![]() |
![]() |

Sommario del 20/06/2015
- Papa: disoccupazione è piaga sociale, uomo sia al centro dell'economia
- L'Acri dal Papa. Guzzetti: impegno per minori ed edilizia sociale
- A Torino, attesa festosa per il Papa. Fassino: evento importante per tutti
- Ostensione Sindone 2015: malati e disabili protagonisti
- Papa a Torino. Don Ramello: giovani toccati nel profondo dalla Sindone
- Spadaro: Laudato si’, Enciclica “aperta” per il bene del pianeta
- Altre udienze e nomine di Papa Francesco
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Giornata Mondiale Rifugiato: metà delle vittime sono bambini
- Mali: attesa la firma dell'accordo tra governo e tuareg
- Sud Sudan: a rischio fame oltre 4 milioni di persone
- Migliaia di famiglie a Roma per dire no all'ideologia gender
- Greenaccord: custodire le risorse naturali, no allo spreco di cibo
- Volontariato in ambito sanitario: pubblicato libro con linee guida
- Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
- Card. Versaldi: nessuna intenzione di mentire al Papa sull'Idi
- Vescovi Terra Santa: dura condanna atto vandalico a chiesa di Tabgha
- Risposta vescovi Canada a Commissione Verità e Riconciliazione
- Ciad: religioni insieme contro la violenza
- Sud Corea: preghiera e digiuno per pace e riconciliazione
Papa: disoccupazione è piaga sociale, uomo sia al centro dell'economia
La disoccupazione, piaga sociale che colpisce soprattutto i giovani; riportare l’essere umano e la giustizia al centro dello sviluppo economico. Questi i temi che Papa Francesco ha affrontato stamani nell’udienza ai membri della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro. Il saluto al Pontefice è stato rivolto dal presidente dell’organismo, Antonio D’Amato. Ce ne parla Giancarlo La Vella:
Papa Francesco affronta le tematiche più attuali legate al mondo del lavoro, un settore in cui la crisi economico-finanziaria ha creato diseguaglianze e disoccupazione, soprattutto giovanile:
“Soprattutto quest’ultima è una vera e propria piaga sociale, in quanto priva i giovani di un elemento essenziale per la loro realizzazione e il mondo economico dell’apporto delle sue forze più fresche. Il mondo del lavoro dovrebbe essere in attesa di giovani preparati e desiderosi di impegnarsi e di emergere. Al contrario, il messaggio che in questi anni essi hanno spesso ricevuto è che di loro non c’è bisogno”.
Si tratta – dice il Pontefice – di un sintomo di una disfunzione grave, che non si può attribuire soltanto a causa del livello globale e internazionale. Il bene comune – continua – non può essere raggiunto attraverso un mero incremento dei guadagni o della produzione, ma ha come presupposto imprescindibile l’attivo coinvolgimento di tutti i soggetti che compongono il corpo sociale:
“L’insegnamento sociale della Chiesa richiama continuamente questo criterio fondamentale: che l’essere umano è il centro dello sviluppo, e finché uomini e donne restano passivi o ai margini, il bene comune non può considerarsi pienamente conseguito”.
Questa è la portata sociale del lavoro: ovvero investire energie e capitali, per il coinvolgimento di tutti i soggetti che compongono il corpo sociale, in modo da stimolare l’intraprendenza, la creatività, l’impegno. Questo – dice ancora Papa Francesco – ha effetti positivi sulle nuove generazioni e fa sì che una società ricominci a guardare avanti, offrendo prospettive e opportunità, e quindi speranze per il futuro. Infine, il Santo Padre loda l’impegno della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, che, oltre a mettere in evidenza il ruolo sociale dell’attività lavorativa, ne richiama la sua portata etica:
“Solo se radicata nella giustizia e nel rispetto della legge l’economia concorre a un autentico sviluppo, che non emargini individui e popoli, si tenga lontano da corruzione e malaffare, e non trascuri di preservare l’ambiente naturale”.
È veramente giusto – conclude Francesco – chi, oltre a rispettare le regole, agisce con coscienza e interesse per il bene di tutti, oltre che per il proprio, guardando alla sorte dei meno avvantaggiati e dei più poveri.
L'Acri dal Papa. Guzzetti: impegno per minori ed edilizia sociale
Il Papa ha ricevuto il presidente dell'Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Acri, Giuseppe Guzzetti. Presentati i progetti sociali dell'associazione, soprattutto nell'housing sociale e a sostegno delle fasce più deboli. Aspetti affrontati anche al Congresso Nazionale dell'Acri, che si è chiuso ieri a Lucca. Alessandro Guarasci ha intervistato lo stesso presidente Guzzetti:
R. – Il sistema delle Fondazioni intende presentare un piano per intervenire nei confronti sia dell’infanzia italiana, ci sono un milione di bambini italiani che fanno la fame!, sia dei bambini 0-6 anni che arrivano sui barconi… Quindi abbiamo detto al Santo Padre che la mozione finale del nostro Congresso ha incluso questo come un impegno assolutamente prioritario nei prossimi tre anni.
D. – Ci ricorda l’impegno finanziario per questo intervento?
R. – Attorno ai 50 milioni di euro. Tra l’altro il Santo Padre ha molto apprezzato questa proposta, perché si colloca sul territorio ed è coerente anche col suo messaggio che il Giubileo debba essere un Giubileo non solo a Roma: deve essere un Giubileo nelle diocesi, nelle comunità, nei territori…
D. – Presidente Guzzetti, cos’altro vi ha detto il Papa?
R. – Ci ha detto di insistere! Gli ho parlato delle nostre iniziative, della Fondazione per il Sud, dell'edilizia sociale, perché in Italia, 11 anni fa, le Fondazioni hanno inventato quell’edilizia che consente di mettere a disposizione di coloro che chiedono appartamenti in affitto, o che hanno anche una possibilità di riscatto, a prezzi molto, ma molto, molto più bassi rispetto a quelli di mercato. Abbiamo consegnato a Milano 323 alloggi, in cui i canoni sono ridotti del 50 per cento rispetto a quelli di mercato. C'è il tentativo di dare una risposta agli anziani, ai disabili, ai tossicodipendenti di un welfare non più statale, ma di comunità. Un Paese in cui l’infanzia e la senilità, invece di essere momenti sereni della vita, sono momenti di disperazione, di disgregazione è un Paese che non può progredire.
D. – L’obiettivo è un credito sempre più al servizio dell’economia reale. Con il nuovo assetto, la Cassa Depositi e Prestiti sarà sempre più competitiva, secondo lei?
R. – La Cassa non cambierà la sua missione! La Cassa deve continuare a finanziare gli enti pubblici, deve intervenire a sostegno dell’economia reale, quella sana e non quella decotta, e deve anche continuare in quell’attività. Prima avevo parlato anche dell’housing sociale: questo programma, dopo la sperimentazione, è stato possibile proprio perché abbiamo chiesto alla Cassa, al ministro dell’epoca che era Tremonti, di modificare il proprio statuto per poter metter soldi in questo settore dell’edilizia. Questa missione della Cassa non solo non va toccata, ma va rafforzata. Quindi noi siamo tranquilli che la Cassa continuerà in questa sua azione e noi abbiamo dato il via libera ai cambiamenti con l’obiettivo di migliorare sempre più la Cassa.
A Torino, attesa festosa per il Papa. Fassino: evento importante per tutti
Torino si prepara ad accogliere, domani, Papa Francesco. La visita pastorale, in occasione dell’ostensione della Sindone e del Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco, si aprirà con l’Incontro con il mondo del lavoro, nella piazza antistante la Cattedrale. Il servizio del nostro inviato a Torino, Amedeo Lomonaco:
Torino, da due mesi animata da un flusso ininterrotto di pellegrini provenienti da tutto il mondo per visitare la Sindone, si prepara all’abbraccio con il Papa. Due giorni densi di incontri, a cominciare da quello domani mattina con il mondo del lavoro a pochi passi dal Duomo. Poi il Santo Padre, dopo la preghiera in cattedrale davanti alla Sindone, celebrerà la Santa Messa in Piazza Vittorio e reciterà l’Angelus. Il pranzo in arcivescovado con giovani detenuti del carcere minorile Ferrante, con alcuni immigrati, senza fissa dimora e una famiglia rom precederà nel pomeriggio la preghiera nel Santuario della Consolata, gli incontri con i salesiani e con gli ammalati e i disabili nella chiesa del Cottolengo. Il programma del primo giorno di visita si concluderà con l’incontro, in piazza Vittorio, dedicato ai giovani. Ieri sera, intanto, con la Santa Messa presieduta dall’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, si è aperto l’Happening dei giovani e degli oratori. Un'occasione gioiosa per accogliere la croce delle Giornate mondiali della Gioventù portata a Torino da una delegazione di Cracovia, dove nel 2016 si terrà la prossima Gmg. Una serata scandita da musiche e preghiere aspettando Francesco.
