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Sommario del 25/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Chiesa costruisce ponti, ma non si lascia colonizzare da pensieri forti

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La Chiesa costruisce ponti ma non si lascia colonizzare dai pensieri forti di turno: è quanto ha detto il Papa alla Comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica che prepara i sacerdoti al servizio diplomatico della Santa Sede. Ce ne parla Sergio Centofanti

La Santa Sede – ha ricordato il Papa ai sacerdoti che la rappresenteranno nel mondo – “è la sede del Vescovo di Roma, la Chiesa che presiede nella carità, che non si siede sul vano orgoglio di sé” ma “sul coraggio quotidiano dell’abbassamento del suo Maestro. La vera autorità della Chiesa di Roma è la carità di Cristo”:

“Questa è la sola forza che la rende universale e credibile per gli uomini e il mondo; questa è il cuore della sua verità, che non erige muri di divisione e di esclusione, ma si fa ponte che costruisce la comunione e richiama all’unità del genere umano; questa è la sua segreta potenza, che alimenta la sua tenace speranza, invincibile nonostante le momentanee sconfitte”.

Papa Francesco invita i sacerdoti futuri diplomatici a “non lasciarsi inaridire” o “svuotare dal cinismo” ma a coltivare la memoria di Gesù:

“Non siete chiamati ad essere alti funzionari di uno Stato, una casta superiore auto-preservante e gradita ai salotti mondani, ma ad essere custodi di una verità che sostiene dal profondo coloro che la propongono, e non il contrario”.

La missione dei rappresentanti della Santa Sede è dunque quella di diventare “ponti”, sconfiggendo “la presunta superiorità dello sguardo che impedisce l’accesso alla sostanza della realtà, la pretesa di sapere già abbastanza” e superando “i propri schemi di comprensione, i propri parametri culturali, i propri retroterra ecclesiali”. Quindi il Papa aggiunge:

“Il servizio al quale sarete chiamati, richiede di tutelare la libertà della Sede Apostolica, che per non tradire la sua missione davanti a Dio e per il vero bene degli uomini non può lasciarsi imprigionare dalle logiche delle cordate, farsi ostaggio della contabile spartizione delle consorterie, accontentarsi della spartizione tra consoli, assoggettarsi ai poteri politici e lasciarsi colonizzare dai pensieri forti di turno o dall’illusoria egemonia del mainstream”.

I rappresentanti pontifici svolgeranno questa missione in tutti i continenti:

“In Europa, bisognosa di svegliarsi; in Africa, assetata di riconciliazione; in America Latina, affamata di nutrimento e interiorità; in America del Nord, intenta a riscoprire le radici di un’identità che non si definisce a partire dalla esclusione; in Asia e Oceania, sfidate dalla capacità di fermentare in diaspora e dialogare con la vastità di culture ancestrali”.

Infine il Papa invita i futuri diplomatici ad essere “pastori autentici” e ad avere il coraggio di scostarsi “dai margini di sicurezza di quanto già si conosce e gettare le reti e le canne da pesca in zone meno scontate, senza adattarsi a mangiare pesci preconfezionati da altri”.

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Francesco: cresca amicizia tra ebrei e cattolici per la pace nel mondo

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Cinquant’anni di dialogo e tanti progressi compiuti. E’ il cammino compiuto nei rapporti tra Chiesa Cattolica ed ebraismo sottolineato dal Papa che ha incontrato la delegazione di B’nai B’rith International, organizzazione ebraica impegnata in particolare nel campo dei servizi sociali. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Cattolici ed ebrei sono chiamati a lavorare e pregare insieme per la pace di fronte ai conflitti nel mondo. Questo l'appello del Papa, parlando ai membri di B’nai B’rith International:

"Penso in particolare alla Terra Santa e al Medio Oriente, e che richiedono un impegno coraggioso per la pace: essa non soltanto va desiderata, ma ricercata e costruita pazientemente e tenacemente, con la partecipazione di tutti, in particolare dei credenti".

Il Papa parla della fiducia e dell’apprezzamento che legano cattolici ed ebrei, uniti dalla collaborazione in attività mirate al bene dell’umanità:

"Il rispetto della vita e del creato, la dignità umana, la giustizia, la solidarietà possono vederci uniti per lo sviluppo della società e per assicurare un futuro ricco di speranza per le generazioni che verranno".

Francesco ricorda quindi chi ha lavorato per l’amicizia tra ebrei e cattolici: Giovanni XXIII, che “salvò tanti ebrei durante la seconda guerra mondiale” e che “volle fortemente un documento conciliare su questo tema” e poi Giovanni Paolo II, che compì gesti storici come “la visita ad Auschwitz e quella al Tempio Maggiore di Roma”. L’augurio di Francesco è che nell’anno del 50.mo anniversario della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, “pietra miliare nel cammino di reciproca conoscenza e stima tra gli ebrei e i cattolici”, il cammino di amicizia tra le due fedi “cresca sempre più e porti abbondanti frutti per le nostre comunità e per l’intera famiglia umana”.

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Il Papa: no ai pastori che parlano troppo e ascoltano poco

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La gente sa quando un pastore ha quella coerenza che gli dà autorità. E’ uno dei passaggi dell’omelia di Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, tutta incentrata sulla distinzione tra i veri predicatori del Vangelo e gli “pseudoprofeti”. Il servizio di Alessandro Gisotti

Il popolo segue stupito Gesù perché Lui insegna come uno che ha autorità e non come gli scribi. Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia muovendo dal passo del Vangelo odierno e subito ha osservato che la gente percepisce, sa “quando un sacerdote, un vescovo, un catechista, un cristiano ha quella coerenza che gli dà autorità”. Gesù, ha detto, “ammonisce i suoi discepoli” a guardarsi “dai falsi profeti”. E poi spiega come discernere “dove sono i veri profeti e dove sono gli pseudoprofeti”, “dove sono i veri predicatori del Vangelo e dove sono quelli che predicano un Vangelo che non è Vangelo”.

Parlare, fare, ascoltare
Ci sono tre parole chiave per capire questo, ha ripreso il Papa: “Parlare, fare, e ascoltare”. Innanzitutto, ha avvertito riprendendo il monito di Gesù, “Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel Regno dei Cieli”:

“Questi parlano, fanno, ma gli manca un altro atteggiamento, che è proprio la base, che è proprio il fondamento del parlare, del fare: gli manca l’ascoltare. Perciò continua Gesù: ‘Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica’: il binomio parlare-fare non è sufficiente… ci inganna, tante volte ci inganna. E Gesù cambia e dice: il binomio è l’altro, ascoltare e fare, mettere in pratica: ‘Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia’”.

Guardarsi dagli “pseudoprofeti”
Invece, ha proseguito, “quello che ascolta le parole ma non le fa sue, le lascia passare, cioè non ascolta sul serio e non le mette in pratica, sarà come quello che edifica la sua casa sulla sabbia”. E, ha detto, “sappiamo il risultato”:

“Quando Gesù ammonisce la gente dal guardarsi dagli ‘pseudoprofeti’, dice: ‘Dai loro frutti li conoscerete’. E qui, dal loro atteggiamento: tante parole, parlano, fanno prodigi, fanno cose grandi ma non hanno il cuore aperto per ascoltare la Parola di Dio, hanno paura del silenzio della parola di Dio e questi sono gli ‘pesudocristiani’, gli ‘pseudopastori’. E’ vero, fanno cose buone, è vero, ma gli manca la roccia”.

I pastori mondani parlano troppo e ascoltano poco
Gli manca, ha specificato, “la roccia dell’amore di Dio, la roccia della Parola di Dio”. E senza questa roccia, ha avvertito, “non possono profetizzare, non possono costruire: fanno finta, perché alla fine tutto crolla”. “Sono – ha detto Francesco – gli ‘pseudopastori’, i pastori mondani, i pastori o i cristiani anche che parlano troppo, hanno paura del silenzio, fanno forse troppo. Ma non sono capaci di fare dall’ascolto, fanno da quello che parlano, fanno dal proprio, non da Dio”:

“Ricordiamo queste tre parole, sono un segno: fare, ascoltare, parlare. Uno che parla e fa, solamente, non è un vero profeta, non è un vero cristiano, e alla fine crollerà tutto: non è sulla roccia dell’amore di Dio non è saldo come la roccia. Uno che sa ascoltare e dall’ascolto fa, con la forza della parola di un altro, non della propria, quello rimane saldo. Benché sia una persona umile, che non sembra importante, ma quanti di questi grandi ci sono nella Chiesa! Quanti vescovi grandi, quanti sacerdoti grandi, quanti fedeli grandi che sanno ascoltare e dall’ascolto fanno!”

