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Sommario del 23/06/2015
- Sinodo famiglia. Pubblicato Instrumentum laboris: comunicare la speranza
- Card. Erdő: attenzione pastorale non è riconoscimento nozze gay
- Mons. Nosiglia: Francesco a Torino, un'epopea di popolo
- Tweet Papa: "L’amore di Dio è gratuito. Lui non ci chiede nulla in cambio"
- Altre udienze e nomine di Papa Francesco
- Card. Parolin: promuovere libertà religiosa per costruire casa comune
- Giaccardi: “Laudato si’”, Enciclica che riduce le distanze dell'umanità
- Mons. Auza: sì a Giornata Onu contro violenza sessuale in conflitti
- Al via il Convegno buddista-cattolico
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Grecia. Nuova riunione Eurogruppo, Bce alza liquidità emergenza
- Ong Ciss: a Gaza nessuna ricostruzione. Popolo traumatizzato
- Seimila donne vittime di stupro in un anno in Siria
- Appello Msf al prossimo Consiglio Ue: Europa accogli chi fugge
- Mons. Nunnari: 'ndrangheta anti-Vangelo, Chiesa la combatte
- Festival Mirabile Dictu: riflettori accesi sul cinema cattolico
- Morta suor Nirmala Joshi, guidò Missionarie Carità dopo Madre Teresa
- Sinodo greco-cattolico su violenze anticristiane e famiglia
- Vescovi Usa: la libertà di testimoniare la propria fede
- Kenya. Chiesa ai 600 mila rifugiati: non perdete la speranza
- Giustizia e Pace Europa: sui migranti più compassione
- Brasile: suicidi e mortalità infantile decimano gli indios
- Convegno a Gerusalemme sull'Enciclica "Laudato si'"
- Incontro a L'Aquila per non dimenticare padre Dall’Oglio
Sinodo famiglia. Pubblicato Instrumentum laboris: comunicare la speranza
Le sfide, la vocazione e la missione della famiglia: sono queste le linee-guida dell’Instrumentum laboris del 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia che si svolgerà ad ottobre in Vaticano. Il documento di lavoro, pubblicato oggi, riporta interamente la Relatio Synodi - testo conclusivo del precedente Sinodo sulla famiglia, svoltosi nel 2014 – integrato con la sintesi delle risposte al questionario proposto, nel corso dell’anno, dalla Segreteria sinodale a tutte le Chiese del mondo. Il servizio di Isabella Piro:
La Relatio Synodi
Non si riparte da zero, e questo è chiaro: l’Instrumentum laboris, infatti, riporta integralmente tutti i paragrafi della Relatio Synodi del 2014, inclusi i numeri 52, 53 e 55, i più discussi, relativi all’accostamento dei divorziati risposati all’Eucaristia, alla proposta della comunione spirituale ed alle unioni omosessuali. In sostanza, la Relatio Synodi ribadiva l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, mettendone in risalto gli aspetti positivi, ma anche la necessità di guardare con pazienza e delicatezza alle famiglie ferite. Il testo sottolineava poi che le unioni omosessuali non sono paragonabili al matrimonio tra uomo e donna, e che non sono accettabili pressioni sui vescovi su questo punto. Ulteriori spunti riguardavano l’auspicio di processi gratuiti per la nullità matrimoniale, l’attenzione per le adozioni, l’allarme per la pornografia, per l’uso distorto del web e per le donne ed i bambini vittime di sfruttamento sessuale.
Le risposte di Conferenze episcopali, famiglie, università, aggregazioni laicali
Ora, queste riflessioni vengono ampliate nell’Istrumentum laboris, grazie ai contributi raccolti non solo nelle Conferenze episcopali del mondo, ma anche delle famiglie stesse di fedeli, delle aggregazioni laicali, delle università e delle istituzioni accademiche. Il nuovo documento viene, quindi, suddiviso in tre parti: l’ascolto delle sfide sulla famiglia, il discernimento della vocazione familiare e la missione della famiglia oggi.
No alla rimozione della differenza sessuale
Riguardo al primo punto, si ricorda che il numero dei matrimoni, sia religiosi che civili, è in calo, mentre crescono separazioni, divorzi, denatalità; si sottolinea la paura dei giovani ad assumersi impegni definitivi, tra cui il formare una famiglia; si mettono in luce le “contraddizioni culturali” della nostra epoca in cui si dice che “l’identità personale e l’intimità affettiva devono affermarsi in una dimensione radicalmente svincolata dalla diversità biologica tra maschio e femmina” o in cui si vuole riconoscere “la titolarità matrimoniale” a coppie istituite indipendentemente dalla differenza sessuale. Di qui, il richiamo ad un “migliore approfondimento umano e culturale, non solo biologico, della differenza sessuale” perché la sua rimozione “è il problema, non la soluzione”.
Istituzioni latitanti non sostengono la famiglia. I figli, “orfani sociali”
L’Instrumentum chiama in causa anche le “contraddizioni sociali” che portano alla dissoluzione della famiglia: guerra, migrazioni, tossicodipendenza, alcolismo, disoccupazione, povertà, usura (da contrastare con apposite strutture di sostegno economico alle famiglie indigenti) cultura dell’usa e getta, congiuntura economica “sfavorevole ed ambigua” che “distrae risorse che dovrebbero essere destinate al progetto familiare”. In tutto questo, le istituzioni latitano e sono inadeguate, incapaci di sostenere la famiglia. Essa, invece, in quanto “pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale”, “risorsa insostituibile per lo sviluppo armonico di ogni società umana”, necessita di “politiche adeguate”, che tengano conto della sua “azione compensativa” nei confronti del welfare. Senza dimenticare gli “invisibili” della società, esclusi dal sistema economico attuale che colpisce, in particolare, i figli, “segnati a vita da privazioni e sofferenze”, veri “orfani sociali”.
Dignità per anziani e disabili. Pastorale specifica per famiglie migranti
Per questo, l’Instrumentum mette in risalto l’importanza della famiglia come strumento di inclusione, soprattutto di categorie fragili come i vedovi, gli anziani a cui va data “dignità e speranza”, i disabili che vanno accompagnati per contrastare “le forme impietose di stigma e pregiudizi”. A tal proposito, il documento sinodale affronta anche la cosiddetta sfida del “dopo di noi”, ovvero di disabili che rimangono soli alla morte dei genitori. Per loro si richiede di “garantire, difendere e valorizzare la qualità possibile di ogni vita”. Una pastorale specifica viene poi auspicata per le famiglie migranti, “dilaniate” e “tragicamente ferite”, perché soprattutto in quei Paesi di destinazione dove non c’è una “autentica accoglienza e accettazione, nel rispetto dei diritti di tutti”, si possono alimentare “fenomeni di fondamentalismo e di rigetto violento della cultura ospitante”. E il dramma cresce quando la migrazione è illegale, sostenuta da “circuiti internazionali della tratta di esseri umani”.
Valorizzare ruolo della donna nella Chiesa. I “lontani” non sono “esclusi”
L’Instrumentum, quindi, si sofferma sul ruolo delle donne: ne ricorda le pagine amare – sfruttamento, violenza, aborti e sterilizzazioni forzati, utero in affitto, mercato dei gameti, il desiderio di figli ad ogni costo – ma ne auspica anche una “maggiore valorizzazione nella Chiesa”, nei suoi “processi decisionali”, nella “partecipazione al governo di alcune istituzioni”. Altro punto cruciale riguarda la “novità assoluta” della “rivoluzione biotecnologica” che permette di “manipolare l’atto generativo” svincolandolo dalla relazione sessuale tra uomo e donna e rendendo, così, la vita umana e la genitorialità “realtà soggette al desiderio di coppie non necessariamente eterosessuali e regolarmente coniugate”. La prima parte si conclude, quindi, con una sottolineatura importante: i “lontani” dalla Chiesa non sono “esclusi”, ma persone comunque amate da Dio a cui la Chiesa deve “guardare con comprensione”.
Sacramento del matrimonio è indissolubile
La seconda parte dell’Instrumentum evidenzia, in primo luogo, la “pienezza sacramentale” del matrimonio, riaffermandone l’indissolubilità, in quanto “dono” e non “giogo imposto agli uomini”. Per questo, in un’epoca in cui è difficile “mantenere gli impegni per sempre”, si chiede di “dare un annuncio di speranza, che non schiacci” perché “ogni famiglia sappia che la Chiesa non l’abbandona mai”. Si sottolinea, inoltre, che il carattere “unitivo” del matrimonio è complementare a quello “procreativo”, nell’ottica di una “procreazione responsabile”.
Famiglia sia soggetto di evangelizzazione. La Chiesa accompagni sofferenze coniugali
Centrale, poi, l’urgenza di promuovere la famiglia come “soggetto” di evangelizzazione, affinché testimoni il Vangelo “senza nascondere ciò in cui crede”, in solidarietà con i poveri e i diversi, custodendo il creato e promuovendo il bene comune. Di qui, il richiamo a rinnovare i percorsi catechistici per la famiglia, affinché la comunità cristiana non sia una mera “agenzia di servizi”, bensì un luogo di “crescita”, nel cammino della fede. Chiesa e famiglia sono ciascuna un bene per l’altra, sottolinea l’Instrumentum, richiamando la responsabilità della comunità cristiana di aiutare le coppie in difficoltà, mostrandosi “accogliente” nei loro confronti. Anche perché, nel disegno di Dio, “la famiglia non è un dovere, ma un dono” ed oggi, la scelta del sacramento non va data per scontata, bensì vista come “un passo da maturare, una meta da raggiungere”. Per questo, la Chiesa deve “accompagnare” i momenti di sofferenza coniugale, per evitare “rovinose contrapposizioni tra i coniugi” con conseguenti ricadute sui figli.
La misericordia è legata alle verità fondamentali di fede
L’ottica, conclude la seconda parte, deve essere quella misericordia che “nulla toglie alla verità”, ma è “essa stessa verità rivelata, strettamente legata alle fondamentali verità della fede”, in quanto “rivelazione dell’identità di Dio” e “dimostrazione dell’identità cristiana”.
Comunicare la speranza, senza moralismi. Obiezione di coscienza per gli educatori
La terza parte si apre evidenziando la necessità di “preparare, formare e responsabilizzare” le famiglie in ambito missionario, incoraggiando ad esempio la missio ad gentes, anche grazie ad un “linguaggio che susciti speranza”, capace di raggiungere tutti, soprattutto i giovani, e lontano da moralismi, giudizi, pregiudizi e controlli. Perché, in fondo, “non si tratta di presentare una normativa, ma di proporre valori”, “verità di fede”. Magari, scrive l’Instrumentum, ci si può avvalere di equipe specializzate in comunicazione, che sappiano tener conto delle problematiche familiari odierne. E ciò è tanto più valido quanto più si guarda alla “pluralità religiosa e culturale” in cui si vive oggi e per la quale il Sinodo auspica la “sinfonia delle differenze”. Di fronte, poi, all’imposizione di modelli contrari alla visione cristiana della famiglia, come accade nel campo della sessualità, bisognerà offrire percorsi formativi adeguati, affermando “con decisione il diritto all’obiezione di coscienza” per gli educatori.