Sull’attesa di questa festa e su come Torino si è preparata ad accogliere il Papa, dà una testimonianza il sindaco della città, Piero Fassino, intervistato da Amedeo Lomonaco:
R. – La città comincia già ad essere piena di pellegrini, così come in questi due mesi abbiamo visto quanti pellegrini e fedeli sono accorsi a Torino per venerare la Sindone. Quindi, la visita del Papa viene al culmine di una forte attrazione della città sul fronte religioso; questo è anche l’anno del bicentenario di Don Bosco: un anno in cui l’identità religiosa e cristiana della città ha l’occasione di manifestarsi pienamente, e fa di Torino una grande città di fede.
D. – Una grande città di fede, ma anche una città che dimostra sempre la propria ospitalità, in particolare nei confronti dei migranti: a non molti chilometri da qui, a Ventimiglia, si è consumata purtroppo una ferita che ancora brucia per l’Italia, e Torino è un po’ un’eccezione da questo punto di vista…
R. – Sì, noi non abbiamo immigrati alle stazioni ferroviarie, e non perché non ci siano, ma perché abbiamo fatto una politica di accoglienza e di sostegno a questi profughi che stanno venendo anche nella nostra città, con il concorso di tutti i soggetti della società torinese: volontariato, terzo settore, parrocchie, organizzazioni sia laiche che religiose di assistenza… Credo che sia giusto: capisco, naturalmente, che un fenomeno così significativo dal punto di vista dei numeri possa suscitare paure, inquietudini e timori nella popolazione; ma i problemi non si risolvono denunciando le paure, si risolvono cercando di gestirle. E noi a Torino ci sforziamo di gestire il fenomeno dei profughi, quello dei rom - un altro fenomeno che investe tutte le grandi città, e anche la nostra - di gestire le tante criticità sociali che naturalmente la crisi ha enfatizzato. Lo possiamo fare perché siamo anche una città che ha nel suo Dna una grande esperienza d’integrazione: questa è una città che, tra il 1950 e il 1970, ha integrato oltre mezzo milione di italiani che venivano dal Sud o dal Veneto. Adesso siamo una città che, su un milione di abitanti, ha 150 mila cittadini di origine straniera, con un buon livello d’integrazione. Tutto questo, naturalmente, ci aiuta a gestire anche le emergenze.
D. – Ha parlato di immigrati, di persone senza fissa dimora, anche di una famiglia rom: settori della società che il Papa incontrerà durante questa visita. Cosa può rappresentare per Torino questa visita del Santo Padre?
R. – Rappresenta, intanto, un momento di riconoscimento di una storia e di un’identità della nostra città: Torino è la città dei "Santi sociali", di Don Bosco, di Frassati, di Cafasso, di Don Orione, del Cottolengo, di una città che ha nella sua cultura e nella sua identità quel solidarismo cattolico-cristiano che è cresciuto insieme alla città lungo tutto il Novecento, e anche oggi. E poi, il fatto che il Papa venga in questo momento a Torino è molto importante per rivolgere da qui un appello all’Italia e al mondo: a essere capaci di guardare a quelli che soffrono non con gli occhi dell’egoismo, ma con gli occhi dell’accoglienza, della solidarietà e della fraternità.
D. – A proposito di sofferenti: lei ha visto la Sindone, la testimonianza per eccellenza di chi ha sofferto sulla Croce. Cosa ha provato vedendo la Sindone?
R. – Io credo che quando si sosta di fronte a quel Sacro Lino tutti vivono un sentimento di emozione, di commozione, perché evoca una sofferenza drammatica e ci porta tutti a riflettere sulla necessità, con i nostri comportamenti individuali e collettivi, di ridurre le sofferenze del mondo.
Ostensione Sindone 2015: malati e disabili protagonisti
Farsi interrogare dal Volto della Sindone: questo il dono che hanno ricevuto i pellegrini che sono partiti per Torino in occasione dell’Ostensione 2015 - all’insegna del motto “L’amore più grande” - che sta per concludersi, il 24 giugno prossimo. Per tracciare un bilancio anche dell’organizzazione che ha coinvolto - in particolare - giovani e disabili, Fabio Colagrande ha intervistato don Roberto Gottardo, presidente della commissione diocesana per la Sindone e vicepresidente del Comitato ostensione 2015:
R. – In tema di bilanci mi viene da pensare soprattutto all’esperienza che hanno fatto le persone coinvolte. Da questo punto di vista è cominciata da lontano con i volontari e con l’organizzazione. E questo è stato già un grande aspetto positivo. Abbiamo visto migliaia di persone della Chiesa di Torino e della diocesi, della città più in generale possiamo dire, che hanno cominciato a dedicare più di un anno fa il loro tempo, le loro capacità per l’ostensione, così per voler offrire qualcosa di sé ai pellegrini che sarebbero venuti, per fare un servizio nel nome del Signore di accoglienza, di ospitalità. Quindi il primo bilancio, il primo aspetto è molto positivo. Poi, le persone che sono venute. Ho visto tantissime famiglie, tantissimi malati e disabili, moltissime persone commosse. Io spesso quando sono in cattedrale, contemplo e guardo la Sindone, mi lascio interrogare da quella figura, ma sempre mi giro anche e guardo un po’ i pellegrini che sono un altro volto di Cristo. Questi volti commossi, persone venute da lontano e quei volti m’interrogano, mi provocano tanto quanto il volto della Sindone: mi chiedo come mai sono lì, che cosa li ha attirati. Evidentemente è qualcosa di grande, è qualcosa di significativo per la loro vita. Tutto il resto, le varie fatiche, le problematiche tecniche che ben sappiamo ci sono in tutti questi eventi, passano in secondo piano. Quindi il mio bilancio non può essere che positivo.
D. – Un’ostensione che mons. Nosiglia, come custode pontificio della Sindone, ha voluto quest’anno dedicare in particolare ai malati, ai disabili e ai giovani, due categorie sociali che hanno davvero bisogno di speranza in questo momento. Da questo punto di vista quali considerazioni possiamo fare ora che siamo alle ultime giornate di ostensione?
R. – Queste due categorie sono state coinvolte fin da subito, non solo come fruitori dell’ostensione, ma anche soprattutto come protagonisti soggetti di questa ostensione. Hanno partecipato in vario modo, hanno portato il loro contributo: i giovani organizzando anche insieme ai salesiani di Don Bosco tutti i percorsi di accoglienza delle delegazioni giovanili delle altre diocesi d’Italia, fuori Italia e offrendo loro un servizio di guida e di accoglienza per tutti i luoghi di Don Bosco e per la Sindone e anche offrendo loro momenti di formazione, di preghiera, dedicati ai giovani che sono venuti in queste settimane, in questi mesi a Torino. Anche i malati e i disabili sono stati coinvolti, ad esempio nell’organizzare il percorso: si è chiesto fin da subito anche a loro di fare parte di coloro che avrebbero dato i loro suggerimenti per capire come potevano essere meglio accolti i pellegrini. Un altro aspetto molto bello che abbiamo potuto offrire è stata la Sindone per i non vedenti: anche questa accoglienza è stata realizzata da persone non vedenti grazie ad un plastico della Sindone realizzato già tempo fa in rilievo. Queste persone hanno fatto da guida ad altri pellegrini con lo stesso tipo di difficoltà: li hanno accolti, li hanno aiutati a leggere la Sindone, il rilievo della Sindone per dire come si sono coinvolte queste categorie, categorie di persone che sono venute in pellegrinaggio e da questo punto di vista hanno trovato sicuramente occasione di speranza. Il nostro arcivescovo ha scelto queste due categorie pur apparentemente così diverse - i giovani nel pieno della loro capacità e attività; i malati e disabili, invece, con situazioni di vita magari che attraversano momenti di fatica di difficoltà - eppure tutte e due sono unite da un elemento comune: per usare una parola cara a Papa Francesco purtroppo possiamo dire che ancora oggi sono entrambe una “periferia”. I giovani sono tanto blanditi dal mercato e dai mass media quanto emarginati dal punto di vista della significatività e dell’inclusione sociale nel mondo del lavoro. Sappiamo bene tutte queste difficoltà. Lo stesso il mondo della sofferenza della malattia, della disabilità, con le dovute differenze tra queste diverse tipologie che ho nominato: oggi la nostra società fa fatica a mettere anche loro al centro dell’attenzione, a farli essere protagonisti. Invece Papa Francesco ci dice che per comprendere non solo il mondo ma per conoscere Dio, bisogna guardarlo mettendosi dalla parte delle periferie, guardarlo da lì. Quindi queste presenze e questa indicazione forte che ha dato l’arcivescovo sono state per noi un aiuto.
D. – Questa Ostensione 2015, glielo chiedo proprio come presidente del comitato diocesano che cura la Sindone, che significato ha avuto in una Torino multietnica, multiculturale in cui però si sente forte la crisi sociale? Questa esposizione per diversi giorni del Sacro Lino, questo arrivo a Torino di persone dal resto d’Italia, che significato, che impulso spirituale può aver dato alla città secondo lei?