Un esempio dei nostri giorni, ha detto il Papa, è Madre Teresa di Calcutta che “non parlava, e nel silenzio ha saputo ascoltare” e “ha fatto tanto! Non è crollata né lei né la sua opera”. “I grandi – ha soggiunto – sanno ascoltare e dall’ascolto fanno perché la loro fiducia e la loro forza è sulla roccia dell’amore di Gesù Cristo”. “La debolezza di Gesù che da forte si è fatto debole per farci noi forti – ha concluso – ci accompagni in questa celebrazione e ci insegni ad ascoltare e a fare dall’ascolto, non dalle nostre parole”.

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Libano: morto il patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX

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Si è spento questa mattina nell'ospedale Jeetawi di Beirut in Libano, Sua  Beatitudine Nerses Bedros XIX, patriarca di Cilicia degli armeni cattolici, a causa di un arresto cardiaco. Il patriarca, dopo che in questi ultimi tempi si era sottoposto ad una operazione al ginocchio, stava trascorrendo il periodo di  convalescenza al patriarcato armeno in Libano. Stamattina ha avuto un malore ed è stato trasportato in ospedale dove è deceduto.

Nel 1999 eletto patriarca di Cilicia degli armeni cattolici
Nerses Bedros XIX aveva 75 anni, era nato al Cairo il 17 gennaio del 1940. Era il quinto figlio di una famiglia di otto figli. Terminati i suoi studi al Cairo, sentendo la vocazione, era stato inviato a Roma, al Pontificio Collegio armeno, dove ha concluso i suoi studi di filosofia e di teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Il 15 agosto 1965 era stato ordinato sacerdote e nominato parroco della parrocchia armena cattolica del Cairo. Il 18 febbraio 1990 era stato eletto e consacrato vescovo del Cairo degli armeni cattolici. Il 7 ottobre 1999 il Sinodo della chiesa armeno cattolica lo elegge quale XIX patriarca di Cilicia degli armeni cattolici ed il 13 dicembre dello stesso ricevere il pallio da san Giovanni Paolo II.

Suo ultimo atto in Vaticano: la Messa celebrata dal Papa per i fedeli armeni
Era stato lo stesso patriarca  Nerses Bedros XIX a richiedere la Messa celebrata da Papa Francesco per i fedeli armeni in San Pietro lo scorso 12 aprile, per il centenario del “martirio” armeno. Tra le altre iniziative degne di rilievo c'è l'inaugurazione della statua di san Gregorio l'Armeno posta in Vaticano alla presenza di san Giovanni Paolo II e l'intitolazione del cortile di San Gregorio Armeno in Vaticano, alla presenza del Papa emerito Benedetto XVI. (A cura di Robert Attarian del Programma Armeno della RV)

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Filadelfia 2015, Paglia: famiglie bastonate ma sono risorsa più importante

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“L’amore è la nostra missione. La famiglia pienamente viva”: è il tema dell’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie che si svolgerà a Filadelfia, negli Stati Uniti, dal 22 al 27 settembre prossimi. L’evento, sancito dalla presenza del Papa il 26 e 27, è stato presentato nella Sala Stampa della Santa Sede. Hanno partecipato mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Charles Joseph Chaput, arcivescovo di Filadelfia, mons. John J. McIntyre, vescovo ausiliare della città statunitense e due coppie di coniugi dell’arcidiocesi, introdotti dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. A comporre la delegazione statunitense, anche il sindaco di Filadelfia, Michael Nutter. Il servizio di Giada Aquilino

Le famiglie al centro dell’attenzione della Chiesa e della società civile. Mons. Vincenzo Paglia mette in chiaro subito che tutto sarà puntato su questo obiettivo:

“Presenteremo a Filadelfia alcune ricerche scientifiche, fatte in questi anni, sia in Europa sia negli Stati Uniti, sia in America del Sud, dove - dati alla mano e al di là delle definizioni - si mostra che queste famiglie sono la risorsa più importante della società, anche se non se ne parla, anche se a volte vengono un po’ ‘bastonate’, anche se a volte vengono dimenticate”.

L’Incontro di Filadelfia, prosegue il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, sarà mondiale, perché pensato affinché sia “visto e raccontato in tutto il mondo”. Dello svolgimento ha parlato l’arcivescovo Charles Joseph Chaput:

“The events that take place in Philadelphia consist of two parts...
Gli eventi di Filadelfia si dividono in due parti: uno è il Congresso mondiale delle famiglie che si svolgerà dal 22 al 25 settembre al Pennsylvania Convention Centre. Ci aspettiamo la partecipazione di circa 15 mila delegati da tutto il mondo. Il Congresso è un’occasione per tutti coloro – siano cattolici o appartenenti ad altre religioni – che credono che la famiglia sia la pietra angolare della società, per unirsi nell’impegno di riaffermare i suoi legami più intimi e riaffermare la sua importanza nella nostra vita. Noi tutti abbiamo una famiglia e la famiglia è molto importante per ciascuno di noi. La seconda parte riguarda la visita del Papa a Filadelfia, che si svolgerà sabato e domenica, cioè il 26 e il 27 settembre, quando il Santo Padre parteciperà agli eventi di chiusura dell’ottavo Incontro Mondiale delle Famiglie”.

Al momento sono oltre 11.800 le persone regolarmente registrate per l’Incontro Mondiale delle Famiglie: di queste, oltre mille sono per il Congresso dei Giovani, tra i 6 e i 17 anni. Attualmente sono rappresentate più di 100 nazioni, con gli Stati Uniti al primo posto, seguiti da Canada, Vietnam, Repubblica Dominicana e Nigeria, a cui si uniscono rappresentanze dai 5 continenti. Mobilitati migliaia di volontari, tra cui anche una quarantina di 80 anni di età. C’è anche chi metterà a disposizione la propria casa per ospitare i partecipanti all’evento. Non tutti gli appuntamenti sono stati fissati poiché l’itinerario completo del viaggio di Papa Francesco non è stato ancora diffuso, lo sarà “fra poco”, ha spiegato padre Lombardi. Sul sito www.worldmeeting2015.org tutte le informazioni necessarie. Certa comunque l’universalità dell’appuntamento, come ha sottolineato l’arcivescovo Paglia:

“Al termine di tutte le celebrazioni, il Papa consegnerà a 5 città del mondo - e precisamente L’Avana (America), Marsiglia (Europa), Hanoi (Asia), Sydney (Australia) e Kinshasa (Africa) - 200 mila copie per ognuna del Vangelo di Luca firmato dal Pontefice stesso. E queste copie partiranno da Filadelfia per le famiglie delle periferie di queste grandi città, come a mostrare l’universalità di questa iniziativa perché il Vangelo della famiglia diventi anche il libro delle famiglie”.

Sottolineato lo stretto legame tra l’appuntamento di fine settembre negli Stati Uniti e il Sinodo generale ordinario sulla famiglia che si svolgerà ad ottobre in Vaticano, per il quale è stato appena presentato l’Instrumentum laboris. Ancora mons. Paglia:

“Credo che ovviamente i temi o l’intero Instrumentum laboris sarà oggetto di riflessione e anche di approfondimento, per quanto si può. Ma non c’è dubbio che lo stile voluto da Papa Francesco, di una Chiesa sinodale, trova anche in Filadelfia una delle espressioni più significative”.

Sollecitati dai giornalisti, i presuli hanno risposto ad una domanda sulla presenza agli eventi di Filadelfia di persone omossessuali. Mons. John J. McIntyre ha anticipato che il docente universitario Ron Belgau, tra i promotori dell’iniziativa ‘Spiritual Friendship - Amicizia spirituale’, terrà un intervento sull’argomento:

“He will talk about...
Parlerà di come abbia accettato il suo orientamento sessuale e del modo in cui, in questa maturazione, abbia abbracciato l’insegnamento di Cristo e della Chiesa; parlerà poi anche la madre, illustrando la sua prospettiva di mamma e raccontando della sua accettazione dell’orientamento sessuale del figlio, anche nell’ambito della famiglia”.

