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Sommario del 16/06/2015
- Il Papa: povertà cristiana non è ideologia, è al centro del Vangelo
- In udienza dal Papa il Gran Maestro dell'Ordine di Malta
- Francesco nomina inviati speciali a Strasburgo e in Perù
- Enciclica. P. Lombardi: testo pubblicato non è quello finale
- Roaco: Siria ed Iraq al primo giorno dei lavori
- Migranti. Tomasi: accoglienza Ue sia equa, basta populismi
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Mons. Antoniazzi: Ventimiglia, fallimento se Ue non ragiona
- Filippine: primi passi per la pace con i ribelli islamici
- Nicaragua: manifestazioni contro il Gran Canale di 278 Km
- Giornata del bambino africano: stop a matrimoni forzati
- Padre denuncia indottrinamento gender in scuola a Trieste
- Convegno diocesano al via col rapporto Censis sulla famiglia
- Siria: attaccati quartieri di Aleppo. Il timore dei cristiani
- Sinodi maronita e greco-melkita: 60% dei libanesi pensa di emigrare
- Kenya: vescovo di Garissa sulla marcia della speranza
- Phnom Pehn: aperto processo di Beatificazione martiri cambogiani
- Il Giffoni Filmfestival a Casal di Principe
Il Papa: povertà cristiana non è ideologia, è al centro del Vangelo
Se si toglie la povertà dal Vangelo non si può capire il messaggio di Gesù. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta dedicata proprio alla contrapposizione tra ricchezza e povertà. Il Pontefice ha poi ribadito che è ingiusto definire “comunisti” quei sacerdoti o vescovi che parlano dei poveri. Il servizio di Alessandro Gisotti:
San Paolo organizza la colletta nella Chiesa di Corinto per la Chiesa di Gerusalemme che vive momenti difficili di povertà. Francesco ha sviluppato la sua omelia sulla “teologia della povertà” partendo dalla Prima Lettura e subito ha osservato che oggi come allora, povertà è “una parola che sempre mette in imbarazzo”. Tante volte, ha affermato, si sente dire: “Ma questo sacerdote parla troppo di povertà, questo vescovo parla di povertà, questo cristiano, questa suora parlano di povertà… Ma sono un po’ comunisti, no?” E invece, ha avvertito, “la povertà è proprio al centro del Vangelo. Se noi togliessimo la povertà dal Vangelo, non si capirebbe niente del messaggio di Gesù”.
Quando la fede non arriva alle tasche non è genuina
San Paolo, ha proseguito, parlando alla Chiesa di Corinto evidenzia qual è la loro vera ricchezza: “Siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato”. Così, è l’esortazione dell’Apostolo delle Genti, “come siete ricchi, siate larghi anche in questa opera generosa” in “questa colletta”:
“Se avete tanta ricchezza nel cuore, questa ricchezza tanto grande – lo zelo, la carità, la Parola di Dio, la conoscenza di Dio – fate che questa ricchezza arrivi alle tasche. E questa è una regola d’oro. Quando la fede non arriva alle tasche, non è una fede genuina. E’ una regola d’oro che Paolo qui dice: ‘Voi siete ricchi in tante cose, adesso, così, siate larghi in questa opera generosa’. C’è questa contrapposizione fra ricchezza e povertà. La Chiesa di Gerusalemme è povera, è in difficoltà economica, ma è ricca, perché ha il tesoro dell’annuncio evangelico. E questa Chiesa di Gerusalemme, povera, ha arricchito la Chiesa di Corinto con l’annuncio evangelico; gli ha dato la ricchezza del Vangelo”.
Lasciarsi arricchire dalla povertà di Cristo
Voi, ha proseguito riprendendo San Paolo, che “siete ricchi economicamente e che siete ricchi, con tante cose, eravate poveri senza l’annuncio del Vangelo, ma avete arricchito la Chiesa di Gerusalemme, allargando il popolo di Dio”. “Dalla povertà viene la ricchezza – ha soggiunto Francesco – è uno scambio mutuo”. Ecco dunque il fondamento della “teologia della povertà”: “Gesù Cristo da ricco che era – dalla ricchezza di Dio – si è fatto povero”, si è abbassato per noi. E di qui allora il significato della prima Beatitudine “Beati i poveri di spirito”. Cioè “essere povero è lasciarsi arricchire dalla povertà di Cristo e non volere essere ricco con altre ricchezze che non siano quelle di Cristo”:
“Quando noi diamo aiuto ai poveri, non facciamo cristianamente opere di beneficienza. Questo è buono, è umano - le opere di beneficienza sono cose buone e umane – ma questa non è la povertà cristiana, che vuole Paolo, che predica Paolo. La povertà cristiana è che io do del mio e non del superfluo, anche del necessario, al povero, perché so che lui mi arricchisce. E perché mi arricchisce il povero? Perché Gesù ha detto che Lui stesso è nel povero”.
La povertà cristiana non è un’ideologia
Quando mi spoglio di qualcosa, ha evidenziato, “ma non solo del superfluo, per dare ad un povero, ad una comunità povera”, questo “mi arricchisce”. “Gesù agisce in me quando faccio questo – ha detto – e Gesù agisce in lui, per arricchirmi quando faccio questo”:
“Questa è la teologia della povertà; questo è perché la povertà è al centro del Vangelo; non è un’ideologia. E’ proprio questo mistero, il mistero di Cristo che si è abbassato, si è umiliato, si è impoverito per arricchirci. Così si capisce perché la prima delle Beatitudini sia ‘Beati i poveri di spirito’. Essere povero di spirito è andare su questa strada del Signore: la povertà del Signore che, anche, si abbassa tanto che adesso si fa’ ‘pane’ per noi, in questo sacrificio. Continua ad abbassarsi nella storia della Chiesa, nel memoriale della sua passione, nel memoriale della sua umiliazione, nel memoriale del suo abbassamento, nel memoriale della sua povertà, e di questo ‘pane’ Lui ci arricchisce”.
In udienza dal Papa il Gran Maestro dell'Ordine di Malta
Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, insieme con Fra' Matthew Festing, Principe e Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Francesco nomina inviati speciali a Strasburgo e in Perù
Papa Francesco ha nominato il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura, come suo inviato speciale alla celebrazione del millenario delle fondamenta della Cattedrale di Strasburgo, prevista per il 15 agosto 2015.
Il Papa ha nominato il cardinale Raúl Eduardo Vela Chiriboga, arcivescovo emerito di Quito, come suo inviato speciale al decimo Congresso eucaristico nazionale del Perù, che sarà celebrato a Piura dal 13 al 16 agosto 2015.
