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Sommario del 17/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: straziante il lutto in famiglia. Sia sorretto dalla fede

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Sono la fede e la forza dell’amore a impedire che la morte renda vani i nostri affetti e ci faccia cadere nel vuoto più buio. Questo il cuore della catechesi che davanti a 25mila fedeli in Piazza San Pietro, il Papa oggi ha dedicato ancora alla vita della famiglia, in particolare all’esperienza straziante del lutto. Il Papa ha anche invitato i pastori a non negare il diritto al pianto anzi ad attingere alla testimonianza di quelle famiglie in cui la morte non ha avuto l’ultima parola. Al termine dell’udienza, il ricordo di Francesco è andato alla pubblicazione, domani, dell’Enciclica sulla custodia del creato. Il servizio di Gabriella Ceraso

La compassione di Gesù che, nel Vangelo di Luca, si commuove al dolore di una vedova che ha perso l’unico figlio, e glielo restituisce resuscitandolo, guida la riflessione del Papa sull’esperienza della morte che, ”riguarda tutte le famiglie”, ma mai, osserva, ”riesce ad apparirci naturale”.

La perdita di un figlio o di un genitore
Straziante, e contro la natura dei rapporti familiari è per un genitore perdere un figlio :

“La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. La morte, che si porta via il figlio piccolo o giovane, è uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere”.

Qualcosa di simile accade anche quando un bambino perde i genitori e il vuoto dell’abbandono è ancor più angosciante perchè non ha l’esperienza per dare un nome a quanto è successo:

“Quella domanda: ‘Ma dov’è papà? Dov’è mamma?’ – Ma è in cielo’ – ‘Ma perché non lo vedo?’. Questa domanda che copre un’angoscia nel cuore del bambino o la bambina. Rimane solo”

La morte e la Risurrezione
Quante volte addirittura davanti al” buco nero” della morte, osserva il Papa, diamo la colpa a Dio, a causa del grande dolore che proviamo e che è reso peggiore e più ingiusto, spiega Francesco, dal “peccato del mondo”. Odio, superbia, avarizia, invidia, sono complici della morte e gli “affetti familiari" appaiono le loro "vittime predestinate e inermi”. Eppure possiamo impedire di cadere nel vuoto più buio, come riescono a fare molte famiglie che "con i fatti dimostrano che la morte non ha l’ultima parola”:

“Tutte le volte che la famiglia nel lutto – anche terribile – trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore”.

La risposta è la “luce della Risurrezione”: la fede che il "Signore ha vinto la morte", consola, ripete il Papa, “protegge dalla visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo” e aiuta le famiglie a superare il dolore del lutto aprendosi alla fraternità e alla solidarietà:

“I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. L’amore è più forte della morte. Per questo la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno» (Ap 21,4)”

Gesù ci restituirà i nostri cari
La speranza che ci dà la fede, ripete più volte il Papa congedandosi dai fedeli, è ancora nelle parole del Vangelo di Luca :”Gesù che restituisce alla madre, il figlio, dopo averlo resuscitato”. Così farà, assicura il Papa, con i nostri cari:

"E questa è la nostra speranza! Tutti i nostri cari che se ne sono andati, il Signore ce li restituirà e noi ci incontreremo insieme a loro. Questa speranza non delude! Ricordiamo bene questo gesto di Gesù: “E Gesù lo restituì a sua madre”, così farà il Signore con tutti i nostri cari nella famiglia!

Il diritto al pianto
E’ necessario quindi, conclude Francesco rivolto in particolare ai pastori, non negare "il diritto al pianto", attingere dalla testimonianza delle famiglie che nella morte hanno riconosciuto la promessa alla Resurrezione del Signore. "Il lavoro dell'amore di Dio, e' piu' forte del lavoro della morte. E' di quell'amore che dobbiamo farci 'complici' operosi, con la nostra fede”.

La nuova Enciclica
Al termine dell’udienza il Papa alla vigilia della pubblicazione della sua Enciclica sulla cura del creato, augurandosi l’accoglienza con animo aperto del nuovo Documento, ha lanciato a tutti un appello:

“Questa nostra “casa” si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: “coltivare e custodire” il “giardino” in cui lo ha posto (cfr Gen 2,15)".

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Da lutto disperato alla fede che consola: una testimonianza

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“Un buco nero” che inghiotte la vita, uno “schiaffo” alle promesse e ai sacrifici “gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere”. Con queste parole, Papa Francesco ha descritto all’udienza generale l’esperienza di dolore che provano i genitori che patiscono la morte di un figlio. Presente all’udienza, dove ha abbracciato il Papa, Andreana Bassanetti, madre di una figlia che si è tolta la vita e fondatrice dell’Associazione “Figli in cielo”, racconta al microfono di Alessandro De Carolis, come la scoperta di Dio l’abbia strappata dal senso di annichilimento in cui era precipitata: 

R. – Io sono psicoterapeuta perciò sono abituata ad accompagnare i ragazzi nell’adolescenza che è il periodo più difficile. E pensavo di aver fatto tutto bene con mia figlia e con l’altro ragazzo. Camilla, è il nome mia figlia, invece era una ragazza sensibilissima, che si faceva carico di tutti i problemi degli altri e difficilmente reagiva. Infatti era un’eterna discussione fra di noi. Io le dicevo sempre che doveva difendersi. Pensi che nel suo diario a 21 anni, ho letto: “Non ho mai offeso nessuno”. Perciò la prima esperienza sua affettiva non è andata nel migliore dei modi, ha cominciato a diminuire il cibo e insomma ho visto tutti quei sintomi che normalmente mi vengono raccontati in terapia. Mi sono allarmata e l’ho affidata alla terapia di uno psicologo che conoscevo e sembrava una persona molto affidabile e invece non ha gestito la terapia nel migliore dei modi e mia figlia ne ha avuto delle conseguenze tremende. Da allora non si è più ripresa, ha dovuto ricorrere agli psicofarmaci… Insomma Camilla, non riuscendo più a sopportare questa sofferenza che aveva dentro, che era proprio intollerabile, si è buttata dal balcone della nostra casa, dal sesto piano. Quello che è strano è che dal sesto piano era intatta, questo è stato miracoloso. Qualcuno, io dico, dolcemente l’ha depositata sull’altare della terra come, non so, un’offerta gradita al Signore. Mi piace pensare così, perché meglio di Camilla non c’era, proprio come animo puro…

D.  – Questo lutto la precipita in quello che Papa Francesco all’udienza generale ha definito un “buco nero che inghiotte tutto”. Lei era lontana dalla fede e non vedeva luce in questo buco nero. Poi un giorno le accade di vedere  una luce, anzi una lucina in fondo a una strada…

R. – Io ero talmente nel fondo di questo buco nero che non cercavo nemmeno Dio, lo avevo proprio accantonato. E infatti io volevo lasciarmi morire. Ho visto che anche quando volevo alzarmi, non avevo le forze per farlo, avevo il corpo dissociato dalla mene. Allora, ho chiamato il medico, anche perché sentivo la responsabilità dell’altro figlio, e il medico mi ha ordinato di fare almeno il giro dell’isolato una volta al giorno. Ero debolissima, c’era molta nebbia. Sono uscita verso sera proprio per non incontrare nessuno. Però ho visto che avevo un po’ di stanchezza alle gambe e desideravo trovare un luogo per riprendere un po’ di forze e tornare. Improvvisamente ho visto nella nebbia una lucina, in fondo, e poi pian piano che mi avvicinavo la sagoma di una chiesa. Mi sono avvicinata e sotto la lucina c’era una porta e tra la lucina e la porta c’era questa scritta straordinaria che ancora oggi guida la mia vita e diceva: “Venite con me in disparte”. Io ho sentito nella mia fragilità questo versetto proprio che mi ha penetrato. Sono entrata, ho visto in disparte una cappellina illuminata con delle ragazze in adorazione e lì ho avuto il primo soffio di vita, mi sono detta: “Se esistono queste ragazze con questi volti, forse Camilla non è morta”. Ecco, lì, io ho cominciato. Al buio, ero dietro una colonna, quasi mi vergognavo di essere lì. Ho scoperto di non essere più stanca e sono tornata a casa. Però avevo la certezza nei momenti più bui di ritornare in questo luogo dove avvertivo questa presenza forte, un calore che avvertivo. Per quello dico alle famiglie che oggi camminano con me: non subiamo un dolore così grande, noi siamo stati chiamati lì, come Maria, a vivere questo evento tremendo ma anche preziosissimo che ci incolla sulla croce a Cristo.

