei media vaticani, perché “l’attuale contesto comunicativo, caratterizzato dalla presenza e dallo sviluppo dei media digitali, dai fattori della convergenza e dell’interattività, richiede un ripensamento del sistema informativo della Santa Sede”. Scrive così Papa Francesco nelle righe iniziali del suo Motu Proprio spiegando le ragioni della riforma del comparto mediatico.

Gestione unitaria
Il Motu proprio tira le fila di un lungo lavoro di progettazione e riforma iniziato un anno fa e portato a termine dalla Commissione dei Media Vaticani, istituita il 30 Aprile scorso. La volontà di Francesco è che tale riorganizzazione, “valorizzando quanto nella storia si è sviluppato all’interno dell’assetto della comunicazione della Sede Apostolica, proceda decisamente – scrive – verso una integrazione e gestione unitaria”. Con la nuova “Segreteria per la Comunicazione”, conclude il Papa, “il sistema comunicativo della Santa Sede risponderà sempre meglio alle esigenze della missione della Chiesa”.

Le cariche
A dirigere la nuova struttura, Papa Francesco ha chiamato mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Ctv, che sarà coadiuvato dal segretario, mons. Lucio Adrian Ruiz, capo ufficio del Servizio Internet Vaticano. Il direttore generale sarà Paolo Nusiner, direttore generale di Avvenire, Nuova Editoriale Italiana, e vicedirettore Giacomo Ghisani, responsabile delle Relazioni Internazionali e Affari Legali della Radio Vaticana e membro del Consiglio di Amministrazione del Centro Televisivo Vaticano.

Una graduale integrazione
Andando nel dettaglio, il primo dei quattro articoli del Motu Proprio stabilisce che “nei tempi stabiliti” confluiranno nella nuova Segreteria il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, la Sala Stampa della Santa Sede, il Servizio Internet Vaticano, la Radio Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano, L’Osservatore Romano, la Tipografia Vaticana, il Servizio Fotografico e la Libreria Editrice Vaticana. Tutti questi organismi con l’entrata in vigore del Motu Proprio dovranno, afferma l’art. 2, “proseguire nelle attività proprie, attenendosi, però, alle indicazioni date dalla Segreteria per la Comunicazione”. L’art. 3 afferma che il nuovo dicastero, “in accordo con la Segreteria di Stato, assumerà il sito web istituzionale della Santa Sede “vatican.va” e il servizio Twitter del Sommo Pontefice “@pontifex”.

L’ultimo articolo, fissando al 29 giugno 2015 l’inizio delle funzioni della Segreteria per la Comunicazione, indica anche come sua sede provvisoria Palazzo Pio, che ospita le redazioni e gli uffici della Radio Vaticana.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il card. Marc Ouellet, P.S.S., Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Nel pomeriggio di ieri, venerdì 26 giugno, il Papa ha ricevuto in Udienza: mons. Blase J. Cupich, Arcivescovo di Chicago (Stati Uniti d’America). Nel pomeriggio di giovedì 25 giugno, il Papa ha ricevuto in udienza: il card. João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica  con il Segretario del medesimo dicastero, mons. José Rodríguez Carballo, O.F.M., Arcivescovo tit. di Belcastro; mons. Eduardo Eliseo Martín, Arcivescovo di Rosario (Argentina); mons. Gustavo Óscar Zanchetta, Vescovo di Orán (Argentina).

Francesco ha nominato membri della Congregazione per le Chiese Orientali i cardinali Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom‑Budapest, Thomas Christopher Collins, Arcivescovo di Toronto, Ricardo Blázquez Pérez, Arcivescovo di Valladolid; e i monsignori Menghesteab Tesfamariam, M.C.C.J., Arcivescovo di Asmara, e Fűlőp Kocsis, Arcivescovo di Hajdúgorog per i cattolici di rito bizantino.

