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Sommario del 24/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: la disgregazione della famiglia frana addosso ai figli

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Quando la famiglia si divide e si svuota “dell’amore coniugale”, la disgregazione “frana” addosso ai figli. Lo ha detto Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro riflettendo “sulle ferite che si aprono” all’interno della convivenza familiare, quando - ha cioè spiegato - nella famiglia “ci si fa del male”. Quindi ha esortato ad accompagnare le famiglie “in situazioni cosiddette irregolari” affinché “i bambini non diventino ostaggi del papà o della mamma”. Il servizio di Giada Aquilino

Tutte le ferite della famiglia incidono sui figli
Nella famiglia, “tutto è legato assieme”: quando la sua anima è ferita in qualche punto, “l’infezione contagia tutti”. Papa Francesco ricorda ad una Piazza San Pietro illuminata solo a tratti dal sole che “tutte le ferite e tutti gli abbandoni del papà e della mamma incidono nella carne viva dei figli”:

“Quando un uomo e una donna, che si sono impegnati ad essere ‘una sola carne’ e a formare una famiglia, pensano ossessivamente alle proprie esigenze di libertà e di gratificazione, questa distorsione intacca profondamente il cuore e la vita dei figli. Tante volte i bambini si nascondono per piangere da soli”.

Mortificazione dell'amore
Partendo dal passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù ammonisce gli adulti a non scandalizzare i piccoli, il Pontefice riflette sul fatto che in “in nessuna storia famigliare mancano i momenti in cui l’intimità degli affetti più cari viene offesa dal comportamento dei suoi membri”. Si tratta di parole, azioni “e omissioni” che – sottolinea – “invece di esprimere amore, lo sottraggono o, peggio ancora, lo mortificano”:

“Quando queste ferite, che sono ancora rimediabili, vengono trascurate, si aggravano: si trasformano in prepotenza, ostilità, disprezzo. E a quel punto possono diventare lacerazioni profonde, che dividono marito e moglie, e inducono a cercare altrove comprensione, sostegno e consolazione. Ma spesso questi ‘sostegni’ non pensano al bene della famiglia”.

La disgregazione frana sui figli
Lo svuotamento dell’amore coniugale, riflette Francesco, “diffonde risentimento nelle relazioni” e spesso “la disgregazione ‘frana’ addosso ai figli”. Nonostante la nostra “sensibilità apparentemente evoluta”, le nostre “raffinate analisi psicologiche”, il parlare “di disturbi comportamentali, di salute psichica, di benessere del bambino, di ansia dei genitori e dei figli”, il Papa si domanda “se non ci siamo anestetizzati” rispetto alle ferite dell’anima dei bambini:

“Quanto più si cerca di compensare con regali e merendine, tanto più si perde il senso delle ferite – più dolorose e profonde – dell’anima”.

Scelte sbagliate pesano sui bambini
Guardando alle famiglie “in cui ci si tratta male e ci si fa del male, fino a spezzare il legame della fedeltà coniugale”, Francesco invita a soffermarsi sul “peso della montagna che schiaccia l’anima di un bambino”, il peso di “scelte sbagliate”:

“Quando gli adulti perdono la testa, quando ognuno pensa a sé stesso solamente, quando papà e mamma si fanno del male, l’anima dei bambini soffre molto, prova un senso di disperazione. E sono ferite che lasciano il segno per tutta la vita”.

Di fronte a violenze e indifferenza, separazione inevitabile
D’altra parte, nota il Papa, “ci sono casi in cui la separazione è inevitabile”:

“A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza”.

Non mancano coloro che, “sostenuti dalla fede e dall’amore per i figli”, testimoniano la loro fedeltà ad un legame nel quale hanno creduto, “per quanto appaia impossibile farlo rivivere”. Non tutti i separati, però, sentono questa vocazione, riconoscendo “nella solitudine un appello del Signore rivolto a loro”:

“Attorno a noi troviamo diverse famiglie in situazioni cosiddette irregolari - a me non piace questa parola - e ci poniamo molti interrogativi. Come aiutarle? Come accompagnarle? Come accompagnarle perché i bambini non diventino ostaggi del papà o della mamma?”.

La visita pastorale a Torino
Il Papa invita a chiedere per questo al Signore “una fede grande”, per guardare la realtà con lo sguardo di Dio, e “una grande carità”, per accostare le persone con il suo cuore misericordioso. Nei saluti finali nelle varie lingue, il pensiero va alla recente visita pastorale a Torino, in occasione dell’ostensione della Sindone e del bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco. Il Papa ringrazia la “gente torinese e piemontese” per la calorosa accoglienza, la Chiesa locale e mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, e tutti coloro “che hanno contribuito alla realizzazione” della visita:

“Mi sono sentito davvero a casa, abbracciato dal vostro affetto e dalla vostra ospitalità. Che il signore benedica tutti voi e la vostra bella città”.

Quindi saluta tra gli altri i membri dell’Associazione Fede e Luce, il Gruppo misto di lavoro tra la Chiesa Cattolica e il Consiglio Ecumenico delle Chiese, la Federazione apicoltori italiani e i pellegrini della Via Francigena.

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Usa: buddisti e cattolici insieme per un mondo più fraterno

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“Ringrazio voi di questa visita che ho tanto a cuore, visita di fraternità, di dialogo, anche di amicizia. In questo momento storico tanto ferito da guerre, da odio, questi piccoli gesti sono seme di pace e di fraternità”. Così Papa Francesco stamattina nell’udienza ai partecipanti, una 60.na provenienti dagli Stati Uniti, al Convegno buddista-cattolico in corso a Castelgandolfo presso il centro internazionale del Movimento dei Focolari. Al microfono di Adriana Masotti, le parole di Roberto Catalano, corresponsabile del dialogo tra le religioni dei Focolari, il rev.do Kyoichi Sugino, del movimento buddista giapponese Rissho Kosei Kai e l'organizzatore dell'evento, prof.Donald W. Mitchell

R. – Un incontro quello con il Papa molto semplice ma molto intenso, sia i buddisti che i cristiani hanno potuto salutarlo personalmente. Soprattutto, però, è stata molto calorosa l’accoglienza del Papa, che ha ringraziato per questo gesto di amicizia: ha detto che in un momento così doloroso, come quello che noi stiamo vivendo, un gesto come quello fatto da questo gruppo, di andare a fargli visita, è un gesto che riscalda il cuore, che fa bene alla salute ed è un seme di pace, di fraternità e di amicizia.

D. – Il tema di questo Convegno è “Sofferenza, liberazione e fraternità”, quindi ha a cuore proprio il tema del dolore…

R. – Il tema è questo e soprattutto vuole mettere in luce quelle che possono essere, in questo momento storico, delle attività comuni per alleviare la sofferenza che c’è nel mondo e, in particolare, anche negli Stati Uniti. Quindi, si parla di sofferenza, ma si parla soprattutto di fraternità. Si vorrebbe vedere cosa si può fare insieme per vivere la fraternità, una fraternità concreta sul territorio.