Infine la testimonianza dei coniugi Francesco, che festeggiano i 50 anni di matrimonio. Ecco Lucille:

“For us, as a married couple, it is a great opportunity to…
Per noi, che siamo una coppia sposata, questa è una grande occasione per mettere in luce l’amore, che è così importante! Lo è per i nostri figli: in famiglia imparano cos’è l’amore e ciò è veramente determinante. Noi siamo onorati, emozionati e felici di essere qui e speriamo che voi tutti veniate a Filadelfia”.

Presente anche il sindaco di Filadelfia Michael NutterMassimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. – Prima di tutto, voglio dire che è un grande onore ospitare l’Incontro mondiale delle famiglie, il Festival delle famiglie e, ovviamente, la visita di Papa Francesco. Filadelfia è la grande città per i grandi eventi, negli Stati Uniti d’America, è veramente una città globale per eventi globali – e l’Incontro mondiale delle famiglie è proprio questo. Stiamo lavorando con il Vaticano, con il Pontificio Consiglio per la Famiglia da oltre un anno per organizzare questo Incontro e la visita di Papa Francesco.

D. - Quali sono le vostre previsioni?

R. - Pensiamo di accogliere oltre un milione di persone, forse un milione e mezzo, che verranno a Filadelfia, che andranno ad aggiungersi alla popolazione locale.

D. - Dove si svolgerà principalmente l’evento e come procede l'organizzazione?

R. - Per quanto riguarda l’Incontro delle famiglie, si svolgerà sostanzialmente nel Pennsylvania Convention Centre, ma ci saranno poi altri eventi pubblici ai quali parteciperà Papa Francesco. Tutto quello che riguarda l’organizzazione e il coordinamento della logistica, della sicurezza, dei trasporti procede molto bene. Aspettiamo con gioia: siamo pronti!

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Tweet Papa: nella Confessione Gesù ci accoglie con tutti i nostri peccati

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“Nella Confessione Gesù ci accoglie con tutti i nostri peccati, per donarci un cuore nuovo, capace di amare come ama Lui”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex, in 9 lingue.

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2 milioni davanti alla Sindone. Don Gottardo: evento che lascia il segno

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Nella Festa di San Giovanni Battista, patrono di Torino, si è conclusa ieri - dopo 67 giorni - l’Ostensione della Sindone, suggellata da una Messa in Duomo celebrata dall’arcivescovo della città, mons. Cesare Nosiglia. Stamane, nel capoluogo piemontese, in un incontro con la stampa, il bilancio di questo evento storico, arricchito dalla visita di Papa Francesco. Tante personalità del mondo politico, della cultura, dello spettacolo e dello sport, che hanno sostato davanti al Sacro Lino. Roberta Gisotti ha intervistato don Roberto Gottardo, presidente della Commissione diocesana per la Sindone: 

Oltre 2 milioni i pellegrini ed i visitatori da 146 Paesi, di ogni continente, non solo cristiani e credenti. Un evento storico seguito da 1200 giornalisti, ben 200 arrivati a Torino dall’estero. Don Gottardo, al di là dei numeri, che sempre suscitano curiosità, quale è stato il clima umano e spirituale che ha accompagnato questa Ostensione 2015?

R. -  Il primo aspetto che certamente da torinese mi permetto di rilevare è come la città cambi volto durante le ostensioni, per la grandissima presenza di pellegrini dall’Italia, ma anche dall’estero, provenienti da Paesi che normalmente non frequentano Torino. Vedere tradizioni e lingue diverse incrociarsi nella città. Vedere grandi gruppi di russi, di polacchi, di giapponesi… è certamente inusuale. Quindi una città che cambia volto per l’influenza di questo evento che nasce dalla fede, dalla Chiesa ma che poi si apre e diventa evento cittadino, ricco di motivi di cultura, motivi di riflessione per tutti, al di là di qualsiasi confessione.

D. – Da quello che mi dice, don Gottardo, un evento, occasione di raccoglimento personale ma anche occasione corale, per ritrovarsi insieme a tante altre persone nella spiritualità?

R. – Sì, certamente il pellegrino può essere venuto come singolo o essere venuto come parte di un gruppo. In ogni caso, la Sindone è quello che ha unito questo insieme di persone, che non si conoscevano, partite da luoghi diversi, con motivazioni diverse, eppure tutte in qualche modo radunate dal desiderio di sostare davanti a quel Volto. In qualche modo la Sindone ha messo insieme queste persone che partite da esperienze diverse. Infatti, qui abbiamo avuto sia il fedele cristiano ma abbiamo avuto anche il semplice curioso; però tutti sono stati interrogati, chiamati, smossi da quel volto che parla del Volto di Cristo, prima di qualsiasi considerazione scientifica ma semplicemente per quel che si vede su quel Telo.

D. – In particolare malati, disabili e giovani sono stati posti al centro di questa Ostensione 2015, proprio per volere di mons. Nosiglia…

R. – Questa è stata la particolarità per quest’ostensione. Può stupire un po’ questa associazione di due mondi che sembrano così lontani, quello della gioventù e quello della malattia o disabilità. Io penso che invece la scelta non sia stata casuale e rispecchi anche un richiamo che ormai conosciamo bene di Papa Francesco ed è quello delle periferie, perché entrambi questi mondi possiamo considerarli una ‘periferia’. Il mondo della malattia e della disabilità sicuramente non è, purtroppo, spesso, in tante occasioni, al centro delle nostre attenzioni, preoccupazioni e alle volte anche il malato, il disabile è più immaginato come una persona a cui occorre offrire delle possibilità, dei servizi e più raramente come una persona che invece ha qualcosa da dare e da offrire alla comunità, esattamente come tutti. E questo abbiamo tentato di fare attraverso l’ostensione. L’altro mondo, quello della gioventù, anche questo purtroppo è una ‘periferia’. Conosciamo i dati sulla disoccupazione giovanile e più in generale questi giovani sono tanto cercati e blanditi come consumatori, quanto ignorati come soggetti e protagonisti della società. E quindi due ‘periferie’ che il Papa ci invita non solo a guardare ma a metterci in quelle periferie per guardare il mondo da quel punto di vista.

D.  – La presenza di Papa Francesco davanti alla Sindone che cosa ha aggiunto, che cosa ha suscitato?

R.  – Certamente è stata la grande conferma di un altro Papa davanti alla Sindone e questo gesto in qualche modo indica la realtà della Sindone come qualcosa di significativo per la Chiesa, per la fede e non solo per questa ma per tutte le persone, gli uomini e le donne, che sono in cammino nella loro vita e cercano un significato, cercano un amore ed uno sguardo, un abbraccio di misericordia, come ci ricorda sempre Papa Francesco. E quindi ancora una volta ci viene confermato questo significato della Sindone, che nella sua umiltà, nella sua semplicità e silenziosità rimane un segno ed un aiuto.

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Prima riunione in Vaticano della Consulta femminile permanente

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Una Consulta permanente, formata da sole donne, si è riunita per la prima volta martedì scorso presso la sede del Pontificio Consiglio della Cultura. Il nuovo organismo è stato promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Dicastero vaticano, al fine di ricevere pareri sui vari progetti in corso, ma anche idee e proposte per nuove iniziative e fornire aiuto per individuare priorità culturali, nell’ottica delle donne. La Consulta è composta da docenti universitarie e madri di famiglia, da diplomatiche e giornaliste, da attiviste nella politica e scienziate, da funzionarie e da religiose. Nella Consulta anche due donne lavoratrici in Vaticano: Micol Forti, direttrice della Collezione di Arte contemporanea dei Musei Vaticani, e Roberta Gisotti, giornalista della Radio Vaticana. Dando loro il benvenuto, il cardinale Ravasi - cui la Consulta farà diretto riferimento - ha detto di desiderare di ascoltare i consigli delle donne e di essere stimolato dalle loro intuizioni.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Il Santo Padre Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: Fra’ Matthew Festing, Principe e Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, e Seguito; il Card. George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia; Mons. Salvador Piñeiro García-Calderón, Arcivescovo di Ayacucho (Perú), Presidente della Conferenza Episcopale del Perú con: Mons. Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, O.F.M., Arcivescovo di Trujillo, Vice-Presidente; Mons. Pedro Ricardo Barreto Jimeno, S.I., Arcivescovo di Huancayo, Vice Presidente; Mons. Fortunato Pablo Urcey, O.A.R., Prelato di Chota, Segretario Generale;