Cristiani si impegnino in politica e società per tutelare la famiglia
In sostanza, le famiglie devono interagire con le istituzioni, anche se tale collaborazione non sempre è agevole, portando all’attenzione della politica le loro istanze reali e “denunciando quelle pratiche che ne compromettono la stabilità”. “I cristiani – si legge – devono impegnarsi in modo diretto nel contesto socio-politico”. Su tutto emerge l’esigenza di rinnovare la pastorale familiare creando una migliore sinergia con gli altri ambiti pastorali (giovani, catechesi, associazioni), così da “abbracciare tutte le fasi della vita con una formazione completa”.
Accompagnare coppie conviventi perché raggiungano la pienezza sacramentale
L’Instrumentum torna poi a ribadire “il dovere e la missione della Chiesa” di annunciare il sacramento del matrimonio come unione fedele e indissolubile tra un uomo ed una donna, ma anche la sua capacità di “accompagnare quanti vivono il matrimonio civile o la convivenza” così che possano, gradualmente, giungere fino alla pienezza dell’unione sacramentale che va presentata non come “un ideale difficile da annunciare”, bensì come “un dono che arricchisce e fortifica la vita coniugale e familiare”. Quindi, il documento si sofferma sul perdono, “esperienza fondamentale” in famiglia, e ricorda che in caso di tradimento coniugale “è necessaria un’opera di riparazione” perché “un patto infranto può essere ristabilito”. Occorrono, dunque, “scelte pastorali coraggiose” nei confronti delle famiglie ferite, facendo sperimentare loro “l’infinita misericordia di Dio”.
Fallimento matrimoniale: occorre discernimento prudente e misericordioso
Su questo punto, tuttavia, l’Instrumentum riporta due atteggiamenti differenziati: incoraggiare chi vive unioni non matrimoniali ad intraprendere “la strada del ritorno”, oppure invitare tali persone a guardare avanti ed a rimettersi in cammino. Tale accompagnamento andrà comunque fatto con “discernimento prudente e misericordioso”. Il fallimento matrimoniale è sempre “una sconfitta per tutti”, si legge nel testo, perciò “tutti hanno necessità di dare e ricevere misericordia”, soprattutto per il bene dei figli, ai quali vanno risparmiate ulteriori sofferenze. “Alcuni – prosegue ancora il documento – richiedono che anche la Chiesa dimostri un analogo atteggiamento nei confronti di coloro che hanno infranto l’unione”. In quest’ottica, si insiste sull’adeguata preparazione dei sacerdoti a “questo ministero di consolazione e cura” delle famiglie ferite. Allo stesso tempo, la Chiesa deve esprimere “apprezzamento e sostegno” a coloro che non intraprendono una nuova unione, rimanendo fedeli al vincolo.
Nullità matrimoniale: procedure gratuite e superamento della doppia sentenza conforme
L’Instrumentum torna, quindi, su un punto-chiave della Relatio Synodi, ovvero quello dei casi di nullità matrimoniale: riguardo alla gratuità delle procedure di riconoscimento della nullità stessa, si registra ampio consenso. Sulla doppia sentenza conforme, c’è “larga convergenza” sul suo superamento, fatta salva la possibilità di ricorso del difensore del vincolo o di una delle parti, mentre non riscuote consenso unanime l’idea di un procedimento amministrativo sotto la responsabilità di un vescovo diocesano. Al contempo, un accordo maggiore si riscontra sulla possibilità di un processo canonico sommario nei casi di nullità patente. Richiesto, inoltre, l’incremento ed il decentramento dei tribunali ecclesiastici, dotati di personale qualificato e competente.
Ripensare le forme di esclusione liturgico-pastorali dei divorziati risposati
L’essenziale, comunque, è offrire linee pastorali comuni, indicazioni chiare da parte della Chiesa affinché chi si trova in situazioni particolari non si senta discriminato. Riguardo, in particolare, ai divorziati risposati si sottolinea che “vanno ripensate le forme di esclusione attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale, educativo e caritativo” perché questi fedeli “non sono fuori dalla Chiesa”: si rifletta, dunque, sulla “opportunità di far cadere queste esclusioni”. I cammini di integrazione pastorale siano, però, preceduti da “opportuno discernimento” e realizzati “secondo una legge di gradualità rispettosa della maturazione delle coscienze”. Sull’accostamento all’Eucaristia per i divorziati risposati, l’Instrumentum evidenzia “il comune accordo” sull’ipotesi di una “via penitenziale” sotto l’autorità di un vescovo, basata sul pentimento, sulla verifica dell’eventuale nullità del matrimonio e sulla decisione di vivere in continenza. Altri fanno riferimento ad un “processo di chiarificazione e di nuovo orientamento”, in cui l’interessato sia accompagnato da un presbitero. In relazione alla comunione spirituale si ricorda che “essa presuppone la conversione e lo stato di grazia ed è connessa con la comunione sacramentale”.
Codice di buona condotta per matrimoni misti. Progetti pastorali specifici per omosessuali
Sui matrimoni misti, che presentano “criticità di non facile soluzione”, il documento sinodale chiede l’elaborazione di un codice di buona condotta, così che i coniugi non ostacolino il cammino di fede reciproco. In particolare, alcuni chiedono che tali tipi di nozze rientrino nei casi di “grave necessità” per i quali è possibile, per i battezzati fuori dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, accostarsi all’Eucaristia. Riguardo, inoltre, alla prassi ortodossa di benedire le seconde unioni, l’Instrumentum ricorda che tale pratica non mette in discussione l’unicità del matrimonio e rappresenta una celebrazione penitenziale per ricondurre i penitenti alla comunione con la Chiesa. Infine, fermo restando la contrarietà della Chiesa alle nozze gay, si ribadisce che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità ed accolta, con sensibilità e delicatezza, nella Chiesa e nella società”. Di qui, l’auspicio di progetti pastorali specifici per le persone omosessuali e le loro famiglie.
Tutelare la vita dal concepimento alla morte naturale
Nell’ultimo capitolo l’Instrumentum chiama i cristiani impegnati in politica a promuovere leggi che tutelino la vita dal concepimento fino alla morte naturale. Il punto di partenza resta sempre l’Humanae Vitae di Paolo VI, affinché i coniugi non facciano scelte egoistiche e non avvertano la norma morale come “un peso insopportabile”. Invitando, poi, a valorizzare l’importanza dell’adozione e dell’affido, il documento afferma che “l’educazione di un figlio deve basarsi sulla differenza sessuale, così come la procreazione”, perché anch’essa ha il fondamento “nell’amore coniugale tra uomo e donna, base indispensabile per la formazione integrale del bambino”. Di fronte all’aborto, inoltre, “la Chiesa afferma il carattere sacro ed inviolabile della vita umana”, restando vicina a chi ha vissuto tale dramma, e rammenta “l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza” per chi opera nelle strutture sanitarie. Allo stesso tempo, si afferma “il diritto alla morte naturale”, evitando accanimento terapeutico ed eutanasia.
Famiglia, prima scuola educativa. Genitori vigilino sui programmi scolastici
Riguardo all’educazione, di cui la famiglia è “la prima scuola”, l’Instrumentum richiama i genitori al loro ruolo di “primi educatori e testimoni della fede” per i loro figli, esortandoli anche ad essere “vigili e responsabili” nei confronti dei programmi scolastici ed educativi. Un riferimento specifico viene infine fatto ai nonni, “apostoli insostituibili delle famiglie”, che spesso “in maniera discreta e gratuita, garantiscono un prezioso sostegno economico alle giovani coppie e si prendono cura dei nipoti, anche trasmettendo loro la fede”. Il documento si conclude con un richiamo al Giubileo straordinario della Misericordia che avrà inizio l’8 dicembre 2015, alla luce del quale si colloca il prossimo Sinodo. L’Assemblea episcopale è in programma dal 4 al 25 ottobre, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.
Card. Erdő: attenzione pastorale non è riconoscimento nozze gay
“Un documento che riflette in modo affidabile la percezione e le attese della Chiesa intera sul tema cruciale della famiglia”. Così il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, alla Conferenza Stampa di presentazione dell’Instrumentum Laboris per la prossima Assemblea sinodale che si terrà il prossimo ottobre. Massimiliano Menichetti:
L’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede ha ospitato un incontro tutto proiettato sulla famiglia presentando l’Instrumentum Laboris. Il cardinale Baldisseri ha detto che “da tutte le latitudini stanno rispondendo alle sollecitazioni” con “diverse sensibilità culturali e geografiche”, “una sinfonia di voci – ha ribadito - che esprimono la ricchezza delle esperienze ecclesiali presenti nel mondo”. Sottolineata ancora una volta la centralità della famiglia nella costruzione della società, la sua vocazione alla vita, alla missionarietà, nella trasmissione della fede, testimone di accoglienza.
No alle nozze gay, sì all'accompagnamento
Due i fronti toccati dai giornalisti presenti, che hanno chiesto come sia possibile “raccomandare un’opportuna attenzione pastorale all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale, senza condividere il cosiddetto matrimonio gay". Il card. Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, relatore generale della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi:
"Attenzione pastorale e riconoscimento del matrimonio gay sono due cose diverse e questo risulta anche dal documento finale della scorsa assemblea sinodale, dove a questo riguardo c’è un brano che cita i documenti precedenti della Chiesa cattolica. Quindi anche in questo contesto dell’Instrumentum laboris si intende questo sotto l’espressione 'attenzione pastorale'”.
A ribadire la posizione anche mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, segretario speciale della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo:
“E’ certamente un punto fermo, che fa parte della Dottrina della Chiesa: per matrimonio intendiamo quello fra un uomo e una donna, aperto alla procreazione. Questo, però, non significa che io non possa rispettare e accogliere una persona omosessuale, significa che sono due cose distinte. Anche la Costituzione italiana dice questo: l’art. 29, comma 1, dice che la famiglia è questo: un’unione fra un uomo e una donna, aperta alla procreazione. Abbiamo davanti, dunque, una realtà che è la famiglia e abbiamo una sfida pastorale, che è anche un valore: far sì che nessuno si senta rifiutato, giudicato, emarginato, ma possibilmente accompagnato e integrato nella vita della comunità”.
I divorziati risposati
Altro punto affrontato quello della sfida pastorale nei confronti dei divorziati risposati in cui si ribadisce tutta la carezza di un accompagnamento per un’integrazione pastorale strettamente legata alla capacità di discernimento, dunque anche alla coscienza. Ancora mons. Bruno Forte:
"Responsabilità della coscienza che deve essere una coscienza rettamente formata, cioè non può essere una coscienza che ritiene bene ciò che semplicemente piace o è comodo; deve confrontarsi con il valore. Credo che è un processo aperto su cui bisogna discernere insieme".
Il punto – ha affermato il presule - non è la sfida, non è come si è detto tante volte semplificando “comunione sì, comunione no” ai divorziati risposati ma “è come aiutare le persone a sentirsi parte viva, protagonisti della vita ecclesiale“.
I lavori del Sinodo
Parlando della modalità di confronto al Sinodo il card. Baldisseri ha spiegato che si terrà una “linea dinamica”, evitando le lunghe serie di interventi "dei singoli membri” e che saranno valorizzati ancora di più i Circoli Minori, “distribuiti nel tempo e non tutti insieme”. "Ci sarà poi un documento finale, che sarà consegnato nelle mani del Santo Padre".
L'informazione
Circa l’informazione durante i lavori il porporato ha evidenziato che “spesso il Santo Padre ha ricordato che il Sinodo è uno spazio in cui possa agire lo Spirito Santo, non è un parlamento. I Padri sinodali sono invitati ad esprimersi con parresia. Essi saranno liberi di comunicare con i media a loro discrezione e responsabilità. La Sala Stampa curerà opportunamente, come è di consueto, l’informazione sul Sinodo”.