D. – C’è qualcosa in comune tra cristiani e buddisti o le vie sono molto diverse?

R. – In comune c’è la sofferenza. Tutti gli esseri umani soffrono e, in questo, ci sentiamo tutti fratelli e sorelle. Allora Buddha ha trovato una sua via per eliminare le radici della sofferenza e il cristianesimo ha una sua risposta alla sofferenza. Sono risposte senza dubbio diverse, che però possono collaborare per portare dei frutti di fraternità. Il punto non è eliminare la sofferenza, ma coinvolgerci con gli uomini e le donne di buona volontà, per alleviare la sofferenza non soltanto in noi, ma anche nei fratelli e nelle sorelle che ci stanno accanto.

Sul Convegno buddista-cattolico, la riflessione del Rev. Kyoichi Sugino:

R. – So, I think this meeting has three important points…
Penso che questo incontro ruoti intorno a tre punti importanti. Il primo riguarda il fatto che buddisti e cattolici condividono una dottrina della sofferenza, della liberazione e confermano i loro valori condivisi. Il secondo punto riguarda le sfide importanti, tra cui il cambiamento climatico – oggi siamo stati ricevuti in udienza dal Papa: il documento papale è molto importante per noi!  l’estremismo e altre sfide: buddisti e cattolici si sono impegnati a lavorare insieme per superare queste sofferenze. Ho indicato il cambiamento climatico e l’estremismo e altre sfide che dobbiamo affrontare. Il terzo punto concerne il fatto che veniamo dagli Stati Uniti, da città diverse, e ci siamo impegnati a trasferire questo dialogo in azioni concrete nelle nostre diverse città: questo significa che in queste città lavoreremo insieme – cattolici e buddisti – per costruire la pace e superare le sfide comuni, negli Stati Uniti e nel mondo.

D. – Rev. Sugino, che cosa ha rappresentato per lei l’udienza con il Papa?

R. – It was a very important meeting, the audience with Pope Francis…
L’udienza con Papa Francesco è stata per noi molto importante: egli ha sottolineato l’importanza della fratellanza come base per la nostra collaborazione. Per cui, ogni dialogo in vista della collaborazione per la pace dovrebbe essere basata sulla fratellanza e sulla consapevolezza che siamo tutti fratelli e sorelle che proprio in funzione di questa fratellanza lavoriamo insieme per la pace. Quindi, il suo grande e profondo messaggio di fratellanza è stato per tutti noi un grande incoraggiamento. Egli è pronto a lavorare con noi per la tutela del clima e anche in altri ambiti. Verrà a New York e a Washington per continuare insieme nella strada intrapresa degli impegni comuni.

Il prof. Donald W. Mitchell è l'organizzatore del Convegno di questi giorni:

R. – We have invited Buddhist and Catholic leaders from San Francisco, Chicago, New York …

Abbiamo invitato leader buddisti e cattolici dalle città di San Francisco, Chicago, New York e Washington, coinvolti in attività sociali. Il Papa ha chiesto una nuova opprtunità di dialogo di fratellanza, dove la fratellanza porta all’azione sociale. Questi gruppi di cattolici e buddisti stanno costruendo, nelle diverse città, proprio questo tipo di dialogo fraterno e questo sarà allargato ad altri buddisti e ad altri cattolici, affinché si instauri un dialogo di collaborazione per curare i mali sociali nelle loro città, diversi tipi di malesseri sociali. Ci saranno movimenti di base locali di collaborazione, che potranno combinare le risorse di buddisti e operatori sociali per affrontare meglio i problemi sociali nelle città.

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Papa: divisione tra cristiani è scandalo, proseguire dialogo

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“Il nostro dialogo deve continuare!”: è quanto scrive Papa Francesco in un messaggio indirizzato al Segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc), Olav Fykse Tveit, in occasione del 50.mo anniversario del Gruppo misto di lavoro tra questo organismo e la Chiesa cattolica. Il documento pontificio è stato letto ieri pomeriggio dal card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani, nel corso di un convegno commemorativo svoltosi a Roma, presso il Centro Pro Unione. Il servizio di Isabella Piro: 

Dolore per lo scandalo della divisione tra cristiani
Nel suo messaggio, Papa Francesco esprime apprezzamento per “i significativi rapporti ecumenici” esistenti oggi e per tutti i traguardi raggiunti, nel corso degli anni, “inspirati dal desiderio di unità che Cristo intende per la Chiesa, Suo corpo, e dal dolore per lo scandalo della divisione tra cristiani”. Quindi, il Pontefice chiede al Gruppo misto di lavoro di non essere solo “un forum introspettivo”, ma di diventare una “fucina di idee” concrete, aperta a tutte le opportunità e le sfide che oggi le Chiese affrontano nella loro missione di accompagnamento dell’umanità sofferente”, diffondendo “nella società e nella cultura” i valori e le verità del Vangelo.

Chiesa unita sia segno di speranza e strumento di riconciliazione
Ricordando ancora la sofferenza causata dalla divisione tra i cristiani, Francesco, esorta il Gruppo misto ad affrontare “i temi ecumenici cruciali” ed a “promuovere, modi per testimoniare una comunione reale, sebbene imperfetta, tra tutti i battezzati”. L’auspicio del Papa va, infine, al “dono dell’unità pienamente visibile tra tutti i cristiani, affinché la Chiesa possa essere sempre più un segno di speranza nel mondo e uno strumento di riconciliazione tra i popoli”.

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Nomine episcopali in Brasile