In Messico, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Autlán, presentata da S.E. Mons. Gonzalo Galván Castillo, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

A Panama, il Papa ha trasferito mons. Uriah Ashley, finora Vescovo di Penonomé, all’ufficio di Vescovo Ausiliare di Panamá, assegnandogli la sede titolare di Agbia.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, "Uomini ponte". Ai futuri diplomatici della Santa Sede il Pontefice ricorda che la vera autorità è la carità e invita ebrei e cristiani a lavorare insieme per la pace in Terra Santa e Medio Oriente

Sotto: Immigrazione nodo europeo. Il Consiglio si riunisce a Bruxelles per valutare una nuova strategia complessiva

Nelle pagine della cultura: "Ossessione da controllo". Quindici anni fa veniva sequenziato il genoma umano di Carlo Petrini

"La liberazione del giudicare", un ricordo di padre Silvano Fausti di Silvia Guidi

"Schegge di storia. Il Quirinale aperto al pubblico" di Louis Godart

Nemmeno un passerotto è dimenticato da Dio, un commento alla «Laudato si’» di Victor Manuel Fernández

"Ponti prima impensabili. Un avvenimento storico a Torino" di Valdo Spini

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Oggi in Primo Piano



L'Is rientra a Kobane ma curdi smentiscono ripresa della città

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In Siria si registrano intensi scontri tra jihadisti e forze governative siriane a Hasake, capoluogo dell'omonima regione a Nord Est. Ma resta la forte preoccupazione per l’annunciata ripresa della città di Kobane da parte delle forze dell’Is, anche se è arrivata la smentita dei curdi. Il servizio di Fausta Speranza

E' ripresa la battaglia a Kobane, città cruciale al confine tra la Siria e la Turchia, diventata il simbolo della resistenza dei curdi all'avanzata dell'Is. I miliziani jihadisti sono rientrati nel perimetro urbano per la prima volta da quando, a fine gennaio, la città era stata liberata dai combattenti curdo-siriani, dopo 4 mesi di assedio, col sostegno dei raid aerei della coalizione internazionale. Nella notte, i combattimenti: dai sobborghi fino al centro della città. Poi l’annuncio all’alba della riconquista da parte dell’Is, senza altre conferme. E poi la smentita, poco fa, da parte dei curdi: "Un gruppo di jihadisti dell'Is si è infiltrato nella notte nella città ma il controllo resta nelle mani delle forze curde". La sconfitta dei jihadisti a Kobane aveva avuto grande eco internazionale con un alto valore simbolico.

Del difficile equilibrio di forze al confine tra Turchia e Siria, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. - Diciamo che Kobane, da un po’ di tempo, è diventata il simbolo della lotta soprattutto dei curdi nei confronti del presunto califfato islamico. Ed è una cartina di tornasole della “non politica” o della politica  - come vogliamo definirla - della Turchia. Anche quello che sta succedendo in queste ore di cui non abbiamo alcuna certezza – purtroppo le notizie arrivano e poi vengono smentite, o responsabilità attribuite ad un gruppo ad altro, anche queste smentite – ci fa vedere come la Turchia sia sospesa in questo conflitto.

D. - Forse quello che sappiamo è che continuano a passare armi e miliziani attraverso il confine turco, o no?

R. - La Turchia continua a smentire. Anche in queste ore, quando si è diffusa la notizia che Kobane era sotto attacco da parte delle truppe dell’Is, la Turchia si è affrettata a smentire l’ipotesi che queste fossero penetrate a Kobane attraverso il confine turco, però in ogni caso non prende mai una posizione chiara e definitiva nei confronti dell’Is. Quindi, sì, nonostante le smentite le armi passano sicuramente da quel confine.

D. - Si continua a combattere anche in altre zone del Nord Est, poi ci sono i raid aerei ed oggi c’è la denuncia dell’Onu che i civili non stati colpiti accidentalmente, ma in questo conflitto sono nel mirino …

R. - Purtroppo sì, perché stiamo parlando di civili "particolari"; mi riferisco alla questione curda, che mai si è risolta del tutto, che crea seri problemi agli Stati e ai contendenti nell’area. I curdi stanno portando sulle loro spalle, sia uomini che donne che bambini, tutte le piaghe di questo conflitto. Uomini e donne sono coinvolti direttamente nel conflitto in quanto combattenti. Anziani e bambini subiscono gli attacchi precisi da parte dell’Is e le conseguenze del disinteresse dei turchi.

D. - Un conflitto in cui più che mai gli spari sono veramente incrociati, perché c’è il regime, l’Is, le forze dei ribelli, ci sono raid internazionali … Ci sono veramente tanti agenti in campo …

R. - Sì, tanti agenti in campo. Ecco perché all’inizio parlavo di Kobane come simbolo di questo conflitto, in particolar modo perché non è semplicemente una città di confine, ma è una città in un confine particolare che non è soltanto quello tra Siria e Turchia, ma che racchiude la presenza di minoranze particolari. La questione curda è una questione che è stata dimenticata per molti anni e che ancora oggi si fa fatica a sottolineare. Non è stata risolta da decenni e torna alla ribalta in questi giorni con questo conflitto. E i curdi sono sottoposti al fuoco incrociato da parte delle parti in causa e sono gli unici che stanno difendendo una parte di quel territorio.

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A Bruxelles, ancora non c'è accordo sulla crisi greca

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Si è risolta in un nulla di fatto la nottata di trattative a Bruxelles sulla crisi greca. Oggi sono ripresi ad oltranza i negoziati. Atene resta ferma sulle sue posizioni e punta il dito contro la rigidità di alcune istituzioni, a partire dal Fondo Monetario Internazionale. Un conflitto che ruota intorno al problema dell’austerità e che riflette le diverse visioni culturali all'interno dell'Unione Europea, come afferma l'economista Stefano Zamagni al microfono di Emanuela Campanile

R. – Buona parte dei conflitti, in questa nostra Europa, sono dovuti alla diversità delle visioni del mondo e delle matrici culturali. Ecco perché le stesse proposte della Grecia avanzate da altri Paesi sono state accolte e quelle della Grecia no. Il punto è che l’austerità di cui anche i bambini e i sassi ormai sanno, è figlia di una particolare concezione tipica della tradizione di pensiero tedesca, in base alla quale questa serve per punire, cioè "dire il colpevole", chi ha sbagliato – e la Grecia ha sbagliato ripetutamente – deve essere punito. Dopo che ha scontato la pena allora ci potrà esser la redenzione. Una filosofia completamente opposta a quella anglosassone; gli inglesi da bravi pragmatici dicono che prima bisogna far funzionare la macchina, rimettere in sesto l’ammalato e dopo - se mai - lo penalizziamo, lo multiamo …

D. - Ma la Grecia potrà "tirare avanti" ancora per molto in questo braccio di ferro?

R. - Un punto su cui tutti sono d’accordo a prescindere da chi sta da una parte e dall’altra  è che la questione greca è stata gestita male. Quindi c’è una responsabilità in Europa di chi ha guidato la danza iniziata nel 2010. Allora, cioè cinque anni fa, sarebbe stato possibile con interventi tutto sommato limitati, si parla di 50 miliardi di Euro, limitati per un’Europa intera, la situazione avrebbe potuto essere raddrizzata. Invece non si è voluto farlo perché – e lo sappiamo – bisognava proteggere le grandi banche dell’Europa continentale.

D. - Ci sarà un elemento che va contro tendenza nell’Eurogruppo …

R. - No, perché dell’Eurogruppo questo è il punto; l’Inghilterra non fa parte di questo gruppo. Se l’Inghilterra facesse o avesse fatto parte le cose sarebbero andate diversamente. Perché l’Inghilterra nel suo Paese non ha seguito la linea  dell’austerità? Perché gli Stati Uniti non hanno seguito la politica dell’austerità e ora sono fuori già da tempo dalla crisi? E l’Inghilterra se avesse fatto parte dell’Eurogruppo si sarebbe opposta, avrebbe ingaggiato questa dialettica con la Germania. Invece nei confronti della potenza notevole della Germania gli altri Paesi - come la Francia - che in teoria avrebbero potuto, ma avendo le difficoltà di tipo strutturale che ben sappiamo hanno ritenuto di accodarsi in cambio di qualche piccolo favore di un tipo o dell’altro. L’Italia naturalmente sulla scena europea non riesce a "forare quei video" – per dirla in termini scherzosi - e quindi gli altri Paesi fanno corona alla Germania.