Enciclica. P. Lombardi: testo pubblicato non è quello finale
Il testo italiano di una bozza dell’Enciclica del Papa “ Laudato si’ ”, pubblicata ieri sul sito del settimanale l’Espresso “non è il testo finale”. Così in una nota il direttore della Sala stampa vaticana padre Federico Lombardi. ”La regola dell’Embargo rimane in vigore”, aggiunge padre Lombardi, ”si invita a rispettare la correttezza giornalistica che richiede di attendere la pubblicazione ufficiale del testo finale”. La presentazione alla stampa dell’Enciclica,lo ricordiamo, è prevista giovedì prossimo.
Roaco: Siria ed Iraq al primo giorno dei lavori
Con le sessioni dedicate alla Chiesa in Siria, in Iraq, si è aperto in Vaticano il primo giorno di lavori della 88.ma Plenaria della Roaco, la Riunione delle Opere di Aiuto per le Chiese Orientali. Il Presidente, il cardinale Leonardo Sandri, dopo aver celebrato la Messa ha presentato il programma degli interventi che termineranno domani, soffermandosi sul viaggio compiuto lo scorso maggio nelle comunità religiose e tra i profughi iracheni. Il servizio di Gabriella Ceraso:
“Lasciate la frusta appesa nella Sacrestia e siate pastori con tenerezza”. Il cardinale Sandri riprende la parole rivolte dal Papa ai sacerdoti, nei giorni scorsi, per sollecitare lo spirito di amore richiesto a tutti nell’andare incontro ai fedeli perseguitati e sofferenti. Quindi, lo sguardo all’Iraq: la tensione è palpabile, racconta, sia per l’avanzata dell’Is che per il terrorismo. Il suo pensiero va ai tanti religiosi in ostaggio, ma anche alle innumerevoli iniziative di solidarietà e consolazione, con cui, dice il porporato, il Papa e le chiese del mondo si stanno facendo presenti. Situazione simile nella vicina e martoriata Siria dove, come nell'udienza alla Roaco ha detto ieri il Papa, la vita vale meno del petrolio e delle armi. "Occorre un sforzo in più", dice il nunzio apostolico a Damasco, mons Mario Zenari:
“Purtroppo la situazione in Siria, di anno in anno – è il terzo anno che partecipo a questa riunione della Roaco – non migliora, anzi va peggiorando. Una guerra talmente crudele, che c’è da aspettarsi purtroppo di tutto… C’è da fare un surplus da parte di tutti noi per seminare, io direi, umanità: sostegno economico e soprattutto spirituale a questi nostri fratelli e sorelle cristiani e di altre religioni. Un giorno la primavera verrà e questo deserto siriano germoglierà”.
Anche la Siria sente la vicinanza del Papa e della Chiesa mondiale. "Balsamo" prezioso, aggiunge mons Zenari:
“I cristiani – ma direi non solo i cristiani – contano molto sulla autorità morale del Santo Padre, che è molto, molto alta. Tutti quanti, compreso il governo, hanno bisogno di sentirsi rafforzati da questa comunione di tutte le Chiese. Fa molto bene sentirsi incoraggiati, ricordati da tanti fratelli e sorelle sparsi nel mondo: siamo molto, molto riconoscenti a questi aiuti che arrivano come gocce in questo deserto. Qui c’è bisogno di tutto, è una situazione disastrosa…”
Gli aiuti in effetti sono tanti: si parla in particolare della Colletta del Venerdì Santo, fonte principale per il sostentamento nella Terra Santa. Il risultato è positivo, spiega padre Pierbattista Pizzaballa:
“C’è una risposta abbastanza buona da parte di tutte le Chiese: i progetti sono per due terzi di carattere sociale: scuole, sostegno alla Siria, sostegno ai profughi, attività di sostegno ai disagi in tutta la Terra Santa”.
Sempre comunque nel segno della carità e non dell'"efficientismo", come chiede Papa Francesco:
“Da un certo punto di vista, è importante che ci sia una certa professionalità, una programmazione negli aiuti, per evitare dispersione di risorse. Dall’altro lato, non deve diventare il criterio unico, perché bisogna guardare alle persone, ai loro bisogni, che non sono sempre all’altezza delle richieste burocratiche che a volte l’Occidente richiede. Quindi, bisogna trovare un sano equilibrio dove il cuore e l’attenzione sono al bisogno reale e non alla procedura, che comunque è importante”
Migranti. Tomasi: accoglienza Ue sia equa, basta populismi
L’Europa apra le porte ai migranti con politiche idonee, evitando di farsi influenzare dalle “pressioni populiste irrazionali”. A chiederlo con chiarezza, a nome della Santa Sede, è stato il rappresentante vaticano alle Nazioni Unite di Ginevra, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, nel suo intervento di ieri al Consiglio Onu per i diritti umani. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Altro che sbarre abbassate e poliziotti schierati alle frontiere, i nuovi “muri” antimigranti che si alzano da giorni qua e là lungo quell’Europa che si vanta di aver abbattuto un giorno un Muro dell’ignominia. All’Onu di Ginevra, mons. Tomasi parla chiaro e in direzione contraria al vento del rifiuto che spira nel Vecchio continente contro le masse che sbarcano, soprattutto sulle coste italiane, chiedendo di poter avere una nuova chance.
Distribuiti equamente
L’osservatore vaticano è diretto. Non solo, afferma, “le operazioni di ricerca e soccorso devono continuare ed essere ulteriormente rafforzate”, e “la necessità di tutelare il diritto alla vita di tutti, a prescindere dallo status personale, deve restare la priorità”. Ma il “reinsediamento in Europa, così come in altre parti del mondo, deve essere – invoca – effettivamente svolto e più equamente distribuito, con la dovuta attenzione alle esigenze di sicurezza e sociali, ma senza – sottolinea – acquiescenza alle pressioni populiste irrazionali”. E terzo, suggerisce, “le autorità competenti dovrebbero fornire canali legali più sicuri di emigrazione e di accettazione concreta, in modo da conciliare i diritti dei migranti e gli interessi legittimi delle società che ricevono”.
Manca visione strategica
Ciò che è sotto gli occhi di tutti è invece altro. “Il sistema multilaterale, in particolare i Paesi di immigrazione – osserva mons. Tomasi – non sono ancora riusciti a gestire in modo efficace la migrazione”. “Evidente”, riconosce, è “la grande generosità nell’accoglienza dei richiedenti asilo e dei migranti”, ma una vera “strategia per l'immigrazione a lungo raggio è ancora carente”. Il presule snocciola delle cifre: almeno 1.800 migranti morti dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo, o i 25 mila Rohingya e gente del Bangladesh imbarcati da trafficanti e destinati in Thailandia e in Malesia. E ancora – mons. Tomasi lo definisce un “totale scioccante” – i 68 mila minori non accompagnati fermati tra l’ottobre 2013 e il settembre 2014 dalla polizia di frontiera statunitense.