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Tweet Papa: la Chiesa è una madre dal cuore aperto, pronta ad aiutare tutti

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“La Chiesa è una madre dal cuore aperto, pronta ad aiutare tutti, specialmente chi fa più fatica”. E’ il tweet pubblicato da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

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Ecumenismo e musica: concerto Cappella Sistina e Coro Anglicano

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Stasera alle ore 18, presso la Cappella Sistina, nuova tappa del progetto di incontro ecumenico attraverso la musica avviato nel 2012 dalla Cappella Pontificia. Guidati dal maestro, don Massimo Palombella, i cantori saranno affiancati dal coro Anglicano di New College di Oxford, diretto da Robert Quinney. In programma musiche di entrambe le tradizioni, da Tallis a Palestrina, da Purcell e Parry: è ”un segno importante” spiega, parlando del progetto ecumenico, il direttore della Cappella musicale Sistina don Massimo Palombella. L’intervista è di Gabriella Ceraso: 

R. – Il progetto è nato con Benedetto XVI proprio nella logica di cercare percorsi di unità, rintracciando le fonti comuni. La Cappella Musicale Pontificia è un luogo di studio e di ricerca tra passato, presente e futuro. In questa logica può creare percorsi di unità con i fratelli non in piena comunione con noi – la comunità anglicana, la comunità luterana, gli ortodossi – accorgendoci che sono più le cose che ci uniscono a livello culturale, che quelle che ci dividono per vicissitudini storiche.

D. – Nella logica dell’incontro ecumenico è anche il repertorio che voi proponete vicendevolmente…

R. – Noi cantiamo anche il repertorio tipico della tradizione anglicana, e il coro del College di Oxford canta il repertorio tipico della nostra tradizione cattolica. Quindi inizieremo il concerto con il “Tu es Petrus” di Palestrina, e finiremo con il “Credo” della Missa Papae Marcelli di Palestrina; ma noi canteremo “My Soul” di Parry che è tipico della tradizione anglicana. E la stessa cosa si verificherà alla Celebrazione Eucaristica di lunedì 29 giugno.

D. – Il 29 giugno è un appuntamento canonico per Roma, ma anche per voi, come impegno musicale. In quella occasione nella Basilica di San Pietro ci sarà il Papa per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo: le chiedo il valore di questo appuntamento per voi e per la Chiesa:

R. – Per noi, come Cappella Sistina, è in qualche modo il completamento di un anno di lavoro in una grandissima solennità. E' infatti una delle poche volte dell’anno in cui si canta il “Tu es Petrus” all’inizio della Celebrazione. C'è il grande valore ecclesiale della consegna dei pallii e la delegazione ortodossa presente: quindi un valore grande nell’accezione più completa della Chiesa. E ci sarà poi questa presenza ecumenica dal punto di vista musicale, all’interno della Celebrazione, con il coro anglicano. E il significato è grosso perché un conto è fare un concerto, un conto è incontrarsi in una realtà viva come la Liturgia. La Liturgia è il cuore della Chiesa. Quindi il fatto che anglicani e cattolici cantino insieme sforzandosi di trovare punti comuni ha un grande valore "segnico" se posto dentro la Liturgia. All’Offertorio troveremo un canto tipico della tradizione anglicana, il secondo canto di Comunione sarà tipico della tradizione anglicana; ma gli anglicani insieme a noi canteranno il “Tu es Petrus” all’inizio della Celebrazione, il “Credo” della Papae Marcelli nel luogo celebrativo in cui si canta il “Credo”. E ci stiamo preparando, guardando all’Anno della Misericordia che abbiamo davanti, a un grande progetto, per il prossimo 29 giugno 2016, proprio nella linea della "misericordia" e di respiro ecumenico. Lo faremo insieme, cattolici, anglicani, luterani, ortodossi, cioè tutte quelle realtà che in questi anni abbiamo contattato. 

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Sinodalità e servizio: il Papa a una delegazione del Patriarcato ecumenico alla vigilia della solennità dei Santi Pietro e Paolo.

L’attuale contesto comunicativo: motu proprio di Papa Francesco per l’istituzione della Segreteria per la comunicazione.

Un articolo di Paolo Vian dal titolo “Pastori buoni, non mercenari”: conclusa l’edizione delle lettere di Adamo di Perseigne.

Processo all’umanità: Giovanni Cerro sul diavolo in Paradiso tra diritto, teologia e letteratura.

Radegonda, Gelesvinta e le altre: Mauro Papalini sulla poesia di Venanzio Fortunato.

Sinfonia di civiltà: Louis Godart recensisce una mostra al Vittoriano dedicata a Italia e Cina.

Anche un secondo può essere per sempre: Gabriele Nicolò sulle “Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie” pubblicato 150 anni fa.