D.  – Papa Francesco cosa ha detto a lei?

R.  – Abbiamo sentito questo abbraccio forte di questo papà straordinario che dice sempre cose meravigliose ma oggi in particolare ha parlato a noi. E le cose che lui ha detto in fondo sono le cose che noi viviamo all’interno della Chiesa, cercando di evangelizzare il nostro dolore e il nostro lutto. Sentivamo questo abbraccio e grazie al Cielo ho avuto l’opportunità anche di averlo dal santo Padre, che è proprio questo abbraccio che va oltre noi: abbraccia terra e cielo.

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Papa: chiediamo perdono per chi chiude le porte ai migranti

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Perdono per chi chiude ai rifugiati. E’ l’appello di Papa Francesco durante l’udienza generale a tre giorni dalla Giornata mondiale del rifugiato che si svolgerà sabato prossimo. In questa cornice, ieri al Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati, si è svolto il convengo dal titolo “L’approdo che non c’è. Proteggiamo i rifugiati più delle frontiere”. Il servizio di Alessandro Filippelli

Il ricordo è per i tanti fratelli e sorelle che “cercano rifugio lontano dalla loro terra" e a chi, “cerca una casa dove poter vivere senza timore affinché siano sempre rispettati nella loro dignità”. E’ l’appello lanciato dal Papa a pochi giorni dalla Giornata mondiale del rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite che quest’anno cade nel periodo più difficile per gli sbarchi e gli arrivi in Italia. L’auspicio di Papa Francesco è che la comunità internazionale agisca unita per prevenire le cause delle migrazioni forzate con l’invito a perdonare a chi nega un approdo sicuro ai rifugiati:

“ Vi invito tutti a chiedere perdono per le persone e le istituzioni che chiudono la porta a questa gente che cerca una famiglia, che cerca di essere custodita”.

Sono 73 milioni i rifugiati, ovvero l’1% della popolazione mondiale, secondo il rapporto pubblicato dall’"Institute for Economics and Peace": nel mondo non si registrava un numero così grande dalla Seconda Guerra Mondiale. Resta urgente un sistema di accoglienza adeguato, diffuso e proporzionato ai bisogni reali di chi arriva per chiedere protezione, come sottolinea mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes:

“Parlare di accoglienza significa parlare di un alto principio che è fondamentale per il rispetto della libertà e della vita delle persone. Coniugare questi due termini, oggi, con le migrazioni significa – soprattutto in Italia – ripensare un piano strutturale che sappia veramente andare incontro a questo popolo in cammino che attraversa il Mediterraneo e che trova, come prima casa, effettivamente, l’Italia e come seconda casa, poi, l’Europa”.

Il Centro Astalli, impegnato a Roma da oltre 30 anni in numerose attività e servizi, mostra il vero volto di una città disposta ad accogliere, aiutare e sostenere, a essere solidale con un’umanità in fuga da contesti di guerre e persecuzioni. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli:

“Noi, come Centro Astalli, lo diciamo sempre: imparare a mettersi nei panni degli altri. Nella misura in cui ti metti nei panni di un’altra persona, in questo caso di persone che scappano da persecuzioni e da guerre, la priorità si rovescia. Quindi, quelle persone che hanno più bisogno perché sono scappate da situazioni che hanno messo in discussione la loro vita, devono essere uno stimolo perché la tua coscienza non si addormenti e sia attenta al bisogno del fratello”.

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Papa nomina Schellnhuber membro dell'Accademia delle Scienze

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Papa Francesco ha nominato membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze il prof. Hans Joachim Schellnhuber, docente di Fisica Teorica all'Università di Potsdam e Direttore dell'Institute for Climate Impact di Potsdam in Germania.

Nato il 7 giugno 1950 a Ortenburg, Passau (Repubblica Federale di Germania), sposato e con un figlio, ha studiato Fisica e Matematica all'Università di Regensburg, dove si è laureato in Fisica Teorica nel 1980, ottenendo successivamente l'abilitazione all'insegnamento universitario presso l'Università di Oldenburg nel 1985. Insegna come Docente Ordinario presso l'Università di Oldenburg, in qualità di Visiting Professor all'Institute of Nonlinear Sciences dell'Università di California in Santa Cruz e come External Professor al Santa Fe Institute (Stati Uniti d'America). Gli studi del Prof. Schellnhuber sono focalizzati sui rapporti fra sviluppo e impatto climatico. Dal 1993 è Direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK), in collegamento con la Cattedra di Fisica Teoretica dell'Università di Potsdam. Nel 2007 è stato nominato Responsabile dell'Ufficio Governativo Tedesco per il clima e relative emissioni e Membro del Gruppo di esperti su energia e cambiamenti climatici, istituito dall'allora Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso. Inoltre, il Prof. Schellnhuber è membro di numerose Associazioni ed Istituzioni scientifiche e governative che si occupano di energia, sviluppo e cambiamenti climatici globali.

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Card. Souraphiel: Chiesa etiope piccola, ma cristiani restano

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Si è chiusa oggi in Vaticano l’88.ma Plenaria della Roaco, la Riunione delle Opere di Aiuto per le Chiese Orientali. Dopo Siria e Iraq e Armenia, particolare attenzione è andata all’aiuto delle Chiese di Eritrea ed Etiopia. Il capo di quest’ultima, il neo-cardinale Berhaneyesus Souraphiel, ne ha parlato al microfono di Gabriella Ceraso

R. – L’Etiopia, come molti sanno, è un Paese di antica cristianità che vive un momento di tensione, perché non soltanto c’è l’aumento della disoccupazione ma anche la sfida dell’islam. Speriamo che gli altri Paesi vengano a conoscenza anche di questo: in Etiopia, ora, ci sono tanti cristiani e loro vogliono rimanere lì.

D. – Cosa fare, invece, per tutti quei giovani che spinti dalla disoccupazione, dalla povertà del Paese, stanno emigrando verso l’Europa ma anche verso il Sudafrica?

R. – Noi come Chiesa cattolica rappresentiamo l’1% della popolazione. Ma pur essendo così piccoli vogliamo cambiare la situazione dal di dentro, chiedendo aiuto per educare la gioventù, per investire nell’Etiopia. Così i nostri giovani rimangono e così anche la ricchezza del cristianesimo rimarrà in Etiopia.

