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Sommario del 26/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: valorizzare le donne, no a ideologie contro famiglia e matrimonio

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Valorizzare le donne nella Chiesa e nella società. E’ l’esortazione di Papa Francesco durante l’udienza alla delegate della Conferenza internazionale cattolica delle guide. Il Pontefice è quindi tornato a denunciare la diffusione di quelle ideologie che sono contrarie alla natura e al disegno di Dio sulla famiglia e sul matrimonio. Riprendendo poi l’Enciclica Laudato Si’, il Papa ha sottolineato che l’educazione all’ecologia è essenziale per trasformare le mentalità e abitudini per superare le sfide che riguardano l’ambiente. Il servizio di Alessandro Gisotti

E’ molto importante che la donna sia “adeguatamente valorizzata e che possa prendere pienamente il posto che le spetta, sia nella Chiesa sia nella società”. E’ uno dei passaggi chiave del discorso che Francesco ha rivolto alla Conferenza delle guide, in occasione del 50.mo anniversario di fondazione.

Contrastare ideologie contro natura e disegno di Dio sulla famiglia
Il Papa ha quindi evidenziato che associazioni come questa devono avere una pedagogia chiara, soprattutto nell'attuale contesto culturale:

“Siamo in un mondo in cui si diffondono le ideologie più contrarie alla natura e al disegno di Dio sulla famiglia e sul matrimonio. Si tratta dunque di educare le ragazze non solo alla bellezza e alla grandezza della loro vocazione di donne, in un rapporto giusto e differenziato tra l’uomo e la donna, ma anche ad assumere responsabilità importanti nella Chiesa e nella società”.

“In alcuni Paesi, dove la donna è ancora in posizione di inferiorità, e persino sfruttata e maltrattata – ha soggiunto – voi siete chiamate certamente a svolgere un ruolo notevole di promozione e di educazione”.

Testimoniare la gioia di chi incontra Gesù
Francesco si è soffermato quindi sul tema scelto dalla Conferenza per l’evento: “Vivere come guida la gioia del Vangelo”:

“E’ un magnifico programma: annunciare agli altri, con la testimonianza della nostra vita, che incontrare Gesù ci rende felici; che incontrare Gesù ci libera e ci guarisce; che incontrare Gesù ci apre agli altri e ci spinge ad annunciarlo, in particolare ai più poveri, a coloro che sono più lontani, più soli e abbandonati”.

Educare al rispetto dell’ambiente, promuovere nuovi stili di vita
Il Papa si è poi riferito alla sua Enciclica Laudato si’ sottolineando che “l’educazione all’ecologia è essenziale per trasformare le mentalità e le abitudini, al fine di superare le inquietanti sfide che si pongono all’umanità riguardo all’ambiente”. Penso, ha ripreso, che “il movimento delle guide, che nella sua pedagogia dà un posto importante al contatto con la natura, è particolarmente predisposto per questo”:

"Auspico che le guide continuino ad essere pronte a cogliere la presenza e la bontà del Creatore nella bellezza del mondo che le circonda. Questo atteggiamento contemplativo le porterà a vivere in armonia con sé stesse, con gli altri e con Dio. E’ un nuovo stile di vita, più conforme al Vangelo, che loro potranno poi trasmettere negli ambienti in cui vivono".

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Francesco: la Chiesa è comunità se si avvicina agli ultimi

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I cristiani devono avvicinarsi e tendere la mano a coloro che la società tende a escludere, come fece Gesù con gli emarginati del suo tempo. Questo rende la Chiesa una vera “comunità”. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Il primo a sporcarsele è stato Gesù. Avvicinando gli esclusi del suo tempo. Si è sporcato le mani toccando i lebbrosi, per esempio, guarendoli. E insegnando così alla Chiesa “che non si può fare comunità senza vicinanza”. Papa Francesco centra l’omelia sul protagonista del breve brano del Vangelo del giorno, un malato di lebbra che si fa coraggio, si prostra davanti a Gesù e gli dice: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”. E Gesù lo tocca e lo risana.

Il bene non si fa da lontano
Il miracolo, nota il Papa, avviene sotto gli occhi dei dottori della legge per i quali invece il lebbroso era un “impuro”. “La lebbra – osserva – era una condanna a vita” e “guarire un lebbroso era tanto difficile come resuscitare un morto”. E per questo venivano emarginati. Gesù invece tende la mano all’escluso e dimostra il valore fondamentale di una parola, “vicinanza”:

“Non si può fare comunità senza vicinanza. Non si può fare pace senza vicinanza. Non si può fare il bene senza avvicinarsi. Gesù ben poteva dirgli: ‘Sii guarito!’. No: si avvicinò e lo toccò. Di più! Nel momento che Gesù toccò l’impuro divenne impuro. E questo è il mistero di Gesù: prende su di sé le nostre sporcizie, le nostre cose impure. Paolo lo dice bene: ‘Essendo uguale a Dio, non stimò un bene irrinunciabile questa divinità; annientò se stesso’. E poi, Paolo va oltre: ‘Si fece peccato’. Gesù si è fatto peccato. Gesù si è escluso, ha preso su di sé l’impurità per avvicinarsi a noi”.

Gesù include
Il passo del Vangelo registra anche l’invito che Gesù fa al lebbroso guarito: “Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro”. Questo perché, sottolinea Francesco, per Gesù oltre la prossimità è fondamentale anche l’inclusione:

“Tante volte penso che sia, non dico impossibile, ma molto difficile fare del bene senza sporcarsi le mani. E Gesù si sporcò. Vicinanza. E poi va oltre. Gli disse: ‘Vai dai sacerdoti e fa quello che si deve fare quando un lebbroso viene guarito’. Quello che era escluso dalla vita sociale, Gesù include: include nella Chiesa, include nella società… ‘Vai, perché tutte le cose siano come devono essere’. Gesù non emargina mai alcuno, mai. Emargina sé stesso, per includere gli emarginati, per includere noi, peccatori, emarginati, con la sua vita”.

Vicinanza è tendere la mano
Il Papa mette in risalto lo stupore che Gesù suscita con le sue affermazioni e i suoi gesti. “Quanta gente – commenta – seguì Gesù in quel momento” e “segue Gesù nella storia perché è stupita di come parla”:

“Quanta gente guarda da lontano e non capisce, non le interessa… Quanta gente guarda da lontano ma con cuore cattivo, per mettere Gesù alla prova, per criticarlo, per condannarlo…  E quanta gente guarda da lontano perché non ha il coraggio che lui ha avuto, ma ha tanta voglia di avvicinarsi! E in quel caso, Gesù ha teso la mano, prima. Non come in questo caso, ma nel suo essere ha teso la mano a tutti, facendosi uno di noi, come noi: peccatore come noi ma senza peccato, ma sporco dei nostri peccati. E questa è la vicinanza cristiana”.