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Oggi in Primo Piano



Terrorismo: allerta nel mondo. Tunisi chiude 80 moschee

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Livelli di allerta massima in tutto il mondo dopo la lunga scia di attentati firmati dall’estremismo islamico che ieri ha colpito in Africa, Europa e Asia, suscitando cordoglio e sdegno. L’attacco più grave in Tunisia dove sono 38 finora i morti tra i turisti presenti sulla spiaggia di Sousse. Lutto anche in Kuwait e in Francia per gli attentati di ieri. L’Eliseo avverte: dobbiamo imparare a convivere con la minaccia costante, ma agiremo senza sosta. Dal premier italiano, Matteo Renzi, l'appello ai Paesi dell'area europea e asiatica a collaborare nel contrasto al terrorismo.Il servizio di Gabriella Ceraso

E’ stata una notte di rimpatri a Tunisi: tanti i turisti che hanno lasciato i resort del golfo di Hammamet, teatro ieri della strage di 38 bagnanti da parte di un commando armato arrivato via mare. Una decina i cadaveri riconosciuti, sono per lo più britannici. E da Londra il premier Cameron commenta: “Non c'e' posto per questi estremisti, li sconfiggeremo". Intanto, stretta sulla sicurezza da parte del governo tunisino che ha chiuso ottanta moschee e ha richiamato i riservisti. Stato islamico in azione anche a Londra: stamani sventato un attentato in occasione di una parata militare a Merton, mentre resta allerta massima nella regione di Lione in Francia, teatro ieri dell’assalto ad un impianto di gas industriale a St. Quentin Fallaviers, con la decapitazione di un uomo per mano di Yassin Salhi, 35 anni, seguace dell’Is, ancora sotto interrogatorio insieme a tre familiari. Ignoti tuttora i motivi del suo gesto. Sicurezza rinforzata anche in tutto il Kuwait, dopo l'attentato kamikaze rivendicato dal sedicente Stato islamico che ha colpito ieri la moschea sciita di Imam al-Sadiq, nel centro di Kuwait City. 26 i morti e 227 i feriti.

Sul significato di questa scia di attacchi, il parere di Matteo Pizzigallo, esperto di Relazioni internazionali all’Università Federico II di Napoli. L’intervista è di Massimiliano Menichetti

 R. – Stiamo assistendo a una escalation nella quale lo Stato islamico vuole dimostrare la sua capacità militare, la sua forza, la sua organizzazione, in grado di creare terrorismo diffuso globale, che colpisca tutti. La cosa sulla quale riflettere è che sono state colpite città lontane quasi simultaneamente, in un giorno che ha un significato molto importante: la celebrazione macabra dell’anniversario di un anno dalla presa di Mosul. La strategia di fondo è quella di gettare nel panico tutti coloro che si oppongono all’Is.

D. – In Kuwait, un attentatore è entrato in una moschea sciita e si è fatto esplodere al grido di “Allah è grande”. Un attacco contro i musulmani, oltre che contro l’Occidente. Come stanno le cose, secondo lei?

R. – E’ l’uno e l’altro. C’è una specie di priorità di obiettivo. Primo punto è quello della guerra contro gli sciiti, per riaffermare il primato della confessione sunnita rispetto agli altri. E poi, contemporaneamente, bisogna portare la guerra in Occidente e gettare l’Europa nel panico. I due fronti sono simultanei, ci si muove nello stesso tempo.

D. – Si alza l’allarme praticamente in tutto l’Occidente. Quale deve essere la risposta internazionale?

R. – Penso che l’ispirazione che ci ha dato il Santo Padre nell’approccio alla politica globale e internazionale in questo momento sia importante e decisiva, nel senso che bisogna – come ha detto il presidente francese Hollande – non farsi prendere dal panico, non abbassare la guardia, non avere timore e non avere paura. In secondo luogo, si deve intensificare l’attività di Intelligence, di informazione e di prevenzione, per quello che riguarda la sicurezza delle città europee. E, in terzo luogo, richiamandomi al pensiero del Santo Padre, bisogna avviare una riflessione complessiva sulla gestione delle relazioni internazionali e della politica internazionale, cioè cominciare ad avviare una riflessione per cercare di rimuovere le cause profonde che determinano il disagio e le guerre in larga parte del continente.

D. – Ma come si interviene concretamente in un’area dove giocano molte forze, come gli Stati Uniti, la Russia, le monarchie del Golfo?