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Bom Jesus da Lapa mons. João Santos Cardoso, trasferendolo dalla diocesi di São Raimundo Nonato. Il presule è nato il 3 dicembre 1961 a Dário Meira, diocesi di Jequié, nello Stato di Bahia. Dopo gli studi elementari, ha frequentato il Corso di Filosofia presso il Seminario maggiore “Nordeste de Minas” a Teófilo Otoni (1981-1982) e quello di Teologia presso l’Instituto di Teologia de Ilhéus”, a Ilhéus (1983-1985). Ha ottenuto la Licenza in Filosofia presso la FAI (Faculdades Associadas Ipiranga) a São Paulo (1994-1995) e il Dottorato in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana, a Roma (1995-2002). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 27 dicembre 1986 ed è stato incardinato nella diocesi di Vitória da Conquista, nella quale ha svolto gli incarichi: Amministratore Parrocchiale della parrocchia “São Miguel Arcanjo”, a Vitória da Conquista (1987-1991); Coordinatore della Commissione Rurale Diocesana (1987-1992); Coordinatore della Scuola Biblica Diocesana (1987-1994); Coordinatore del Corso di Teologia per Laici (1990-1992); Assessore del Movimento “Educadores Cristãos” (1988-1990); Rettore del Seminario maggiore di Filosofia (1992-1994); Amministratore Parrocchiale della parrocchia “Senhor do Bonfim” a Barra do Choça (1993-1994);  Professore Universitario a Vitória da Conquista (1992-1995 e 2003-2011); Rettore dell’Istituto di Filosofia “Nossa Senhora das Vitórias” (2002-2011); Coordinatore del Progetto “Presença Cristã Universitária” (2003-2011); Cappellano Universitario (2003-2009); Assessore arcidiocesano della Pastorale Giovanile (2007-2009); Membro del Collegio dei Consultori e del Consiglio Presbiterale (2009-2011); Vicario Regionale (2010-2011); Rappresentante dei Presbiteri (2010-2011); Parroco della parrocchia “Nossa Senhora das Graças”, a Vitória da Conquista, Coordinatore arcidiocesano della Pastorale (2009-2011). Inoltre, è stato Vicario Parrocchiale della parrocchia “Sant’Agostino” a Rieti, nell’omonima diocesi, Italia (1996-1999) e della parrocchia “San Vivenzio” a Blera, Italia (2000-2002);  Il 14 dicembre 2011 è stato nominato Vescovo di São Raimundo Nonato e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 12 febbraio 2012.

Sempre in Brasile, il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Blumenau mons. Rafael Biernaski, finora ausiliare dell’arcidiocesi di Curitiba. Mons. Biernaski è nato il 1º novembre 1955 a Curitiba, nell’omonima arcidiocesi, nello Stato del Paraná. Nel 1968 è entrato nel Seminario minore arcidiocesano “São José” e poi è stato alunno del Seminario maggiore “Rainha dos Apóstolos” (1975-1981).  Ha compiuto gli studi di Filosofia presso la Pontificia Università Cattolica del Paraná e quelli di Teologia presso lo Studium Theologicum Claretianum di Curitiba. Ha frequentato il corso per i Formatori di Seminaristi in Messico (1986) e, come alunno del Pontificio Collegio Pio Brasiliano di Roma, ha ottenuto la Licenza (1990) e il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (2007). Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 13 dicembre 1981 ed è stato incardinato nell’arcidiocesi di Curitiba, nella quale ha svolto gli incarichi di: Vice-Coordinatore arcidiocesano di Liturgia (1982); Professore e Direttore spirituale del Seminario “São José” (1982-1988). È membro della “União dos Presbíteros de Schönstatt (Schönstatt-Priesterbund)” del Movimento Apostolico di Schönstatt. Inoltre, è stato Ufficiale presso la Congregazione per i Vescovi (1995-2010). Il 10 febbraio 2010 è stato nominato Vescovo titolare di Ruspe ed Ausiliare di Curitiba e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 15 aprile successivo. È stato Segretario del Regionale Sul 2 della Conferenza Episcopale Brasiliana (2011-2015).

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Famiglie ferite: all'udienza generale Papa Francesco parla delle lacerazioni che dividono marito e moglie.

Immenso capitale sociale: in prima pagina, Gualtiero Bassetti sul sinodo e una lettera di Maritain.

Acqua e segno della croce: Anne-Marie Pelletier per un riconoscimento della realtà battesimale.

L'Enciclica nella stampa internazionale: l'articolo scritto dal cardinale John Onaiyekan, dal rabbino David Rosen e da Muhammad Din Syamsuddin sul "The Guardian" e quello di Jacques Dalarun su "Le Monde".

Meravigliosamente inospitale: Edoardo Zaccagnini sul successo di "Game of Thrones".

Un piccolo ma importante passo: il cardinale arcivescovo di Cotabado sull'avvio del disarmo del Milf nelle Filippine.

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Oggi in Primo Piano



Dietrofront dell'Ungheria: nessuna sospensione di Dublino

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Dietrofront sull’immigrazione da parte dell’Ungheria, che oggi ha smentito di voler sospendere unilateralmente la Convenzione di Dublino così come invece annunciato ieri. L’Ue aveva sollecitato chiarimenti da Budapest circa la decisione e il governo austriaco aveva convocato l’ambasciatore ungherese per chiedere spiegazioni ufficiali. Vigilia, dunque, infuocata di un Consiglio europeo, domani e venerdì, che sarà quasi interamente dedicato al tema dell’immigrazione. Il timore resta quello di non arrivare a una soluzione sui criteri di redistribuzione dei migranti tra i Ventotto.  Francesca Sabatinelli ha intervistato Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir): 

R. – Io direi in queste ultime settimane la situazione è precipitata per quanto riguarda una risposta comune europea al dramma dei rifugiati e al diritto d’asilo, in Europa e nei singoli Stati membri. Abbiamo segnali che vanno dalla Grecia all’Ungheria, alle frontiere tra l’Italia e la Francia, con la Svizzera e con l’Austria: tutto insieme fa capire che una risposta politica è ancora assolutamente da cercare. Non abbiamo molto ottimismo, devo dire, riguardo a questo summit dei capi di Stato e governo, domani e venerdì, perché sappiamo già che nell’agenda di questa conferenza ci sono innanzitutto misure di contrasto e misure repressive nei confronti dei trafficanti di persone nelle acque internazionali del Mediterraneo. Va benissimo contrastare il lavoro sporco e i trafficanti, però se alle persone, ai rifugiati, richiedenti asilo, ai migranti non si aprono canali alternativi, questa misura alla fine produce solamente più disperazione nelle persone che per forza devono cercare altre vie di accesso all’Europa, altre vie che presumibilmente sono più lunghe, più costose e ancora più rischiose.

D.  – Alcune forze politiche italiane hanno presentato proposte di legge per creare centri di identificazione gestiti dalle Nazioni Unite in luoghi di transito in Africa. Un caso tra tutti, quello del Niger. Voi che ne pensate?

R. – Dipende di che cosa stiamo parlando. Certamente, non abbiamo bisogno in Africa di nuovi campi profughi. Ci sono già tanti immensi campi profughi dove le persone a volte sono confinate per anni e anni, e a volte fino alla seconda generazione. Questa non può essere la risposta. Quando noi parliamo di vie legali di accesso all’Europa, pensiamo a punti di contatto in Paesi terzi, certamente anche il Niger, dove le persone possono rivolgersi avere informazioni, dove possono presentare una richiesta di protezione, una richiesta per ottenere un visto umanitario per arrivare in Europa. Innanzitutto, quelli che hanno parenti o comunità in uno degli Stati membri, che è tutta un’altra cosa, è una tra le vie di accesso legale in Europa e su questo siamo fortemente impegnati.