È una “bella parola, quella della vicinanza”, conclude Francesco. Che invita a un esame di coscienza: “Io so avvicinarmi?”. Ho “animo, ho forza, ho coraggio di toccare gli emarginati?”. Una domanda, dice, che riguarda anche “la Chiesa, le parrocchie, le comunità, i consacrati, i vescovi, i preti, tutti”.

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Santa Sede-Stato Palestina: mons. Gallagher, due Stati quanto prima

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È stato firmato oggi nel Palazzo Apostolico l’Accordo globale tra Santa Sede e Stato di Palestina. A siglarlo, per le parti, mons. Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, e Riad Al-Malki, ministro palestinese degli Affari Esteri. Il servizio di Giada Aquilino

La Chiesa nello Stato di Palestina e pace in Medio Oriente
Un preambolo e 32 articoli distribuiti in 8 capitoli. Questo l’Accordo globale che, recita il comunicato congiunto, “riguarda aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa nello Stato di Palestina” e riafferma al contempo “il sostegno per una soluzione negoziata e pacifica della situazione nella regione”. L’intesa - che entrerà in vigore una volta che ambo le parti avranno notificato “per iscritto” come siano stati soddisfatti i “requisiti costituzionali o interni” previsti - è il risultato dei negoziati svolti da una commissione bilaterale nel corso degli ultimi anni e fa seguito all’Accordo base firmato il 15 febbraio 2000.

Da Olp a Stato di Palestina
Allora la Santa Sede siglò il documento con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp): il testo attuale è stato invece firmato con lo Stato di Palestina. “Ciò - ha spiegato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher nel suo indirizzo di saluto alla cerimonia della firma - come segno del cammino compiuto dall’Autorità Palestinese negli ultimi anni e soprattutto dell’approvazione internazionale culminata nella risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu, del 29 novembre 2012”, che ha riconosciuto la Palestina quale Stato osservatore non membro delle Nazioni Unite.

La soluzione dei due Stati
In tale prospettiva, il Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha auspicato che l’Accordo - definito una “tappa importante” nelle relazioni bilaterali - possa costituire “uno stimolo per porre fine in modo definitivo all’annoso conflitto israeliano-palestinese, che continua a provocare sofferenze ad ambedue le parti”. Mons. Gallagher ha voluto quindi ricordare “l’auspicata soluzione dei due Stati”, sperando - ha aggiunto - che “divenga realtà quanto prima”. Il processo di pace, ha spiegato, “può progredire solo tramite il negoziato diretto tra le parti con il sostegno della comunità internazionale”, con “decisioni coraggiose” per un “contributo alla pace e alla stabilità della regione”.

Nessun privilegio ai cattolici
Esaminando l’intesa tra i “due soggetti di diritto internazionale”, il presule ha evidenziato che “riguarda fondamentalmente la vita e l’attività della Chiesa in Palestina”, dicendosi “lieto” per il riconoscimento giuridico “che viene chiaramente stabilito” e per le garanzie “che si offrono all’attività della Chiesa cattolica e delle sue istituzioni”. I cattolici, ha precisato ancora, non vogliono alcun “privilegio”, continuando a collaborare con i loro concittadini per il bene della società. “Soddisfatta” la Chiesa locale, “implicata nei negoziati”.

La persecuzione dei cristiani
Guardando al “contesto complesso” del Medio Oriente, dove in alcuni Paesi i cristiani soffrono “persino la persecuzione”, l’Accordo “offre un buon esempio di dialogo e di collaborazione”, ha proseguito mons. Gallagher sottolineando la portata del capitolo dedicato alla libertà di religione e di coscienza e auspicando che l’intesa “possa servire da modello per altri Paesi arabi e a maggioranza musulmana”. Riaffermata infine “la particolare sollecitudine della Santa Sede per il Medio Oriente e per la Terra Santa”.

Papa Francesco e il presidente Abbas
Il ministro Al-Malki ha parlato di Accordo “storico” e ha sottolineato come il traguardo raggiunto “non sarebbe stato possibile senza il sostegno e l’impegno personale” del Presidente palestinese Mahmoud Abbas e senza “la benedizione” di Papa Francesco. Le disposizioni dell’Accordo, ha messo in luce, “abbracciano la visione comune” delle due parti a favore della pace e della giustizia nella regione, “la protezione delle libertà fondamentali”, “lo status e la protezione dei Luoghi Santi”, e i mezzi per “rafforzare e promuovere la presenza e le attività della Chiesa cattolica nello Stato di Palestina”. Consolidano e migliorano “le circostanze attuali, in cui la Chiesa cattolica gode di diritti, privilegi, immunità e libero accesso”, confermando la posizione della Chiesa “quale importante sostenitrice della vita di molti palestinesi”.

Impegno contro l’estremismo in Medio Oriente
Il documento, ha osservato, “per la prima volta” include “un riconoscimento ufficiale della Palestina come Stato da parte della Santa Sede”, letto come “segno di riconoscimento del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e dignità in un proprio Stato indipendente libero dalle catene dell’occupazione”. Esso – ha aggiunto il titolare della politica estera palestinese – “appoggia anche la visione a favore della pace e della giustizia nella regione, conformemente con il diritto internazionale, sulla base di due Stati, che vivono uno accanto all’altro in pace e sicurezza sulla base delle frontiere del 1967”. Il ministro Al-Malki ha parlato anche di “disposizioni nuove e senza precedenti” connesse con lo “status speciale” della Palestina quale “luogo di nascita del cristianesimo e culla delle religioni monoteiste”, in un momento in cui “l’estremismo, la violenza barbara e l’ignoranza” minacciano tutto il Medio Oriente. In questo scenario, ha precisato, lo Stato di Palestina “reitera il proprio impegno a combattere l’estremismo” e a promuovere tolleranza, libertà di coscienza e di religione, salvaguardia dei diritti “di tutti i suoi cittadini”, principi sui quali - ha concluso - “continuiamo a sforzarci di fondare il nostro Stato indipendente e democratico”.

Il commento dell'Osservatore Romano
Un’intesa per “costruire la pace”, che guarda “al futuro senza dimenticare la storia”. L’Osservatore Romano definisce così l’Accordo tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina firmato oggi. In un articolo sul numero odierno, il giornale vaticano analizza i contenuti del documento frutto del lungo negoziato – 15 anni – avviato dalla Santa Sede nel Duemila con l’allora Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e poi condotto in maniera sistematica dal 2010. “Lì, dove santità e conflitto sembrano inscindibili perché manca ‘il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dialogo ad ogni costo’”, scrive l’Osservatore citando Papa Francesco, l’Accordo – si afferma – “si presenta con un suo particolare carattere fatto di rinnovata continuità e di necessaria attualità, che tiene conto di situazioni giuridico-politiche che ruotano intorno a conflitti, a regole sovrappostesi nei secoli”.