Diritti-doveri comprensibili
Mons. Tomasi spinge perché il sistema multilaterale lavori “meglio insieme”. Dunque, poiché la “questione della migrazione non è una variabile isolata ma – sottolinea il rappresentante vaticano – una componente importante nel contesto delle relazioni politiche, economiche e commerciali”, è fondamentale – indica – che la comunità internazionale agisca di concerto anzitutto per garantire la difesa dei diritti degli immigrati, ideando in fase di accoglienza dei “meccanismi adeguati per l'accettazione sociale dei migranti”, per esempio la “stesura di Carte sui diritti e doveri” che siano “facilmente comprensibili” da chi vuole integrarsi e forniscano uno status giuridico sicuro, con diritti e responsabilità chiari e specifici”.
L’ambiente adeguato
E un intervento internazionale nel segno della solidarietà può avvenire in parallelo nei Paesi di origine dei migranti: creando – elenca mons. Tomasi – posti di lavoro “dignitosi e di qualità”, promuovendo “un più giusto ed equo ordine finanziario ed economico”, migliorando “l'accesso ai mercati, al commercio e alla concorrenza, attraverso lo scambio di tecnologie innovative, l’aumento della partecipazione e della stabilità politica”. Insomma, creando “l'ambiente adeguato” già “a casa” e “rendendo così la migrazione una scelta e non una necessità compulsiva”.
Media, linguaggio non fazioso
Anche i media nazionali, prosegue il presule, potrebbero adottare una “terminologia comune”, “cordiale e appropriata”, che diffonda “un'immagine positiva dei nuovi arrivati”, in modo “da evitare ambiguità, demagogia e istigazione di razzismo, discriminazione, sfruttamento da parte di politici senza scrupoli”. Anche perché, riconosce il presule, “la percezione dei migranti come di un fardello va contro l'evidenza del loro contributo all'economia nazionale dei Paesi di accoglienza”, poiché sanno arricchire la “cultura nazionale con nuovi valori e punti di vista”, pagano le tasse, avviano “nuove imprese”, forniscono dei servizi.
Accoglierli è nell’interesse di tutti
“La migrazione e il cambiamento climatico sono le principali sfide del 21.mo secolo. A lungo termine – è la considerazione del rappresentante della Santa Sede – è necessario affrontare le cause profonde di un fenomeno così globale. Il tempo passa e più si aspetta, più alto sarà il costo”. Dunque, “le misure proposte – conclude – non sono una mera concessione ai migranti. Esse sono nell'interesse dei migranti, delle società che accolgono, della comunità internazionale nel suo complesso. Promuovere e rispettare i diritti umani dei migranti e la loro dignità assicura che i diritti e la dignità di tutti siano pienamente rispettati nella società”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
In prima pagina. Uniti nella resurrezione; la proposta di Papa Francesco sulla data della Pasqua.
Grexit terra sconosciuta; Monito di Mario Draghi dopo le reciproche accuse tra Bruxelles e Atene.
In Cultura. Magnifica donna, Manlio Simonetti sui Sermoni mariani di Ambrogio Autperto editi e tradotti in italiano da Massimo Bini.
Specchio dell’amore di Dio, I testi sull’ecologia dell’uomo di Benedetto XVI
Il buon senso di Wellington; Duecento anni dopo la battaglia di Waterloo, di Gabriele Nicolò.
Una nuova vulnerabilità; opportunità e limiti della telemedicina via cellulare di Laura Palazzani.
Mons. Antoniazzi: Ventimiglia, fallimento se Ue non ragiona
Gli effetti della “primavera araba”, il ruolo della Chiesa e delle Caritas nazionali nell’accoglienza dei migranti. Sono questi alcuni dei temi al centro, a Tunisi, di “Migramed Meeting”, l’annuale incontro di Caritas italiana con le Caritas europee e del Mediterraneo. Serve una nuova "primavera", perché quella vissuta in alcuni Paesi non ha incarnato i valori che l’hanno ispirata. E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco l’arcivescovo di Tunisi, mons. Ilario Antoniazzi:
R. – Questa primavera si è trasformata forse in un inverno per certi Paesi, approfittando dello spirito di libertà che questa cosiddetta "primavera araba" aveva dato. E allora ne vediamo le conseguenze oggi in certi Paesi e soprattutto per i migranti che sono caduti in mano a tutti questi movimenti terroristici, questi trafficanti di uomini, che se ne approfittano. La realtà è triste. Bisogna vedere non solo i motivi e le paure, che possono venire, ma anche i loro problemi: la guerra, la fame, le malattie, la sete… C’è gente che muore di sete. E tutte queste sono realtà che la Chiesa oggi deve affrontare tramite e con la Caritas. La Chiesa naturalmente dipende anche dalle capacità che possiede da un Paese all’altro. Nel mondo del Maghreb – a parte la Libia che vive una situazione un po’ particolare – la Chiesa ha un ruolo molto, molto importante: è sempre in contatto con i migranti ed è sempre in contatto con le persone che soffrono. E’ la nostra missione qui, è la nostra vera testimonianza:vorrei dire la nostra vera "predica", perché il proselitismo – parlare in pubblico – per noi è proibito. Nessuno, però, ci impedisce di voler bene alla gente, soprattutto a coloro che soffrono, e questo non lascia indifferente il mondo, il popolo.
D. – Dietro la gestione dei flussi migratori, spesso si nascondono logiche di malaffare, quindi anche traffici economici. Può essere la soluzione dell’accoglienza in famiglie, in comunità, proprio una scelta preferenziale?
R. – Certamente, il fatto del commercio, del traffico delle persone umane è una questione economica per tutti questi movimenti chiamati “terroristici”. L’Europa non è capace di dare una soluzione. Sarebbe bello che in ogni famiglia, come ha detto, il cardinale Montenegro, ci fossero uno o due migranti che potessero essere adottati in modo da poter vivere degnamente. Ma noi cristiani abbiamo questa mentalità dell’accoglienza dello straniero? Nel Vangelo è scritto: “Ero straniero e mi avete accolto”. E’ una bella frase, ma siamo capaci di viverla? Questa è una domanda che io farei a tutti i Paesi, ai cristiani d’Europa.