Mons. Nosiglia: Francesco a Torino, un'epopea di popolo
Papa Francesco ha concluso ieri la sua visita a Torino. Due giorni molto intensi, pieni di incontri e parole forti. Per un bilancio di questo viaggio, il nostro inviato Amedeo Lomonaco ha intervistato l’arcivescovo della città, mons. Cesare Nosiglia:
R. – Più volte il Papa ha parlato del popolo, del Popolo di Dio, ma anche del popolo intendendo la gente, la gente di tutti i giorni. Questa visita è stata veramente un’epopea di popolo! C’è stato un continuo avere attorno gente: da Caselle fino a tutto Torino, 18-20 chilometri: una cosa che io non mi sarei mai immaginato. Mi ha anche commosso! E poi l’entusiasmo di questi bambini, giovani, adulti, famiglie; ma anche musulmani, perché siamo passati in un quartiere dove ci sono anche tanti extracomunitari. Tutti a salutare Papa Francesco, a gridargli: “Ti vogliamo bene!”; “Continua così”; “Ti stiamo vicino”; “Preghiamo per te”; “Dacci la tua benedizione”… Insomma tante espressioni forti di significato, di affetto. Veramente i torinesi si sono proprio rivelati … per me che sono 4-5 anni che sono qui: come piemontesi siamo un po’ riservati. Stavolta invece ho detto: “Ma qui mi sembra di essere quasi nel Meridione d’Italia!”. Secondo me c’è quell’affetto profondo nel vedere Papa Francesco come un segno di Dio, un segno di speranza in questo momento così difficile, anche faticoso per la nostra terra. E’ una persona che ti sa veramente incoraggiare. Come ha detto agli operai: “Coraggio! Non aspettiamo che la crisi passi… Diamoci da fare, mettiamoci insieme, facciamo un patto intergenerazionale. Non lasciamo i giovani fuori!”… Sono tante indicazioni, anche forti. E poi sul lavoro della donna, per esempio, che non deve essere discriminata. Quindi tutti questi aspetti, ma poi soprattutto con i giovani. Direi che il tripudio più grande è stato proprio il momento dei giovani, quando ha parlato a braccio, in una maniera veramente amicale. Li ha colpiti al cuore, con tante espressioni come sa fare lui, ma anche con qualcosa di molto concreto e di molto impegnativo. Certe espressioni che ha avuto; certi inviti che sono veramente controcorrente - come ha detto – di una cultura moderna che i giovani seguono perché affascinati da questo senso di libertarismo, di individualismo, di ricerca solo del piacere, dell’esteriorità.. Li ha veramente invitati a volare alto! E penso che questo sia il messaggio più forte che ha colpito i giovani, perché sono abituati a messaggi molto mediocri: o di paternalismo “Dai, avete ragione… Fate, divertitevi!”; oppure di abbandono, di disimpegno, senza lavoro, senza futuro… Il Papa li ha veramente interpretati. Le loro domande sono state domande concrete e lui è sceso nella concretezza della loro vita. C’è stata da parte dei giovani una risposta veramente entusiastica ed eccezionale.
D. – Messaggi molto pratici, molto concreti. Come ha detto incontrando anche i Salesiani: “Serve un’educazione a misura di crisi”. Quindi serve una educazione per affrontare l’emergenza, imparare un mestiere pratico, anche in poco tempo…
R. – Perché lui giustamente – anche lì, tra l’altro, è andato a braccio, perché i discorsi scritti quando si trova di fronte a certe situazioni, il Papa parla col cuore – ha detto che come don Bosco è stato antesignano, anche per i giovani, perché li ha veramente educati e formati non solo a giocare, non solo a stare insieme, ma ha dato loro anche un’educazione sul lavoro, dicendo cosa dovessero fare per conquistarsi anche questo tipo di impegno nella società, rendendoli quindi protagonisti; così oggi è la stagione, una stagione di crisi, in cui i salesiani in particolare, ma tutta la Chiesa, devono sentirsi in prima linea per recuperare questo discorso forte con i giovani, che non punta solo a dare delle promesse, ma delle concrete realizzazioni di qualcosa che loro stessi – insieme ovviamente agli adulti – possano fare. Quindi traguardi possibili: la concretezza.
D. – L’immagine che resta tra le tante di questa visita apostolica è soprattutto quella degli incontri del Papa con gli ultimi, con i poveri, con gli immigrati… Un’attenzione particolare…
R. – Quello è stato veramente uno dei momenti più toccanti. Al Cottolengo ha voluto salutare uno ad uno tutti i malati, con abbracci, benedizioni, con un parlare ed un ascoltare anche le loro pene, le loro difficoltà… Tanti bambini, anche tanti ragazzi, giovani e adulti, i malati di Sla… Sono situazioni molto, molto difficili. E poi il pranzo che abbiamo fatto con i ragazzi del Ferrante Aporti, che sono detenuti, con i senza dimora, con gli immigrati, con i rom: è stato un dialogo veramente bello, in cui si sono aperti, come fossero davanti ad una persona cara, con la quale ti confidi, con la quale sai che ti puoi confidare, dirgli tutto, ottenendo anche qualcosa, ma non qualcosa di materiale, qualcosa che ti dia fiducia, ti dia speranza nella tua difficoltà.
D. – Il dialogo più toccante è stato senza parole, quello del Santo Padre che ha pregato davanti alla Sindone…
R. – Questo ha colpito molto! Siamo abituati – anche lì – a trasformare la preghiera in parole, parole, parole… Invece la preghiera più importante è il silenzio, la contemplazione, perché ti metti davanti al Mistero di Dio. Però non è un silenzio vuoto, è un silenzio carico, carico di valori positivi, che ti fanno recuperare le tue energie interiori. Questo silenzio e questa preghiera davanti alla Sindone, che abbiamo fatto insieme; e poi quel gesto bellissimo, quando è andato con una mano a toccare il Telo… Mi sono ricordato di quello che aveva scritto nel messaggio di due anni fa per l’Ostensione televisiva della Sindone, in cui diceva che “il Volto sindonico ci guarda”. Ci guarda perché è “la tenerezza di Dio”. Eppure – dice – “sono quelle piaghe che hanno portato questa tenerezza di Dio”. Forse va capito e va compreso il mistero di questo amore più grande. Vedere lui che, con tenerezza, tocca questo Telo, è veramente l’incontro tra la tenerezza di Dio e la tenerezza dell’uomo, che devono incontrarsi per trovare veramente qualcosa di pacificazione interiore, di forza, di speranza, di fiducia. Ti dà carica per il tuo presente, in qualche modo accarezza le tue piaghe, te le fa guarire con la forza della fede e della speranza cristiana.
Tweet Papa: "L’amore di Dio è gratuito. Lui non ci chiede nulla in cambio"
"L’amore di Dio è gratuito. Lui non ci chiede nulla in cambio; chiede solo di accoglierlo". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue, seguito da oltre 21 milioni di follower.
Altre udienze e nomine di Papa Francesco
Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute); il card. Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero; il professor Alberto Melloni, e seguito; mons. Lorenzo Chiarinelli, vescovo emerito di Viterbo (Italia); mons. Vitus Huonder, vescovo di Chur (Svizzera).
In Perù, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Puerto Maldonado, (Perù), presentata da mons. Francisco González Hernández, O.P., in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. David Martínez De Aguirre Guinea, O.P., Coadiutore del medesimo Vicariato Apostolico.
Card. Parolin: promuovere libertà religiosa per costruire casa comune
"La diplomazia della Santa Sede considera la promozione della libertà religiosa una priorità dei suoi impegni internazionali”. E’ quanto affermato dal cardinale Pietro Parolin al Convegno per i 40 anni dell’Atto finale di Helsinki, tenutosi oggi nella Sala Zuccari del Senato Italiano. Ad introdurre i lavori è stato il presidente del Senato, Pietro Grasso. Il segretario di Stato Vaticano, dopo un articolato a appassionato ricordo di cosa rappresentò la Conferenza di Helsinki per la Santa Sede, ha osservato che ancora oggi la libertà religiosa non è minacciata “solo in Paesi totalitari, ma anche in Stati che, pur definendosi neutri, escludono di fatto qualsiasi espressione religiosa della vita pubblica”.
Santa Sede impegnata contro intolleranza e discriminazione
La Santa Sede, ha detto il porporato, non cessa di ricordare alla comunità internazionale la necessità di combattere l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani con la stessa determinazione con cui lotta contro l’odio nei confronti di membri di altre comunità religiose”. Ancora, ha sottolineato che la libertà religiosa e i diritti umani sono “alla base della pace e della stabilità in Europa”. Se infatti, "il dialogo è lo strumento per raggiungere la pace, la tutela dei diritti umani è la garanzia per conservarla". Quindi, ha rivolto un pensiero particolare “ai diritti fondamentali dei migranti, il cui status di stranieri, non cancella la loro identità come membri della stessa famiglia umana”.
Agire contro la cultura dello scarto, tutelare il bene comune
La commemorazione dei 40 anni dell’Atto finale di Helsinki, ha proseguito, “diventa oggi l’occasione per un appello a tutelare la nostra casa comune”, a “costruire la nostra casa comune” e ad agire “perché non prevalga quella cultura dello scarto, che misura il valore dell’essere umano solo secondo le categorie economiche”. Dove viene promossa la libertà religiosa, ha ribadito, si “tutela il bene comune di tutti i cittadini, credenti o non credenti e si pongono le premesse per un’azione inclusiva, che non trascuri i poveri, gli ultimi, le minoranze, le periferie”.
San Giovanni Paolo II e l’atto di speranza nel processo di Helsinki
Il card. Parolin ha concluso il suo intervento riprendendo le parole di San Giovanni Paolo II, in occasione del viaggio apostolico in Finlandia nel 1989: “Nel nobile compito di portare a termine il processo di Helsinki – disse Karol Wojtyla – la Chiesa cattolica non mancherà di essere accanto a voi, al vostro fianco, in quel modo discreto che caratterizza la sua missione religiosa. Essa è infatti convinta della validità dell’ideale incarnato qui quattordici anni fa in un documento che per milioni di Europei è più di un documento finale: è un atto di speranza”. (A cura di Alessandro Gisotti)
Giaccardi: “Laudato si’”, Enciclica che riduce le distanze dell'umanità
“Curare Madre Terra”, è il titolo di un volume della casa editrice Emi in libreria da questo mercoledì che propone una serie di commenti all’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Tra questi, il saggio a firma di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti dal titolo “Educarsi alla cura: coltivare, custodire, cantare”. Alessandro Gisotti ha intervistato proprio la prof.ssa Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media all’Università Cattolica di Milano:
R. – La prima cosa che mi ha colpito dell'Enciclica è un’affermazione che, secondo me, ha un carattere insieme ontologico, teologico ma anche politico: tutto nel mondo è intimamente connesso. Questo lo ha detto anche Benedetto XVI nella Caritas in veritate al numero 21, ma Papa Francesco lo ribadisce in tutto il testo e ci dà, in qualche modo, il paradigma di questa connessione universale al numero 66 quando dice: “L’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la Terra”.
D. - Il saggio da lei firmato, all’interno del volume “Curare Madre Terra”, si sofferma sulla cura, sul tema della custodia ..