Il riflesso di ciò si coglie anzitutto nel “Preambolo” dell’Accordo, incentrato su alcuni “punti chiave: l’autodeterminazione del popolo palestinese, l’obiettivo della two-State solution, il significato non solo simbolico di Gerusalemme, il suo carattere sacro per ebrei, cristiani e musulmani ed il suo universale valore religioso e culturale come tesoro per tutta l’umanità, gli interessi della Santa Sede in Terra Santa”. L’articolo dell’Osservatore descrive nel dettaglio i principali principi normativi che regolano i rapporti tra le autorità palestinesi e la Chiesa locale, salvaguardando di quest’ultima la libertà di esercizio del suo ministero spirituale, di autorganizzazione dei propri uffici ecclesiastici, di operare nei settori dell’educazione, del sociale e dell’assistenza, di godere di un preciso regime fiscale “ispirato a criteri funzionali di non imponibilità”.

“La Chiesa locale – sottolinea l’Osservatore Romano – ha mostrato di poter essere efficace protagonista fornendo un leale contributo non solo per il consolidamento della realtà ecclesiale, ma per l’immagine della Palestina, come pure di tutta la Terra Santa”. Un’attitudine, conclude, “che conferma quanto auspicato in modo chiaro da Papa Francesco nel corso del suo viaggio in quei luoghi: ‘I cristiani intendono continuare a svolgere questo loro ruolo come cittadini a pieno diritto, insieme con gli altri concittadini considerati come fratelli. Cittadini a pieno diritto, dunque, che sono ‘chiamati ad essere artefici di pace, di riconciliazione e di sviluppo, promotori del dialogo, costruttori di ponti, secondo lo spirito delle Beatitudini…, a proclamare il vangelo della pace, aperti alla collaborazione con tutte le autorità nazionali e internazionali’”. (A.D.C.)

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Card. Vegliò: migranti sono persone, non pacchi

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Nuova giornata di lavori oggi a Bruxelles per il Consiglio europeo: sul tavolo i temi della difesa, della sicurezza e della lotta al terrorismo. Intanto continuano i commenti all’accordo trovato ieri sulle migrazioni, con la redistribuzione di 40 mila richiedenti asilo da Italia e Grecia, secondo criteri da stabilire entro luglio. “Un responsabilità condivisa, che supera di fatto gli accordi di Dublino”, sostiene il premier Matteo Renzi, che tuttavia non parla di un “passo decisivo”. Come dunque interpretare questa decisione che ha creato non pochi malumori in sede europea? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti: 

R. – Io credo che sia una cosa positiva, nel senso che forse è la prima volta che l’Europa si sente impegnata in maniera diretta e concreta, a cercare di venire incontro almeno ai Paesi più soggetti a questi problemi. Viviamo questa decisione dunque, almeno come un primo passo verso un fare comune. E’ chiaro, però, che stiamo parlando di cifre irrisorie rispetto ai numeri ben più elevati di profughi che sbarcano nei nostri Paesi. Ci rendiamo conto, quindi, che la decisione presa è ancora insufficiente.

D. – Guardando più nel dettaglio, la cosa che più colpisce dell'accordo è la tempistica: si parla di una redistribuzione in due anni e ci vorrà comunque un altro mese perché si capisca con quali modalità avverrà …

R. – Certamente. In questi mesi, anni anche, di attesa, che sarà di questi profughi? Dove saranno? Dove alloggeranno? In quali condizioni? Dobbiamo comunque sempre cercare di garantire la dignità di chi aspetta che qualcuno decida del suo destino.

D. - Ecco, forse al di là dell’iniziativa comune, bisogna sperare anche che i singoli Stati a livello di tempi forse possano accelerare un po’ ?

R. - Speriamo. D’altra parte in queste discussioni, ieri, si sono usati termini un po’ robusti, che di solito non si usano nelle assisi internazionali, proprio perché questo è un argomento che tocca la carne viva e nessuno si vuole impegnare in maniera chiara e definitiva. Però, in fondo, è anhe vero che è la prima volta che l’Europa dice: “Oddio, c’è questo problema, cerchiamo di risolverlo tutti insieme …!”

D. – In effetti, i toni del Consiglio europeo sono stati toni piuttosto accesi: Renzi, per esempio, ha lamentato il concetto di solidarietà non da tutti sentito in maniera eguale. Cosa possiamo fare anche per migliorare un po' le cose, in questa nostra Europa, secondo lei?

R. – Sarebbe bene vincere l’egoismo; l’altro ci dà sempre fastidio, perché ci occupa posto, ci occupa un po’ di ricchezza … l'egoismo purtroppo, è nella natura umana. Dobbiamo vincerlo, però e soprattutto dobbiamo considerare queste persone non come numeri o come pacchi! Ogni persona è un mondo, una sofferenza. Quindi, innaizitutto il rispetto per le persone, poi aiutare i Paesi da cui partono e cercare di vendere meno armi, cosa che forse sarebbe utile per evitare almeno le 52 guerre che si combattono in questo momento nel mondo …

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il signor Peter Sutherland, Presidente dell’ “International Catholic Migration Commission”; il signor Georgios Papadopoulos, Ambasciatore di Grecia presso la Santa Sede, in visita di congedo; il card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; il card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.

In Colombia, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Engativá, presentata da mons. Héctor Luis Gutiérrez Pabón, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Engativá mons. Francisco Antonio Nieto Súa, finora vescovo di San José del Guaviare.

Sempre in Colombia, Francesco ha nominato vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Cali il rev.do Juan Carlos Cárdenas Toro, del clero della diocesi di Cartago, finora segretario aggiunto della Conferenza episcopale colombiana, assegnandogli la sede titolare di Nova.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il massacro di turisti in Tunisia.

Pedagogia della natura: il Papa parla della sfida educativa e rilancia la necessità di nuovi stili di vita.

Accordo globale tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina: il saluto del segretario per i Rapporti con gli Stati, il discorso del ministro degli Affari esteri palestinese e un articolo di Vincenzo Buonomo.

Un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo "Sofia senza numero": romanzo di formazione nel mondo di oggi.

Una pianta nel deserto: Joseph Wong sulla Preghiera di Gesù.

Un articolo di Cristiana Dobner dal titolo "Il segreto": Tommaso di Gesù e Trattato della contemplazione divina.

Quando le parole non bastano più: il potere del silenzio nelle riflessioni della carmelitana francese Marie-Aimée de Jésus.

Di gran classe sempre e comunque: Gabriele Nicolò su una mostra a Londra con foto inedite di Audrey Hepburn.