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Il Nepal a 2 mesi dal sisma: ancora tre milioni di sfollati

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Sono passati due mesi dal devastante terremoto che il 25 aprile e, a seguire, il 12 maggio ha colpito il Nepal. Per un bilancio aggiornato delle vittime, dei danni e dei soccorsi prestati, Roberta Gisotti ha intervistato Lorena D’Ayala Valva, coordinatrice per le emergenze del Cesvi (Cooperazione e sviluppo), tra le organizzazioni umanitarie non governative da subito presente in aiuto alle popolazioni già poverissime del Paese asiatico, dove quasi il 60% degli abitanti vive con meno di 2 dollari al giorno: 

R. – Al momento, stiamo contando quasi 9 mila vittime e più di 22 mila persone ferite. Inoltre, il dato veramente importante, forte, che occorre ricordare è che ci sono tre milioni di persone che sono state sfollate dalle loro case e quasi un milione e mezzo di persone che hanno necessità di assistenza da un punto di vista alimentare, oltre che di generi sanitari, e anche per quanto riguarda la distribuzione dell’acqua. Infatti, in moltissimi casi, le strutture idriche sono state danneggiate.

D. - In occasione di questo drammatico anniversario è stata convocata una Conferenza dei donatori nella capitale Kathmandu. Che notizie?

R. – Sì, noi come organizzazione non governativa facciamo parte di una serie di network sia a livello europeo che di coordinamento a livello nepalese. Per cui, ciò che vorremmo sottolineare con forza rispetto a questa Conferenza è che i fondi devono continuare ad arrivare e quindi l’impegno da parte dei singoli governi e delle organizzazioni internazionali non deve cessare. Infatti, il pericolo è che quando si spengono i riflettori su queste tragedie purtroppo vengono a calare gli aiuti internazionali. Quindi, chiediamo con forza ai donatori internazionali di proseguire e al governo nepalese di continuare a favorire le attività delle organizzazioni come ha fatto fino a ora. E chiediamo soprattutto ai media nepalesi di riportare con evidenza quelle che sono le necessità e gli aggiornamenti che arrivano direttamente dal campo.

D. – E’ importante anche far ripartire i flussi turistici essendo il Nepal un Paese di grande patrimonio archeologico…

R. – Archeologico ma anche naturalistico, perché non dimentichiamoci della catena dell’Himalaya per cui quello che noi abbiamo pensato di fare, per esempio, rispetto a questo aspetto è di aprire una raccolta fondi con un’altra organizzazione bergamasca – che si chiama "Everest-K2" e che lavora tradizionalmente anche sull’Everest – per aiutare gli abitanti di un villaggio ai piedi della montagna. Sono “sherpa”, portatori, che con questo terribile evento hanno perso anche il loro lavoro. Per cui, l’idea è quello di supportarli attraverso attività di “cash for work”, garantendo loro un salario per la ricostruzione delle loro case. E speriamo che le attività turistiche ricomincino, ma sarà complicato perché anche le strutture sono danneggiate e ci vorrà tempo.

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Onu condanna attentato al Shabab contro Emirati a Mogadiscio

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Preoccupazione e condanna della Comunità internazionale dopo l’attacco sferrato, ieri, dai miliziani somali di al-Shabab contro un convoglio dell'ambasciata degli Emirati Arabi Uniti nel centro di Mogadiscio che ha provocato 6 vittime. Illeso l’ambasciatore. L’Onu ha parlato di "atto vile e crudele", mentre l'Egitto sta spingendo per una soluzione internazionale che metta fine al terrorismo. E' la prima volta tra l’altro che il gruppo islamista affiliato ad al Qaeda prende di mira Abu Dhabi e i musulmani. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Massimo Alberizzi, corrispondente del "Corriere della Sera": 

R. – Terrorismo vuol dire seminare il terrore. E questo terrore in Somalia viene seminato, appunto, in vari modi: o con un attentato eclatante come quello di ieri oppure con piccoli attentati alle stazioni di polizia, omicidi mirati, regolamenti di conti per fare in modo che i somali siano terrorizzati e quindi non si muovano e non facciano nulla contro gli Shabaab, per esempio. Bisogna sapere che l’Intelligence si basa proprio sui cittadini che denunciano movimenti sospetti. Se i sospettati reagiscono, terrorizzando la popolazione, si bloccano anche le linee dell’informazione e questo è quello che vogliono raggiungere gli Shabaab.

D. - Non è un caso che proprio gli Emirati Arabi siano finiti nel mirino degli Shabaab. Come leggere questo attentato?

R. – Di solito gli arabi, i musulmani in generale, i sunniti però in particolare, sono quelli che non sono colpiti dal terrorismo, perché comunque il terrorismo è di al Qaeda, e quindi gli Shabaab, che sono la filiale somala di al Qaeda, sono sunniti. Invece, in questo caso, sono stati colpiti dei sunniti. Quindi la violenza si sta radicalizzando ancora di più, in piccole frazioni durissime, che colpiscono non più solamente per motivi religiosi, ma per motivi politici, anzi, secondo me anche per motivi economici. Bisogna fare attenzione, perché la Somalia, avendo trovato enormi giacimenti di petrolio, è diventata un Paese “appetibile”.

D. – Ricordiamo anche che gli Emirati Arabi forniscono sostegno militare al governo somalo contro i terroristi. Non sono gli unici, perché ovviamente ci sono 22 mila soldati dell’Unione Africana, di cui fanno parte tra gli altri il Burundi, l’Etiopia, il Kenya, l’Uganda. Quindi fondamentalmente nel loro obiettivo, c’era quello di colpire quelli che chiamano “i nemici della Somalia”…

R. – Sì, anche se è piuttosto strano, perché tutti i Paesi, in questo momento, sono Paesi non musulmani. Quindi sono il nemico più visibile. Però, potrebbe anche essere che gli Emirati fossero l’obiettivo più facile da raggiungere. Mentre gli etiopici – per esempio – o gli ugandesi, che sicuramente sono a Mogadiscio, sono protettissimi, si muovono con scorte armate enormi e con blindati. Attenzione poi, perché gli Shabaab hanno dichiarato guerra durante il Ramadan e hanno detto: “Saranno intensificate le nostre azioni militari contro i nemici”. E questa è stata la prova più evidente.

D. – L’Onu ha condannato il gesto ed è arrivata una condanna anche dall’Egitto. Proprio dal governo di al Sisi è giunto il monito per coordinare gli sforzi, sia internazionali sia regionali, per sconfiggere il terrorismo in tutte le sue forme. Allora, si può ancora fare questo? Si può procedere verso la stabilizzazione dell’area?

R. – Si può ovviamente procedere, intensificando le azioni militari, gli attacchi con elicotteri. Io, però, francamente non credo che sia una strategia vincente, proprio perché – tra le altre cose – qui si vive nel terrore, quindi non è facile neanche reclutare dei soldati. Mentre il reclutamento degli Shabaab è più “semplice”, nel senso che possono reclutare con estrema facilità questi giovani che non hanno futuro, non hanno possibilità di lavoro, con l’illusione di offrire loro chissà cosa. La Somalia è una giungla in guerra da 20 anni, non dimentichiamolo! La strategia, quindi, secondo me, non può essere solamente una strategia militare di muscoli con cui arrivi e distruggi tutte le basi e tutte le armi degli Shabaab, ma deve essere una strategia che, dall’interno degli Shabaab, impedisce il reclutamento di questa gente.