R. - Sì, il Papa usa un termine spagnolo molto bello che è “cuidar” che vuol dire prendersi cura, guardare con attenzione, far crescere. Di solito noi pensiamo: custodire e coltivare. Le due indicazioni sono il mandato che è stato dato all’uomo nel Giardino come due verbi in qualche modo alternativi che si devono un po’ mitigare a vicenda. In realtà nell’accezione originaria prendersi cura è proprio coltivare; non si può prendere cura senza coltivare, quindi senza guardare con attenzione, senza rispettare ma anche senza far crescere e mi pace molto che nell’Enciclica la custodia sia legata al tema dell’educazione. Noi ci prendiamo cura facendo crescere, quindi educando prima di tutto all’intero, a questo umanesimo integrale ed integrante, ma poi educarci all’abitare, alla partecipazione che è fondamentale.
D. - Come esperta, studiosa di comunicazione cosa la colpisce di questo documento ed anche del dibattito che sta suscitando?
R. - La prima cosa, dal punto di vista comunicativo dello stile che mi ha colpito è che il linguaggio di questa totalità è il canto, perché il titolo che ha scelto Papa Francesco “Laudato Si'” è il titolo del Cantico delle Creature e noi possiamo parlare del mondo cantandolo. Credo che questo sia un messaggio metacomunicativo, direi, molto importante. Poi, l’aspetto comunicativo fondamentale è che Papa Francesco parte dall’ascolto, ascolta tutti e quindi si fa ascoltare. È molto bello il fatto che citi in tutta l’Enciclica le conferenze episcopali di moltissimi altri Paesi, del Giappone, del Canada ... Cita anche la Carta della Terra; cita una pluralità di fonti che hanno tutte a cuore il comune destino dell’umano senza divisioni e steccati. Mi sembra che dal punto di vista comunicativo la sua postura, prima che ancora dei contenuti, ci dica qual è l’atteggiamento, che è appunto ridurre le distanze. A me sembra davvero che il Papa sia come il Buon Samaritano che, libero dalla classificazioni sociali, dalle tradizionali distinzioni culturali, attraversa la strada per primo, si fa incontro agli altri per prendersi cura dell’umanità ferita in questo momento. Questo mi sembra fondamentale dal punto di vista comunicativo. Cantare, ascoltare e prendersi cura insieme di questo mondo comune.
Mons. Auza: sì a Giornata Onu contro violenza sessuale in conflitti
La violenza sessuale nei conflitti e i nuovi obiettivi per lo sviluppo post 2015 al centro di due dichiarazioni dell’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente delle Nazioni Unite, impegnato a New York nei negoziati intergovernativi. Il servizio di Roberta Gisotti:
All’esame dell’Onu, una Giornata internazionale per eliminare la violenza sessuale nei conflitti. Soddisfazione, esprime mons. Auza, a nome della delegazione vaticana per l’adozione di una bozza di risoluzione al riguardo, frutto di “duro lavoro” negoziale, capeggiato dalla missione permanente dell’Argentina, che ha saputo creare un ambiente di cooperazione durante l’intero processo, cosi come evidenzia il presule. Condanna con la massima fermezza, mons. Auza, “tutte le forme di violenza contro i civili”, “reiterando i numerosi richiami di Papa Francesco di porre fine all’uso della violenza specie contro i bambini, le donne e le ragazze, in situazioni di conflitto armato, o seguenti e collegate un conflitto”. Tali atti rappresentano infatti, ribadisce il presule, “gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali”. Testimonia poi il capo missione vaticana che la delegazione della Santa Sede ha lavorato a stretto contatto con i promotori e le altre delegazioni per arrivare a una risoluzione cui potrebbe dare pieno supporto. Da qui, il richiamo all’uso di un linguaggio più chiaro e definito per potere sciogliere le “forti riserve” della Santa Sede su alcuni passaggi, che mons. Auza chiede di mettere a verbale.
Critiche costruttive anche sull’Agenda per lo sviluppo post 2015, formulata nella bozza "Zero". Ricorda l’arcivescovo Auza, l’esigenza di mettere al centro la persona umana, non solo come principale beneficiaria dello sviluppo sostenibile, ma anche come suo agente e amministratore, che lavora in solidarietà con i più bisognosi per il bene comune della società e dell’ambiente”. Chiede poi di evitare termini e concetti ambigui nella “dichiarazione politica”, che “deve essere idealistica e convincente, volta a inspirare e non frustrare, a unire e non dividere”. Suggerisce quindi di snellire alcune lungaggini nel testo, adottando anche il metodo dei social media, per essere più efficaci nel sollecitare la riflessione e interessare ai contenuti. Infine, una raccomandazione di non imporre ai Paesi obiettivi e indicatori contrari alle leggi e ai valori dei loro popoli.
Al via il Convegno buddista-cattolico
Il dialogo tra cattolici e buddisti rappresenta "una parte della nostra ricerca in corso per cogliere il mistero della nostra vita e la Verità ultima." Lo ha detto il presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, cardinale Jean-Louis Tauran aprendo stamattina il Convegno cattolico-buddista promosso dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti in collaborazione con il suo Dicastero e ospitato al Centro internazionale del Movimento dei Focolari a Castel Gandolfo. All’incontro partecipano 46 cattolici di diverse città degli Stati Uniti e leader buddisti impegnati nello sviluppo di una cooperazione fraterna con la Chiesa cattolica americana. Tema del Convegno: "Sofferenza, liberazione e fraternità". L’obiettivo: sviluppare la collaborazione reciproca per affrontare i problemi sociali delle persone nelle diverse comunità. Domani i partecipanti saranno ricevuti dal Papa prima dell’udienza generale. Sentiamo Fr. Leo D. Lefebure, teologo esperto di studio comparato dei testi di diverse religioni, intervistato da Philippa Hitchen:
R. – The major project is being friends…
Il progetto più importante è quello di essere amici e di aiutare il mondo. Quindi abbiamo considerato i temi che riecheggiano tanto nella tradizione cristiana che in quella buddista, specialmente la sofferenza e la fine della sofferenza. Un aspetto del Buddha è: “Insegno la sofferenza e la fine della sofferenza”. Quindi, possiamo vedere tutto il cammino buddista come il modo per dare un nome a ciò che nell’esistenza umana va male; al modo in cui causiamo una sofferenza non necessaria a noi stessi. E allora il Buddha, come un buon medico, offre la ricetta per un cammino che vada oltre la sofferenza. I cattolici e i buddisti differiscono su molte tesi fondamentali. Tuttavia, le nostre virtù e i nostri valori di base spesso convergono davvero a livelli molto alti.
D. – Guardando dal punto di vista pratico, quante lavoro è stato fatto in questo ambito?
R. – Well, there’s been a fair amount of cooperation like an effort towards peace…
C’è stata una buona cooperazione, tra cui l’impegno per la pace. Thích Nhất Hạnh è venuto negli Stati Uniti tanti anni fa, durante il conflitto in Vietnam, ed ha stretto amicizia con persone come Thomas Merton, Martin Luther King Junior, Daniel Barragan. Quindi c’è una lunga storia di incontri tra buddisti e cattolici per opporsi alla violenza e per lavorare alla trasformazione pacifica dei conflitti.
D. – E’ giusto dire che per tanto tempo i buddisti non avevano visto all’interno del mondo cattolico molto spazio per un dialogo teologico. Ma questo sta cambiando…
R. – Yes, a number of Christians and Catholics…
Sì, un certo numero di cristiani e cattolici hanno esplorato molto profondamente le tradizioni buddiste. Un certo numero ha sperimentato forme di meditazione buddista ed ha scoperto che la sua vita come cattolico è migliorata per questo. Ci sono differenze teoriche fondamentali, ma anche lì è importante notare le aree in cui ci sono pure punti di convergenza.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Su vie nuove con la carta della tradizione: in prima pagina, Maurizio Gronchi sull'Instrumentum laboris della quattordicesima assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla missione e la vocazione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
L'invenzione della libertà di coscienza: il cardinale segretario di Stato a quarant'anni dall'Atto finale di Helsinki.
Tra le dita stringeva quella piccola matita: Giampaolo Mattei ricorda suor Nirmala per dodici anni superiora generale delle missionarie della carità.
Un articolo di Silvia Gusmano dal titolo "Ero come ubriaca": Fede e Luce in pellegrinaggio da piazza San Pietro ad Assisi.
Primizia del concilio: i cinquant'anni del Gruppo di lavoro congiunto con il World Council of Churches.
Grecia. Nuova riunione Eurogruppo, Bce alza liquidità emergenza
Il vertice europeo sulla Grecia ha fatto progressi ieri a Bruxelles: si punta ad un'intesa in settimana. “Non abbiamo i tempi supplementari”, ha detto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Per domani alle 19.00 è stata convocata una nuova riunione dell’Eurogruppo straordinario che dovrà ascoltare il parere delle istituzioni sulle proposte greche, approvare la lista delle 'azioni prioritarie' che Atene si impegna ad approvare subito e poi decidere sul percorso per arrivare all'esborso dei 7,2 miliardi che restano dal programma. Il servizio di Fausta Speranza:
Domani sera di nuovo riunione dei capi di Stato e di governo della zona euro e poi giovedì i leader di tutti e 28 i Paesi dovrebbero mettere il sigillo finale su questo accordo che solo per il fatto di essere annunciato ha fatto rialzare i mercati, a partire da Atene. E le banche greche ottengono una nuova iniezione di liquidità dalla Bce. Buona proposta, ma c’è da lavorarci è giudizio unanime. L’economista Paolo Guerrieri:
R. - Di nuovo ci sono dei numeri. Finora i greci non avevano messo sul tavolo - sul piano delle misure che continuavano a promettere – quanto queste avrebbero consentito l’aumento delle entrate fiscali, la diminuzione della spesa pubblica. Oggi ci sono dei numeri, sono molto vicini come quantità a quella che era stata chiesta dall’Eurogruppo, quindi a questo punto è possibile che, data questa estrema vicinanza delle posizioni, si riesca ad arrivare alla stretta finale e alla firma di questo accordo.
D. - C’è da dire che al momento resta fuori un accordo sulla ristrutturazione del debito...
R. - In realtà resta fuori, ma farà parte degli impegni che l’Eurogruppo prenderà, condizionandolo naturalmente alla condotta, cioè verso il raggiungimento degli obiettivi che il governo greco in questo momento ha indicato. Quindi si parlerà non di taglio del debito, cioè di riduzione, ma di allungamento delle scadenze e di diminuzione dei tassi di interesse. Di fatto però è una forma di ristrutturazione blanda. Quello che c’è da dire, purtroppo, è che è un accordo che non risolverà i problemi dell’economia greca, quindi non risolverà anche il fatto che a breve dovremmo riprendere ad occuparci di cosa fare nei confronti della Grecia. A breve vuol dire tra qualche mese, perché le scadenze vere poi sono ancora da affrontare. Ci sarà bisogno di questo nuovo negoziato per quanto riguarda la possibilità di immaginare un intervento su scala molto maggiore. Adesso però l’importante è che sia scongiurato un evento: il fallimento dell’accordo che sarebbe stato disastroso per la Grecia e per i greci ma anche per il futuro dell’unione monetaria e quindi dell’Euro. Quindi per ora è un fatto positivo e di appuntamenti importanti ne dovremmo vedere diversi e tra non molto.