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Oggi in Primo Piano



Terrorismo, attacco in Francia: uomo decapitato e due feriti

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Un corpo decapitato e la bandiera del sedicente Stato islamico: è ormai evidente - e il presidente francese Hollande l’ha confermato - che per la sparatoria avvenuta nel complesso industriale nel sudest della Francia si deve parlare di terrorismo. La persona uccisa barbaramente non è stata ancora identificata. Due i feriti. Il servizio di Fausta Speranza:

L’obiettivo: far saltare in aria l’impianto industriale, che è statunitense e infatti il presidente Obama è presto intervenuto sull’accaduto confermando le dichiarazioni del capo di Stato francese. E poi aggiungendo il macabro dettaglio: la testa del decapitato è imbrattata di scritte in arabo. L’impianto è classificato tra gli impianti pericolosi. Per fortuna, solo un’esplosione.

Praticamente subito un sospetto è arrestato e identificato", come noto estremista: mostra la bandiera del sedicente Stato islamico, rivendicando in questo modo l’attacco. Poi altri arresti.   

A confermare e spiegare è subito il  presidente francese. Hollande parla da Bruxelles a margine del summit europeo, sottolineando che tutti i leader sentono che la minaccia è per tutti. Poi afferma: "Non bisogna cedere alla paura". In ogni caso, il presidente francese rientrerà nel primo pomeriggio a Parigi da Bruxelles. Alle 15 è convocato il Consiglio di Difesa all'Eliseo.

Cosa è accaduto precisamente: un uomo a bordo di un'auto fa irruzione nell'impianto di gas industriale Air Products a Saint-Quentin-Fallavier, a 30 km da Lione, e colpisce bombole di gas provocando un'esplosione. Diversi i feriti. Ma poi la drammatica scoperta: all’interno del complesso industriale c’è il cadavere decapitato di un uomo che però non sarebbe un dipendente della società. Resta da dire che per il momento un numero considerevole di forze di polizia sono state dispiegate in tutta la regione.

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Siria. Offensiva Is ad Hassakè. Mons. Hindo: pronti al martirio

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In Siria l'ultimo attacco sferrato contro la città di Hassaké nella notte tra mercoledì e giovedì, dai miliziani jihadisti del sedicente Stato Islamico, sta provocando una nuova emergenza umanitaria nella provincia siriana nord-orientale di Jazira. Centinaia di famiglie costrette a lasciare le proprie case vanno così ad accrescere la massa di profughi interni già presente in quella tormentata regione. Sull’offensiva dei miliziani jihadisti, Marguerite du Chaffaut ha raggiunto telefonicamente in Siria il vescovo siro-cattolico di Hassakè, mons. Jacques Behnan Hindo: 

R. – On a entendu quelque coup de canon …
Abbiamo sentito colpi di cannone che sono andati aumentando finché ieri mattina abbiamo saputo che i miliziani dell’Is hanno cercato di entrare, indossando divise siriane, nel sudovest della città. Hanno cacciato via i civili, hanno saccheggiato quella parte della città e ormai occupano tre punti al di là del fiume: infatti, ci sono alcuni quartieri da una parte e dall’altra del fiume. A nord, è la parte nella quale mi trovo io, e a sud è dove sono loro, a una distanza di 3-4 km dal fiume. La gente ha iniziato a fuggire. Ieri mattina hanno iniziato a bombardare la città con colpi di mortaio, hanno smesso per due ore, hanno cercato di cambiare posizione e poi hanno ricominciato. Credo che per loro sia un modo per rimediare, in parte, alla perdita di terreno che subiscono un po’ ovunque. Non ci sono più automobili, non ci sono più autobus, nemmeno mini-bus … non c’è più niente! La gente, soprattutto gli uomini e i giovani sono rimasti, mentre le donne e i bambini sono andati via, un po’ in ogni direzione.

D. – Quali sono le persone che corrono il pericolo maggiore, e quali sono le sue priorità?

R. – Pour moi, c’est attendre, attendre, attendre et prier: voilà. Attendre…
Per me, è aspettare, aspettare, aspettare e pregare. Aspettare che la situazione si definisca. Alcuni giovani sono partiti in macchina e sono venuti a salutarmi…

D. – Sono mesi ormai che l’Is si trova alle porte di Hassaké…

R. – J’ai toujours dit: “Ils sont à la porte”, il sont à 17 km, à 15 km…
E’ da tempo che ripeto: “Sono alle porte”, sono a 17 km, sono a 15 km… ormai sono dentro…

D. – Aspettate aiuti da parte delle ong o rinforzi da parte della coalizione internazionale?

R. – L’Œuvre d’Orient, qui m’a téléphoné ce matin, il m’a dit…
L’associazione umanitaria “Œuvre d’Orient”, che mi ha telefonato questa mattina, mi ha chiesto: “Ha bisogno d’aiuto?”, ho risposto: “Per il momento, ringraziamo di essere sani e salvi”. Vedremo quello che accadrà nei prossimi giorni. Ma nessuno lo pensa. A dire il vero, quello che serve è la preghiera, perché l’Arabia Saudita aiuta, la Turchia aiuta mentre, al contrario, l’America non fa niente: solo per i curdi…

D. – E cosa ne sarà dei cristiani?

R. – Les chrétiens, ils sont originaires de cette terre, le pays est notre pays…
I cristiani … loro sono originari di questa terra, il Paese è il nostro Paese… per i cristiani non chiediamo niente di speciale: chiediamo soltanto la pace. Voglio dirle la verità: la sorte per noi cristiani con i miliziani dell’Is è che ci uccidano, o ci chiedano di convertirci all’islam oppure ci chiedano di pagare la tassa islamica, mentre se prendono un curdo lo uccidono immediatamente. Chiedo a tutti i vescovi italiani, francesi, europei in genere di esercitare un po’ di pressione sui loro Paesi perché si fermino queste milizie islamiste. Tutto quello che chiedo è che si preghi per noi: niente di più. E se Dio lo vorrà, andremo al martirio…

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Birmania. Parlamento: no a presidenza per Aung San Suu Kyi

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“Non sono sorpresa”: questo il commento di Aung San Suu Kyi dopo la bocciatura, ieri in Birmania, di un emendamento alla Costituzione che avrebbe potuto aprire la strada alla presidenza alla Premio Nobel per la Pace e leader del partito di opposizione, la Lega nazionale per la democrazia. Lo stop al suo percorso verso la più alta carica del Paese lo hanno posto i militari che ancora oggi controllano saldamente il potere. La Camera dei deputati ha respinto il progetto di emendamento che si proponeva di annullare l’articolo che vieta "a chiunque sia sposato con un cittadino straniero o abbia figli con passaporto estero" di correre per la carica di presidente della Repubblica. Aung San Suu Kyi è vedova di un cittadino britannico, con due figli con passaporto di Londra. Francesca Sabatinelli ha intervistato Cecilia Brighi, presidente della Associazione “Italia-Birmania Insieme: 

R. – In parte, tutti si aspettavano che ci fosse un accordo anche con i militari, oltre che con il partito di governo. Il dato di fatto importante è che questo blocco di militari ancora detiene il potere vero nel Paese, non solo quello politico ma anche quello economico. Cioè, loro hanno in mano tutti i settori prevalenti più importanti del Paese: gas, petrolio, miniere ecc...