R. – L’Iran, la Russia, le monarchie del Golfo, la Turchia sono un problema e allora devono fare parte anche della soluzione del problema, ossia la pace si fa con tutti. Quindi, bisogna sedersi intorno a un tavolo e prendere atto che sono falliti definitivamente, si sono frantumati i confini di tutta l’area del Medio Oriente, così come furono concepiti alla fine della Prima Guerra mondiale. Quindi, di conseguenza, bisogna convocare una grande conferenza internazionale in cui, senza preclusioni, pregiudizi ideologici da parte di nessuno degli attori statuali e non statuali, muoversi in questa direzione. E se questo costerà il sacrificio di ridisegnare quelle frontiere che, peraltro, non furono disegnate dai popoli che ci abitavano, ma furono disegnate dalle grandi potenze, questo dovrà essere accettato.

D. – Non sono i bombardamenti in Iraq e in Siria che risolvono la questione…

R. – Non bastano. La militarizzazione del problema non è la soluzione del problema, può servire soltanto, nel brevissimo periodo, a fiaccare una resistenza ed attività. In due anni, ha visto, non si è prodotto niente.

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Mons Antoniazzi: Is vuole distruggere la pace della Tunisia

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Una nazione pacifica e ospitale “sotto choc”. È lo sguardo dell’arcivescovo di Tunisi sulla città che ha per la seconda volta i pochi mesi conosciuto in modo brutale la violenza del terrorismo jihadista. Mons. Ilario Antoniazzi, racconta il dolore della Chiesa locale per l’accaduto al microfono di Oliver Bonnel

R. – Noi vivevamo, dopo l’attacco del Bardo, con tanta speranza: che ciò che era successo al Museo fosse un temporale, che ha fatto sì delle vittime, ma ormai passato... Vedendo anche la reazione del popolo tunisino, che ha reagito molto positivamente, pensavamo che fosse qualcosa di passato, che non si sarebbe più rivisto. Ed è per questo che è stato uno choc molto forte per il popolo tunisino, e anche noi come Chiesa non ci aspettavamo una cosa simile. Dico “come Chiesa” perché noi siamo parte integrante di questo popolo: ci siamo sentiti anche noi offesi, insultati, e abbiamo sentito in maniera forte questa sofferenza, che è nostra ed è quella del popolo tunisino, perché porta un pregiudizio molto grande contro la popolazione, che è ospitale e accogliente verso i turisti e verso tutti. Basti pensare che la Tunisia è l’unico Paese in tutto il Maghreb dove si può venire senza visto, senza nessuna difficoltà. E allora, adesso quello che è successo ci ha riportato indietro nella storia, al tempo della rivoluzione, quando si aveva paura… Speriamo – e sono sicuro – che il popolo tunisino saprà reagire ancora e creare un futuro di speranza. Il lavoro della Chiesa è proprio questo: ridare a questo popolo una speranza che adesso ha un po’ perduto, perché sperava in una pace, in una serenità, in un lavoro per tutti e in una ripresa del turismo. E certamente quello che è successo è anche un po’ un colpo di grazia per il turismo, che da lavoro a migliaia di persone qui in Tunisia.

D. – Ha parlato del compito della Chiesa e dei cristiani tunisini di fronte a questa minaccia del radicalismo e del terrorismo. Come è vissuta la coesistenza tra i musulmani e i cristiani in questo contesto?

R. – Prima di tutto bisogna dire che il popolo tunisino non è un popolo estremista, che ama il terrorismo o la violenza: è un popolo pacifico. La prova è che anche noi, come Chiesa, non abbiamo mai avuto neanche il minimo problema, non siamo mai stati minacciati e non abbiamo mai dovuto chiamare la polizia. Siamo veramente contenti di essere qui e di poter lavorare in Tunisia. La nostra Chiesa, naturalmente, si è messa al servizio di questo popolo tramite le scuole, gli ospedali e le attività quotidiane. E noi collaboriamo con loro: basti pensare che nelle nostre scuole  quasi tutti i maestri sono musulmani, gli alunni sono musulmani, e ci rispettano, ci vogliono bene e tutti vogliono iscrivere gli alunni nelle nostre scuole. C’è oggi una grande collaborazione, un grande rispetto reciproco e un forte apprezzamento del popolo tunisino verso la Chiesa e il suo lavoro qui in Tunisia. Per questo quello che è successo a Sousse in questi giorni non mette per niente in discussione la fiducia che esiste tra noi e il popolo tunisino. E anche l’attacco non è stato contro la Chiesa, ma contro i turisti: vogliono distruggere e dare l’idea che il popolo tunisino non sia pacifico, accogliente e ospitale, e questo non è assolutamente vero! Noi siamo contenti di essere qui come Chiesa, di lavorare e di fare il possibile perché questo popolo possa ritrovare la serenità e la pace.