Ong Ciss: a Gaza nessuna ricostruzione. Popolo traumatizzato
Israele e Hamas rigettano con forza le accuse della Commissione Onu di aver commesso crimini di guerra l’estate scorsa durante il conflitto nella Striscia. Civili colpiti indiscriminatamente e impunemente, la colpa di Gerusalemme, strategia del terrore, tramite razzi e tunnel, la responsabilità dei gruppi armati palestinesi. Il risultato a Gaza però non cambia: "Devastazione e sofferenza umana senza precedenti" e con un "impatto sulle generazioni future", come testimonia chi nella Striscia vive. Il servizio di Gabriella Ceraso:
1.462 morti palestinesi nell’operazione “Confine di difesa” del 2014, un terzo dei quali erano bambini. Nessun cambio di strategia da parte israeliana, dice l’Onu, nonostante gli evidenti effetti sui civili. Sono effetti a lungo termine, sottolineano le Nazioni Unite e lo spiega anche Salvo Maraventano, impegnato con l’Organizzazione Ciss – Cooperazione internazionale Sud Sud – nell’assistenza familiare e dei minori a Gaza:
“Il livello di trauma e le problematiche, sia psicologiche che psicosociali dei minori e delle loro famiglie, hanno raggiunto livelli molto alti. Parliamo di malessere sociale ed economico su larghissima scala. Tra l’altro, tutto questo è aggravato da una chiusura degli accessi che, prima dell’attacco, erano ancora presenti”.
Di "devastazione senza precedenti" parla il Rapporto Onu e così è per le strade e nei servizi – scuole, ospedali, abitazioni – ancora nulla è ripartito:
“Questo fa sì, appunto, che ancora molti sfollati continuino a restare in questo status, quindi a essere ancora ospitati presso case di familiari, abitazioni provvisorie, 'shelter' o scuole stesse. Non sono stati ricostruiti gli edifici relativi ai servizi. Parliamo chiaramente anche di molte strutture produttive distrutte. C’è quindi anche un livello di disoccupazione molto alto, che chiaramente rallenta qualsiasi altro tipo di percorso. Molto del supporto è sempre garantito dagli aiuti umanitari, a fianco a questo si sta diffondendo del lavoro informale di vendita di oggetti e di prodotti per le strade, quindi non in modo strutturato. Fra l’altro, parliamo di un contesto in cui le famiglie devono vivere con, più o meno, sei-sette-otto ore di elettricità al giorno”.
Anche la riapertura di questi giorni del valico di Raffah, in Egitto, non è che un piccolo aiuto per la gente:
“Rendiamoci conto di quanto sia complicato un valico che, dopo un anno, apre per due o tre giorni. Non è come noi ci immaginiamo a casa nostra: di arrivare a una frontiera, presentare il proprio documento e passarla. No, non è così. C’è un sistema, anche abbastanza complesso, di liste, di priorità. Parliamo appunto di liste presentate ormai da più di un anno e si aspettano appunto questi quattro giorni per garantire l’ingresso”.
Violazione dei diritti umani: l’Onu lo denuncia, da parte di Israele e da parte di Hamas, Salvo lo conferma e chiede di non tacere:
“Parliamo del diritto a un normale sviluppo, all’educazione, allo studio. Ci troviamo a un anno da quell’evento e la situazione è in costante peggioramento. Stiamo parlando di diritti che sono sanciti da convenzioni e credo che sia nostro obbligo e dovere essere presenti e testimoniarli”.
Seimila donne vittime di stupro in un anno in Siria
Violenze durante le azioni di guerra ma anche nelle carceri: è la realtà delle donne siriane che, secondo il rapporto dell’"Euro-Mediterranean Human Rights Network" (Emhrn), sono sempre più esposte a ogni tipo di abuso nel Paese sprofondato nel conflitto da quattro anni. Il servizio di Fausta Speranza:
“Uccisione di donne durante le operazioni militari, esecuzioni durante i massacri, uso di corpi femminili come scudi umani, stupri nelle incursioni armate, durante i rapimenti, all’interno delle prigioni governative e nelle strutture detentive, molestie sessuali e umiliazioni durante la prigionia, detenzione arbitraria, sparizioni e rapimenti”. Un esempio: la storia di Aida, 19 anni, detenuta arbitrariamente tra l’ottobre 2012 e il gennaio 2013, racconta che l’uomo che la stava interrogando e che voleva da lei una certa dichiarazione l’ha lasciata in una stanza ed è tornato con altri tre che l’hanno violentata a turno. Alla fine, sanguinante, è stata sottoposta a un’iniezione per farla stare in piedi davanti al giudice.
Secondo il rapporto di Emhrn, lo stupro è usato come un’arma nella guerra in Siria e circa seimila donne sono state violentate nel 2013. Sembra sia più frequente in tre situazioni: ai posti di blocco, nei centri di detenzione e durante i raid militari. Le informazioni indicano che i membri del corpo di sicurezza sono stati coinvolti in atti di violenza sessuale. E in una società patriarcale come quella siriana, lo stigma dello stupro può facilmente scoraggiare le donne dall’ammettere cosa hanno subito, perchè correrebbero il rischio di essere ostracizzate.
Della situazione in Siria Fausta Speranza ha parlato con Riccardo Nouri, portavoce per l’Italia di Amnesty International
R. – Le ricerche di Amnesty International di altre organizzazioni per i diritti umani confermano che in Siria è accaduto in questi anni quello che è accaduto in tanti altri conflitti, cioè donne e ragazze vittime di violenze sessuale, di stupri, di altre forme di abuso. Donne fatte oggetto di una strategia bellica o trofei di guerra. Questo vale sia per quanto riguarda le forze governative, nella prima parte del conflitto, ma vale anche per i gruppi armati di opposizione, in particolare lo Stato islamico, che hanno via via conquistato parti di territorio nel corso degli ultimi anni. Già nel 2013 l’Euro-mediterranean Human Rights Network aveva segnalato 6000 casi di stupri in Siria. E dobbiamo anche aggiungere che si tratta di stime profondamente in difetto perché è facile constatare quanto la sfiducia nella giustizia, l’impossibilità di denunciare lo stigma che circonda le persone che hanno subito violenza, frenino le donne dal raccontare quello che è accaduto. Quindi sono cifre che valgono quello che valgono, potrebbero esserci anche degli 0 in più oltre a quel numero.
D. – Una situazione che va avanti da 4 anni: donne, in particolare, ma anche piccolissimi e civili in generale…
R. – Sì, non viene risparmiato nessuno. La realtà che abbiamo raccontato in tutti questi anni è una realtà fatta di torture efferate per punire, per terrorizzare la popolazione da parte delle forze governative: gli attacchi indiscriminati con armi rudimentali come i barili bomba che mietono vittime all’interno delle zone residenziali, le città sotto assedio… E naturalmente le persone più vulnerabili, le donne, le ragazze, i bambini e le bambine subiscono le conseguenze peggiori. E non è un caso che all’interno della popolazione rifugiata le organizzazioni per i diritti umani hanno individuato proprio tra i gruppi più vulnerabili - le ragazze single, le donne vedove, le bambine orfane - come persone che non possono più stare nei campi improvvisati intorno alla Siria. Tra queste ci sono molte vittime di stupro che hanno bisogno di cure mediche e psicologiche che in Libano, in Turchia, in Giordania, con tutta la buona volontà dei Paesi ospitanti, non possono ottenere.
D. – Quanto è difficile anche avere oggi notizie di quello che sta davvero accadendo sul territorio siriano?
R. – E’ estremamente difficile perché quello che Amnesty International è riuscita a fare per un po’ di tempo, fino al 2014, cioè entrare direttamente in Siria per raccogliere testimonianze di prima mano, ora è semplicemente impossibile. Ci si affida al lavoro straordinariamente coraggioso degli attivisti e delle attiviste per i diritti umani che ci raccontano di un quadro senza speranza. E questo è un Paese in cui più della metà della popolazione non vive più nelle sue case; è un Paese che – lo abbiamo dimostrato con le immagini satellitari - di notte è completamente spento; è un Paese nel quale 4 milioni di persone sono andate a cercare protezione all’estero e 7 milioni sono profughi interni. Questa è la parte più difficile da raccontare: la vita in Siria oggi, la vita dei profughi interni, la vita delle città sotto assedio. E le informazioni che arrivano tanto dalle zone controllate dal governo, quanto dalle zone controllate dall’opposizione armata, ci parlano di un conflitto senza regole, senza alcuna tutela per i civili e nel pieno disprezzo della vita umana.
Appello Msf al prossimo Consiglio Ue: Europa accogli chi fugge
59.606 è il numero degli immigrati arrivati in Italia dall’inizio dell’anno. E’ uno dei dati forniti oggi dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano, mentre a Pozzallo e Lampedusa nelle ultime ore sono sbarcate centinaia di persone. Da Roma, intanto, parte la denuncia di Medici Senza Frontiere: la vergognosa inazione dei governi è la causa di una crisi umanitaria sul continente europeo. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Sono sbarcati in 292 a Pozzallo, tra loro anche il cadavere dell’uomo ucciso in mare dai libici, e in oltre 300 a Lampedusa. Gli arrivi continuano e a dare le cifre dall’inizio dell’anno è il ministro dell’Interno, Angelino Alfano: oltre 59 mila da gennaio ad oggi, in prevalenza eritrei. Il numero si avvicina a quello dello stesso periodo del 2014, il picco è invece quello delle domande di asilo nel 2015: 22 mila, il 49% in più rispetto allo scorso anno. 78 mila invece i migranti ospitati in Italia. Il giorno dopo il varo della missione Ue contro gli scafisti, l'Unhcr ribadisce la necessità di garantire protezione alle vittime, mentre dalla Libia arrività un "aut aut": se le navi entreranno nelle acque territoriali senza permesso, saranno attaccate dai caccia. La Commissione europea intanto fa sapere che giovedì e venerdì, in occasione del Consiglio europeo, difenderà la sua proposta di un'agenda Ue dove si prevede il ricollocamento obbligatorio fra i Ventotto di 40 mila richiedenti asilo arrivati in Grecia e Italia a partire dalla metà di aprile. E alla vigilia del Consiglio del 25 e 26 giugno, un appello ai leader dell’Unione arriva da Medici Senza Frontiere affinché ripensino alle proprie politiche migratorie. Msf lancia quindi un hashtag ad hoc: #VergognatiEuropa. Loris De Filippi, presidente di Msf Italia:
“Il primo ‘vergognati’ è sicuramente per l’Italia. Noi di Msf sul terreno ci siamo dal 2002, in Sicilia, a Lampedusa così come in tante altre zone, e abbiamo constatato che in 13 anni non c’è stato alcun cambiamento rispetto agli standard di accoglienza in Italia. Rimangono assolutamente sotto la sufficienza e le immagini di questi giorni lo testimoniano benissimo: Ventimiglia, Ponte Mammolo, Tiburtina, il Brennero. Quello che chiediamo all’Europa è di fare sì che in qualche modo queste persone possano arrivare in Paesi più civili, o forse solo più capaci di accogliere, entrando in modo legale e in modo che queste persone siano poi reinsediate in maniera costante, permanente”.