R. – Tutte queste persone sono mosse dallo stesso obiettivo: venire a contemplare, a guardare, a farsi guardare dall’uomo della Sindone e in qualche modo da quello sguardo che le rimanda al Signore Gesù. Tutti venuti qui con questo desiderio, attirati da quello sguardo, da quell’abbraccio, da quella sofferenza, da quella solidarietà che si intravede nella Sindone. Questo è un messaggio forte, perché ci dice che esiste qualcosa capace di unire le differenze. Lo abbiamo visto: tante persone diversissime tutte in cammino verso la stessa realtà; penso che questo sia il cammino dell’unità, che non é quello di azzerare le differenze ma è quello di individuare una meta comune e poi il resto sarà cammino, e ci vorrà il suo tempo. Ma lo stesso Papa Francesco nella sua prima Esortazione apostolica parlava appunto di mettere in atto processi, dare la priorità al tempo e non agli spazi. Questo l’abbiamo visto concretamente nell’ostensione.
L’incontro con gli ammalati e i disabili, sarà domani uno dei momenti centrali della visita di Papa Francesco a Torino. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con il direttore dell’ufficio pastorale della Salute dell’arcidiocesi, don Marco Brunetti:
R. – Uno dei momenti qualificanti della visita di Papa Francesco a Torino è in questo luogo che per tutta la città di Torino, per tutta la diocesi, un po’ anche il simbolo dell’attenzione verso i malati e i sofferenti. È il luogo di un grande Santo, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, ma anche di altri Santi che si sono ispirati alla sua carità verso i malati e le persone fragili.
D. – La Sindone è lo specchio della Passione di Gesù Cristo, è il resoconto di atroci sofferenze. Cosa significa per i malati poter vedere questo telo?
R. – Io ho visto in questi mesi, accompagnando molti malati disabili davanti alla Sindone che loro, nell’impatto e nel guardare questa immagine di Cristo impressa sulla Sindone, soprattutto si sono sentiti guardati. Si sono sentiti guardati dal Signore che porta i segni della passione e della sofferenza, ma in modo dignitoso. Quindi hanno trovato in questo sguardo del volto sindonico quella speranza e quella forza per saper affrontare il loro momento difficile che magari stanno attraversando, acquistando proprio un senso di speranza e di consolazione. Si sono lasciati guardare da questo volto del Cristo sofferente, intendendo che in tutti questi volti, anche dei sofferenti, c’è la presenza del Signore e del suo amore che è un amore grande.
D. - I sofferenti trovano forza, speranza, consolazione, ma cosa si impara incrociando il volto di chi ha sofferto sulla Croce con quelli di chi soffre oggi, spesso confinato in periferie esistenziali?
R. - Si impara come veramente tutto è dono; non c’è nulla di scontato: la vita, la salute sono una grande grazia che il Signore concede. Per cui da questi malati sofferenti, dalla Passione stessa di Cristo, si capisce come tutto ciò che noi riceviamo sia dono e grazia e quindi bisogna saperlo apprezzare e soprattutto essere veramente servitori della vita e della salute come il Signore lo è stato, essendo sempre molto attento accanto a chi è malato e a chi soffre.
D. - A proposito di vicinanza, di servizio e di attenzione, l’ostensione della Sindone riserva un’attenzione speciale alle persone più fragili. Due strutture in particolare garantiscono ospitalità e assistenza a malati e disabili…
R. - Sì, questa è un po’ la novità di questa ostensione della Sindone. L’arcivescovo ha voluto privilegiare la categoria dei malati e disabili, insieme a quella dei giovani, per cui abbiamo allestito questi due “Accueil”. In questi mesi abbiamo ospitato diversi gruppi di malati disabili di associazioni come l’Unitalsi, l’Oftal, l’Ordine di Malta. Ma la cosa che ci ha un po' impressionato è stato vedere anche tante singole famiglie con malati disabili che hanno chiesto di essere ospitate in questi "Accueil" per poter poi essere pellegrini e visitare la santa Sindone.
D. – Un modello di accoglienza per i malati che ricalca quello di Lourdes…
R. – Ci siamo proprio ispirati a Lourdes. Infatti li abbiamo chiamati così, alla francese, "Accueil", non tanto perché essendo piemontesi siamo vicini alla Francia, ma proprio perché volevamo lanciare questo messaggio - e mi pare che sia stato recepito - a tutte le associazioni che normalmente accompagnano malati e disabili pellegrini nelle varie parti del mondo, nei vari santuari, tra cui Lourdes forse è quello più conosciuto, che qui c’era la possibilità di avere luoghi analoghi. Luoghi quindi attrezzati, senza barriere architettoniche, con un’assistenza medico-infermieristica nelle 24 ore.
D. – E poi a malati e disabili è riservata anche una corsia prioritaria per la visita alla Sindone…
R. – Nel percorso normale di avvicinamento alla Sindone c’è un’assistenza da parte di volontari e una corsia privilegiata, però in modo speciale abbiamo dedicato loro il mercoledì pomeriggio che è stato molto utilizzato. Sono migliaia i malati che hanno approfittato del mercoledì pomeriggio, avendo così anche un ingresso facilitato con un percorso più ridotto e più agevole per malati e disabili - addirittura abbiamo attrezzato un varco per barellati o malati particolarmente gravi, ad esempio di Sla o di sclerosi multipla in stato avanzato, per potere essere accompagnati all’interno della cattedrale per venerare la Santa Sindone. Questo genere di malati gravi li abbiamo chiamati "i nostri vip".
D. – Per tutti e per questi "vip" la guarigione più importante è comunque quella interiore. La visita della Sindone può sicuramente favorire questa radicale trasformazione?
R. – Io credo di sì. La visita della Sindone è un modo, un mezzo con cui il Signore ci offre la possibilità di accogliere il dono della purificazione, della guarigione interiore e quindi che ci richiama a una salvezza che soprattutto è una salvezza di tipo spirituale. Incontrando e venerando la Santa Sindone, noi abbiamo questo grande segno dell’amore grande di Dio che è venuto per la salvezza: dalle sue piaghe siamo stati guariti.
Papa a Torino. Don Ramello: giovani toccati nel profondo dalla Sindone
Un’esperienza di Chiesa molto intensa per contemplare il mistero dell'amore più grande sul Volto della Sindone, assieme a Papa Francesco. Così don Luca Ramello, direttore della Pastorale giovanile della diocesi di Torino, definisce l’happening degli oratori e dei giovani in corso a Torino - in occasione della visita di domani del Pontefice - nell’intervista di Fabio Colagrande:
R. – “L’amore più grande” è il motto scelto dall’arcivescovo di Torino, mons. Nosiglia, per tutta l’ostensione ma a maggior ragione per questi giorni intensi di happening. È l’amore più grande contemplato sul Volto della Sindone, che ci richiama al Mistero della Passione del Salvatore, ma anche l’amore più grande è quello che si è espresso nel carisma di San Giovanni Bosco e dei tanti santi che a Torino possiamo trovare, incontrare nei loro luoghi. Non solo Don Bosco ma il Beato Piergiorgio Frassati, il Cottolengo, San Leonardo Murialdo.
D. - In queste quattro giornate momenti di incontro, confronto, preghiera ma anche momenti di festa…
R. – Esatto. Oggi le due catechesi e poi la grande veglia all’Area Vitali Parco Dora, una grande zona post industriale che è vicina all’Oratorio del Santo Volto e che diventerà l’oratorio più grande perché accoglierà 10 mila ragazzi. Ci sarà un momento di festa dalle 8.30 alle 21 e poi la grande veglia con l’arcivescovo, i vescovi del Piemonte, con una particolarità: siccome è una veglia che guarda al Mistero del Risorto e del Crocifisso risorto, ma guarda anche all’arrivo di Papa Francesco, questa veglia avrà come tema il Vangelo di Giovanni, capitolo 21. Dunque, per aiutare anche la preghiera, sarà portata in quest’area una barca autentica che viene dalla Liguria con coreografie e balli che riguardano le reti. Per cui sarà veramente un’esperienza di preghiera ma che vorrà utilizzare anche altri linguaggi.
D. – I giovani che rapporto hanno con la Sindone?
R. – È un rapporto misterioso come del resto quello di tutti i pellegrini. È misterioso perché quando io li osservo che passano davanti alla Sindone sembra che vivano esattamente quello che Papa Francesco in maniera geniale ha colto: non sono lì a guardare ma si lasciano guardare. E’ possibile concepire come siano quasi immobilizzati, catturati da quello sguardo che li scruta e in qualche modo dona il miracolo della pace. Spesso si vedono le lacrime, la commozione negli occhi di questi ragazzi. La Sindone rimanda a uno sguardo che viene da “Altro”, da un altro che è lo sguardo di Dio. E dunque i giovani quando sono toccati nel profondo, si fermano: questa esperienza del sostare fa ritrovare loro il gusto di essere autentici, perché in fondo nel cuore del giovane questo è un desiderio grande: l’autenticità. Quello sguardo richiama la verità della vita: chi siamo, dove andiamo, cosa stiamo facendo. Questa è l’esperienza che possiamo costatare nelle migliaia e migliaia di pellegrini che sono giunti in questi mesi e speriamo sia anche l’esperienza di questi giorni di happening.