D. – Quando è diventato cardinale si era promesso di portare la Chiesa d’Etiopia anche in seno all’Unione Africana, come osservatore…

R. – Stiamo per firmare un accordo, alla fine di luglio.

D. – Cosa significherà?

R. – Contribuire a rafforzare la posizione cattolica, specialmente con la Dottrina sociale della Chiesa. Dare il primo posto alla persona umana, non agli interessi internazionali o alle grandi compagnie.

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P. Imoda: Santa Sede rafforza impegno per università di qualità

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Migliorare la qualità dell'istruzione universitaria. E' la missione che vede protagonista l'Avepro, l'Agenzia della Santa Sede per la valutazione e la promozione delle università e facoltà ecclesiastiche, voluta da Benedetto XVI nel settembre del 2007. Proprio in questi giorni, con la firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, sono stati approvati gli statuti dell'Agenzia che sta ampliando i suoi impegni ed orizzonti. Alessandro Gisotti ne ha parlato proprio con il presidente di Avepro, il padre gesuita Franco Imoda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana: 

R.  – Gli statuti sono stati approvati già nel 2007. Tuttavia, dopo un certo numero di anni, si trattava di rinnovare e rivederli sulla base dell’esperienza; fondamentalmente sono stati confermati. Forse una delle novità emerse è quella di una possibile estensione dell’attività, della missione dell’agenzia Avepro alle università cattoliche, non esclusivamente a quelle ecclesiastiche, anche se con l’appoggio delle Conferenze episcopali.

D. - L’Avepro da ormai 8 anni aderisce al cosiddetto "Processo di Bologna" per la creazione di uno spazio comune europeo nell’ambito dell’istruzione superiore…

R.  – Sì, il contesto è quello del "Processo di Bologna" che si è sviluppato in tutti questi anni con incontri ministeriali ogni due anni e le raccomandazioni che i ministri facevano alle varie nazioni, dato che è un movimento non strettamente legislativo ma di volontariato. Credo che lo spirito della nostra agenzia sia quello di migliorare e di dare un’opportunità di crescita, piuttosto che una semplice misurazione delle capacità e soprattutto delle debolezze. E sembra che questo sia l’elemento che più apprezzano le facoltà. Noi ne abbiamo fatte un po’ meno di 100: all’inizio è chiaro che è un lavoro aggiunto però dopo riconoscono che è stata un’esperienza positiva proprio in questa luce, di mettere in atto un processo di miglioramento.

D. – Lei è stato rettore di una grande università, un’università pontificia, come la Gregoriana. Quale contributo sta dando l’Avepro a realtà accademiche con storie e strutture anche molto diverse?

R. – Qualche volta questo "Processo di Bologna" viene visto un po’ quasi come una camicia di forza. Di fatto quando si entra a conoscere meglio non solo lo spirito ma le attuazioni è invece piuttosto flessibile. Credo sia un passo che mirava anche ad aprire delle porte tra le varie nazioni aderenti, che ormai sono 47. Forse l’apprezzamento anche che c’è per la Santa Sede è proprio che noi siamo una nazione, in un certo senso, ma siamo anche multinazionali all’interno della nazione. E questo interessa molto i rappresentanti di queste varie entità.

D. – In questi ultimi giorni l’Avepro ha avuto anche un impegno con la Conferenza episcopale italiana. Può dirci di che cosa si tratta e quali possono essere gli sviluppi di collaborazione tra l’agenzia e la Cei?

R.  – Sono un po’ due livelli perché uno è quello più diretto che è l’aiuto alle facoltà italiane, che sono circa 9, di teologia prevalentemente, con qualche disciplina connessa, per il miglioramento di queste facoltà; un po’ indirettamente c’è l’aiuto eventualmente da offrire, attraverso le facoltà, a circa 80 Istituti di scienze religiose che hanno una realtà molto presente, molto viva, in Italia. Tra l’altro, ciò riguarda la preparazione degli insegnanti di religione, quindi tutto un insieme di temi abbastanza ampi che in qualche modo abbiamo cercato di aiutare e di servire per arrivare anche, eventualmente, poi a delle decisioni in questo campo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Chiediamo perdono per chi chiude la porta: all’udienza generale il Papa parla dell’enciclica sul creato e lancia un appello per l’accoglienza dei rifugiati.

Sogno rivelatore: Carlo Carletti sull’elogium di Eutichio.

L’alleanza scossa: Anna Foa sull’ebraismo dopo la Shoah.

Finestrella sul mondo: Silvia Gusmano recensisce il libro di Francesca Romana de’ Angelis dedicato a donne - Penelope, la sorella di Leopardi, le figlie di Galileo e Manzoni - vissute all'ombra della fama.

Letteratura per adulti: Romano Penna illustra le difficoltà di comprendere gli scritti di san Paolo. Sulle orme di Kim: Gabriele Nicolò sul libro dello storico William Dalrymple che racconta il primo fallimentare coinvolgimento militare occidentale in Afghanistan.

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Oggi in Primo Piano



Putin aumenta l'arsenale. Tensione con Nato, Ue e Usa

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Aumenta la tensione tra Mosca e l’Occidente dopo l’annuncio ieri del presidente russo Vladimir Putin di aggiungere entro l’anno più di 40 nuovi missili balistici al suo arsenale nucleare. Preoccupati sia il capo della diplomazia americana John Kerry sia il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg e naturalmente tutta l’Europa che non senza poche difficoltà sta vivendo anche la crisi in Ucraina. Bruxelles e Stati Uniti più volte hanno fatto ricorso alle sanzioni contro Mosca. E ora la Nato pensa anche alla possibilità di schierare armi nell'Europa orientale, dall’altra parte il Cremlino è da mesi che smentisce e conferma l’incremento di uomini e mezzi lungo i confini. Massimiliano Menichetti ha intervistato Tiberio Graziani presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie: 

R. – Le affermazioni nei confronti della Russia fatte dal presidente Usa Obama durante il G7, anche all’indomani della visita del presidente Putin all’Expo, sono state molto forti, e una reazione da parte di Mosca di questo tipo era prevedibile. Il problema è che i due leader si stanno misurando come due pugili sul ring. E questo, ovviamente, è un problema per l’Europa, in particolare per l’Europa che un tempo chiamavamo “orientale”.

D. – Dunque, questa decisione di Putin ha a che fare con la crisi ucraina?

R. – Diciamo che ha a che fare anche con la crisi ucraina, però c’è un interesse da parte degli Stati Uniti di contenere la Federazione Russa; questa strategia statunitense si è attuata utilizzando anche in termini strumentali l’Unione Europea.

D. – In quale modo?

R. – Nel caso dell’Ucraina, è stata l’Unione Europea che ha utilizzato il suo “soft power” attrattivo dicendo a Kiev: “Potete entrare nel nostro club europeo”, senza avere però quella forza che in genere hanno le nazioni che utilizzano veramente il “soft power”; cioè, avere una forza di negoziazione basata anche sulla forza militare. I Paesi dell’Unione Europea si basano sul fatto che aderiscono alla Nato, e qui entra in gioco il fatto che la Nato è un’alleanza sostanzialmente egemonica, in cui c’è un Paese che pesa molto più degli altri e questo Paese – come sappiamo – sono gli Stati Uniti.

D. – In questo contesto, che ruolo ha la crisi ucraina?

R. – Sostanzialmente, solo strumentale, perché il progetto geopolitico degli Stati Uniti è un progetto di lunga data.

D. – Ma adesso, quindi, il braccio di ferro di sanzioni può pericolosamente spostarsi su un braccio di ferro di altro tipo?

R. – Chiaramente è un rischio. Bruxelles è entrata in un ginepraio non soltanto diplomatico ma, come vediamo, anche militare. Al momento non sappiamo se Bruxelles sarà capace di districarsi in questa situazione che è veramente caotica e complessa.