D. – L’accaduto conferma i dubbi circa la reale volontà di voler proseguire nel cammino verso la democrazia, iniziato nel 2010…

R. – Il dubbio nasce dal forte potere dell’esercito che, ricordo, non ha soltanto il potere di veto sui cambiamenti costituzionali, ma il comandante in capo dell’esercito nomina il ministro della Difesa, il ministro degli Interni e il ministro degli Affari di confine, e quindi ha in mano una serie di poteri importantissimi per un Paese. Ci sono sicuramente accordi tra il partito di Aung San Suu Kyi e l’Usdp, che è il partito di governo, perché entrambi comprendono l’importanza di andare incontro alle richieste internazionali, dell’Unione Europea, degli americani e così via, però non sono riusciti a smussare il peso dei militari. Aung San Suu Kyi ha raccolto cinque milioni di firme tra la popolazione birmana perché ci fossero i cambiamenti alla Costituzione, quindi ci vuole anche un impegno maggiore delle istituzioni internazionali, in questo senso. Le elezioni del prossimo novembre hanno già di per sé alcuni problemi, perché la lista delle persone che possono votare è fatta male, non è completa, ci sono alcuni gruppi che sono completamente fuori, ci sono alcune aree del Paese che non sono presenti, quelle dove c’è il conflitto. Si temeva già prima del voto che alcuni partiti politici o alcuni candidati potessero mettere in atto delle posizioni molto radicali sul piano nazionalista o religioso, quindi ci sono problemi importanti perché queste elezioni sono un’altra cartina di tornasole e devono essere libere, eque, inclusive e trasparenti.

D. – Seguendo un po’ l’andamento del Paese, e gli umori del Paese, le elezioni potrebbero forse cambiare l’assetto parlamentare e influire poi sul dopo?

R. – Assolutamente sì. Il partito di Aung San Suu Kyi avrà molto probabilmente una vittoria molto robusta e questo significa che su molti temi di carattere sociale ed economico il gioco cambierà: ci sarà la presenza dei partiti delle nazionalità etniche, quindi anche lì bisognerà capire che tipo di alleanze. Certo, Aung San Suu Kyi non avrà una vittoria totale e quindi probabilmente dovrà fare un governo di coalizione. Bisogna vedere con chi lo farà.

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Giornata mondiale contro la tortura: vittime in 141 Paesi

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Si celebra oggi la Giornata mondiale contro la tortura, un abominio che nonostante il divieto legislativo, continua a essere esercitato in molti Paesi e a mietere migliaia di vittime. Negli ultimi cinque anni, Amnesty International ha denunciato casi in 141 Stati, 131 nell'ultimo anno. Ovunque oggi iniziative, manifestazioni e petizioni, ma l'Italia è ancora lontana dall'introdurre nel Codice penale il reato per questo crimine. Cecilia Seppia: 

La tortura si insinua, si nasconde, ha volti diversi ma esiste e fa migliaia di vittime nonostante il sistema giuridico internazionale ne proibisca l’utilizzo in qualsiasi circostanza e nonostante sempre più Paesi, ad oggi 157, abbiano ratificato la Convenzione Onu in materia. Filippine, Marocco, Messico, Nigeria ed Uzbekistan restano in cima alla lista nera di Amnesty International: qui la tortura viene praticata sistematicamente in un clima di complessiva impunità. La usano i potenti ma non solo, per estorcere informazioni, ottenere confessioni, mettere a tacere il dissenso o semplicemente come forma di punizione. Quello che è certo è che questa atrocità è "trasversale", non risparmia nessuno, nemmeno i bambini: a tutti continua ad infliggere dolore e sofferenze indicibili, fisiche o mentali. I numeri crescono drammaticamente se guardiamo l’universo dei rifugiati: 1 su tre di quelli che arrivano in Italia, scappando dalla Libia o dalla Siria, ne è vittima. Fiorella Rathaus, responsabile dei progetti Cir per la riabilitazione e la cura delle vittime di tortura.

R. – È importante ricordare a tutti che la tortura non è una realtà relegata a situazioni estreme, a Paesi dittatoriali. È una realtà che riguarda un numero esorbitante di Paesi a tutt’oggi: 131 Paesi nell’ultimo anno, 141 negli ultimi cinque anni, corrispondono all’82% della popolazione del mondo che vive attualmente sotto governi che praticano in modo più o meno sistematico la tortura.

D. – Chi sono le vittime di tortura e quali ferite portano sulla pelle, ma anche nell’animo?

R. – Le vittime che noi accogliamo quotidianamente – possiamo infatti dire, senza temere neanche di esagerare, che un rifugiato su tre è vittima di tortura – portano conseguenze fortissime, indelebili, che segnano veramente un prima e un dopo: queste persone arrivano da noi trasformate dai segni della tortura… Perché, non dimentichiamolo mai, la tortura mira non tanto, come si dice semplificando, a far parlare, a far collaborare le persone con il sistema vigente, ma piuttosto a ridurle al silenzio. Queste persone diventano un monito vivente di cosa succede laddove ci si oppone al sistema. Come monito vivente, servono a scoraggiare qualsiasi altra forma di dissenso. Queste persone arrivano perciò totalmente devastate, devastate nella loro identità più profonda, nella loro identità culturale, sociale, economica…

D. – Che margine di recupero c’è per questa gente e cosa fare concretamente?

R. – Lavoriamo per restituire una normalità alle persone che riescono ad arrivare qui e ad ottenere protezione. Lo facciamo attraverso vari servizi: un servizio legale, dei servizi sociali che aiutino queste persone a trovare un nuovo spazio nella società, servizi di orientamento al lavoro, riguardo le riqualificazioni professionali eventualmente possibili, e anche dei servizi medici e psicologici.

D. – Quali sono i Paesi da cui queste persone, vittime di tortura, arrivano poi da voi per ricevere cure e sostegno?

R. – I Paesi corrispondono a quelli che in questo momento storico sono più devastati dalla violenza interna: moltissimi provengono dall’Eritrea, molti ancora dal Congo. In generale poi dalla Siria e dall’Afghanistan. 