Spadaro: Laudato si’, Enciclica “aperta” per il bene del pianeta
“Non possiamo considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita”. E’ uno dei passaggi dell’Enciclica “Laudato si’”, documento che pone in primo piano l’urgenza della promozione di un’ecologia integrale che comprenda le dimensioni umane e sociali. Alessandro Gisotti ne ha parlato con padre Antonio Spadaro, direttore di “Civiltà Cattolica”, rivista che - alla seconda Enciclica di Francesco - ha dedicato interamente il suo ultimo numero:
R. – Mi ha molto colpito la visione del mondo che il Papa propone: una visione globale, ampia, che sottolinea le varietà che ci sono tra gli esseri viventi, e anche le connessioni, le relazioni… Il mondo per Papa Francesco è un ambiente, non è un oggetto da trattare. Quindi, direi una visione molto positiva della realtà, esaminata anche nel suo dettaglio: parla degli insetti come parla degli atomi, ma tutto come una grande rete di relazioni; una visione pragmatica ma che sa anche essere molto poetica. Mi colpisce molto di questa Enciclica anche una visione del mondo che certamente è antropologica, ma non antropocentrica: cioè il ruolo dell’uomo non è quello di un dominatore, ma è quello di custode. Il Papa più volte fa appello a una conversione ecologica, cioè vuole che l’uomo scopra di essere custode di un dono prezioso. E questa non è una cosa opzionale, e non è nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana; dice chiaramente che la cura per l’ambiente è parte integrante della vita cristiana: non farlo è peccato.
D. – Cosa c’è di nuovo in questo documento che, sicuramente, si inserisce nel solco della tradizione della Dottrina Sociale della Chiesa, però evidentemente ci sono anche delle originalità…
R. – Forse la cosa più interessante, più notevole, è che la questione ambientale con questa Enciclica diventa parte integrante della Dottrina Sociale della Chiesa, diventa un capitolo della dottrina sociale. La questione quindi non è più da oggi l’interrogativo se i cattolici debbano affrontare questioni di ecologia in una prospettiva di fede, ma il problema è come farlo, non se farlo. In questo senso Papa Francesco propone quella che lui definisce una “rivoluzione culturale”. La paragonerei alla “Rerum Novarum” di Leone XIII: lì al centro c’era la questione operaia, qui l’ambiente.
D. – Come in Evangelii Gaudium sono tantissimi i documenti delle Conferenze episcopali citati: si può parlare di un’Enciclica con un’anima sinodale?
R. – Assolutamente sì! Direi un’anima collegiale, plurale, ma anche ecumenica e interreligiosa. Sono citate le Conferenze episcopali locali, quindi tutta la Chiesa partecipa a questo documento così importante del Pontificato: un documento "aperto" – potremmo dire quasi “open source”. Ma sappiamo che è anche ecumenico, perché il Papa cita il Patriarca Bartolomeo, come anche cita un mistico islamico, quindi c’è un ponte molto chiaro verso le altre religioni: il Papa fa appello a tutte le religioni perché si mobilitino.
D. – Si vede che Laudato si' è un documento che guarda ad un’ecologia integrale, ambientale, economica, sociale…
R. – Sì, la caratteristica di questa Enciclica è che è davvero ampia e profonda. La Laudato si' è un’Enciclica sociale, non solamente ecologica: inquadra infatti la vita dell’uomo sulla terra connettendo povertà e fragilità del pianeta. In questo senso compie un’opzione preferenziale per la "terra povera", ribadisce che bisogna vincere la cultura dello scarto a favore di una cultura della cura. Quindi, in realtà, è un’Enciclica globale che affronta la vita dell’uomo sulla Terra.
D. – A settembre Francesco parlerà alle Nazioni Unite a New York, all’Assemblea Generale. Questa Enciclica in qualche modo anticipa e amplifica anche l’importanza di questo atteso evento…
R. – Il Papa vede un mondo interdipendente e questo legame ci obbliga a pensare a un solo mondo, un solo progetto comune, proponendo soluzioni a partire non da una prospettiva piccola e locale, ma da una prospettiva globale. Per il Papa i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non sono stati sufficienti, non hanno risposto – lo dice con chiarezza nell'Enciclica – alle aspettative per una mancanza di decisione politica. Quindi servono forme, strumenti efficaci di governance globale per trattare i problemi comuni. Certamente il Papa ha molta materia di cui trattare nel Palazzo di Vetro.
Altre udienze e nomine di Papa Francesco
Il Papa ha ricevuto oggi in successive udienze il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; il Signor Joaquín Mbana Nchama, ambasciatore della Guinea Equatoriale in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali e mons. Jorge Pedro Carrión Pavlich, vescovo di Puno (Perú)
In Messico, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Chilpancingo-Chilapa, presentata da mons. Alejo Zavala Castro, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha nominato vescovo di Chilpancingo-Chilapa mons. Salvador Rangel Mendoza, O.F.M., finora vescovo di Huejutla.
In Libano, il Papa ha concesso il Suo Assenso all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale Maronita, riunitosi dal 10 al 14 marzo 2015, del rev.do padre abate Hanna Rahmé, O.L.M., finora Protosincello dell’Eparchia di Baalbek - Deir El-Ahmar, a vescovo eparchiale della stessa.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
L’uomo al centro dello sviluppo: il Papa torna a denunciare la piaga sociale della disoccupazione.
Attualità di un sistema educativo: intervista di Nicola Gori al rettor maggiore dei salesiani di don Bosco.
Piero Viotto sulla lettera ritrovata: un testo inedito di Maritain a Montini.
Il capolavoro di Guccio: Antonio Paolucci su Papa Nicolò IV e l’oreficeria.
Per una giustizia diversa: Luigi Eusebi sulla questione penale.
Gabriele Nicolò su Baudelaire e il labor limae.
Giornata Mondiale Rifugiato: metà delle vittime sono bambini
Sono milioni le persone che lasciano le loro case, i loro Paesi, ma anche le loro famiglie, per fuggire da guerra e violenza. A tutti loro, è dedicata oggi la Giornata Mondiale del Rifugiato. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Una persona su 122 è un rifugiato, uno sfollato o un richiedente asilo. Il numero globale di questo tragico esodo forzato l’ha denunciato solo pochi giorni fa l’Acnur: sono 60 milioni i rifugiati nel mondo, una cifra spaventosa, così come spaventoso è l’incremento in un anno, più di otto milioni. Un aumento mai registrato prima e che tocca praticamente tutte le regioni del pianeta, sconvolto negli ultimi cinque anni dallo scoppio o dal riaccendersi di almeno 15 conflitti. Il 2014 ha segnato anche un altro drammatico record in 31 anni, il numero più basso di persone che hanno potuto fare rientro nei loro Paesi. Non si alzino i muri, chi respinge chieda perdono: è stata l’invocazione recente di Papa Francesco, ma il nostro mondo ha perso la sua anima, e respinge o abbandona, su scogli o binari ferroviari, esseri umani in fuga da violenza, povertà, fame. Più della metà dei rifugiati sono bambini. Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save The Children Italia:
“Sempre di più, nelle aree di conflitto, si produce una tragedia nella tragedia: quella dei bambini e delle bambine, prime vittime di queste situazioni. Spesso, nei momenti di conflitto e di guerra, vengano separati dalle loro famiglie o comunque diventano particolarmente vulnerabili per ogni tipo di sfruttamento. Allo stesso tempo a volte vengono addirittura coinvolti nei conflitti armati, i bambini soldato vengono arruolati producendo delle conseguenze assolutamente devastanti anche per il futuro di questi bambini una volta diventati adulti. Devo dire che, di fronte a questa immensa tragedia, la Comunità internazionale dovrebbe essere più pronta a dimostrare concretamente solidarietà e volontà di accoglienza nei confronti dei profughi e dei rifugiati. E’ un diritto universale quello di trovare asilo quando si deve fuggire dalla propria terra e da questo punto di vista, purtroppo, c’è molto da fare sia per le crisi più note, sia anche per quelle più dimenticate, quelle croniche o quelle che si riaccendono. Penso ultimamente, per esempio, al Burundi. Abbiamo davvero scenari di guerra che colpiscono una grande parte del nostro mondo e troppo spesso la parte non colpita da questi scenari non è sufficientemente attenta e pronta ad assumere una responsabilità nei confronti di tantissime famiglie che vivono in fuga e che devono quindi cercare di ricostruire altrove il loro futuro”.
Oggi è la Siria la peggiore emergenza umanitaria, oltre 11 milioni tra profughi e sfollati interni, a renderli visibili è il documentario District Zero prodotto dalla Commissione Europea e da Oxfam, e che verrà presentato in anteprima assoluta a settembre all'Expo di Milano. Una storia tra i rifugiati intrappolati a Zaatari, campo profughi in Giordania, il secondo al mondo per grandezza dopo quello di Dadaab in Kenya. Attraverso la storia di Maamu, che nel campo ripara i telefonini di altri profughi come lui, si riscopre anche la vita di una Siria ormai dimenticata. Oxfam opera a Zaatari da molti anni. Alessandro Bechini è il direttore Programma Italia Oxfam:
R. – La Siria oggi è un Paese profondamente dilaniato, dove il conflitto che si protrae da quattro anni ha assunto elementi di cronicizzazione che ovviamente vanno a scaricarsi in maniera importante sulle popolazioni civili che hanno, appunto, la necessità poi di spostarsi e di fuggire sia internamente sia verso l’estero.