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Galantino: welfare non è spesa ma investimento

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Nasce un tavolo permanente tra tutte le realtà ecclesiali che si occupano di dipendenze. Otto associazioni del settore questa mattina si sono riunite a Roma per scambiarsi esperienze e soprattutto chiedere che il welfare tenga conto delle nuove emergenze. E’ intervenuto anche il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, che ha incoraggiato le organizzazioni ad aumentare il loro impegno. Alessandro Guarasci

Droga, alcool, gioco d’azzardo, riduzione in schiavitù. Sono tante le dipendenze che mettono a rischio giovani e adulti. Otto associazioni, e tra loro c’è la Caritas, danno vita a una sorta di coordinamento. Mons. Nunzio Galantino vede in queste organizzazioni una risorsa e, anzi, chiede che la Chiesa le accolga sempre di più. Insomma serve la massima unità tra i cattolici, su tutti fronti, senza nostaglie per il passato, dice il segretario generale della Cei:

“Andiamo avanti perché, grazie a Dio, il Papa ci sta dando veramente coraggio, ci sta indicando percorsi che richiedono veramente coraggio”.

L’unità serve anche in vista del 3 ottobre quando le realtà ecclesiali saranno su invito del Papa a San Pietro per sostenere i padri sinodali con la preghiera. E poi ci sono le sfide più sociali. Il welfare deve tenere conto delle nuove emergenze. Ancora mons. Galantino:

“Finché viene considerato una spesa e non un investimento, purtroppo noi ci ritroveremo ad avere sì meno soldi, ma soprattutto meno voglia di prendere sul serio la fatica delle persone, meno sul serio la fatica di vivere di alcuni e di progettare dei nostri giovani. Per cui deve cambiare proprio la nostra testa, prima di quella del Governo: il welfare non è una spesa, non può essere una spesa”.

Un welfare più forte anche per reagire agli sciacalli che speculano su poveri e immigrati.

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Simposio docenti universitari su cultura per nuovo umanesimo

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“Una cultura per un nuovo umanesimo” è il tema XII Simposio internazionale dei docenti universitari organizzato dall’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che si apre questo pomeriggio a Roma nell’Aula della Conciliazione del Palazzo Apostolico Lateranense. L’incontro, che si conclude sabato, vede la partecipazione di oltre 500 docenti universitari arrivati da tutto il mondo. Marina Tomarro ha intervistato Cesare Mirabelli, presidente del comitato scientifico del Simposio: 

R. – Il tema scelto quest’anno vuole, da un punto di vista generale, far coinvolgere tutte le competenze scientifiche e tecnico-umanistiche, su un terreno fondamentale: quello della costruzione di una cultura che apra a un umanesimo adeguato ai problemi del mondo contemporaneo. E l’università e i docenti universitari coprono la più vasta area del sapere; si trovano per discutere e approfondire insieme e portare ciascuno il proprio contributo su una serie di temi – identità, biosistema, ecosistema, società, visione, rappresentazione. In questi diversi ambiti, ci saranno molte tavole rotonde, relazioni, dibattiti per suscitare scambi di idee ma anche promuovere ricerca comune.

D. – Quanto è importante, anche, questo simposio dal punto di vista del confronto tra i diversi atenei del mondo?

R. – Quest’anno vi sono eventi collaterali che aprono in maniera ancora più incisiva sul Mediterraneo e sui problemi del Mediterraneo; eventi che riguardano i processi di pace in Medio Oriente dal punto di vista di cosa possano fare le università in queste aree: le università delle aree mediterranee e nelle aree mediterranee... L'obiettivo è promuovere e sviluppare conoscenza e la diffusione della conoscenza; affermare il ruolo proprio dell’università, quest’anno con un’accentuazione: la più larga presenza di giovani ricercatori e lo spazio ampio ad esse dedicati; un rapporto tra generazioni che è naturale nell’università.

D. – Papa Francesco, nella sua Enciclica “Laudato si’” invita proprio a un cambio di rotta. In che modo anche l’università può contribuire a questa esortazione del Santo Padre?

R. – La visione dell’Enciclica si amplia da una visione tradizionale della ecologia a un’ecologia sociale, a una dimensione di giustizia nel rapporto tra Paesi e nell’ambito dell’umanità, aspetti che riguardano l’economia … Perciò, credo che sarà proprio un filo conduttore e una sorta di documento di base dal quale partire per costruire poi quelle articolazioni di pensiero …

D. – Questa è la 12.ma edizione del Simposio. Cosa spinge i docenti a partecipare anno dopo anno?

R. – Questo appuntamento non è un evento che si apre e si chiude, perché è il frutto di un lavoro che si svolge nel corso dell’anno, e quindi entra nello stesso dinamismo della vita universitaria di Roma.

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Il Festival francescano 2015: un’ode a “Sorella Terra”

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È dedicata alla “Sorella terra” l’edizione 2015 del Festival francescano che si terrà per la prima volta a Bologna dal 25 al 27 settembre. L’obiettivo di questo settimo anno della manifestazione è scoprire in che modo prendersi cura della Terra e come lasciarsi ispirare da essa, coma San Francesco nel suo “Cantico di frate sole”. L'evento è stato presentato presso la Sala Marconi della Radio Vaticana. Il servizio è di Roberta Barbi: 

Un tema impegnativo, quello scelto dal Festival francescano, che quest’anno vuole condividere a gran voce il messaggio di custodia del Creato che fu del Poverello d’Assisi; il pensiero non può non andare alla “cura della casa comune” espressa da Papa Francesco nell’Enciclica appena pubblicata “Laudato sii”, in cui pone un interrogativo fondamentale: “Come vogliamo lasciare il mondo alle future generazioni”? Ci risponde il presidente del Festival francescano, fra Alessandro Caspoli:

“Avendo un atteggiamento non consumistico nei confronti del Creato e quindi della Terra e di tutto quello in cui noi viviamo; avendo un atteggiamento di attenzione e di cura. È la cura che, forse, fa la differenza rispetto al vivere, sfruttare e utilizzare il luogo nel quale siamo. Penso che con l’Enciclica del Papa e con il Festival francescano si cerchi di sottolineare l’atteggiamento che gli uomini e le donne di questa Terra devono avere: una collaborazione reciproca nella costruzione del bene comune”.

Anche quest’anno oltre un centinaio di iniziative gratuite tra conferenze, workshop e appuntamenti dedicati ai più piccoli, per un festival culturale vitale che cerca di far arrivare anche ai più distanti i valori francescani di fraternità, umiltà, carità, dialogo e pace uscendo nelle piazze ad ascoltare, mettendosi in dialogo con il mondo ed evangelizzando “per attrazione”, proprio come faceva San Francesco e come propone oggi il Papa ponendo sempre al centro i poveri e le periferie. Una formula di successo ininterrotto dal 2009; ce ne svela il segreto fra Giordano Ferri, direttore del Festival francescano:

“È una formula che si sposa benissimo, credo, con il carisma francescano, perché anche San Francesco andava nelle piazze; anche Francesco non predicava nelle chiese, ma amava farlo più nelle piazze. Predicava, ma allo stesso tempo, a volte, cantava e a volte recitava. Cerchiamo anche noi - in questo pastiche culturale - di essere fedeli con più di 100 eventi - e di raggiungere un pochino il carisma di Francesco”.

Tanti gli eventi in calendario: da un convegno sul “Cantico delle creature” agli appuntamenti dedicati agli stili di vita sostenibili, dagli workshop sui diritti umani, sul cibo nella Bibbia e sul rispetto della natura a una lectio magistralis sul continente africano, "periferia delle periferie". Fiore all’occhiello del programma, è lo spettacolo “Earth Mass” in cui canto, musica e danza si uniscono e invitano a custodire il dono del Creato, a lasciarsi afferrare dalla sua bellezza cantando la riconoscenza a colui che ne è l’autore. Ce ne parla fra Giordano Ferri:

“Un magnifico spettacolo sul Cantico delle Creature, ‘Earth Mass’, la Messa della Terra - tradotto molto grossolanamente – è una Messa, un’opera di musica contemporanea, scritta nell’81, con musica jazz e spiritual; con ospiti, che eseguiranno brani solisti - Chiara Galiazzo, la vincitrice di X Factor 2012, e Giovanni Caccamo, che ha vinto Sanremo Giovani nell’ultima edizione - oltre ad Amanda Sandrelli, che farà delle letture del Cantico delle Creature, ma anche dell’Enciclica del Papa”.