D. – Il Cir quindi che risposta concreta pensa sia giusto che l’Europa dia?

R. – Due ordini di risposta. La prima riguarda la possibilità per un rifugiato riconosciuto in uno degli Stati membri di poter lavorare e prendere residenza in qualunque altro Stato dell’Unione. Questa non è una proposta neanche così nuova e a questo punto però mi sembra ovvio che questa sia una misura per superare gli effetti dannosi del sistema Dublino. La seconda richiesta riguarda vie di accesso legale, l’uso dello strumento del diritto umanitario, programmi di reinsediamento di rifugiati già riconosciuti dalle Nazioni Unite in Paesi terzi e aprire la possibilità per richiedere protezione non solo quando uno è arrivato fisicamente in Europa, ma già prima presso le rappresentanze diplomatiche.

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Boko Haram usa bambini-kamikaze. P.Mauro: è mercificazione

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Nuove violenze in Nigeria per mano degli islamisti di Boko Haram: più di 40 persone sono state uccise dall’inizio della settimana nel corso di diversi attentati nello Stato del Borno. Il coinvolgimento dei giovani, anzi dei bambini, nelle azioni kamikaze ha segnato gli ultimi episodi: ieri, a farsi saltare in aria in un mercato è stata una ragazza di soli dodici anni. “Fa rabbrividire una tale mercificazione del corpo dei bambini”, commenta al microfono di Gabriella Ceraso il missionario, padre Mauro Armanino, attualmente in Niger: 

R. – L’uso dei bambini in guerra non è nuovo. Che siano ora ragazzine, quindi meno passibili di controllo, almeno fino a un certo punto, ma in sé il fenomeno non è nuovo. E’ inoltre da inserire in un contesto di utilizzo dei bambini in generale: nelle case come domestici, utilizzati nelle piantagioni, nelle migrazioni, come merce di scambio... O “fabbricati”, per esempio in Nigeria, dove le ragazze vengono pagate per generare e poi vendere i bambini. Mi pare che, nell’insieme, la logica in fondo sia la stessa. E’ una mercificazione che non può non far rabbrividire.

D. – Una sorta di risorsa che viene usata e poi gettata via, no?

R. – Esattamente. In questi casi è ancora più grave, perché c’è un’uccisione diretta anche di altre persone.

D. – Nella logica di Boko Haram c'è qualcosa di caratteristico, sotto questo punto di vista?

R. – L’uso da parte di Boko Haram dei bambini significa perlomeno due cose: primo, che è un gruppo che, quando arriva a questo punto, significa che non ha altre vie per poter agire o comunque si sono ridotte, per lo meno in certi ambiti e zone. Secondo, non fa che rivelare una volta di più l’intrinseca violenza che accompagna dalla nascita questo gruppo, che comunque va inserito in una Nigeria del Nord che da decenni è in una situazione deprecabile.

D. – In generale, lei che cosa pensa di quanto sta accadendo in Nigeria?

R. – Purtroppo, si pagano drammaticamente anni di manipolazione di questo gruppo, per fini politici. Poi, purtroppo, il mostro scappa a colui che lo ha costruito, da un certo punto di vista. Gli anni di Jonathan Goodluck certamente non sono stati molto utili in questo contesto. Bisognerebbe vedere quali sono le complicità esteriori, oltre che interne, a questo fenomeno che evidentemente ha preso radici e non sarà sconfitto dall’oggi al domani, finché – penso – non ci sarà un approccio più globale e non solamente di tipo militare.  

 

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Don Di Piazza racconta l'immigrazione via terra in Friuli

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I flussi migratori non solcano soltanto il mare, ma seguono anche rotte di terra. Da giorni i controlli alla frontiera dell'Italia con l’Austria e con la Slovenia si sono fatti più intensi da parte della polizia italiana. Circa 2.500 i profughi presenti nella regione Friuli-Venezia Giulia, la maggioranza arrivati nell’anno in corso. Le aree più coinvolte sono Trieste, Udine e Gorizia. Insufficienti i luoghi di accoglienza finora esistenti e, tra gli abitanti, non manca chi protesta per ragioni di sicurezza e di degrado cittadino. Sul clima che si vive nell’area nordorientale Adriana Masotti ha sentito don Pierluigi Di Piazza, fondatore e presidente del Centro di accoglienza e di promozione culturale Ernesto Balducci di Zugliano in provincia di Udine: 

R. – L’arrivo di profughi, anche via terra, suscita nelle popolazioni del Friuli Venezia Giulia lo stesso atteggiamento che si può leggere in tutto il nostro Paese e in Europa. Cioè, c’è una preoccupazione, che io vivo personalmente e quanti cercano di accogliere, una preoccupazione anche addolorata per certe reazioni che comunque vanno analizzate. Perché certamente la crisi, che non è solo economica ma è di riferimento, di un progetto di umanità che ci veda uniti, è più facilmente ‘respingente’. Però questo diventa anche qui da noi un’ emotività irrazionale che poi è interpretata da certa politica che da questa emotività trova forza per assumere determinati atteggiamenti, determinate parole che a volte sono disumane. Gli arrivi certamente sono in aumento, ma comunque su una popolazione – come quella del Friuli Venezia Giulia – di un milione e 200 mila abitanti, una presenza di immigrati che è sotto le 3 mila persone credo che non dovrebbe suscitare questo allarmismo, rispetto a una questione che è drammaticamente epocale. Ci vorrebbe certamente un altro atteggiamento interiore, prima che istituzionale e politico, perché io credo che le leggi e le scelte politiche siano espressione di una cultura.

D. – Chi sono gli immigrati o i profughi che arrivano attraverso il confine austriaco o sloveno, e qual è il percorso che compiono una volta arrivati in Friuli Venezia Giulia?

R. – Arrivano soprattutto persone provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan; arrivano dopo percorsi incredibili, attraverso i Balcani, l’Ungheria, l’Austria e poi la Slovenia, fino ad arrivare qui. Qui poi succede che sostano nelle città, all’aperto, nei parchi, dormendo in luoghi abbandonati e suscitando così un allarmismo che – ripeto – è sproporzionato rispetto anche al numero delle presenze. E questo perché c’è uno scarto tra arrivo, presentazione della domanda in questura, poi l’accoglienza in questura per una formalizzazione della domanda e il riconoscimento della persona  ecc… Adesso si stanno prevedendo dei piccoli centri di accoglienza per cui queste persone non sostino così, in modo provvisorio e precario e certamente con situazioni che umanamente lasciano molto a desiderare. Ora, da questi centri dovrebbero poi essere collocati in situazioni più umane e vivibili in cui possano seguire un percorso.

D. – Le persone che arrivano in Friuli Venezia Giulia – abbiamo detto afghani, pakistani – vogliono rimanere in Italia o chiedono di andare da altre parti?

R. – Tanti pensano di andare, di procedere verso la Francia, verso l’Inghilterra, verso la Germania, quindi vivono questa esperienza qui nel nostro territorio come un passaggio.

D. – Lei ha fondato e gestisce il Centro di accoglienza “Ernesto Balducci”. Qual è l’esperienza che sta vivendo con queste persone?