D. – Che cos’è la vita di un rifugiato in un campo come quello di Zaatari?
R. – E’ la vita di una persona che ha perso le proprie coordinate della vita, e quindi tutto quello che riusciva ad essere e a fare improvvisamente viene a mancare. Quindi, intanto c’è un profondo senso di spaesamento. C’è ovviamente una grande attesa del “domani”. La cosa che abbiamo sottolineato in questo documentario è soprattutto anche la grande voglia delle persone di ricominciare, di ricominciare a svolgere piccole attività anche all’interno del campo, a riproporre un’idea di vita che sia un’idea concreta e non soltanto questa perenne attesa del domani. Dalla Siria sono fuggiti verso l’estero tantissimi professionisti: medici, avvocati, ingegneri. Abbiamo la percezione sempre di queste popolazioni in fuga con una visione di una certa povertà ed è vero nella grandissima maggioranza dei casi. Però, dalla Siria è scappata anche la classe media che esisteva prima e che è stata completamente annientata da questa guerra. Davvero loro possono diventare una risorsa per i Paesi che li ospitano, perché hanno competenze e conoscenze che possono essere messe al servizio anche dei nuovi Paesi che possono accoglierli.
Mali: attesa la firma dell'accordo tra governo e tuareg
È in programma per oggi a Bamako la firma dell’accordo di pace tra governo del Mali e Coordinamento dei movimenti dell’Azawad, che raggruppa le formazioni armate del nord, a maggioranza tuareg. Nel maggio scorso le autorità maliane avevano siglato l’intesa ma i ribelli avevano chiesto ulteriori garanzie per l’Azawad. Con la mediazione dell’Algeria si è giunti ad un nuovo testo per la riconciliazione. In segno di distensione, i gruppi pro-Bamako si sono ritirati da Menaka, località settentrionale che le milizie filogovernative avevano conquistato a fine aprile, strappandola al controllo dei ribelli del Movimento nazionale di liberazione dell'Azawad. Sull’accordo in Mali ascoltiamo Marco Di Liddo, studioso dell’area e analista del Centro Studi Internazionali, intervistato da Giada Aquilino:
R. – Come la storia del Mali e delle insurrezioni tuareg insegnano, questo accordo può essere tutto e può essere niente. In passato - negli anni Sessanta, Ottanta, Duemila - ogni qualvolta ci sia stata una rivolta tuareg il governo e queste componenti tribali sono riuscite a trovare un accordo, che però è poi risultato nel tempo molto fragile, perché mancava di contenuti politici, perché non era applicato nelle sue direttive sociali, economiche e di tutela dei diritti delle minoranze, rappresentando solo una sorta di esteso cessate-il-fuoco. Anche in questo caso l’accordo mantiene tutti questi dubbi. Quindi c’è il rischio che rappresenti una prolungata cessazione delle ostilità militari, ma che - a livello politico - esponga invece il fianco a molte vulnerabilità. Senza l’applicazione di un piano di integrazione, di riforma e di espansione dei diritti civili, politici ed economici presso la comunità tuareg, c’è il rischio che nel giro di qualche anno si torni alla situazione che ha fatto scoppiare la guerra nel 2012.
D. – Di fatto, poi, quali sono le rivendicazioni dei tuareg?
R. – Innanzi tutto di tipo culturale ed identitario. I tuareg vogliono essere riconosciuti come una comunità paritaria rispetto alle altre comunità etniche che si trovano in Mali. Da questo punto ne deriva poi uno politico, che è quello di una maggiore partecipazione alla vita pubblica e quindi al meccanismo decisionale all’interno del governo di Bamako. In questo senso, i tuareg maliani vedono con interesse l’esempio del Niger, in cui i tuareg nigerini sono riusciti - dopo l’insurrezione del 2007-2009 - a creare un equilibrio e ad ottenere una sorta di autogoverno locale nelle regioni del nord, dove rappresentano la maggioranza. E poi ci sono – ovviamente – le condizioni economiche: i tuareg chiedono che vengano tutelate le loro prerogative che attengono al diritto su determinate terre per quanto riguarda il pascolo o il diritto di passaggio senza tassazioni in determinati punti del Paese.
D. – Il Mali vive dunque una profonda crisi politico-militare dal 2012. Quali fattori interni ed esterni hanno poi contributo a questa instabilità?
R. – I fattori interni sono un contesto economico molto fragile e una conseguente difficoltà di relazione tra la popolazione tuareg, le tribù del nord, e le popolazioni del sud. In questo fattore di tensione è stato abilissimo il panorama jihadista nordafricano ad inserirsi e quindi a convincere le tribù tuareg che fosse molto più proficuo accogliere una agenda di tipo jihadista che continuare con le negoziazioni con Bamako e con il resto della comunità internazionale. E ancora oggi questa è la partita fondamentale per il governo di Bamako e per le Nazioni Unite: cercare cioè di riportare i tuareg ad un tavolo negoziale, sottraendoli così alle seduzioni pericolose del panorama terroristico e jihadistico nordafricano.
Sud Sudan: a rischio fame oltre 4 milioni di persone
Nel Sud Sudan la pace è ancora lontana e la fame un rischio reale per milioni di persone. Particolarmente difficile la situazione negli Stati di Upper Nile e Unity dove i combattimenti tra i sostenitori del Presidente Salva Kiir e quelli del suo ex vice Riek Machar, sono ripresi da settimane con il conseguente abbandono del lavoro dei campi. Secondo l’ONU circa 4 milioni e 600 mila persone hanno urgente bisogno di aiuti alimentari, mentre molte organizzazioni umanitarie hanno lasciato il Paese per mancanza di sicurezza. Inoltre l'Unicef ha denunciato che migliaia di bambini sono stati sottoposti a torture, castrazioni e stupri, prima di essere sgozzati dalle milizie che si combattono in una guerra civile che va avanti da un anno e mezzo. Sulla drammatica situazione nel Paese africano, Adriana Masotti ha raggiunto telefonicamente in Sud Sudan il missionario comboniano padre Daniele Moschetti:
R. – In effetti è vero: 4 milioni e 600 mila è un picco massimo che non si è mai verificato nemmeno nei 20 anni di guerra dal 1983 al 2005. E’ logico che queste persone, questi 4 milioni sono a rischio di fame e di malattie e di tutto il resto perché portano le conseguenze di non aver potuto coltivare le loro terre, di avere almeno una sussistenza da quella che avrebbe potuto essere l’agricoltura. Quindi, se le organizzazioni umanitarie fanno fatica ad arrivare non solo nelle zone dove c’è la guerra, ma anche in altre zone perché non c’è sicurezza, praticamente questa gente rischia di morire. In questo momento, i fondi vengono investiti soprattutto nelle armi, nell’esercito. Ora poi c’è la stagione delle piogge, che è già iniziata a maggio e durerà fino a novembre, dunque quelle zone diventano molto paludose e quindi è difficile muovere i mezzi; e questo aumenta ancora di più il rischio malattie, della malaria e di tante altre malattie.
D. – Anche le organizzazioni umanitarie sono dovute andare via a causa della guerra; recentemente è stato espulso il coordinatore dell’Onu per l’assistenza umanitaria …
R. – Sì: Toby Lanzer è stato mandato via due settimane fa dal governo direttamente con la motivazione che si era espresso contro la situazione che il governo stava portando avanti. Quì se si dice la verità si rischia di essere mandati via. Così non si può lavorare bene, la situazione del Sud Sudan di oggi è difficilissima, con questa pressione governativa che mette paura, con sempre il sospetto che le Nazioni Unite sostengano una parte piuttosto che un’altra …
D. – Il 9 luglio dovrebbe entrare in carica un governo di unità nazionale. E’ realistica questa data?
R. – No … No, no. Questo avrebbe dovuto essere, ma è difficile; secondo me, l'idea è rimasta sulla carta perché siamo lontanissimi da questa ipotesi di un governo di unità. Qui c’è tanto bisogno di dialogo tra le due parti e di arrivare a mettere davanti a tutti il bene della gente.
D. – Anche i colloqui di pace non riescono ad andare avanti …
R. – Sì. Purtroppo, mentre andavano avanti ormai da un anno e mezzo, sono collassati nel marzo scorso dopo avere speso milioni – più di 20 milioni di dollari – solamente per il dialogo … Adesso si stanno tentando altre vie, però la comunità internazionale sembra essersi accorta che forse è bene che il dialogo più importante lo facciano le Chiese, la Chiesa cattolica con le Chiese. Perché le Chiese sono molto capillari in giro per il Sud Sudan, cosa che non è il governo. Quindi, se si vuole puntare alla realtà delle comunità di base, bisogna cercare di coinvolgere le Chiese come è stato fatto nel periodo del referendum per la secessione e anche delle elezioni del 2010. Oggi la comunità internazionale, vedendo che non c’è dialogo a livello politico e militare con questi due gruppi, sta tentando questa carta delle Chiese per riuscire a mettere in piedi un programma e un cammino di presa di coscienza, e soprattutto per arrivare a una pace che parte dalla gente e non solo dai politici e dai militari.