Il 29 novembre 1979 Giovanni Paolo II proclamò il Santo di Assisi “patrono dell’ecologia”, colui che c’insegna a guardare il mondo con occhi nuovi, esperienza che è possibile solo cambiando la nostra realtà e restando uniti al Signore. Fra Alessandro Caspoli ci spiega come si può far arrivare il messaggio di San Francesco all’uomo di oggi:

“È sempre più attuale, perché oggi si rischia di perdere l’attenzione a ciò che sta intorno, anche alle piccole cose. Rischiamo di perdere la consapevolezza di ciò che utilizziamo, e la consapevolezza che ciò che utilizziamo viene da qualcun altro e che noi dobbiamo tramandarlo a qualcun altro, alle future generazioni, e che non è esclusivamente per noi stessi”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Calcutta: i più poveri tra i poveri per l’ultimo saluto a suor Nirmala

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Più di 3mila persone da tutto il mondo e di ogni estrazione sociale hanno partecipato ieri ai funerali di suor Nirmala Joshi, prima Superiora generale delle Missionarie della Carità dopo la beata Madre Teresa. La morte della religiosa, sopraggiunta il 23 giugno scorso - riporta l'agenzia AsiaNews - ha riunito nella casa madre di Calcutta politici e leader religiosi, funzionari di governo e “i più poveri tra i poveri”, primi destinatari della missione delle suore di Madre Teresa. La cerimonia è stata presieduta dal card. Telesphore Toppo, arcivescovo di Ranchi (Jharkhand), insieme a mons. Albert D’Souza, arcivescovo di Calcutta, e a mons. Salvadore Lobo, vescovo di Baruipur. Durata due ore, la Messa è stata accompagnata da inni e preghiere, intonati dalle Missionarie della Carità. Alle 19 (ora locale) la salma è stata tumulata nel cimitero adiacente alla cappella.

Le testimonianze toccanti dei presenti
L’83enne B. Collins, accompagnato da una suora per dare un ultimo saluto a suor Nirmala, racconta con il sorriso sul volto: “Era sempre di aiuto e sorridente. Come posso piangere? Ha vissuto una vita piena e ha fatto la sua parte per il bene dell’umanità”. L’anziano signore è accudito al Nirmal Hriday, la prima casa per malati e moribondi fondata da Madre Teresa a Calcutta. Mohammed Parwez, anche lui un ospite della casa, raggiunge a fatica la teca di vetro dove è deposta la salma della religiosa. Vuole depositare una ghirlanda di fiori. “Suor Nirmala se n’è andata – spiega –, ma spero che le sue consorelle portino avanti l’ottimo lavoro fatto finora per i poveri come me”.

Ha diffuso il messaggio d’amore e di compassione proclamato da Madre Teresa
Durante il rito funebre suor Prema, attuale superiora generale delle Missionarie della Carità, ha descritto suor Nirmala come l’incarnazione del coraggio e della compassione proclamati da Madre Teresa. “Ha diffuso il messaggio d’amore e di compassione – ha detto la religiosa – con tutti quelli che incontrava. Non c’erano manipolazioni, non c’erano pretese. Ha dato a ciascuno il tempo e lo spazio per comprendere le loro preoccupazioni”. Anche Mamata Banerjee, chief minister del West Bengal, ha speso alcune parole: “Suor Nirmala aveva sempre il sorriso sul suo volto. Possiamo averla persa nel fisico, ma continuerà a vivere attraverso la sua ideologia e la sua filosofia”.

Sotto la sua gestione le Missionarie della Carità hanno aumentato la loro presenza
​Durante i suoi 12 anni di gestione dell’ordine, fondato nel 1950 a Calcutta, suor Nirmala ha visitato molti Paesi, aperto nuove case e portato sempre più persone alle Missionarie della Carità, che ora contano oltre 4.500 religiose in 133 nazioni. (R.P.)

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Pakistan: piano del governo a protezione delle minoranze

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Migliorare la protezione e la tutela delle minoranze religiose: con questo obiettivo il Ministro degli interni del Pakistan, Nisar Chaudhry, ha chiesto ai governi provinciali di condurre un'indagine interna sulla sicurezza delle comunità minoritarie e di preparare uno speciale “piano di sicurezza” per indù, cristiani, sikh, ismailiti e altri gruppi. La disposizione giunge dopo un'ondata di attacchi alle minoranze etniche e religiose. Come riferisce l'agenzia Fides, il Ministro ha disposto che i luoghi di culto delle minoranze religiose siano protetti da pattuglie della polizia, per evitare violenze, saccheggi, attentati. Dopo la richiesta del Ministero federale, il governo della provincia del Sindh ha avviato la registrazione e il monitoraggio dei luoghi di culto, per poter predisporre adeguata protezione. 

Contrastare  il crescente odio contro i cristiani e le altre minoranze religiose
​“Le minoranze in Pakistan sono sotto costante attacco da decenni, ma i governi hanno mostrato solo apatia o indifferenza sulle atrocità commesse contro le minoranze” nota l’Ong “Claas” (Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement), con sedi in Pakistan e nel Regno Unito. “Adottare misure di prevenzione è un passo avanti” afferma la nota giunta a Fides, auspicando un'immediata realizzazione del piano di sicurezza. Accanto a tali misure “urge contrastare la mentalità estremista e il crescente odio contro i cristiani e le altre minoranze religiose che vivono in Pakistan” afferma ancora l’organizzazione, ricordando la necessità di intervenire “sulla legislazione che discrimina le minoranze”. (P.A.)

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Appello Chiesa Sud Sudan alle Ong: non lasciate il Paese

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In Sud Sudan, il l portavoce della diocesi di Torit, padre Mark Opere Omol, ha rivolto un pressante appello alle poche organizzazioni umanitarie rimaste nel Paese a non abbandonare le popolazioni civili vittime del conflitto civile in corso tra le truppe governative del Presidente Salva Kiir e i ribelli dell’ex vice Presidente Riek Machar.

Urgente aiutare gli sfollati
Secondo le stime dell’Onu, 4,6 milioni di persone sono minacciate dalla fame a causa dei combattimenti. C’è dunque “urgente bisogno di aiutare gli sfollati nelle varie parti del Paese”, ha detto padre Omol citato dall’agenzia Cisa, secondo il quale è inoltre necessario che “la comunità internazionale intervenga con la forza per fermare la guerra fratricida” tra i sostenitori dei due leader politici che,  ha aggiunto, devono accettare subito un compromesso e firmare un accordo di pace “se hanno veramente a cuore il bene del Paese”.

A ottobre l’espulsione del personale straniero
Nell’ottobre dell’anno scorso il governo del Sud Sudan  aveva vietato a tutti gli stranieri, compresi gli operatori umanitari, di svolgere la loro attività nel Paese. La decisione era stata comunicata direttamente alle organizzazioni non governative, che insieme alle imprese private avevano ricevuto l’ordine di notificare al loro personale straniero di lasciare il Paese entro il 15 ottobre. Il motivo addotto era una non meglio precisata “necessità di proteggere gli interessi del popolo”. In seguito alle proteste degli Stati vicini, le autorità sud-sudanesi avevano poi fatto marcia indietro, ma il 29 maggio scorso hanno espulso Toby Lanzer, Rappresentante Speciale Aggiunto del Segretario delle Nazioni Unite, suscitando la ferma condanna di quest’ultimo e le proteste della comunità internazionale.

Due settimane fa l’appello delle Chiese cristiane
Due settimane fa il  Consiglio delle Chiese del Sud Sudan (Sscc), ha lanciato da Kigali, in Rwanda, un nuovo accorato appello a fermare la guerra, bollata come “insensata”, denunciando la “mancanza di volontà politica alla pace” delle due fazioni rivali. (A cura di Lisa Zengarini)

 

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Chiesa Angola: laici cristiani siano coerenti con il Vangelo

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“I cristiani laici si convertano veramente a Cristo e si sforzino di frequentare e vivere i sacramenti della Santa Chiesa”: questa una delle raccomandazioni emerse dal secondo Congresso dei laici cattolici, organizzato dalla Conferenza episcopale di Angola e São Tomé. L’incontro si è svolto a Luanda ed ha avuto per tema “Ravvivare la fede in Cristo nei fedeli laici”. Al termine dei lavori, è stato diffuso un documento finale suddiviso in due parti: la prima, più analitica, ricorda le attuali criticità del laicato angolano, mentre la seconda, più propositiva, riporta numerose raccomandazioni.