R. – L’esperienza è positiva, ma l’accoglienza è anche ardua, quindi se posso dire umilmente, il Centro  è un piccolo segno, quantitativamente, ma nel territorio è un segno importante per la direzione che da anni sta indicando. Ardua perché accogliere non è solo dare un tetto, il cibo e un ambiente, è entrare in relazione e quando si entra in relazione profondamente con le persone, emergono tutte le differenze con cui convivere. Una grande ricchezza, dunque, ma anche una grande impresa umana, culturale e spirituale, ma io testimonio umilmente e con passione che questa prospettiva è possibile.

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E ora chi promuove l'ideologia gender dice che "non esiste"

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Dopo l’imponente manifestazione delle famiglie in Piazza San Giovanni del 20 giugno scorso, i promotori dell’ideologia del gender hanno cambiato strategia: ora sono passati a negare e smentire tutto. Il servizio di Sergio Centofanti

Le negazioni dei pro-gender
I social network sono invasi da appelli rasserenanti: non esiste alcuna ideologia “gender”, non esistono indicazioni controverse nelle linee-guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che vuole introdurre l’educazione sessuale in tutte le scuole, non esiste alcun allarme nelle scuole italiane riguardo all’introduzione di corsi promossi da gruppi Lgbt, non esiste alcun timore riguardo alla libertà di espressione su questi temi.

Documento Oms: educazione sessuale "obbligatoria" a scuola
Dunque tutti tranquilli. Le centinaia di migliaia di persone scese in piazza per difendere la famiglia e i figli sono solo ignoranti strumentalizzati, dei visionari, allarmisti che seminano terrore tra le mamme o cattolici sessuofobi e omofobi impegnati in una nuova crociata. Insomma, è tutto un sogno. Purtroppo non è così. Per esempio l’Oms, nel documento intitolato “Standard per l’educazione sessuale in Europa” (facilmente consultabile su internet) promuove l’educazione sessuale "obbligatoria" a scuola. Ovviamente fornendo “informazioni imparziali e scientificamente corrette su tutti gli aspetti della sessualità”, come si legge a pagina 5. Il tutto basato su un pensiero unico: quello del gender, che considera i “vari orientamenti sessuali”, non meglio definibili, ben più importanti del sesso biologico. Una “filosofia” da imporre a tutti.

Cosa si insegna ai bimbi da 0 a 4 anni
L’Oms è consapevole che occorre vincere “resistenze basate principalmente su paure e idee erronee”. In effetti, gli appare del tutto normale che ai bimbi da 0 a 4 anni, come leggiamo a pagina 38, si chieda di “trasmettere informazioni” su “gioia e piacere nel toccare il proprio corpo" e "masturbazione infantile precoce”.  Sarebbe interessante capire le modalità della trasmissione di queste informazioni a bimbi così piccoli – ma non è specificato – e sarebbe interessante osservare la scientificità e l’imparzialità degli insegnanti cui consegniamo i nostri figli. Invece, per i ragazzi “molto” più grandi, parliamo dai 4 ai 6 anni, si comincia a parlare di “amore verso persone dello stesso sesso” (pagina 40) e delle “diverse concezioni di famiglia” (pagina 41).

Genitori e insegnanti si mobilitano
L’Oms denuncia il fatto che “solamente in pochi Stati tra quelli appartenenti alla vecchia Unione Europea – specialmente nell’Europa meridionale – l’educazione sessuale non è ancora stata introdotta nelle scuole” (pagina 12). Ma c’è anche un altro fatto: tanti genitori e tanti insegnanti denunciano casi concreti nelle scuole italiane in cui in modo surrettizio si sta tentando di imporre questo tipo di educazione. E si stanno mobilitando “dal basso”. In modo pacifico e democratico.

In Italia, intanto, i sindacati minacciano battaglia al maxiemendamento sulla riforma della scuola su cui il governo ha annunciato per domani al Senato il voto di fiducia. A preoccupare le associazioni dei genitori e insegnanti  è in particolare l’articolo 16 che recepisce l’emendamento Martelli sull’educazione alla parità di genere in tutte le scuole di ogni ordine e grado. “Si tratta di un modo clandestino attraverso cui lo Stato sta introducendo l’ideologia gender nella scuola”, spiega Marco Dipilato, segretario del Comitato “Famiglia Educazione e Libertà”. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Questo articolo 16 del maxiemendamento dice: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e sensibilizzare studenti, docenti e genitori sulle tematiche indicate all’articolo 5 comma 2 del Decreto Legge 93”.

D.  – Formulato così è  un provvedimento assolutamente condivisibile…

R. – Sì, posto così, sì. Non c’è assolutamente riferimento all’ideologia di genere. Non è evidente subito, ad una lettura superficiale, il problema. Il punto è questo: quando si legge un testo, quando si passa dalle parole ai numeri, solitamente, chi legge non fa caso ai numeri. Bisogna andare a vedere che cosa dice il Decreto Legge 93 all’articolo 5 perché è proprio quello che viene inserito nella riforma della scuola. Quindi occorre un lavoro di approfondimento.

D. – E che cosa dice?

R. – Si dice che si fa riferimento a un “piano di azione straordinario contro la violenza sessuale  e di genere”. Anche qui i termini sono ancora condivisibili e anche l’obiettivo. L’articolo 5 dice: “Il ministro delegato per le pari opportunità elabora un piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”.

D. - Questo piano di azione straordinario è un piano del governo?

R. – E’ stato presentato il 7 maggio 2015 alla Presidenza del Consiglio dei ministri e quindi ha il massimo grado di ufficialità. Innanzitutto, questa violenza di genere viene denominata prima “violenza tra uomini e donne” e dopodiché si chiama “violenza di genere”. Anche nei termini è facile capire poi dove si vuole arrivare perché alla fine per contrastare la violenza di genere occorre fare azioni, tra cui l’educazione di genere.

D. – In cosa consiste?

R. – Leggendo il testo di questo piano di azione straordinario c’è un paragrafo specifico sull’educazione. E’ il paragrafo 5.2 che dice: “Obiettivo primario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”.

D.  – Che equivale a promuovere quell’indifferentismo sessuale contro cui si è scesi in piazza sabato scorso?

R.  – Certo. Arrivare a “identità di genere”, che è un termine che non ha basi scientifiche, significa proprio tentare di introdurre questo nuovo pensiero.

D. – Non sta facendo supposizioni, si sta basando su dei testi…

R. – Sì, sto leggendo un documento.

D. – Dopo la manifestazione quello che viene detto è: “l’ideologia del gender non esiste è qualcosa che è stato inventato, in realtà esistono i gender studies… Ma lei mi sta dicendo che poco cambia tra una definizione e l’altra?