Migliaia di famiglie a Roma per dire no all'ideologia gender
Promuovere il diritto del bambino a crescere con mamma e papà e fermare la diffusione dell’ideologia gender nelle scuole. Questi i temi della manifestazione “Difendiamo i nostri figli” in programma oggi pomeriggio in Piazza S.Giovanni a Roma. Arrivate già decine di migliaia di famiglie da tutta Italia per difendere la famiglia naturale composta da un uomo e una donna. Il servizio di Michele Raviart:
“Mamma e Papà aiuto”. “No al gender nelle scuole”. I primi striscioni cominciano ad apparire in piazza S.Giovanni, dove è in corso la manifestazione “Difendiamo i nostri figli”. Una protesta nata dal basso e dalle testimonianze di molti genitori, che hanno denunciato l’introduzione dell’ideologia gender a scuola, attraverso quelli che avrebbero dovute essere seminari contro il bullismo e l’intolleranza. La cosiddetta “ideologia gender” parte dal presupposto dell’indifferenza tra l’identità maschile e femminile, concepite più come categorie culturali che biologiche.
Nel corso dell'incontro saranno lette le parole che Papa Francesco ha pronunciato lo scorso 14 giugno, quando da S.Pietro ha denunciato “le colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia”. Saliranno sul palco genitori, scienziati e attivisti, che discuteranno anche i punti controversi del “ddl Cirinnà ”sulle unioni civili”, in particolare sull’adozione per le coppie omosessuali e sulla legittimazione dell’”utero in affitto. Chiuderanno il pomeriggio un intervento di Kiko Arguello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale e del neuropsichiatra Massimo Gandolfini di “Scienza e vita”, tra i promotori della giornata. Parteciperanno anche esponenti dei cristiani evangelici e dell’islam sunnita, mentre la comunità ortodossa e il rabbino capo di Roma invieranno una lettera di solidarietà.
Al rientro da scuola la domanda di un bambino insospettisce una mamma. Interpellati gli insegnanti la donna scopre che nella scuola elementare di Lavinio frequentata dal figlio è in corso un ciclo di lezioni di educazione all’affettività e lotta al bullismo affidato ad organizzazioni omosessualiste Lgbt. Immediata la segnalazione all’associazione “Non si tocca la famiglia” di cui è membro del comitato scientifico lo psicologo Mariano Bonanni. Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. – Siamo venuti a conoscenza del fatto che, all’insaputa dei genitori, vengono fatto dei corsi “gender” nelle scuole, con la scusa della lotta alla discriminazione omofobica, che insegna ai bambini – anche in tenera età – che si può scegliere il sesso, che essere maschio e femmina non è una legge della natura ma una scelta che si può fare anche in tenera età.
D. – Le famiglie sapevano che nella scuola si stava svolgendo un corso per debellare il bullismo, ma non sapevano come questo corso fosse articolato …
R. – Esatto: questo era un po’ lo specchietto per le allodole. Sono corsi il cui scopo è la lotta alla discriminazione, quando in realtà si parla d’altro. Ripeto, si tenta di instaurare questa ideologia, che è l’ideologia “gender”, un’ideologia che viene da lontano – noi lo sappiamo – e che cerca di far sì che i bambini possano non sentirsi maschio e femmina, secondo quello che è la natura, ma possano scegliere il proprio sesso, favoriti anche da alcuni filmati che vengono loro proposti.
D. – Allora: i genitori non erano stati informati. Quindi, come sono riusciti a capire quello che stava succedendo?
R. – Da alcune domande, no? Nel caso specifico, un bambino alla fine della giornata aveva chiesto alla mamma se fosse vero che, pur essendo maschio, potesse scegliere di essere una femmina …
D. – Quindi ha chiesto se fosse possibile scegliere se essere maschio o femmina?
R. – Esatto. E questo bambino è stato fortunato perché ha avuto una risposta immediata, pronta da parte dei genitori che hanno risposto al bambino che lui era stato concepito, pensato così fin dal concepimento e così il bambino ha potuto incanalare il suo dubbio verso una sfera positiva. Ci sono bambini meno fortunati, ad esempio quando la famiglia è assente o magari impegnata su altri fronti, che rimangono con questo dubbio per molti anni.
D. – Quali sono gli effetti che può produrre un intervento di questo tipo?
R. – Per il singolo ragazzo, il singolo bambino, questa è una confusione che può portarsi per tutta la vita. Ogni bambino ha bisogno di un’identità. L’identità si ha conoscendo la propria radice, conoscendo i propri genitori.
D. – Quindi, anziché contrastare la discriminazione delle persone omosessuali, fronte sul quale tutti devono essere impegnati, immagino anche i genitori che hanno poi protestato fossero dell’idea che sia giusto contrastare il bullismo omofobico, questi progetti rischiano di causare danni più gravi nello sviluppo dei bambini …
R. – Esattamente. E’ proprio così. Nessuno è contro gli omosessuali. Non è abolendo le differenze che si porta poi all’uguaglianza. Qui, invece, per portare dei diritti, si sta togliendo la differenza. Invece, si possono avere dei diritti nella differenza: abbiamo visto come in questo secolo, nei secoli scorsi tutte le utopie egualitarie sono fallite. Quindi non vedo perché adesso bisogna per forza introdurre un’altra ideologia, che è quella così dannosa del “gender”. Non c’è nessuna evidenza scientifica che non avere diversità in una famiglia possa essere un vantaggio, per questi figli.
D. – Cioè, lei sta dicendo che questi corsi che vengono introdotti sotto il cappello della lotta al bullismo omofobico, introducono nozioni che non hanno un fondamento scientifico?
R. – Noi sappiamo che il lavoro scientifico va fatto in un certo modo. Le associazioni che hanno proposto questi corsi hanno portato sempre lavori scientifici che non hanno una valenza importante.
Greenaccord: custodire le risorse naturali, no allo spreco di cibo
Custodire le risorse naturali in modo virtuoso è anche strettamente legato al cibo, a come viene prodotto distribuito e conservato. E’ questo il tema su cui si sono soffermati i partecipanti al Forum dell’informazione cattolica, che si sta svolgendo all’Aquila, promosso dall’ associazione onlus Greenaccord. E se da una parte la crisi ha cambiato le abitudini sulle tavole degli italiani, incidendo a volte anche negativamente sulla loro salute, dall’altra si comincia a fare sempre una maggiore attenzione sulla provenienza dei prodotti. Marina Tomarro ha intervistato a questo proposito Giancarlo Belluzzi, esperto di analisi del rischio in sicurezza alimentare:
R. – Ogni prodotto messo in commercio ha una sua traccia, un suo marchio da cui è possibile risalire alla materia prima con la quale è stato ottenuto. Ci sono delle filiere che sono completamente tracciate, dall’inizio alla fine. Qualche filiera non ci riesce ancora, ma si sta attrezzando: ad esempio la filiera del pomodoro, che sta utilizzando il drone per fotografare il prodotto durante la raccolta, per poi farne una traccia dentro lo stabilimento. Per cui, se il consumatore vuole, può sapere esattamente da quale campo proviene quel pomodoro o quella passata.
D. – Ma le date di scadenza sui cibi quanto sono veritiere? E quando invece provocano lo spreco degli alimenti?
R. – La data di scadenza è espressa in due modi: c’è una data perentoria e una invece consigliata. È chiaro che quella perentoria è una data che tiene conto della pericolosità del cibo, qualora dovesse essere superata. L’altra invece - quella che dice “preferibilmente entro” - è una data consigliata. Prima di questa data, ma anche non appena superata, il prodotto può essere riutilizzato dopo aver verificato che questo non emani cattivo odore, non abbia un sapore strano o non sia visibilmente alterato. È su questo spreco che è giocata la partita del riutilizzo del cibo. In maniera molto positiva, il Ministero della salute ha validato il primo manuale per la conservazione di questo cibo ritirato dallo scaffale, pur conservando ancora tutte le caratteristiche di bontà; questo può essere utilizzato invece per coloro che di cibo hanno veramente bisogno. Noi europei, oggi, buttiamo oltre 100 milioni di tonnellate di cibo, e, complessivamente nel mondo, se ne buttano un miliardo e 300 milioni. Una quantità di questo genere sfamerebbe per quattro volte gli 800 e più milioni di persone che sono sottoalimentate.
D. – Quanto sono dannosi per l’uomo i microrganismi che attaccano il cibo?
R. – I microrganismi sono degli organismi che popolano il globo e quindi sono presenti un po’ ovunque: alcuni ceppi assumono una particolare gravità, ma non tutti sono pericolosi. Quindi bisogna fare molta attenzione: non va sterilizzato il cibo “tout court” - perché è chiaro che poi perde in termini di qualità, e di sapore soprattutto - ma certamente è necessario usare criteri di igiene. A tal proposito, vi sono delle indicazioni ben precise anche riguardo alla conservazione nel frigorifero di casa o ancora alla manipolazione durante la preparazione del cibo.