D. – Anche perché la Nato ha detto che aumenterà, comunque, le proprie forze…

R. – Ad ogni presa di posizione, sul piano geostrategico, c’è una contrapposizione dall’altra parte, per adesso soltanto verbale, ma ci sono tutti gli elementi per andare incontro ad una vera e propria crisi di tipo militare.

D. – Come si disinnesca questa tensione?

R. – Attraverso il dialogo. Bisogna riportare l’attenzione dei due presidenti sul piano della dialettica, della negoziazione e in questo, chiaramente, l’Europa può fare la sua parte: in primo luogo la Germania e anche l’Italia, perché l’Italia ha un rapporto particolare con la Federazione Russa.

D. – Quando dice “due presidenti” si riferisce agli Stati Uniti e alla Russia?

R. – Sì, perché bisogna adottare criteri di realismo politico: i due contendenti sono loro. La nostra posizione geografica – quindi la posizione geografica dei Paesi che aderiscono all’Unione Europea – è quella di essere tra i due: tra l’Atlantico e la Federazione Russa.  L’auspicio è quello di ritornare ad un tavolo di negoziazione, di abbandonare questa guerriglia – per ora verbale – perché altrimenti poi dalle parole si potrebbe sempre passare ai fatti.

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Yemen: tregua umanitaria tra governo e ribelli houthi

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Forte denuncia dell’Unicef sulle drammatiche conseguenze della guerra in Yemen. L’organismo dell’Onu mette in evidenza la morte di 279 bambini, che hanno perso la vita dal 26 marzo scorso, quando sono iniziati i raid della coalizione a guida saudita contro i ribelli houthi. L’Unicef rileva anche l’utilizzo nel conflitto dei minori come soldati. Intanto, sembra imminente una tregua umanitaria tra ribelli sciiti houhti e governo del Presidente ad interim Mansour Hadi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Eleonora Ardemagni, esperta dell’area mediorientale dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi): 

R. – Sicuramente il fatto che si stia negoziando una nuova tregua umanitaria, forse della durata di un mese, in concomitanza poi con l’inizio del Ramadan, lascia sperare che le parti yemenite in conflitto stiano cercando di trovare un punto di sintesi. La situazione, però, rimane estremamente complicata, perché finora, nei colloqui in corso a Ginevra, i rappresentanti di vari movimenti non si sono mai incontrati tutti insieme nella stessa stanza e ci si domanda quale sia la forza politica di questi esponenti tribali e questi leader politici; se saranno in grado di far rispettare sul campo un accordo negoziato ad alto livello. Lo Yemen ormai vive una situazione estremamente complicata in cui nessuno ha più il monopolio legittimo della forza, in cui le milizie hanno preso il posto dell’esercito nella gestione del territorio. Quindi, le prospettive sono in salita.

D. – In questo momento così delicato, qual è il ruolo della coalizione a guida saudita, che ha avuto un ruolo preponderante in questa crisi?

R. – L’Arabia Saudita continua a sostenere il Presidente ad interim Hadi. Ma la situazione sul campo è estremamente confusa, perché le forze sunnite, che combattono contro gli houthi e contro i gruppi dell’esercito ancora legati a Saleh, in realtà sono tra di loro estremamente divisi e non tutti sostengono Hadi. Quindi il problema dell’Arabia Saudita in questo momento è di non avere sul campo un interlocutore forte, che possa “giocare di sponda” con i bombardamenti della coalizione.

D. – Ricordiamo quali sono le richieste degli houthi?

R. – In questo momento gli houthi chiedono, per arrivare a una tregua, l’interruzione dei bombardamenti della coalizione. Dall’altra parte, invece, il presidente deposto Saleh, già prima di cominciare i negoziati, diceva che non sarebbe andato a Ginevra per trattare una riconciliazione, ma per far rispettare agli houthi e a tutte le milizie sciite la risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza dello scorso aprile, che metteva l’accento sulla necessità appunto da parte degli houthi di ritirarsi dalle città che sono state occupate e di deporre le armi. Le posizioni di partenza negoziali, quindi, sono estremamente distanti, ma il probabile arrivo di una tregua potrebbe ulteriormente modificare l’assetto delle alleanze sul campo. La situazione, appunto, è ancora molto complicata. L’Arabia Saudita, però, è consapevole del fatto che l’alleanza fra gli houthi è un’alleanza strumentale, che Saleh ha fatto per tentare di riprendere il potere. Ma l’Arabia Saudita si ritrova a sostenere un Presidente Hadi, che in realtà è molto debole e non ha dalla sua un gruppo di forze sul campo, che lo sostengano in maniera netta.

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Nepal: nuova scossa a Kathmandu. In arrivo stagione monsoni

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Nuova scossa di terremoto in Nepal, già gravemente colpito dal devastante sisma dello scorso aprile che ha provocato oltre 8 mila vittime e più di 22 mila feriti. L'epicentro dell’ultima scossa è stato localizzato a 18 km da Kathmandu. Negli ultimi due mesi nel Paese asiatico sono state registrate più di 2 mila scosse. Per una testimonianza, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente in Nepal Sonia Siccardi della ‘Fondazione Time4life International’, che si occupa di sostegno a distanza, con progetti di istruzione e programmi alimentari per i più piccoli: 

R. – Il terremoto è stato avvertito dalla popolazione che, ovviamente, si è spaventata. Noi siamo qua già da qualche giorno: è la seconda volta che siamo in missione in Nepal nel giro di poche settimane. Questa mattina alle cinque, la scossa avvertita è stata di 4.6 gradi sulla scala Richter: è stata una scossa abbastanza forte e l’epicentro è stato proprio qui, a Kathmandu. Noi siamo a Patan: Kathmandu ha dei distretti che sono limitrofi e Patan in realtà è proprio adiacente la capitale; l’abbiamo dunque sentita in pieno. E’ stata una scossa importante.

D. – Dal 25 aprile a oggi, ci sono state oltre 22 mila scosse: qual è la situazione sul terreno?

R. – Qua a Kathmandu le scosse avvengono tutti i giorni. La situazione sul terreno è ovviamente problematica per tutto quello che il terremoto ha causato, per la distruzione che vediamo intorno a noi. E la gente è scossa, ha paura, scende in strada ad ogni scossa.

D. – Molte famiglie vivono ancora sotto le tende…

R. – Molte famiglie vivono sotto le tende. A Kathmandu sono rientrate già molte persone, perché la città si era svuotata. Tanta gente che risiedeva a Kathmandu per il terrore era andata nelle zone limitrofe accampandosi fuori la città, andando comunque lontano dal centro. Adesso le città come Patan e come Kathmandu si sono ripopolate: la gente è tornata. Ma le abitazioni nelle quali queste persone sono rientrate sono pericolanti: eppure la gente, per disperazione, riapre i negozi oppure va a viverci dentro. La situazione è drammatica: tanta gente non ha neanche una casa pericolante nella quale rientrare e vive ancora in tenda, pure nei villaggi vicino Kathmandu, dove il terremoto ha avuto la sua fase più distruttiva e dove operiamo. Ma il problema delle tende è gigantesco. Molte sono arrivate dalla Croce Rossa cinese o da altre ong e realtà internazionali ma il problema è che stanno arrivando i monsoni. Il monsone significa una pioggia battente, 24 ore su 24: la tenda dunque non è un riparo adeguato per questo tipo di situazione. E’ per questo noi, con “Time4Life” e con l'associazione “Jay Nepal”, stiamo costruendo degli 'shelter', piccoli igloo costruiti con pietra e archi in ferro: sono comunque strutture in mattoni, dove le famiglie possono passare la stagione dei monsoni aspettando di ricostruire le loro case.