D. – Un’immagine che ferisce oggi, a proposito di immigrazione, è quella che viene da Ventimiglia. E’ un po’ il fallimento di un’Europa che non riesce a trovare un approccio comune al fenomeno migratorio…
R. – L’Europa non ha una definizione chiara del terrorismo. Che cos’è il terrorismo? Nessuno lo sa. Ci sono troppe definizioni e contraddittorie e questo comporta soluzioni differenti. E la stessa cosa per ciò che riguarda i migranti: ogni Stato considera il migrante secondo una propria teoria e allora li accetta più o meno. L’Europa naturalmente non è unita su questo punto e le conseguenze le vediamo a Ventimiglia, con la Svizzera e con l’Austria. L’Europa dovrebbe ragionare un po’ di più, altrimenti è un fallimento non solo per coloro che partono inutilmente e rischiano di essere rispediti a casa, ma – fallimento più grande – per l’Europa stessa che non riesce a mettersi d’accordo sui principi essenziali, sui valori dei diritti dell’uomo: quello di vivere in pace – ogni uomo ne ha diritto – di fuggire da un posto dove c’è la fame e dove c’è la guerra ed essere accolto in altri Paesi.
Filippine: primi passi per la pace con i ribelli islamici
Entra nel vivo il processo di pace nelle Filippine. Come previsto dalle intese stilate con il governo di Manila, e che dovrebbero anche portare nella prima metà del prossimo anno alle prime elezioni per la nuova autonomia musulmana nel Sud dell’arcipelago, il Fronte Islamico di Liberazione Moro (Milf) ha consegnato una prima partita di 75 armi da guerra. Simbolicamente, anche 145 ex guerriglieri si sono arresi e consegnati ai rappresentanti governativi. Ma non tutte le tensioni nel Paese sono risolte. Giancarlo La Vella ne ha parlato con padre Gianni Re del Pime, da anni missionario nelle Filippine:
R. – Si spera che questo sia un gesto veramente significativo da parte soprattutto del Movimento Islamico del Sud delle Filippine, che sta trattando da parecchio tempo con il governo filippino. Però non sono state, fino ad ora, rispettate le date stabilite dal presidente per l’approvazione di questo Trattato tra questo gruppo, che ha combattuto il governo per parecchi anni, e Manila. Questo accordo deve essere approvato dal Congresso e dal Senato filippino, ma fino a questo momento non c’è stato alcun voto, anzi la discussione della questione è stata più volte rinviata. Per cui bisognerà vedere cosa succederà dopo: sia se questo Trattato verrà "annacquato", perché alcuni dicono che diversi suoi articoli sono anticostituzionali; sia perché alcuni temono che con questa intesa si dia troppo potere a questo gruppo musulmano.
D. – Si può parlare, comunque, di un momento di distensione e di stabilizzazione rispetto al un passato fatto di continui attentati e attacchi sanguinosi?
R. – Sì, c’è stata una diminuzione di violenze in alcune zone, però c’è ancora tensione in altre zone. I rapimenti continuano, anche se c’è da dire anche che questo non è sempre imputabile ai gruppi musulmani. Inoltre il fronte islamico si è ulteriormente diviso, perché oltre al famigerato Abu Saayaf, adesso c’è anche un altro gruppo che sta combattendo il governo. Si spera sempre che ci siano veramente dei cambiamenti e che soprattutto arrivi un po’ di pace per la popolazione civile.
D. – Come la Chiesa locale e le missioni si stanno impegnando per favorire questo processo di pace?
R. – Da mesi stiamo soprattutto cercando di spiegare i contenuti di questo Trattato di pace e, allo stesso tempo, stiamo cercando di far capire che non bisogna sempre continuare ad avere paura e sospetti, ma bisogna dare anche una possibilità affinché la pace possa veramente arrivare in certe zone e soprattutto a Mindanao.
Nicaragua: manifestazioni contro il Gran Canale di 278 Km
In Nicaragua, manifestazioni contro il progetto del Gran Canale voluto in alternativa a Panama dal presidente Ortega e votato nei giorni scorsi. Il canale collegherà l’Oceano Atlantico con il Pacifico per un’estensione di 278 chilometri, mentre il Canale di Panama raggiunge i 77 Km di lunghezza. Tra i rischi, l’espropriazione di terre agricole e l’utilizzo come parte del tracciato del Lago Cocibolca (o Lago del Nicaragua), lo specchio d’acqua dolce più grande del Paese dell’America Latina, con probabili danni ambientali. La società concessionaria, la cinese Hong Kong Nicaragua Development, sostiene di poter terminare l’opera in dieci anni, a un costo di 50 miliardi di dollari. Fausta Speranza ne ha parlato con Domenico Fracchiolla, docente all’Università Luiss:
R. - Il presidente Ortega è spinto da interessi di carattere economico, da interessi di carattere politico e soprattutto dalla necessità di affrontare quella che è la situazione di crisi da cui esce il Nicaragua e da cui esce tutta l’area. Tuttavia dobbiamo inserire questa iniziativa all’interno delle relazioni internazionali in un campo visivo più ampio.
D. – Dunque la partita si gioca - diciamo così - tra Stati Uniti, che hanno il controllo del Canale di Panama, attraverso il quale passa il 5 per cento del commercio mondiale; e la Cina, concessionaria per la realizzazione di questo nuovo canale voluto dal Nicaragua…
R. – Assolutamente sì! La partita si gioca tra Stati Uniti e Cina. Anche nella progettazione, questo canale presenta chiaramente l’ambizione della Cina di proporsi come un grande attore internazionale. La Cina ha posto un grande impegno nel sottolineare la non alternatività di questo canale al Canale di Panama: proponendosi, invece, in chiave diplomatica, come un canale che completa il passaggio tra i due Oceani. Detto questo, comunque, è una chiara iniziativa nella direzione di intaccare quella che fino ad oggi era un’area di assoluto riferimento degli Stati Uniti.
D. – Guardiamola dal punto di vista del Nicaragua. Opportunità, ma anche criticità: problemi ambientali, diritti degli indigeni forse calpestati intorno al lago…
R. – Sì opportunità, ma anche rischi. Adesso stiamo aspettando il rapporto, lo studio di questa società di consulenza che dovrà presentare i rischi ambientali e l’impatto ambientale. Ci sono anticipazioni e rassicurazioni nel senso di una grande attenzione a questo ambito. Quello che possiamo dire è, invece, che la politica di sviluppo dei Brics in generale e in particolare della Cina non brilla, in questi anni, di particolare sensibilità verso i temi ambientalisti. Possiamo dire che, da questo punto di vista, i rischi ambientali ci sono e sono evidenti.
D. – Professore, qual è il margine di rassicurazione da parte del Nicaragua?
R. – Il margine di rassicurazione è rappresentato dai possibili vantaggi di carattere economico e sociale. Si parla di una grande attenzione nella ricostruzione di quegli insediamenti umani che verranno ad essere – diciamo così – cancellati dal canale. Rappresentano quindi il margine di successo, di sviluppo, che tra l’altro per il Nicaragua è piuttosto importante, visti gli effetti della crisi economica e finanziaria, che hanno fatto sentire pesantemente la loro conseguenza nel Paese.