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Bruxelles decide sulla Grecia dopo l'annuncio del referendum

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E’ in corso in queste ore a Bruxelles una riunione dell’Eurogruppo, definita “cruciale” per le sorti della Grecia in Europa. Da definire l’estensione del piano d’aiuti dopo che ieri sera, a sorpresa, il premier Tsipras ha annunciato che sottoporrà ogni eventuale accordo a un referendum popolare, che si terrà il prossimo 5 luglio. Sulle ragioni che hanno portato a questa scelta, Michele Raviart ha intervistato il professor Carlo Altomonte, docente di Politiche economiche all’università Bocconi di Milano: 

R. – Tsipras era un po’ preso tra due fuochi, perché sostanzialmente un accordo troppo soffice che avesse avuto il “placet” dei creditori non sarebbe stato recepito in parlamento, e un accordo troppo duro recepito dal parlamento non sarebbe stato approvato dai creditori. Preso tra due fuochi, ha fatto forse l’unica cosa – dal suo punto di vista – possibile e cioè lasciare la parola ai cittadini e consentire loro di esprimersi. Scelta, ovviamente, rischiosa.

D. – Qualora passassero le ragioni del “no”, quale futuro si prospetta per la Grecia?

R. – Temo che da lunedì – si è già visto oggi – i cittadini greci, nell’incertezza, andranno a ritirare i propri depositi dalle banche. A questo punto bisognava bloccare l’accesso ai conti correnti, bisognerà in qualche modo introdurre controlli sui movimenti di capitale e da qui al 5 luglio, secondo me, la Grecia vedrà già che cosa si prospetta nel caso in cui si votasse “no”: cioè un "default" e poi da lì tutta una serie di conseguenze legate al funzionamento delle banche.

D. – Ci sono dei precedenti a livello europeo o internazionali di politiche economiche decise per via referendaria?

R. – Nella storia recente no, perché il referendum del 2011, che gli stessi greci volevano tenere con Papandreu, dopo tre giorni è stato ritirato proprio per evitare questa situazione delicata sui depositi bancari. Non è ovviamente escluso. Lo strumento referendario poi, in passato, è anche sempre stato anche utilizzato per decidere in questioni economiche: pensiamo in Svizzera, per esempio sulla destinazione dell’oro della Banca Centrale svizzera. Però, queste sono sicuramente situazioni molto diverse.

D. – E’ legittimo che la politica demandi al popolo di esprimere pareri su delle scelte economiche?

R. – In ultima analisi, comunque sarebbe stato demandato al popolo, perché nel momento in cui Tsipras sa che probabilmente non avrebbe avuto sostegno nel parlamento greco, che rappresenta il popolo, sul pacchetto di aiuti, non sta facendo altro che anticipare sostanzialmente la crisi di governo che sarebbe arrivata dall’accettazione del programma di aiuti e quindi verosimilmente nuove elezioni. Dal punto di vista politico, la mossa di Tsipras ovviamente ha senso: è che temo non sia stata concordata con gli altri partner e quindi questo probabilmente è stato visto non benissimo. Bisogna capire che cosa verrà detto ai cittadini greci, in che misura verranno informati in maniera non demagogica della reale portata della situazione. Anche se, ripeto, probabilmente i mercati glielo faranno capire già questa settimana.

D. – Perché il piano dei creditori, che ieri era stato definito come una grande concessione fatta alla Grecia, è giudicato ancora inaccettabile?

R. – Da un punto di vista tecnico, la distanza economica che separa le proposte greche da quelle europee è di pochi miliardi di euro, quindi poca roba. Però, la natura delle misure è diversa. Le istituzioni vogliono più riforme sostenibili nel lungo periodo, quindi più tagli alla spesa, più riforma delle pensioni, più riforma dell’Iva. La Grecia in questo momento è piuttosto disposta ad aumentare il carico fiscale a carico delle imprese. C’è poi però anche una questione più politica. La Grecia negli ultimi quattro mesi ha avuto una tattica negoziale abbastanza sconsiderata: faceva delle cose a Bruxelles, poi le disfaceva ad Atene, un ministro parlava sopra all’altro, non si capiva chi fosse “in charge”, tabelle vere con i numeri non ne abbiamo viste se non davvero nell’ultimo mese e quindi c’è anche una sensazione di sfiducia da parte dei creditori e quindi non si fa più affidamento su nessuna proposta che non sia chiarissima e dettagliata.