D. - “Time for Life” si occupa di sostegno a distanza tramite programmi di istruzione e supporto alimentare: qual è l’emergenza più grande di cui vi state facendo carico?

R. – Una settimana fa eravamo in Kenya, siamo stati sul confine turco-siriano, siamo stati e siamo ancora in Nepal: siamo una Fondazione che viaggia tantissimo, perché l’emergenza è ovunque. Adesso abbiamo il Nepal: ci sono tanti bambini che vanno sostenuti. Ma, per esempio, abbiamo anche l’emergenza dei bambini spaccapietre in Benin: sono bambini che fin da piccolissimi spaccano pietre per fare il cemento e vivono una condizione che possiamo definire di schiavitù, una condizione disumana. Per “Time4Life”, i bambini sono la cosa più importante: riuscire a salvare un bimbo ovunque nel mondo è la missione fondamentale.

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Giornata contro la desertificazione: cibo e sostenibilità

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“La sicurezza alimentare per tutti attraverso un’agricoltura sostenibile”, questo il tema della Giornata mondiale della lotta contro la desertificazione e la siccità, promossa dall’Onu e celebrata oggi con eventi in tutto il mondo sotto lo slogan “Non si ha niente per niente, investiamo sulla salute del suolo”. Ma che legame c'è tra cibo e desertificazione? Eugenio Murrali lo ha chiesto a Maurizio Sciortino, corrispondente scientifico italiano presso la Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione: 

R. – Le due tematiche sono molto connesse, perché la desertificazione e il degrado delle terre mettono a rischio la produttività di grandi estensioni di terreni in tutte le zone del pianeta e in particolare nelle zone aride. L’Africa è la zona con maggiore superficie climaticamente arida, ma anche il Sudamerica, l’Asia e in Europa la fascia mediterranea.

D. – Quali sono oggi le cause maggiori di desertificazione?

R. – A livello globale, la desertificazione minaccia i Paesi più poveri che non hanno le risorse per garantire la sostenibilità della loro produzione alimentare e della loro agricoltura. In queste zone, l’agricoltura spesso viene fatta in modo non sostenibile e quindi degradando il terreno. La desertificazione è causata da cambiamenti climatici che riducono la vegetazione e aumentano le temperature, in alcune zone maggiormente che in altre, ma anche e soprattutto dall’azione dell’uomo che oggi, attraverso la tecnologia, sottopone a stress sempre più forti il suolo e la vegetazione.

D. – E' un processo reversibile?

R. – La desertificazione è lo stadio finale di un processo di degrado, che può iniziare in modo lieve e reversibile, ma che poi può diventare irreversibile se non si torna a pratiche sostenibili e se non si fanno interventi di riabilitazione dei suoli.

D. – Cosa si è fatto, cosa si sta facendo e cosa è invece opportuno fare?

R. – Come per altri problemi globali, il ruolo dei governi è centrale. C’è un problema di cooperazione, di priorità degli sforzi che i Paesi più ricchi fanno per evitare che si creino situazioni – come quelle che stiamo osservando – di esodo dalle zone più povere verso le zone più ricche. Sul campo ci sono progetti e iniziative che puntano alla sostenibilità dell’agricoltura. Un esempio molto semplice è quello di organizzare la raccolta dell’acqua piovana: una tecnica millenaria, che è utilizzata a tutte le latitudini e in tutti i climi, anche in Italia. Questo è possibile, per esempio, attraverso i terrazzamenti che sono sicuramente un modo per ottimizzare l’uso dell’acqua piovana. Ma nei Paesi più aridi è una tecnica molto più importante, proprio perché le risorse idriche sono più scarse. Quindi, bisogna costruire micro-bacini, imbrigliare l’acqua piovana, costruire degli invasi, costruire dei microbacini dove far convergere l’acqua piovana e coltivare. Perché facendo convergere l’acqua piovana in zone più piccole, c’è acqua a sufficienza per alimentare le piante, gli alberi, il foraggio, l’agricoltura. Questo è soltanto un esempio. Ce ne sono poi tanti altri che riguardano l’uso della sostanza organica, l’uso di nuove tecnologie – come l’energia solare in sostituzione dei motori convenzionali – per irrigare e per migliorare la produttività nelle zone irrigue dei Paesi poveri.

D. – Oggi è anche la Giornata della lotta contro la siccità. Quali sono le maggiori urgenze e quali le sfide?

R. – Quello che interessa è essere pronti ad affrontare la siccità e quindi avere tutti i sistemi di allerta e di ottimizzazione delle risorse. Dall’acqua dipende tutto. Del resto la siccità, la mancanza d’acqua, in passato è stata una concausa di crisi sociali e politiche, che hanno portato anche a emigrazioni e cambiamenti sociali importanti.

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Propaganda gender in asilo nido di Roma. Parla una mamma

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Solo pochi giorni alla manifestazione indetta per sabato 20 giugno in piazza san Giovanni a Roma alle 15:30 dal Comitato “Difendiamo i nostri figli, stop gender nelle scuole”. Una tra le molteplici denunce di tentativi di quella che il Papa ha definito “colonizzazione ideologica” arriva da Roma. Dopo un incontro informativo organizzato in parrocchia dal "Comitato Articolo 26", Paola Calabrese ha scoperto che nell’asilo nido Cecchina frequentato da suo figlio erano stati “adottati” libretti illustrati che promuovevano l’ideologia gender. Questa la testimonianza raccolta da Paolo Ondarza

R. – Nella mia parrocchia è arrivato il "Comitato Articolo 26" a illustrare cosa fosse la teoria del gender. Un volta presa coscienza di questa realtà, ho ritenuto opportuno informare gli altri genitori. La coordinatrice del nido ha voluto convocarmi dicendomi che non avrei dovuto divulgare questo genere di notizie.

D. – Lei quindi aveva ricevuto dalla riunione del "Comitato Articolo 26" la notizia dell’esistenza di progetti gender nelle scuole, ma non aveva ancora scoperto che nella scuola fossero state introdotte queste nozioni...

R. – No. Quando poi abbiamo avuto l’incontro con il "Comitato Articolo 26", nelle "slide" che illustravano come viene introdotta la teoria del gender ho visto che, tra i libri illustrati, ce n’era uno: “Piccolo uovo” di Francesca Pardi, che si trovava nel nido di mio figlio.

D. – Si è accorta quindi che il libro che veniva mostrato come un libro di propaganda gender era un libro in uso nella scuola di suo figlio, nel nido di Cecchina...

R. – Sì, il coordinatore del nido insieme con un’altra educatrice hanno detto che non era un libro di propaganda gender, ma un libro innocuo: si parla della parità dei diritti per tutti, di un uovo che conosce tanti tipi di famiglie. L’uovo dice che nel suo nido ci sono le famiglie arcobaleno e che i bambini possono avere due mamme o due papà.

D. – Vi avevano detto che avrebbero introdotto questi contenuti nella scuola?

R. – No, e tra l’altro io facevo anche parte del comitato di gestione: tutto questo è passato in maniera molto silenziosa.

D. – Poi che cosa è successo?

R. – Mi hanno insultato di omofobia, dicendomi che ero di una “razza a parte”. Una delle educatrici mi ha detto che mi sarei dovuta rinchiudere dentro una “scuola di preti”. Ma la mia richiesta al nido non era legata alla religione, era solo di carattere informativo, anche perché credo di avere il diritto di sapere che cosa insegnano ai nostri figli.