R. – Certo. Tra l’altro è stato fatto anche un tentativo di mettere un po’ a  tacere questa preoccupazione quando il testo era in esame alla Camera con una sostituzione dei termini, proprio per fugare quella preoccupazione. Dove si diceva “educare alla parità di genere” è stato accettato il cambiamento del termine per cui oggi nel maxiemendamento leggiamo “educare alla parità tra i sessi”. Quindi ci possono dire: state tranquilli non parliamo di genere, parliamo di sessi.

D.  – Però poi i rimandi ai documenti a cui mi ha fatto riferimento rimangono...

R. - Esatto e allora occorre da parte nostra fare lo sforzo di leggere, di documentarsi a fondo, di cercare di capire. Noi siamo andati a prendere un testo che è stato pubblicato un paio di anni fa, per capire cosa è questa educazione di genere, educazione al genere. Ne ho sottomano uno che si intitola proprio “Educare al genere” ed è stato pubblicato nel 2013. Cito solamente alcuni passaggi. Si parla di “demistificare la rigida dicotomia con cui si è soliti pensare alla dimensione del genere” - se noi pensavamo al genere in modo dicotomico, cioè o maschio o femmina, qui l’obiettivo è demistificare la dicotomia – “a partire dalla revisione dei concetti stereotipati quali, ad esempio, l’idea che esistano in natura soltanto due sessi: maschio e femmina cui corrispondono a livello socio-culturale due generi, uomo-donna”. Penso sia sufficiente per capire di cosa stiamo parlando.

D. – Se il ddl “Buona scuola” del governo Renzi passa così com’è,  tutto questo entrerà nelle scuole italiane?

R. – Purtroppo sta già entrando e sicuramente continuerà ad entrare, addirittura, con l’avallo dell’istituzione.

D. - In cosa differisce questa parte del “Buona scuola” dal ddl Fedeli? La sostanza è la stessa?

R. – La sostanza è la stessa. Qua il problema è che si vuole anticipare tutto, farlo entrare in un disegno di legge, la riforma della scuola, che è nato per ben altri scopi ed ha ben altri obiettivi: la riforma della scuola è nata per altro, non per introdurre l’educazione di genere nella scuola.

D. – Sta dicendo: il ddl Fedeli agisce alla “luce del sole”, qui invece si sta facendo entrare clandestinamente l’educazione di genere nella riforma della scuola… Ma perché tanta clandestinità?

R. - Credo che se venisse dichiarato apertamente alle famiglie l’obiettivo, la maggior parte dei genitori si opporrebbe e non sarebbe d’accordo. Siamo consapevoli di essere in una convivenza democratica e che ognuno ha la libertà, il diritto, di avere una sua personale visione. Va bene anche la visione omosessualista, gender, tutto; il problema è che però ci deve essere un confronto aperto e soprattutto la possibilità per tutti di esprimere la propria visione. Il problema è che oggi, lo Stato, che dovrebbe garantire il suo essere super partes, purtroppo invece non si fa più garante della possibilità data ad ogni cittadino di esprimere la propria visione, ma ne assume una: la fa propria e attraverso il ministro dell’Educazione la vuole in qualche modo imporre a tutti.

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Le ombre di "Scientology" in un documentario di Alex Gibney

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Esce domani nei cinema "Going clear: Scientology e la prigione della fede", il documentario di Alex Gibney sulla cosiddetta "chiesa" creata dallo scrittore di fantascienza Ron Hubbard negli anni '50, tratto da un saggio di Lawrence Wright. Un  percorso, tra storia e testimonianze, che mette lo spettatore dinanzi all'ambiguità di questa struttura, in cui la sua forza economica assume forme intimidatorie di potere mentre i suoi adepti sono legati con sistemi che arrivano al ricatto e alle violenze. Il servizio di Luca Pellegrini: 

Un delirio fantascientifico che diventa teologia, una struttura efficientissima creata da Ron Hubbard, personaggio equivoco e assetato di fama e potere, che ingloba persone e ricchezze trasformando le aspettative di vita e di successo in prigioni psicologiche - e non solo - dalle quali è difficile, se non addirittura pericoloso o impossibile uscirne. Alex Gibney, documentarista americano, è avvezzo ad affrontare temi forti, scottanti. Lo ha già fatto con una indagine sugli abusi sessuali nel mondo della Chiesa cattolica. Talvolta nei suoi film questi temi, come in quel caso, li affronta senza creare alcun contraddittorio e con tesi che sono predeterminate.

Egocentrismo e violenza
In "Going clear", però, l'inchiesta sulla cosiddetta chiesa di Scientology - iniziata con la rievocazione storica della sua nascita, poi strutturata attraverso interviste a otto ex appartenenti a quel culto misterioso e bizzarro, tra cui il noto regista Paul Haggis e Mike Rinder, ex portavoce della "chiesa" - mette subito in chiaro come si tratti piuttosto di una setta assai ben organizzata e determinata. Egocentrismo di chi la dirige, sfruttamento delle persone più deboli, blandizie nei confronti di quelle potenti e ricche, violenze psicologiche e umiliazioni fisiche, paura per i ricatti e le intimidazioni: è una terribile verità quella che nel film i testimoni hanno avuto il coraggio di far emergere. Mentre è nota la fedeltà incondizionata che alcune star di Hollywood - John Travolta e Tom Cruise fra le più note - hanno sempre proclamato, con la loro adesione entusiastica e incondizionata. Importante per un’organizzazione che negli anni ha moltiplicato, più che i suoi adepti, un enorme patrimonio, alimentato continuamente dalle offerte alle quali tutti sono obbligati per salire nella scala gerarchica e nell'acquisizione dei misteri di una fede sconnessa, che mette in campo gli alieni e l'acquisizioni di poteri verso una vita illuminata e felice.

La privacy "estorta"
Fa paura anche come, per assicurarsi il legame di fedeltà, siano sistematicamente utilizzate forme ricattatorie che toccano la riservatezza e la privacy, informazioni estorte con una tecnica inventata da Hubbard, l'"auditing", cui tutti sono obbligati a sottostare. Insomma, Gibney, per quanto gli è stato possibile fare, cerca di rompere il muro delle omertà e dei segreti, cui anche il potere politico americano, si capisce tra le righe e le sentenze in tribunale, si è supinamente adagiato. Ma soprattutto è la condizione di fragilità delle vittime che crea un’enorme pena, il dolore in cui versano tante famiglie divise e braccate, sapendo anche quanto sia difficile poterle aiutare donando una liberta di scelta e di giudizio che sembra irrimediabilmente offuscata.

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Nella Chiesa e nel mondo



Usa. Vescovi al Congresso: non fermare il dialogo con Cuba

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I vescovi degli Stati Uniti chiedono di non fermare il dialogo avviato con Cuba dopo lo storico accordo annunciato lo scorso dicembre dai Presidenti Obama e Raul Castro.