Le uniche decisioni prese finora dall’Europa e in maniera piuttosto rapida, stigmatizza De Filippi, sono quelle relative alla deterrenza: come i vari muri, in Bulgaria e adesso quello in Ungheria, così come le decisioni prese dai governi austriaco e francese di utilizzare il Trattato di Dublino "come arma per rimandare in Italia persone che tentano di avere un minimo di accoglienza dignitosa". Ancora De Filippi:
“Io credo che questo non meriti altro che un grande ‘vergognati, Europa!’. A noi sembra che si faranno molte chiacchiere sul reinsediamento, sul rilocalizzare le persone altrove, e che il numero delle persone rilocalizzate realmente in un anno resterà molto piccolo, e che l’Italia, soprattutto nei prossimi due mesi, non sarà in grado di dare risposte. Non è stata in grado fino ad adesso, perché in estate dovrebbero migliorare le cose? Nei giorni scorsi ho sentito la proposta di Maroni che dice: 'Creiamo dei campi di transito in Libia'. Bene, la stragrande maggioranza delle persone che abbiamo raccolto finora nel Mediterraneo, 3.800 in venti salvataggi, vengono dal Corno d’Africa, quindi persone che scappano da conflitti o da situazioni assolutamente insostenibili, come quella dell’Eritrea. Tutte queste persone ci hanno detto che il loro Paese era un inferno, con la totale sospensione dei diritti umani. Ma hanno anche raccontato che la parte più dura di questa odissea è stata la Libia, perché sono state picchiate, torturate, violentate, è lì che hanno preso la scabbia, perché sono rimaste tre o quattro mesi, e poi sono arrivate da noi raccontandoci tutto questo. E ora la nostra risposta è: fermiamo i contrabbandieri di persone, fermiamo le barche e facciamo i campi lì. Questa è una manovra di simulazione per poter nascondere ai nostri occhi le persone che colano a picco nel mare, come succedeva prima, ma continueranno a farlo: in parte nel deserto e in parte torturate all’interno dei centri.
Medici Senza Frontiere è anche operativa a Kos, isola del Dodecanneso. La Grecia, così come l’Italia, non è in grado di assicurare protezione adeguata e condizioni di accoglienza umane. I dati in possesso dell’organizzazione dimostrano, inoltre, che “le problematiche mediche sono legate soprattutto alle precarie condizioni dell’accoglienza, oltre che alle ferite e ai traumi subiti duranti i lungi e pericolosi viaggi”. Manu Moncada, coordinatore delle operazioni per la migrazione di Msf in Italia, Grecia e Balcani:
R. – Eravamo già a Kos nel 2014 e ad oggi vediamo un aumento di arrivi pari al 750%. Stiamo parlando di poche centinaia di persone nel 2014. A oggi, nel 2015, siamo a oltre 8.000 persone arrivate nell’isola. Ci rendiamo conto che la maggior parte delle persone che arrivano sono di origine siriana, pressoché il 60%. Le altre nazionalità sono afghani, sono iracheni, dunque tutte persone che fuggono da conflitti. E quello che noi vediamo, soprattutto in Grecia, è la mancanza di sistema di accoglienza, di un sistema di accoglienza che possa offrire un alloggio, cibo, generi di prima necessità.
D. – A Kos c’è un unico centro che accoglie le persone, che è un hotel dismesso, che è carente di qualsiasi precauzione igienico-sanitaria…
R. – Questo hotel è stato messo a disposizione dopo aver fatto un’azione di lobby e di testimonianze nei confronti delle strutture politiche locali che non volevano avere un posto fisso nel quale ospitare queste persone, visto il turismo che esiste in queste isole. Dopo aver visto per settimane le persone accamparsi in ogni luogo, hanno messo a disposizione questo hotel che è completamente in disuso. Dunque Msf, lì, ha dovuto lavorare sul sistema di approvvigionamento di acqua potabile, sui servizi igienici ma Msf non può, e non vuole, sostituirsi alle responsabilità di uno Stato.
D. – Sistema di accoglienza completamente inesistente in Grecia e sistema di accoglienza peggiorato in Italia…
R. – Peggiorato anche perché sembra che il sistema sia sempre impreparato a qualcosa che tutti sapevano. Il sistema, in Italia, era un sistema che l’anno scorso ha accolto un numero pari a quest’anno, dunque con degli imbuti di cui già si sapeva in Sicilia e nel Lazio, che sono le regioni che ospitano più migranti. Quest’anno siamo a numeri, già prima dell’estate, molto alti e dunque siamo di nuovo in una situazione completamente emergenziale quando tutto ciò si sarebbe potuto prevenire con un sistema strutturato e pensato in modo omogeneo sul territorio italiano. Cosa che non avviene.
Mons. Nunnari: 'ndrangheta anti-Vangelo, Chiesa la combatte
I vertici della Conferenza episcopale della Calabria e una delegazione della Commissione parlamentare antimafia, guidata da Rosy Bindi, si sono incontrati ieri a Lamezia Terme. Al centro delle due ore e mezza di colloquio, gli strumenti messi in campo per combattere la ‘ndrangheta e l’impegno della Chiesa per condannare con fermezza un fenomeno che strumentalizza la fede, ma che con il Vangelo non ha nulla a che fare. Federico Piana ne ha parlato con mons. Salvatore Nunnari, presidente della Conferenza episcopale calabra e amministratore apostolico della diocesi di Cosenza-Bisignano:
R. – E’ l’anti-Chiesa, è l’anti-Evangelo. Anche quando in maniera subdola cercano di essere presenti in certi momenti, anche solenni, della nostra vita religiosa – penso per un istante alla processione, agli "inchini". E allora, noi vescovi della Calabria, nel febbraio dell’anno scorso – dico febbraio dell’anno scorso, e lo dico sottolineandolo – abbiamo iniziato uno studio sulla situazione per redigere poi una nota pastorale. Quando poi il Papa è venuto, il 21 giugno – ieri era l’anniversario – è venuto a Cassano e ha gridato con forza, addirittura comminando la scomunica contro gli ‘ndranghetisti, la nota era già pronta – questa nota pastorale – che come vede ha un titolo: “Testimoniare il Vangelo”. La nota pastorale non è “contro” nessuno in particolare: è testimoniare il Vangelo per ritornare alla verità. Agli ‘ndranghetisti abbiamo detto chiaramente: “Voi, con la Chiesa, non avete nulla a che fare! Però la Chiesa vi aspetta. La nota finale, infatti, è una nota di speranza: una nota di speranza per coloro che, rendendosi conto del male che stanno operando, del male in cui si trovano invischiati, possano anche ritornare. Però, anche qui “misericordia” va coniugata con “giustizia”: un “no” netto agli ‘ndranghetisti, un’apertura alla speranza perché gli ‘ndranghetisti possano tornare, dimostrando di fatto però di essere persone che sono cambiate veramente.
D. – In che modo, concreto, si debbono spezzare questi legami che sono malvagi, tra ‘ndrangheta e Chiesa?
R. – Completamente. Andiamo ai fatti. Abbiamo pensato, noi vescovi, di non lasciare soli i nostri preti: devono sentire che c’è una Chiesa alle spalle, che c’è un vescovo! Allora, quello che stiamo elaborando adesso – e abbiamo già in mano il testo – è come concretamente noi vescovi mettiamo delle linee comuni: per i funerali dei mafiosi, del padrino, e quindi la risposta da dare, i Sacramenti da concedere a questi mafiosi… Ci mettiamo d’accordo su delle linee comuni. Il decreto poi lo faranno i vescovi nelle varie diocesi. Questo è un documento che mi auguro venga al più presto approvato: il giorno 30 ho convocato tutti i vescovi per discutere ancora di questo documento. Lì, in pratica, saremo anche concretamente operativi.
D. – E concreto quest’anno è stato anche il vostro impegno: l’impegno dei vescovi per cercare di formare preti che siano informati sulla ‘ndrangheta, su questo fenomeno terribile…
R. – Abbiamo deciso di riunire per alcuni momenti formativi tutti i seminaristi degli ultimi anni di Teologia e abbiamo inserito nella "ratio studiorum", un corso di formazione dei seminaristi per la lettura della realtà ‘ndrangheta, come comportarsi personalmente: cosa che ancora non c’era. Stiamo preparando i preti di domani, perché dinanzi a questo fenomeno così terribile non si trovino come tante volte questi giovani preti si sono trovati impreparati.
Festival Mirabile Dictu: riflettori accesi sul cinema cattolico
"Mirabile dictu" è il Festival internazionale del cinema cattolico, che si svolgerà a Roma fino al 25 giugno. La manifestazione, sotto l’alto patronato del Pontificio Consiglio della Cultura, mira a sostenere le opere che promuovono valori morali e modelli positivi. Tredici i film finalisti in concorso nelle diverse categorie. Eugenio Murrali ha chiesto alla regista e presidente, Liana Marabini, come sia nata l’iniziativa:
R. – Nasce da un desiderio di dare spazio e visibilità, in quell’immensa industria che è l’industria del cinema, a un genere molto specifico, il cinema cattolico: vale a dire, un cinema con dei film portatori di eroi positivi e valori morali.
D. – Quindi, un cinema differente?
R. – Sì, direi differente, perché il cinema cosiddetto di successo quasi sempre presenta eroi che sono sì avventurieri, ma in fondo sono eroi negativi. Abbiamo quindi pensato di puntare i riflettori su quegli eroi che ci trasmettono un modello di vita, che si rifanno un po’ a Gesù, perché è Gesù il modello di vita iniziale. Ecco perché questi film – che si svolgono e si producono ognuno nel proprio angolino e nel proprio Paese – avevano bisogno di un palcoscenico su cui potessero essere riuniti. Ogni anno, arrivano sempre più film e questa è una cosa straordinaria. Anche per questa edizione abbiamo ricevuto più di mille film…
D. – Quando voi selezionate questi film cosa cercate?
R. – La scelta è ispirata dal valore che il film può trasmettere: quindi dal suo valore ispirazionale, vale a dire dal suo potere di evangelizzazione. Sono film girati da registi anche importanti, con attori importanti, che mettono le vesti di personaggi che ci ispirano e che ci dicono: esiste qualcosa dopo la morte? La vostra esistenza va modellata in modo che quando arrivate alla fine della vita non abbiate niente di cui rimproverarvi.
D. – In questa edizione vediamo anche uno sguardo ampio sul mondo: la partecipazione internazionale è importante…
R. – Sì, è molto importante. Perché il Festival è internazionale, perché la Chiesa è internazionale. E’ l’unica organizzazione che appartiene a tutto il mondo. Abbiamo film che arrivano dal Libano, dal Paraguay, dalla Corea, dalla Francia, dalla Spagna… Siamo veramente molto contenti. Quest’anno, poi, ogni film presenta una storia di vita. Vorrei citare in particolare "Right Footed" di Nicholas Park, che ci racconta il caso di Jessica Cox, una ragazza nata senza braccia, ma – pensate – la prima pilota con brevetto: ha ottenuto infatti un brevetto e pilota gli aerei senza braccia, usando solo le gambe. E’ anche cintura nera di karate… Abbiamo poi film bellissimi e documentari, sia tra i corti che tra i film per il cinema. “In my Brother's Shoes” è un cortometraggio che racconta la storia di un soldato americano: desiderava visitare il Vaticano, ma viene ucciso in Iraq. Quando i suoi effetti personali vengono inviati a casa, li riceve il fratello e trova le scarpe. Allora il fratello, per realizzare quel sogno, si mette le sue scarpe e fa questo viaggio in Vaticano dagli Stati Uniti e vede quello che il fratello avrebbe voluto vedere… Sono moltissimi i film. Tutti belli.