D. – Abbiamo parlato della corsa ai bancomat: c’è un rischio di collasso prima del referendum?

R. – Fondamentalmente, per quattro-cinque giorni il sistema bancario greco sopravvive. Probabilmente, verranno inseriti dei limiti al prelievo in contante, ma non dovrebbe esserci un collasso. Però, sicuramente qualche situazione di tensione è probabile. Detto questo, poi, dal 5 luglio in poi bisognerà vedere.

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Corte Suprema Usa: nozze gay in tutti gli Stati

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“Un’interpretazione individualistica dei diritti umani da una sentenza che cancella le diversità che esistevano nel sistema federale americano”. Così il costituzionalista, Carlo Cardia, commenta la decisione della Corte suprema Usa che ieri, con 5 voti favorevoli e 4 contrari, ha stabilito che la Costituzione statunitense garantisce il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso su tutto il territorio. Di “vittoria” parla il presidente, Barack Obama, mentre per i vescovi statunitensi è “un tragico errore che danneggia il bene comune e i bambini”. Sul valore della sentenza ascoltiamo lo stesso Cardia nell’intervista di Paolo Ondarza

R. – Il valore è che hanno voluto cancellare le diversità che esistono nel sistema federale americano, perché diversi Stati avevano orientamenti differenti. Quindi, è stata un po’ una forzatura da un punto di vista costituzionale. Il significato più importante è che Obama ha dato una ulteriore spinta a quella che era già la sua tendenza naturale a una interpretazione puramente individualistica dei diritti umani.

D. – Il ruolo di Obama, lei lo ha anticipato, è stato quindi determinante: lui ha parlato di vittoria, ieri, e si è sempre detto in prima linea nel riconoscimento dei diritti gay…

R. – Assolutamente, il ruolo di Obama è stato determinante, perché da diversi anni lui spinge per il riconoscimento del matrimonio gay – perché invece per i diritti dei gay ci sarebbe un largo accordo tra le forze del Paese. Oltre che per il matrimonio gay, si è anche molto speso per l’introduzione delle pratiche abortive fino a limitare l’obiezione di coscienza: questo è un grande tema che noi avremo davanti, perché si sta spingendo anche all’Onu per riconoscere l’aborto come diritto umano. Noi abbiamo questo panorama un po’ negativo, perché prevale una lettura, come dicevo prima, individualistica dei diritti umani e non viene preso in considerazione il profilo solidaristico. Faccio degli esempi molto concreti: quando si parla di matrimonio gay, non si dice nulla sui diritti dei minori che saranno dati in adozione alle coppie gay perché quella è una conseguenza naturale… Non si parla dei diritti dei minori ad avere un genitore mamma e un genitore papà. Non si parla, nell’ambito delle pratiche della fecondazione artificiale, della condizione servile delle donne che ricorrono – per necessità economiche o per tante ragioni – alla maternità surrogata. Ecco, questi aspetti solidaristici, che sono anche il tessuto delle Carte internazionali dei diritti umani, li abbiamo davanti come prospettiva e dovremo impegnarci per farli riemergere. Purtroppo, noi sappiamo che non è solo una tendenza americana: di recente il parlamento europeo ha adottato una raccomandazione perché gli Stati europei vadano verso il riconoscimento dei matrimoni gay. Quindi, noi vediamo che è un progetto che sta andando avanti con degli obiettivi molto chiari, in cui però l’elemento solidaristico, cioè il contemperamento dei diritti – quelli miei con quelli degli altri – viene meno.

D. – Bisogna registrare che, da una parte, queste decisioni vengono prese ad alti livelli istituzionali, ma ci sono larghe fette della popolazione che hanno opinioni diverse su queste tematiche…

R. – C’è una forte pressione di gruppi sulle istituzioni. Le istituzioni, a un certo momento, anche con l’autorevolezza che viene loro, pensano di poter “chiudere il capitolo”, come ha pensato di fare il parlamento europeo, pur essendo la sua – ripeto – solo una raccomandazione, perché non ha competenze in materia. In questo senso, è una forzatura notevole: per esempio, in Europa molti Stati non sono assolutamente d’accordo su questa tematica.