D. – Guardando all’Italia: da più parti, ovviamente anche dal Cir, arriva la richiesta al Parlamento a fare in modo che venga introdotto nel codice penale il reato di tortura: questo comporterebbe sicuramente dei vantaggi, eppure c’è reticenza…

R. – E' una spina nel fianco. L’Italia ha firmato e ratificato la Convenzione contro la tortura trent’anni fa, è pronto un progetto di legge, però, non più tardi di ieri, abbiamo visto le resistenze e i soliti personaggi che galoppano la resistenza evitando che l’Italia diventi un Paese civile. Peraltro, pochi mesi fa lo stesso tribunale di Strasburgo, proprio nel giudicare l’operato dell’Italia durante il famigerato G8 di Genova, ha richiamato il Paese ai suoi doveri, e quindi alla inderogabilità dell’introduzione del reato di tortura nel codice penale.

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"Una Terra. Una famiglia umana", marcia di Focsiv per l'ambiente

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Presentata oggi, presso la sede della Radio Vaticana, la marcia "Una Terra. Una famiglia umana", organizzata dalla Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario (Focsiv) e promossa da GreenFaith e Conservation Foundation. Il corteo, che partirà domenica 28 giugno alle ore 9 da Piazza Farnese e si dirigerà a Piazza San Pietro per l’Angelus, si propone come una festosa manifestazione per sottolineare i temi dell’Enciclica di Papa Francesco e invitare i potenti della Terra ad atti concreti di salvaguardia dell’ambiente e della giustizia sociale. Il servizio di Eugenio Murrali

Una marcia per salvare il pianeta e sentirsi un’unica famiglia umana. Questa l’iniziativa organizzata dalla Focsiv. Un grazie a Papa Francesco per la sua nuova Enciclica, "Laudato si'"ma anche un momento di condivisione di intenti con comunità di differenti ispirazioni religiose e numerose organizzazioni ambientaliste. Attilio Ascani, direttore di Focsiv, sottolineando l’importanza del binomio ambiente e giustizia sociale individuato dal Papa, ha indicato le maggiori urgenze, anche in vista della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà il prossimo dicembre a Parigi:

“Accordi intergovernativi che servono a ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili, in modo da non arrivare a questo famoso riscaldamento del pianeta di due gradi e, contemporaneamente, la creazione di un fondo verde per rispondere ai drammi di popolazioni del Sud del mondo, che già oggi vivono l’impatto nella loro vita, nel loro quotidiano, dei cambiamenti climatici”.

Uno sguardo profondo sul travaglio del pianeta e in particolare su quelle periferie del mondo che – come ci spiega Ascani – subiscono, ancor più dei Paesi economicamente ricchi, le conseguenze dei disastri ambientali:

“I poveri, pur essendo quelli che inquinano di meno, sono coloro che vivono sulla loro pelle con maggiore forza l’impatto di questi cambiamenti”.

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Milano, presentato il progetto Archivio Carlo Maria Martini

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Far conoscere e attualizzare il patrimonio di pensiero e di opere del cardinale Carlo Maria Martini. Questo l’obiettivo del progetto Archivio, lanciato dalla Fondazione intitolata alla memoria del porporato che fu arcivescovo di Milano per 22 anni. Il servizio di Fabio Brenna

Un archivio digitale e uno materiale, presso la casa milanese dei Gesuiti, il Centro S. Fedele, destinati a rendere disponibili a tutti una grande quantità di documenti conservati in luoghi diversi: testi, video, audio, immagini che costituiscono la memoria e l’eredità del cardinale Martini. Non un semplice deposito di tutto quello che ha scritto e detto, o è stato dedicato alla figura del cardinale, ma un luogo di elaborazione di pensiero, di incontro di approcci diversi per la crescita della società umana nel suo complesso, come ha voluto sottolineare il presidente della Fondazione Martini, padre Carlo Casalone, che ha presentato questo “fare memoria” come “un atto di giustizia”, come lo ha definito Papa Francesco quando gli venne presentata la Fondazione:

“Lui ha detto: la memoria dei padri è un atto di giustizia, è da considerarsi come un obbligo che permette la congiunzione fra le generazioni. Cioè, permette di riconoscere come dono ricevuto quello che ci viene affidato dai padri, i quali padri ce lo affidano perché riconoscono il desiderio che i figli hanno, non solo di accogliere questo patrimonio, ma anche di essere testimoni dello spirito che abita il patrimonio. Quindi, è uno scambio fra desideri, che costruisce legame, come è tipico della giustizia”.

Della ricchezza del pensiero martiniano ha parlato il suo successore sulla cattedra di Ambrogio, il cardinale Angelo Scola, che ha raccontato ricordi personali dei sui incontri col predecessore, sulla fatica di fare il vescovo nella grande città. Una figura quella di Martini capace di mettere in relazione la coscienza credente con quella non credente, ma più in generale la città degli uomini e quella di Dio. Capacità riconosciutagli dal sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha annunciato a breve l’intitolazione di un luogo della città alla memoria di Martini, per tenere vivo il suo ricordo e invitare all’incontro col suo pensiero:

“Dei luoghi che possano ricordare nella città un grande uomo, un grande prete e un grande punto di riferimento per il mondo intero, in particolare per la nostra comunità”.

Il progetto dell’Archivio Martini è reso possibile dal lavoro comune della Fondazione, con la Diocesi di Milano e la Fondazione Unipolis.

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Nella Chiesa e nel mondo



Tunisia, attentato mortale ai turisti. Attacco anche in Kuwait

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Sono almeno 27 i morti nell’attentato in Tunisia, a Sousse, 140 chilometri da Tunisi, nel Golfo di Hammamet. In due resort turistici sarebbe ancora in corso una sparatoria tra forze di sicurezza tunisine e terroristi. La tv Al-Arabiya cita fonti di sicurezza locali e parla di 19 vittime, la maggior parte delle quali turisti, ma tra loro vi sarebbe anche un uomo del commando responsabile dell’attacco. Sousse, sulla costa centro-orientale tunisina, è la terza città per popolazione e considerata uno dei poli turistici più importanti del Paese.

Terrore anche In Kuwait: almeno 13 persone sono morte nell'attentato rivendicato dal sedicente Stato islamico contro una moschea sciita a Kuwait City, durante la preghiera del venerdì. Secondo quanto riferiscono testimoni oculari all'inviato dell'emittente televisiva al Jazeera, un uomo sarebbe entrato nella moschea con indosso una cintura esplosiva e si sarebbe fatto saltare in aria al grido di "Allah è grande". 

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Nepal: sostegno dei Paesi donatori per il dopo terremoto

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“Il Nepal non è solo, dobbiamo unire insieme tutte le forze”. Sono le parole pronunciate da Shusma Swaraj, ministro degli Esteri indiano, in apertura del suo intervento alla Conferenza internazionale sulla ricostruzione del Nepal, inaugurata ieri a Kathmandu. Presenti - riferisce l'agenzia AsiaNews - 300 delegati provenienti da 60 Paesi donatori, riuniti nella capitale nepalese per raccogliere fondi destinati alla ricostruzione del Paese devastato dal terribile terremoto del 25 aprile scorso.