D. – Quindi ,storie di fede e di coraggio…
R. – Esatto. Per questo parlo di eroi positivi. Anche quando si nasce meno fortunati, con la fede – tutti questi personaggi hanno una forte fede – si riesce a superare qualsiasi ostacolo.
D. – C’è qualche particolarità quest’anno, qualche novità?
R. – Sì, ci sarà una novità, che sarà una specie di scoop: la comunicherò la sera delle premiazioni. Ma vorrei aggiungere questo: anche grazie al Festival notiamo uno sviluppo importante del film cattolico, a livello di grandi studios. Si è capito che il genere può essere molto, molto soddisfacente: per tutti, sia per chi li produce che per chi li guarda.
D. – Valore significa anche qualità…
R. – Qualità e soprattutto qualità dei messaggi trasmessi. Perché quello di cui oggi la gente ha bisogno sono modelli, sono messaggi che parlino al cuore. Siamo troppo spesso confrontati con modelli fisici di bellezza irraggiungibile o modelli finanziari di gente estremamente ricca. Ma ci sarà sempre uno più ricco o più bello di te… Quindi, abbiamo bisogno di modelli spirituali che sono quelli che mancano e questo tipo di film può assumersi questo ruolo: trasmettere un valore spirituale.
Morta suor Nirmala Joshi, guidò Missionarie Carità dopo Madre Teresa
È morta questa notte a Calcutta suor Nirmala Joshi, la prima a guidare le Missionarie della Carità dopo la beata Madre Teresa. Aveva 81 anni. Da tempo soffriva di problemi cardiaci. Negli ultimi giorni - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha avuto un’insufficienza renale, e venerdì 19 giugno i medici le hanno suggerito il ricovero per fare la dialisi. La religiosa ha preferito però restare con le sue consorelle: dopo una Messa celebrata da un sacerdote gesuita in ospedale, è stata dimessa. Il funerale è previsto per le 16 (ora locale) di domani. Nella giornata di oggi il corpo sarà alla chiesa di St. John, per poi essere trasferito in serata nella casa delle Missionarie a Tengra, un sobborgo di Calcutta. Domani la salma sarà portata nella casa madre della Congregazione, dove avrà luogo il funerale.
Di relligione indù, negli anni '40 conosce Madre Teresa e diventa cattolica
Suor Nirmala nasce nel 1934 a Ranchi, attuale capitale del Jharkanda e allora parte della provincia del Bihar e dell’Orissa, sotto l’impero britannico indiano. I suoi genitori venivano dal Nepal e suo padre era un ufficiale dell’esercito inglese, fino all’indipendenza dell’India nel1947. Sebbene i genitori fossero indù, Nirmala viene educata da missionari cristiani a Patna, capitale dello Stato del Bihar. In quel periodo conosce il lavoro di Madre Teresa ed esprime il desiderio di condividere quel servizio. Presto diventa cattolica e si unisce alle Missionarie della Carità.
Ha avviato il ramo contemplativo delle Missionarie della Carità
Laureata in Scienze politiche e con un praticantato come avvocato, diventa una delle prime sorelle della congregazione a guidare una missione straniera, quando viene inviata a Panama. Nel 1976, suor Nirmala avvia il ramo contemplativo delle Missionarie della Carità, di cui resta a capo fino alla sua elezione come successore di Madre Teresa nel 1997, sei mesi dopo la morte della beata fondatrice. Il 26 gennaio 2009 (Festa della Repubblica, ndr) il governo indiano le ha conferito il Padma Vibhushan, il secondo riconoscimento civile più alto della nazione, per i servizi resi al Paese.
Le è succeduta suor Mary Prema Pierick
Il suo mandato come superiora generale delle Missionarie della Carità si è concluso il 25 marzo 2009: le è succeduta la consorella di origini tedesche Mary Prema Pierick, tutt’ora a capo della congregazione di Madre Teresa. (N.C.)
Sinodo greco-cattolico su violenze anticristiane e famiglia
Centri di catechesi e di formazione cristiana in preparazione al matrimonio; luoghi di ascolto e di accoglienza per le famiglie in crisi; e ancora, la situazione in Siria, la guerra che ha sconvolto il Paese e tutta la regione mediorientale, originando al contempo un esodo in seno alla comunità cristiana. Sono questi alcuni fra i più importanti temi al centro dei lavori del Sinodo annuale della Chiesa cattolica greco-melkita, che si è tenuto dal 15 al 20 giugno scorso presso la residenza patriarcale estiva di Ain Trez, in Libano.
La pace in Siria e l'elezione del nuovo Presidente del Libano
Nel contesto dell’incontro annuale - riferisce l'agenzia AsiaNews - i presenti hanno analizzato alcuni rapporti dettagliati sulla situazione delle diocesi in Siria e hanno pregato perché giunga “il tempo della pace e della ricostruzione” dopo cinque anni di sanguinoso conflitto. Per quanto concerne il Libano, Paese che ospita il Sinodo, i padri hanno pregato per l’elezione “il prima possibile” del nuovo Presidente della Repubblica, carica vacante da oltre un anno e che tiene in scacco la vita politica dell’intera nazione, oltre che il dialogo fra le varie fazioni politiche.
La visita del patriarca siro-ortodosso
Sul piano dell’unità, si è registrata la prima visita ufficiale di un patriarca siro-ortodosso - Mar Ignace Efrem III, accompagnato da un gruppo di vescovi - al Sinodo greco-cattolico. Sempre in tema di ecumenismo, il Sinodo ha dato la propria completa adesione alla proposta lanciata nei giorni scorsi da Papa Francesco sull'unificazione della data della Pasqua. Del resto nel suo discorso introduttivo il patriarca Gregorio III Laham, affrontando il tema dell’unità fra i cristiani, ha sottolineato che “ciò che ci avvicina è molto più grande di quanto ci separa”. E in questi tempi di guerre, violenze, persecuzioni egli ha aggiunto che “in Siria e in Iraq stiamo vivendo un ecumenismo di sangue”.
La famiglia al centro del Sinodo
Pur in un contesto di conflitti e attacchi contro la comunità cristiana, il Sinodo non ha voluto trascurare l’opera nel campo della pastorale che, in questo momento, è dedicata in particolare alla famiglie e ai matrimoni. Come spiega il comunicato finale diffuso dal patriarcato al termine dei lavori “la famiglia, nel contesto attuale e sul piano futuro” è stata al centro di numerose sessioni, per via delle numerose sfide che essa deve affrontare. Problemi acuiti da un mondo sempre più secolarizzato, che sembra non lasciare “posto a Dio e ai valori cristiani”.
Le proposte pastorali sulla famiglia
In risposta, i padri sinodali hanno deciso di fondare e promuovere in tutte le eparchie “Centri di catechesi e di formazione cristiana” per una migliore preparazione al matrimonio. A questo si accompagneranno anche dei centri di ascolto e consultori cui potranno rivolgersi “le famiglie in crisi” e le coppie con difficoltà. Infine, il Sinodo ha deciso di aggiungere all’Ordinamento liturgico nuovi santi, alcuni dei quali provenienti dalla tradizione latina: Francesco d’Assisi, Giovanni Paolo II, Giovanni XXIII, santa Rita, Don Bosco, Ignazio da Loyola, Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux, Vincenzo de’ Paoli e sant’Alfonsina. (R.P.)
Vescovi Usa: la libertà di testimoniare la propria fede
Quella religiosa è la più importante libertà che hanno i cittadini americani, un dono di Dio “iscritto nel cuore di ogni uomo, fondamentale per la dignità umana”. Lo ha ribadito mons. William Lori, presidente della Commissione per la libertà religiosa della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), aprendo domenica a Baltimora la “Fortnight for Freedom”, l’annuale campagna per la libertà religiosa promossa dai vescovi.
Sempre più difficile per i cristiani testimoniare liberamente la propria fede
“Libertà di testimoniare” è il tema scelto per questa quarta edizione, per richiamare l’attenzione sul diritto dei cattolici americani di servire il bene comune secondo il proprio credo. Un principio sempre più insidiato in questi anni da politiche che di fatto limitano il diritto sancito dal 1° emendamento della Costituzione di esprimere e praticare pubblicamente le proprie convinzioni etiche e religiose. E’ quanto sta accadendo, tra l’altro, con le disposizioni federali per l’attuazione della riforma sanitaria che impongono a tutti i datori di lavoro la copertura obbligatoria anche per servizi e la fornitura di farmaci incompatibili con agli insegnamenti della Chiesa cattolica. Lo ha ricordato mons. Lori durante la Messa, alla quale hanno partecipato un migliaio di persone. “Le istituzioni religiose negli Stati Uniti rischiano oggi di perdere la libertà di svolgere la loro missione e di difendere la famiglia”, ha detto nell’omelia riportata dall’agenzia Cns. “Un conto è non essere d’accordo con tali insegnamenti e un conto è discriminare contro i diritti dei credenti di praticare la propria fede, non solo con le parole, ma anche nella vita quotidiana, nell’esercizio del loro ministero e delle loro attività”.
Dobbiamo risvegliare il Cristo che è in noi con una fede forte e attiva
In questo i cattolici americani e tutti i cristiani nel mondo sono oggi sulla stessa barca, quella barca degli Apostoli nel mare in tempesta descritta nel Vangelo di Marco: “Nei passeggeri di questo viaggio lungo 2000 anni – ha osservato - non vediamo forse i primi cristiani in balia dei venti impegnati a testimoniare coraggiosamente la loro fede nella persecuzione?”. Quindi l’esortazione ad affidarsi a Cristo come gli Apostoli nel Mare di Galilea: “Dobbiamo risvegliare il Cristo che è in noi con quella fede forte e attiva che ci lega a tutti quelli che l’hanno testimoniata liberamente fino al sacrificio della propria vita. Meglio ancora: lasciamo che Cristo risvegli la nostra fede e ci stimoli ad agire perché possiamo preservare, proteggere e difendere la libertà donataci da Dio di testimoniarla”, ha concluso mons. Lori.
Due settimane di mobilitazione della comunità cattolica
Lanciata per la prima volta nel 2012, la campagna inizia ogni anno il 21 giugno, festa di San Tommaso Moro, patrono dei politici e San John Fisher, e termina il 4 luglio, Festa dell’indipendenza. Nel programma di queste due settimane incontri di preghiera, riflessioni, catechesi e manifestazioni con l’aiuto di sussidi e materiale informativo messo in rete dalla Usccb per mobilitare la comunità cattolica e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo importante tema. (A cura di Lisa Zengarini)
Kenya. Chiesa ai 600 mila rifugiati: non perdete la speranza
“Ogni 15 minuti una persona diventa sfollata nel mondo” ha ricordato mons. Virgilio Pante, vescovo di Maralal e vice presidente della Commissione per i rifugiati e i migranti della Conferenza episcopale del Kenya, nell’omelia della Messa celebrata per la Giornata Mondiale dei Migranti. La Giornata cadeva il 20 giugno, ma per motivi organizzativi, la Messa presso la St. John the Baptist Riruta Parish di Nairobi è stata celebrata ieri. Alla Messa hanno partecipato rifugiati che vivono in Kenya provenienti da Uganda, Rwanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Etiopia, Eritrea, Sudan e Sud Sudan.