Vocazione laicale ha una sua dignità che va valorizzata
“La vocazione laicale ha una sua propria dignità ed i laici non devono essere solo paragonati al clero”, si legge nella prima parte, che poi lamenta “uno scarso accompagnamento dei movimenti ed associazioni laicali da parte della diocesi e delle parrocchie”. Di fronte alla crisi attuale della famiglia, “istituzione sacra che soffre a causa di povertà, analfabetismo, squilibri sociali, mancanza di dialogo, alcolismo, droga, matrimoni precoci o di interesse”, il documento mette anche in evidenza “l’insufficienza, a livello diocesano e parrocchiale, di strutture di sostegno alle famiglie, in particolare a quelle costituite da giovani coppie”.

Il lavoro, autentico spazio di evangelizzazione. Denunciare la corruzione
Ma anche gli stessi movimenti ed associazioni laicali vengono chiamati in causa, in quanto “agiscono con spirito di competizione, distruggendo la comunità ecclesiale che, invece, dovrebbero costruire”. Altro punto essenziale riguarda il lavoro: esso, si legge ancora nel documento finale del Congresso, richiede una maggiore valorizzazione perché è il luogo in cui il cristiano “collabora nella missione creatrice di Dio Padre e, in quanto luogo di interazione, rappresenta un autentico spazio di evangelizzazione”. Anche perché, prosegue il testo, oggi si riscontra “una mancanza di coerenza nei cristiani che gestiscono il settore pubblico e privato in netta contraddizione con i valori evangelici”. Al contrario, essi dovrebbero testimoniare il Vangelo con il loro esempio, agendo con “puntualità e costanza, pagando le tasse e denunciando la corruzione”.

Necessaria formazione permanente dei laici
Quindi, il Congresso suggerisce una serie di raccomandazioni, la prima delle quali riguarda una “vera conversione a Cristo” di tutti i fedeli. Ma non solo: i laici cattolici vengono esortati ad “assumere il loro ruolo nella Chiesa e nella società con responsabilità, coerenza ed impegno”, anche grazie ad un’adeguata preparazione da fornire tramite la realizzazione di “strutture di formazione continua nelle parrocchie”, affinché si presti una “maggiore attenzione allo studio del Catechismo, della Dottrina sociale e di altri documenti del Magistero”. Ulteriori suggerimenti riguardano l’istituzione di centri di consulenza familiare, di gruppi di sostegno “socio-professionali” e di segretariati diocesani per l’apostolato per i laici.

Il governo promuova più equità e giustizia
​Si richiede, inoltre, di “promuovere un maggior coinvolgimento dei laici nell’ambito di Giustizia e pace”, mentre le autorità governative vengono sollecitate a “lavorare per una maggiore equità e giustizia nella gestione della cosa pubblica, in modo da diminuire la discrepanza tra ricchi e poveri”. Infine, si lancia un appello perché si superi l’empasse che, ad oggi, “impedisce l’espansione del segnale trasmittente di Radio Ecclesia in tutta l’Angola”. (I.P.)

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Vescovi filippini: la tortura non è mai giustificabile

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La tortura non è mai giustificabile, anche quando finalizzata a contrastare il terrorismo. Lo ribadiscono i vescovi delle Filippine, commentando il recente rapporto di Amnesty International che denuncia casi frequenti di tortura, anche gravi, da parte delle forze dell’ordine filippine, nonostante questa pratica sia espressamente vietata dalla legge, in linea con la Convenzione Onu contro la tortura ratificata dal Paese. Il rapporto ha suscitato forte scalpore nell’opinione pubblica e nel mondo politico.

La tortura inammissibile anche se servisse a salvare vittime innocenti
“Non possiamo accettare la tortura di persone sospette anche quando motivata dal nobile intento di salvare la vita a vittime innocenti”, ha dichiarato ieri il presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp) , mons. Socrates Villegas.  “La barbarie della tortura non è ammissibile neanche per le azioni più nobili”. Il presule ha quindi denunciato la “cultura dell’impunità” che circonda  i responsabili di questi abusi. Dei quasi 500 casi di tortura e maltrattamenti registrati negli ultimi 14 anni dalla Commissione filippina per i diritti umani nessuno è stato infatti punito. La Chiesa condanna anche gli atti di tortura commessi dai vari movimenti ribelli, separatisti e bande criminali operanti nelle Filippine: “Il fatto che abbiano preso le armi contro il Governo – ha detto mons. Villegas – non giustifica in alcun modo questi atti. Nulla giustifica la tortura, tanto meno quando compiuta per progetti illegali o criminali”.

I fedeli esortati a denunciare i responsabili di torture 
Il presule ha quindi esortato i sacerdoti, religiosi e tutti i fedeli laici non solo ad aiutare le vittime, ma anche a mobilitarsi per fermare questa pratica nelle Filippine: i fedeli – ha detto - devono avere “il coraggio cristiano” di denunciare e anche testimoniare in tribunale contro i responsabili nel nome della dignità umana e della giustizia. (L.Z.)

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Patriarca copto Tawadros: “Vangelo di Barnaba” è un falso

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Il fantomatico “Vangelo di Barnaba”, spacciato anche dai media internazionali come un documento ritrovato , è “un libro pieno di errori anche storico-geografici, opera di un falsario”, e non ha alcun valore e alcun suggerimento utile per la vita di oggi. Sono queste le considerazioni espresse dal patriarca Tawadros II sul volume che sarebbe stato rinvenuto nel maggio 2012 nel deposito del palazzo di Giustizia di Ankara. La stroncatura senza appello è stata pronunciata dal primate della Chiesa copta ortodossa durante la sua catechesi di mercoledì 24 giugno, dedicata alla figura di San Barnaba, il discepolo divenuto cristiano dopo la Pentecoste.

Le falsità storiche sulla vita di Cristo
Nel manoscritto, con pagine di cuoio e lettere d’oro, che le autorità turche presentarono al mondo come redatto tra 1500 e 2000 anni fa, alcune pagine scritte in siriaco erano state presentate come un nuovo Vangelo attribuito all’apostolo Barnaba. In quelle pagine, tra l'altro, si legge che Gesù non è stato Crocifisso, che ascese al cielo vivo in qualità di profeta e non di Figlio di Dio, che Giuda Iscariota sarebbe stato crocefisso al suo posto, e soprattutto, che Gesù avrebbe predetto la venuta di Maometto. (G.V.)

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Usa: record di donazioni per i Cavalieri di Colombo nel 2014

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173 milioni di dollari di donazioni e 71,5 milioni di ore di volontariato. Il 2014 è stato ancora un anno record per i Cavalieri di Colombo. E’ quanto risulta dall’ultimo rapporto annuale dell’Ordine fondato nel 1882 dal sacerdote Michael McGiveny e che oggi è la più grande organizzazione cattolica di servizio fraterno degli Stati Uniti.

Donazioni e volontariato  in crescita da più di 10 anni
Il record – riferisce l’agenzia Cns - conferma la crescita costante di donazioni e di lavoro gratuito offerto dai suoi membri registrata in questi ultimi 15 anni, per un totale di 1,55 miliardi di dollari e 691 milioni di ore lavorate gratuitamente al servizio della Chiesa. Una crescita che non è stata fermata neanche dalla crisi economica di questi anni e che, secondo il Supremo Cavaliere dell’Ordine Carl Anderson, testimonia il grande impegno di tanti cattolici americani per il prossimo e per la comunità e il loro modo profondo di vivere la fede attraverso l’aiuto ai bisognosi.

Una generosità che testimonia la fede viva dei cattolici americani
“Quando il Papa arriverà in America a settembre troverà una Chiesa viva piena di amore per Dio e per il prossimo e i Cavalieri di Colombo sono un ottimo esempio di questa realtà”, scrive in una nota pubblicata insieme al rapporto, presentato alla recente assemblea annuale dell’organizzazione. Tra le numerose iniziative realizzate dai Cavalieri di Colombo nel 2014, Anderson ricorda la costituzione di un fondo speciale per aiutare i rifugiati cristiani in Medio Oriente; la donazione di 200mila dollari a favore delle comunità cattoliche in Ucraina; uno speciale programma per fornire ai bambini indigenti cappotti, la creazione di mense per i poveri, banche alimentari e altre opere benefiche. Senza contare le numerose iniziative per la vita.  L’Ordine dei Cavalieri di Colombo è oggi diffuso soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, Messico e nelle Filippine e conta 1 milione e 600mila membri. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 176

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.