Più di 43mila famiglie non hanno ricevuto risorse adeguate
Durante la seduta inaugurale i partecipanti hanno osservato un minuto di silenzio in commemorazione delle oltre 8.700 persone che hanno perso la vita a causa del sisma. Dopo l’ingresso del primo ministro Sushil Koirala sono stati anche proiettati filmati che hanno mostrato la distruzione attuata dal potente sisma. Il terremoto infatti ha distrutto quasi 530mila abitazioni e danneggiate altre 278mila. Molte famiglie non possono ancora tornare a una vita normale dal momento che migliaia di persone continuano a vivere in rifugi di fortuna e 117mila si trovano in campi all’aperto. Finora le organizzazioni hanno distribuito 350mila tende nei 14 distretti colpiti dal terremoto ma le stime riportano che più di 43mila famiglie non hanno ricevuto risorse adeguate o non sono state raggiunte dagli aiuti umanitari.

Consistenti aiuti da Usa, Cina, Asia e Europa
Oltre alla signora Swaraj, ai lavori della Conferenza partecipano altre figure di spicco, come iI ministro degli esteri cinese Wang Yi e l’ambasciatore statunitense in Nepal Peter Bodde, che ha letto un messaggio di John Kerry, segretario di Stato Usa, e ha annunciato che gli Stati Uniti doneranno 200 milioni di dollari destinati alla ricostruzione del Paese. L’Asian Development Bank fornirà 600 milioni di dollari e l’Unione Europea ha assicurato un ulteriore finanziamento di 100 milioni di euro per creare un’area fiscale.

L'aiuto dell'India
Shurma Swaraj ha annunciato che il governo indiano donerà 100 milioni di rupie nepalesi [circa 878mila euro - ndr] e ha espresso la vicinanza di tutta la popolazione dell’India. “Siamo fianco a fianco con voi. L’operazione Maitri è la più grande operazione umanitaria mai attuata dall’India all’estero e si aggira intorno ai 400 milioni di rupie nepalesi [più di 3,5 milioni di euro - ndr]. Un Nepal più unito e fiducioso nascerà dalle rovine della distruzione”. “Quello che serve adesso è istituire un programma di aiuto che sappia bilanciare le richieste a breve termine con le necessità a lunga scadenza”, continua il ministro. Chiamando iI legame che unisce Nepal e India come “Roti e Beti” (“pane e figlia”), afferma che “bisogna rafforzare cultura, religione, tradizione, lingua, letteratura e mitologia”.

L'Onu: garantire la sopravvivenza di coloro che sono scampati al sisma
La sfida ora è creare un’autorità che gestisca la ricostruzione e raccogliere 6,7 miliardi di dollari, somma necessaria per far ripartire il Paese. Jamie McGoldrick, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Nepal, avverte che la prima necessità è garantire la sopravvivenza di coloro che sono scampati alla sciagura, dal momento che si sta avvicinando la stagione dei monsoni. “La nostra attenzione - afferma - deve essere rivolta agli accampamenti temporanei, a garantire cibo e mezzi di sussistenza, cure mediche di base, sanità e igiene”. E ancora “il successo di qualsiasi sforzo di ricostruzione si basa su aiuto e ripresa tempestivi, equi e giusti. La comunità di aiuti continuerà a sostenere il governo nel suo sforzo di andare incontro ai bisogni non soddisfatti della popolazione”.

Un milione di persone continua a richiedere assistenza per i pasti giornalieri
Su 125mila famiglie che hanno iniziato a ricostruire le proprie case, la maggior parte con mezzi propri, 44mila ancora richiedono assistenza materiale, fra cui anche lamiere. Le agenzie umanitarie stimano che più di un milione di persone continua a richiedere assistenza per i pasti giornalieri. Più di 900mila dipendono dalla fornitura di acqua e servizi igienici, comprese 2mila comunità che fanno affidamento sui kit per filtrare l’acqua distribuiti dalle varie organizzazioni umanitarie. Inoltre 370mila bambini non hanno accesso agli spazi temporanei per l’insegnamento.

Finora sono arrivati solo 153 milioni di dollari
​La capacità di soddisfare le richieste dipende molto dai fondi per l’assistenza umanitaria, distinti da quelli per la ricostruzione e lo sviluppo. Finora sono arrivati solo 153 milioni di dollari (il 36%) dei 422 milioni richiesti in aiuti umanitari. Altri 200 milioni sono stati forniti dal governo del Nepal attraverso pagamenti in natura o bilaterali. (C.S.)

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India. Card. Gracias: vergogna nazionale stupro della suora cattolica

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È stata stuprata la suora cattolica aggredita il 20 giugno scorso a Raipur, in Chhattisgarh. Lo ha confermato lei stessa ieri, raccontando quanto le è accaduto in una conferenza stampa, a cui ha partecipato a volto coperto. Contattato dall'agenzia AsiaNews, il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e presidente del Consiglio dei vescovi cattolici di rito latino in India (Ccbi), ha dichiarato: “Apprendo con profondo dolore della violazione subita da una nostra religiosa. È una vergogna nazionale e una disgrazia che le nostre donne siano abusate e stuprate”. In un primo momento, la polizia aveva messo in dubbio che la religiosa, salesiana delle Missionarie di Maria Immacolata, avesse subito violenza sessuale. Tuttavia la suora, 47 anni, ha confermato di non aver mai negato di essere stata stuprata.

La suora ha raccontato ai giornalisti il suo stupro
Sostenuta da leader cristiani e attivisti per i diritti umani, con coraggio la religiosa ha raccontato ai giornalisti il suo stupro. Due uomini a volto coperto sono entrati nella sua stanza al Christ Help Centre (Khrist Sahay Kendre) intorno all’1:30 del mattino. Quando lei ha chiesto loro se volevano soldi, hanno replicato: “Vogliamo qualcosa di più”. Uno di loro l’ha bloccata, mentre l’altro la costretta a ingoiare delle droghe e l’ha imbavagliata con uno straccio. I due poi l’hanno legata al letto con il suo sari e hanno usato una sciarpa per legarle le mani, prima di usarle a turno violenza. La suora, originaria del Kerala, era sola al momento dell’aggressione. È stata trovata il giorno seguente in stato di incoscienza dalla sua Superiora, preoccupata per non aver ricevuto risposta alle sue chiamate.