Volontariato in ambito sanitario: pubblicato libro con linee guida
L’importanza del volontariato in ambito sanitario e in particolare con i malati di Alzheimer e quelli terminali. Se n’è discusso in questi giorni in un convegno organizzato dalla Fondazione Ozanam-San Vincenzo de Paoli, presso la facoltà di Medicina dell’Università "La Sapienza" di Roma, con la presentazione di un volume e di una piattaforma informatica dedicata a volontari e familiari di pazienti cronici. Il libro, dal titolo "Solidarietà sociale e salute: ruolo del volontariato", è stato curato dal prof. Francesco Marigliano, dal prof. Angelo Serio e dal dottor Daniele Sadun. Il servizio di Elvira Ragosta:
In Italia, secondo i dati Istat, su 60 milioni di abitanti il 40 per cento ha 65 anni e più e sono sempre più diffusi i casi di malattie croniche e disabilità. In ambito europeo, la previsione è che entro il 2020 la popolazione anziana sarà superiore a quella che il sistema sanitario potrà sostenere. Per questo il ruolo del volontariato in ambito sanitario diventa sempre più importante e richiede un’adeguata preparazione. Il volume edito dalla Fondazione Ozanam-San Vincenzo de Paoli, raccoglie una serie di linee guida per l’assistenza ai pazienti affetti da malattie croniche e disabilità fisiche e psichiche. Un capitolo dedicato all’assistenza ai malati terminali e a quelli affetti da Alzheimer è curato dal prof. Francesco Marigliano, che sottolinea l’importanza della preparazione tecnica dei volontari:
“Noi riteniamo che il malato di Alzheimer sia una persona ormai del tutto esclusa dal mondo. In realtà, no! Lui ha una maniera diversa di comunicare: è come un prigioniero in un sottomarino, messo sottacqua, che non può risalire. Lui sa che dall’altra parte qualcuno c’è, però il mezzo di comunicazione è diverso. Si cerca di imporre il proprio alfabeto e la propria lingua ad un malato di Alzheimer, ma siamo noi che dobbiamo imparare la sua lingua; così come abbiamo imparato la lingua dei bambini appena nati, che non sapevano parlare: noi sapevamo comprendere loro e loro comprendevano noi. Allora noi dobbiamo insegnare questo”.
Sollecitare e promuovere un volontariato che non sia alternativo ma complementare ai servizi sociali e alla famiglia è l’auspicio di mons. Alessandro Plotti, vescovo emerito di Pisa e assistente ecclesiastico della Fondazione:
“Pe noi cattolici il volontariato deve essere una vocazione. Si parla molto oggi di volontariato, ma c’è molto volontariato che realtà volontariato non è, perché è retribuito. Il Terzo Settore è un grande alveare di iniziative, però molte cose sono discutibili… Allora credo che sia importante richiamare l’attenzione delle comunità cristiane e dei singoli cristiani a dedicare qualche energia in più per compiere questo servizio che deve essere una specie di vocazione, perché altrimenti poi non dura: molte persone anche spesso i giovani sono presi da questo entusiasmo, però poi lasciano un po’ correre… Un volontariato generico non serve ad un granché! Credo che sia importante richiamare l’attenzione degli operatori pastorali su questo tema, perché c’è molto da fare!”.
Oltre alle linee guida per i volontari illustrate nel volume, è in preparazione anche una Piattaforma informatica di supporto e collegamento per volontari e familiari dei pazienti. Il presidente della Fondazione Ozanam, Giuseppe Chinnici:
“E’ una Piattaforma interattiva, che abbiamo studiato con i nostri consiglieri e con i nostri esperti del comitato scientifico, che consentirà a chiunque – dalle Alpi alla Sicilia – di collegarsi con noi per le difficoltà che hanno e chiedere consigli ed aiuti. E’ un servizio che viene garantito tutti i giorni dell’anno ed è in termini di assoluto volontariato, assoluta disponibilità”.
Partendo dalla classificazione internazionale sulla disabilità redatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il prof. Angelo Serìo, coautore del libro, ha sviluppato un capitolo relativo alla formazione dei volontari rivolta all’individuazione delle capacità residue dei pazienti:
“Molte volte, in questi casi, si determina una specie di scoraggiamento, perché il malato pensa di non essere in grado di far niente. Allora il volontario può, in questo modo, cercare di invogliare il malato a utilizzare le sue capacità residue. Questa classificazione consente soprattutto di evitare che queste persone siano completamente dipendenti dalla società, dalla famiglia e dai caregivers e che quindi siano di peso e basta”.
Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
Nella dodicesima Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, sulla barca con i discepoli, placa il mare in tempesta. E i discepoli esclamano:
«Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti:
Il Vangelo di oggi ci coglie sulla barca insieme a Gesù ed ai suoi discepoli, sul mare di Galilea, in mezzo ad una grande tempesta di vento. La barca si sta riempiendo di acqua e Gesù, a poppa, su un cuscino, dorme, come se nulla fosse! I discepoli, intimoriti e increduli di quanto stanno vedendo, lo svegliano agitati, dicendo: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”. Il Vangelo nota: “Si destò, minacciò il vento e disse al mare: ‘Taci, calmati!’. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia”. Nuova e più densa è ora la meraviglia dei discepoli. Gesù li guarda e vede e sente la domanda nei loro occhi: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?". Commenta il padre Cantalamessa: “Questo messaggio di fiducia non ha perso nulla della sua forza consolatrice e risuona anche per la Chiesa d'oggi come un invito alla speranza. La Chiesa è sbattuta dal vento della contraddizione e della prova; i flutti del mare si riversano, al di sopra delle sponde, fin dentro la barca (ci sono discussioni e contese anche dentro la Chiesa), dando a qualcuno il brivido del naufragio imminente. Ma il Maestro dice anche a noi: ‘Perché siete cosi paurosi? Non avete ancora fede?’. Lui è dentro la stessa barca; porta la barca della Chiesa ed è portato da essa. E lui non può perire”. Sì, si tratta davvero di passare all’altra riva con il Signore: è tempo di uscire dalle nostre incredulità, dai nostri dubbi e di passare alla riva della fede!
Card. Versaldi: nessuna intenzione di mentire al Papa sull'Idi
In risposta alle notizie che riguardano la sua persona nel contesto dell’operazione di salvataggio dell’Ospedale Idi a Roma, il card. Giuseppe Versaldi ieri sera ha inviato alle agenzie di stampa una nota per la corretta interpretazione di una sua telefonata intercettata e pubblicata. Ecco quanto scrive:
Necessario contestualizzare la telefonata
"La telefonata va collocata nel tempo e nel contesto in cui è avvenuta, cioè all’inizio delle ipotesi di proposte di salvataggio dell’Ospedale, quando ancora imprecisate erano le possibili vie tecniche da seguire. Gli incontri tecnici precedenti l’incontro con il Papa erano serviti a fare alcune ipotesi ed il mio mandato era sempre di seguire tutte le vie in accordo con le leggi vaticane ed italiane. L’incontro con il Santo Padre era finalizzato ad ottenere l’approvazione generale a proseguire su questa linea di salvataggio per arrivare successivamente ad una approvazione circa la soluzione individuata".
Successivamente è stata trovata una soluzione
"In questo contesto il mio invito a non entrare nei dettagli tecnici (ancora in discussione) non aveva nessuna intenzione di “mentire” al Papa - afferma il card. Versaldi - ma semplicemente di tacere di ciò che ancora non era chiaro neppure ai tecnici. Successivamente sono cadute tutte le ipotesi e si è giunti alla soluzione che di fatto è stata trovata, proposta ed approvata anche dai Commissari governativi e che, come da atto pubblico documentato (a cui rimando le persone che cercano giustamente la verità nella trasparenza), è consistita in un prestito di 50 milioni di euro erogato dall’Apsa, dopo il consenso avuto dal Santo Padre in una udienza successiva a quella a cui si riferisce la telefonata".
Il salvataggio di 1.334 posti di lavoro
"Infine tengo a riportare il discorso alla sua sostanza e cioè all’avvenuto salvataggio di 1.334 posti di lavoro che altrimenti erano a forte rischio con la perdita di strutture sanitarie di eccellenza. E ciò è avvenuto - conclude i porporato - grazie alla collaborazione pubblica e trasparente di molti e anche del Governo italiano tramite le sue competenti istituzioni che ringrazio". (A.M.)
Vescovi Terra Santa: dura condanna atto vandalico a chiesa di Tabgha
Con un comunicato diffuso sui media ufficiali del patriarcato latino di Gerusalemme, l'Assemblea dei vescovi cattolici di Terra Santa ha espresso una dura condanna dell'attentato incendiario compiuto contro il santuario del miracolo della Moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabgha, che ha provocato anche il ricovero in ospedale di un monaco benedettino e di una volontaria tedesca, intossicati dal fumo. “Si tratta ancora una volta” scrivono i vescovi cattolici di Terra Santa “di un atto violento compiuto da individui intolleranti e senza scrupoli che danneggiano l’immagine della Terra Santa, offendendo i cristiani del Paese e la Chiesa cattolica nel suo insieme. Essi arrecano danno anche all’idea di uno Stato che si definisce democratico, tollerante e sicuro”.
Terzo attacco intimidatorio contro la comunità benedettina di Terra Santa
Nell'aprile dello scorso anno, sempre a Tabgha - riferisce l'agenzia Fides - giovani ebrei estremisti avevano lanciato pietre contro due croci e un altare esterno, mentre nell’Abbazia benedettina del Monte Sion, a due passi dal Cenacolo, il 26 maggio 2014, pochi minuti dopo la partenza di Papa Francesco, era stato appiccato un incendio. “Gli stessi monaci benedettini del Monte Sion” riferiscono i vescovi cattolici di Terra Santa nel loro comunicato “sono spesso oggetto di atti di disprezzo e di violenza”.