D. – Importante accogliere bambini presenti in coppie omogenitoriali, lei non negava questo, rivendicava solo il suo diritto laico sancito dalla Costituzione ad essere la prima responsabile dell’educazione di suo figlio…

R. – Sì, nient’altro, anche perché dove si interrompe il rapporto tra il genitore e la scuola, con il figlio puoi fare di tutto.

D. – La scuola è una scuola privata?

R. – No, è una scuola pubblica comunale. L’introduzione di questi libri è stata attuata da parte del coordinatore, perché ha svolto dei corsi sulle famiglie arcobaleno.

D. – Lei è stata l’unica mamma a ribellarsi, a insorgere?

R. – Sì, sono stata l’unica. La coordinatrice ha convocato un gruppo di genitori che andavano contro il mio pensiero e temo che la notizia che mi riguardava sia passata in modo non corretto.

D. – Da parte sua, ha invocato la legge, la Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo…

R. – Ho fatto riferimento al "Comitato Articolo 26", il quale mi ha aiutato.

D. – E poi che ha fatto? Ha iscritto suo figlio ad una “scuola di preti” come le hanno suggerito?

R. – No, ho dovuto togliere mio figlio dal nido e tenerlo a casa pagando una baby-sitter.

D. – A chi, come lei, dovesse trovarsi di fronte a situazioni analoghe alla sua, che cosa si sentirebbe di dire?

R. – Di denunciare cercando così di dare una testimonianza anche ad altri genitori del fatto che il gender è una sorta di indottrinamento silenzioso nei confronti dei bambini. L’affettività e la sessualità non possono essere oggetto di un indottrinamento del genere.

D. – Sta crescendo un movimento di genitori, tanto è vero che sabato è stata convocata una manifestazione…

R. – Alla manifestazione del 20 giugno io ci sarò. Sono contenta che il Papa dia voce ai genitori che non condividono questa teoria e che smuova le coscienze anche di chi ancora non è al corrente della teoria del gender.

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Commissione europea: incontro con i leader religiosi

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Si è tenuta ieri a Bruxelles, presso la Commissione europea, l'annuale riunione ad alto livello con i leader religiosi. "Questo dialogo è più importante che mai", ha dichiarato il primo vicepresidente, Frans Timmermans,  le nostre società devono far fronte a sfide fondamentali e le Chiese e le religioni possono svolgere un ruolo importante nel promuovere la coesione sociale e colmare i divari”. Quindici i leader presenti appartenenti alla comunità cristiana, ebraica, musulmana, indù, buddista e mormone, riuniti a confronto sul tema "Vivere insieme e accettare le diversità". Le conclusioni della riunione forniranno materiale di discussione per il primo Convegno annuale sui diritti fondamentali dell'Ue, che si terrà l'1 e il 2 ottobre 2015 e che sarà incentrato sul tema "Tolleranza e rispetto: prevenire e combattere l'odio antisemita e antimusulmano in Europa". Per la Chiesa cattolica ieri sono intervenuti il card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e la dott.ssa Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari. Adriana Masotti l’ha intervistata: 

R. – Io veramente ho avuto l’impressione di un momento importante. Intanto, perché secondo me indica uno di quelli che Papa Giovanni Paolo II avrebbe chiamato “segni dei tempi”: cioè, il bisogno che le istituzioni civili sentono di ritornare al fatto religioso per essere aiutate a trovare soluzione ai problemi dell’umanità.

D.  – Vivere insieme e accettare le diversità è stato il tema dell’incontro: si dà per scontato che ci sono le diversità. E’ un dato da subire, oppure si può andare oltre?

R. – Si deve andare oltre, però certamente si dà per scontato che le diversità ci sono e che non possono essere appiattite, le diversità ci sono e devono rimanere. Ogni comunità e anche ogni persona deve saper accogliere l’altro sapendo che porta qualcosa in sé che è diversa da quello che lui stesso porta, ma che questo qualcosa può essere per lui un arricchimento, può essere per lui un dono. Quindi, andare al di là assumendo un atteggiamento di accoglienza dell’altro invece che di paura dell’altro, quindi non ergere muri a difesa di qualcosa che si ritiene minacciata, ma andare incontro all’altro in un atteggiamento dialogico di apertura, di accoglienza  – di amore, diremmo cristianamente parlando  – ed essere coscienti che c’è una complementarità di fondo fra tutti gli esseri umani e che quando si riconosce questa complementarità e la si costruisce insieme, quello è il vero presupposto per una convivenza pacifica e armoniosa.

D. – Nei fatti, questo non è tanto facile: quali sono le vie per una maggiore conoscenza e comprensione in Europa che sono emerse dal dialogo?

R. – Sono tante, soprattutto si sottolineava l’importanza dell’educazione, l’importanza dei messaggi che i capi religiosi possono dare contro le manifestazioni violente, contro le incitazioni all’odio, l’importanza che essi possano trasmettere e anche educare i propri fedeli, i fedeli delle proprie comunità, a un atteggiamento di apertura e di comprensione reciproca. E soprattutto si vedeva la necessità che nel concreto le persone si incontrassero, che si conoscessero, che stringessero rapporti di amicizia, legami. Quindi, non è tanto una responsabilità che riguarda solo i leader religiosi presenti, ma che attraverso di loro può arrivare a tutti i membri delle loro comunità, proprio per costruire ponti che permettano questa convivenza, che permettano questo incontro. Incontro che si può avere a tutti i livelli: a livello famigliare, a livello delle scuole, a livello dei divertimenti, a livello dei circoli culturali... Oppure, nel mettersi insieme a operare per il bene di una località o di un disagio sociale che si trova in un dato Paese. Però, quello che emergeva è l’importanza che, in tutto questo, i protagonisti fossero i rappresentanti di tutte le comunità, non che una comunità chiedesse un impegno alle altre senza averla chiamata a programmare insieme.

D. – Nel suo intervento, lei ha sottolineato il rispetto che ci vuole anche per le comunità locali e per la loro identità. Mi viene in mente il caso del crocifisso che qualcuno vorrebbe togliere per non disturbare i non cristiani…

R. – Io ho sottolineato la necessità che tutti siano rispettati e che quindi il rispetto verso gli altri implica anche il rispetto verso la comunità che accoglie, verso la comunità locale, quindi anche da parte di chi viene accolto ci vuole questa attenzione. Tante volte, nel desiderio di risolvere i problemi si pensa che una soluzione possa essere quella di togliere questi simboli religiosi della comunità ospitante per accogliere meglio gli altri. In realtà, questo non solo non risolve i problemi ma li acuisce ancora di più. Quindi, penso che le autorità, tutte, ma in particolare le autorità politiche, abbiano proprio l’obbligo di fare attenzione a questo e che tutti rispettino i diritti di tutti. La libertà religiosa è una libertà per tutti ed è una libertà che non può essere oppressiva a danno di una delle componenti della società.

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Convegno diocesano di Roma: i fedeli si confrontano

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Parroci, catechisti, operatori pastorali e fedeli di Roma si sono riuniti ieri per il convegno diocesano 2015, con l’obiettivo di formulare proposte per il prossimo anno pastorale. Quaranta laboratori di studio per dieci temi focalizzati sull’accoglienza ai genitori e la trasmissione della fede tra le generazioni. C'era per noi Michele Raviart

R. – Mi sono avvicinata da pochissimo alla parrocchia, perché sono separata. Sono riuscita in qualche modo ad avvicinarmi un poco di più a questo cammino e devo dire che l’esperienza più bella in questa parrocchia è che non mi sono sentita diversa, rifiutata o un po’ emarginata, ma anzi accolta benissimo.