Appello della Chiesa ai keniani perchè evitino il tribalismo e il razzismo
Secondo quanto riporta l'agenzia Fides, mons. Pante ha esortato i rifugiati a non perdere la speranza nonostante le difficoltà che devono affrontare ogni giorno, e ha ricordato: “Dio controlla la situazione. Siate saldi nella fede e credete in Lui. Ricordate che persino Gesù Cristo cercò rifugio in Africa”. Il vescovo ha inoltre fatto appello ai keniani perchè evitino il tribalismo e il razzismo, e aiutino invece i rifugiati ad avere accesso alla scuola e al lavoro.
Mons. Pante ha chiesto di non espellere i profughi somali
Mons. Pante ha infine chiesto al governo keniano di permettere i rimpatri volontari dei somali che desiderano rientrare in patria, ma di non espellere con la forza i somali che non vogliono farlo. Il Kenya ha infatti deciso di chiudere il campo di Dadaab, che accoglie 350.000 rifugiati somali, dopo i recenti attentati terroristici attribuiti agli Shabaab della Somalia.
Kenya: 4° Paese al mondo per l'accoglienza di profughi
Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) il Kenya accoglie 600.000 rifugiati. Su 50 milioni di rifugiati nel mondo, il Kenya è il 4° Paese d’accoglienza come numero totale di rifugiati, dopo Pakistan, Iran e Germania. (L.M.)
Giustizia e Pace Europa: sui migranti più compassione
La Conferenza delle Commissioni europee di Justitia et pax Europa si unisce al dibattito pubblico in corso nel vecchio continente per “adottare un trattamento più compassionevole” per coloro che sono stati costretti ad abbandonare il loro Paese a causa della guerra, disordini civili, disastri naturali o condizioni economiche e sociali insopportabili. Un documento reso noto ieri “richiama l‘attenzione sulle responsabilità dell‘Ue nel progettare politiche a lungo termine per la prevenzione dei conflitti e di trasformazione e di sviluppo sostenibile”.
Combattere tutte le attività criminali svolte a discapito dei rifugiati
Tra le questioni urgenti, secondo Giustizia e Pace Europa, vi è “l‘impegno dei capi di Stato e di governo a triplicare le risorse finanziarie per le operazioni di soccorso nel Mediterraneo”. Inoltre, si sollecita “l’attuazione di misure legittime per reprimere il contrabbando e la tratta degli esseri umani e porre fine a tutte le attività criminali svolte a discapito dei rifugiati”. Giustizia e Pace Europa riconosce, inoltre, il diritto di ogni Stato, o gruppo di Stati, a esercitare il diritto sovrano di controllare e gestire i propri confini fino a quando è fatto con il dovuto rispetto per la dignità e i diritti fondamentali di ogni persona.
Considerare nuove modalità di migrazione legale
Giustizia e Pace Europa ricorda alla Ue che è giunto il momento di prendere in considerazione nuove modalità di migrazione legale e accoglie con favore la proposta di creare un corpo comune di guardie di frontiera, come emerso dall’"Agenda europea sulle migrazioni", adottata dalla Commissione Ue il 13 maggio. Nello stesso documento si sostiene il prospettato trasferimento di circa 40mila profughi provenienti dalla Grecia e dall‘Italia verso altri Stati membri e il reinsediamento di 20mila persone provenienti da Paesi terzi che sono stati identificati dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) come bisognosi di protezione internazionale. “Entrambe le misure - continua Justitia et Pax - dovrebbero coprire i prossimi due anni e sono considerate parte della risposta immediata alla crisi”.
Appello ai Paesi che rifiutano le quote di accoglienza dei migranti
L‘assegnazione dei rifugiati dovrebbe avvenire sulla base di quattro criteri (Pil, popolazione, disoccupazione e richiedenti asilo già ricevuti) e diventare un meccanismo continuativo alla base della condivisione della responsabilità per i rifugiati e i richiedenti asilo. Purtroppo però diversi governi europei hanno espresso la loro opposizione all‘introduzione di un sistema di assegnazione (quote) e a pochi giorni dal vertice europeo del 25-26 giugno, Giustizia e Pace Europa “invita fermamente quei governi che sono ancora reticenti, a riesaminare le loro riserve e a impegnarsi costruttivamente nella discussione della proposta”. (R.P.)
Brasile: suicidi e mortalità infantile decimano gli indios
C'è stato un grave aumento di violenze e di violazioni commesse contro i popoli indigeni in Brasile nel 2014, in particolare nei casi di omicidi, suicidi, morti per mancanza di assistenza sanitaria, mortalità infantile, invasioni dei territori, sfruttamento illegale delle risorse naturali, omissioni e ritardi nella regolarizzazione delle terre indigene. Questo il drammatico risultato dell’ampio e dettagliato rapporto "Violenza contro le popolazioni indigene in Brasile - dati 2014”, che il Consiglio Indigenista Missionario (Cimi) ha presentato nella sede della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), a Brasilia.
Preoccupante l'aumento dei suicidi
Secondo le informazioni fornite dalla Segreteria della Sanità Indigena (Sesai), che opera nell’ambito del Ministero della Salute - riporta l'agenzia Fides - nel 2014 si sono suicidati 135 indigeni, il numero più alto in 29 anni, secondo i registri del Cimi. Il Mato Grosso do Sul rimane lo Stato con il maggior numero di suicidi: sono 48 nel 2014, per un totale di 707 casi registrati in questo Stato tra il 2000 e il 2014. E' preoccupante anche il numero di casi registrati nel Distretto Sanitario Indigeno (Dsei) Alto Rio Solimões, che si trova in Amazzonia, dove ci sono le popolazione dei Tikuna, Kokama e Caixana. Solo in questo Dsei sono stati registrati 37 casi di suicidio.
L'aumento della mortalità infantile
Sempre secondo le informazioni della Sesai, nel 2014 sono stati uccisi 138 indigeni, l'anno precedente erano stati segnalati 97 casi. Un altro dato scioccante del rapporto si riferisce alla mortalità infantile. I dati indicano un totale di 785 decessi di bambini tra 0 e 5 anni. Nel 2013 la relazione del Cimi aveva registrato la morte di 693 bambini in tutto il Paese. La popolazione dei Xavante (nel Mato Grosso) ha avuto il maggior numero di bambini morti nel 2014, per un totale di 116. "La mortalità infantile e i suicidi stanno finendo i giovani indigeni. Siamo di fronte ad una situazione assolutamente grave" ha commentato l'assistente antropologica del Cimi e coordinatrice del rapporto, Lucia Helena Rangel. (C.E.)
Convegno a Gerusalemme sull'Enciclica "Laudato si'"
Si è concluso a Gerusalemme il convegno sul tema “Trasformazioni sociali e culturali, risorse naturali e biotecnologie”, su acqua, energia e biotecnologie alla luce della nuova Enciclica di Papa Francesco, "Laudato si'". Il convegno, che ha visto la presenza di padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terrasanta, è stato organizzato dal Centro Ricerche di Psicologia Politica e Geopolitica dell’Università Europea di Roma (Crippeg) insieme al Pontificio Istituto Notre Dame di Gerusalemme e all’Università Ebraica di Gerusalemme.
Socializzare i fondamentali beni creati per il bene e il servizio dell’uomo
Padre Pizzaballa, ha aperto il dibattito dichiarando che “la ricerca scientifica deve essere orientata al servizio della diffusione dei beni comuni come l’acqua e l’energia e che tale ricerca non possa essere svincolata dal messaggio dell’enciclica pontificia 'Laudato sì' che indica come unica soluzione per risolvere i conflitti internazionali la socializzazione di questi fondamentali beni creati per il bene e il servizio dell’uomo”.
L'appello dei poveri: un vero grido di pace e giustizia
Il professor Sorbi, Università Europea di Roma, ha sottolineato come “tali interventi che premono per la loro urgenza sono di dimensioni colossali. Riguardano, come dice Papa Francesco nella sua enciclica, 'Laudato sì', le dinamiche dei beni comuni. Questi inteventi non possono che unire in azioni pubbliche governi e grandi aziende multinazionali dell'agroalimentare e di forniture internazionali di risorse idriche. Questo è l'attuale livello del 'realismo' culturale e politico se comprendiamo l'urgenza dell'appello dei poveri che ci sta raggiungendo come vero grido di pace e giustizia”.
La crescita demografica dello Stato d'Israele
Toccando il tema demografico il professor Della Pergola dell’Università Ebraica di Gerusalemme, ha fatto notare come “fin dalla sua indipendenza, lo Stato di Israele è stato caratterizzato da una straordinaria crescita demografica - un moltiplicatore di circa dieci volte la sua popolazione iniziale. Ciò è in gran parte avvenuto attraverso l'immigrazione intensa e piuttosto eterogenea di ebrei da un gran numero di Paesi di tutto il mondo, a sua volta caratterizzata da una vasta gamma di sviluppo e di modernizzazione.
L'acqua, le energie e le nuove tecnologie
Il professor Mezza che ha toccato gli intrecci tra le problematiche dell’acqua e dell’energia con le nuove tecnologie si è focalizzato sugli aspetti tecnici e la governance dell’acqua. “L’Ottimizzazione e l’efficienza dipendono anche dall'uso di gestione della logistica e dal controllo dei flussi delle tecnologie e delle metodologie di assistenza nei processi decisionali. Gli Operatori e i decisori usano molto raramente queste tecnologie che possono portare a ritorni economici molto elevati, oltre a migliorare l’efficienza delle reti idriche” ha chiarito il professore. In conclusione dei lavori, Maria Medici, del Crippeg, il Centro Ricerche di Psicologia Politica e Geopolitica dell’Università Europea di Roma, ha affermato come:” il principio della condivisione, alla luce delle tragedie che soprattutto il Sud del mondo sta vivendo, appare non più procastinabile”. (R.P.)
Incontro a L'Aquila per non dimenticare padre Dall’Oglio
“Aspettando Paolo e non solo”: si intitola così l’iniziativa indetta per non dimenticare il padre gesuita Paolo Dall’Oglio, rapito a Raqqa, in Siria, il 29 luglio 2013. A quasi due anni dalla sua scomparsa, familiari ed amici hanno deciso di organizzare un incontro in Abruzzo, a Rocca di Mezzo, in provincia de L’Aquila. L’iniziativa avrà luogo domenica 28 giugno e si articolerà in due momenti: alle ore 10.30, si terrà una camminata ai Piani di Pezza; poi, alle 12.00, verrà celebrata una Santa Messa a Capo di Pezza.
La scelta del luogo dell'incontro: segno di speranza
La scelta del luogo non è casuale, spiega la famiglia di padre Dall’Oglio: nella Pasqua del 1970, infatti,“Paolo, insieme al noviziato degli Scout, accompagnati da padre Giuseppe Koch, scomparvero nella nebbia tra il Rifugio Sebastiani ed il Monte Velino”. “Ricordo – racconta Giovanni, fratello di padre Paolo – che in quei giorni ci affacciavamo più volte al Vado di Pezza per scorgere qualcosa, ma la pianura era tutta coperta da una nebbia fittissima e il nevischio ti batteva sul viso facendoti male". Dopo cinque giorni di attesa, padre Paolo ed il gruppo Scout riapparvero dai Piani di Pezza: era la Domenica di Pasqua. L’incontro del 28 giugno, quindi, vuole essere un segnale di “speranza e insistenza per Paolo e per tanti altri che stanno dolorosamente attendendo che la nebbia si diradi anche questa volta”. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 174