Il card. Gracias condanna le forze sociali che coltivano la misoginia
“Sono addolorato – afferma il card. Gracias ad AsiaNews – che questo sia accaduto a una donna consacrata, che ha dedicato la sua vita a Dio. La nostra suora è stata violata in un dispensario medico, il luogo dove ogni giorno offre i suoi servizi per sanare le ferite delle persone”. “Da decenni – sottolinea – la Chiesa cattolica in India lavora senza sosta per l’emancipazione delle bambine e per migliorare la dignità delle donne, attraverso i nostri apostolati educativi, sanitari e sociali. È straziante vedere come varie forze sociali coltivano la misoginia e formano idee sulla dominazione maschile e la svalutazione delle donne, [comportamenti] che possono normalizzare un atteggiamento abusivo”.

La società indiana  minimizza e banalizza tutte le forme di violenza sulle donne
​Secondo il porporato “l’oggettivazione delle donne è un male sociale in crescita. Incredibilmente, la società minimizza e banalizza tutte le forme di violenza sulle donne, perfino prima della loro nascita [aborti selettivi femminili, ndr]. È urgente ed essenziale che leader politici e religiosi, agenzie governative, istituti educativi e sanitari, polizia, organi di stampa, Ong e società civile si impegnino tutti insieme per porre fine a questa discriminazione e svalutazione delle ragazze e delle donne. Per dare inizio a un’era illuminata, dove le donna possano rivendicare la giusta dignità che spetta loro”. (N.C.)

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Egitto. Ramadan: "banchetti dell'unità" di cristiani per musulmani

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Anche quest'anno, secondo la consuetudine, parrocchie e famiglie cristiane in Egitto organizzano spontaneamente a fine giornata i cosiddetti “banchetti dell'unità”, momenti conviviali offerti in particolare ai vicini e ai concittadini musulmani che in queste settimane osservano, dall'alba al tramonto, il digiuno prescritto nel mese sacro del Ramadan.

Gruppi scout distribuiscono cibo e bevande ai loro vicini musulmani
Nelle scorse settimane, alcuni rappresentanti della Chiesa copta ortodossa avevano dato l'indicazione generale di utilizzare le risorse destinate ai banchetti per finanziare opere sociali e assistenziali, cominciando da quelle sostenute dal Fondo “Viva l'Egitto”, lanciato dal Presidente Abdel Fattah al-Sisi dopo la sua elezione. Non sembra però che la sollecitazione ufficiale sia stata seguita a livello capillare. I siti legati alle comunità copte descrivono con abbondanza di particolari iniziative come quella presa dai gruppi scout che distribuiscono cibo e bevande ai loro vicini musulmani.

I cristiani partecipano al Ramadan digiunando nei posti di lavoro
​“La prassi di organizzare banchetti e distribuire merende - spiega all'agenzia Fides Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh - è solo uno dei modi in cui i cristiani partecipano al Ramadan. Nei posti di lavoro, i cristiani digiunano anche loro, astenendosi dal cibo e dall'acqua per rispetto e solidarietà nei confronti dei colleghi musulmani”. (G.V.)

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Chiesa Nigeria: la religione per combattere degrado morale

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La reintroduzione dell’insegnamento della religione e della morale nelle scuole per contrastare l’allarmante degrado morale dei giovani e nella società nigeriana. E’ la proposta avanzata da mons. Alfred Martins, arcivescovo di Lagos, in una dichiarazione pubblicata in occasione della recente Giornata del Bambino Africano.

Il futuro dei bambini nigeriani minacciato dalla delinquenza e dalla povertà
Nel messaggio, il presule osserva che la ricorrenza può essere per i leader del Paese un’occasione per riflettere sulla situazione dei bambini in Nigeria. Secondo l’arcivescovo resta ancora molto da fare per il loro futuro, minacciato oggi dalla “delinquenza giovanile, dalla povertà, dalle disuguaglianze sociali, dal fallimento del sistema educativo, da problemi famigliari e dalla cattive compagnie”. Di qui l’invito al nuovo Presidente nigeriano Mohammadu Buhari a puntare la sua attenzione sull’educazione morale delle nuove generazioni per farne dei leader onesti e timorosi di Dio.   

L’emergenza bambini di strada
Mons. Martins parla anche dell’emergenza bambini di strada, orfani o abbandonati dai genitori, che è particolarmente grave nel nord-est del Paese, chiedendo che siano date loro un’adeguata assistenza ed educazione “perché possano diventare buoni cittadini capaci di contribuire alla crescita e allo sviluppo della nazione”. Infine l’invito agli stessi bambini nigeriani a seguire sempre l’esempio di Gesù, figlio sempre obbediente e rispettoso verso i genitori. (L.Z.)

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Civiltà Cattolica, guida alla lettura della "Laudato si’"

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"Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa è la domanda che vive al cuore della Lettera enciclica di Papa Francesco Laudato si’. Sulla cura della casa comune Non una domanda ideologica, nè tecnica ma un interrogativo forte che pone la questione ecologica come centrale per la nostra umanità". E’ uno dei passaggi dell’editoriale di padre Antonio Spadaro che apre l’ultimo numero di Civiltà Cattolica dedicato quasi interamente all’Enciclica di Papa Francesco. Il direttore della rivista dei gesuiti sottolinea che Laudato si’ mostra come la preoccupazione per l’ecologia umana e ambientale sia una dimensione fondamentale della fede per la salvezza dell’uomo e per la costruzione del vivere sociale. Essa è dunque parte della dottrina sociale della Chiesa.

Le sfide aperte dell’Enciclica, tra povertà e fragilità del pianeta
Nel suo articolo intitolato “Le sfide aperte sulla casa comune”, padre Luciano Larivera illustra i principali ambiti di dialogo e di contrasto politico, economico, filosofico e religioso, che l’enciclica di Papa Francesco presenta, rispondendo ad alcune critiche ideologiche che si sono levate anche prima che il testo fosse reso noto. Padre Diego Fares si sofferma invece sull’intima relazione tra i poveri e la fragilità del Pianeta che, scrive il gesuita argentino, è il primo dei temi trasversali che risuonano in tutta la Laudato si’.

Poesia e canzone a difesa dell’ambiente
Civiltà Cattolica offre anche una “lettura artistica” dell’Enciclica. In un articolo di padre Peter Milward si mostra come alcuni poeti inglesi (Shakespeare, Wordsworth, Hopkins) si siano interessati alla natura e siano passati dal rapporto tra uomo e natura al Dio della natura (Eliot), dalla cui grazia potremmo forse attenderci la sperata soluzione del problema ecologico. Infine, padre Claudio Zonta firma un articolo dal titolo “Canzone italiana e difesa dell’ambiente”. La voce della musica, sottolinea il gesuita, con speranza e fermezza, riconduce l’uomo all’essere abitante di un cosmo che va difeso e non depauperato della sua bellezza e della sua ricchezza originarie. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 177

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.