D. – Diciamo qualcosa della reazione della popolazione? Sappiamo di manifestazioni, ma forse qualcuno intravvede anche sviluppo economico…
R. – Sì, infatti qualcuno intravvede uno sviluppo economico. Le manifestazioni sono condotte essenzialmente dalle opposizioni e dai movimenti che fanno riferimento alla tutela dei diritti della salvaguardia ambientale e degli insediamenti delle popolazioni locali. Ricordiamo, tra l’altro, che il canale passerà all’interno di questa grande risorsa idrica del Nicaragua, che è rappresentata dal Lago Nicaragua. L’impatto ambientale del canale sarà un impatto imponente, proprio perché i progettisti hanno preferito individuare un percorso più lungo - un percorso che incide profondamente nel territorio del Nicaragua - piuttosto che toccare quelli che potevano essere interessi sensibili di altri Paesi. Il biglietto di ritorno che la popolazione, che la società del Nicaragua dovrebbe avere è quello della garanzia di uno sviluppo economico e sociale per una popolazione sostanzialmente povera.
Giornata del bambino africano: stop a matrimoni forzati
Come ogni anno dal 1991, si celebra oggi la Giornata mondiale del bambino africano. L’evento commemora gli scolari uccisi a Soweto in Sudafrica, perché protestavano contro la cattiva qualità dell’insegnamento che gli veniva riservato sotto il regime dell’apartheid. Questa edizione della Giornata è dedicata all’intensificazione dell’impegno per mettere fine ai matrimoni precoci. Eugenio Murrali ha intervistato padre Efrem Tresoldi, direttore della rivista comboniana "Nigrizia":
R. – In vari Paesi dell’Africa subsahariana, si parla di circa 58 milioni di ragazze che, ancora oggi, sono costrette a matrimoni precoci. C’è ancora molto da fare, soprattutto nel campo dell’istruzione, nei confronti dei genitori, degli adulti, ma anche a partire dall’istruzione scolastica.
D. – Nascere in Africa è ancora oggi per molti una condanna a morte?
R. – Purtroppo sì, in diversi Paesi è proprio una condanna a morte… I bambini sono poi i più indifesi, i più vulnerabili. Penso soprattutto alle situazioni di guerra che riguardano ancora oggi molti Paesi dell’Africa. In questi contesti, i bambini sono vittime di tante violenze, a partire dal rapimento, dal sequestro, per diventare poi bambini soldato. Occorre anche uno sforzo maggiore per riabilitarli una volta che il conflitto cessa, e vengono di nuovo ripresi dalle famiglie. Penso, ad esempio, al lavoro egregio delle suore, nel Nord dell’Uganda, che hanno riabilitato tante centinaia di ex bambini soldato, aiutandoli a riprendere in mano la propria vita. Perché, una volta che cessa il rumore delle armi, queste continuano a ferire il cuore dei bambini per le violenze subite, per quelle che sono stati forzati a commettere contro altre persone, contro la loro volontà.
D. - Quali sono le emergenze?
R. – Quella della possibilità di studio, di istruzione scolastica. A oggi si parla di circa 45 - forse 50 - milioni di bambini dell’Africa subsahariana che non hanno accesso all’istruzione. E poi la malnutrizione: si dice che, ogni anno, circa 4,5 milioni di bambini africani sotto i 5 anni muoiono per malattie legate alla malnutrizione, oppure malattie che possono essere prevenute. Quindi uno sforzo maggiore per limitare la mortalità infantile deve essere ancora fatto.
D. – Lo sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere?
R. – Questa è un’altra grandissima piaga: si parla di circa 60 milioni di bambini che in Africa subsahariana sono impiegati nel lavoro minorile. Ad esempio nel Kivu – nella zona orientale del Congo – i bambini vengono utilizzati in miniere illegali, nei tunnel scavati sotto terra, perché sono più piccoli e possono raggiungere anche maggiori profondità grazie alla loro piccola statura. Quindi questi bambini vengono non soltanto abusati a motivo della loro minore età, ma addirittura corrono maggiori pericoli degli adulti per estrarre l’oro, il coltan e altri minerali preziosi.
D. – Ci sono stati passi avanti in questi anni?
R. – La maggiore frequenza della scuola in alcuni Stati africani. Ci sono anche segni positivi per quanto concerne, ad esempio, le mutilazioni genitali femminili: una pratica diffusa che riguarda circa 40 milioni di bambine dai dieci anni in su. Alla fine del mese scorso, il parlamento della Nigeria ha approvato una legge che considera un crimine la mutilazione genitale femminile.
Padre denuncia indottrinamento gender in scuola a Trieste
Dal Papa domenica sera a Roma un nuovo appello: "I genitori e le famiglie devono reagire alle colonizzazioni ideologiche che avvelenano l'anima e la famiglia ". Intanto, mancano cinque giorni alla manifestazione “Difendiamo i nostri figli” dall’ideologia gender nelle scuole convocata per il prossimo sabato 20 giugno in piazza San Giovanni in Laterano, nella capitale. Da Trieste, arriva la denuncia dei genitori di progetti inseriti nelle offerte formative delle scuole, finanziati dagli enti locali, che prevedono il travestimento dei bambini maschi da femmine e viceversa per abbattere, nelle intenzioni degli organizzatori, i cosiddetti “stereotipi di genere”. E’ il caso del cosiddetto “gioco del rispetto”, spiegato al microfono di Paolo Ondarza, da Amedeo Rossetti, papà di un bambino frequentante una scuola elementare coinvolta:
R. – Dentro al "gioco del rispetto" ritroviamo tanti punti presenti anche nei famosi standard europei sull’educazione sessuale, attribuiti all’Oms.
D. – Che cos’è il gioco del rispetto?
R. – E’ una scatola contenente diverse schede, che presentano le figure dei mestieri: il mestiere del casalingo e della casalinga, dell’idraulico e dell’idraulica, del pompiere e della pompiera, diversi lavori al maschile e al femminile, che mostrano come il genere maschile e il genere femminile siano assolutamente uguali, tanto che le figure sono rappresentate in maniera identica. C’è una scheda di gioco che si chiama “Se lui fosse lei e lei fosse lui”, dove è previsto che i maschietti e le femminucce si scambino i ruoli e i vestiti: il maschietto deve giocare come una femminuccia e la femminuccia come un maschietto.
D. – Lei come è venuto a conoscenza di questo?
R. – Ai primi di febbraio del 2015, c’è stata una riunione di classe in cui si parlava della seconda parte dell’anno, del programma dei Pof (Piano di Offerta Formativa). Quando ho posto delle domande precise sulle tematiche del gender, hanno assolutamente negato la presenza del gender nella scuola. Le risposte, però, non mi hanno convinto e mia moglie e io abbiamo presentato la lettera del "consenso informato" ed esattamente tre giorni dopo, sulla bacheca dell’asilo, è stato affisso l’avviso in cui si chiedeva l’autorizzazione dei genitori per far partecipare i bambini a questo gioco.