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Commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della domenica

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Nella tredicesima domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù guarisce una donna che aveva perdite di sangue e risuscita la figlia di Giàiro. Alla bambina dice:

“'Talità kum', che significa: 'Fanciulla, io ti dico: àlzati!'. E subito la fanciulla si alzò e camminava”.

Su questo brano evangelico, ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti

Il Vangelo di oggi, nella sua semplicità – Gesù cura una donna che ha delle perdite di sangue e risuscita una fanciulla – potrebbe darci un’idea distorta del Signore e della sua missione. Questo Gesù, che si lascia toccare dalla donna, e la guarisce; questo Gesù che pronuncia in aramaico, la sua lingua, una semplice parola su una ragazza morta: “Talità kum”: “Fanciulla, àlzati!” e la rimette in piedi, viva, non è il Signore di cui abbiamo bisogno? L’uomo, che da sempre è alla ricerca di rimedi, di risposte ai suoi mali, alle sue sofferenze, non ha trovato qui il taumaturgo, il guaritore? Di cos’altro abbiamo bisogno? Letto così il Vangelo di oggi è stravolto. Non è certo questo il motivo per cui viene proclamato nella liturgia della Chiesa. La missione di Gesù non è di arrivare lì dove la scienza e la medicina hanno fallito, o non sanno ancora cosa fare, per inaugurare qui sulla terra un’era di pace e di benessere, un “mondo migliore”. Per quanto questo sogno possa attirarci, per quanto esso sia distribuito a piene mani da tanti falsi profeti, rimane un sogno, perché completamente fuori della realtà e contrario alla rivelazione. L’uomo è chiamato a confrontarsi ogni giorno con il male, fisico e morale, malattie e peccato: il mistero di iniquità all’azione nel mondo. Le guarigioni che Gesù opera sono la buona notizia che annuncia che in questo mondo, dominato dal principe del male, dal demonio, è giunta la liberazione di Dio che ridà all’uomo la sua dignità di figlio di Dio, che ricongiunge l’uomo al suo Dio, che gli ridà la vita.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi africani: non stigmatizzare malati di Aids

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Sviluppare un approccio compassionevole, efficace e non stigmatizzante nei confronti dei malati di Aids in Africa: è stato questo l’obiettivo del seminario tenutosi in questi giorni a Lomé, in Togo, ed organizzato dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam). In particolare – informa una nota - l’evento è stato dedicato ai Paesi francofoni del continente ed ha visto la partecipazione di 35 rappresentanti. Al centro dei lavori, la riflessione su come diffondere e far recepire, nel miglior modo possibile, il manuale realizzato dal Secam ed intitolato “La Pastorale in risposta al virus Hiv ed all’Aids”.

Mettere in pratica la Dottrina morale e sociale della Chiesa
Questo volume “rappresenta gli sforzi della Chiesa in Africa per mettere in pratica le raccomandazioni del secondo Sinodo speciale dedicato al continente, svoltosi nel 2009”. Una delle Proposizioni finali dell’Assise, infatti, la numero 51, chiedeva espressamente che il Secam preparasse “un manuale pastorale sull’Hiv/Aids per tutti coloro che sono coinvolti nel ministero della Chiesa per l’Aids (preti, religiosi, medici, infermieri, consulenti, catechisti, insegnanti) nell’attuazione della dottrina morale e sociale della Chiesa nelle diverse situazioni in cui il Popolo di Dio in Africa affronta le diverse sfide della pandemia”. Approvato nel 2012, quindi, il manuale ha avuto l’imprimatur di mons. Robert Vitillo, consigliere speciale per l'Aids della Caritas Internationalis.

Affrontare la sfida per cambiare la società
Di qui, il richiamo del convegno affinché si realizzino linee-guida per una diffusione capillare del testo, così da affrontare “la sfida di un cambiamento ampio e reale” nell’approccio delle persone in risposta a questa patologia. I lavori si sono articolati in tavole rotonde, relazioni di consulenti, momenti di riflessione teologica e spirituale e visite a progetti specifici del settore realizzati in Togo. Il seminario di Lomé segue quello svoltosi a Johannesburg, in Sud Africa, dal 5 al 9 novembre 2014, e dedicato all’Africa anglofona. (I.P.)