R. – Ci sono sempre più persone anziane che non hanno la possibilità di andare in Chiesa, ma chiedono la comunione. Quindi, noi in parrocchia abbiamo un gruppo molto affiatato e nutrito di ministri straordinari della comunione e, ad esempio, organizziamo una volta all’anno il sacramento dell’unzione degli infermi. Sono cose che, secondo me, dovrebbero trovare un nuovo impulso.

R. – Ho notato che c’è purtroppo un forte distacco: i genitori vengono a chiedere il Battesimo, ma dopo non si vedono più, non c’è una partecipazione. Rivediamo poi questi bambini a 8 anni, quando cominciano il cammino per l’iniziazione cristiana. Bisognerebbe trovare il modo di coprire questo buco temporale.

R. – Una cosa che mi fa piacere, nella mia parrocchia, è che il vice parroco, per esempio, ogni volta che finisce la Messa, esca dalla Chiesa, si metta sul sagrato e saluti tutti i parrocchiani che escono. Mi sento accolta anche in questo.

I fedeli di Roma raccontano le loro esperienze di vita cristiana, quello che gli piacerebbe vedere nelle parrocchie diverse dalla loro, quello che invece vorrebbero veder migliorare. Con questo spirito si sono confrontati in centinaia nelle aule della Pontificia Università Lateranense e nel vicariato. Divisi per gruppi di lavoro, hanno formulato le loro proposte concrete in vista degli orientamenti pastorali del prossimo anno. Umberto Masca, catechista della chiesa  “Regina pacis”.

R. – La Chiesa di Roma ha una ricchezza di esperienze che appunto mi sconvolge, mi lascia sempre a bocca aperta. Quindi quello che mi aspetto, prima di tutto, è che vengano condivise le cose che già funzionano, prima di inventarne altre. Sarà molto probabile scoprire che in qualche parrocchia si fanno cose che magari nella mia non si fanno e che hanno un bel ritorno. La Chiesa di Roma è viva, c’è tanta gente che la vive e dentro a questa tanta vita; poi si trovano delle perle, delle persone veramente valide.

Il tema del convegno diocesano è “I genitori testimoni della bellezza e della vita”. La loro evangelizzazione e la loro accoglienza in parrocchia  sono una delle sfide maggiori per la diocesi di Roma, come ci spiega Don Marco della parrocchia della Santissima Annunziata.

R. – I genitori che fanno l’iniziazione cristiana devono essere supportati nel capire la loro vocazione di cristiani, di marito e moglie, con la complessità che si portano appresso, perché metà delle famiglie sono unite e metà delle famiglie sono divise. Allora, questo laboratorio dice: è importante che noi diamo valore, sostanza, a quella che è la loro vocazione, perché a partire dal loro vissuto, parlano di Cristo. Quindi noi come parrocchia ci dobbiamo interrogare: come li aiutiamo? Come li sosteniamo? Come gli facciamo fare le giuste domande e come li aiutiamo a trovare le risposte giuste?

Le famiglie – e questo è stato un altro degli argomenti dei laboratori – spesso subiscono delle ferite profonde al loro interno. Don Roberto, parroco di Sant'Ugo, ha coordinato uno dei gruppi e spiega quali dovrebbero essere le linee guida

R. – Credere che, anche se una persona ha una storia ferita o anche, volendo calcare ancor più la mano, ha sbagliato, il Signore continua a parlargli, che lo Spirito Santo gli propone percorsi. Quindi, entrare nella mentalità, come comunità cristiana, di fare un discernimento spirituale, nel senso alto del termine: cosa sta dicendo lo Spirito a queste persone ed aiutarle a scoprirlo.  

I risultati dei laboratori saranno consegnati al cardinale vicario Agostino Vallini e saranno presentati il 14 settembre.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi francesi: nostra vergogna sui migranti

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“Esprimiamo la nostra vergogna per quanto succede nel Mediterraneo e a Calais”. Usano parole forti i vescovi francesi che hanno deciso oggi di scendere in campo con una dichiarazione firmata da tutti i vescovi e cardinali del Consiglio permanente, dedicata alla situazione “sempre più tesa” che i migranti stanno vivendo alla frontiera italiana, a Calais e a Parigi. Nella dichiarazione ripresa dall'agenzia Sir, i vescovi lanciano anche un appello ai cattolici di Francia e all’Europa. “Con sempre maggiore intensità - si legge - ci confrontiamo con la dolorosa situazione dei migranti e dei rifugiati provenienti dall‘Africa e dal Medio Oriente. Per molteplici ragioni, spesso molto drammatiche - guerre, povertà, degradazione del clima - molti sono costretti a lasciare il loro Paese in cui non possono vivere”. 

La Chiesa invita ad accogliere i migranti
I vescovi ricordano che sono molti i cattolici impegnati ad accogliere “i loro fratelli stranieri” preoccupandosi di dare loro “condizioni di vita decenti”. “Salutiamo questo impegno e sollecitiamo tutti i cattolici in Francia a cambiare il loro sguardo, a farsi prossimi, a superare i loro pregiudizi e le loro paure e a osare l’incontro. Non possiamo chiuderci in noi stessi e ignorare la miseria di tanti uomini, donne e bambini di tutto il mondo che cercano solo di vivere degnamente”. 

La comunità francese deve prendersi cura dei migranti
La seconda parte della dichiarazione contiene una serie di appelli. “Dobbiamo prendere coscienza - scrivono i vescovi - che, purtroppo, questa situazione continuerà a peggiorare e che tutta la comunità nazionale, l‘intera società, dovrà prendersene cura. Esortiamo i nostri leader politici ad intensificare una cooperazione internazionale all’altezza delle sfide. L‘Europa soprattutto deve assumersi le sue responsabilità e richiamare i Paesi che la costituiscono, affinché diano una risposta reale. È in gioco la dignità delle persone”. (R.P.)

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Siria. Mons. Hindo: prove di forza tra milizie curde e gruppi pro-Assad

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Negli ultimi giorni la città di Qamishli, nella provincia siriana nord-orientale di Jazira, è stata al centro di violente contese che offrono uno spaccato delle complesse dinamiche in atto nel conflitto siriano. A contrapporsi sono state in particolare le milizie curde e i cosiddetti gruppi di auto-difesa nazionale, considerati allineati con l'esercito governativo di Assad, ma che in realtà prendono spesso iniziative autonome per riaffermare la propria rilevanza e guadagnare posizioni di forza nell'area. Lunedì scorso, proprio i gruppi di autodifesa nazionale – che puntano a ottenere vantaggi materiali nella situazione di conflitto e per questo, secondo fonti locali consultate dall'agenzia Fides, non risultano in realtà impermeabili nemmeno alle infiltrazioni delle formazioni jihadiste, avevano preso il controllo di una prigione minorile e di una centrale elettrica della città, catturando anche un membro del Democratic Union Party, la formazione politica curda siriana legata al Pkk.

Liberate le persone prese in ostaggio
In risposta, le milizie curde hanno messo in atto una controffensiva nella città, assumendo il controllo del direttorato dei trasporti, del palazzo della sicurezza militare e della stazione ferroviaria, e prendendo in ostaggio una ventina di miliziani delle forze di sicurezza nazionale. Durante gli scontri sono stati esplosi anche alcuni colpi di granata. La situazione si è poi lentamente e temporaneamente normalizzata, con la liberazione di tutte le persone prese in ostaggio da entrambe le parti.