D. – Lei sta parlando del consenso informato, ovvero quella lettera il cui modulo si trova anche su Internet, sul sito del Comitato art. 26, attraverso la quale i genitori possono chiedere alla scuola di essere informati prima che nell'istituto vengano introdotti corsi aventi come tematiche quelle del gender. Questo episodio ha fatto venire meno in voi la fiducia nei confronti degli insegnanti?
R. – La fiducia nei confronti degli insegnanti non è mai mancata, perlomeno fino al momento in cui ci siamo accorti che gli insegnanti hanno spudoratamente mentito. Noi ci siamo sempre fidati, infatti. Il bambino, nell’asilo che frequentava, si trovava benissimo. E’ chiaro, però, che nel momento in cui, a domande molto precise, viene assolutamente negato un certo tipo di contenuti, salvo scoprire poi che l’insegnante ha fatto il corso di formazione su quel gioco già nel mese di dicembre, quindi due mesi prima – parliamoci chiaro – non può esserci fiducia.
D. – Si è entrati anche nella sfera dell’educazione sessuale?
R. - Teoricamente no. Rimaniamo al discorso teorico, perché se poi andiamo a leggere i contenuti all’interno del gioco, la sfera dell’educazione sessuale viene toccata anche con i bambini di quattro o cinque anni. C’è un gioco, infatti, in cui è previsto che per conoscere il corpo e vedere che i corpi dei maschi e delle femmine sono uguali, i bambini devono sdraiarsi per terra, posare la mano sul cuore del compagno per sentire come batte, posare la mano sul torace per sentire come si alza e si abbassa, “etc. etc.” questo dice il testo. E subito dopo, a capo, “ovviamente nella zona dei genitali i bambini possono accorgersi che sono fatti in maniera diversa l’uno dall’altro”. Ecco, questo è stato un punto molto controverso, in cui hanno assolutamente negato che ci sia la possibilità che i bambini si tocchino. Però, finché la lingua italiana rimane quella che è," l’etc. etc". in una serie di azioni e poi una fase dopo che comincia con “ovviamente” significa che è un’azione che continua e che finisce a un certo punto, cioè nelle mutande.
D. – Come vi siete mossi come genitori?
R. – C’è una corrente di persone che ha capito il problema. C’è molta gente che ha preso le difese di questi programmi, secondo me, proprio per partito preso e per questioni di principio. Io credo che molto pochi, troppo pochi, hanno veramente capito di cosa si tratti.
D. – Ecco perché lei, e come lei molti altri genitori, sostenete l’importanza della prossima manifestazione del 20 giugno a Roma in Piazza San Giovanni in Laterano?
R. – E’ assolutamente importante. Sta molto, molto a noi genitori: siamo noi quelli che hanno l’arma principale in mano per difendere il diritto dell’educazione dei nostri figli. Dipende da noi; non possiamo delegarlo. La lettera del consenso informato sembra una banalità, ma in realtà è un’arma fortissima che abbiamo per costringere le scuole a dichiarare quello che fanno.
Convegno diocesano al via col rapporto Censis sulla famiglia
“Noi genitori testimoni della bellezza della vita”. Questo il tema del convegno pastorale della diocesi di Roma, ieri al primo giorno di lavori dopo l’inaugurazione di Papa Francesco domenica pomeriggio. Nell’incontro in Laterano, presentato un rapporto del Censis su “i genitori e la trasmissione della fede ai figli a Roma”, realizzato intervistando un campione di mille famiglie romane. Il servizio di Michele Raviart:
La famiglia rimane un’istituzione solida nella diocesi di Roma e solo il 5% delle famiglie che si dichiarano non credenti la considera un fenomeno ormai superato. Rimane centrale anche per quelle che si definiscono cattoliche, per cui è soprattutto “l’unione sacra di un uomo e una donna” e il “nucleo fondamentale della società”. La ricerca del Censis si focalizza poi sul rapporto tra famiglia e fede, sul quale si è soffermato anche il Papa domenica, nel discorso inaugurale del convegno diocesano. Il cardinale vicario Agostino Vallini:
“Il Santo Padre, con quello che ci ha detto in piazza san Pietro, dove c’erano anche tanti genitori, ha voluto dare un po’ il tono al convegno, attraverso questi richiami ai valori forti. Il primo valore è quello della famiglia che nasce sull’amore e vive nell’amore. E il Papa l’ha ripetuto anche affermando che in fondo Roma ha bisogno di una riforma spirituale e morale”.
Su cento intervistati cattolici, il 40% si dichiara praticante, ma solo il 13% frequenta la parrocchia costantemente e fa attività di volontariato. Quello che emerge dalla ricerca è una tendenza a vivere la fede in maniera soggettiva e personalizzata. Parallelamente il 43% dei non cattolici - che per lo più si definiscono agnostici e non atei – ha battezzato i loro figli, il 30% ha fatto fare loro la Prima Comunione, mentre il 25% ha scelto l’insegnamento scolastico della religione cattolica, per “avere comunque un’educazione morale”. Elisa Manna, responsabile del settore cultura del Censis.
“La crisi dei pensieri forti che ha interessato la seconda metà del secolo scorso ha investito tutto. Diciamo che in qualche modo le posizioni delle persone sono più incerte, sono più possibiliste. E in questo c’è un aspetto positivo e un aspetto negativo: negativo perché sono un po’ incerte su tutto, positivo perché sono aperte, quindi sono aperte alla possibilità di un messaggio evangelico e quindi c’è la speranza molto fondata che una Chiesa rinnovata nel suo linguaggio possa davvero avvicinare i lontani.”
La trasmissione dei valori della fede in famiglia avviene principalmente attraverso la figura materna e nel periodo di preparazione alla Prima Comunione. Quasi il 30% delle famiglie cattoliche tuttavia non ritiene di dover trasmettere la propria fede ai figli e si limita all’approfondimento di temi legati ad una generica “interiorità”. Il 40% delle famiglie non cattoliche ha invece discusso in casa le tematiche affrontate durante il catechismo. In generale, se i giovani abbandonano la Chiesa, questo avviene proprio dopo la Prima Comunione, sia per l’allentamento della partecipazione dei genitori sia per la mancanza di un gruppo parrocchiale coinvolgente. Mons. Andrea Lonardo, direttore dell’ufficio catechistico diocesano di Roma.
“Le sfide sono tantissime. Papa Francesco sta insistendo sulla popolarità della catechesi: cioè che la catechesi deve vincere il rischio di essere solo per delle élite, disposte a cammini arzigogolati e complicati. C’è bisogno di gente molto formata, ma c’è bisogno anche di un pane semplice, come la sua predicazione, che arrivi a tutti. Le famiglie sono incoraggiate a qualcosa di semplice e profondo: questo credo sia il cammino da proporre.