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Messico. Vescovi: famiglia si fonda su matrimonio tra uomo e donna

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“La famiglia, cellula della società, si fonda sul matrimonio tra uomo e donna che, grazie alla loro capacità procreativa, garantiscono la sopravvivenza della società”. Scrivono così i vescovi messicani in una dichiarazione diffusa in seguito ad una sentenza sul matrimonio emessa dalla Corte suprema di giustizia. Nel decreto, si definisce “incostituzionale” qualunque legge federale che “consideri la procreazione come la finalità del matrimonio o che affermi che esso si celebra tra un uomo ed una donna”. Ma i presuli messicani sottolineano che il diritto civile conferisce al matrimonio eterosessuale “un riconoscimento istituzionale che lo Stato deve promuovere e tutelare, in nome del bene comune”.

Una sentenza contraria alla tradizione giuridica ed al bene sociale del Paese
Infatti, spiegano i presuli messicani, tale riconoscimento risale alla “tradizione giuridica bimillenaria dell’Occidente” ed è presente “nella maggior parte dei Codici civili o familiari degli Stati federali del Paese”. “Come cittadini – si legge quindi nella dichiarazione episcopale – riteniamo che la sentenza della Corte suprema, oltre ad infrangere questa solida tradizione giuridica ed il bene sociale che essa custodisce, contraddice i principi del federalismo e la ragion d’essere dei diversi Codici civili”.

Non discriminare non significa modificare l’essenza del matrimonio
“La Chiesa sostiene che il matrimonio può celebrarsi solo tra un uomo ed una donna – continua il documento – e difende questo valore per il bene delle persone e di tutta la società”. “Non spetta allo Stato – quindi - creare nuove forme di matrimonio, perché esse non sarebbero tali, bensì un altro tipo di unioni”. Rispondendo, poi, a chi dà ragione alla Corte suprema in nome della non discriminazione di una parte della popolazione, i vescovi messicani affermano: “Ribadire che nessuno deve essere discriminato non significa modificare l’essenza del matrimonio, né significa dimenticare lo spirito della Costituzione, in cui si riconosce la parità tra uomo e donna e si stabilisce il dovere legale di proteggere lo sviluppo e l’organizzazione della famiglia”. (I.P.)

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Concluso Simposio docenti universitari incentrato su "Laudato si'"

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Proteggere il Creato e i suoi abitanti approfondendo sempre di più il linguaggio della solidarietà e l’impegno di mettere l’uomo al primo posto nelle scelte politiche, economiche e sociali. Seguendo le linee guida dell’Enciclica “Laudato si'” con questi propositi si è concluso il XII Simposio Internazionale dei docenti universitari che si è svolto in questi giorni a Roma. “Papa Francesco - ha spiegato Bruno Botta, docente all'Università La Sapienza di Roma –  ci esorta  dicendoci che le cose possono cambiare. Oggi dobbiamo partire prima di tutto da una solidarietà che deve nascere nello scambio generazionale tra docenti e studenti e ricercatori. Tutti possono dare il loro contributo importante ma bisogna lavorare insieme non più singolarmente”. I temi più urgenti su cui i docenti sono chiamati a confrontarsi nella ricerca sono quelli dell’energia, dell’acqua, e del cibo, in una corsa contro il tempo, per salvare quelle popolazioni della Terra che a causa dei cambiamenti climatici, rischiano sempre di più di lasciare per sempre le loro terre.

“La Laudato si' è molto chiara - ha spiegato Luigi Nicolais, presidente del Consiglio Nazionale per le Ricerche – se non agiamo subito ci troveremo di fronte ad un mondo che non vogliamo. Ma per fare questo dobbiamo imparare a lavorare insieme. L’Italia è ancora un Paese in cui è radicato “Il possesso del dato”, ma solo condividendo con altri ricercatori le scoperte fatte da noi, queste diventeranno fruttuose per l’umanità”. E questo simposio prepara la strada delle università, verso il prossimo Giubileo della Misericordia.

“La conoscenza  - ha spiegato il vescovo Lorenzo Leuzzi, delegato per la pastorale universitaria - non è marginale rispetto al tema della misericordia. Anzi ne rappresenta la chiave interpretativa, e mediante l’esercizio della carità intellettuale, supera la pura interpretazione assistenzialistica e la proietta verso la progettualità. Il cammino che attende i docenti universitari, quindi, è l’impegno ad attuare il passaggio dalla misericordia assistenziale a quella progettuale”. (A cura di Marina Tomarro)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 178

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.