Nessuna sanzione per altri attacchi a moschee e luoghi cristiani
Nel comunicato si sottolinea che il nuovo gesto criminale “nuoce gravemente alla coesistenza delle comunità religiose del Paese”, e si ripete ancora una volta che “l’educazione dei giovani nelle scuole religiose deve essere orientata a favore della tolleranza e della coesistenza”. Inoltre, nel ringraziare i politici che hanno condannato l'atto intimidatorio, si prende atto che “in questi ultimi mesi, altri attacchi sono stati compiuti a danno di moschee o di luoghi cristiani, senza che questo abbia avuto una sanzione”.
Condanna dall'ambasciata d'Israele presso la Santa Sede
Dopo l'attentato incendiario contro la chiesa della Moltiplicazione dei pani e dei pesci, una pronta condanna è stata espressa anche dall'ambasciata d'Israele presso la Santa Sede. In un comunicato, la rappresentanza diplomatica deplora le azioni intimidatorie nei confronti dei luoghi di culto perpetrate in Terra Santa, definendole “in totale contrasto con i valori e le tradizioni di Israele. Israele - si legge nel testo, ripreso dall'agenzia Fides - è una democrazia che garantisce piena libertà religiosa a tutti i credenti. Questo atto spregevole non rappresenta in alcun modo lo Stato di Israele ed i suoi valori”.
L'American Jewish Committee: profanazione del nome divino
Dal canto suo l' American Jewish Committee (Ajc) ha definito un 'vile atto criminale' l'attacco alla Chiesa della Moltiplicazione a Tabgha e auspica che i responsabili vengano prontamente arrestati. "Un attacco a una chiesa è un atto oltraggioso e una profanazione del nome divino", ha affermato il rabbino David Rosen, direttore Internazionale degli Affari Interreligiosi dell'Ajc. "Si tratta di un attacco al valore democratico della libertà religiosa che è al centro dell'ethos dello Stato di Israele", ha aggiunto. L'Ajc ha chiesto alle autorità israeliane di fare il tutto possibile per catturare i responsabili di atti di violenza contro le comunità religiose e di intensificare gli sforzi per promuovere il rispetto reciproco tra le diverse comunità religiose in Israele. (G.V.)
Risposta vescovi Canada a Commissione Verità e Riconciliazione
È stato consegnato in questi giorni il Rapporto finale della Commissione Verità e Riconciliazione (Trc) del Canada, sulle sofferenze subite da migliaia di bambini nativi nelle scuole residenziali finanziate dallo Stato e gestite dalle Chiese. Tra il XIX e XX secolo, infatti, circa 150mila bambini nativi furono sottratti con la forza alle loro famiglie per essere “rieducati” in queste strutture, dove subirono maltrattamenti e abusi. Separati dalle loro comunità e privati della loro identità culturale, molti dei sopravvissuti hanno sofferto di sindrome da stress post-traumatico e di turbe psichiche con conseguenze devastanti anche per intere comunità native.
Il dolore della Chiesa e l’auspicio per la riconciliazione
A seguito di questo Rapporto, la Conferenza episcopale canadese ha diffuso una dichiarazione in cui si ricorda l’importanza di “un esame di coscienza approfondito su una fase dolorosa della storia collettiva del Paese”. “I dirigenti cattolici – si legge nel testo – presentano le loro scuse ed esprimono il loro rammarico” per l’accaduto, ma anche “il desiderio di riconciliazione, colpiti dalla volontà di perdonare espressa da alcune vittime” di quegli abusi. “Tutti i canadesi, autoctoni e non autoctoni – continuano i vescovi – hanno bisogno di trovare, insieme, la forza di progredire sul cammino della riconciliazione che la Commissione ha tracciato”.
La giustizia, parte integrante della testimonianza evangelica
“La riconciliazione – prosegue la nota – fornisce un’occasione privilegiata per vivere secondo il Vangelo” perché “mira a trasformare i cuori e ad umanizzare i sistemi politici ed economici”. I presuli canadesi, quindi, esortano “all’ascolto approfondito, all’attenzione, al rispetto e all’ospitalità verso l’altro”, ed invitano “i cattolici a ricercare modi ed occasioni di favorire lo spirito di dialogo”, come ad esempio la Giornata nazionale degli autoctoni, che ricorre domani, 21 giugno, in cui “celebrare quell’unità a cui Cristo chiama tutti”. Inoltre, la Chiesa di Ottawa invita a trasformare il dialogo in azione, “in favore della giustizia come parte integrante della testimonianza del Vangelo”. Un impegno, quello per l’equità, “rafforzato dalla cooperazione ecumenica tra i cristiani canadesi”.
Appello per le donne autoctone scomparse e per i nativi in carcere
Di qui, l’invito al governo a “collaborare per assicurare un sistema educativo ai bambini autoctoni, così da garantire loro un accesso equo ad un insegnamento pertinente sul piano culturale”. Un appello viene, poi, lanciato per le tante donne autoctone uccise o scomparse e per i tanti nativi rinchiusi in carcere. “Formiamo una sola famiglia davanti a Dio, insieme ai nostri fratelli e sorelle autoctoni cattolici”, conclude la dichiarazione, esortando, ancora una volta, alla riconciliazione. Infine, il documento si richiama al modello di santità di Caterina Tekakwitha, prima nativa americana ad essere canonizzata, pregandola affinché “protegga tutto il Paese”. (I.P.)
Ciad: religioni insieme contro la violenza
“In Ciad dopo gli attentati di lunedì si è creato un forte sentimento di unità e solidarietà, al quale stanno partecipando con convinzione i rappresentanti delle Chiese e delle religioni, a partire dall’islam”: lo afferma all'agenzia Misna, suor Silvana Rossini, missionaria italiana da anni a N’Djamena.
Per motivi di sicurezza vietato vendere o indossare velo integrale
Secondo la religiosa, della Congregazione delle Suore della carità di Santa Giovanna di Thouret, nonostante i controlli dei militari e dei poliziotti restino serrati, la vita nella capitale del Ciad sta gradualmente tornando alla normalità. “Molti – sottolinea la missionaria – sono stati colpiti in modo positivo dalla fermezza dimostrata finora dalle autorità e dal senso di unità testimoniato dall’incontro tra il primo ministro Kalzeube Pahimi Deubet e i rappresentanti delle religioni, trasmesso in diretta televisiva”. È proprio durante quell’incontro che è stato annunciato il divieto di vendere e indossare il velo integrale islamico. “Una decisione – commenta suor Silvana – nient’affatto scontata in un Paese che si definisce laico ma dove l’islam è molto forte e il velo estremamente diffuso”.
Il Ciad impegnato a combattere Boko Haram
All’incontro hanno partecipato rappresentanti della comunità musulmana, maggioritaria in Ciad, e di diverse Chiese cristiane. Presenti anche l’amministratore apostolico di N’Djamena ed esponenti del mondo missionario. Lunedì sono state uccise 33 persone e i feriti sono stati un centinaio. Il governo ha sostenuto che le deflagrazioni sono state provocate da quattro attentatori suicidi, presunti militanti di Boko Haram. Da gennaio, con circa 5.000 soldati, il Ciad partecipa a una missione militare contro il gruppo islamista. Dopo gli attentati il governo di N’Djamena ha fatto sapere di aver bombardato sei basi di Boko Haram nel nord-est della Nigeria. (V.G.)
Sud Corea: preghiera e digiuno per pace e riconciliazione
Digiuno e grande preghiera silenziosa per la pace: così la Chiesa coreana celebra domani la Giornata per la pace e la riconciliazione che, dal 1965, la comunità vive la domenica precedente al 25 giugno, giorno in cui si ricorda l'inizio della guerra di Corea. L’appuntamento - riferisce l'agenzia Fides - avrà quest'anno un valore particolare in quanto il 2015 segna il 70° anniversario della divisione della Corea, mentre il 25 giugno ricorre anche il 65° anniversario della guerra.
Digiuno per aiuti umanitari nella Corea del Nord
Domani, domenica 21 giugno, l'arcidiocesi di Seul celebrerà la Giornata con una Santa Messa e la preghiera, preceduta dal digiuno che si è tenuto ieri, allo scopo di ricordare i fratelli e le sorelle del Nord, e di promuovere solidarietà all'interno della Corea. Quanti partecipano al digiuno sono anche impegnati a donare il corrispettivo che avrebbero speso per i pasti al Comitato per la Riconciliazione del popolo coreano, che lo utilizzerà per aiuti umanitari al Nord. Inoltre dal 17 giugno al 25 giugno, nella settimana precedente il 70° anniversario della divisione della Corea, i fedeli vivono una speciale preghiera quotidiana.
Recita del rosario per la pace e la riconciliazione
L'arcidiocesi di Seul ha organizzato altri momenti e iniziative varie, mettendo una speciale attenzione alla preghiera: si ricorda il Movimento per il rosario, esteso a tutta la nazione, che intende unire la popolazione nella recita del rosario dal primo giugno alla fine del 2015, con la speciale intenzione per la pace e la riconciliazione della penisola coreana. (P.A.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 171