Ad accomunare credenti e non credenti è invece la popolarità di Papa Francesco. Ancora Elisa Manna.
“Papa Francesco è considerato dall’80% dei cattolici il punto di forza essenziale del cattolicesimo: la concretezza di una persona e di un testimone vivo coinvolge più di un messaggio straordinario - quello di amore, di speranza - che però, senza un testimone che lo incarna, rischia di rimanere lontano. E affascina anche i non credenti: c’è veramente una percentuale molto consistente di non credenti che considera Papa Francesco il suo faro”.
Siria: attaccati quartieri di Aleppo. Il timore dei cristiani
Nella giornata di ieri i quartieri centrali di Aleppo, attualmente sotto il controllo dell'esercito, sono stati attaccati su più fronti dalle milizie ribelli con colpi di mortaio, razzi e mitragliatrici pesanti, realizzando un'offensiva che viene definita “un'operazione di guerra vera e propria, senza precedenti”. Fonti della locale comunità armeno-cattolica, contattate dall'agenzia Fides, riferiscono che l'operazione è apparsa studiata con il chiaro intento di conquistare la parte della metropoli difesa dalle forze regolari, e confermano il bilancio provvisorio di 22 morti e più di 150 feriti. Riferiscono infine che l'esercito è riuscito a respingere l'attacco e la situazione oggi non registra sviluppi.
I cristiani fuggono dalla città per raggiungere la più sicura Lakatia
Ad Aleppo, già a fine maggio, le comunità cristiane avevano messo in programma una serie di iniziative pastorali, rivolte soprattutto ai ragazzi e alle ragazze, come il “campo estivo” allestito presso la parrocchia latina per dare loro un po' di sollievo permettendogli di uscire dalle case dove vivono costantemente reclusi, e dove spesso manca anche la luce e l'acqua. Adesso i nuovi attacchi aumentano il numero delle famiglie cristiane che cercano in tutti i modi di abbandonare la città, approfittando di momenti di tregua, per trovare riparo nella regione costiera di Latakia, presidiata più saldamente dall'esercito di Assad.
Iniziata la missione di pace dell'inviato speciale dellOnu per la Siria
“La speranza è l’ultima a morire, ma fra la gente regna un sentimento diffuso di scetticismo e vi sono poche possibilità che la missione questa volta abbia successo”. È quanto riferisce all'agenzia AsiaNews il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando l’arrivo ieri a Damasco dell’inviato speciale Onu per la Siria Staffan de Mistura. “Speriamo… davvero noi speriamo che vi sia una svolta positiva” prosegue il presule, ma la situazione sul campo “non è migliorata, oggi come un anno fa non vi è un fronte unito”. Rientrato oggi ad Aleppo dopo una visita pastorale nella regione costiera, il vicario apostolico avverte che quanti comandano e decidono le sorti della guerra, se continuare a combattere “non sono affatto siriani - come il Fronte di al-Nusra e i jihadisti del sedicente Stato Islamico - e di conseguenza, non hanno alcun interesse alla pace”.
Basta guerra e basta armi: bisogna lavorare per la pace
La situazione in Siria è sempre più drammatica, conferma mons. Georges Abou Khazen secondo cui Occidente e potenze regionali del mondo arabo e mediorientale “devono smetterla di fornire armi, addestramento e sostegno” logistico e finanziario. Siamo al cospetto, prosegue il presule, di una spirale di violenza senza fine, con soldati governativi da un lato sfiancati da quattro anni di conflitto e un fronte opposto in cui “subentrano centinaia di combattenti nuovi ogni mese”. Per questo, conclude il vicario di Aleppo, “ripeto l’appello che stiamo lanciando da tempo: basta guerra, basta armi, bisogna lavorare per la pace e la riconciliazione. Non fomentate la guerra fra noi, interrompete il flusso di armi e combattenti. Servono pressioni diplomatiche, non militari perché si possa fermare il conflitto e si trovi una via reale e concreta per la pace”. (G.V.)
Sinodi maronita e greco-melkita: 60% dei libanesi pensa di emigrare
“Secondo un recente sondaggio, il 60% dei libanesi sta prendendo in considerazione l'idea di emigrare, e il 35% di loro è in realtà in attesa di un visto”. Lo ha riferito ieri il patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, Grégoire III, nell'intervento con cui ha aperto l'Assemblea annuale del Sinodo della Chiesa di cui è primate. La riunione dei vescovi greco-melkiti, in corso presso la residenza patriarcale estiva di Ain Trez, ha all'ordine del giorno il tema della famiglia e le situazioni di emergenza vissute dalle comunità in Siria. Ma in una parte del suo discorso, le considerazioni del patriarca Grègoire si sono allargate alle convulsioni che toccano tutta l’area mediorientale e spingono le popolazioni a fuggire in altre aree del mondo.
Fermare l'emorragia dei migranti cristiani
Presentando i dati citati del sondaggio, il primate della Chiesa greco-melkita ha sottolineato che tra i potenziali migranti libanesi la maggioranza sono cristiani. “Se questo è il caso per il Libano - ha aggiunto il patriarca nel suo intervento il cui testo è stato ripreso dall'agenzia Fides - che cosa accadrà nei Paesi in via di minore stabilità ? È necessario che operiamo in ogni modo per cercare di fermare questa emorragia".
Preghiera per la pace in Siria, Iraq, Yemen, Terra Santa e Medio Oriente
Sempre ieri, nella sede patriarcale di Bkerkè, ha avuto inizio anche l'Assemblea annuale del Sinodo della Chiesa maronita, presieduta dal patriarca di Antiochia dei maroniti, Boutros Bechara Rai. Nella fitta agenda dell'Assemblea sinodale maronita figurano argomenti impegnativi come lo stato dei tribunali religiosi e il loro servizio in merito alle crisi coniugali, l'insegnamento teologico negli istituti ecclesiastici, il lavoro delle missioni e delle diocesi maronite fuori del territorio libanese, nella diaspora. Ma il patriarca, nel suo intervento di apertura del lavori, ha anche fatto riferimento alla paralisi politica in cui versa la nazione: "Nessun autentico libanese - ha detto tra l'altro il patriarca - può tollerare la vacanza dell'ufficio presidenziale, che è entrata nel suo secondo anno e che aumenta le disfunzioni delle istituzioni costituzionali, povertà e illegalità". I vescovi maroniti hanno pregato per chiedere che “la guerra finisca per via diplomatica in Siria, Iraq, Yemen”, e che sia ristabilita e consolidata la pace in Terra Santa e in tutti i Paesi del Medio Oriente. (G.V.)