Sostenere l’abolizione delle passate restrizioni sui viaggi e sul commercio
In una lettera il presidente del Comitato episcopale per la giustizia internazionale e la pace, mons. Oscar Cantú, esorta i membri del Congresso ad opporsi ad iniziative che vogliono impedire la piena normalizzazione dei rapporti tra l’Avana e Washington dopo più di 50 anni di gelo diplomatico e ad approvare il “Freedom to Export to Cuba Act 2015” e il “Freedom to Travel to Cuba Act 2015”, le due leggi che vogliono eliminare alcune restrizioni sui viaggi e sul commercio tra i due Paesi in vista della completa abolizione dell’embargo contro l’Isola.

Dialogo e riconciliazione unica via per ottenere la libertà religiosa a Cuba
Da tempo - ricorda mons. Cantù - la Conferenza episcopale ne denuncia gli effetti negativi: “L’unico modo per incoraggiare la libertà religiosa e i diritti umani a Cuba – sottolinea  – è il dialogo e la riconciliazione tra Stati Uniti e Cuba e nella società cubana. Per ottenere questo è quindi necessaria l’eliminazione dell’embargo commerciale e sul movimento delle persone”. Secondo i vescovi americani, le due proposte di legge in questione sarebbero un ulteriore passo avanti, insieme alla recente cancellazione di Cuba dalla lista nera dei Paesi sponsor del terrorismo, stabilita nel 1982, e alle prossime trattative per la piena ripresa delle relazioni diplomatiche e la riapertura delle ambasciate.

I vescovi orgogliosi del ruolo di Papa Francesco
I presuli si dicono infine orgogliosi del ruolo svolto da Papa Francesco e dalla Santa Sede per il raggiungimento dell’accordo del 17 dicembre scorso. A loro avviso questo nuovo clima di dialogo riceverà un ulteriore impulso dalla prossima visita del Santo Padre a Cuba a settembre.  Quindi, in conclusione, il reiterato appello ai membri del Congresso a non ostacolare il processo in corso per tornare alle fallite politiche del passato. Contrari alla nuova fase di dialogo con il regime castrista restano la comunità cubana in esilio negli Stati Uniti e numerosi membri del Partito Repubblicano. (A cura di Lisa Zengarini)

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Pakistan: 800 morti per ondata di caldo. Caritas interpella il governo

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“Purtroppo, in molti ospedali, la cura dei pazienti che presentano colpi di calore non è la priorità”. Lo dice all'agenzia AsiaNews Amjad Gulzar, Segretario esecutivo di Caritas Pakistan, parlando della terribile ondata di caldo che ha colpito la città di Karachi nella provincia del Sindh (Pakistan sudorientale) e che ha provocato ormai quasi 800 vittime. “Il numero così elevato di morti è dovuto all’ondata di caldo eccezionale che ha fatto salire in modo vertiginoso le temperature. Ma anche per i cali di tensione nella rete elettrica che hanno lasciato le persone senza corrente nelle case. Per questo ieri si tenuta una seduta congiunta del Parlamento per discutere della questione”.

Gran parte delle vittime del caldo anziani e poveri
Stando ai dati ufficiali, a Karachi si contano 744 morti e altri 38 nelle aree limitrofe. Le temperature sono arrivate a toccare i 45 gradi. Gli ospedali di Karachi - una megalopoli da 20 milioni di abitanti - sono al collasso e continuano ad accogliere persone colpite da malori. Gulzar afferma: “Caritas Pakistan ha un ufficio nella città e sta visitando i malati in tutti gli ospedali e i Centri medici. Stiamo raccogliendo informazioni sulla situazione, incontriamo i malati e stiamo valutando cosa fare. Ma non siamo ancora in grado di portare aiuto”. “La maggior parte delle vittime - continua il Segretario - si conta tra gli anziani di circa 60 anni e tra i poveri. Ma ci sono stati alcuni morti anche tra i giovani, trasportati al pronto soccorso per problemi collegati al caldo. Inoltre la situazione è aggravata dal fatto che questo è il periodo del Ramadan, in cui i fedeli musulmani si astengono dal consumo di acqua e cibo durante il giorno”.

Dichiarato lo stato di emergenza
Nei giorni scorsi Nawaz Sharif, primo ministro del Pakistan, ha dichiarato lo stato di emergenza e inviato l’esercito per costruire Centri per la cura dei colpi di calore. Varie proteste sono nate a causa dell’inadeguatezza delle risposte da parte delle autorità. Il governo provinciale è accusato di aver reagito con indifferenza e insensibilità; quello federale di essersi attivato con lentezza al peggiorare della situazione.

La popolazione ha bisogno di una risposta immediata del governo
Amjad Gulzar conferma la criticità della situazione: “È difficile trovare una soluzione. Certo è che la città di Karachi, la più popolosa di tutto il Paese, ha una pessima rete elettrica e questo non aiuta. Inoltre le persone dovrebbero avere la possibilità di curarsi in strutture mediche attrezzate, perché in questo momento la loro cura non è vista come una priorità dato che gli ospedali pubblici e le cliniche private sono pieni di pazienti. Ma ora la situazione è diventata davvero molto critica”. Il Segretario della Caritas riporta pure che la popolazione ha bisogno di una risposta immediata del governo. E conclude: “Quello che possiamo fare è chiedere al primo ministro della provincia e alle più alte autorità di adottare le misure necessarie per risolvere la situazione e aiutare chi soffre”. (R.P.)

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Spagna: alle Scholas Occurrentes il Premio Unicef

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La rete mondiale di scuole per l’incontro promossa da Papa Francesco Scholas Occurrentes ha ricevuto ieri il Premio Unicef Comitato Spagnolo Moviliza, che viene conferito a progetti o iniziative sviluppati con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’infanzia e i suoi diritti. Alle Scholas è stato riconosciuto l’impegno per l’educazione inclusiva e il suo lavoro per l’integrazione di diverse comunità, specialmente quelle con meno risorse, e ancora il suo ruolo fondamentale come progetto di mobilitazione per il diritto allo studio. Il premio è stato consegnato al direttore generale delle Scholas Occurrentes José María del Corral a Madrid dalla regina Letizia.

Le Scholas: una classe senza pareti dove si incontrano giovani di tutto il mondo
“Questo riconoscimento rafforza il nostro impegno a portare nel mondo intero il mandato che ci è stato affidato dal nostro Papa Francesco a promuovere i valori della cultura dell’incontro per la pace attraverso l’educazione” ha detto il presidente delle Scholas che ha anche sottolineato che per cambiare il mondo è necessario cominciare a cambiare l’educazione. José María del Corral ha spiegato che il progetto Scholas è come “una classe senza pareti”, dove tutti i giovani del mondo si incontrano e vivono insieme con l’obiettivo di un mondo pacifico, dove l’incontro è possibile. Le Scholas hanno condiviso il premio Moviliza con il cortometraggio “Non sono stato io” prodotto da Africanauan.