Mons. Hindo: ognuno persegue interessi propri e strategie di auto-affermazione
 “Questo episodio” commenta alla Fides, Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassakè- Nisibi “conferma che la situazione in questa parte della Siria è complicata dalle inutili prove di forza messe in atto dai tanti soggetti operanti sul campo. Ognuno persegue interessi propri e proprie strategie di auto-affermazione. Negli ultimi giorni le milizie jihadiste che premevano su Qamishli sono state allontanate ad almeno 60 chilometri dalla città, ma le lotte tra varie fazioni frantumano il fronte di una possibile reazione unitaria davanti all'offensiva jihadista”. 

Ancora nessuna notizia dei 230 cristiani assiri, in ostaggo dell'Is
​L'arcivescovo siro cattolico riferisce all'agenzia Fides che negli ultimi giorni sono stati rilasciati altri due anziani tra i più di 230 cristiani assiri presi in ostaggio dai jihadisti dallo scorso febbraio, aggiungendo che degli altri prigionieri non si hanno notizie certe. “Ci sono voci secondo cui alcuni di loro sarebbero stati portati a Raqqa e altri addirittura a Mosul, nelle roccaforti dello Stato Islamico” spiega mons. Hindo, “ma sono tutte indiscrezioni non verificate”. (G.V.)

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Libano: preghiera a Madonna di Fatima per stabilità del Paese

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Dopo che ben 24 sedute parlamentari convocate per l'elezione di un nuovo Presidente sono andate a vuoto, nella giornata di ieri una moltitudine di cittadini ha accompagnato fino al Parlamento libanese la statua della Madonna di Fatima, giunta in Libano dal santuario portoghese, dando vita a un raduno con canti e preghiere per chiedere l'intercessione della Vergine Maria affinchè il Paese dei Cedri esca dalla pericolosa paralisi politica che lo affligge da più di un anno.

L'invocazione per superare le divisioni e ad eleggere un nuovo Presidente
La statua della Vergine, giunta in Libano dal Portogallo la scorsa settimana, ieri mattina è stata portata nella cattedrale maronita di San Giorgio, al centro di Beirut, dove una Messa è stata presieduta dall'arcivescovo maronita Boulos Youssif Matar. Dopo la liturgia eucaristica, la statua è stata portata in processione fino al palazzo del Parlamento, mentre centinaia di fedeli hanno riempito Piazza Nejmeh. Nel cortile interno della sede istituzionale, con il permesso del Presidente dell'assemblea parlamentare, e stata recitata una preghiera per chiedere che la Madre di Dio muova i politici libanesi a superare le divisioni e ad eleggere un nuovo Presidente. All'evento hanno preso parte anche politici cristiani appartenenti ai diversi blocchi che da più di un anno non riescono a trovare l'accordo per l'elezione del nuovo Capo dello Stato (carica che il complesso sistema politico libanese riserva a un cristiano maronita).

La preghiera per porre fine alla paralisi del sistema politico
“Lo stallo politico - riferisce all'agenzia Fides padre Rouhael Zgheib, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie del Libano - pesa in maniera grave sulla condizione concreta del popolo e mette a rischio la stabilità della nazione, in un momento in cui tutta la regione è sconvolta dai conflitti. I fedeli nella preghiera chiedono spesso cose molto concrete, come il dono della pace e la guarigione dalle malattie. E la paralisi del nostro sistema politica rischia davvero di diventare una malattia pericolosa per la vita di tutti”. (G.V.)

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Chiesa dell'Ecuador plaude a invito del presidente Correa al dialogo

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La Conferenza episcopale dell’Ecuador ha  apprezzato l’invito al dialogo lanciato dal Presidente Rafael Correa  in vista dell’imminente visita di Papa Francesco nel Paese, prevista dal 5 al 8 luglio, che poi lo vedrà  in Bolivia e Paraguay. Il Presidente in un messaggio televisivo a reti unificate ha annunciato il ritiro temporale  dei progetti di legge sull’eredità e la plusvalenza che nelle ultime settimane avevano causato forti polemiche e violenti proteste da parte di diversi gruppi di oppositori. In un comunicato, i vescovi si congratulano per l'apertura al dialogo, “unico cammino possibile per  trovare soluzioni giuste e ragionevoli perché – affermano -  la violenza, da qualsiasi parte venga, è sempre distruttiva”.

Ricevere il Papa in un clima di gioia e di riflessione
Durante la trasmissione , il presidente Correa ha spiegato che la decisione di rimandare la discussione di queste leggi  è per evitare che “gruppi di oppositori continuino a provocare con atti di violenza, in modo di creare un ambiente di pace, di gioia e di riflessione per la visita di Papa Francesco”. In questo senso ha invitato ad aprire un grande dibattito nazionale sulle leggi e, in generale, sull’idea di Paese che vorrebbero gli ecuadoregni, ma senza urla, manipolazioni, insulti e infamie. In questo senso, il presidente dell’episcopato, mons. Fausto Tràvez, ha ribadito che la visita del Santo Padre “può essere un'occasione per riprendere il dialogo, per avvicinarsi, stemperare le tensioni e per trovare diverse alternative per poter arrivare al consenso”.

Facciamo vedere al Papa un popolo cattolico unito
​Il comunicato dei vescovi diffuso all’indomani dell’annuncio del Presidente, ricorda che il Papa porta un messaggio di pace, di unità e di speranza che sono condizioni indispensabili per costruire una società più giusta e solidare. L’episcopato ha esortato il governo e la popolazione a mantenere un dialogo permanente e ha invitato a far vedere al Papa “che siamo un Paese cattolico unito e che le difficoltà le affrontiamo insieme”.  (A cura di Alina Tufani)

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Filippine: la Chiesa pronta a divulgare l'enciclica del Papa

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L’enciclica di Papa Francesco sull’ecologia e sulla cura del creato è molto attesa dalla Chiesa filippina, che si sta preparando per darle il massimo risalto possibile. Diversi gruppi cattolici, soprattutto quelli impegnati nel settore - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno deciso una serie di iniziative per fare in modo che il testo firmato dal Pontefice sia compreso e diffuso il più possibile nel Paese.

L'esigenza di far conoscere a tutti l'enciclica
​Secondo il padre gesuita Michael Czerny, membro della Commissione episcopale di Giustizia e pace, l’enciclica “non otterrà il risultato sperato se i gruppi e i singoli cattolici non saranno pronti ad accoglierla e diffonderla”. Dello stesso avviso il missionario colombano padre John Leydon, che dice: “Le prime 72 ore dalla pubblicazione sono le più importanti. Se saremo in grado di tenere alta l’attenzione, allora la popolazione risponderà all’appello del Papa”.

Messaggi dell'enciclica sugli smathphone
In quest’ottica, il Global Catholic Climate Movement ha intenzione di incontrare e aggiornare gli operatori televisivi sui contenuti della “Laudato sì, sulla cura della casa comune” in modo da prepararli e far loro comprendere il messaggio profondo lanciato da Francesco. Allo stesso modo, i cattolici filippini intendono usare anche gli smartphone:”Abbiamo formato dei ‘gruppi’ – racconta l’attivista Lu Reyn – che manderanno brevi messaggi di testo sull’enciclica al maggior numero di persone possibili. Vogliamo proprio risvegliare l’interesse comune su questa emergenza”. (S.K.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 168

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.