Kenya: vescovo di Garissa sulla marcia della speranza
“È un’iniziativa coraggiosa che nasce in un momento di grande difficoltà, con molte scuole che restano chiuse e altre, come quella cattolica, con tanti banchi vuoti”: mons. Paul Darmanin,Kenya, vescovo di Garissa, parla all'agenzia Misna della Marcia della speranza partita due mesi e mezzo fa dopo la strage all’università
Le comunità locali vogliono costruire un futuro di convivenza pacifica
Ottocento chilometri che oltre mille attivisti, uomini e donne, hanno cominciato a percorrere sabato scorso. Da Garissa, la città presa di mira dagli islamisti di Al Shabaab il 2 aprile, fino a Mandera, al confine con la Somalia. “Cammineranno per un mese nel deserto, con un caldo soffocante, con rischi concreti in termini di sicurezza” sottolinea mons. Darminin. Convinto che, sì, nonostante tutti i pericoli e le difficoltà la parola giusta in questo momento sia speranza. “L’uccisione di 142 studenti nel campus universitario ci ha lasciati devastati e attoniti – dice – ma le nostre comunità vogliono rimboccarsi le maniche per costruire un futuro di convivenza pacifica”.
Invito all'unità tra le comunità nelle regioni del nord
Secondo Salah Abdi Sheikh, uno degli organizzatori della Marcia, l’obiettivo è “creare consapevolezza e unità tra le comunità nelle regioni del nord del Kenya che affrontano sfide enormi, dal terrorismo ai conflitti tra i clan”. È di ieri la notizia dell’assalto di un gruppo di militanti di Al Shabaab a una base dell’esercito nella contea di Lamu, situata lungo la costa settentrionale del Kenya. Negli scontri a fuoco sarebbero stati uccisi 11 assalitori, tra i quali Luqman Osman Issa, ritenuto responsabile di un raid nella cittadina di Mpeketoni nel quale un anno fa avevano perso la vita 60 persone.
Per paura docenti e giovani disertano le scuole cristiane
Episodi come questi alimentano incertezza e paura nella popolazione. Nella diocesi di Garissa mancano all’appello centinaia di insegnanti, perlopiù originari del sud del Paese, che non sono voluti tornare al lavoro dopo la strage all’università nel timore di nuovi attentati. “A causa della mancanza di docenti – dice mons. Darmanin – spesso in classe fanno lezione ragazzi senza alcuna abilitazione, che hanno appena finito il loro ciclo di studi”. La scuola elementare gestita dalla Chiesa cattolica ha invece insegnanti a sufficienza. Il problema sono gli alunni, sempre di meno, anche perché dopo gli attentati di Al Shabaab molte famiglie ritengono più sicure le scuole musulmane. “Lo scorso anno – dice il vescovo – i bambini erano 400, mentre ora non sono più di 300”. (V.G.)
Phnom Pehn: aperto processo di Beatificazione martiri cambogiani
La Chiesa cambogiana ha ufficialmente aperto la fase diocesana del processo di Beatificazione di 35 martiri, uccisi o lasciati morire durante la persecuzione subita dalla Chiesa sotto il regime di Pol Pot e dei khmer rossi. Lo ha riferito all'agenzia Fides padre Gustavo Adrian Benitez, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) per la Conferenza episcopale di Laos e Cambogia. I 35 sono morti tra il 1970 ed il 1977, e sono nativi di Cambogia, Vietnam e Francia.
Mons. Chhmar Salas e 34 compagni martiri, tra cui preti, laici, catechisti, missionari
Il direttore delle Pom informa Fides: “Si tratta del vescovo cambogiano Joseph Chhmar Salas e di 34 compagni, tra preti, laici, catechisti, missionari, tra i quali alcuni membri della congregazione delle Missioni Estere di Parigi (Mep)”. La celebrazione di solenne apertura del processo si è svolta a Tangkok, villaggio nella provincia di Kompong Thom, ed è stata presieduta dal vescovo Olivier Schmitthaeusler, vicario apostolico di Phnom Penh, alla presenza di numerosi fedeli, sacerdoti, religiosi, missionari, in rappresentanza di tutta la Chiesa cambogiana.
Il processo di beatificazione ha un valore spirituale per la Chiesa in Cambogia
“Con l'inizio del processo, è stata creata una commissione che raccoglierà tutte le testimonianze sulla morte dei 35, alcuni uccisi, altri lasciati morire di fame e di stenti” spiega padre Benitez. L'apertura del processo “è importante a livello storico, perchè aiuterà i cambogiani a ricostruire la storia personale e le loro radici” afferma il direttore, ma “ha soprattutto valore spirituale: la Chiesa in Cambogia, annullata negli uomini e nelle strutture, ha ripreso a vivere e a crescere". "Riguardando la situazione della Chiesa cambogiana prima, durante e dopo il regime di Pol Pot, si ha la certezza che quei pochi cristiani e martiri coraggiosi hanno mantenuto accesa la luce della fede. La grazia di Dio ha agito anche durante quegli anni bui. E sul sangue di questi martiri, oggi la Chiesa rinasce” conclude padre Benitez.
Una volta conclusa la fase diocesana del processo, se l'esito dell'istruttoria sarà ritenuto positivo, la documentazione verrà inviata in Vaticano, alla Congregazione per le cause dei Santi, che ne curerà la seconda fase. (P.A.)
Il Giffoni Filmfestival a Casal di Principe
Sarà Casal di Principe, il 9 luglio, ad ospitare la presentazione della 45ª edizione del Festival di Giffoni. “Nel momento in cui presentiamo all’Italia e al mondo tutte le attività di questa edizione, vogliamo essere vicini e presenti fisicamente a quelle comunità locali che combattono contro criticità enormi senza mai arrendersi. Questo è Giffoni Experience. La cultura della legalità e il rispetto dell’ambiente, in queste vaste aree della nostra regione - riferisce l'agenzia Sir - non possono e non devono essere considerati obiettivi irraggiungibili, ma devono far parte di un mondo possibile.
Il 9 luglio giornata di festa e socializzazione
Il 9 luglio nella piazza di Casal di Principe, con la partecipazione di autorità e personalità del mondo dell’arte, della cultura, delle istituzioni, illustreremo il programma e annunceremo le novità”, ha spiegato il direttore del Festival, Claudio Gubitosi. La giornata del 9 luglio sarà un momento di festa e di socializzazione che coinvolgerà migliaia di bambini e giovani di Casal di Principe e di tutti i Comuni limitrofi che incontreranno i protagonisti di una delle serie tv più seguite degli ultimi anni, come tutto il cast della fiction Braccialetti Rossi. Gubitosi, inoltre, ha sottolineato la volontà di coinvolgere oltre 2.000 ragazzi di tutta l’area (200 al giorno) che parteciperanno a tutte le attività del Giffoni Film Festival. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 167