La collaborazione tra Scholas Occurrentes e Unicef
Scholas Occurrentes e l’Unicef collaborano ormai da diversi anni. Lo scorso aprile è stato firmato un accordo della durata di 5 anni che mira ad estendere l’accesso dei più giovani - in particolare quelli più svantaggiati - alla tecnologia, allo sport e all’arte. Sono svariate le attività congiunte a livello mondiale che hanno impegnato Scholas e Unicef, con lo scopo particolare di porre fine alla violenza e di promuovere l’incontro fra giovani. Le Scholas Occurrentes sono nate nel 2013, oggi comprendeno 400 mila Centri e reti educative, pubbliche e private, di tutte le religioni, di 71 Paesi, nei 5 continenti; nella sola Spagna hanno aderito più di 80 scuole. (T.C.)

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Argentina: vescovi contro protocollo che amplia cause dell'aborto

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Attraverso un comunicato diffuso dalla Commissione esecutiva della Conferenza episcopale argentina, presieduta dal vescovo di Santa Fe, mons. José María Arancedo, la Chiesa ha condannato il testo del “Protocollo per l’assistenza integrale delle persone con diritto all’interruzione legale della gravidanza” approvato negli ultimi giorni dal Ministero della salute. 

Il Governo lascia “senza protezione la vita umana più vulnerabile"
La nuova norma, di applicazione obbligatoria in tutto il Paese, viene ad aggiornare - dopo una sentenza della Corte suprema di giustizia del 2012 sulle garanzie che lo Stato deve offrire nei casi di aborti non punibili - la cosiddetta “Guida tecnica per l’assistenza integrale degli aborti non punibili” sancita nel 2010. “In un’epoca nella quale si tratta di rispettare e prendersi cura del creato e della vita in tutte le sue dimensioni”, lo stesso Governo lascia “senza protezione la vita umana più vulnerabile”, si legge nel messaggio dal titolo “La vita, primo diritto umano”. 

Le autorità hanno ampliato le cause per ricorrere all'aborto
Secondo quanto affermato dai vescovi nel loro comunicato “le autorità, invece di cercare vie per salvare la vita della madre e del suo figlio in caso di rischio e di procurare opzioni veramente terapeutiche e alternative, obbligano a determinare l’aborto” e ampliano - di fatto - le cause che autorizzano l’interruzione legale della gravidanza alle situazioni di “dolore psicologico e sofferenza mentale associata alla perdita dell’integrità personale e l’autostima”. 

Il protocollo esclude l'obiezione di coscienza
​È “sorprendente - concludono i vescovi - che venga limitato un diritto umano fondamentale quale l’obiezione di coscienza”. Il protocollo - si legge nel comunicato - esclude l’obiezione di coscienza istituzionale che prevedeva la legge 25673 e nega l’obiezione di coscienza individuale perché obbliga il medico obiettore ad intervenire nel procedimento di interruzione della gravidanza nel caso che non ci sia disponibile nell’istituzione un altro professionista. (R.P.)

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Sostegno dei Religiosi latinoamericani per la pace in Colombia

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Al termine del Congresso della Clar, Confederazione dei religiosi e delle religiose dell’America Latina e dei Caraibi, svoltosi in questi giorni a Bogotà, è stata diffusa una dichiarazione in cui i partecipanti esprimono pieno sostegno al processo di pace in Colombia. I congressisti si impegnano a pregare per la pace e ad assumere la causa della pace e della riconciliazione come il dovere morale più grande per la Chiesa cattolica latinoamericana.

Appello a Governo e gruppi ribelli a non interrompere il negoziato
“Opereremo sempre più – è scritto nel testo ripreso dall'agenzia Fides - a fianco delle vittime, rafforzeremo la consegna ricevuta di moltiplicare, attraverso l’educazione, un atteggiamenti di rispetto verso la dignità umana e la solidarietà, cercheremo nella preghiera l’aiuto e la sapienza dello Spirito per impegnarci senza riserve per questa causa”. Nel pronunciamento ampio spazio viene dedicato alla preghiera per la pace in Colombia e viene chiesto al governo colombiano e al gruppo terroristico delle Farc di “non interrompere il negoziato dell’Avana” fino a che “non si sia conclusa la guerra in Colombia”. Inoltre propongono di aprire un tavolo di dialogo con l’Eln (Esercito di Liberazione Nazionale), chiedendo loro di abbandonare del tutto le armi e costruire insieme i cambiamenti strutturali che la pace esige.

Proposte alternative nuove nella Vita Consacrata
​Il Congresso della Clar ha visto la partecipazione di circa 1.200 persone e ha avuto per tema "Orizzonti di novità nel vivere i nostri carismi oggi”. Fra gli obiettivi concreti, si è lavorato su come “proporre alternative nuove nella Vita Consacrata, individuare le vie per una Vita Consacrata discepola missionaria”. Alla chiusura, domenica scorsa, sono stati presentati degli “Impegni” che confluiranno prossimamente in un documento finale del Congresso. (C.E.)

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Kenya: la Chiesa lancia la sua prima banca per i poveri

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Una banca speciale destinata ai poveri. E’ la Caritas Micro-finance Bank (Caritas Mfb) inaugurata nei giorni scorsi dall’arcidiocesi di Nairobi. Il nuovo istituto di micro-credito – riferisce l’agenzia Cisa - aiuterà le categorie più vulnerabili nelle baraccopoli  della capitale , madri sole, malati di Aids e tutte le categorie sociali più vulnerabili normalmente escluse dall’accesso al credito dai grandi circuiti bancari. I suoi principali clienti - ha precisato alla cerimonia inaugurale l’arcivescovo di Nairobi, card. John Njue - saranno giovani, donne, micro-imprese gestite da organizzazioni religiose. 

12° istituto di micro-credito riconosciuto del Paese
Caritas Micro-finance Bank ha ottenuto l’autorizzazione ad operare su tutto il territorio nazionale dalla Banca centrale del Kenya, diventando così il 12° istituto di micro-credito presente nel Paese.

Il micro-credito un’esperienza di successo ormai diffusa in tutto il mondo
​Quella del micro-credito è un’esperienza ormai diffusa in tutto il mondo, dopo lo straordinario successo della Grameen Bank, la prima banca dei poveri fondata dal banchiere bengalese Muhammad Yunus che per questo ha vinto il premio Nobel per la pace 2006. L’idea è quella di prestare piccolissime somme di denaro per sostenere progetti di sviluppo e la sussistenza di migliaia di famiglie, puntando sempre alla massima semplicità di funzionamento. Il principio di fondo è la fiducia, per cui il successo o il fallimento della banca dipendono dalla forza del rapporto personale con l’utente. Grazie al micro-credito milioni di persone nel mondo sono riuscite ad uscire dal circolo vizioso della povertà. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 175

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.